La scuola degli orsi

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Capitolo primo

Z

aki aveva perfezionato la tecnica di portare i vasi pieni sulla testa, così quando andava a

prendere l’acqua aveva le mani libere per esercitarsi con il flauto. Quel giorno, però, mentre camminava verso l’accampamento, le sue dita continuavano a sbagliare ed era contento di non avere altri spettatori oltre ai due cuccioli di orso che trotterellavano ai suoi piedi.

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Stava per ricominciare da capo, quando sentì delle voci concitate che arrivavano da dietro gli alberi: era in corso una violenta lite familiare. Sua madre e le sue quattro sorelle parlavano tutte insieme, mentre la voce di suo padre rimbombava come un tuono. Zaki pensava spesso alla sua famiglia come a un’orchestra in cui sua madre intonava la melodia, le sorelle la accompagnavano e il padre forniva le note di basso in sottofondo. Adesso, però, erano stonati: nessuno ascoltava né cercava di armonizzare con gli altri. Zaki uscì dall’ombra degli alberi e vide le donne della famiglia schierate di fronte a Tareef, suo padre; sembravano due eserciti pronti a darsi battaglia. I sari* delle ragazze dipingevano un arcobaleno, mentre la robusta corporatura e la testa ispida di suo padre lo facevano sembrare una grossa nuvola scura. In mezzo a loro c’era zio Ifran, il fratello maggiore di Tareef. Il suo corpo mingherlino on* Sari: abito tipico delle donne indiane.

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deggiava qua e là, piegandosi come una canna al vento a ogni scoppio d’ira. Bilqis, la vecchia orsa ballerina della famiglia, si era allontanata quanto le consentiva la corda e sedeva dando la schiena agli esseri umani, tappandosi le orecchie con le zampe. Sentendo quella confusione, i cuccioli si avvicinarono e fecero quasi inciampare Zaki. – Ah! – gridò suo padre, vedendolo. – Ecco i ragazzi! Aveva preso l’abitudine di chiamare il figlio e i cuccioli “i ragazzi” perché, a parte lui, erano gli unici maschi della famiglia. – Zaki, metti via quel flauto – gli ordinò – e difendi la nostra causa! Zaki sapeva perché stavano litigando e non voleva farsi coinvolgere. Posò l’acqua vicino alle pentole di sua madre e provò a svignarsela. – Devo dare da mangiare ai cuccioli, papà – disse. – Hanno una gran fame. – Non trovare scuse! – il lungo braccio di suo

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padre lo afferrò e lo attirò a sé. I cuccioli guairono: erano agitati, avevano paura di Tareef. – Tua madre mi ordina di rinunciare ai miei orsi. – Io non ti ordino nulla, marito mio – lo interruppe Rashma. – Sto solo cercando di parlare, ma tu sei la solita testa calda! – Io, una testa calda? – sbraitò Tareef. Zio Ifran li interruppe: – Tareef! Rashma! Vogliamo darci una calmata? Sediamoci davanti a una tazza di chai* e cerchiamo di comportarci da esseri umani, non da orsi. Tareef sbuffò e Rashma si gettò un lembo del sari sulla testa, stizzita. Zaki incrociò lo sguardo della sua gemella Nazeera, che gli sorrise. Lei sapeva da che parte avrebbe voluto stare. Tutti si sedettero all’ombra della grande tenda, come suggerito da Ifran. L’estate era alle porte e, anche se il pomeriggio stava per finire, faceva trop* Chai: delizioso tè speziato bevuto in India a tutte le ore del giorno.

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po caldo per stare sotto il sole. Taroob, la sorella maggiore di Zaki, preparò il tè e tutti iniziarono a sorseggiarlo tranquillamente dalle tazze. Anche se ormai erano troppo cresciuti, i cuccioli cercavano di arrampicarsi sul grembo di Zaki e il ragazzo li teneva a bada lasciando che leccassero la dolce bevanda lattiginosa dalle sue dita. – Tareef – disse zio Ifran, rompendo il silenzio – il governo ti pagherà per Bilqis e i cuccioli, come ha pagato me per il mio orso. Mettendo insieme il denaro, potremmo avviare una nuova attività. – Non dovremo più viaggiare in continuazione – intervenne Rashma con voce molto più calma. – I bambini potrebbero andare a scuola e… Ma Tareef non voleva ascoltare e si alzò di scatto. La rabbia lo faceva sembrare ancora più alto di quanto fosse in realtà. – Volete che rinunci ai miei orsi proprio adesso? – gridò. – Alla vigilia del nostro spettacolo più importante? Avete forse dimenticato che questa famiglia vive con gli orsi da generazioni?

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Rashma annuì tristemente. – Certo che lo sappiamo, Tareef. Ma a volte bisogna cambiare. Il suo tono era conciliante, ma l’uomo la ignorò. Afferrò Zaki per le spalle e lo scosse come un burattino. – Che ne sarà di tuo figlio? – esclamò, teatrale. – È il nipote del più grande ammaestratore di orsi di tutta l’India ed è nato per esibirsi! Se rinunciassimo agli orsi, che futuro avrebbe? Zaki sapeva che suo padre si aspettava che lui prendesse la parola e dicesse che il suo sogno era seguire le orme degli avi. Quello, però, non era affatto il suo desiderio, anche se non osava dirlo a Tareef. Lanciò un’occhiata furtiva alla madre e alle sorelle: loro sapevano che lui voleva diventare un musicista e che avrebbe preferito lasciare che gli orsi vivessero da orsi. Lo salvò un urlo proveniente dall’accampamento vicino. Bilqis era scappata intrufolandosi nella tenda ben fornita di zia Salma, così ora c’erano una donna grassa e anziana e un’orsa grassa e anziana che si inseguivano, facendo tanta confusione da svegliare i morti!

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Tareef mollò Zaki e corse a riacchiappare Bilqis. Appena la raggiunse, strattonò forte la corda attaccata al suo naso e la picchiò sulla testa con una bacchetta. Poi la portò a fare una passeggiata, mentre Rashma e le ragazze calmavano zia Salma e una precaria pace tornava nell’accampamento. Ormai i cuccioli erano davvero affamati. Zaki stava preparando loro da mangiare, quando si alzarono e gli grattarono la schiena con le zampe anteriori. Il ragazzo li respinse con dolcezza. – I vostri artigli stanno diventando troppo grandi per questi giochetti! – disse. Dopo un istante, gli orsi gli avevano infilato il muso sotto la maglietta e gli facevano il solletico con i baffi. A cinque mesi non bevevano più dal biberon, ma avevano ancora bisogno di latte. Zaki mescolò il latte delle capre di famiglia con un po’ di dalia* in due ciotole e le posò a terra nello stesso istante. Se ne avesse messa giù una prima dell’altra, * Dalia: grano spezzato integrale.

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Lallu, che era il più goloso dei due fratelli, avrebbe cominciato a mangiare per primo e Bijli, il più aggressivo, gli sarebbe saltato addosso dando inizio a una zuffa. Zaki era cresciuto insieme agli orsi. La sua gente, la tribù dei Kalandar, addestrava gli orsi ballerini da secoli e quando era piccolo quasi tutte le famiglie della sua comunità ne avevano uno. Suo padre aveva acquistato i cuccioli appena nati da un mercante d’orsi e a Zaki era sembrato naturale occuparsene. Da quel giorno stava sempre con loro; li aveva coccolati e nutriti con il biberon, e ora gli orsetti lo seguivano ovunque, proprio come avrebbero fatto con mamma orsa se fossero vissuti allo stato brado. A Zaki piaceva molto questo suo ruolo: essendo l’unico figlio maschio in mezzo a tante sorelle, a volte si sentiva escluso e i cuccioli gli facevano compagnia. Purtroppo, però, suo padre riteneva che questa fosse solo la prima fase del suo apprendistato di ammaestratore. Zaki in realtà non aveva nessuna

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intenzione di seguire la tradizione di famiglia, ma non osava sfidare suo padre. Ogni volta che Tareef suggeriva che era giunto il momento di forare il naso dei cuccioli per inserire la corda, o di togliere loro i canini per renderli più innocui, lui trovava un pretesto per rimandare. E lontano dagli occhi di suo padre, incoraggiava i piccoli a comportarsi come orsi: li lasciava grattare e scavare nella terra con i lunghi artigli e curiosare con il muso tra le foglie. Zaki si accovacciò davanti ai cuccioli e li guardò mangiare, accarezzandoli di tanto in tanto. Infilavano il muso allungato nel grano spezzato e quando il latte schizzava chiudevano le narici. – Se adesso foste nella foresta – bisbigliò – succhiereste formiche e termiti invece del dalia, e chiudereste le narici per non aspirare la terra. Zaki sospirò. Li aveva protetti a lungo, ma non poteva continuare a farlo per sempre. Presto, suo padre avrebbe insistito per togliere i denti e forare loro il naso, e i cuccioli sarebbero stati intrappolati

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per sempre in una vita che non avevano scelto, proprio come lui. Nazeera si lasciò cadere con un tonfo accanto a Zaki, quasi rimbalzando. Sua sorella faceva ogni cosa con dieci volte più energia di chiunque altro! – Perché non hai detto niente quando papà ti ha chiesto cosa pensavi? – disse. – Sappiamo tutti che non vuoi ammaestrare gli orsi. Dovresti dirglielo. – È inutile – sospirò Zaki. – Non mi lascerà mai fare il musicista e non rinuncerà mai agli orsi! – Ti sbagli, Zaki! – esclamò Naz. – Tutte le altre famiglie Kalandar che conosciamo non tengono più gli orsi. Papà è l’ultimo. Deve rassegnarsi, ormai è illegale. Dovrà adeguarsi e finalmente avremo la nostra occasione: tu potrai diventare un famoso flautista e io sarò una dottoressa! Zaki scrollò il capo, tristemente. – Papà non cambierà mai. Presto forerà il naso dei cuccioli per legarli. Tanto vale che buchi anche il mio. Naz scosse la testa. – Non lasciarti mettere i piedi in testa, Zaki.

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Il ragazzo guardò gli occhi fiammeggianti della sorella e sospirò. Avrebbe voluto essere come lei. – Non posso – disse. – Non ce la faccio. I cuccioli avevano finito di mangiare e leccavano le ciotole, tenendole ferme con una zampa. I loro artigli ticchettavano contro il metallo. – Lo fanno sempre! – disse Naz. – Non si rendono conto che leccare la ciotola non fa tornare il cibo? La sua risata era così contagiosa che a Zaki tornò il buon umore.

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