L’energia migliore per la tua impresa?
La produci tu.
Nell’ultimo anno la spesa energetica delle imprese è aumentata del 140% *.
La migliore risposta è investire nell’indipendenza energetica.
Giulia, scegliendo un sistema Viessmann con fotovoltaico e pompa di calore, produce l’energia per il suo laboratorio.
Fai come Giulia, produci la tua energia e diventa indipendente.
*Fonte: Indagine Confcommercio-Nomisma 2022
Rimini 22-24 Marzo
Pad. D5 Stand 076
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SPECIALE
ditoriale
La produzione di energia diventa capillare
l quadro, indubbiamente, è complesso, ed emerge con tutta evidenza la consuetudine italiana a complicarlo per quanto possibile dal punto di vista burocratico e normativo. È altrettanto evidente però che stiamo assistendo all’evoluzione da un assetto che potremmo definire passivo, con una distinzione netta fra alcuni grandi produttori di energia e tantissimi utenti diffusi sul territorio, ad una relazione più attiva nella quale la produzione di energia comincia a sparpagliarsi e ad avvicinarsi agli effettivi punti di utenza.
E non si tratta solo del “semplice” autoconsumo individuale per cittadini e imprese, nelle diverse forme finora attuate, bensì di un passaggio ulteriore ancorché intermedio, che consente ad un insieme di soggetti di produrre, condividere ed eventualmente reimmettere in rete l’energia prodotta localmente. L’assetto normativo, come detto, è molto consistente. In Italia le “Comunità Energetiche Rinnovabili”, previste dalla Direttiva Europea RED II (2018/2001/UE) sono nate a seguito della conversione in legge del Decreto Milleproroghe 162/2019, che tuttora ne delinea l’insediamento e le attività. I successivi riferimenti sono rappresentati innanzitutto dal D.Lgs. 199/2021, che dà attuazione alla Direttiva Europea RED II sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, e dai relativi provvedimenti attuativi: la delibera 318/2020/R/ eel dell’ARERA, già definitiva e nota come TIAD, Testo Integrato Autoconsumo Diffuso, e i corrispospondenti provvedimenti del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, la cui entrata in vigore è prevista per inizio marzo. Fra le principali differenze rispetto al decreto in vigore vi è la potenza di generazione (1 MW rispetto a 200 kW), una maggior facilità di copertura grazie al riferimento della cabina primaria rispetto alla cabina secondaria e la possibilità di includere anche aziende più grandi oltre ai singoli consumatori e alle PMI. Tanti dettagli che abbiamo ascoltato al webinar organizzato da Higeco Energy, “Le configurazioni energetiche rinnovabili alla luce della delibera ARERA 727/2022/R/
eel recante l’emanazione del TIAD”, che ha dato un quadro completo (o forse meglio un assaggio!) dell’aggiornamento che deriva dalla nuova norma tecnica. Nel complesso, vediamo emergere una nuova filosofia, nella quale i cittadini e le aziende del territorio assumono un ruolo da protagonisti, certamente molto più robusto e sostenibile, su un fronte fondamentale che è quello dell’energia. Un quadro che a mio avviso risulta anche molto più coerente con la struttura stessa del nostro Paese, sociale ed economica, che trae moltissima della sua forza dagli innumerevoli borghi e dalle innumerevoli piccole aziende in possesso di grandi tradizioni. Un quadro nel quale oggi trovano posto anche delle medie realtà aziendali che già giocano, oppure che possono giocare meglio, un ruolo di riferimento all’interno di determinate comunità, dando un contributo assolutamente concreto, con il loro tetto solare o con l’impianto di cogenerazione, alla salute dei cittadini e più in generale agli obiettivi di decarbonizzazione.
Sì, perché le quantità di CO2 non immesse in atmosfera, in questi scenari, sono assolutamente ingenti e potranno rappresentare anche un asset da valorizzare a livello di bilancio aziendale. E se si pensa che tutto questo abbia ricevuto una spinta ulteriore nell’ultimo anno, a seguito della guerra in Ucraina, ebbene, dall’approfondimento delle normative e delle decisioni assunte in ambito nazionale e internazionale si può capire che questo percorso è cominciato diversi anni fa, insieme ad una coscienza improntata all’efficienza energetica che almeno in Europa si sta consolidando anno dopo anno. Che un’azione violenta possa averla rafforzata è ormai una narrazione che possiamo abbandonare. Dalla guerra in Ucraina è derivato solo un rallentamento di questo percorso, che invece, e come tanti altri, può trarre il suo vero vigore solo da una situazione di pace. Quella che ormai ci auguriamo arrivi al più presto, ad illuminare i punti oscuri di quest’anno appena cominciato.
Cecilia BiondiTRANSIZIONE ENERGETICA ED ECONOMIA CIRCOLARE A ENERGYMED
Dopo il successo delle precedenti edizioni, EnergyMed, la mostra convegno sulla transizione energetica e l’economia circolare, giunge alla XIV edizione. Le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica sono, infatti, sempre più al centro dei piani di azione per la sostenibilità ambientale: EnergyMed diventa il contesto ideale per confrontarsi sullo stato dell’arte di settori innovativi legati al solare, all’eolico, alle caldaie ad alta efficienza e a biomasse, al recupero di materia ed energia dai rifiuti, ai veicoli a basso impatto ambientale e ai servizi. Molte le novità di quest’anno, con un’esposizione che supera gli 8.000 metri quadrati, con un vasto programma congressuale e numerosi eventi speciali; infatti, i migliori esperti del settore e i rappresentanti delle principali imprese partecipano ai workshop tematici, agli incontri business to business e alle tavole rotonde. L’evento si terrà dal 30 marzo al 1° aprile 2023 a Napoli, presso la Mostra d’Oltremare (ingresso Viale Kennedy). Per tutte le informazioni: https:// www.energymed.it/
CON I BIOCARBURANTI PER AEREI RIDUZIONE EMISSIONI FINO AL 40%
Per la prima volta in Italia è stato sperimentato l’uso di miscele di biocombustibile e cherosene su un jet militare, ottenendo una riduzione fino al 40% delle emissioni inquinanti complessive. A calcolare questo taglio è stato uno studio pubblicato sulla rivista internazionale Toxics, che indaga anche l’impatto complessivo sulla salute e l’ambiente di questi nuovi carburanti avio. La ricerca è stata condotta da ricercatori ENEA, in collaborazione con Aeronautica Militare, nell’ambito dell’accordo di cooperazione in materia di utilizzo di biocombustibili nel settore dell’aviazione, che coinvolge anche Cnr e Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. I test sono stati condotti su due diverse miscele contenenti il 13% e il 17% di biocombustibile nel corso di diverse prove motore con velivolo a terra, presso la Divisione Aerea di Sperimentazione e Spaziale (DASAS) dell’aeroporto militare di Pratica di Mare, vicino a Roma.
INNOVAZIONE NELLA CHIMICA CON SEED4INNOVATION
Riciclo del PET (progetto Elevate), miglioramento delle prestazioni e della durata dei filtri delle cappe di filtrazione (progetto Rigencap), recupero dei nutrienti e il trattamento delle acque reflue da filiere agroalimentari e zootecniche (progetto VisioNing) e sensori non invasivi per la determinazione contemporanea della concentrazione di acido lattico e di glucosio nel sangue degli sportivi (progetto Check-Mate): sono i quattro progetti (sui 17 vincitori in totale) del Dipartimento di Chimica della Statale premiati da Seed4Innovation, il programma di innovazione organizzato da Fondazione UNIMI e dall’Università degli Studi di Milano. Seed4Innovation ha l’obiettivo di accelerare lo sviluppo di soluzioni altamente innovative nate dalla ricerca e favorirne l’applicazione industriale o di mercato e vede l’affiancamento di Deloitte Officine Innovazione, Bugnion SpA e CA Group. In particolare, Elevate e Rigencap fanno parte della rosa degli otto progetti che verranno finanziati complessivamente con 400mila euro, mentre VisioNing e Check-Mate, pur senza finanziamento, accederanno comunque alla fase di accelerazione.
Gli investitori di questa seconda edizione sono CDP Venture Capital SGR e Indaco Venture Partners SGR SPA, a cui si aggiungono i Research Partners IRCCS
Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio, Fondazione
IRCCS Istituto Carlo Besta, IEO Istituto Europeo di Oncologia e Centro Cardiologico Monzino IRCCS e i partner tecnici Bio4Dreams e Fondazione Golinelli.
PROGETTO ALPS4GREENC: L’UNIVERSITÀ DI BOLZANO VALORIZZA LE BIOMASSE
Il laboratorio Bioenergy & Biofuels al NOI Techpark, diretto dal prof. Marco Baratieri, è uno dei partner del progetto Alps4GreenC, finanziato dal programma Interreg Alpine Space, che mira alla creazione di una catena di valore transnazionale basata sulle opportunità di conversione della biomassa in biochar. La prima fase del progetto Alps4GreenC prevede una mappatura delle fonti disponibili di residui adatti per la produzione di biochar nelle regioni dell’arco alpino (in Italia, Austria e Slovenia). A questo scopo, i ricercatori e le ricercatrici del laboratorio di unibz chiedono la collaborazione di imprese, cooperative, associazioni, privati locali e di altre regioni. Chi è interessato a scoprire se i propri residui siano adatti a produrre biochar può quindi mettersi in contatto con il personale del laboratorio Bioenergy & Biofuels e, se selezionato, spedire un campione della propria biomassa. Fra i vantaggi, l’analisi gratuita della biomassa conferita che, se selezionata, verrà sottoposta a prove di pirolisi o gassificazione e caratterizzata in dettaglio (cioè ne verrà studiato il comportamento chimico-fisico). Quindi, l’interessato disporrà dei risultati dell’analisi del biochar prodotto, di una valutazione delle possibili strategie di conversione dei residui e dei potenziali utilizzi del biochar in ambito commerciale, in particolare in agricoltura o nella produzione dell’acciaio. Nella foto, il laboratorio Bioenergy & Biofuels (©Ivo Corrà).
INNOVAZIONE E TECNOLOGIE
D’AVANGUARDIA PER L’INDUSTRIA
A METÀ FEBBRAIO A TORINO IL PRIMO APPUNTAMENTO 2023 CON A&T, LA
MANIFESTAZIONE FIERISTICA DEDICATA ALL’INNOVAZIONE E ALLE TECNOLOGIE
D’AVANGUARDIA DELL’INDUSTRIA MANIFATTURIERA ITALIANA. IN QUESTE PAGINE
UN ASSAGGIO DELLE PRINCIPALI NOVITÀ, PENSATE PER ACCOMPAGNARE LE AZIENDE IN UN COSTANTE E OGGI CRUCIALE PERCORSO DI MIGLIORAMENTO
Con sei aree tecnologiche di riferimento - Smart Manufacturing, Smart Logistics, Testing & Metrology, Controllo di Processo, Controllo Produzione, Additive Manufacturing - torna a Torino dal 22 al 24 febbraio 2023, presso l’Oval Lingotto, A&T Automation & Testing, la manifestazione fieristica dedicata all’innovazione e alle tecnologie d’avanguardia dell’industria manifatturiera italiana. A questo appuntamento farà seguito un secondo incontro che si terrà dal 25 al 27 ottobre 2023, presso il quartiere fieristico di Vicenza. Fra i settori applicativi interessati dalle tecnologie proposte vi sono le principali filiere industriali, quasi tutte profondamente radicate nel nostro Paese con produzioni di eccellenza, quali biomedicale, farmaceutico e cosmetico, food&beverage, automotive, meccatronica e meccanica, packaging e aerospace.
Di grande rilievo il programma degli eventi, che comprende non solo un programma molto ampio di tavole rotonde e convegni su temi di interesse generale, ma anche un nutrito calendario di workshop proposti dagli espositori. L’evento inaugurale della manifestazione sarà il 22 febbraio alle 10, durante il quale sarà anche presentata la ricerca su transizione digitale ed ecologica delle PMI a cura di Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano. Da sottolineare inoltre la settima edizione del Premio Innovazione 4.0, promosso dal Comitato Scientifico Industriale di A&T, che sarà assegnato la mattina del 24 febbraio. Nella fase finale del contest i nove finalisti – tre start up, tre aziende e tre centri di ricerca – potranno presentare le loro soluzioni; in seguito alla premiazione, ogni vincitore salirà sul palco con quattro sponsor, per confrontarsi e dare la propria visione sulle attuali sfide industriali e le possibili strategie da adottare.
Il Premio Innovazione 4.0 valorizza e promuove l’innovazione competitiva nelle aziende, centri ricerca e università, start-up; per l’edizione 2023 ha ricevuto centoventiquattro candidature, nove delle quali sono le finaliste che si potranno conoscere a Torino. Per tutti i dettagli sul programma dell’evento, lista espositori e modalità di accesso potete consultare: www.aetevent.com.
FOCUS MECCATRONICA
Il riferimento per l’organizzazione dell’evento resta costante anche nel corso dell’anno, con vari incontri e progetti di riflessione su temi specifici. A gennaio ad esempio protagonista è stata la meccatronica nell’evento organizzato da A&T, in collaborazione con Confindustria Bergamo, il consorzio per la meccatronica Intellimech, il Cluster Fabbrica Intelligente e l’innovation district Kilometro Rosso. In particolare l’incontro era dedicato alla connessione tecnica e culturale tra distretti industriali e territori nel nome della meccatronica, per consentire di disegnare una nuova roadmap della meccatronica nel nostro Paese. Da sottolineare il fatto che in Italia, secondo recenti analisi, ci sono oltre 51mila imprese meccatroniche, localizzate tra Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Marche, con quasi un milione di addetti
impiegati e una forte propensione all’export (60% circa del fatturato è generato dalle esportazioni, soprattutto nei paesi europei - Fonte Unindustria Reggio Emilia in collaborazione con Club Meccatronica e Antares). Secondo dati del Centro Studi & Cultura di Impresa di Ucimu-Sistemi per produrre, l’industria italiana costruttrice di macchine utensili, robot e automazione, quindi gran parte della meccatronica italiana, nel 2022, ha fatto registrare in termini di produzione un incremento del 14,6% rispetto all’anno precedente e un consolidamento dell’export cresciuto del 2,5% rispetto all’anno precedente. La meccatronica dunque si contraddistingue all’interno dei vari comparti, che siano di produzione o di utilizzazione industriale, per una forte propensione all’innovazione e alla trasformazione digitale.
«La meccatronica rappresenta una leva di sviluppo e di competitività molto importante per il nostro Paese. La sua trasversalità applicativa, unitamente alle evoluzioni in atto sotto il profilo della transizione digitale ed ecologica in ottica 5.0, rendono necessari momenti di confronto, ascolto e riflessione che serviranno per validare nuove scelte di sviluppo da parte delle imprese e nuove misure a supporto dell’industria da parte dei decisori pubblici. La giornata odierna è un primo importante appuntamento attraverso il quale definire un percorso industriale compatto e ambizioso da sviluppare in modo più articolato in step successivi, tra cui rientrano certamente i due appuntamenti di A&T, a Torino e a Vicenza» ha dichiarato Luciano Malgaroli, CEO di A&T.
L’INNOVAZIONE PARTE DAL SOFTWARE
Tante le novità in mostra nell’area espositiva, oltre che illustrate nei tantissimi convegni previsti. Fra queste ad esempio vi è Automata MES, la piattaforma completa per una perfetta gestione d’impianto. Nata dall’esperienza delle numerose aziende che negli anni hanno scelto le soluzioni di digitalizzazione di Cannon Automata, avviando progetti in area 4.0, la suite Automata MES è un sistema totalmente indipendente orientato al machinery, in grado comunicare con le macchine e i sistemi di controllo dei principali brand di mer-
cato presenti in produzione e con i software gestionali utilizzati in azienda. Automata MES è una suite completa e personalizzabile, composta dai seguenti moduli: pianificazione stato commessa, monitoraggio stato macchina, gestione commesse, fermi e warning, manutenzione, calcolo delle performance – OEE, qualità, operatori attività dirette e indirette, utilities.
Stand E32
Fra gli espositori di A&T vi sarà anche Solunio, realtà fondata nel 2013 con l’obiettivo di sviluppare soluzioni software innovative per la produzione industriale, diventando esperta nel Digital Shop Floor Management.
L’applicazione sistematica dei metodi e delle tecnologie più recenti dell’ingegneria del software ha permesso
IL RUOLO DELL’AUTOMAZIONE
Le soluzioni di automazione della supply chain, altro pilastro della fabbrica 4.0, sono ampiamente rappresentate nell’area espositiva.
all’azienda di sviluppare la piattaforma innovativa Visual Shop Floor, che oggi viene utilizzata a livello globale presso medie e grandi aziende in patria e all’estero. Sviluppato seguendo un approccio flessibile e orientato alla collaborazione tra i livelli operativi, Visual Shop Floor permette di digitalizzare e ottimizzare i processi produttivi-logistici, riconoscendo deviazioni e gestendo più stabilimenti contemporaneamente. Incorporando i sistemi già presenti in azienda come SAP, ERP, MES, BI, Qlik, Excel, permette di risparmiare su costi e tempistiche, aumentando sia l’efficienza, che la qualità produttiva grazie alla trasparenza fornita dall’utilizzo di dati in tempo reale. Stand F13
Ad esempio Alfacod, in collaborazione con Omron Industrial Automation, ha realizzato un’applicazione che unisce le potenzialità della robotica collaborativa con quelle della tecnologia RFID per allestire e inventariare in maniera automatica un pallet. La soluzione prevede che un robot collaborativo mobile trasporti un bancale vuoto nei pressi di una linea di allestimento, a bordo della quale è installato un robot collaborativo antropomorfo. Quest’ultimo preleva i singoli colli da una rulliera o da un nastro trasportatore e li posiziona sul bancale realizzando così un pallet completo. Terminato l’allestimento, il robot collaborativo mobile trasporta il pallet pieno attraverso un portale RFID che ne identifica il contenuto e la direzione di marcia, aggiornando in tempo reale il WMS aziendale. Nel frattempo, un altro robot mobile si starà già dirigendo alla linea di confezionamento per l’allestimento di un nuovo pallet. Con questa soluzione, si automatizzano contemporaneamente due attività che, altrimenti, richiederebbero tempi più lunghi e sarebbero svolte in maniera meno efficiente.
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In mostra anche i magazzini verticali Hänel, azienda tedesca che si distingue per la qualità dei propri prodotti, che sono distribuiti in esclusiva in Italia da Incaricotech Srl.
Grazie all’estrema flessibilità e configurabilità che li carat-
terizza, i magazzini verticali Incaricotech, sono in grado di adattarsi alle specifiche esigenze di qualsiasi reparto o azienda. Per rispondere alle necessità del settore chimico, sono state sviluppate apposite soluzioni che consentono la movimentazione e lo stoccaggio anche degli articoli più delicati e sensibili. Ne sono un esempio i sistemi ClimateStore, per lo stoccaggio a temperatura controllata dei prodotti termosensibili, e CleanStore per lo stoccaggio in atmosfera controllata o in camere bianche dei prodotti a rischio contaminazione. Grazie al software WMS per la gestione del magazzino, i magazzini verticali Incaricotech consentono di digitalizzare i processi e i flussi, grazie all’interfacciamento con i sistemi aziendali, rientrando quindi a pieno titolo nel Piano Industria 4.0.
Alla mappatura dell’ubicazione di tutti gli articoli, integrata di base nella consolle di comando, si aggiunge quindi una gestione completa ed efficiente dello stock a magazzi-
gati in modo più versatile per svolgere compiti diversi.
I Cobot Doosan forniti sono della serie M con sbraccio di 1300 mm e capacità fino a 10 kg. I compiti di pick&place, pallettizzazione, prelievo e deposito da e dentro cassone, così come quelli di etichettatura e kitting, possono essere svolti in modo ottimale, efficiente e sicuro dai Cobot Doosan; la ripetibilità del modello m1013 di +/- 0,05 mm garantisce la massima precisione in modo continuativo ottenendo un incremento significativo della produttività e l’eliminazione degli errori e della probabilità di danneggiamento del prodotto movimentato. In più, grazie al sistema di visione di cui sono dotati (SVM), i Cobot Doosan possono movimentare anche oggetti disposti in modo non strutturato dentro un cassone.
no. Si avranno quindi a disposizione un inventario sempre aggiornato ma anche altre informazioni essenziali come la data di ricezione e spedizione. Altra opportunità indispensabile è la possibilità di tracciare tutte le movimentazioni e di avere le informazioni sul personale che le ha eseguite.
Stand F22 F24
In area robotica, possiamo citare il caso realizzato da Indeva Cobotics, che è stata scelta da una grande azienda farmaceutica per automatizzare il prelievo e il deposito di fiale. Due Cobot Doosan con apposita pinza di presa hanno automatizzato le operazioni ripetitive che prima erano svolte da due o più operatori, ora impie-
Tutti i Cobot Doosan possono essere facilmente spostati e riutilizzati per diverse postazioni e compiti, grazie al loro design leggero e compatto e all’interfaccia di controllo e programmazione molto intuitiva che consente di impostare velocemente il cobot a nuovi compiti.
Stand A&T C39+B40 - Padiglione Produzione
STRUMENTAZIONE AVANZATA PER CONTROLLI IN TEMPO REALE
Hamamatsu Photonics presenterà a Torino il nuovo FT-IR engine. L’utilizzo della spettroscopia IR a trasformata di Fourier (FT-IR) si sta diffondendo sempre più in ambito industriale nei processi di analisi e controllo. Grazie ad essa è possibile la caratterizzazione di quei materiali che assorbono o riflettono la radiazione infrarossa. Ad esempio nel settore alimentare si può misurare il conte-
nuto di grassi o proteine di un certo alimento, nel settore agricolo si possono riconoscere le diverse specie vegetali; nel farmaceutico è possibile riconoscere le differenti molecole oppure nell’ambito del riciclo delle plastiche è possibile discriminarle e separarle analizzando la loro firma spettrale. Per tali mercati Hamamatsu ha sviluppato uno spettrometro portatile ad alte prestazioni (C15511-01) ed una sorgente IR (L16462-01) che lavorano nel range spettrale dai 1700nm ai 2500nm.
Grazie ad essi è possibile effettuare misure in linea permettendo di automatizzare i processi produttivi migliorando l’efficienza e l’affidabilità degli stessi oltre che la qualità dei prodotti realizzati.
Stand E34
Fra gli aspetti da non sottovalutare, inoltre, vi è senz’altro quello dell’ergonomia. Chi lavora al microscopio spesso assume una postura forzata e questo può provocare a lungo una serie di disturbi tra cui mal di schiena, mal di collo, disturbi visivi, a volte dolori ai polsi. I maggiori problemi si hanno con microscopi scarsamente o per nulla adattabili alle esigenze individuali; poveri di ergonomia, questi portano ad affaticare gli occhi e tutto il corpo. Con un maggiore affaticamento, inoltre l’operatore lavora con meno attenzione e con minore precisione. Più è importante l’ispezione e il controllo di prodotti complessi quindi, più è importante e indispensabile per un operatore lavorare in un ambiente ergonomico, per evitare l’affatica-
mento. Maggiore è l’ergonomia, maggiore è l’accuratezza e l’efficienza dei risultati. Quando si utilizza un microscopio, una posizione ergonomica rende l’uso meno affaticante, più confortevole e più facile. Vision Engineering ha fatto dell’ergonomia una “parola d’ordine” nella progettazione e produzione dei suoi sistemi: le tecnologie brevettate di cui fa uso, la posizione dei comandi, l’eliminazione degli oculari, concorrono a offrire la migliore esperienza d’uso per l’operatore, riducendo il movimento di testa, mani e corpo e quindi l’affaticamento.
Stand B18+C-17.
Presente ad A&T anche Vega, che sviluppa e produce sensori per la misura di livello, soglia di livello e pressione nonché apparecchi e software per l’integrazione nei sistemi pilota di processo. La tecnica di misura Vega introduce nuovi standard di sicurezza operativa, preci-
sione di misura ed efficienza economica per tutte le condizioni di prodotto e processo.
I processi di produzione, infatti, diventano sempre più complessi; per tale ragione, è importante che la tecnica di misura utilizzata per il controllo e il monitoraggio di tali processi sia il più comprensibile e intuitiva possibile. Vega si è posta l’obiettivo di sviluppare strumenti di misura innovativi, semplici da installare e utilizzare e capaci di offrire massima sicurezza e affidabilità. La piattaforma di strumenti plics® firmata Vega offre un sistema di calibrazione unitario per tutti i principi di misura, aprendo la strada verso la “fabbrica intelligente”.
Stand: C01 C03
A RIMINI LA NUOVA K.EY: L’INNOVAZIONE TRASFORMA L’ENERGIA
A SEGUITO
DELL’IMPORTANTE
PERCORSO DI SVILUPPO CHE
ECOMONDO HA COMPIUTO
NEL CORSO DELLE SUE
QUINDICI EDIZIONI, LA
MOSTRA KEY ENERGY È
PRONTA PER AFFRONTARE
IL MERCATO IN MODO
INDIPENDENTE. SI TERRÀ
INFATTI A MARZO 2023
LA PRIMA EDIZIONE DI K.EY, CHE DARÀ ANCORA
PIÙ SPAZIO AI TEMI DELLE
RINNOVABILI E DELLA
TRANSIZIONE ENERGETICA
Il 2022 è stato l’anno dalla crisi climatica, dalle tensioni internazionali e dall’aumento dei costi dell’energia. Ma è stato anche l’anno dei record per le energie rinnovabili, la cui capacità totale mondiale, secondo il Rapporto Renawables 2022 dell’IEA (International Energy Agency), è destinata a raddoppiare entro il 2027, superando il carbone e diventando la principale fonte di elettricità globale nel 2025.
Le rinnovabili corrono sempre più veloci anche in Europa, trainate soprattutto da solare ed eolico, e in Italia, dove, secondo l’Osservatorio FER realizzato da ANIE Rinnovabili sulla base dei dati Gaudì di Terna, la fine del 2022 ha fatto registrare 1.989 MW di nuova potenza installata (+146% rispetto allo stesso periodo del 2021).
In questo scenario, si prepara a debuttare K.EY – The Energy Transition Expo, la fiera di IEG (Italian Exhibition Group) di riferimento in Italia, Africa e bacino del Mediterraneo su tecnologie, servizi e soluzioni integrate per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, in programma dal 22 al 24 marzo presso il quartiere fieristico di Rimini.
Un evento per la prima volta stand alone, con un nuovo nome, un nuovo format e un’inedita collocazione in primavera, che, a meno di tre mesi di di-
stanza dall’ultima edizione di Key Energy, ha già superato le attese, raccogliendo numerose adesioni a livello nazionale, europeo ed extraeuropeo.
Fra le novità, il layout, con spazi molto più ampi, un doppio ingresso dai padiglioni sud ed est, e, per la prima volta, sei aree espositive tematiche (una per ciascuno dei sei settori della manifestazione) ben delineate, ma allo stesso tempo connesse fra loro, per esplorare il tema dell’efficienza energetica da tutti i punti di vista:
- SEC – Solar Exhibition & Conference: per la prima volta all’interno di K.EY, è dedicata a fotovoltaico e storage.
- WEM – Wind Expo for Med riservata alle tecnologie e servizi per la realizzazione e gestione di impianti di produzione da energia eolica on-shore e off-shore.
- HYe dedicata a tecnologie e progetti per la produzione e stoccaggio di idrogeno.
- EFFI – Energy Efficiency Expo trasversale a tutti i settori protagonisti della transizione energetica e dedicata ad efficienza energetica e storage in ambito industriale e nel bu-
ilding, con tecnologie e servizi a disposizione delle aziende per ottimizzare i propri consumi energetici e ridurre il carbon footprint.
- eME – e-Mobility Expo riservata alla mobilità elettrica e sostenibile, dalle infrastrutture di ricarica ai servizi di mobilità interconnessa.
- Sustainable City, il progetto speciale dedicato alla trasformazione delle città secondo il modello della smart city.
K.EY, infine, è marketplace esclusivo e luogo privilegiato di confronto e discussione sui temi della transizione energetica, in grado di connettere fra loro i key player del settore, per sviluppare nuovi business, ampliare i contatti e rimanere informati su tutte le evoluzioni tecnologiche e di mercato.
È anche l’occasione per approfondire il tema dell’efficienza energetica a 360 gradi (dai processi produttivi e industriali all’edilizia, dall’illuminazione pubblica e privata, fino alla mobilità, trasporti e logistica), grazie al ricco palinsesto di eventi e convegni internazionali in programma, messo a punto dal Comitato tecnico Scientifico di K.EY, presieduto dal professor Gianni Silvestrini e formato da istituzioni, associazioni industriali di categoria, associazioni tecnico-scientifiche, enti e fondazioni.
Per tutte le informazioni: www.keyenergy.it
LA TRANSIZIONE ENERGETICA ENTRA NEL CONCRETO
Fra le aree di crescente sviluppo legate alla transizione energetica vi è sicuramente quella della mobilità elettrica. A questo riferimento, Silla Industries si rivolge in particolare al settore della ricarica domestica con diverse innovazioni significative. Fra queste innanzitutto la soluzione Prism Solar, dispositivo che sfrutta l’energia solare per ricaricare l’auto con risorse autoprodotte e 100% green, che viene prodotto in una nuova versione esposta in anteprima a K.EY. Il nuovo Solar S elimina il cavo integrato, a beneficio della prolunga che normalmente i veicoli elettrici hanno in dotazione. La colonnina si fa più compatta, favorendo gli spazi piccoli e i ristretti box cittadini, gli spazi condominiali limitati. Nella sua versione “pro”, Solar S si connette ad internet senza bisogno di rete Wi-Fi ma sfruttando la rete dati. Nella sua versione pro, Solar S si connette ad Internet senza bisogno di rete Wi-Fi ma sfruttando la rete dati: in assenza del fotovoltaico si potrà comunque controllare la colonnina da remoto. La versione evoluta di Prism Basic, Prism Plus, aggiunge alle caratteristiche essenziali del caricatore da parete la connettività, in comunicazione con l’app dedicata.
Ad arricchire lo stand vi saranno inoltre Energy Hub 149 e Duke 44. Si tratta rispettivamente di un aggregatore funzionale alla gestione dell’energia e delle comunicazioni domestiche; e di un caricatore semi-fast per la ricarica privata ad accesso pubblico. Soluzioni tecnologicamente molto avanzate che introdurranno nuovi standard nel panorama della ricarica smart per le auto elettriche.
Padiglione B3 - Stand 200
Anche Rittal sarà presente a K.EY, con la sua pluriennale esperienza nel mercato dell’energia e una gamma innovativa di soluzioni. Lo sviluppo sostenibile delle risorse impone una trasformazione del sistema energetico attraverso soluzioni tecniche di altissimo livello, generazione decentrata dell’energia, sistemi di accumulo e infrastruttura per la ricarica elettrica. In questo senso, le soluzioni Rittal trovano applicazione nella produzione di energia, nelle stazioni di trasformazione, nei quadri di bassa tensione, nelle infrastrutture di ricarica elettrica e nell’accumulo di energia.
Allo stand Rittal dunque saranno presenti soluzioni per lo storage e per la climatizzazione di armadi e ambienti, le colonnine di ricarica e armadi in alluminio magnesio a doppia parete ideali per l’outdoor.
I prodotti e le soluzioni Rittal sono presenti in ogni settore dell’industria energetica, dalla generazione e trasmissione di energia fino al consumo. Rittal opera in tutto il mondo con soluzioni per armadi di comando, distribuzione di corrente, sistemi di climatizzazione, infrastrutture IT oltre a Software & Service. Il portafoglio prodotti comprende armadi configurabili, con dati disponibili per l’intero processo produttivo.
I sistemi di climatizzazione intelligenti di Rittal, con un risparmio energetico fino al 75% offrono un un grande vantaggio in termini di abbattimento delle emissioni di CO2 e possono comunicare con le aree di produzione, consentendo la manutenzione predittiva e l’assistenza. L’offerta comprende anche prodotti IT innovativi, dai rack IT ai data center modulari, fino alle soluzioni di edge e hyperscale computing. A queste soluzioni si aggiunge la componente software proposta da Eplan e Cideon, che si integrano nella catena del valore grazie a soluzioni ingegneristiche applicabili in ogni ambito, mentre la business unit Rittal Automation Systems offre sistemi automatizzati per quadristi e integratori elettrici.
Padiglione D3 - Stand 199
Presente a K.EY anche Viessmann, con sistemi energetici integrati che permettono alle imprese di partecipare attivamente alla produzione di energia elettrica diventando così, da semplici consumatori, veri e propri prosumer: consumatori di energia in grado di produrla.
L’approccio di Viessmann ai sistemi energetici è unico poiché considera tutti i componenti del sistema come un tutt’uno, piuttosto che come tecnologie separate. Ciò significa che i vari elementi del sistema dialogano tra loro in modo integrato, ottimizzando l’efficienza del sistema nel suo insieme e riducendo i costi energetici. Un esempio di questo approccio è il sistema di riscaldamento e raffrescamento efficiente e sostenibile, che combina il sistema fotovoltaico Vitovolt 300 M-WI, per la produzione di energia - in grado, attraverso un apposito sistema accumulo, di conservare energia elettrica per poi utilizzarla per ottimizzare il funzionamento del generatore di calore - a una pompa di calore, ad esempio Vitocal Serie PRO, che, alimentata dall’energia prodotta, è incaricata della climatizzazione dell’edificio. Questi componenti lavorano insieme per fornire una soluzione energetica completa e sostenibile. L’adozione di una soluzione integrata Viessmann per l’autoproduzione energetica significa inoltre che le imprese avranno un unico referente per l’installazione e l’assistenza dell’impianto, rendendo la gestione del sistema semplice e conveniente.
Padiglione B5D5 - stand 012
PACKAGING E CONFEZIONAMENTO SPECIALE
TECNOLOGIE E MATERIALI PER PACKAGING
SEMPRE PIÙ
INNOVATIVI
Il contributo dell’industria chimica allo sviluppo di nuove soluzioni di imballaggio è davvero importante, in particolare nel settore alimentare. Grazie alla disponibilità di macchine per il confezionamento sempre più performanti, anche per il comparto farmaceutico, e all’invenzione di nuovi materiali – proprio qui l’industria chimica dà il suo contributo – oggi il packaging garantisce delle prestazioni elevate, contribuendo alla conservazione, protezione, trasporto e anche tracciabilità dei prodotti
si possono ridurre gli strati del packaging, eliminando il classico accoppiato PET/PE e il layer in polietilene generalmente presente sulle vaschette in PET. La carta è uno dei materiali da imballo più apprezzati, ma, non avendo barriere e non potendo essere saldata, per ottenere le prestazioni desiderate viene spesso accoppiata a film plastici. Sono ancora numerosi i packaging del settore food, ad esempio quelli delle merendine, piuttosto che i bicchieri di carta, che impiegano uno strato di carta e un film plastico, normalmente polietilene, che consente di saldare l’imballo affinché non si bagni né si unga. I nuovi coatings Novacote consentono invece di rivestire la carta e conferirle le prestazioni desiderate senza applicare film plastici, trasformando così l’imballo in un imballo monomateriale che può essere agevolmente recuperato nello stream di raccolta della carta.
MACCHINE PER IL CONFEZIONAMENTO: UN SETTORE IN CRESCITA
Resta in quota 8 miliardi il fatturato totale dei costruttori italiani di macchine per packaging: nel 2022, secondo i dati preconsuntivi di MECS - Centro Studi di UCIMA (Unione Costruttori Italiani Macchine Automatiche per il confezionamento e l’imballaggio), il fatturato complessivo del settore si attesta a 7 miliardi e 986 milioni di euro, in calo del 3% rispetto al risultato registrato nel 2021. Nel dettaglio, il mercato dei costruttori italiani di macchine per il packaging è aumentato dell’1,3% in Italia, per un valore assoluto di 1 miliardo e 800 milioni di euro (+ 1% rispetto al 2021). L’export, che, come al solito, rappresenta la linfa vitale del settore, ha contribuito complessivamente per 6 miliardi e 186 milioni di euro, perdendo il 4,3% rispetto all’esercizio precedente.
Nei periodi più difficili della pandemia di Covid-19, Marchesini Group ha fornito una nuova linea di confezionamento altamente automatizzata a GSK UK per gestire tre tipologie di dispositivi di autoiniezione per diversi prodotti chiave. La linea per il confezionamento, che opera ad una velocità di 140 item al minuto, è composta da sei macchine e cinque robot, in grado di gestire due diverse dimensioni: singolo dispositivo posato in piano o quattro dispositivi posizionati uno accanto all’altro.
La linea per il confezionamento, che opera ad una velocità di 140 item al minuto, è composta da sei macchine e cinque robot, in grado di gestire due diverse dimensioni
A monte della linea è presente un’unità di svuotamento vassoi per alimentarli con i dispositivi. Un Gigacombi seguito da un Robocombi - robot antropomorfi Pick & Place che consentendo il prelievo, il trasferimento e, se richiesto, l’imballaggio o l’impacchettamento di prodotti e pacchi - svuota i dispositivi dai vassoi e li carica sul nastro trasportatore collegato all’etichettatrice doppia testa RE 302 2T, che avvolge un’etichetta attorno al dispositivo e una anche sul fronte e sul retro dell’imballo.
Nel nostro Paese, da alcuni anni, è in crescita l’impiego di sistemi di confezionamento pensati ad hoc per l’industria farmaceutica. Questo perché la qualità del packaging farmaceutico assume un’importanza primaria nel garantire la sicurezza di conservazione del farmaco, nel riportare le informazioni secondo la normativa vigente e permettere di serializzarlo, ottenendo così il massimo della tracciabilità lungo tutta la filiera e oltre, arrivando fino al paziente finale.
Una volta sigillate, le scatole con i dispositivi raggiungono l’astucciatrice orizzontale a movimento continuo MA 255 con Robocombi, che le inserisce nel cartone insieme al foglio informativo. I cartoni vengono poi pesati su un’unità di pesatura esterna e trasportati verso l’etichettatrice BL A-420, che esegue le operazioni di serializzazione, stampaggio e sigillatura. Grazie alla sua versatilità, l’unità BL A-420 può adattarsi a tutti i tipi di sistemi di stampa e visione attualmente disponibili in modo che tutti i farmaci confezionati abbiano un pro-
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prio codice univoco. Completa il processo di confezionamento la incartonatrice-pallettizzatrice monoblocco MCP840 TT dotata di Gigacombi. L’MCP840 TT ha un ingombro molto ridotto e può gestire un’ampia gamma di cartoni, anche quelli più grandi della media, e soddisfa tutti i requisiti relativi alla serializzazione e tracciabilità dei farmaci. Sia l’etichettatrice che la incartonatrice-pallettizzatrice sono dotate di sistemi Sea Vision per soddisfare le normative internazionali per il controllo visivo e l’etichettatura per la garanzia della fornitura di prodotti completamente serializzati.
MedicoPack ha invece recentemente automatizzato il processo di impilamento dei contenitori per infusione introducendo due robot collaborativi dotati di quattro pinze OnRobot, che assistono oggi due linee di produzione presso lo stabilimento di Langeskov, in Danimarca, dove ogni giorno viene prodotto un numero significativo di contenitori per infusione. Una volta che i contenitori di plastica sono stati stampati e controllati, vengono spostati attraverso un nastro trasportatore ai bracci robotici, ciascuno dotato di due pinze OnRobot, in grado di prelevare due articoli alla volta e impilarli correttamente, approntandoli per l’imballaggio. L’azienda è soddisfatta della riduzione del rischio di contaminazione, già minimo, e dell’efficienza della linea di produzione notevol-
mente migliorata. Poiché non è più necessario che un dipendente operi accanto al nastro trasportatore e conti gli articoli assicurandosi che siano orientati nel modo giusto, l’azienda è stata, infine, in grado di liberare tempo e risorse da dedicare ad altre attività.
PACKAGING E TRACCIABILITÀ NEL FARMACEUTICO
La possibilità di tracciare i prodotti in qualsiasi punto della filiera rappresenta un enorme vantaggio per qualsiasi settore industriale. Le soluzioni di tracciabilità sono pensate per migliorare la sicurezza dei prodotti riducendo le possibilità di contraffazione e garantendo l’affidabilità delle supply chain.
Oggi nel settore farmaceutico sono già in vigore rego-
Onrobotlamentazioni sulla produzione e distribuzione di medicinali, che richiedono soluzioni di tracciabilità dei farmaci volte a combattere la contraffazione, importazione illegale o furto e a contrastare le frodi del sistema di rimborso.
Un processo di tracciabilità completo coinvolge certamente anche l’aspetto del packaging, in quanto implica le attività di serializzazione, l’applicazione di un codice seriale univoco chiamato Datamatrix su ciascuna confezione di medicinali immessa sul mercato, e aggregazione, prevista come ulteriore step di conformità ad una certa normativa.
La soluzione AV Print & Check di Antares Vision Group consente di applicare codici seriali univoci sulla confezione o sulle relative etichette. I codici seriali vengono quindi creati, verificati, raccolti e gestiti a livelli diversi (linea, impianto, magazzino, azienda e autorità).
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Fa parte della famiglia delle guarnizioni piane in grafite armate Texpack®, con una particolare caratteristica che ne aumenta le prestazioni di tenuta: la presenza di un anello di rinforzo interno.
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SPECIALE PACKAGING E CONFEZIONAMENTO
L’offerta si divide in: moduli stand alone, progettati per una rapida implementazione come fine linea nei processi di produzione; kit di serializzazione da integrare su eventuali linee di confezionamento esistenti, ottimizzando lo spazio e il flusso di lavoro.
Entrambe le soluzioni offrono opzioni di configurazione scalabili e personalizzabili. Questo rende la piattaforma completa e di fatto costruita direttamente sulle esigenze aziendali. L’installazione non richiede operazioni particolarmente complesse e i tempi di test, convalida e implementazione sono ottimizzati. La possibilità di installare i kit sulla linea poi, permette una riduzione complessiva dello spazio.
Nel mercato dei prodotti dedicati al personal care,le caratteristiche del packaging sono spesso appannaggio esclusivo degli uffici marketing
Parlando sempre di serializzazione, ma questa volta in laboratorio, l’azienda CAB, distribuita in Italia da Eurocoding, ha recentemente presentato la serie Axon 1 e 2, composta da sistemi stampa e applica di etichette (a trasferimento termico e termica diretta), progettati per etichettare micro tubi, tubi e fiale quando è richiesta la serializzazione.
La differenza sostanziale tra i due modelli è il posizionamento dei campioni da etichettare: con Axon 1 tubi e flaconi vengono posizionati verticalmente dall‘alto, a mano o automatizzati attraverso un sistema di movimentazione; con Axon 2 invece la marcatura avviene orizzontalmente, con i campioni in posizione “sdraiata” nell‘alloggiamento classico della stampante da cui, una volta etichettati, pos-
sono essere espulsi automaticamente, per esempio in una scatola di raccolta. Entrambe le macchine hanno invece in comune alcune caratteristiche: un design compatto, con una struttura che si adatta facilmente a spazi ridotti come una scrivania o un banco da laboratorio, ideali per una postazione di lavoro manuale; un’interfaccia user friendly, con tecnologia touch screen a colori simile a un moderno smartphone, che fornisce all’utente un utilizzo semplice e intuitivo; la risoluzione fino a 600 dpi, che garantisce la leggibilità dei codici a barre anche su piccola scala, richiesti in laboratorio per provette e fiale dalle ridotte dimensioni.
Sia Axon 1 che Axon 2 consentono inoltre di adattare facilmente tubi e fiale di diverse dimensioni: l’operatore può infatti accedere al menu delle impostazioni e inserire il diametro del tubo da applicare.
LABELLING INNOVATIVO PER LA COSMETICA
Nel mercato dei prodotti dedicati al personal care, le caratteristiche del packaging sono spesso appannaggio esclusivo degli uffici marketing, che giustamente vedono nel design delle confezioni un mezzo di primaria importanza per il riconoscimento e la promozione dei prodotti. Ciò si traduce in una grande varietà di forma e dimensioni di flaconi, bottiglie o vasetti che contengono il prodotto, e che l’azienda cosmetica deve gestire.
AxonQuesto condiziona a sua volta gli aspetti tecnici riguardanti le linee di produzione e confezionamento, dal riempimento fino alla fase cruciale dell’etichettatura, laddove si materializza l’immagine finale del prodotto. Le esigenze di automazione delle fasi di imballaggio devono quindi fare i conti con molteplici formati, anche molto diversi, che la linea di confezionamento deve trattare, che si differenziano sia per dimensione del flacone, sia per forma/materiale/caratteristiche del contenitore.
Dinnanzi a queste esigenze tipiche dell’industria cosmetica, Altech presenta ALline E/C, un sistema lineare di etichettatura autoadesiva, in grado di etichettare fronte/ retro e avvolgere flaconi di vario genere: ellittici, cilindrici, piatti di varia foggia e dimensione, anche con facce inclinate. Il sistema è stato concepito ponendo la semplicità di utilizzo come il primo obbietto progettuale, semplicità da conseguirsi anche nelle operazioni di cambio formato.
Il risultato è un sistema di etichettatura estremamente ergonomico, con tutte le regolazioni dotate di viti e volantini ad azionamento “morbido”, equipaggiate di serie di contagiri digitali per garantire un’accurata ripetibilità di posizionamento. Il sistema include gruppi “inclinazione” delle testate per correggere facilmente eventuali inclinazioni dell’etichetta, anch’essi dotati di posizionatori digitali.
Le esigenze di automazione delle fasi di imballaggio devono quindi fare i conti con molteplici formati, anche molto diversi, che la linea di confezionamento deve trattare
La gestione dell’etichettatrice ALline E/C è affidata ad un potente PLC, che controlla tutte le funzioni della macchina, inclusa la sincronizzazione di tutti i dispositivi, che possono cosi inseguire all’unisono eventuali cambi di velocità richiesti dall’operatore.
Le prestazioni sono di tutto rispetto: 100-150 prodotti al minuto, a seconda del formato, sono cadenze “di crociera” per il sistemi ALline E/C di Altech, e senza compromessi sulla qualità e l’accuratezza di etichettatura.
PACKAGING TRA DIGITALE E NUOVE NORMATIVE: QUALE FUTURO?
LA PANDEMIA HA RIDISEGNATO LE TENDENZE
DELL’INDUSTRIA DEL PACKAGING, DANDO FORTE IMPULSO ALLA
DIGITALIZZAZIONE E ALLA RICERCA DI NUOVI IMBALLAGGI PER LE
ESIGENZE DELL’ECOMMERCE, IL TUTTO DECLINATO IN CHIAVE SOSTENIBILE
L’industria del packaging, a livello mondiale, ha un controvalore di circa 1.000 miliardi di dollari, la sua importanza economica deriva dal fatto che l’imballaggio è un elemento fondamentale nella la vita quotidiana della maggior parte dei consumatori e delle imprese. Contribuisce a sostenere il processo decisionale di acquisto nei negozi al dettaglio, crea sistemi di consegna efficienti dal punto di vista dei costi per i proprietari dei marchi, riduce al minimo la rottura dei prodotti e gli sprechi alimentari lungo la catena del valore e facilita il bisogno di praticità dei consumatori.
Il settore degli imballaggi negli ultimi decenni è cresciuto, tuttavia nei prossimi anni le industrie del settore si troveranno ad affrontare sfide significative, in particolare la sostenibilità e il digitale (trainato dall’e-commerce), ma anche nuove normative più restrittive sull’impiego di determinate sostanze chimiche, soprattutto negli imballaggi per alimenti. Tutto questo porterà anche opportunità di trasformazione uniche, per chi saprà porre in essere buone pratiche, per adeguarsi a questa mutazione repentina di scenario.
Analizzando il settore nei decenni precedenti, possiamo osservare che le innovazioni e i nuovi prodotti da imballaggio sono stati influenzati dal cambiamento del comportamento dei consumatori, la proliferazione e l’uso incrementale dei dispositivi digitali e dei social media ha influenzato e accelerato il ritmo del cambiamento. In particolare, nell’ultimo quinquennio la rapida crescita dell’e-commerce, l’aumento della regolamentazione dei rifiuti da imballaggio e l’accelerazione delle preoccupazioni dei consumatori in materia di sostenibilità si sono combinati per rafforzare il rapido ritmo del cambiamento.
Riassumendo, possiamo identificare le principali tendenze che influiranno sullo sviluppo del packaging nel prossimo futuro in cambiamento delle preferenze dei consumatori, e-commerce, sostenibilità e digitalizzazione, la sicurezza e l’igiene alimentare. Tuttavia, è necessario considerare anche l’importanza strategica di materiali di imballaggio ben funzionanti ed efficienti dal punto di vista dei costi, per i clienti della catena del valore, alla luce delle linee di approvvigionamento sotto stress a causa delle problematiche generate dal post pandemia e dalle recenti vicende internazionali nell’Europa dell’est.
Le innovazioni e i nuovi prodotti da imballaggio sono stati influenzati dal cambiamento del comportamento dei consumatoriMERCATO MACCHINE PER IL PACKAGING Fonte: UCIMA e MECS Studies
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I CAMBIAMENTI DEL MERCATO
Dal primo decennio del nuovo secolo è aumentato l’uso di imballaggi flessibili e di plastica rigida in sostituzione di materiali rigidi come il metallo, la carta e il vetro. L’obiettivo era di soddisfare la domanda di praticità dei consumatori, ad esempio di cibi pronti, di portabilità e di confezioni più piccole (come le monoporzioni), di migliorare la funzionalità e di ridurre i costi. In questo periodo, preso atto di una saturazione progressiva del mercato nelle regioni sviluppate, le aziende europee e nordamericane si sono concentrate a espandere il proprio business nelle regioni ad alta crescita, Cina, India e America Latina, principalmente con acquisizioni o joint venture, ma anche organicamente, seguendo la crescita dei loro clienti. La crisi finanziaria del 2008 ha avuto un impatto negativo sul consumo di packaging, la magnitudo della crisi è stata differente per i vari settori di utilizzo, gli imballaggi industriali e dei beni di lusso ne hanno risentito maggiormente rispetto a quelli per i beni di prima necessità come alimenti e le bevande. All’inizio del decennio successivo, nonostante l’incertezza e le perturbazioni della crisi finanziaria il settore ha retto ed è riuscito a crescere a un tasso costante, grazie alla capacità di adattamento alle nuove esigenze dei consumatori, come ad esempio la produzione delle retort pouch e la penetrazione nei mercati emergenti. In questo periodo il baricentro economico della richiesta di packaging si è spostato dal mercato Nord americano e a quello cinese, mentre dal lato delle aziende si è assistito a un elevato numero di fusioni e a una robusta attività di private equity per competere in questo scenario economico.
vazione. Dal lato delle istituzioni sono state introdotte nuove norme per la sostenibilità ambientale del settore come la direttiva dell’Unione Europea sul monouso, le tasse sui sacchetti di plastica, il divieto assoluto di impiego di alcune sostanze chimiche in molti Stati degli USA e i regolamenti sugli imballaggi per la ristorazione in Cina. Alla fine del decennio è iniziata un’accelerazione della trasformazione del settore, caratterizzato da due fenomeni che caratterizzeranno gli anni 2011 - 2020, la sostenibilità e il digitale (in particolare l’e-commerce) creando incertezze, sfide e opportunità. I capitali si dirigeranno verso le imprese che comprendono il concetto di sostenibilità, non solo nell’ambito produttivo, ma in tutta la filiera e si concentreranno su tre obiettivi fondamentali: riduzione delle perdite, miglioramento della circolarità e riduzione dell’ impronta carbonica.
Un consumatore americano su due dichiara che sarebbe disposto a pagare un costo aggiuntivo per un prodotto offerto in un packaging sostenibile
Un recente studio di The Business Research Company stima che nel 2022 il mercato globale degli imballaggi riciclabili raggiungerà un valore di 28,3 miliardi di dollari con un tasso di crescita del +7,2% rispetto al 2021 e salirà a 34,2 miliardi di dollari entro il 2026. Gli imballaggi ecologici emergono quindi come una tendenza chiave del mercato perché sono biodegradabili, riutilizzabili, non tossici e possono essere prodotti con materiali riciclati. Bakeryandsnacks ha pubblicato uno studio in cui mostra come un consumatore americano su due dichiara che sarebbe disposto a pagare un costo aggiuntivo per un prodotto offerto in un packaging sostenibile, mentre due terzi (64%) indicano la riciclabilità dell’imballaggio come fattore fondamentale nel processo di acquisto, percentuale che sale al 69% nella fascia di età compresa tra i 18 e i 29 anni.
L’aumento della consapevolezza ambientale dal lato del consumo, si è manifestata con la crescente opposizione alla dispersione degli imballaggi nell’ambiente e alla sensibilizzazione sui potenziali pericoli della plastica monouso, l’azione incisiva di vari movimenti d’opinione ha fatto in modo che tali istanze fossero recepite dall’industria e dalle istituzioni. L’industria ha reagito alla pressione pubblica con l’impegno di raggiungere la piena riciclabilità e aumentare l’uso di materiali riciclati, incrementando anche l’uso di substrati non plastici. Inoltre, la spinta alla sostenibilità ha contribuito a una forte spinta per l’inno-
I DRIVER NEI PROSSIMI ANNI
Nei prossimi anni, man mano che le curve dei costi si abbasseranno in risposta alla maggiore produzione di nuovi materiali, la responsabilità estesa del produttore e le pressioni fiscali renderanno più problematici la produzione di imballaggi non sostenibili. Inoltre, i modelli di business e le tecnologie emergenti per il riutilizzo e il riempimento guadagneranno ulteriore consenso e trazione. Le pressioni sulla sostenibilità creeranno sfide anche per gli operatori che si affideranno ancora a materiali in
DISTRIBUZIONE DEL FATTURATO PER TIPOLOGIA PRODUTTIVA
via di dismissione. Man mano che i loro prodotti e le loro attività diventeranno obsoleti, dovranno fare una scelta strategica, diventare l’ultima impresa di un mercato in dismissione o riposizionare drasticamente il portafoglio. Tuttavia occorre pensare alla sostenibilità in modo olistico, oltre a disporre di un portafoglio di prodotti sostenibili, è necessario accelerare i programmi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sia nelle operazioni, sia lungo la catena di fornitura. Dall’altro lato, la transizione della società verso il digitale, in particolare l’e-commerce, sta creando e ampliando nuove strade per la domanda di imballaggi, in particolare per quelli protettivi e per un trasporto sostenibile. L’e-commerce e il delivery cambieranno radicalmente le caratteristiche richieste a un imballaggio, che dovrà essere specificamente adattato ad esso, progettato per l’efficienza della catena di fornitura e per essere disimballato a casa piuttosto che per rimanere sugli scaffali dei negozi. Nei prossimi anni, l’imballaggio pronto per la spedizione diventerà probabilmente uno standard, per migliorare le prestazioni globali delle aziende, minimizzare i costi e agire sulla sostenibilità, inoltre questo tipo di packaging potrebbe eliminare una quantità significativa di domanda di imballaggi secondari.
L’imballaggio non è l’unico problema sollevato dal digitale. Esso offre l’opportunità di migliorare l’interazione tra consumatore e azienda, di gestire il processo di acquisizione e gestione per i clienti nuovi e attuali, di misurare l’esperienza del cliente in modo più completo e
accurato. L’abilitazione digitale, grazie al coinvolgimento dei clienti, i flussi di lavoro interni, la catena di fornitura, l’automazione della produzione e un processo decisionale più rapido, cambierà la struttura aziendale delle imprese del settore. L’industria del packaging è ancora nelle prime fasi della digitalizzazione, ma possiamo aspettarci che diventi una chiara priorità e un’importante leva di creazione di valore, soprattutto nell’attuale contesto di volatilità dei mercati delle materie prime, di aumento del protezionismo e delle politiche commerciali, perché il digitale può rendere trasparenti le catene di fornitura e promuovere l’eccellenza negli acquisti. Questi cambiamenti offriranno anche reali opportunità di crescita alle organizzazioni, che perseguono la giusta attenzione e le giuste azioni.
L’INFLUENZA DELLA NORMATIVA
Il settore sta vivendo un periodo complesso, l’aumento della sensibilità ambientale maturata negli scorsi decenni e le ricerche sulle interazioni dei materiali usati per gli imballaggi con la salute ha condotto a nuove e più severe normative sull’uso di alcune sostanze chimiche. Le restrizioni sul bisfenolo A (BPA) nell’Unione Europea e sulle sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS) negli Stati Uniti sono sicuramente due delle più importanti. La pubblicazione, da parte della Commissione europea, della tabella di marcia per le restrizioni nell’ambito della strategia sulle sostanze chimiche per la
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sostenibilità per il 2030, le diverse petizioni presentate negli Stati Uniti da vari Stati per promuovere il divieto federale di altre sostanze chimiche problematiche oltre i PFAS, come gli ftalati, sono indicatori del profilarsi all’orizzonte un’ulteriore regolamentazione. Le normative sulle sostanze chimiche pongono sfide operative significative agli operatori del settore, l’incertezza sui dettagli delle modifiche normative e sui tempi di attuazione può ostacolare l’agilità di un’organizzazione nell’affrontare queste sfide, così come l’esperienza limitata all’interno del comparto sulle specifiche sostanze chimiche. Le aziende dovranno sviluppare un approccio proattivo che enfatizzi la collaborazione interfunzionale sostenuta da un piano generale ben sviluppato, al fine di navigare con sicurezza in questo panorama incerto.
Il bisfenolo A viene utilizzato principalmente in combinazione con altre sostanze chimiche per la produzione di plastiche e resine, in particolare, la plastica trasparente utilizzata per produrre contenitori per alimenti, bottiglie per bevande riutilizzabili, stoviglie e contenitori di stoccaggio.
ha accelerato la regolamentazione. Nel dicembre 2021, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha pubblicato una revisione della valutazione del rischio del BPA e successivamente, nel gennaio 2022, una bozza di parere scientifico che rivaluta la dose giornaliera tollerabile, proponendo una riduzione significativa di circa 100.000 volte inferiore a quella precedentemente indicata dall’EFSA nel 2015. La stretta definitiva sull’uso del bisfenolo A è fissata per i primi mesi del 2023. Il nuovo regolamento, se approvato, bandirà sostanzialmente il bisfenolo A da tutti i prodotti a contatto con gli alimenti e dovrà essere sostituito da alternative prive della sostanza in tutti i Paesi membri dell’UE.
Nell’Unione Europea la regolamentazione del BPA
è stata più lenta e gli Stati nazionali sono andati in ordine sparso
La sostanza chimica viene utilizzata anche per produrre resine epossidiche, tipicamente impiegate nell’industria dell’imballaggio per formare rivestimenti protettivi e rivestimenti per contenitori metallici per alimenti e bevande. La regolamentazione del bisfenolo A non è nuova, ma negli ultimi anni è stata rafforzata a livello globale. Nonostante la mancanza di un’infrastruttura normativa sul BPA negli Stati Uniti, al di là di specifici prodotti per l’infanzia, la pressione diffusa dei consumatori e delle istituzioni ha già portato molte aziende a bandire il BPA dai loro prodotti di imballaggio.
Nell’Unione Europea la regolamentazione del BPA è stata più lenta e gli Stati nazionali sono andati in ordine sparso, la Svezia ha vietato l’uso del BPA nei biberon e nei materiali a contatto con gli alimenti per i bambini di età inferiore ai tre anni nel periodo 2011-16, mentre la Francia ne ha vietato l’uso nei contenitori per alimenti per bambini nel 2013 e in tutti i materiali a contatto con gli alimenti nel 2015.
La Commissione europea con il Regolamento UE 2018/213 si è espressa in modo restrittivo sull’impiego di Bisfenolo A. Con la crescente preoccupazione per i rischi per la salute dovuta all’esposizione, l’Unione Europea
Nell’ambito degli imballaggi, i PFAS sono tipicamente utilizzati per trattare i prodotti di carta che servono e confezionano cibi grassi, come i sacchetti per i panifici e gli involucri dei panini dei fast-food. Negli Stati Uniti le normative più importanti sull’uso dei PFAS negli imballaggi risalgono al 2016, quando la Food and Drug Administration (FDA) ha eliminato due composti perfluorurati a catena lunga dall’uso negli imballaggi alimentari.
Nel 2018, lo Stato di Washington ha attuato il primo divieto di aggiunta intenzionale di PFAS negli imballaggi alimentari nei casi in cui erano disponibili alternative più sicure ai PFAS. In seguito alla recente disponibilità di alternative più sicure, le normative statunitensi relative all’uso dei PFAS negli imballaggi si sono rapidamente ampliate, con un numero crescente di enti normativi che hanno messo al bando tutti i PFAS. A partire dal gennaio 2022, sette Stati hanno limitato l’uso dei PFAS nei contenitori e nei materiali per l’imballaggio degli alimenti, Altri dieci Stati hanno proposto leggi che vietano l’aggiunta intenzionale di PFAS negli imballaggi alimentari. In Europa, la Commissione europea ha recentemente lanciato la sua Restrictions Roadmap, che delinea un piano per mettere al bando molti ampi gruppi di sostanze chimiche nocive, tra cui i PFAS, dall’uso negli imballaggi entro il 2030. Nell’ambito di questa tabella di marcia, i governi di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia proporranno formalmente all’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) una restrizione sui PFAS all’interno dell’Unione europea, che sarà esaminata nel 2023.
L’IMPATTO SUL SETTORE
I rivestimenti chimici sono utilizzati in combinazione con quasi tutti i substrati di imballaggio, il bisfenolo A con i contenitori di plastica rigida e le lattine di metallo, i PFAS con la carta flessibile e ftalati con le plastiche morbide. Di conseguenza, le imprese nella catena del valore, dai produttori di materie prime ai trasformatori e agli utenti finali, sono interessati dalle normative sulle sostanze. Diversi utilizzatori finali di imballaggi hanno intrapreso azioni rapide per eliminare gradualmente, o impegnarsi ad eliminare gradualmente, BPA, PFAS e ftalati, oltre ad altre sostanze chimiche dai loro prodotti.
Questo periodo, per le imprese nel comparto del packaging, è caratterizzato da incertezza sul comportamento da adottare mentre le nuove normative vengono redatte e implementate. Un’opzione è quella di essere reattivi, attendere le indicazioni normative per valutare la portata e i requisiti stabiliti dalle autorità di regolamentazione. Questo approccio ha un rischio elevato, in quanto le imprese opererebbero in un ambiente ambiguo in attesa o in risposta alle indicazioni normative. Le scadenze ravvicinate per la qualificazione di nuovi materiali o l’esitazione a effettuare sostituzioni di portafoglio potrebbero comportare la perdita di clienti che hanno già iniziato a eliminare gradualmente le sostanze o la penetrazione di fornitori rivali che sono stati più rapidi nell’introduzione sul mercato di sostanze
alternative, nonché il rischio di non rispettare le normative se le sostituzioni si rivelano difficili. Un approccio proattivo che determini come iniziare a sostituire le sostanze chimiche legate alle prossime normative è quello che, in tale contesto, potrebbe rivelarsi vincente. La sostituzione potrebbe essere paritaria delle sostanze a diretto contatto con gli alimenti, iniziando ad esempio dai rivestimenti a diretto contatto con gli alimenti. Oppure, ricorrere fin da subito a un divieto totale di utilizzo di una o più sostanze. Questo percorso è sicuramente il più impegnativo, in quanto comporta di porre in essere un piano generale che comprenda più funzioni aziendali, coordinate da un gruppo di lavoro specifico, per garantire la piena trasparenza di tutte le sostanze utilizzate negli imballaggi e in tutta la catena di fornitura, ricerca e sviluppo e produzione per sviluppare un piano di qualificazione e le tempistiche previste per la transizione ai nuovi materiali, l’approvvigionamento per garantire la disponibilità delle nuove sostanze.
Qualsiasi modifica normativa avrà implicazioni molto significative per il portafoglio prodotti di un’azienda di packaging, l’approccio reattivo e attendista può mettere a rischio grandi volumi, mentre essere proattivi sviluppando una posizione precoce e agendo sulla base di un piano generale chiaro e di una collaborazione interfunzionale può aiutare i produttori di imballaggi a destreggiarsi nella complessità del panorama normativo in evoluzione.
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IL CASO ITALIANO
Nel nostro paese sono innumerevoli le imprese che producono imballaggi e macchinari per il confezionamento, le previsioni per il comparto del packaging nel suo complesso si attestano su una crescita ad un tasso di crescita annuale composto del 3,1% nei prossimi cinque anni.
La legislazione italiana ha contribuito all’espansione del questo settore e si prevede che sarà influenzato dalla crescente importanza dell’e-commerce. Secondo uno studio del Politecnico di Milano, il valore degli acquisti dei consumatori italiani sulle piattaforme di e-commerce è quasi raddoppiato, passando da 27,5 miliardi di euro nel 2018 a 45,9 miliardi di euro nel 2022, con una crescita del +17% anno su anno il Food & Grocery si conferma il comparto più dinamico nel 2022.
Per quanto riguarda i macchinari per il confezionamento e gli imballaggi nel 2021 il fatturato è stato circa di 8,4 miliardi di euro (+5,5% sul 2020), secondo UCIMA (Unione Costruttori Italiani Macchine Automatiche per il confezionamento e l’imballaggio). Il sub settore che ha
assorbito nel 2021 la maggior parte della produzione di macchine per il confezionamento è stato il food and beverage, seguito da tissue, il tabacco e altro, poi il settore farmaceutico, il settore cosmetico e infine il segmento Chemicals and Home Care.
La fluttuazione dei prezzi delle materie prime dovrebbe ostacolare la domanda di alcuni materiali da imballaggio. Secondo Flexible Packaging Europe (FPE), la crescente incertezza economica ha influito sulla domanda dei trasformatori e degli utilizzatori finali, in quanto i consumatori sono più cauti a causa delle forti pressioni inflazionistiche su diversi prodotti confezionati.
La guerra tra Russia e Ucraina influisce sull’intero ecosistema del packaging con un aumento dei prezzi delle materie prime e dei costi energetici. Un fenomeno che già si era cominciato a manifestare nella seconda metà del 2021 ma che si è aggravato nel corso dell’anno, inoltre, l’indisponibilità dei materiali a causa dell’embargo ha costretto le aziende a cercare altri fornitori e modificare in breve tempo la catena di approvvigionamento, con un serio aumento dei costi.
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Le merci pericolose che quotidianamente vengono acquistate su vari siti di eCommerce e poi vengono spedite diversi mezzi di trasporto sono veramente numerose, più di quanto si possa immaginare. La definizione “merce pericolosa” non designa solo prodotti particolari o rari, ma anche oggetti molto comuni, come batterie al litio, ad esempio per cellulari o monopattini, profumi per la persona, profumi per l’ambiente, smalti, vernici, spray, ecc.
Il trasporto di queste merci non può essere improvvisato: ne parliamo con Ermanno Vicini, DGSA - DG Specialist e 4G/4GV Expert di Serpac Srl, azienda specializzata nello sviluppo, produzione e vendita di imballaggi omologati ONU ed etichette per il trasporto di merci pericolose.
L’imballaggio per le merci pericolose deve essere scelto in base alle esigenze delle aziende e ai costi di spedizione, ma soprattutto deve essere studiato, costruito e preparato attenendosi alle normative internazionali di riferimento per le spedizioni via strada ADR, via ferrovia RID, via navigabile interna ADN, via mare IMDG e via aerea ICAO-TI/ IATA. Questi imballaggi devono inoltre superare diversi test per poter essere certificati come imballaggi omologati, e solo in quanto tali possono essere usati per la spedizione di merci pericolose.
La robustezza dell’imballo e la dimensione sono fattori chiave, anche se quando si parla di eCommerce spesso si vanno a spedire piccoli quantitativi che talvolta rientrano nelle spedizioni in quantità limitate, che permette di avvalersi di alcune esenzioni rispetto ai trasporti di merci pericolose in modalità pienamente regolamentata. Anche in questo caso l’imballaggio deve comunque rispondere a caratteristiche di costruzione ben precise, e ad altre di preparazione del collo, tra cui anche la marcatura. Molte volte viene commesso l’errore di spedire utilizzando una qualsiasi scatola a magazzino ma che potrebbe non essere idonea per la spedizione in Quantità Limitate. In caso contrario, se si tratta di merce pericolosa in piena regolamentazione serviranno un imballaggio omologato ONU ed una marcatura ed etichettatura differenti ma, in questo articolo, ci concentreremo sulla spedizione LQ.
Le regole sono tante e la loro applicazione richiede una conoscenza profonda dei diversi regolamenti: per questo è indispensabile affidarsi a chi possiede il mix di conoscenze tra sviluppo delle scatole, test di omologazione e normativa è essenziale per evitare ritardi nelle consegne, o peggio fermi merci e multe e sanzioni per chi spedisce e chi trasporta. «Non solo imballaggi, ma anche le etichette sono essenziali per una spedizione conforme. Usare le giuste etichette e i giusti marchi, ma apporli poi in maniera casuale sull’imballaggio,
SPECIALE PACKAGING E CONFEZIONAMENTO
equivale a una mancata etichettatura – specifica Ermanno Vicini, che prosegue - Come abbiamo più volte approfondito sul nostro sito, uno dei primi passi da compiere per spedire merci pericolose in maniera sicura e conforme è quello di individuare la modalità di trasporto più adatta e dunque fare riferimento al manuale e ai relativi regolamenti: ADR, per il trasporto su strada; RID per la via ferroviaria; ADN, per la via navigabile interna; IMDG per il mare e, infine, ICAO-TI e IATA per il trasporto per via aerea».
Le informazioni che devono obbligatoriamente apparire su un collo variano a seconda della modalità di trasporto scelta e, di conseguenza, del manuale che si deve consultare; è pertanto fondamentale partire dall’individuazione del tipo di spedizione più adatta per la nostra merce per sapere a quali requisiti dobbiamo rispondere in termini di imballaggio e di etichettatura e marcatura. È inoltre sempre necessario conoscere il numero ONU della merce che si sta spedendo così da poter leggere e interpretare correttamente la tabella delle merci pericolose del regolamento applicabile. In linea generale, senza considerare casi specifici, l’etichettatura e la marcatura per la spedizione di merci pericolose in piena regolamentazione potrebbero essere riassunte come nell’immagine in alto a destra.
Ogni etichetta deve essere apposta sulla stessa superficie del collo assieme a tutte le altre informazioni o meglio marchi necessari per la spedizione. È importante che le etichette ed i marchi non siano coperte o mascherate da una parte o da un qualunque elemento dell’imballaggio o da ogni altra etichetta o marchio e che siano visibili, leggibili e durevoli nelle normali fasi di un trasporto di merci pericolose.
QUANTITÀ LIMITATE, GRANDI RISCHI
La spedizione di merci pericolose in quantità limitate è uno dei tipi di spedizione più utilizzati soprattutto dagli eCommerce e quando il trasporto avviene via terra ADR, via ferrovia RID, via interna navigabile ADN o via mare IMDG. Troppo spesso, però, chi si avvale di questa “esen-
zione” dimentica alcuni particolari che fanno la differenza tra una spedizione conforme e non. Ragionando ancora più in profondità quello che viene trascurato è l’aspetto di responsabilità che uno speditore ha verso tutti gli attori coinvolti, oltre ad un aspetto puramente legale in caso qualcosa non andasse per il verso giusto. Seppur in “Quantità Limitate” i prodotti offerti alla spedizione sono merci pericolose per il trasporto e vanno gestiti come tali per via dei pericoli intrinsechi che hanno.
Applicare il Marchio di Quantità Limitate sul collo non rende automaticamente una spedizione conforme. Molte aziende credono che l’unica richiesta dei regolamenti per avere un collo conforme sia quella di mettere il marchio di Quantità Limitate, ma il solo marchio non fa della spedizione né una spedizione conforme né tanto meno sicura. A proposito del marchio è possibile applicare il “Marchio di Quantità Limitate” nella dimensione ridotta 50x50 mm, ma non sempre: il marchio deve essere 100x100 mm e, solo se le dimensioni del collo non ne permettono l’affissione, lo stesso può essere ridotto fino a 50x50 mm.
La maggior parte delle spedizioni in Quantità Limitate avvi in scatole di cartone. A tal proposito, c’è un particolare che molto spesso risulta poco conosciuto e quasi mai applicato. Precisa Ermanno Vicini: «Una qualsiasi scatola di cartone potrebbe non essere idonea per spedizioni in Quantità
Limitate. Questo vuol dire che, per spedire merci pericolose in Quantità Limitate, è richiesto che l’imballaggio sia costruito come un imballaggio omologato ma senza l’obbligo dei test di omologazione».
In pratica, l’imballaggio esterno deve essere studiato, costruito e prodotto in riferimento al contenuto per far sì che possa superare tutte le sollecitazioni del trasporto. Le caratteristiche tecniche richieste sono quelle di costruzione definite al capitolo 6.1.4 ADR / RID / ADN / IMDG (secondo il 3.4.1 (f) ADR /RID / ADN e 3.4.1.2.6 IMDG), le stesse definite per la costruzione delle scatole omologate ONU. Per minimizzare rischi e responsabilità, è necessario che chi vende o produce la scatola per spedizioni in Quantità Limitata esegua una valutazione d’insieme considerando non solo i fattori di rischio determinati del tipo di spedizione e dal sistema di imballaggio ma anche i tipi di imballaggi interni ed il peso del collo e che fornisca una dichiarazione di conformità e di valutazione d’insieme che accompagni la fornitura degli imballaggi. La tracciabilità del cartone deve essere mantenuta per almeno 5 anni.
Quando la spedizione in Quantità Limitate prevede il trasporto via aerea IATA, per la conformità dell’imballaggio non basta etichettare, marcare correttamente e scegliere un imballaggio idoneo, la conformità dell’imballaggio deve essere verificata tramite degli specifici test.
I test in questione sono:
• il test di caduta da 1,2 metri;
• il test di impilamento a 3 m per 24 ore.
Il test di caduta deve essere effettuato per ogni combinazione che andrete ad inserire, ad esempio se inserirete 3 bottiglie ed una tanica sarà una combinazione mentre se inserirete 2 taniche ed 1 bottiglia sarà un’altra combinazione.
Per quanto riguarda il test di impilamento a 3 m per 24 ore dovrà essere eseguito prendendo in considerazione il peso maggiore presente tra le varie combinazioni che hanno subito i test di caduta.
I test possono essere eseguiti direttamente da chi spedisce e devono essere opportunamente documentati ed archiviati per poter essere esibiti in caso di richiesta da parte dell’autorità competente. Questi test servono a verificare le caratteristiche dell’imballaggio e sono gli stessi test che vengono richiesti durante l’omologazione ONU dell’imballaggio. È fondamentale che i test vengano eseguiti e valutati nella maniera corretta per far sì che il risultato non venga interpretato in maniera errata.
Per questo motivo, molte aziende preferiscono richiedere l’omologazione ONU dell’imballaggio per avere un documento ufficiale di conformità, oltre al fatto che, se per un qualsiasi motivo di urgenza o destinazione, la merce dovesse essere spedita come merce pienamente regolamentata, bisognerà cambiare la sola etichettatura e marcatura senza cambiare anche l’imballaggio in quanto già omologato ONU.
RADICI INNOVA, UNA CASA COSTRUITA PER L’INNOVAZIONE
A colloquio con Stefano Alini, CEO di Radici InNova
PER CONCENTRARE E CONSOLIDARE TUTTE LE ATTIVITÀ DI RICERCA E SVILUPPO
RELATIVE AI BUSINESS DEL GRUPPO, RADICI HA CREATO A FINE 2019 UNA SOCIETÀ
DEDICATA ALL’INNOVAZIONE: RADICI INNOVA. TANTE LE DIREZIONI SU CUI SI
SVOLGE QUESTO PERCORSO: DALLA MADRE TERRA CON I PROGETTI DI RICICLO E
RIUSO DI MATERIALI DI SCARTO, FINO ALL’IMMENSITÀ CELESTE CON I FILATI E I
TESSUTI PENSATI PER GLI ASTRONAUTI DIRETTI SU MARTE
In tema di approccio all’innovazione da parte delle industrie chimiche e di processo, RadiciGroup fornisce un esempio significativo con Radici InNova, la società consortile per la ricerca e l’innovazione fondata a fine 2019, con il compito di trasformare i tanti spunti di ricerca in opportunità concrete di innovazione per le diverse aziende e aree di business del gruppo. Ne parliamo con il CEO Stefano Alini, che ci presenta innanzitutto lo spirito generale che anima la società e le sue diverse aree di interesse, con particolare riferimento alle strategie di sostenibilità espresse dal gruppo.
Chimica Magazine: Partiamo innanzitutto dalla realtà di Radici InNova, come è strutturata e su quali fronti è attiva.
Stefano Alini: Radici InNova è la società consortile dedicata alle attività di ricerca e innovazione del Gruppo Radici. Nasce alla fine del 2019 dalla volontà degli azionisti di stabilire, nel gruppo Radici, un nucleo di ricerca e innovazione di tipo radicale. Come tale, questa ricerca si differenzia dalla ricerca di tipo incrementale, che riguarda l’ottimizzazione del prodotto dal punto di vista della formulazione o del processo produttivo. Tale attività, che è di fondamentale importanza, proseguirà invariata presso i rispettivi stabilimenti, dove ha le condizioni per dare i migliori risultati nel minor tempo possibile. Se, ad esempio, un cliente richiede una nuova formulazione per un determinato polimero, a seguito di una specifica esigenza, tale risposta va elaborata al più presto ed è giusto che se ne occupino l’assistenza tecnica e la ricerca interna allo stabilimento di produzione.
Radici InNova, invece, segue un percorso diverso. I suoi progetti innanzitutto hanno un orizzonte temporale medio-lungo, che può andare dai due fino ai cinque anni di studio. In quanto tali questi progetti di ricerca avranno i propri milestones e deliverables, al pari dei progetti di ricerca finanziata. Inoltre, la società sviluppa progetti di interesse per ciascuna delle tre aree di business del gruppo - Specialty Chemicals, High Performance Polymers e Advanced Textile Solutions – ma anche progetti di interesse comune a due o più divisioni.
Altro compito importante di Radici InNova è quello di gestire i contatti con soggetti esterni, come enti di ricerca, università o anche altre aziende dello stesso settore con le quali possano emergere interessi comuni od opportunità di partnership. In questo senso un obiettivo importante, soprattutto per il momento che stiamo vivendo, è quello di individuare tutte le opportunità di finanziamento o di fun-
quadro Horizon. Monitoriamo con attenzione i vari bandi emessi per assicurare al Gruppo una riduzione del rischio su azioni che invece, essendo appunto progetti di innovazione radicale e non incrementale, hanno tipicamente una percentuale di rischio più elevata.
CM: Tenendo come riferimento le tre aree di business del Gruppo Radici, dove vedete le prospettive di innovazione più dirompenti?
SA: Per rispondere, vi mostro le cinque linee tematiche su cui abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione. La prima e principale anche come interesse da parte di tutte le aree di business, è quella dell’economia circolare e riciclo dei materiali. Non ci sono stati dubbi su questo fronte, sia da parte delle figure tecniche che di quelle manageriali: siamo tutti fortemente motivati a trovare soluzioni tecnologiche capaci di rispondere all’esigenza di proporre prodotti che abbiano una percentuale elevata di materiale riciclato o recuperato e che siano essi stessi più facilmente riciclabili o recuperabili. Su questo tema in particolare abbiamo diverse linee di ricerca già avviate, con altrettante soluzioni disponibili. In pratica si ragiona in base ai processi di recupero dei materiali pre e post consumer e di ecodesign, progettando capi od oggetti che possono essere a loro volta riciclati direttamente in quanto non prevedono separazione dei materiali. Ad esempio, un tessuto interamente in poliammide potrà essere rimacinato e diventare non solo altro filato bensì anche nuovo compound o materia prima per la produzione di nuovi oggetti.
Il secondo e il terzo pillar procedono in parallelo e si basano entrambi sull’utilizzo di materiali da fonti rinnovabili, per lo sviluppo di polimeri oppure di intermedi. Da un lato dunque cerchiamo di individuare nuovi monomeri da cui ricavare i polimeri, andando a valutare ciò che il mercato può offrirci anche come procedimenti di purificazione; dall’altro utilizziamo i monomeri già disponibili sul mercato per produrre poliammidi da fonti rinnovabili e, in futuro, magari potremo utilizzare inyermedi prodotti dal gruppo stesso. Un esempio di queste ricerche è il progetto Ulisse, nato ancor prima della costituzione di Radici InNova, finalizzato alla produzione di poliammidi da fonti rinnovabili e acido adipico a partire da fonti rinnovabili e da olii di scarto. Lo studio della sintesi dell’acido adipico è stato tra l’altro il primo caso di utilizzo di biotecnologie in Radici, con microorganismi che sono stati geneticamente modificati e resi in grado di ottenere il monomero da noi desiderato attraverso un procedimento di fermentazione. Questo lievito insomma viene alimentato con olii vegetali di scarto e la sua digestione produce acido adipico, che poi andiamo a recuperare e a purificare secondo le nostre necessità.
Il quarto pillar consiste nello sviluppo di soluzioni innovative a partire da materiali e tecnologie esistenti. In questo caso parliamo prevalentemente dell’area Advanced Textile Solutions e sostanzialmente di azioni nate a seguito dell’emergenza pandemica: il Gruppo Radici infatti si è subito attivato per la produzione di camici, calzari o copricapo fatti con “tessuto non tessuto”. Abbiamo anche sviluppato fortemente tutta l’area della filtrazione: parliamo sostanzialmente di mascherine. Da un lato dunque il Gruppo ha avanzato un importante investimento nella produzione di mascherine tradizionali studiando in parallelo soluzioni innovative con Radici InNova. Da qui lo sviluppo di materiali filtranti avanzati, dotati non solo di elevato potere filtrante ma anche di qualità antipatogene. Altro fronte interessante è quello dei materiali compositi, che riguardano la divisione High Performance Polymers, in particolare con nuovi materiali termoplastici in grado di intercettare sbocchi di mercato importanti.
Il quinto pillar, trasversale a tutti i precedenti, corrisponde ad uno dei principali obiettivi che il gruppo vuole conseguire in generale: la sostenibilità ambientale, con tutte quelle azioni volte al miglioramento dei processi affinché risultino meno impattanti dal punto di vista del consumo di risorse e di rilascio di gas serra.
CM: Quali tecnologie o metodologie avete adottato per supportare degli obiettivi così importanti di innovazione sul prodotto e sulla relativa ricerca?
SA: Per le attività di ricerca, naturalmente, investiamo molto nella strumentazione dedicata all’interno dei laboratori. Ad esempio, presso le Tessiture Pietro Radici di Gandino sono stati implementati nuovi strumenti dedicati alla filtrazione e un microscopio elettronico a scansione. Vi sono impianti pilota presso la Radicifil di Casnigo per i filati in nylon e presso la Noyfil a Stabio, in Svizzera, per quanto riguarda la filatura del poliestere. Insomma gli investimenti sono continui su tutti i laboratori aziendali, che come detto rimangono a disposizione anche di Radici InNova, anche se quelli più consistenti sono stati destinati allo stabilimento Radici Chimica di Novara, in cui sono stati rinnovati completamente i laboratori di R&D i quali, ad oggi, costituiscono a tutti gli effetti la sede operativa di Radici InNova.
Diverso il discorso delle tecnologie informatiche che, al momento, non sono nella mission di Radici InNova. La digitalizzazione è sicuramente un fronte di innovazione
fondamentale per il futuro delle imprese, ma per quanto ci riguarda ad ora ci siamo dotati delle strutture minime per la gestione dell’operatività della struttura di Ricerca e Innovazione. Principalmente ci siamo dotati di strumenti di condivisione interna di tutte le attività svolte. In pratica abbiamo a disposizione una piattaforma Intranet, che ci consente di digitalizzare e di condividere tutte le informazioni relative alle ricerche in corso. Ad esempio, la rendicontazione dei tempi di lavoro per ogni progetto, ovvero quante ore al giorno dedichiamo a ciascun lavoro, da parte di ciascun ricercatore; le schede di consuntivazione, sulle quali ogni stabilimento può caricare mensilmente i costi relativi ai progetti; e il database delle attività che viene continuamente alimentato con tutti i risultati della ricerca bibliografica e brevettuale, le relazioni scritte, i verbali delle riunioni, in modo che tutti i ricercatori abbiano sempre a disposizione tutte le informazioni su ciascun singolo progetto.
L’aspetto più importante del processo di innovazione sta insomma nell’organizzazione del lavoro e soprattutto nella condivisione delle informazioni. Radici InNova ha il ruolo di incubatore di idee: offre un luogo adatto per far nascere, sviluppare e maturare le nuove idee fino quando non sono pronte per essere trasferite nuovamente nelle rispettive realtà produttive. Neanche il concetto di incubatore di fatto è totalmente nuovo: di significativo dal nostro punto di vista c’è la possibilità di mettere in comune e far parlare tre
aree di business - chimica, tecnopolimeri, fibre - all’interno dello stesso Gruppo. Oggettivamente, RadiciGroup è una realtà molto grande, che possiede numerosi stabilimenti ognuno dei quali dedicato a prodotti o processi molto diversificati. L’obiettivo di Radici InNova è di creare osmosi fra le varie aree di business, agevolare lo scambio di competenze e know how da monte a valle, da valle a monte e da un’azienda all’altra, unificare lo sviluppo e l’innovazione, generare spunti di ispirazione all’interno che si traducono poi in processi di miglioramento continuo.
CM: Possiamo dire, con uno scatto d’orgoglio, che il futuro della chimica è in Italia?
SA: (ride) Dire che il futuro della chimica sia in Italia è un po’ forte: la chimica è un settore immenso e Radici stessa, nel suo piccolo, su questi temi si confronta con dei veri e propri giganti mondiali. Quanto all’orgoglio, però, questo sicuramente non ci manca e non solo perché possiamo contare sulle nostre specificità nazionali, come la spiccata creatività e la capacità di vedere sempre oltre i limiti, quanto piuttosto per i risultati conseguiti proprio in termini di innovazione. Anche per questo sentiamo di poter guardare al futuro con fiducia, nonostante le criticità degli ultimi anni. In questo senso anzi possiamo leggere alcuni dei risultati recentemente conseguiti e annunciati, che vanno proprio nella direzione descritta: avviare sperimentazioni di solu-
Il punto di partenza delle nostre innovazioni è sempre la valutazione di un’esigenza proveniente dal mercato
zioni o in contesti “estremi” per poi trasferire tali risultati in concreto su tutte le aziende del gruppo. Ne possiamo citare in particolare due.
Lo scorso anno, abbiamo partecipato con i nostri filati alla missione di sperimentazione marziana “SMOPS”, che sta per Space Medicine Operations, promossa e organizzata da Mars Planet, sezione italiana di Mars Society, con il patrocinio dell’Agenzia Spaziale Italiana. RadiciGroup ha guidato un team di aziende della filiera tessile italiana (Eurojersey, Vagotex e Defra), che ha realizzato la prima tuta spaziale di simulazione analoga, una particolare forma di sperimentazione che di fatto replica le condizioni nelle quali gli astronauti andranno a trovarsi nello spazio. I capi così realizzati sono stati testati ad aprile scorso nella stazione di ricerca installata nel deserto dello Utah, simulando le condizioni di vita e lavoro su Marte.
Tornando a noi e ai concetti che animano la ricerca di Radici InNova, abbiamo partecipato a questo progetto non tanto con l’idea di mandare i nostri filati a breve su Marte, quanto piuttosto perché sperimentare questi materiali in contesti estremi con il fine ultimo di raccogliere informazioni utili poi per declinare gli stessi tessuti in diverse applicazioni
di utilizzo ben più immediato. Per esempio la possibilità di integrare dei sensori ambientali nei tessuti consente di replicare il modello in applicazioni di telemonitoraggio per rilevare parametri fisiologici, dunque per l’utilizzo in sistemi di telemedicina o di controllo delle performance fisiche degli atleti durante una competizione. Pensiamo anche ad eventi sportivi speciali, come la Formula Uno o la Coppa America, altri contesti dove è opportuno avere sempre sotto controllo le condizioni dell’atleta e proteggerlo dall’acqua, dal calore o dal freddo, ma senza limitare in alcun modo i suoi movimenti.
Secondo progetto innovativo è lo zainetto sostenibile e fashion sviluppato con Save The Duck e Vibram, prodotto con materiali provenienti dal riciclo e riciclabili a fine vita. “Anima”, questo il nome del nuovo zainetto, è bimateriale: è infatti composto da tessuto realizzato in Renycle, il filato RadiciGroup derivante dal riciclo meccanico della poliammide (nylon), e da parti in gomma provenienti dal riciclo dello scarto industriale dello stabilimento Vibram di Albizzate.
In questo caso il binomio si crea fra l’innovazione nei materiali e l’essenza di un prodotto moda, anche in termini di appeal sul consumatore. Questo per dire anche che il punto di partenza delle nostre innovazioni è sempre la valutazione di un’esigenza proveniente dal mercato. Da un lato insomma la nostra è ricerca applicata, perché parte sempre da una richiesta, che sia espressa dai consumatori, o dall’industria, o dalle istituzioni per esempio in forma di nuove normative o regolamentazioni: anche la legislazione può diventare una driving force importante, pensiamo ad esempio a tutto ciò che riguarda il contrasto al cambiamento climatico, o il riciclo, o il riuso dei materiali. Dall’altro però mettiamo a frutto tutte le informazioni relative ai materiali, e dunque è anche ricerca di base, ancorché ispirata da un possibile utilizzo e pronta in tempi relativamente brevi a trovare la sua applicazione concreta. Possiamo definirla una ricerca applicata che nasce da solide conoscenze di base, ispirata a trovare soluzioni industriali concrete ad esigenze o problemi che si manifestano nei settori in cui opera il Gruppo.
Ridurre,
Riutilizzare per il bene del pianeta
Seconda Edizione!
18 - 20 Aprile 2023
5000+ 200 partecipanti delegati
VEGA: UN APPROCCIO LEAN AI SENSORI DI LIVELLO
PERCEPITI SUL MERCATO COME “COMMODITY” E ULTERIORMENTE SEMPLIFICATI A
SEGUITO DI UN CONSISTENTE PROCESSO AZIENDALE ORIENTATO ALLA LEAN PRODUCTION, I SENSORI DI LIVELLO O DI PRESSIONE VEGA POSSONO DIVENTARE UN POTENTE
STRUMENTO DI EFFICIENZA ALL’INTERNO DI QUALSIASI PROCESSO INDUSTRIALE .
NON SOLO PER L’AFFIDABILITÀ GARANTITA DALLE LORO CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE, MA ANCHE PER LA CAPACITÀ DI ESTENDERE IL CONTROLLO ANCHE AL DI FUORI DEL
PERIMETRO AZIENDALE, GRAZIE ALLE NUOVE VERSIONI WIRELESS
Chimica Magazine: Vediamo innanzitutto per voi che cosa significa innovazione e come declinate questo termine nei vostri prodotti.
Daniele Romano: Vega produce sensori di livello o di pressione, che vengono utilizzati in qualsiasi industria e qualunque sia il materiale che devono misurare, sia esso liquido, solido o gassoso. Da un certo punto di vista si possono considerare prodotti semplici, quasi delle commodity, dall’altro questa operazione diventa complicata se la sostanza da rilevare ha particolari caratteristiche di temperatura, di parametri ambientali o di aggressività del prodotto stesso. Qui comincia la nostra sfida: rendere ovunque possibile e semplice la misura di livello e di pressione, perché nella vastità dei processi industriali questo dato può supportare un notevole incremento di efficienza. A questo obiettivo è finalizzata la principale innovazione di prodotto che abbiamo realizzato, un sensore di livello ideale per qualsiasi applicazione, indipendentemente dalle caratteristiche dei prodotti: solidi, liquidi, caldi, freddi o aggressivi... In pratica, il nostro rinnovato sensore radar THE 6X® ha un chip di ultima generazione che racchiude tutta l’esperienza di trent’anni di tecnica di misura radar. Se dovessimo elencare le innovazioni più significative del Vegapuls 6X, il chip radar figurerebbe ai primi posti. È il cuore del sensore, il centro pulsante con cui soddisfa le nostre elevate aspettative in termini di precisione e affidabilità. Questo soprattutto grazie alla sua capacità di autodiagnosi nel corso del funzionamento, che rende possibile il monitoraggio continuo della precisione e delle prestazioni del sensore.
Come si vede, nel 2022 il nostro catalogo prodotti si è semplificato. Il nuovo sensore radar Vegapuls 6X combina in un unico strumento il meglio dei precedenti sensori a 80 GHz, 26 GHz e 6 GHz, come ad esempio il Vegapuls 64 e il Vegapuls 69.
Il vantaggio per il cliente è presto detto: il sensore risulta più facile da scegliere, da configurare e anche da utilizzare. In questo senso possiamo rivedere il significato del termine commodity: indipendentemente che si trattino prodotti chimici, o solventi, ad alta o bassa temperatura, in serbatoi piccoli o grandissimi, prodotti densi o appiccicosi o al contrario molto leggeri, il sensore legge sempre. Questa lettura è garantita in qualunque condizione e que-
sta sicurezza è un valore per chiunque gestisca il processo, che non dovrà più preoccuparsi di quell’elemento. Questi vantaggi sono evidenti da un punto di vista operativo oltre che in termini di manutenzione, installazione, gestione delle scorte, in quanto il Vegapuls 6X è un sensore unico per tutto.
CM: In generale quando si parla di innovazione si pensa ad un ampliamento della gamma prodotti: per voi invece è stato il contrario. A livello aziendale, quali vantaggi ha comportato?
DR: Questo processo di trasformazione del prodotto in realtà è partito circa vent’anni fa, nel 2002, con l’introduzione dei sensori Plics: una tecnologia modulare che consente al cliente di configurare liberamente il proprio sensore, grazie alla completa integrabilità dei vari moduli. Ciascuno strumento di misura è assemblato utilizzando singoli componenti prefabbricati. Questo principio modulare consente massima flessibilità per la scelta delle diverse caratteristiche del sensore, la configurazione è semplice e il sensore si combina scegliendo sinteticamente: elettronica (4 ... 20 mA/HART, Profibus PA Foundation Fieldbus, Modbus), custodia (resina, alluminio, acciaio speciale), attacchi di processo (filettatura, flangia, attacco igienico), antenna e tastierino.
Per fare questo, Vega ha affrontato un importante pro-
La nostra sfida è rendere ovunque possibile e semplice la misura di livello e di pressione
getto di ottimizzazione della produzione in ottica lean e i risultati non stanno tardando ad arrivare. Ad esempio, abbiamo potuto modificare significativamente la curva dei tempi di produzione, arrivando a tre giorni lavorativi per la fornitura di qualsiasi tipo di sensore. Inoltre, siamo riusciti ad intervenire anche sulla leva economica, fornendo soluzioni vantaggiose per ogni applicazione. Nell’ultimo anno, per le note ragioni di approvvigionamento, avere tempi di consegna così brevi non è possibile, ma contiamo in un ritorno alla normalità che per noi significa una produzione rapida, anche di sensori altamente complessi. Ecco perché, forti di questi risultati, ora possiamo fornire il Vegapuls 6X che combina le esigenze del cliente con la nostra esperienza. Il cliente può trasmettere tutti i parametri tramite il nuovo configuratore e successivamente sceglieremo l’esecuzione del sensore idonea al processo in modo tale che, nel giro di pochi giorni, provvederemo ad allestire, testare e spedire il sensore radar ad hoc. La gamma di sensori modulare Plics, dopo oltre vent’anni è ancora all’avanguardia sul mercato: non solo pone noi come fornitori in una posizione di notevole efficienza dal punto di vista del processo produttivo, ma apre anche ai nostri clienti un’ampia rosa di vantaggi, come ad esempio la possibilità di retrofitting di dispositivi già installati. Per esempio, nel 2016 abbiamo deciso che tutti i nostri sensori dovessero diventare intelligenti: abbiamo lanciato il nuovo tastierino Plicscom con connettività Bluetooth che consente a tutti i sensori di essere tarati tramite app. La forza del nuovo modulo sta nella sua compatibilità verso il basso: può essere impiegato in oltre un milione e mezzo di sensori Plics installati dal 2002 in impianti distribuiti in tutto il mondo, indipendentemente dal principio di misura, senza richiedere alcun aggiornamento del software e con la collaudata struttura di calibrazione.
Basta inserire il Vegapuls nello strumento, scaricare l’app Vega Tools e l’utente può iniziare la configurazione e la parametrizzazione dei propri sensori Plics con lo smartphone o il tablet, in tutta comodità e a distanza di sicurezza. Avendo a disposizione inoltre anche funzioni di visualizzazione e diagnosi.
CM: Questo fino ad oggi. E per il domani quali sviluppi avete in programma?
DR: La seconda novità di prodotto ci porta oltre il classico percorso di processo, su un orizzonte più ampio che include le fasi di logistica e di distribuzione del materiale trattato. Si tratta di una evoluzione abbastanza importante per questi dispositivi che, tipicamente, sono implementati all’interno di un processo industriale, in postazioni fisse, alimentati dalla rete e in connessione con sistemi di controllo PLC o DCS. La novità infatti riguarda un sensore radar totalmente autonomo dal punto di vista dell’energia (alimentato a batteria) e capace di comunicare in modalità wireless (quindi coerente con un approccio IoT). Questa evoluzione risponde a un’esigenza ben precisa. La tecnologia di livello radar offerta da Vega può essere ora fruibile ovunque. Per questo sono stati sviluppati sensori radar con particolare attenzione all’efficienza energetica, combinando in maniera ideale prestazioni di misura, trasmissione dei dati via radio e consumo energetico. Il power management dei sensori si basa sull’impiego di batterie combinate a cicli di misura ottimizzati e assicura una durata fino a dieci anni.
La nostra proposta in questo senso si chiama Vegapuls Air ed è un sensore di livello sempre utilizzabile in qualsiasi situazione, non solo autonomo da tutti i punti di vista, ma anche facile e versatile da montare o installare su serbatoi o strutture, con sistemi di applicazione o staffe ad hoc, e soprattutto, in grado di trasmettere il dato di livello direttamente nel cloud. Economici, flessibili, sicuri e rapidi da installare secondo il principio “plug and play”, possono essere impiegati in maniera affidabile nei più diversi contesti in cui sono richieste misure di livello: serbatoi di stoccaggio di prodotti chimici, cisterne con detergenti da sostituire a intervalli regolari o serbatoi per sostanze residue in attesa di essere prelevate, contenitori di raccolta, silos in allevamenti e campi agricoli e così via.
CM: Su quale infrastruttura avviene la trasmissione dei dati?
DR: Il sensore è totalmente autonomo e utilizza le tecnologie LPWA, Low Power Wide Area, che offrono le quattro caratteristiche fondamentali per supportare l’IoT: bassi costi, ampia copertura, consumi energetici contenuti e un’alta penetrazione di segnale. I protocolli utilizzati dal Vegapuls Air sono NB-IoT, LTE-M e LoRaWAN.
I primi due si basano sulla rete cellulare. Mentre il LoRaWAN ha maggiori vantaggi in termini di efficienza energetica e viene molto apprezzato nel settore delle utility e delle smart city.
Tutti i protocolli richiedono un basso consumo di energia e consentono la trasmissione a lunga distanza: il protocollo LoRaWAN, ad esempio, con un solo gateway riesce a coprire una distanza di circa 10 km; se pensiamo ad un ambiente di smart city, con alcuni gateway posizionati in varie parti della città, le distanze complessive diventano più che adeguate. In più, questo standard è caratterizzato da alta penetrazione, potendo attraversare edifici e ostacoli vari senza essere schermato. Il difetto di questi standard sta solo nella limitata quantità di dati che si possono trasmettere, ma per noi questo non è un problema, considerati i semplici dati numerici che trattiamo con i nostri sensori.
Da sottolineare solo che, attraverso il protocollo pubblico, i dati vengono trasmessi ad un cloud proprietario, che permette di abilitare facilmente diverse applicazioni, dalla diagnostica del sensore stesso fino a soluzioni condivise fra cliente e fornitore che consentono di ottimizzare il flusso logistico del prodotto, da quando esce dalla sua fabbrica fino allo stoccaggio e riordino presso l’utente finale. Si aprono così nuove possibilità di gestione dell’inventario e della supply chain: ogni produttore infatti può monitorare lo stato delle scorte presso il proprio cliente, avviando così logiche di rifornimento avanzate come il VMI, o tornando all’interno, logiche di produzione più accurate in base a quello che è il reale fabbisogno dei propri clienti. Andiamo insomma oltre il processo vero e proprio, ampliando la nostra capacità di controllo all’intera supply chain.
Il prodotto è nuovo, ma abbiamo già cominciato a utilizzarlo in diverse applicazioni. Fra i vantaggi riscontrati abbiamo una miglior valorizzazione del prodotto, che è ancora più importante proprio se parliamo di materiali poco costosi o con margini economici limitati: evidentemente in questi casi è ancora più importante garantire il buon esito del viaggio, evitando di perdere anche quello “zero virgola” generato da queste consegne. Ma i vantaggi sono anche di tipo ambientale e, come si dice, sistemico, in quanto consentono di ridurre le urgenze dovute ad un insufficiente controllo sulle scorte, di limitare gli spostamenti grazie ad una miglior saturazione dei carichi, e a livello di produzione anche di gestire meglio lo stock dei prodotti, grazie ad una miglior pianificazione da parte dei clienti.
CM: Sul mercato, che cosa vedete come spinta all’innovazione? Come pensate di incrociare queste esigenze con le innovazioni di prodotto da voi proposte?
DR: Sono due, come detto, le sfide che ci siamo posti per la misura di livello: avere un unico prodotto per tutte le applicazioni, anche le più complicate, e ampliare la copertura alla distribuzione e alla supply chain con le soluzioni IoT. Nel secondo caso, in particolare, pen siamo di poter rispondere a tutte quelle necessità di alto livello espresse da chi tratta qualunque tipo di prodotti sfusi, che vanno dai mangimi animali alla raccolta rifiuti, dai fertilizzanti a tutto ciò che attiene all’industria chimica.
Le opportunità sul mercato italiano non ci sono mai man cate perché l’Italia ha la fortuna di esse re una potenza industriale importante, con alcuni settori che risultano trainanti. Quello chimico è uno dei nostri merca ti di riferimento e potremmo anche chia marlo tradizionale, se non fosse che nulla è più innovativo dell’industria chimica e che la spinta al miglioramento del prodotto, o il contributo al miglioramento di altre industrie, per la chimica è un percorso costante. Nel mondo chimico da sempre si lavora per avere processi più efficienti, quindi la richiesta di soluzioni di misura va di conseguenza, in quanto il primo passo dell’otti mizzazione dei processi sta certamente nella misura
dei singoli passaggi. Altri settori importanti in Italia sono quello farmaceutico, che investe in misura crescente nella qualità dei processi, e quello dell’energia, sia come ambiti consolidati, come il petrolchimico, che per le prospettive future che saranno aperte da fronti più innovativi, come quello dell’idrogeno. Abbiamo poi determinate nicchie industriali che non cessano di darci soddisfazioni, come ad esempio la cantieristica navale, che peraltro è uno dei nostri primi settori applicativi. In questo mondo sono tanti i materiali di cui si deve avere la contezza in tempo reale – acqua, carburante, acque nere/grigie… - e il tutto è reso più complicato dall’ambiente salino e dal galleggiamento. Ma è anche un esempio di quanto può essere strategica e cruciale un’apparente commodity, un anello di efficienza che deve essere pari all’eccellenza del prodotto nella sua totalità e alle aspettative del cliente.
In ogni caso, il nostro approccio alla tecnologia va ben oltre i confini del prodotto sensore: la strategia aziendale che abbiamo consolidato in diversi decenni di attività è sostanzialmente orientata al valore che i nostri prodotti possono offrire all’applicazione del cliente finale.
Non a caso, uno dei claim con cui abbiamo accompagnato il sensore 6x è: “nato dove si attribuisce valore al valore”. Coerente con questo obiettivo è l’importanza che attribuiamo alle risorse umane, che sono il principale veicolo di trasmissione di questo approccio al mercato e ai clienti.
Siamo infatti convinti che, per riconoscere il giusto valore ad un prodotto che può sembrare semplice, la persona debba riconoscersi innanzitutto nei valori scelti dall’azienda. In primis lavoriamo sulle competenze, perché ci proponiamo come specialisti e in quanto tali dobbiamo sempre conoscere il dettaglio delle possibili applicazioni ed esigenze. Inoltre, lavoriamo sullo “stare insieme”, con progetti di ampia portata come ad esempio Home values, partito nel 2022 con un orizzonte quadriennale, pensato per coinvolgere tutti – e non solo le figure tecniche o commerciali – nello sviluppo e nella trasmissione di questi valori.
16.000
OMC ATTENDEES
350 EXHIBITING COMPANIES
1.000 DELEGATES 30 SPONSORS 25 SUPPORTING ASSOCIATIONS
FOUNDERS ASSOCIATED COMPANIES
LE AZIENDE CLASSIFICATE SEVESO E I RAPPORTI CON I PORTATORI DI INTERESSE
OGGI, UN’AZIENDA RICADENTE NELL’AMBITO DELLA SEVESO, PER POTER ESERCITARE
LA PROPRIA ATTIVITÀ, DEVE ADEMPIERE AD UNA SERIE DI OBBLIGHI TRA I QUALI
SI SEGNALA L’INDIVIDUAZIONE DEGLI SCENARI DI INCIDENTE CHE POSSONO
MANIFESTARSI ALL’INTERNO DEL SITO E LE MISURE ORGANIZZATIVE PER EVITARE
DETTI INCIDENTI. MA OGGI NON È IERI ED È STATO SOLO DOPO IL DISASTRO CAUSATO
NEL 1976 DALL’AZIENDA CHIMICA ICMESA A SEVESO, E LE SUE MALDESTRE REAZIONI
NELL’IMMEDIATO, CHE AZIENDE E ISTITUZIONI HANNO COMINCIATO A RAGIONARE IN MODO SERIO SULLA GESTIONE DEL RISCHIO DI IMPATTO SULL’AMBIENTE ADIACENTE
AL PERIMETRO AZIENDALE E AI RELATIVI ECOSISTEMI
SEVESO, UNA PAROLA CHE È ENTRATA NELLA STORIA DEL ‘900
Quando sento parlare di aziende “Seveso” immediatamente il pensiero va alle immagini del disastro dell’azienda chimica ICMESA occorso nel 1976 a Meda (MB) i cui effetti drammatici hanno interessato soprattutto il territorio e la popolazione del Comune di Seveso.
Quello che accadde in quel giorno oggi potrebbe sembrare paradossale ma a seguito dell’incidente non fu dato alcun allarme da parte dell’ICMESA e la popolazione coinvolta cominciò a preoccuparsi solo dopo alcuni giorni, a seguito di anomalie nelle vicinanze dell’epicentro del disastro come la morte di piccoli animali, il deterioramento della flora e la comparsa di fenomeni irritativi alla cute e agli occhi delle persone, soprattutto dei bambini. L’allarme e le attività di messa in sicurezza delle aree coinvolte sono state tardive e improvvisate. Da un lato, l’incidente evidenziò l’inadeguatezza della Pubblica Amministrazione nell’organizzazione e nel coordinamento dei soccorsi, dall’altro l’azienda non era preparata nella gestione delle emergenze (i vertici dell’ICMESA ammisero la fuoriuscita della diossina solo dopo nove giorni dal disastro).
Il contesto storico dell’incidente è quello anni ’70, in cui l’opinione pubblica aveva iniziato a fare proprie alcune istanze ecologistiche e sociali dei sessantottini, nel mondo accademico ed economico la ricerca denuncia di Donella Meadows nel “The Limits to Growth1” aveva posto seri interrogativi sullo sviluppo industriale e della sua (in)sostenibilità e, soprattutto, era il periodo in cui la diffusione capillare delle televisioni faceva entrare nelle case della gente quello che accedeva nel mondo. Le immagini degli effetti della nube tossica di diossina rilasciata a seguito dell’incidente hanno fatto storia soprattutto perché le vittime erano persone la cui unica colpa era quella di abitare in prossimità di un’azienda ad alto rischio.
L’evento Seveso ebbe una notevole rilevanza mediatica anche a livello internazionale e spinse il mondo politico, anche grazie alle forti pressioni dell’opinione pubblica, ad affrontare il problema della sicurezza delle aziende nei confronti del territorio limitrofo per quelle realtà industriali che, in caso di incidente, potevano avere conseguenze rilevanti per la popolazione e per l’ambiente.
La prima regolamentazione importante è stata emanata dalla Comunità Economica Europea attraverso la Direttiva 82/501/CEE del 24/06/1982 passata alla storia come “Seveso I”, la cui finalità - “La presente direttiva concerne la prevenzione di incidenti rilevanti che potrebbero venir causati da determinate attività industriali, così come la limitazione delle loro conseguenze per l’uomo e l’ambiente ed è diretta in particolare a ravvicinare le disposizioni adottate in questo settore dagli Stati membri2” - faceva immediatamente intuire l’ambito di applicazione. Sfortunatamente la direttiva Seveso fu recepita in Italia solo nel 19883 attraverso il DPR N° 75 (gli stati membri avevano tempo di recepimento della direttiva entro l’8 gennaio 1984!). Per la delicatezza e complessità della materia, la prima versione della direttiva ha mostrato alcuni limiti con la conseguente necessità di aggiornamenti culminati con l’emanazione della Direttiva 96/82/CE (Seveso II), per poi giungere all’attuale normativa di riferimento attraverso la Direttiva 2012/18/UE (Seveso III) recepita in Italia dal D Lgs 105/15.
Prima dell’adozione delle normative Seveso non si conoscevano quali aziende potevano avere emergenze significative per il territorio e non vi erano vincoli specifici per l’urbanizzazione in prossimità di tali aree, tanto è vero che un gestore di un impianto ricadente nella normativa a rischio incidente rilevante mi disse che negli anni ’60 la sua azienda era in mezzo ai campi, alla fine degli anni ‘80 era circondata da case.
CHE COSA HA PORTATO LA NORMATIVA SEVESO
prima
è la Direttiva 82/501/CEE del 24/06/1982 passata alla storia come “Seveso I”
Oggi, un’azienda ricadente nell’ambito della Seveso III, per poter esercitare la propria attività, deve adempiere ad una serie di obblighi (elenco indicativo e non esaustivo) come l’individuazione degli scenari di incidente che possono manifestarsi all’interno del sito e le misure organizzative per evitare detti incidenti. Inoltre, le aziende si devono dotare di una specifica organizzazione interna per poter fronteggiare le possibili emergenze e per poter informare le pubbliche amministrazioni interessate. Più specificatamente le aziende hanno l’obbligo di segnalare immediatamente la presenza di incidenti rilevanti al sindaco dei comuni coinvolti, al prefetto e ai soccorritori esterni (vigili del fuoco, ambulanze etc.). In sede autorizzativa le aziende devono promuovere iniziative di comunicazione sul territorio per fornire alla popolazione, e alle aziende limitrofe che possono essere coinvolte in caso di incidente, le istruzioni fondamentali su come comportarsi per limitare i danni connessi con l’emergenza. Con questo non si intende dire che se va a fuoco un frigorifero all’interno di uno stabilimento a rischio si dà immediatamente l’allarme al territorio e al prefetto, ma che, a secondo il grado dell’emergenza il responsabile aziendale (che conosce bene la sua realtà) deciderà quali azioni intraprendere e, per i casi più gravi, attivare l’emergenza generalizzata avvisando tutti i portatori di interesse.
L’attuale procedura per la determinare dell’assoggettabilità o meno dell’applicazione del D Lgs 105/15 si basa sulla determinazione delle quantità di agenti chimici depositati aventi specifiche classi di pericolo oppure appartenenti ad un elenco speciale. A titolo esemplificativo un’azienda ricade nel campo di applicazione della normativa Seveso se ha/può avere in deposito agenti chimici con tossicità acuta di categoria 14 (non importa di quali agenti chimici si tratti purché abbiano la pericolosità indicata) in quantità superiore alle 5 tonnellate, oppure se l’azienda ha/può avere in deposto il nitrato d’ammonio per almeno 10 tonnellate. Se l’azienda dovesse avere più agenti chimici interessati dalla normativa, l’assoggettabilità viene data dall’applicazione di specifiche formule matematiche.
Questo sistema aiuta anche gli organi di vigilanza durante le verifiche ispettive per accertare le eventuali responsabilità delle aziende.
L’ultima versione della norma definisce chiaramente le varie figure responsabili e ha uniformato le modalità con cui le imprese possono richiedere le autorizzazioni (nelle precedenti versioni la modulistica e l’iter burocratico erano stabiliti a livello locale con notevoli differenze gli uni dagli altri). Inoltre, la Seveso III si è allineata alle nuove norme orizzontali europee sulla chimica (il Regolamento Reach n. 1907/2006 e CLP -Regolamento 1272/2008) che hanno abrogato le Direttive Sanitarie (Direttiva 67/548/CE e 1999/45/CE).
CHE COSA SIGNIFICA LAVORARE IN UN’AZIENDA SEVESO
Risulta doveroso sottolineare che le aziende a rischio incidente rilevante sono autorizzate ad esercitare la propria attività se riescono a dimostrare agli organismi di vigilanza
La
regolamentazione importante
che, nei casi di emergenza più gravi, i lavoratori possono raggiungere in sicurezza le aree di ritrovo ritenute protette. Inoltre, le squadre di gestione delle emergenze devono essere specificatamente equipaggiate formate e addestrate nella gestione delle emergenze che possono presentarsi in azienda. Le aziende Seveso hanno modalità stringenti sull’organizzazione della manutenzione ordinaria e straordinaria, come il divieto5 di eseguire lavorazioni a caldo o a fiamma libera, oppure hanno l’obbligo di programmare l’adozione di misure migliorative che permettano di ridurre il livello di rischio nel tempo.
I dipendenti, a prescindere dal ruolo ricoperto, devono conoscere le caratteristiche della propria azienda ed effettuare periodicamente attività formative e di addestramento sulle situazioni a rischio incidente rilevante ed esercitazioni sui possibili scenari di emergenza. Lo scopo è quello di fornire a tutti i dipendenti le informazioni e le competenze per poter permettere loro di mettersi al sicuro in caso di eventi critici. A secondo delle caratteristiche aziendali possono essere date in dotazione ai lavoratori specifici dispositivi di protezione individuale da utilizzare solo in caso di necessità, come ad esempio le maschere monouso “scappa scappa”6.
La formazione dei lavoratori non riguarda solo i dipendenti stretti delle aziende classificate a Rischio Incidente Rilevante, ma a tutti quelli che a vario titolo accedono in dette aziende. Da docente mi capita spesso di dover implementare specifiche azioni formative alle squadre dei tecnici manutentori che devono entrare in aziende ricadenti nel D Lgs 105/15 (Seveso III)7
La comunicazione con il territorio è fondamentale. Basti pensare che, quando vengono programmate le esercitazioni, il gestore dell’azienda a rischio incidente rilevante dovrà avere la premura di avvisare in anticipo il sindaco e tutte le persone interessate che, a tale data e a una certa ora, per via delle esercitazioni sarà attivata la sirena di allarme in modo da preparare la popolazione coinvolta ed evitare allarmismi inutili.
In conclusione, le direttive Seveso hanno avuto i seguenti effetti:
• sulle aziende soggette: impongono l’implementazione di misure organizzative atte a ridurre i rischi da incidente rilevante, con la predisposizione di una congrua squadra di gestione delle emergenze e delle procedure di comunicazione dell’allarme alle istituzioni e al territorio interessato;
• per le Istituzioni: regolamentano il regime autorizzativo delle aziende a rischio e permettono agli organismi di vigilanza di effettuare controlli e verifiche su tutti gli aspetti della normativa applicabili. Inoltre, permettono alle istituzioni il coordinamento dei soccorsi per la gestione delle emergenze;
• persone e terzi interessati: consentono di informare le parti interessate sui rischi insiti negli stabilimenti a rischio incidente rilevante e sulle procedure di attivazione dell’allarme e della messa in sicurezza.
1 Il libro nasce da una ricerca del MIT (Massachusetts Institute of Technology) commissionata dal Club di Roma sotto la direzione di Aurelio Peccei.
2 Art. 1 Direttiva 82/501/Cee
3 Tra l’emanazione della prima Direttiva Seveso e la sua implementazione dal punto di vista storico vi fu l’incidente nello stabilimento della Bhopal in India nel 1984 in cui una nube tossica di isocianato di metile uccise migliaia di persone (almeno 10.000 secondo alcune stime).
4 Tossicità acuta di categoria 1 equivale a dire letali.
5 Con alcune eccezioni se strettamente necessarie e solo dopo che si sono implementate specifiche attività di prevenzione e protezione.
6 Le maschere “scappa scappa” sono dispositivi di protezione da utilizzare solo per le attività di evacuazione al fine proteggere le vie respiratorie durante il percorso verso il punto di ritrovo. Sono dotate di specifici filtri e possono avere anche visiere protettive (hanno la forma di cappuccio). Per le loro caratteristiche intrinseche, queste maschere non possono essere utilizzate per le operazioni di soccorso.
7 Per coloro che accedono in dette aziende per attività di natura intellettuale possono essere previste attività informative sui rischio meno dettagliata della periodica.
MISURARE LA QUALITÀ
UN’ORGANIZZAZIONE ECCELLENTE DEVE
ESSERE IN GRADO DI MISURARE IL SUO LIVELLO DI QUALITÀ. SOLO IL
CONFRONTO CON UN
MODELLO DI ECCELLENZA
POTRÀ DIRE, CON BUONA
APPROSSIMAZIONE, QUALE LIVELLO DI ECCELLENZA È STATO
RAGGIUNTO E QUALI SONO
I PUNTI DI FORZA E LE
AREE DA MIGLIORARE.
VEDIAMO A TAL FINE
IL METODO PROPOSTO
DAL MODELLO EFQM
(EUROPEAN FOUNDATION FOR QUALITY MANAGEMENT), FRA I PIÙ
UTILIZZATI NEL MONDO
Negli articoli precedenti (pubblicati sui numeri 7-aprile 2022, 9-ottobre 2022 e 10-dicembre 2022), si sono considerate le problematiche relative al conseguimento della certificazione di qualità ISO 9000. Ci domandiamo ora: se seguiamo la norma, siamo sicuri di essere una organizzazione eccellente?
La risposta è semplice: una organizzazione eccellente deve essere in grado di misurare il suo livello di qualità. Solo il confronto con un modello di eccellenza potrà dire, con buona approssimazione, quale livello di eccellenza è stato raggiunto e quali sono i punti di forza e le aree da migliorare. Ciò comporta una autovalutazione che, applicando il modello l’organizzazione sarà in grado di effettuare. Il modello che attualmente è maggiormente usato nel mondo è il modello EFQM (European Foundation for Quality Management) il cui contento tecnico è assicurato dalla Associazione Premio Italiano Qualità (APQI) che ha sede a Roma presso Confindustria.
PERCHÉ UN MODELLO?
Indipendentemente dal settore in cui opera, dalle sue dimensioni, struttura o maturità, qualsiasi organizzazione ha bisogno di dotarsi di un adeguato sistema di management (“gestione”). Mediante i modelli per l’eccellenza essa può farlo nel modo migliore perché i modelli:
• sono strumenti pratici che permettono di verificare l’organizzazione a fronte di criteri largamente condivisi, derivati dalle buone pratiche di migliaia di organizzazioni eccellenti;
• forniscono una visione approfondita dell’organizzazione, essendo in grado di evidenziare i punti forti e le aree di miglioramento;
• permettono di correlare ciò che l’or-
ganizzazione fa (i “fattori abilitanti”) con i risultati che ottiene;
• sono in grado di misurare la posizione dell’organizzazione sul cammino verso l’eccellenza ed i progressi ottenuti;
• suggeriscono come confrontarsi con le organizzazioni migliori (benchmarking);
• focalizzano progetti e iniziative di miglioramento sulle priorità (best practices).
ll modello utilizzato in Europa e in altri continenti è il modello EFQM, di proprietà della omonima organizzazione non profit (European Foundation for Quality Management) su base associativa, fondata nel 1988 per iniziativa di quattordici fra le principali aziende europee, tra cui Fiat.
La missione di EFQM è di promuovere in Europa l’eccellenza sostenibile, con la visione di un mondo nel quale le organizzazioni europee svolgano un ruolo di eccellenza; è giunta ad annoverare migliaia di membri nella maggior parte dei paesi europei e nella quasi totalità dei settori di attività. Con il sostegno dell’Unione Europea dal 1991 istituisce il premio annuale European Quality Award (EQA).
EFQM ha sede a Bruxelles e il modello, in continua espansione e aggiornato periodicamente, è applicato da:
• più di 50mila organizzazioni in tutt’Europa;
• il 60% delle maggiori organizzazioni europee;
• nove delle tredici organizzazioni europee che figurano nella lista delle cinquanta World’s Most Respected Companies del Financial Times;
• non meno di 100.000 PMI;
• centinaia di organizzazioni del settore pubblico.
I dati in continuo aumento confermano il successo del modello.
Esiste una sostanziale coincidenza tra i concetti del modello EFQM e i principi di gestione della qualità secondo ISO 9004
A) OTTENERE RISULTATI ECCELLENTI, SOSTENUTI NEL TEMPO
Identificando e comprendendo i risultati chiave adatti a soddisfare Missione e Visione
Raccogliendo le esigenze e le aspettative degli Stakeholder
Usando un equilibrato insieme di risultati per riesaminare i progressi ottenuti
Adottando meccanismi efficaci per capire gli scenari futuri
Definendo i risultati richiesti e i relativi indicatori di performance
Sviluppando strategie e politiche di supporto
Garantendo a tutti gli stakeholder trasparenza e informazioni accurate
B) CREARE VALORE AGGIUNTO PER I CLIENTI
Conoscendone e antecipandone le esigenze e aspettative
Dialogando in modo aperto e trasparente
Usando l’innovazione per creare loro valore
Dotando il personale di strumenti e conoscenze atte a massimare il rapporto coi clienti
Dimostrando flessibilità nel riesaminare, adattare, correggere quando più necessario
Essendo aperti alle novità in modo di mantenere vantaggi sostenibili nel mercato
Ispirando il personale e creando una cultura del coinvolgimento
Promuovendo l’innovazione sostenibile esaminando i risultati dei processi Agendo come modelli di integrità, responsabilità sociale, comportamento etico
D) GESTIRE PER PROCESSI
Creando e gestendo una rete di processi rivolti all’attuazione delle strategie
Sviluppando una serie di indicatori di efficienza ed efficacia dei processi stessi
Pianificando i risultati dei processi, controllandone e/o monitorandone il raggiungimento
Adottando le decisioni di miglioramento stabilendone le priorità Ottenendo,durante lo svolgimento dei processi, elevati livelli di fiducia da tutti gli stakeholder
Gestendo processi trasversali all’interno e all’esterno dell’organizzazione
I CONCETTI FONDAMENTALI DELL’ECCELLENZA SECONDO IL MODELLO EFQM
Esiste una sostanziale coincidenza tra i concetti fondamentali del modello EFQM e i principi di gestione della qualità secondo ISO 9004; in sostanza il modello è il naturale proseguimento del percorso di consolidamento e della strutturazione del sistema di management per chi lo ha costruito basandosi sulle norme ISO 9000. Nel seguito, vediamo quali sono i concetti salienti e come si possono soddisfare.
Utilizzando regolarmente strumenti di controllo della loro soddisfazione
Coinvolgendo i clienti nello sviluppo di nuovi prodotti
Confrontando la propria prestazione con l’obiettivo
C) ESERCITARE LA LEADERSHIP CON VISIONE, ISPIRAZIONE, INTEGRITÀ
Stabilendo e comunicando la direzione da intraprendere ai propri collaboratori
Bilanciando le esigenze dell’organizzazione e quelle dei collaboratori
Decidendo in modo appropriato e tempestivo
E) OTTENERE IL SUCCESSO ATTRAVERSO LE PERSONE
Conoscendo le competenze richieste al raggiungimento di missione, visione, obiettivi
Creando cultura per lo sviluppo del talento e creatività dei collaboratori (risorse umane)
Sviluppando nelle risorse umane uno spirito di autentica partnership
Allineando gli obiettivi delle risorse umane con quelli dell’organizzazione
Adottando accorgimenti atti a garantire equilibrio tra lavoro e vita privata Garantendo e favorendo le pari opportunità
I CONCETTI FONDAMENTALI DELL’ECCELLENZA
Farsi carico delle responsabilità per un futuro sostenibile
Costruire le partnership
Favorire lo sviluppo di creatività e innovazione
Ottenere il successo attraverso le persone
Definendo con chiarezza i livelli di responsabilità
Stabilendo gli obiettivi personali e definendone i riconoscimenti
Incoraggiando le risorse umane a farsi creatori e ambasciatori del successo dell’organizzazione
F) FAVORIRE LO SVILUPPO ATTRAVERSO LA CREATIVITÀ E L’INNOVAZIONE
Gestendo reti per identificare opportunità provenienti sia da esterno che da interno
Fissando obiettivi per la creatività e innovazione
Stimolando il coinvolgimento delle risorse umane
Creando una cultura imprenditoriale
Impiegando la creatività e l’innovazione per offrire nuovi modi di creare valore per i clienti
Usando la creatività e l’innovazione per migliorare l’immagine dell’organizzazione e affrontare con successo le sfide
Sviluppando la creatività e l’innovazione con una rete appropriata e dedicata di processi
Misurando l’impatto e il valore ag-
Ottenere risultati bilanciati
Creare valore aggiunto per i clienti
Esercitare la leadership con visione, ispirazione e integrità
Gestire per processi
giunto di creatività e innovazione
G) COSTRUIRE LE PARTNERSHIP
Essendo consapevoli che il successo dipende anche dalle partnership sviluppate
Cercando partner adatti a aumentare la loro capacità di generare valore per gli stakeholder Stabilendo reti estese per identificare potenziali opportunità di partnership
Identificando partnership in base a complementarietà, punti di forza e capacità
Gestendo impeccabilmente i processi connessi
Instaurando rapporti di lavoro per ottenere benefici reciproci
Costituendo con i partner rapporti duraturi basati su rispetto,fiducia e trasparenza
WH) FARSI CARICO DELLE RESPONSABILITÀ PER UN FUTURO SOSTENIBILE
Stabilendo un obiettivo da porre a base della loro visione, i valori, l’etica e l’organizzazione
Riconoscendo se le proprie compe-
tenze chiave possono recare benefici alla società
Assumendo come riferimento la sostenibilità sociale, economica ed ecologica
Dimostrando che la loro attività non danneggia la salute, la sicurezza e l’ambiente
Garantendo, nell’ambiente di lavoro delle risorse umane, salute e sicurezza Controllando che le risorse umane agiscano con correttezza e comportamento etico
Incoraggiando gli stakeholder ad impegnarsi in attività a favore della società
Essendo spinti dal desiderio di non limitarsi al rispetto degli obblighi di legge
Mettendo a disposizione risorse per il soddisfacimento di esigenze a lungo periodo
Nella prossima parte dell’articolo, che pubblicheremo sul numero 12-aprile 2023 di Chimica Magazine, verrà trattata la struttura del modello EFQM con i principali criteri di confronto e di valutazione.
L’attività inventiva nei BREVETTI CHIMICI
Per facilitare questo compito, l’Ufficio Europeo Brevetti (EPO) ha adottato un metodo (PSA) che prevede alcuni step e che va supportato da una specifica attività di ricerca
L’attività inventiva è uno dei requisiti affinché un brevetto sia concedibile ed è valutato all’Ufficio Europeo Brevetti (EPO) con il metodo “problema – soluzione”1, utilizzato in alcune decisioni storiche delle Commissioni di Ricorso (es. T1/80, T24/81 e T248/85) e poi divenuto prassi comune nella valutazione del passo inventivo. L’articolo di riferimento della Convezione sul Brevetto Europeo (CBE) è il 56 e recita:
An invention shall be considered as involving an inventive step if, having regard to the state of the art, it is not obvious to a person skilled in the art. If the state of the art also includes documents within the meaning of Article 54, paragraph 3, these documents shall not be considered in deciding whether there has been an inventive step.
L’articolo 48 del Codice di Proprietà Industriale (CPI) presenta praticamente lo stesso contenuto:
Un’invenzione è considerata come implicante un’attività inventiva se, per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica. Se lo stato della tecnica comprende documenti di cui al comma 3, dell’articolo 46, questi documenti non sono presi in considerazione per l’apprezzamento dell’attività inventiva.
La valutazione dell’attività inventiva è subordinata alla sussistenza del requisito di novità ma non si tratta di un requisito di minore importanza; anzi, un’invenzione è dotata di passo inventivo se è sostanzialmente differente dalla tecnica nota.
Si tratta di un requisito più soggettivo
da valutare rispetto alla novità. Per questo motivo all’EPO è stato elaborato un metodo ad hoc (PSA, metodo “problema – soluzione”), che consentisse una maggiore oggettività.
Il metodo consiste nei seguenti passaggi:
1. Definizione dello stato della tecnica più vicino all’invenzione (la cosiddetta closest prior art2);
2. Individuazione delle differenze tra le caratteristiche tecniche rivendicate nella domanda di brevetto in esame e quelle appartenenti alla tecnica nota (le cosiddette caratteristiche distintive);
3. Riconoscimento dell’effetto tecnico derivante dalle differenze rilevate (per esempio, proprietà terapeutiche superiori);
4. Determinazione su come avrebbe risolto lo stesso problema un tecnico del settore, basandosi su quanto suggerito dalla tecnica nota e sulle comuni conoscenze generali conseguite nel corso degli studi universitari e dalle pratiche di laboratorio.
Sentenze delle Commissioni di Ricorso dell’EPO
Il sito web dell’EPO è una fonte di utili informazioni per capire come viene
Mentre il requisito della novità è oggettivo, poiché è facile stabilire se un composto chimico è già stato descritto, quello dell’attività inventiva è piuttosto soggettivo e dipende da ciò che insegna lo stato della tecnica.
La somiglianza strutturale non è un indizio di mancanza di attività inventiva; occorre dimostrare che le differenze non sono significativedi Massimo Barbieri, Politecnico di Milano Technology Transfer Office
Tabella 1 Numero di opposizioni nelle categorie C07 e A61K
applicato il metodo PSA, sia tramite una piattaforma di e-learning dedicata3, con esercizi specifici in campo chimico, sia attraverso la lettura delle sentenze emesse dalle Commissioni di Ricorso. Il reperimento di tali decisioni è facilitato da un’interfaccia grafica
utente4 dotata di molti campi di ricerca, tra cui il numero della sentenza di opposizione, il titolo e il numero della domanda di brevetto, l’articolo della CBE inerente alla sentenza, il codice di classificazione IPC, ecc...
Nella tabella 1 sono riportati i dati
corrispondenti al numero di opposizioni che riguardano la chimica organica (IPC=C07) e le preparazioni farmaceutiche (IPC=A61K).
I criteri di ricerca utilizzati (v. Figura 1) sono il codice di classificazione IPC e l’articolo della CBE relativo ad uno specifico requisito di legge (art. 54 –Novità; art. 56 – Attività inventiva).
Il 75% dei procedimenti di opposizione è stato svolto in lingua inglese. Nel 60% dei casi la mancanza di attività inventiva viene citata come uno dei motivi principali dell’opposizione.
Nel 2021 il numero di casi di opposizione nel settore della chimica è aumentato rispetto al 2020 (755 vs 573)5, pur essendo una percentuale molto bassa rispetto al numero di domande depositate e di brevetti concessi (4-5%).
Nella Figura 2 sono riportati gli esiti delle opposizioni all’EPO (dato 2017): quasi il 70% dei brevetti non è stato ritenuto valido. Da ciò si può dedurre che:
1. Il numero di brevetti rilevanti per il mercato è relativamente esiguo;
2. La validità di un brevetto è verificata nel corso di una procedura amministrativa di opposizione o in una causa di nullità;
3. La valutazione dell’attività inventiva è piuttosto complessa e non sempre effettuata in modo adeguato.
Rapporti di ricerca dell’EPO
Nei rapporti di ricerca emessi dall’EPO, i documenti pregiudizievoli del requisito di inventività sono citati sia nella categoria X (è considerato il contenuto tecnico di un singolo articolo scientifico o di un brevetto, a cui si aggiungono le comuni conoscenze
generali del tecnico medio del settore) sia nella categoria Y. In quest’ultimo caso, i documenti Y citati devono essere necessariamente due (v. Figura 3), in quanto è proprio la combinazione delle informazioni contenute nelle due anteriorità citate a rendere la domanda di brevetto carente del requisito di inventività. [1]
noto nello stato della tecnica. Il metodo PSA dell’EPO si propone di rendere meno soggettiva questa valutazione, individuando il documento di arte nota più vicina all’invenzione (closest prior art), le differenze tecniche distintive e chiedendosi se il tecnico medio sarebbe stato in grado di modificare la tecnica nota più vicina per giungere all’invenzione così come rivendicata nella domanda di brevetto. Detto in altri termini, ci deve essere una motivazione, suggerita dalla prior art, che conduce il tecnico del settore nella direzione dell’invenzione; se tale motivazione (o insegnamento) non esiste, allora l’invenzione è da considerarsi dotata di inventività.
Peculiarità dei brevetti chimici nella valutazione dell’inventività
Come già menzionato nell’introduzione, mentre il requisito della novità è oggettivo (è facile stabilire se un composto chimico è già stato descritto), quello dell’attività inventiva è piuttosto soggettivo e dipende da ciò che insegna lo stato della tecnica. L’esempio riportato nell’articolo di Atkinson & Jones [2] è piuttosto esplicativo ed intuitivo: supponiamo che l’estere metilico dell’acido acetico sia
noto, ma non il suo omologo, ovvero l’estere etilico (v. Figura 4). In questo caso, è molto probabile che l’estere etilico, pur essendo nuovo e strutturalmente analogo, sia considerato ovvio (il tecnico medio sarebbe in grado di sintetizzarlo per analogia). Inoltre, in mancanza di ulteriori fattori, l’ovvietà si basa su considerazioni che riguardano le proprietà chimico/fisiche dei due composti, che in questo caso sono pressoché simili.
Pertanto, un’invenzione è dotata del requisito dell’attività inventiva se non deriva in modo ovvio da quanto già
Una somiglianza strutturale tra due composti chimici non è necessariamente indice di mancanza di attività inventiva: occorre valutare se lo stato della tecnica suggerisce al tecnico del settore la realizzazione di tale modifica per ottenere lo stesso scopo dell’invenzione. Nella sentenza T852/916, la
Commissione di Ricorso dell’EPO ha considerato i composti rivendicati nella domanda di brevetto EP0227241 (derivati dell’indolo e dell’indazolo utilizzati come antagonisti del leucotriene) dotati del requisito di inventività, perché non vi era un’indicazione nello stato della tecnica7 a modificare il sostituente acido sull’anello benzenico con un qualsiasi residuo acido (in questo caso con un gruppo chetosolfonico), mantenendo allo stesso tempo le medesime proprietà biochimiche. Le modifiche strutturali possono essere di diverse tipologie (sostituzione, addizione, eliminazione, selezione) ma non sono sufficienti per affermare o negare l’inventività di una nuova soluzione tecnica. La correlazione struttura (di un composto chimico) – attività (biologica) deve essere presa in considerazione, così come l’insegnamento tecnico dedotto dalla cosiddetta prior art. Esempi di modifiche strutturali sono qui elencate:
1. Cl CF3
2. Benzene piridina
3. Fenile naftile
4. F H
5. CF3 CH2CH2OCH3
Senza una motivazione plausibile nella sostituzione, per esempio di un gruppo fluorurato con un gruppo alchilico o di un atomo di fluoro con un atomo di idrogeno, che fornisca una proprietà vantaggiosa (per es. un aumento delle proprietà farmacologiche) non riconducibile a un insegnamento tecnico derivante dalla prior art, la modifica non può essere considerata inventiva.
NOTE
Occorre verificare l’impatto di una modifica strutturale e se questa informazione è già disponibile nella prior art per molecole simili
Il fatto che una semplice modifica a una molecola complessa possa portare a risultati non previsibili in merito ad una particolare attività e/o funzione può avere notevoli ripercussioni sulla valutazione di un’invenzione.
Questo assunto, inoltre, comporta un ulteriore onere per il titolare di una domanda di brevetto che rivendica un insieme ampio di composti chimici, riconducibile ad una formula di struttura di tipo Markush, dove uno o più gruppi funzionali possono assumere diversi significati.
In questo caso non è sufficiente fornire una singola via di sintesi e riportare l’attività di uno dei composti ricompresi nella formula generale ma è necessario dimostrare che la proprietà specifica sia presente in tutti i composti rivendicati e che ciascuno di essi possa essere realmente sintetizzato. [3] Nelle invenzioni di selezione, tutti i composti selezionati devono condividere uno specifico effetto tecnico, che non era evidente nella formula generale più ampia. Anche in questo caso la domanda da porsi è la seguente: esistono suggerimenti e/o indicazioni nello stato dell’arte che avrebbero condotto un tecnico del settore ad effettuare la selezione? Gli intermedi chimici utilizzati per la preparazione di composti finali noti possono essere considerati inventivi solo in certe circostanze. L’intermedio deve essere nuovo e servire a
1 S’identifica il problema tecnico e si valuta come è stato risolto.
2 Di solito si tratta di un singolo documento tecnico (articolo scientifico o brevetto).
3 https://e-courses.epo.org/course/view.php?id=58
4 https://www.epo.org/law-practice/case-law-appeals/advanced-search.html
5 https://documents.epo.org/projects/babylon/eponet.nsf/0/A3ED90EB5D3F19B9C1258822004BFBFC/$File/EPO-AnnualReportBoA2021-ENG-ES-E11.pdf
6 https://www.epo.org/law-practice/case-law-appeals/recent/t910852eu1.html
7 La prior art rendeva noti solo i seguenti gruppi: residuo carbossilico, acilsolfonammide, tetrazolil
migliorare il procedimento di sintesi. La forma cristallina di un principio attivo noto non è inventiva, a meno che non si dimostri la presenza di una proprietà inattesa o che sia confutato un pregiudizio tecnico.
In una miscela di due o più componenti, l’effetto sinergico deve essere inaspettato e dimostrato sperimentalmente e non per analogia rispetto a composizioni simili.
Conclusioni
Valutare il requisito dell’attività inventiva dei composti chimici è piuttosto complesso e soggettivo. Per facilitare questo compito, l’EPO ha adottato un metodo (PSA) che prevede alcuni step, tra cui la determinazione della closest prior art, la definizione del problema tecnico (ed eventualmente la sua riformulazione), l’identificazione della soluzione e l’esame dell’eventuale ovvietà alla luce della tecnica nota.
In generale, la somiglianza strutturale non è un indizio di mancanza di attività inventiva; occorre dimostrare che le differenze non sono significative, nel senso che non modificano le proprietà e/o l’attività dei composti chimici rivendicati. La correlazione struttura – funzione/attività è imprescindibile per valutare l’impatto scaturito dalla modifica di un gruppo funzionale. Verificare che tale informazione fosse già nota e/o facilmente deducibile, richiede l’esecuzione di un’approfondita ricerca di prior art.
[1] K. Loveniers, World Pat. Inf. (2018), 54, S23-S28: https://doi.org/10.1016/j.wpi.2017.03.008
[2] J. Atkinson, R. Jones, Future Med. Chem. (2011) 3(15), 1851 – 1854 https://doi.org/10.4155/ fseb2013.14.259
[3] H. Tostmann, ACS Med. Chem. Lett. (2015), 6, 364 – 366 https://doi.org/10.1021/ acsmedchemlett.5b00116
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