Il piccolo lamantino

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Capitolo primo

I

l remo di Manuela scivolava dentro e fuori dall’acqua scura senza sollevare neanche uno

spruzzo. La ragazza manovrava la grande canoa tra gli alberi sommersi con la leggerezza di una foglia sospinta dal vento, senza mai interrompere il ritmo silenzioso delle remate. Uno sciame di piccoli pipistrelli sfiorò la superficie dell’acqua e sparì dentro un albero cavo, come fumo risucchiato da un camino. In alto, tra i rami, bisticciava un gruppetto

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di pappagalli. Manuela non ci badò, tutta la sua attenzione era rivolta al gigantesco renaco* davanti a lei. I frutti verdi dell’albero galleggiavano sull’acqua nera come il petrolio, mentre pallide sagome di pesci li mordicchiavano da sotto la superficie. A prua, suo padre Silvio alzò la mano sinistra. Era il segnale di rallentare. Manuela non ne aveva bisogno: stava già fermando la canoa alla giusta distanza. Tutt’intorno, insetti, rane e uccelli lanciavano i loro richiami, ma all’ombra dell’albero di fico regnava un silenzio profondo. Silvio impugnò l’arpione e fissò lo sguardo sul guizzare di pinne sotto la superficie. La ragazza trattenne il fiato. Suo padre era un bravo pescatore, ma quando il livello del fiume era così alto era difficile trovare dei pesci. Erano fuori da prima dell’alba, ma erano riusciti a prendere solo qualche piccolo bocachico*. * Renaco: imponente specie di fico, tipico della foresta amazzonica. * Bocachico: pesce delle dimensioni di uno sgombro, apprezzato per il suo buon sapore.

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Il braccio muscoloso di Silvio fece uno scatto così rapido che fu difficile seguirlo, ma quando vide l’arpione tornare subito a galla, Manuela capì che suo padre aveva infilzato un pesce, e bello grosso! Con tre abili colpi di remo, la ragazza girò la canoa e, dopo un istante, un grosso pesce argentato, più grande di un piatto, si dibatteva sul fondo dell’imbarcazione. Dopo che Silvio lo colpì con il manico del machete, il pesce rimase immobile. – Un gamitana*! – sorrise. – Non è il più grosso che abbia mai catturato, ma fa la sua figura. Possiamo cucinarlo con peperoni e cilantro*, come piace a te. Che ne dici, Ranocchia? Al quel pensiero, lo stomaco di Manuela cominciò a brontolare ed entrambi scoppiarono a ridere. – Possiamo arrostire un paio di bocachico prima di tornare a casa, papà? – chiese la ragazza.

* Gamitana: grosso pesce carnoso che si nutre di semi nella foresta allagata. * Cilantro: nome spagnolo del coriandolo, erba aromatica usata per preparare molti piatti.

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– Certo, Ranocchia e il suo papà si meritano una bella colazione! Silvio prese un remo e insieme spinsero la canoa fuori dall’ombra degli alberi, nella luce del mattino. Posarono i remi per fermarsi al centro di una radura sommersa. Tutt’intorno, la superficie dell’acqua era coperta da un tappeto di piante galleggianti talmente fitto che si sarebbe potuto scambiarlo per la terraferma. A Manuela piacevano molto quelle radure, isolate dal resto del mondo da altissime pareti di alberi. Gli unici suoni che riecheggiavano nell’aria immobile erano il profondo richiamo di un camungo* e il lieve sfrigolare del pesce sul piccolo fuoco di carbone, che suo padre aveva acceso in un barattolo di latta. Manuela chiuse gli occhi, godendosi il calore del sole sul viso. Pescare con suo padre era molto più divertente che andare a scuola. Era contenta che il comune di Puerto Dorado * Camungo: grosso uccello bianco e nero dal verso lamentoso e profondo.

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avesse finito i soldi per il carburante. Forse la barca che la portava a scuola non sarebbe mai più scesa lungo il fiume! Il suo fantasticare fu interrotto da un sibilo improvviso. Manuela aprì gli occhi: vide che suo padre aveva versato dell’acqua sul fuoco e le stava indicando una radura più piccola, a circa dieci canoe di distanza. Le piante galleggianti che la delimitavano si mossero, e sulla superficie si diffusero delle leggerissime increspature. Qualcosa di grosso si stava muovendo sottacqua. Silvio si girò verso di lei e mosse le labbra in silenzio, articolando un’unica parola: – Lamantino! Un lamantino! Manuela dimenticò la fame e il suo cuore cominciò a battere forte. Fino a quel giorno ne aveva incontrato soltanto uno nel fiume, ma non era così vicino da potergli dare la caccia. – Sai, Ranocchia, solo i cacciatori più abili possono prendere un lamantino – le aveva sempre detto suo padre. Una legge proibiva l’uccisione dei lamantini, ma

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in quel luogo sperduto, così lontano dalla città, nessuno la rispettava. Catturare un lamantino era un avvenimento troppo straordinario per preoccuparsi della polizia, che si trovava a due ore di navigazione da lì. Quando qualcuno tornava al villaggio con un lamantino, era una festa. C’era così tanta carne che in cambio il cacciatore poteva ottenere pressoché qualsiasi cosa. Era passato molto, molto tempo da quando Silvio aveva preso il suo ultimo lamantino. Stavano diventando rari. A volte, nella stagione secca, quando i fiumi e i laghi si ritiravano, qualche cacciatore riusciva ad arpionarne uno. Succedeva più spesso che un esemplare restasse intrappolato nelle reti da pesca e morisse annegato, o un piccolo venisse catturato vivo e venduto in città. Manuela aveva sempre sognato di uccidere un lamantino insieme a suo padre. La gente avrebbe finalmente ammirato la sua abilità e avrebbe smesso di criticarla perché andava a pescare con il padre

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anche se era una ragazza. Finalmente l’avrebbero considerata un’eroina e non più il maschiaccio del villaggio. Era la sua occasione! – I lamantini sono molto diffidenti – le aveva spiegato suo padre. – Possono sentire anche il passo più leggero sul fondo di una canoa. Ricordando quelle parole, Manuela fece scivolare il remo molto lentamente tra le piante galleggianti e lo manovrò piano contro la resistenza dell’acqua; aveva tutti i sensi all’erta. I colori erano nitidi e perfino i rumori più impercettibili risuonavano nel silenzio: il posarsi di una libellula sulla falchetta della canoa, il plink plink delle cavallette che saltavano per sfuggire al furtivo passaggio dell’imbarcazione. Davanti a loro il naso del lamantino emerse in superficie. Sarebbe potuto passare inosservato: era un tenero disco di pelle con due buchini neri, non più grandi di una moneta. Il lamantino respirò solo una volta, emettendo un lieve pfff, quindi sparì di nuovo. – Ricorda – le aveva detto suo padre – dopo aver

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respirato nuotano sempre all’indietro, quindi se tiri l’arpione nel senso opposto, il colpo andrà a vuoto. Manuela indirizzò la canoa dietro al punto dove era apparso il naso dell’animale. Ormai erano abbastanza vicini. Un ultimo, calcolato colpo di remo girò l’imbarcazione in modo da consentire una migliore precisione di tiro. In silenzio, Manuela posò il remo e impugnò l’arpione. La superficie dell’acqua era di nuovo un lucido specchio scuro. Silvio e Manuela aspettavano, gli arpioni puntati, pronti a scattare. Un jacana* volò radente sul tappeto di piante galleggianti lanciando il suo grido stridulo e il cupo lamento del camungo risuonò di nuovo tra la vegetazione. Silvio e Manuela avevano gli occhi bene aperti, i muscoli tesi. Eccolo lì! Un impercettibile mulinello sulla superficie dell’acqua, non un’increspatura, né una bolla. Sarebbe sfuggito a chiunque, ma Silvio sapeva riconoscerlo: era una pinna che si muoveva sottacqua. * Jacana: uccello acquatico simile a una grossa gallinella d’acqua.

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Con la coda dell’occhio, Manuela vide guizzare il braccio del padre e in quel momento anche il suo braccio scattò, come una molla carica. L’arpione di Silvio colpì il bersaglio. Era stato scagliato con tale forza che vibrò per la violenza dell’impatto. Poco distante, anche l’arpione di Manuela colpì qualcosa, ma rimbalzò sulla superficie dell’acqua. La creatura si immerse e l’arpione di Silvio, infilzato nel suo corpo, sparì dalla loro vista. – Riemergerà presto – disse il cacciatore. – Poi sarà nostro! Padre e figlia afferrarono i remi e in un istante portarono la canoa nel punto in cui il lamantino si era inabissato. Sulla superficie dell’acqua era sbocciata una macchia di sangue, ma c’era anche qualcos’altro. – Papà! – gridò Manuela. – C’è una cria*. Guarda! Un naso ispido apparve in superficie, seguito da un piccolo corpo scuro. Il cucciolo era ferito: la sua * Cria: parola spagnola che indica un cucciolo.

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lucida schiena nera era attraversata da un taglio insanguinato. – Devi averlo colpito di striscio quando ho arpionato la madre – disse Silvio. – Svelta, legagli una corda intorno alla coda. Così saremo sicuri che lei tornerà!

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