Capitolo 1
L’ululato dei lupi
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on mi sono mai piaciute le bambole e dei gatti ho sempre avuto paura. Da piccola avevo paura anche di tante altre cose. Se qualcuno parlava di una gallina con due teste o di un gatto con una zampa sola cominciavo a tremare come una foglia. Anche le bambole rotte mi terrorizzavano e la nostra tata aveva l’ordine di farle sparire subito. Quando da San Pietroburgo ci siamo trasferiti in campagna avevo circa otto anni e le mie paure sono aumentate al punto da avere spesso gli incubi notturni.
Ricordo il nostro arrivo a Palibino, nella casa di campagna che mio padre, il generale Vasilij Korvin-Krukovskij, aveva ereditato. In quell’anno, era il 1858, aveva già lasciato l’esercito ma tutti lo continuavano a chiamare Generale, a volte anche Sua Eccellenza. A lui piaceva quel titolo, e quando andava a un ricevimento si appuntava le medaglie sul vestito della festa. Era elegante e severo. Passava gran parte del suo tempo nello studio a leggere, senza badare troppo ai figli. Di noi si prendevano cura le governanti e i tutori, oltre al resto della servitù che abitava con la nostra famiglia. Da Mosca dove sono nata, a metà dell’Ottocento, esattamente il 15 gennaio 1850, ci siamo spostati varie volte. Abbiamo trascorso un lungo periodo anche a San Pietroburgo. Ma questa volta era diverso. La decisione di trasferirci in campagna era stata improvvisa. – I servi stanno cominciando a volere più libertà, dobbiamo occuparci delle nostre proprietà. Non è più il momento di stare così lontani. – Mio padre era un uomo dalle decisioni rapide. – Può continuare a occuparsene il fattore – aveva protestato debolmente mia madre, Elizaveta, che non voleva lasciare la città. Le piacevano i balli, la vita di società ed era molto più giovane di mio padre. Ma in casa contavano solo le decisioni di lui. Fu così che la nostra vita cambiò completamente. La casa di campagna era enorme, abbastanza grande da poter ospitare più famiglie.
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– Voglio andare a vivere nella torre! Ma tu Sofia non ci puoi venire! – mi disse mia sorella Anjuta, appena arrivati a Palibino, come se a quattordici anni potesse decidere che stanza occupare e con chi stare. Io, comunque, ero felice delle sue confidenze. Era il mio idolo e un po’ la invidiavo. Era bionda, alta e sempre sorridente, al contrario di me che ero bassa, scura e perennemente imbronciata. Di mio fratello, il piccolo Fedja, non mi occupavo. Era il maschio di casa e questo gli procurava un sacco di vantaggi. Io, invece, a sentire la tata, ero stata una delusione per mia madre che non voleva un’altra figlia femmina. Palibino era un luogo magico e solitario nella provincia di Vitebsk, nella Russia centrale. D’inverno, quando la neve ricopriva tutte le strade, non si scorgeva nessuno per giorni e giorni. Anche il lago diventava una lastra di ghiaccio e la foresta, che circondava la casa, sembrava ancora più impenetrabile. D’inverno uscivamo raramente e la nostra tata aveva l’ordine di non aprire le finestre per non far entrare l’aria gelida. Qualche volta, nei mesi più freddi, lupi affamati si avvicinavano alla casa. Una sera d’inverno eravamo tutti nel grande salone, in uno dei pochi momenti in cui a noi bambini era permesso stare con gli adulti. La luce delle candele si rifletteva sugli specchi dorati e faceva brillare di verde vivo le grandi piante coltivate nella serra di casa. Mio padre fumava lentamente la pipa mentre mia madre, che era
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una bravissima musicista, suonava il piano. D’improvviso nella stanza entrò Ilja, il domestico di mio padre. Stava dritto impalato. Si vedeva che aveva fretta di parlare, ma non si azzardava a farlo, non prima che il suo padrone lo autorizzasse. Alla fine mio padre si decise a rivolgergli la parola. – Cosa c’è, Ilja? – Il tono era quello di un generale che comanda un esercito. – Un branco di lupi è sul nostro lago, sono tantissimi. Volevo sapere se i signori vogliono venire a sentirli ululare… – Ti prego papà, vogliamo andare a vederli! – Eravamo eccitatissimi, ma mio padre non voleva farci uscire. – Prederete freddo! E poi li potete sentire anche da qui, se ululano. Ma alla fine riuscimmo a strappargli il permesso. Uscimmo tutti sul grande terrazzo, vestiti con delle spesse pellicce e scialli di soffice piuma d’oca. Ilja ci precedeva. Fuori il freddo era così forte che sentivo mille punture di spilli sui pochi centimetri di pelle lasciati liberi dallo scialle. La neve illuminava il paesaggio di una luce fredda, quasi spettrale. Attorno era tutto silenzio. Dopo qualche minuto di attesa, cominciammo a protestare. – E i lupi dove sono? – Dovevamo uscire prima – disse mia sorella, che era la più impaziente di tutti. Io fissavo il paesaggio cercando qualche traccia del branco.
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– Sono sicuro che tra un po’ riprenderanno a ululare! – Ilja sembrava il più seccato. Mio padre, invece, abituato all’attesa delle battaglie, se ne stava impettito a scrutare l’orizzonte, senza mostrare alcun segno d’impazienza. Fu proprio quando stavamo ormai perdendo le speranze, che un coro tetro si levò dal lago. Era un suono terribile, cupo, quasi disperato, che aumentava via via che altri lupi rispondevano al coro iniziale. Ilja era soddisfatto. – Eccoli, sono tornati. – Poi, con aria misteriosa aggiunse: – Non capisco perché vanno al lago. Cosa cercano? Cosa li spinge ad arrivare fin qui? Eppure non è la prima sera che arrivano a dozzine. Avevo paura. Anche mia sorella, di solito così spavalda, taceva. Accanto a noi c’era Polkan, il nostro cane preferito, un grosso Terranova, di solito festoso e sempre pronto ad azzuffarsi con gli altri animali. Quando aveva visto che ci preparavamo a uscire, ci era corso incontro e ora stava sul terrazzo con noi. Improvvisamente Ilja lo guardò, agitando un dito minaccioso: – Che ne dici Polkan di andare a fare compagnia a quel branco di lupi affamati!? Noi lo guardammo scandalizzati. Come poteva dire una cosa del genere al nostro cane? I lupi lo avrebbero sbranato. Anche Polkan doveva pensarla allo stesso modo perché, sentita la voce del servo che lo chiamava, si andò a nascondere, gemendo piano. Non so chi avesse più paura, se il cane o noi, ma
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quando mio padre diede l’ordine di rientrare in casa, fummo felici di ritrovarci al caldo, protetti da solide mura. I lupi tornarono altre volte quell’inverno, ma nessuno chiese più di uscire a vederli. Poi, ad aprile, con il disgelo, scomparvero dal lago. La campagna lentamente si ricoprì di uno strato verde di vegetazione, mentre nel giardino sbocciavano i fiori. I nostri ritmi familiari rimanevano, invece, quasi uguali anche con il cambiare delle stagioni, a parte qualche passeggiata e la visita di rari ospiti. Trascorrevo gran parte del tempo nella stanza che dividevo con mio fratello e la nostra tata. Ero la preferita della vecchia domestica, forse perché pensava che mia madre non mi amasse. La sera, quando credeva dormissi, la sentivo discutere con le altre donne della servitù. – Il padrone e la padrona volevano tanto un figlio maschio. La signora soprattutto. Era così convinta che nascesse un maschio, che quando è nata Sofia non l’ha neanche voluta vedere – sospirava la tata. – Per forza, proprio la sera che è nata, il generale ha perso tutti i soldi giocando a carte. Ha dovuto vendere i gioielli della moglie per pagare i debiti – rispondeva qualcun’altra, sussurrando. A forza di sentire quei discorsi, anch’io mi ero convinta di non essere amata. Senza rendermene conto, facevo di tutto per risultare goffa e scontrosa. Mia sorella me lo
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diceva sempre: – Non fissare la gente a quel modo, sembra che la odi. – Come la dovrei guardare? – rispondevo seccata. A sentire lei, accoglievo i pochi ospiti che ci facevano visita senza un sorriso, fissandoli ostinatamente. In realtà avrei tanto voluto essere come mia sorella, allegra e sorridente, o abbracciare mia mamma come faceva mio fratello. Ma le poche volte che ci avevo provato era stato un completo fallimento. Una sera, mia madre era venuta nelle nostre stanze a salutarci. Era bella, vestita con un abito lungo, sorridente, le braccia nude piene di bracciali tintinnanti, pronta per andare con papà a un ricevimento. Anjuta le era corsa incontro baciandole le mani e togliendole i bracciali per provarli. – Diventerò bella come te – le disse guardandosi alla specchio. Mia madre rideva divertita. – Certo, e ti regalerò anche i miei gioielli così sarai ancora più bella! Anch’io la guardavo incantata. Presi il coraggio e mi gettai su di lei per abbracciarla, come aveva fatto mia sorella. – Mamma, anch’io voglio essere come te – dissi tutto d’un fiato. Proprio in quel momento però, mentre mi lanciavo tra le sue braccia, lei mosse qualche passo verso la porta. Sentii il rumore di uno strappo e la seta leggera del suo vestito lacerarsi in più punti sotto il
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peso dei miei piedi che calpestavano e trattenevano il piccolo strascico verde bosco. – Sofia, attenta! Sei sempre così sbadata! Non vedi che mi hai rovinato il vestito!? – Era furiosa. Se ne andò sbattendo la porta, senza degnarmi più di uno sguardo mentre la tata mi stringeva a sé. – Povera bambina mia – ripeteva abbracciandomi. Di sicuro pensava che quella era l’ennesima prova che nessuno mi voleva bene. Tranne lei! Mi sentivo sola. Oltretutto non avevo amici. Avrei dato chissà cosa per poter giocare con i bambini del villaggio che incontravo quando uscivo con la tata, nella bella stagione, ma neanche questo mi era permesso. – Posso fermarmi a giocare con loro? – avevo chiesto qualche volta, attratta dalle loro grida divertite. – Ma come ti viene in mente? La figlia del padrone, una signorina di buona famiglia, giocare con questi monelli! La tata era così scandalizzata che ben presto mi passò anche la voglia di chiederlo. Mi ero ormai rassegnata a stare sola al punto che, quando si presentava una bambina a casa nostra, il mio unico desiderio era di liberarmi di lei. Pensavo ossessivamente: “Quando se ne andrà via?”.
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Indice Cap. 1: L’ululato dei lupi................................................................ 7 Cap. 2: La terribile Miss Smith................................................. 15 Cap. 3: Zii scienziati e moglie strangolata.......................... 23 Cap. 4: Tutto merito di una carta da parati......................... 33 Cap. 5: Vi presento mio marito!................................................ 43 Cap. 6: Vietato studiare? E io scappo!.................................... 53 Cap. 7: Dottore in matematica................................................... 63 Cap. 8: Russia, andata e ritorno................................................ 72 Cap. 9: La professoressa sale in cattedra............................. 81 Cap. 10: Un premio per una trottola....................................... 90 Epilogo................................................................................................... 98 Approfondimenti ........................................................................... 101
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