Ravenna IN Magazine 05 2018

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R AV EN N A N° 5 DICEMBRE 2018/GENNAIO 2019

MAGGIANI

Maurizio

RACCONTARE L’AMORE

SONIA BALDINI / Scenografie da regina PALAZZI IMPERIALI / Dimora di re e imperatori PAOLO BALDASSARI / Pittore di cronaca


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EDITORIALE

SOMMARIO

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La copertina di questo ultimo numero dell’anno è dedicata allo scrittore pluripremiato Maurizio Maggiani, che ha trovato nella campagna faentina il suo luogo di riflessione. Intervistiamo la set designer Sonia Baldini, che con creatività crea scenografie uniche, e la giovane fotografa e visual artist Silvia Bigi. Parliamo di sport con la ciclista Sofia Collinelli, reduce da importanti successi, e d’arte con il pittore di cronaca Paolo Baldassari. Scopriamo la residenza di re e di imperatori e i ristoranti ravennati che quest’anno sono rientrati nella lista Bib Gourmand Michelin. Incontriamo il pianista e compositore Matteo Ramon Arevalos, la pittrice Laura Andrea Caviglia e la scrittrice Ornella Fiorentini, per volare poi a New York con la lighting designer Elisa Forlini. Agli amanti della cucina e dei viaggi consigliamo alcune guide e libri, Infine, tra mito e leggenda, parliamo del poeta Lord Byron. Andrea Masotti

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ANNOTARE

Brevi IN

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ESSERE

Maurizio Maggiani

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CREARE

Sonia Baldini

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FOTOGRAFARE

Silvia Bigi

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PEDALARE

Sofia Collinelli

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COMANDARE

Palazzi imperiali

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EDIZIONI IN MAGAZINE S.R.L. Via Napoleone Bonaparte, 50 - 47122 Forlì Tel. 0543.798463 / Fax 0543.774044 www.inmagazine.it info@inmagazine.it DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Masotti REDAZIONE CENTRALE: Clarissa Costa, Gianluca Gatta, Beatrice Loddo COORDINAMENTO DI REDAZIONE: Roberta Bezzi ARTWORK: Lisa Tagliaferri IMPAGINAZIONE: Francesca Fantini UFFICIO COMMERCIALE: Michela Asoli Gianluca Braga, Elvis Venturini STAMPA: La Pieve Poligrafica Villa Verucchio (RN) ANNO XVII - N. 5 Chiuso per la stampa il 17/12/2018 Collaboratori: Lidia Antonellini, Andrea Casadio, Roberta Bezzi, Alessandro Bucci, Anna de Lutiis, Pierluigi Moressa, Serena Onofri, Giorgio Pereci, Aldo Savini. Fotografi: Francesco Corticchia, Lidia Bagnara, asailvia Bigi, Massimo Fiorentini, Angelo Palmieri.

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ILLUMINARE

Elisa Forlini

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DEGUSTARE

Ristorazione Gourmand

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NARRARE

L’Eroe Romantico

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DIPINGERE

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Paolo Baldassari

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SUONARE

Edizioni IN Magazine si impegna alla salvaguardia del patrimonio forestale aderendo al circuito di certificazione di FSC-Italia.

Tutti i diritti sono riservati. Foto e articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e citando la fonte.

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Matteo Ramon Arevalos

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SOGNARE

Due anime artistiche

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ANNOTARE

La nonnina della MARATONA RAVENNA Molti partecipanti

Passeggiata in DARSENA RAVENNA Qualcosa si sta muovendo per la riqualificazione urbana della Darsena di città. Il Comune di Ravenna anticiperà 700.000 euro per la passeggiata lungo il canale: sarà una passerella sopraelevata di 80 cm che, partendo dalla radice del canale arriverà fino al ponte mobile, per una lunghezza di 280 metri. La struttura segnerà un riappropriarsi del rapporto con l’acqua e un elemento di collegamento funzionale con le attività che in parte già esistono. Non mancheranno spazi di sosta, sedute, fioriere e alberature, pubblica illuminazione, portabiciclette e leggii dedicati alla passeggiata letteraria. La pavimentazione sarà in legno, come i rivestimenti delle sedute.

Apre il museo CLASSIS RAVENNA Un tempo era un ex zuccherificio additato come simbolo

di degrado sociale, oggi un biglietto da visita di Ravenna e della sua illustre storia. Si chiama Classis, il nuovo museo della città e del territorio, inaugurato sabato 1 dicembre a Classe e destinato a diventare un punto culturale di riferimento per chiunque voglia conoscere la storia di Ravenna, dai primi insediamenti alla civiltà etrusca, fino al ruolo importante in epoca romana e a quello di capitale dell’Esarcato Bizantino. Sorge a pochi passi dalla basilica di Sant’Apollinare in Classe, tra i massimi tesori di Ravenna. Si tratta del più importante intervento di archeologia industriale per la realizzazione di un contenitore culturale, a livello nazionale. La progettazione è stata affidata all’architetto Andrea Mandara che ha operato al servizio di un comitato scientifico coordinato dal professor Andrea Carandini. Sotto le imponenti campate, l’area espositiva si sviluppa su 2.600 mq. Tutto intorno, un’oasi verde di 15.000 mq. La linea del tempo, che segna il percorso di visita, ha in oltre 600 reperti il perno della narrazione, per coprire il periodo storico che va dall’epoca preromana all’anno Mille. Fino al 7 gennaio il museo sarò aperto tutti i giorni dalle 10 alle 18. Biglietto intero a 7 euro (5 euro ridotto, 20 euro biglietto famiglia). Visite guidate su prenotazione.

all’ultima edizione della Maratona di Ravenna Città d’Arte la ricordano affettuosamente come la nonnina che dava il cinque ai runner. Il suo gesto semplice ma di cuore ha emozionato, al punto che qualcuno l’ha ripresa e il video che la vede protagonista ha spopolato sul web. Per questo motivo, l’ottantaquattrenne ravennate Valeria Corelli ha ricevuto un premio speciale: come i migliori runner del mondo, la medaglia ufficiale della ventesima Maratona di Ravenna creata da Annafietta. In passato, la simpatica nonnina è stata una buona atleta, praticando diversi sport fra cui l’atletica, poi anche la pallavolo e la pallacanestro. La sua più grande soddisfazione? Arrivare terza ai Campionati regionali dei 3.000 metri, la sua vera specialità.

Villaggio NATALIZIO MILANO MARITTIMA Per le festività, Milano Marittima sarà regina

di un Natale scintillante con Mima On Ice e le sue Emozioni di luce. Il grande villaggio natalizio apre la quarta edizione nel salotto della località, brillando con scenografiche, installazioni luminose provenienti da Dubai, giochi di luci sulla pista di ghiaccio rotonda più grande d’Europa. Molte le novità di questo festival di luci, che ha nell’asse viale Matteotti-viale Gramsci, le vie dello shopping griffato, un’unica promenade d’elegante effetto. In viale Matteotti, sul quale si affaccerà il palco, sono state installate grandi sculture luminose, alte oltre 2 metri, che richiamano luxury, moda e arte. In questo viale infatti sono collocati gli elementi che costituiscono il rinnovato Giardino degli alberi di Natale, composto da piramidi decorate artisticamente. In viale Gramsci è invece prevalentemente dedicato al family. 4

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ANNOTARE

Mario Beltrami IN MOSTRA Christmas Time A MIRABILANDIA SAVIO Il divertimento è

assicurato al noto parco di Mirabilandia dove, fino al 6 gennaio, sarà possibile vivere la magica atmosfera del Natale con Christmas Time. Da provare la nuova area La Terra delle Nevi Eterne, dedicata ai grandi e piccini, allestita come un fantastico mondo fiabesco abitato da pinguini, orsi polari, principesse e fatine delle nevi. A regalare sorrisi a tutta la famiglia sono anche i nuovi show, fra cui Un bisbetico a Natale e Merry Woof! The Dog Comedy Show. Ogni giornata del Christmas Time si concluderà con una speciale parata in cui i protagonisti sfileranno sulle note delle tradizionali canzoni natalizie. Il parco resterà aperto dalle 11 alle 18.

Il restauro DEL PAVAGLIONE LUGO Grande festa a Lugo dove, a inizio dicembre, è stato inaugurato il Pavaglione rinnovato dopo gli interventi di restauro. Il monumento simbolo della località è stato riportato completamente al suo originario splendore, proprio poco prima dell’inizio delle attese festività natalizie, in modo che le famiglie lughesi potessero ammirare l’albero e divertirsi con la pista di ghiaccio. I lavori sono iniziati nel 1997, con il rifacimento della pavimentazione, che ha portato al restauro del 70% delle lastre e alla posa del 30% di nuove, con un investimento di un milione e mezzo di euro. Nel 2015 sono stati inseriti i tiranti per consolidare la struttura delle logge e delle volte ed è stato riqualificato il piazzale interno, la piazza Mazzini, con un costo rispettivamente di 400.000 e 700.000 euro. In seguito sono stati restaurati i frontoni e nello scorso anno è stato avviato un lavoro di rimozione dell’intonaco dai 92 pilastri del quadriportico e di finitura delle logge interne del Pavaglione. Infine, è stato portato a termine il recupero delle facciate esterne. Il costo dell’intervento di restauro delle facciate interne ed esterne è di 1 milione 600.000 euro. “Oggi si completa un lungo restauro per restituire alla comunità un simbolo di cultura e uno spazio di aggregazione” ha sottolineato il presidente della Regione Stefano Bonaccini.

RAVENNA Resterà aperta fino al 6 gennaio, nello spazio espositivo Palazzo Rasponi 2, la mostra La persistenza della luce dell’artista romagnolo Mario Beltrambini che, da vent’anni, indaga la realtà degli spazi indecisi e indecifrati della pianura padana romagnola utilizzando una tecnica in apparenza desueta come quella stenopeica. L’evento è frutto di una fortunata collaborazione tra l’assessorato alle Politiche giovanili del Comune di Ravenna e l’Associazione Savignano Immagini, nata lo scorso anno e portata avanti quest’anno per raccontare il legame profondo che si instaura tra i luoghi e le persone attraverso le cosiddette immagini slow, in netta controtendenza rispetto alle attuali fast photography, di facile consumo e spesso di scarsa comprensione. A curare la mostra è l’autorevole giornalista e critico Denis Curti.

Giorgia Tonini è MISS AMERICAN DREAM CERVIA Si chiama Giorgia Tonini la cervese meglio conosciuta con il

nome d’arte Miss Rising Sun, come il cavallo di Elvis Presley, che ha vinto il Pin Up Contest svoltosi alla Fiera di Padova, conquistando il titolo di Miss American Dream 2018. Determinanti per la vittoria sono stati lo stile, il look, lo standing e la performance. Ora l’artista è in lizza per partecipare al concorso del settore più importante del mondo, ossia Miss Viva Las Vegas, che si tiene negli Stati Uniti. Giorgia adora tutto ciò che profuma di vaniglia e zucchero filato. Ha la passione per il teatro e per le gonne a ruota, ovviamente. Ed è anche un’appassionata di viaggi, motivo per cui – nel tempo libero – ha aperto un travel blog La valigia di Pimpi in cui si diverte a condividere il suo allegro vagabondare. Ricca e divertente è la sezione Romagna in Love in cui propone itinerari alla scoperta della sua terra. 6

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Sotterranei e segreti DI RAVENNA

Il nuovo Palazzetto DELLO SPORT

RAVENNA Ma guarda, questa non la sapevo. È un’esclamazione che potrà sfuggire più di una volta anche a chi non è del tutto digiuno di storia ravennate nello sfogliare l’ultima fatica di Paola Novara, funzionaria del Museo Nazionale di Ravenna, archeologa di formazione e nota studiosa soprattutto del periodo antico e medievale della città. Sotterranei e segreti di Ravenna (Società Editrice Il Ponte Vecchio, 2018) è un viaggio nella storia di Ravenna attraverso lo studio di personaggi, eventi e luoghi talvolta noti, talaltra assai meno: da Teodorico a Drogdone, da Bessarione a S. Argiride, fino agli esordi dell’archeologia moderna nel XIX secolo. Ne emerge una visione inconsueta delle vicende ravennati attraverso i secoli, di piacevole lettura e al tempo stesso fondata su una solida competenza storiografica. (A.C.)

RAVENNA Sarà il grande

Il Pentagono premia STUDIOMAPP RAVENNA La start-up Studiomapp, con base a Ravenna e a Roma,

è stata premiata nella sfida lanciata dal Pentagono per ottimizzare l’analisi di immagini satellitari usando l’intelligenza artificiale. La start-up si è aggiudicata, infatti, il quarto posto nel concorso DIUx xView 2018 Detection Challenge, organizzato dal Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti in collaborazione con la National Geospatial Intelligence Agency. “Quando siamo venuti a conoscenza della sfida lanciata dal Pentagono – commenta Angela Corbari, cofondatrice e direttrice operativa di Studiomapp – abbiamo deciso di metterci in gioco. Siamo specializzati in Location Intelligence, e le immagini satellitari sono una delle fonti dati principali che usiamo per reperire informazioni sul territorio e l’ambiente su scala mondiale”.

palazzetto che Ravenna non ha mai avuto, in grado di ospitare eventi sportivi di portata nazionale, ma anche manifestazioni culturali, concerti e fiere del calibro dell’Omc – Offshore Mediterranean Conferenze Exhibition. Sorgerà a fianco dello storico Pala De Andrè, con cui si integrerà alla perfezione, per formare la Città delle Arti e dello Sport. Un progetto ambizioso da circa 15 milioni di euro, ufficialmente presentato dal Comune di Ravenna che, a breve, renderà noto il bando per gli sponsor. Il nuovo palazzetto avrà circa 6 .000 posti a sedere che si aggiungono così ai 3.000 dell’altra struttura dedicata a Mauro De Andrè, per un totale di 9.000 posti. “Compiamo un ulteriore passo avanti nella realizzazione di un’opera strategica capace di attrarre eventi importanti”, dichiara il sindaco Michele de Pascale.

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ESSERE

Raccontare

L'AMORE

LO SCRITTORE PLURIPREMIATO MAURIZIO MAGGIANI CI RACCONTA L’AMORE, IL SUO ULTIMO ROMANZO. NATO IN LIGURIA, HA TROVATO NELLA CAMPAGNA FAENTINA IL SUO LUOGO DI RIFLESSIONE E RIFUGIO. di Roberta Bezzi / ph Lidia Bagnara

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Ha un animo delicato che traspare immediatamente attraverso il tono sottile con cui le parole fluiscono, come un fiume in piena, una volta superata la naturale ritrosia. Una ritrosia che si trasforma in imbarazzo e persino fastidio, quando gli si fa notare che è lo scrittore più premiato d’Italia. Perché sì, Maurizio Maggiani, ha vinto tutto ciò che è possibile vincere e – se si considera che non è neppure nato col sogno di fare questo nobile mestiere – è davvero un traguardo incredibile. Con il racconto Prontuario per la donna senza cuore ha ottenuto nel 1987 il Premio Inedito – L’Espresso, con Il coraggio del pettirosso nel 1995 il Premio Viareggio e il Campiello, con La regina disadorna nel 1998 il Premio Stresa di Narrativa e il Premio letterario Chianti, con Il viaggiatore notturno nel 2005 il Premio Strega ma anche i premi Ernest Hemingway e Parco della Maiella. Prima di scoprire un tale talento, ha dovuto faticare e fare molto altro ancora: il maestro, il venditore di pompe idrauliche, il fotografo industriale, il mercante di arte contempo-

ranea, l’impiegato pubblico. Nato in una famiglia modesta nella frazione Molinaccia di Castelnuovo Magra in Liguria, è stato il primo della sua famiglia a spingersi fino al diploma. E persino alla laurea, conquistata a quarant’anni, dando un esame dopo l’altro sfruttando i pochi ritagli di tempo. Mosso da una grande curiosità e dal desiderio di stare in movimento, ha avuto una vita irrequieta e ricca di momenti fortunati. Da qualche anno ha trovato il suo rifugio nella campagna faentina, dove vive insieme all’amata moglie Gloria, detta la Faenza. E proprio al più nobile dei sentimenti è dedicato il suo ultimo romanzo, intitolato semplicemente L’amore (Feltrinelli Editore), che sta riscuotendo un grande successo di pubblico e critica. Maurizio Maggiani, perché proprio un romanzo sull’amore? “Il mio è un gesto di teppismo letterario o, ancora meglio, di rivolta civile. Un sasso lanciato in quest’epoca che ormai ha ben poco di amorevole o amoroso. Amore è una parola che sento


ENIZ AGAM NI

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usare raramente, è un sostantivo astratto, facile preda di confusione e manipolazione”. Ed è soprattutto la storia di un amore felice… “Sì, ne è protagonista infatti un innamorato preso all’apice del suo sentimento. Ed è proprio per questo che il mio libro è anche un gesto di orgoglio sconsiderato, oltre che un modo di sperare che nella vita di tutti l’amore rivesta un ruolo così prezioso”. E proprio grazie all’amore, questa volta non ricambiato, ha preso il via la sua carriera letteraria. Giusto? “Sì. Ero già adulto e mi ero rotto una gamba in cinque pezzi, in uno strepitoso incidente in moto. Durante i tre lunghi anni di riabilitazione, a un certo punto ho scritto una lettera a una donna che poi un amico ha spedito – a mia insaputa – a un concorso per componimenti letterari inediti diventato leggendario per la notevole partecipazione popolare”. Quella lettera, intitolata

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“IL MIO È UN GESTO DI TEPPISMO LETTERARIO O, ANCORA MEGLIO, DI RIVOLTA CIVILE. UN SASSO LANCIATO IN QUEST’EPOCA CHE ORMAI HA BEN POCO DI AMOREVOLE O AMOROSO. AMORE È UNA PAROLA CHE SENTO USARE RARAMENTE, È UN SOSTANTIVO ASTRATTO”.

Prontuario per la donna senza cuore, le ha fatto vincere il concorso sotto forma di racconto popolare… “Sì, ma non l’amore di quella ragazza che – pare incredibile a dirlo – voleva solo il mio corpo e non la mia anima. Anzi le cose con lei peggiorarono ulteriormente, ma da quel momento ho cominciato a ricevere telefonate da editori che mi chiedevano se per caso avessi qualcosa nel cassetto. Il mio cassetto era vuoto, ed è sempre rimasto così, ma alla quinta telefonata ho detto di sì e la mia vita è cambiata”. A tal punto da diventare lo scrittore italiano più premiato. A quale dei premi è più affezionato? “In genere non amo questo tipo di definizione, ma è certamente una bella soddisfazione soprattutto per chi, come me, viene dal basso, dalla miseria, dal duro lavoro. Lo Strega è il più famoso ma in realtà è una guerra fra editori che cercano di meglio piazzare il romanzo del loro autore di punta… per cui prediligo il Campiello perché ha una giuria popolare”. Qual è il segreto del suo successo? “Non saprei. Sono un bravo narratore o, come direbbe mia madre, un grande contaballe”. Come si trova in Romagna dove ormai è di casa? “Benissimo. All’inizio mi pareva di essere a Disneyland per questa leggiadria e morbidezza ignote ai liguri. Mi sento come se fossi tornato bambino… Per contro, ho faticato un po’ a trovare il sole vi-

IN QUESTE PAGINE, LO SCRITTORE MAURIZIO MAGGIANI NEL SUO STUDIO A SINISTRA, LA COPERTINA DEL SUO NUOVO ROMANZO L’AMORE.


Vivere momenti straordinari in ambienti in cui tutto è in perfetta armonia dove le forme sono semplici e chiare.

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DOPO AVER VINTO IL PRIMO CONCORSO, MAGGIANI INIZIÒ A RICEVERE TELEFONATE DA EDITORI PER SAPERE SE AVESSE QUALCOSA NEL CASSETTO. “IL MIO CASSETTO ERA VUOTO, ED È SEMPRE RIMASTO COSÌ, MA ALLA QUINTA TELEFONATA HO DETTO DI SÌ E LA MIA VITA È CAMBIATA”.

sto che siamo dalla parte opposta della costa. Mi spiace solo un po’ quando mi dicono che ho acquisito l’inflessione romagnola, visto che sono così attaccato alle mie radici”. A lei che è cresciuto in campagna, cosa è stato insegnato? “Sono nato in un paese nel cuore della miseria degli anni Cinquan-

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ta. Ho sempre avuto confidenza con tutto ciò che ha vita, chi mi ha educato aveva più parole per le piante e le bestie che per i cristiani, mi è stato insegnato a guardare e ascoltare e odorare e toccare ogni creatura e capire cosa ne veniva di buono e cosa di cattivo”. E lei come si sentiva da bambino in mezzo alla natura? “Niente era mio, ma sono stato principe degli orti e barone dell’uva fragola, re dei fossi e granduca dei pesciolini che ci nuotavano dentro”. C’è qualcosa che proprio è rimasto inalterato, con suo stupore? “L’abitudine di girare con il pennato, l’attrezzo che il contadino porta sempre con sé nella cinta, qualora dovesse tagliare qualcosa. C’era una volta e c’è adesso, tant’è che a Faenza ho persino trovato un artigiano che li fabbrica. Malgrado i tanti cambiamenti

climatici e ambientali, anche la zecca è sempre lì a darci fastidio, così come la rosa pronta a donarci piacere”. Cosa invece non è più come una volta? “I contadini oggi sono quasi tutti diplomati, molti anche laureati. C’è più cultura rispetto agli anni Cinquanta e più cura dei prodotti della terra. Internet ha cambiato il mondo, e anche i contadini sarebbero contenti di avere una linea che funzioni bene, per usare per esempio la guida satellitare nei trattori”. Che rapporto ha con la tecnologia? “Ottimo, direi. Ho 6 device diversi. Nell’85 mi sono comprato, firmando 36 cambiali, un computer Apple, il primo che si fosse visto in circolazione e quello con cui ho imparato a scrivere. Comporre su quell’apparecchio mi dava un gran piacere tattile e visivo, perché ho scoperto che potevo costruire parole, e con le parole pensieri, che erano immagine composta così come si compone un’inquadratura fotografica, o cinematografica”. Cosa pensa invece dei social? “Non li amo, per cui non ho profili. Mi interessano solo le relazioni fisiche e dirette. La mia vita è unica, irripetibile e ora troppo breve per sprecare del tempo”. Come passa le sue giornate? “Quando non scrivo, mi piace andare in bicicletta per conoscere palmo a palmo il territorio”. In passato ha anche fatto il conduttore TV con La storia siamo noi nel 1999. Cosa pensa della TV di oggi? “Ho un grande schermo dove vedo solo Sky e qualche serie su Netflix. Non seguo nessun telegiornale, solo qualche giornale radio. La tv oggi è finita, non conta più niente perché non produce più nulla di interessante. Piace solo alle persone anziane”. Ma almeno per le elezioni lo guarda un telegiornale? “Sì. Però non voto se non è necessario. Non regalo la mia sovranità facilmente”.


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CREARE

Scenografie

DA REGINA SONIA BALDINI È UNA SET DESIGNER CHE CON CREATIVITÀ E IMMAGINAZIONE CREA SCENOGRAFIE UNICHE. CONOSCIUTA ANCHE COME LA SIGNORA BULZAGA, TRA I SUOI CLIENTI VANTA VIP E REALTÀ DI PRESTIGIO.

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di Roberta Bezzi / ph Lidia Bagnara

Nessuno come la set designer faentina Sonia Baldini sa valorizzare l’affascinante e magico mondo natalizio. Perché questo è il periodo dell’anno in cui il suo lavoro, fatto di ambientazioni e scenografie, raggiunge il culmine. Con la sua creatività e immaginazione riesce a rendere unici i momenti più importanti nella vita delle persone, come i matrimoni, i compleanni, i battesimi e le feste private e aziendali in occasione di particolari ricorrenze, lavorando a stretto contatto con Andrea Merendi, l’artista dei fiori di carta. Tra i suoi clienti vanta realtà imprenditoriali di grande prestigio e molti Vip, di cui non può svelare i nomi per riservatezza, in particolare cantanti, stilisti e artisti che la chiamano abitualmente per realizzare scenografie sia per eventi legati alla vita privata sia per lavoro. Molti la conoscono come la Signora Bulzaga, perché al Garden Bulzaga di Faenza realizza ogni anno gli attesi allestimenti natalizi, destinati a far tendenza, e perché lì è di casa visto che fa parte della stessa famiglia Bulzaga. “Amo molto le atmosfere nordiche – afferma Sonia –. Questo è l’anno della semplicità e dell’essenzialità, quindi

con pochi decori, all’insegna del less is more, meno è di più. Grande spazio al verde, ispirandomi ai colori di abeti ed eucalipti, ma anche alle tonalità delicate per le candele. Per le porte, propongo un ritorno alle bacche, ai rami di cipresso o abete, molto puliti”. Di tutt’altro stile è invece la sua prima installazione a Venezia, nel noto Ca’ Sagredo Hotel, intitolata Christmas Secret Garden. Il tema proposto nella scenografia si ispira all’eccezionale decorazione a stucco realizzata ai primi del Settecento da Abbondio Stazio e dal suo allievo Carpoforo Masseti, detto il Tencalla, nel Casino Dei Sagredo, la porzione accessibile e utilizzata dalla famiglia per i propri privati momenti d’incontro, svago e piacere. Sin dall’atrio dell’hotel il Giardino segreto della Baldini ammalia il visitatore e lo trasporta e ritroso nel tempo, alternando nella barocca decorazione animali preziosi a decorazioni naturalistiche nei toni del rosa, giallo e verde degli stucchi. Come nasce questa passione per i fiori poi trasformata in professione? “Credo sia qualcosa di innato – racconta –. Mia madre ricorda che, sin da bambina, amavo raccogliere IN MAGAZINE

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“AMO MOLTO LE ATMOSFERE NORDICHE – AFFERMA SONIA –. QUESTO È L’ANNO DELLA SEMPLICITÀ E DELL’ESSENZIALITÀ, ALL’INSEGNA DEL LESS IS MORE, MENO È DI PIÙ. GRANDE SPAZIO AL VERDE, ISPIRANDOMI AI COLORI DI ABETI ED EUCALIPTI”.

i fiori e che adoravo stare nella casa di campagna dove scappavo con le ceste nei campi. Però non è stato facile perché mio padre, che era piuttosto autoritario, voleva che mi dedicassi insieme a mia sorella gemella all’azienda di famiglia: un calzaturificio. L’ho accontentato finché ho potuto,

laureandomi in Economia, ma poi non ce l’ho fatta più e alla fine ha accettato la mia scelta. Così ho iniziato a fare le prime composizioni da Bulzaga, dove ero già cliente, finché si è creato l’opportunità di sostituire una persona in maternità. Per cinque anni sono stata dipendente di quello che poi è diventato mio marito, Alberto Bulzaga. Il Natale è stato il primo grande banco di prova, ormai lo celebro da vent’anni con le mie creazioni a tema, scegliendo sempre anche l’oggetto giusto per installazioni d’effetto”. Sonia sa infatti che le persone hanno bisogno prima di tutto di vivere un’esperienza, fatta non solo di fiori e profumi, ma anche di colori, cibo e musica, per vivere per qualche momento in un mondo magico. Ha frequentato corsi di decorazione e scenografia floreale

in tutta Europa e ricorda con particolare emozione quella volta che si è presentata a Londra da Kenneth Turner. “Le mie compagne di corso – racconta Sonia – erano nobildonne che venivano da ogni parte del mondo, io ero la più giovane. Il maestro a un certo punto ci chiese gentilmente di posare le nostre mani sul tavolo. Con enorme imbarazzo lo feci. Ricordo ancora che mi disse sorridendo che ero l’unica tra tutte a lavorare con i fiori. Si riferiva probabilmente al fatto che le mie mani sciupate fossero la testimonianza di un reale contatto”. I suoi fiori preferiti sono quelli rubati nei fossi, il suo stile improntato alla massima semplicità e naturalezza. “Quando si crea una scenografia è però necessario anche stupire – precisa – fare qualcosa di eclatante che resti per sempre impressa nella mente di chi osserva. La trasfor-

IN APERTURA, LA SET DESIGNER SONIA BALDINI. IN QUESTA PAGINA, UN SUO ALLESTIMENTO AL GARDEN BULZAGA.

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IN ALTO, UNA FOTOGRAFIA DELL’INSTALLAZIONE A VENEZIA AL CA’ SAGREDO HOTEL. IN BASSO, UN DETTAGLIO DELL’ALLESTIMENTO.

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mazione del luogo è la chiave di tutto. Richieste particolari ricevute in questi anni? Lo sono tutte. Ricordo di aver illuminato un intero bosco privato con candele per una cena, ricostruito una tenda beduina con tende e tappeti in un parco di Brisighella per una coppia, ricreato la filodiffusione di tutti i cinguettii degli uccelli in un giardino di San Marino, rappresentati anche in proiezioni per un matrimonio. L’evento recente più memorabile resta il matrimonio gay di due big dell’alta moda alla baia di Praiano in costiera Amalfitana, che mi hanno dato carta bianca ma avendo a disposizione solo un mese di tempo per organizzare tutto. Abbiamo dovuto liberare e riallestire l’intera baia per loro... Ricordo che avevo portato centinaia di bracieri e a un certo punto non si trovava più legna: ho bruciato dei ferma barca! Ma tutto è andato bene, alla fine, e alla festa sono arrivati re e principi da tutta Europa e il gotha della moda. Dovrei scrivere un libro...”.

“QUANDO SI CREA UNA SCENOGRAFIA È NECESSARIO ANCHE STUPIRE – PRECISA SONIA BALDINI – FARE QUALCOSA DI ECLATANTE CHE RESTI PER SEMPRE IMPRESSA NELLA MENTE DI CHI OSSERVA. LA TRASFORMAZIONE DEL LUOGO È LA CHIAVE DI TUTTO”.


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FOTOGRAFARE

Visual

ARTIST LA GIOVANE FOTOGRAFA RAVENNATE SILVIA BIGI STA RIVELANDO CREATIVITÀ E ORIGINALITÀ, SPERIMENTANDO ALTRE PRATICHE, COME VIDEO, INSTALLAZIONE, SOUND ART E ARTE TESSILE.

ph Angelo Palmieri

di Serena Onofri / ph Silvia Bigi

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La giovane fotografa ravennate Silvia Bigi, classe 1982, sta rivelando creatività e idee originali, tant’è che è reduce da Residenze d’Artista, oltre che essere vincitrice di premi quali il Lucie Award 2018 nella categoria Best Exhibition. Attualmente il suo lavoro si divide tra Ravenna e Milano dove tiene corsi e laboratori. Silvia Bigi, da dove è cominciato il tuo percorso professionale? “Sono diventata fotografa e insegnante molto presto, appena terminati gli studi. Ma mi sono accorta che non dedicavo abbastanza spazio alla mia ricerca personale. Così, negli ultimi anni qualcosa è cambiato: ho capito che dovevo scommettere su di me, sul mio talento, senza più nascondermi dietro ai tanti ruoli del fotografo, che continuavo a impersonificare per la paura di non farcela. E così ho resettato. Non credo ci sia un’unica via per intraprendere la professione dell’artista: c’è chi frequenta l’accademia, c’è chi decide di apprendere sul campo, affiancando autori, tutto è valido e possibile”. Cosa vuol dire essere artisti oggi? “Il mondo di oggi richiede davvero un grande sforzo agli artisti. Un artista, in qualunque disciplina, deve essere creativo e intuitivo, coerente, capace di comunicare ciò che fa e in grado di autopromuovere il proprio lavoro. In pratica svolge cinque professioni in una. Potrebbe spaventare tutto questo, ma è la pura verità. Per contro, la soddisfazione di vedere un proprio lavoro nascere da una semplice intuizione, farsi tangibile, entrare nel mondo e arrivare a un pubblico, dona una soddisfazione tale da ripagare di tutti gli sforzi”. Come si è evoluta la tua ricerca fotografica? “Dopo gli studi mi sono focalizzata sulla pratica dell’autoritratto, attraverso la quale ho realizzato i miei primi esperimenti e le mie primissime ricerche personali. Da lì ho cominciato a realizzare progetti via via sempre più strut-

“DOPO GLI STUDI MI SONO FOCALIZZATA SULLA PRATICA DELL’AUTORITRATTO, ATTRAVERSO LA QUALE HO REALIZZATO I MIEI PRIMI ESPERIMENTI E RICERCHE. DA LÌ HO COMINCIATO A REALIZZARE PROGETTI VIA VIA SEMPRE PIÙ STRUTTURATI E COMPLESSI”.

turati e complessi. Negli ultimi anni poi è nata in me l’esigenza di uscire dalla pura fotografia, sperimentando altre pratiche, come video, installazione, sound art e anche arte tessile. Mi servo di vari mezzi a seconda di ciò che voglio raccontare, senza sentirmi ingabbiata all’interno di un solo strumento”. Parliamo di Residenze d’Artista: di cosa si tratta e a quali hai partecipato? “Le residenze d’artista sono uno strumento importantissimo per gli artisti. Permettono di lavorare

NELLA PAGINA ACCANTO, UN FOTORITRATTO DI SILVIA BIGI. IN ALTO, VERGINE GIURATA, DALLA SERIE L’ALBERO DEL LATTE, 2017.

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A LATO, IL SANGUE E IL LATTE. SOTTO, IL CORREDO DELLA SPOSA. ENTRAMBE LE OPERE FANNO PARTE DELLA SERIE L’ALBERO DEL LATTE, 2017.

“ESSERE ARTISTI SIGNIFICA FORSE MOLTO PIÙ CHE SCEGLIERE UNA PROFESSIONE, È SCEGLIERE UN MODO DI VIVERE; QUALCOSA IN CUI CREDERE. È NECESSARIO ACCETTARE CHE SI DOVRANNO FARE COMPROMESSI E SACRIFICI, MA CHE NE VARRÀ LA PENA”.

a un progetto focalizzandosi sulla ricerca senza la pressione di un risultato immediato, di farlo in un luogo nuovo, possibilmente all’estero, lontano dalla propria con-

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fort zone, e di farlo retribuiti. Ho avuto l’opportunità di essere scelta nel 2016 per una residenza artistica di un mese nei Balcani. Da poco sono rientrata da una nuova residenza d’artista in Catalogna. Inoltre sono stata selezionata per una nuova residenza, di cui per ora non svelo dettagli, che mi permetterà di andare, questa volta, oltreoceano. In Romagna c’è un centro che si occupa proprio di questo tipo di scambi, si chiama Rad-Art Project: svolge un lavoro strepitoso per aiutare gli artisti in questo tipo di impresa”. A livello di formazione, che strada hai percorso? “Mi sono laureata al Dams di Bologna e ho proseguito con un Ma-

ster di fotografia al CSF Adams di Roma. Poi ho continuato con un corso all’ICP (International Center of Photography) di New York, e ho partecipato a numerosi workshop. Ma credo che la mia formazione più importante sia quella che si attiva nei miei percorsi formativi. È un’attività in cui si crea uno scambio incredibile, dove do tutta me stessa insegnando ciò che so, e in cambio ricevo tanto da ognuno”. Cosa consiglieresti a un giovane che vuole fare della sua arte il proprio lavoro? “Per prima cosa, fare una promessa a sé stesso. Di essere profondamente fedele alla propria scelta. Essere artisti significa forse molto più che scegliere una professione, è scegliere un modo di vivere; qualcosa in cui credere. È necessario accettare che si dovranno fare compromessi e sacrifici, ma che ne varrà la pena. Per seconda cosa, accettare di sbagliare. Smettere di preoccuparsi di cosa pensano gli altri e agire. Mettersi in gioco il più possibile, sperimentare tanto. Non fermarsi di fronte agli ostacoli”. A cosa stai lavorando attualmente? “Al momento vivo a Milano dove insegno nella scuola di fotografia Bottega Immagine. Contemporaneamente gestisco Percorsi Fotosensibili, un sito web che ho ideato qualche anno fa in cui ho fatto confluire le mie idee sulla fotografia, comprese quelle più folli, che condivido con chi lo desidera”.


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PEDALARE

Ciclismo

STILE DI VITA LA DICIASSETTENNE SOFIA COLLINELLI, FIGLIA D’ARTE, È REDUCE DA IMPORTANTI SUCCESSI A LIVELLO MONDIALE ED EUROPEO NELL’INSEGUIMENTO SU SQUADRA E INDIVIDUALE.

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di Alessandro Bucci / ph Francesco Corticchia

La panterina ravennate figlia d’arte, recentemente selezionata tra gli 84 azzurri spediti ai Giochi Olimpici Giovanili di Buenos Aires, continua a fare incetta di premi e riconoscimenti confermando la sua classe e personalità. La diciassettenne Sofia Collinelli, supportata dal papà Andrea – specialista nell’inseguimento (medaglia d’oro ai Mondiali ‘96 a Manchester e oro a Perth l’anno dopo nella sezione a gruppo) e campione olimpico nella sezione individuale nel 1996 ad Atlanta – considera la sua attività sportiva come uno stile di vita e ha recentemente rappresentato il tricolore insieme a Tommaso Dalla Valle nella specialità strada. Campionessa del Mondo ed europea nella specialità inseguimento a squadre, Sofia ha ottenuto anche la medaglia di bronzo nell’inseguimento individuale all’Europeo. Ai Mondiali e agli Europei hai ottenuto dei riconoscimenti e bei risultati, provando forti emozioni. Ce ne parli? “Con la nazionale italiana siamo state circa un mese in Svizzera per prepararci a queste sfide. Ci allenavamo a Montichiari (in

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Lombardia) una volta a settimana ma, dopo la chiusura, siamo state costrette a partire prima. Ai Mondiali ho corso con le mie compagne in quartetto e, soprattutto nelle fasi iniziali, avevamo il miglior tempo. In finale abbiamo affrontato la Nuova Zelanda ed è stato bellissimo, anche grazie alla presenza della mia famiglia. Pochi giorni dopo, agli Europei, abbiamo vinto nell’inseguimento a squadre come gruppo e mi sono classificata terza nella sezione individuale, vincendo il bronzo. Essendo al primo anno, è stata una soddisfazione inaspettata, oltretutto colta nella mia specialità preferita. Emozione tripla, considerando che era anche la specialità in cui mio padre vinse alle Olimpiadi”. Com’è proseguita la stagione 2018? Penso, in particolare, ai Giochi Olimpici giovanili. “Sono andata a Buenos Aires dall’1 al 20 ottobre. Cinque giorni consecutivi di gara, dal 13 al 17, da affrontare a coppie, sia su strada che in mountain bike. Vinceva la coppia che raccoglieva il maggior numero di punti nelle prove previste e ci siamo classificate al settimo posto”. In passato hai definito il


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“IL CICLISMO È SEMPRE STATA UNA PASSIONE DI FAMIGLIA. CORRO IN BICI DA QUANDO HO SEI ANNI E SONO SEMPRE STATA ABITUATA AD ALLENARMI DOPO LA SCUOLA, IMPEGNANDOMI MOLTO E COMPIENDO SACRIFICI. MA LO FACCIO VOLENTIERI, PERCHÉ AMO QUESTA STRADA”.

ciclismo come uno stile di vita. Cosa intendi? “Il ciclismo è sempre stata una passione di famiglia e, mio padre in particolare, mi ha contagiato in questo senso. Corro in bici da quando ho sei anni e sono sempre stata abituata ad allenarmi dopo scuola, impegnandomi molto e compiendo sacrifici. Ma lo faccio volentieri, perché amo questa strada. Per questo è uno stile di vita e solo gli obiettivi che riesco a raggiungere nel ciclismo mi danno così tanto”. Come sei riuscita a coniugare studio e sport in un Paese che, notoriamente, non aiuta 28

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gli sportivi e poi si lamenta che non ce ne sono? “È molto impegnativo, perché a volte sono stata costretta a saltare giorni scolastici per potermi allenare. Cerco di fare il massimo quando sono a scuola, prendendo moltissimi appunti e stando molto attenta, dal momento che a casa non ho molto tempo. Grazie a un nuovo progetto del Coni, tuttavia, i docenti devono concordare le verifiche con gli atleti, in modo da poter sostenere umanamente le due cose e questo è positivo”. Chi è Sofia Collinelli quando non è in bici o immersa nella sua più grande passione? “Mi piace uscire con le amiche e svagarmi, come andare al cinema, fare shopping in centro per negozi o passare le giornate al mare. Penso di essere molto tranquilla in tal senso”. Ripercorriamo la tua carriera dai primi fasti a oggi. “Le mie prime esperienze sono state con la Rinascita Ravenna, nella categoria giovanissimi. Da esordiente secondo anno ho ottenuto le prime vittorie, sette su strada, cimentandomi in seguito anche nei campionati italiani della medesima specialità. Da lì

al primo anno ho vinto i primi campionati italiani (oltre a quelli giovanissimi) cronometro individuale su strada e il campionato nostrano inseguimento individuale su pista. L’anno dopo mi sono riconfermata nel campionato italiano a chilometri individuale su strada, nel campionato nostrano a seguimento individuale su pista e nella cronometro a squadra e sono stata campionessa tricolore su pista a punti. In seguito ho portato a casa quattro titoli italiani da allieva al secondo anno e due titoli italiani da allieva al primo anno. Dal secondo anno ho vinto una gara su strada e, da Junior, ho primeggiato in una gara su strada diventando anche campionessa italiana Omnium su pista. Da allieva al secondo anno ho disputato anche i giochi europei in Ungheria, una tappa importante prima dei recenti successi”. Quanto è importante per te, tuo padre Andrea? “Dallo scorso anno papà è anche mio allenatore e abbiamo un bellissimo rapporto. Siamo sempre insieme nelle gare e c’è molta chimica tra noi, non finirò mai di ringraziarlo”.


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A CASA DI GIÒ UN NATALE DA FIABA

A CASA DI GIÒ, DA POCO ANCHE BED & BREAKFAST, LA PROPRIETARIA LEDA GATTAMORTA INCANTA GLI OSPITI CON LA SUA FIABESCA VERANDA NATALIZIA, CHE AMA TRASFORMARE A SECONDA DELLA STAGIONE.

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A Casa di Giò il Natale ha un sapore davvero speciale: è magia, poesia, atmosfera. Perché chiunque resta incantato appena entrato in casa, che da poco è anche bed & breakfast, dalla grande e scintillante veranda natalizia, sogno di grandi e piccini. La si può ammirare in tutta la sua magnificenza attraverso le ampie bianche vetrate che occupano un’intera parete dell’ampio salotto. Un allestimento scenografico di grande impatto ma, al contempo, semplice ed elegante in cui nulla è lasciato al caso. Tutti gli elementi dialogano perfettamente fra loro, senza che nessuno oscuri l’altro. A destra, si trova un bel caminetto con davanti la Natività: Maria, Giuseppe e il Bambin Gesù; al centro, una stube cir-

condata da piante di araucaria e alcune dolcissime renne; a sinistra, Babbo Natale con i doni natalizi. Il bianco è il colore dominante dell’intera veranda, che si presenta completamente innevata. Di giorno, quando il sole fa capolino, la veranda acquista riflessi inaspettati, mentre di notte le luminarie catapultano lo spettatore in un universo fatato. A volere con tutta se stessa questa originale veranda è la padrona di casa Leda Gattamorta, soprannominata Giò dall’amatissimo marito Italo, scomparso qualche tempo fa. E proprio a lui è stata dedicata. “Ricordo ancora la notte in cui per la prima volta l’ho realizzata dieci anni fa – dice Leda –. Ho aspettato che Italo andasse a dormire, per allestirla. Al suo risveglio è stata

una grandissima sorpresa! Diceva sempre ad amici e parenti: ‘Venite a vedere cosa ha fatto questa volta mia moglie!’. D’altra parte, non era la prima volta, che mi ingegnavo per stupirlo e ci riuscivo sempre. Come quando gli organizzavo viaggi a sua insaputa e lo svegliavo con il caffè a letto e la valigia già pronta, per poi invitarlo a vestirsi perché un treno ci stava aspettando… Mio marito mi ha dato tutto dalla vita, a lui devo moltissimo. Così, dopo la sua morte ho cercato di non perdermi d’animo, di utilizzare quell’energia vulcanica che mi ha sempre caratterizzato per continuare, a ottant’anni, a godermi la vita e, soprattutto, la mia grande famiglia formata da due figli e sei nipoti”. E proprio i più piccoli, spes-


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so ospiti della nonna, amano dormire sui divani del salotto, beandosi dello spettacolo della veranda natalizia prima di chiudere gli occhi. Con ai loro piedi l’affettuosissimo maltese Gaia, inseparabile batuffolo di cui è impossibile non innamorarsi. A beneficiare della veranda sono anche gli ospiti del bed & breakfast, aperto un anno fa da Leda per reinventarsi, come ha sempre fatto nel corso della sua vita, e coltivare il contatto con le persone

che ama da estroversa quale è. Anche loro, così come i tanti amici che spesso si autoinvitano per vedere le sue nuove creazioni, le chiedono spesso: “Non hai ancora messo la tua casa su una rivista?”. In effetti, non è solo la veranda a impressionare qualsiasi visitatore, ma l’intero appartamento – un attico al terzo piano di una palazzina – arredato con amore e precisione certosina. “Ho sempre amato la casa e l’arredamento – afferma Leda –. Sin da piccola,

mi divertivo a spostare i divani e le poltrone in casa per rinnovare l’ambiente. Ho sempre avuto il gusto del bello anche quando non avevo grosse risorse finanziarie. Questa casa è stata scelta con mio marito, arredata con attenzione, mescolando diversi stili e oggetti cari. Da brava trasformista, mi piace conferirle un tocco diverso nelle varie stagioni, giocando con gli accessori”. Per le festività i divani e le poltrone hanno acquisito un mood natalizio, il prezioso

lampadario in cristallo è stato decorato con palline e festoni, le vetrate arricchite da grandi fiocchi rossi. Ci si dimentica quasi di essere a Ravenna, quanto piuttosto in un caldo chalet di montagna, che la padrona di casa apprezza particolarmente. La veranda natalizia resterà sino alla fine dell’inverno, poi sarà inevitabilmente smontata. Ma c’è da aspettarsi che il prossimo anno Leda stupirà tutti con un nuovo e rinnovato allestimento!

B&B A Casa di Giò Bed & Breakfast A Casa di Giò Via Stradone, 179/i - Ravenna - Tel. 339.4272303 - www.bbacasadigio.it IN MAGAZINE

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COMANDARE

I palazzi

IMPERIALI VIAGGIO NELL’AREA COMPRESA TRA VIALE FARINI E I GIARDINI PUBBLICI DI RAVENNA, UN TEMPO FASTOSA RESIDENZA DI RE E DI IMPERATORI, A PARTIRE DA TEODORICO. di Andrea Casadio / ph Massimo Fiorentini

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Fra tutti gli edifici che compongono il patrimonio monumentale di Ravenna, il cosiddetto palazzo di Teodorico è uno di quelli più singolari e, al contempo, più misteriosi. Cosiddetto perché, come è noto, non si tratta davvero del palazzo del re goto, ma probabilmente di ciò che resta di un edificio di culto di età successiva. Eppure tale denominazione non è in assoluto errata, perché davvero l’edificio sorge nel luogo alle cui spalle si estendevano i palazzi del potere della Ravenna capitale. Può allora rappresentare, per noi, il punto di partenza per un viaggio in quella vasta area che va all’incirca da viale Farini ai giardini pubblici, oggi parte integrante del tessuto urbano della città ma un tempo fastosa residenza di re e di imperatori. Luogo di lussi e di intrighi, ma soprattutto luoghi nei quali la storia ha fatto tappa in uno dei suoi appuntamenti epocali: la caduta dell’Impero romano d’Occidente e l’esordio del Medioevo. Quando, nei primi anni del V secolo, l’imperatore Onorio trasferì la sua sede da Milano a Ravenna, tutta l’area a Est dell’attuale Via di Roma era l’anticamera del mare, con la spiaggia vicinissima e, probabilmente, solo qualche villa signorile a occupare parzialmente una distesa in gran parte non urbanizzata. È probabile che sia stato lo stesso Onorio a edificare qui una prima residenza imperiale, ma le più antiche notizie certe riguardano il suo successore Valentiniano III. Si sa infatti che, mentre la madre Galla Placidia edificava la chiesa di S. Giovanni Evangelista nella parte settentrionale dell’area, in quella meridionale (all’incirca nella zona degli attuali giardini pubblici) egli costruì una reggia chiamata ad Lauretum, latinizzazione del termine greco Dafnè, nome di un padiglione del Gran Palazzo di Costantinopoli cui evidentemente si ispirava. Si formò così un complesso articolato in vari edifici, che divenne il cuore dei convulsi avvenimenti politici legati all’agonia dell’impe-

ro d’Occidente. Se mai si verificò l’iconica scena di Odoacre che si presenta minaccioso al cospetto di Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore bambino, quel giorno fatale dell’anno 476, evidentemente fu qui che essa avvenne. E quando lo stesso Odoacre trovò la sua nemesi, trucidato con i suoi seguaci da Teodorico nel finto banchetto pacificatore dopo la conquista di Ravenna da parte del re goto nel 493, il teatro del cruento episodio fu proprio il palazzo del Lauretum. A parte questo esordio non proprio commendevole, si dovettero appunto a Teodorico importanti lavori di ampliamento e di abbellimento a quella che divenne

LUOGHI DI LUSSI E DI INTRIGHI, MA SOPRATTUTTO LUOGHI NEI QUALI LA STORIA HA FATTO TAPPA IN UNO DEI SUOI APPUNTAMENTI EPOCALI: LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE E L’ESORDIO DEL MEDIOEVO. TUTTO È INIZIATO CON VALENTINIANO III.

ora la sede della sua corte. Una testimonianza, ad esempio, parla di una fastosa sala da pranzo affacciata sul mare (il triclinium ad mare), dove alcuni secoli dopo si poteva ancora ammirare un mosaico rappresentante lo stesso Teodorico affiancato dalle personificazioni di Ravenna e di Roma. All’inizio del secolo scorso, alcuni scavi effettuati sul retro di S. Apollinare Nuovo portarono alla luce le fondamenta di un cortile porticato, sul quale si aprivano diversi ambienti, alcuni absidati, nei quali si può forse riconoscere proprio il triclinium ad mare. La stessa S. Apollinare Nuovo, del resto, sorse in origine come chiesa del palazzo, e di quest’ultimo riporta anche una celebre rappresentazione musiva generalmente ritenuta attendibile, anche

A LATO, UNA FOTO DEL PALAZZO DI TEODORICO A RAVENNA.

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ALCUNI SCAVI EFFETTUATI SUL RETRO DI S. APOLLINARE NUOVO PORTARONO ALLA LUCE LE FONDAMENTA DI UN CORTILE PORTICATO, SUL QUALE SI APRIVANO DIVERSI AMBIENTI, ALCUNI ABSIDATI, NEI QUALI SI PUÒ FORSE RICONOSCERE PROPRIO IL TRICLINIUM AD MARE.

IN BASSO, IL MOSAICO DI S. APOLLINARE NUOVO RAFFIGURANTE IL PALAZZO DI TEODORICO.

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se di incerta interpretazione: è la fronte principale dell’edificio? O un lato del cortile interno? O tre lati che andrebbero letti come disposti ad angolo retto? Quel che è certo è che la reggia teodoriciana era un complesso vasto, articolato e fastoso. Quando, alla metà del VI secolo, il regno ostrogoto fu annientato, il palazzo divenne la sede dei rappresentanti del nuovo potere bizantino, gli esarchi. Tale rimase per i successivi due secoli, fino al 751, quando proprio dal palazzo il re Astolfo promulgò un decreto che attestava l’avvenuta conquista della città da parte dei longobardi. Proprio quell’evento,

però, causando l’alleanza fra il papato e il regno dei Franchi, diede il via al processo che nel giro di qualche decennio avrebbe provocato, oltre al crollo del regno longobardo, anche la perdita di centralità di Ravenna e, di conseguenza, il declino del luogo fisico che per secoli aveva costituito uno dei cuori del potere politico italiano. Alla fine dell’VIII secolo Carlo Magno chiese e ottenne dal Papa il permesso di asportare dal palazzo marmi e mosaici con cui abbellire la sua nuova residenza di Aquisgrana: episodio che, meglio di ogni altro, sintetizza con grande pregnanza simbolica l’avvenuto declassamento della città, oltre che il primo consistente esempio di degrado architettonico del palazzo stesso. Paradossalmente, fu però proprio in questi decenni che, con tutta probabilità, sorse l’edificio che ne avrebbe assunto il ruolo nell’immaginario collettivo. Varie ipotesi sono state elaborate nel corso del tempo sulla natura e sulla datazione del cosiddetto palazzo di Teodorico. Quella prevalente vede nelle sue forme bizzarre e inusuali ciò che resta

della facciata della chiesa di S. Salvatore ad Calchi, edificata nel IX secolo presso l’antico ingresso del palazzo (altro rimando a Costantinopoli e alla sua Chalké, la porta monumentale in bronzo della reggia imperiale). In ogni caso, col passare dei secoli attorno ai suoi ruderi si stratificò la convinzione che si trattasse di ciò che restava della reggia del re goto, tanto che nel Seicento venne murato nella sua facciata il sarcofago di porfido proveniente dal mausoleo, e oggi ricollocatovi. Solo le ricerche archeologiche effettuate a partire dall’Ottocento smentirono la leggenda, e radicali lavori di restauro effettuati all’inizio del Novecento conferirono all’edificio il suo aspetto attuale. Rimasto a lungo un po’ appartato nel contesto dei monumenti ravennati, ultimamente è stato oggetto di una meritoria serie di iniziative, portate avanti dal Museo Nazionale che ne ha la gestione, per favorirne la conoscenza e la fruizione. La sua costruzione, comunque, fu l’ultimo intervento degno di rilievo effettuato nel complesso palaziale. Dall’epoca carolingia, con il



VARIE IPOTESI SONO STATE ELABORATE NEL CORSO DEL TEMPO SULLA NATURA E SULLA DATAZIONE DEL PALAZZO DI TEODORICO. QUELLA PREVALENTE VEDE NELLE SUE FORME BIZZARRE CIÒ CHE RESTA DELLA FACCIATA DELLA CHIESA DI S. SALVATORE AD CALCHI.

potere imperiale ormai lontano e con quello cittadino trasferitosi nel palazzo degli arcivescovi, tutta l’area cadde in un declino fatto di spoliazioni e riutilizzi a un livello sempre più basso, finché marmi e mosaici furono sostitui-

ti da campi, orti e persino zone semipaludose. Già nel X secolo, quando Ottone il Grande decise di allestire una propria residenza in città (l’ultima di un imperatore a Ravenna), non la costruì qui, ma in un luogo appena fuori le mura, nei pressi di Via dei Poggi. Nei secoli seguenti il carattere isolato e semirurale assunto dalla zona la rese adatta a ospitare conventi e monasteri, come quelli delle Clarisse di Santa Chiara e dei canonici lateranensi di S. Maria in Porto, quest’ultimo all’incirca sul sito dell’antico Lauretum. Solo nell’Ottocento, con i primi ritrovamenti archeologici, tornò ad accendersi l’interesse per la storia di questi luoghi. Come si è visto, attorno al 1910 furono effettuati importanti scavi che riportarono alla luce una

parte delle fondamenta, che però furono sciaguratamente ricoperte, mentre i lacerti di marmi e mosaici ritrovati furono in seguito collocati all’interno del palazzo cosiddetto, dove sono ancor oggi. Con la successiva espansione urbana novecentesca anche quest’area entrò a tutti gli effetti a fare parte della Ravenna moderna, senza però che questo comportasse il recupero di una vera consapevolezza del suo enorme valore storico. Consapevolezza che invece può guidare i passi di chi, esplorando questi luoghi sulla scorta del passato, abbia gli occhi per vedere scivolare, all’angolo di una strada o dietro le fronde di un giardino, i silenziosi fantasmi di un bambino vestito di porpora o di un biondo condottiero in corazza dorata.

IN QUESTA PAGINA, ALCUNE FOTO STORICHE CHE RITRAGGONO L’AREA A NORD DEL QUADRIPORTICO DURANTE LO SCAVO.

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DIPINGERE

Pittore di

CRONACA IL RAVENNATE PAOLO BALDASSARI SI È FORMATO COME AUTODIDATTA E AMA RAPPRESENTARE LA VITA MODERNA DIRETTAMENTE DAL VERO. PER QUESTO È FACILE TROVARLO A DIPINGERE IN STRADA.

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di Aldo Savini / ph Lidia Bagnara

Lo si vede, passando quasi per caso nei punti più caratteristici della città, con il cavalletto, la tela già posizionata e gli strumenti del pittore, spesso attorniato da curiosi per questa inaspettata e inconsueta presenza. È Paolo Baldassari, originario di Russi, che nel 1970 a 11 anni si è trasferito con la famiglia a Ravenna, dove ha frequentato il Liceo arti-

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stico seguendo le lezioni di Giulio Ruffini, di cui conserva un bel ricordo per il suo insegnamento molto libero; perché oltre a impartire le nozioni elementari lasciava agli allievi la possibilità di esprimere la loro creatività. Non ha proseguito gli studi all’Accademia, preferendo dedicarsi alla pittura “per i fatti suoi, da autodidatta”. Per vari anni ha suonato il basso in orchestra, poi ha abbandonato la musica e ha deciso di fare il pittore, e non come quelli che restano nello studio dove nessuno li vede all’opera, oppure vanno alla ricerca nei dintorni di Ravenna di scorci suggestivi nelle pinete o lungo i canali con i capanni da pesca. Non è che il paesaggio naturale non lo interessi, piuttosto si sente in sintonia con quello urbano che conserva memoria del passato, della gente che vi ha vissuto e vi vive. Baldassari vuole rappresentare la vita moderna direttamente dal vero, per questo si definisce pittore di cronaca, testimone del vero e avverte affinità con Alberto Sughi, pittore cesenate tra i maggiori interpreti della poetica del realismo esistenziale, e con Renzo Vespignani,

A SINISTRA, UNA FOTO DI PAOLO BALDASSARI ALL’OPERA. IN ALTO, UN RITRATTO DEL PITTORE AL FIANCO DEI SUOI QUADRI.


BALDASSARI SI SENTE IN SINTONIA CON IL PAESAGGIO URBANO CHE CONSERVA LA MEMORIA DEL PASSATO, DELLA GENTE CHE VI HA VISSUTO E VI VIVE. BALDASSARI VUOLE RAPPRESENTARE LA VITA MODERNA DIRETTAMENTE DAL VERO.

illustratore e scenografo, sia per lo sguardo diretto, senza finzioni, sulla realtà e il vivere ordinario, sia per l’esigenza di creare un legame tra la gente e il lavoro artistico. Da credente riconosce come in natura e nella percezione della realtà vi sia un ordine prestabilito da cui trarre ispirazione e leggi precise a cui attenersi, che vanno applicate anche nel disegno e nella composizione pittorica. Pertanto l’impianto prospettico, accuratamente disegnato, costi-

tuisce la base del suo lavoro. La forma schematica si presta per interventi successivi e l’inserimento di dettagli minimi che riproducono fedelmente l’ambiente dove si svolge la vita quotidiana. Non manca mai nelle sue realistiche scene la presenza di persone occasionali non in posa, reali e non d’invenzione, come nella tradizione veristica ottocentesca, per affermare il rapporto diretto del pittore con quello che avviene nel momento in cui sta dipingendo. IN MAGAZINE

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ROMAGNA DOC SPUMANTE È UN CONCENTRATO CONTEMPORANEO DI PURA ENERGIA E LUCENTEZZA, RESE ANCHE NELL’ASPETTO VISIVO E GUSTATIVO CON STILE, VITALITÀ ED ELEGANZA. A OGNI SORSO QUESTO SPUMANTE ESPRIME L’ESSENZA DI UN SOGNO E LA POTENZA DI UN TERRITORIO.

le pubblicazioni dell’epoca che raccontano di “un vino bianco romagnolo adatto a ogni brindisi e a ogni occasione” hanno alimentato la voglia di attivarsi per far sì che, a distanza di oltre un secolo, quella stessa filosofia di fare bollicine e del buon vivere potesse tornare a essere protagonista di una nuova storia, per raccontare di tradizioni e radici profonde, ma anche di novità, freschezza, gioia e vitalità. Il recupero di questa forte vocazione culturale e territoriale alla produzione di bollicine da uve trebbiano, unita all’evoluzione enologica che il settore ha conosciuto negli ultimi 50 anni, hanno quindi rinnovato la consapevolezza dell’enorme potenzialità della Roma-

gna quale zona d’elezione per la produzione di grandi spumanti. Questa commistione straordinaria tra passato, presente e futuro proposta oggi con il marchio collettivo Novebolle rappresenta nei fatti un passaporto per nobilitare il territorio, creando un nuovo linguaggio condiviso e contemporaneo, in grado di proporsi sui mercati globali e ai consumatori attuali con grande capacità attrattiva e dinamicità. In questo contesto nasce quindi Bolé - Novebolle, Romagna DOC Spumante, un concentrato contemporaneo di pura energia e lucentezza, rese anche nell’aspetto visivo e gustativo con stile, vitalità ed eleganza. A ogni sorso questo

spumante esprime, in modo sublime e piacevolmente contagioso, l’essenza di un sogno e la potenza di un territorio. Bolé è unico perché racchiude l’energia vitale e allo stesso tempo antica, di terre e cieli romagnoli, li fonde e li reinterpreta in una sintesi unica e innovativa, leggera come la voglia di sorridere e fare festa, tipica della Romagna. Frutto della sapiente collaborazione di un team di enologi esperti che hanno unito in questo vino spumante Brut Charmat i due aspetti cardine del progetto Novebolle: un approccio che guarda a nuovi orizzonti e che sa parlare un linguaggio contemporaneo, insieme al grande desiderio di far emergere un territorio dando vita a nuovi

contenuti e fragranze capaci di competere con le migliori spumantizzazioni nazionali e internazionali. Bolé riporta alla luce una radice comune, una storia che ispira e favorisce un orgoglioso senso di appartenenza al territorio, per farlo finalmente emergere con il giusto valore. Ecco perché dal Vinitaly scorso, momento della sua presentazione e uscita sul mercato, Bolé si è fatto portavoce di valori quali coraggio, sinergia e voglia di esplorare il nuovo attraverso una fitta serie di eventi, coinvolgendo i principali ambasciatori della cultura enogastronomica del territorio, artisti locali e internazionali che diventano esperienze collettive.

Scheda Vino NOME Bolé DENOMINAZIONE Novebolle - Romagna DOC Spumante TIPOLOGIA Vino Spumante Brut VITIGNO 95% Trebbiano, 5% Famoso METODO Metodo Charmat Alc. 11.5%

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SUONARE

Pianista

SPERIMENTALE MATTEO RAMON AREVALOS, PIANISTA E COMPOSITORE, AMA LEGARE LA MUSICA ALLE ARTI VISIVE. LA SUA ATTIVITÀ SI SVILUPPA TRA L’ITALIA E GLI STATI UNITI.

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di Linda Antonellini / ph Massimo Fiorentini

Dopo aver attraversato le fasi in cui voleva fare l’archeologo e l’astronomo, Matteo Ramon Arevalos è diventato pianista di professione. Prima più concentrato sul repertorio classico, ha poi sentito l’esigenza di spostarsi sulla musica contemporanea dopo aver iniziato a collaborare con compagnie teatrali come Fanny & Alexander, i Masque Teatro e Drammatico Vegetale. Anche il fatto di essere cresciuto in una famiglia molto aperta ha contribuito nell’improntare il suo lavoro su una ricerca sperimentale. Matteo Ramon Arevalos, una curiosità inevitabile. Qual è l’origine del tuo nome? “Mia madre era nata a Ravenna, ma aveva origini metà abruzzesi e metà triestine. I suoi parenti si erano trasferiti in città nel 1861. Erano armatori e marinai: ci sono delle mappe dei loro tragitti. Commerciavano legnami, avevano la ditta Bellenghi-Rivalta al porto. Mio padre era americano, ma di origine messicanospagnola, indiano d’America del popolo Navajo. Ramon viene dal mio bisnonno, anche lui un misto sangue, prima ebreo, poi gesuita, dopodiché ha incontrato una giovane indiana chiamata Guadalu-

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pe e si è sposato”. Come mai hai scelto di andare in giro, anche all’estero, per suonare? “Qui sono visto come un mostro poiché faccio musica contemporanea. Quindi se volessi insegnare a Ravenna ora non sarebbe facile. Già a Faenza c’è Donato D’Antonio che organizza cose particolari e bellissime: è un chitarrista con cui sto facendo un duo. Una volta abbiamo fatto un concerto in cui ho eseguito l’ultimo pezzo ponendo palline da ping-pong fosforescenti che, nella penombra, si muovevano e rimbalzavano sulla corderia grattata del pianoforte, generando una sorta di rappresentazione del big-bang, un brano quindi da ascoltare e da guardare”. Questa tua passione per la musica è innata? “Sì, la sera dopo cena, nella grande sala di sotto col pianoforte, era abitudine della famiglia mettersi a suonare. A cinque anni ho realizzato un set di batteria con i fustini dei detersivi. Ero molto bravo a suonare la batteria. Mio padre era un jazzista, un bravissimo cantante, ma lo faceva più per passione perché di professione era giornalista, e anche mia madre cantava e suonava la fisarmonica. A breve

pubblicherò un video che ho ritrovato di mio fratello Dan, che è venuto a mancare: aveva creato molte cose, fra cui le associazioni Eros e Apai (Associazione per l’autodeterminazione dell’individuo)”. Cosa rappresenta per te la musica? “Un’architettura invisibile che se non è costruita bene crolla. Infatti, le improvvisazioni sono pericolosissime. Per questo, ho una stima immensa ad esempio nei confronti del mio amico Matteo Zaccherini che, come pianista jazz, è fuori dal comune, da togliersi il cappello quando esegue lunghissime jam session con una spontaneità incredibile”. Si può vivere oggi di sola musica? “Per mia fortuna, oltre agli introiti dei concerti e dell’insegnamento nelle master class, vivo anche dei diritti d’autore dei pezzi che scrivo. Di recente ho partecipato a un concorso con Alitalia e, se mi confermano, per un anno daranno in volo in fase di decollo e atterraggio il pezzo che avevo scritto per la sorella di Sgarbi, la regista Elisabetta, per la colonna sonora del film Raffaello - La Stanza della Segnatura in Vaticano per oboe e pianoforte, dedicato alla


“HO INIZIATO DA BAMBINO CON LA BATTERIA, POI CON IL PIANOFORTE, FINO A CONSEGUIRE IL DIPLOMA CON LODE AL CONSERVATORIO BRUNO MADERNA. MI SENTO MOLTO LEGATO ANCHE ALLE ARTI VISIVE: SONO APPASSIONATO DI MOSAICI”.

figura della matematica greca di Alessandria d’Egitto, mentre un altro pezzo è un cerimoniale per pianoforte, hang e voce”. Che progetti professionali hai per il futuro? “Ci sarà una replica con Nerval Teatro, dello spettacolo che ha debuttato per Ravenna Festival, al Teatro di Novafeltria di Rimini, in cui saranno presenti anche Cristina Mazzavillani Muti e Angelo Nicastro. Entro fine anno registrerò un pezzo di musica sperimentale per un regista francese che sta facendo un documentario, in

collaborazione con il compositore romano Fausto Razzi. Insieme a Camilla Lopez proseguiremo con il tributo alla cantante cilena Violeta Parra per voce, piano e percussioni. A gennaio mi preparerò, oltre al teatro, per i concerti a Modena e in alcune università a New York, dove a marzo andrò con D’Antonio”. Tornando indietro nel tempo, com’è stato il tuo percorso di studi? “Ho iniziato da bambino con la batteria, poi con il pianoforte seguito inizialmente da Natalia Prati, in seguito da Fiorenza Ferroni che mi hanno aiutato tantissimo, fino a conseguire il diploma con lode al Conservatorio Bruno Maderna di Cesena. A livello formativo, è stato fondamentale spostarmi, seguivo corsi all’accademia di musica di Vienna, dove ho conosciuto un professore russo-tedesco: Rudolf Kehrer che mi ha insegnato molto. A New York ho conosciuto la grande Oxana Yablonskaya, ora ottantenne, con la quale ho organizzato una master class con trenta studenti provenienti dalla Russia, dal Giappone, dal Cana-

da, dalla Cina e dagli Stati Uniti. Mi avevano proposto di rimanere a insegnare al Conservatorio di Brooklyn, ma son dovuto tornare per varie questioni. A breve andrò alla San Francisco University”. Sei una figura eclettica con tanti interessi… “Amo molto anche suonare il sitar e sono appassionato di mosaici: ho studiato musica classica indiana e mi sono diplomato all’Istituto d’Arte per il mosaico di Ravenna, mi sento molto legato alle arti visive, e spesso cerco di dar vita a eventi che uniscano la musica e interventi figurativi come video proiezioni dal vivo. Ad esempio, per il Ravenna Festival ho coinvolto artisti come Marco Bravura per il progetto Metamorphosis del 2017, un progetto che Franco Masotti ha definito – per la prima volta nella musica – il pianoforte video-preparato, in cui sono state posizionate due telecamere e oggetti sulle corde, come alcune figure di dame e demoni realizzate da Vanni Cuoghi, che suonando, saltano, così come la performance con elementi polimaterici di Roberto Pagnani”. IN MAGAZINE

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SOGNARE

Due anime

ARTISTICHE COLTIVARE L’ARTE. QUESTO IL FILO SOTTILE CHE UNISCE LA PITTRICE LAURA ANDREA CAVIGLIA E LA SCRITTRICE ORNELLA FIORENTINI, ARTISTE GIÀ MOLTO APPREZZATE ALL’ESTERO.

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di Anna De Lutiis / ph Massimo Fiorentini

Lavorare per vivere ma continuando sempre a sognare con l’arte. Questo è il filo sottile che unisce due donne ravennati, con notevoli potenzialità artistiche e letterarie, forse più note all’estero che a Ravenna: Laura Andrea Caviglia e Ornella Fiorentini. La prima è una farmacistapittrice, la seconda si occupa di bonifica di amianto nei cantieri e mentre cammina, tra un lavoro e l’altro, le vengono le ispirazioni per i suoi romanzi e le sue poesie. Laura Andrea Caviglia è italoargentina con padre italiano, madre spagnola e nonna francese. La prima volta è arrivata in Italia perché si era innamorata. A storia finita è tornata in Argentina ma, ormai, era stata contagiata dall’arte che, come racconta, in Italia è ovunque. Così ha deciso di stabilirsi in pianta stabile a Ravenna dove svolge la professione di farmacista, portando avanti parallelamente il suo sogno: dipingere. “Dipingo da sempre – rivela –. Fin da ragazzina, su carta, su vetro. In seguito l’impegno con la mia famiglia, con il lavoro, hanno rallentato la produzione di opere. Ho ripreso qualche anno fa, quando la situazione mi ha permesso di nuovo IN MAGAZINE

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NELLA PAGINA PRECENDE, L’ARTISTA LAURA ANDREA CAVIGLIA CON UNA SUA OPERA. IN ALTO, LA SCRITTICE ORNELLA FIORENTINI.

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di avere del tempo per me”. Con emozione, racconta quando ha deciso di mostrare le sue opere in pubblico. “La prima mostra – aggiunge – l’ho fatta a Ravenna, alla galleria Art Em Studio. Poi sono stata contattata dalla galleria Artexpertise di Firenze e di lì, grazie alla direttrice artistica Marina Volpi, ho partecipato alla fiera d’arte internazionale di Innsbruck. Questo è stato solo il primo passo oltre i confini. Poi è venuta Parigi. Non avrei mai immaginato che un giorno sarei arrivata con le mie opere in una città così importante per l’arte”. Laura ha partecipato nel 2017 e 2018, all’Art fair shopping Carrousel du Louvre, uno dei più importanti eventi nel mercato d’arte europeo, nato per rendere accessibile l’arte contemporanea al grande pubblico. Mostra con orgoglio i certificati di partecipazione dove è evidenziato Certificate of Merit. Alcune sue opere sono presenti in importanti cataloghi a Londra, Venezia, Ravenna. Ma, cosa dipinge Laura Andrea Caviglia? “I miei sogni – rivela –. Sogno a colori, so che sembra strano, ma è così. I miei sogni evidenziano sempre una simbologia e io, solitamente,

LA FARMACISTA LAURA ANDREA CAVIGLIA E LA SCRITTRICE ORNELLA FIORENTINI SONO DUE RAVENNATE LEGATE DALL’ARTE E DALLA GRANDE SENSIBILITÀ ARTISTICA: LE LORO OPERE SONO APPREZZATE SIA IN ITALIA CHE ALL’ESTERO.

completo i dipinti con dei versi poetici”. La dimensione onirica e fiabesca è ciò che ha colpito alle mostre, in modo particolare a Londra e a Venezia. A Venezia è stata ospite della Galleria Art Studio di Larkina Loreta in contemporanea alla Mostra Biennale. “Vorrei sempre creare emozioni – aggiunge Laura –. Quando vedo un visitatore che si ferma davanti a un mio dipinto, mi piace guardare la sua espressione e, se vedo che i tratti del suo volto tradiscono emozione, sono contenta”. Laura, però, non trascorre il suo tempo libero solo davanti al cavalletto, ama viaggiare, frequentare amici e dedicarsi a uno


sport molto particolare e inusuale, il Krav-maga, letteralmente combattimento a corta distanza, di origine israeliana, una tecnica di combattimento che presuppone grande agilità e tempi di reazione molto ridotti. Ottima per la difesa. Ornella Fiorentini, poetessa e scrittrice, sempre timida e discreta, ha avuto numerosi successi nella sua carriera. Scorrendo il suo curriculum, molte sono le sue opere che comprendono poesie, romanzi e anche pièce teatrali. La sua riservatezza le impedisce di raccontare dei tanti riconoscimenti ricevuti, sia in Italia che all’estero. L’ultimo in ordine di tempo è il primo premio al venticinquesimo Concorso artistico InternazionaleAmico Rom tenutosi a Lanciano il 4 ottobre scorso. La sua è una raccolta di poesie intitolata Matrioska. Il titolo suggerisce una raccolta di argomenti molteplici ma le poesie che più si collegano al tema del concorso riguardano la realtà della popolazione Rom. Laureata in Arte al Dams dell’Università di Bologna, diplomata al British Council di Bologna con il Proficiency Certificate of English of Cambridge University, le sue opere rivelano una profonda preparazione letteraria che unisce a una grande sensibilità che la porta ad affrontare – nei suoi scritti – i problemi della società, in particolare quelli di coloro

che non hanno sempre appoggi e difese. Quando parla del suo lavoro, che ironicamente definisce lavoro da uomo, confessa che il suo ufficio, in cantiere, è una roulotte. “Forse – afferma – sono l’unica donna a svolgere un lavoro così tecnico che contrasta con la mia natura di scrittrice. Amo molto camminare durante le pause, di giorno e di notte: è allora che mi vengono in mente le ispirazioni che poi diventano le mie poesie, i personaggi dei miei romanzi”. Quando ha cominciato a scrivere? “Le prime poesie – ricorda – le ho pubblicate in portoghese. Seguivo mio marito che si spostava per lavoro in Brasile e lì ho potuto vedere una realtà, in alcuni ambienti, che ha colpito fortemente la mia sensibilità. Ho visto bambini da 4 a 7, 8 anni cercare cibo nei bidoni delle immondizie. Non l’ho mai dimenticato così come rimango spaventosamente colpita quando sento di bambini oggetti di abuso. Guardo il mondo che ci circonda e porto nelle mie opere le situazioni più disagiate, i personaggi sofferenti e discriminati”. Il suo ultimo libro, che sta avendo molto successo, ha proprio come tema le sofferenze dei minori. Si intitola Non si maltrattano i bambini, un romanzo fantasy che affronta temi molto realistici. È pubblicato dalle edizioni Giovane Holden e ha vinto il Premio Letterario Nazionale Streghe Vampiri & Co, 2017.

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ILLUMINARE

Luci

SUL MONDO DA RAVENNA A NEW YORK: ELISA FORLINI È UNA LIGHTING DESIGNER CHE USA LA LUCE COME STRUMENTO PER VALORIZZARE I MONUMENTI. TRA I SUOI PROGETTI TROVIAMO LA CAPPELLA SISTINA E IL COLOSSEO.

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Con coraggio e determinazione, la ravennate Elisa Forlini ha deciso di intraprendere una nuova avventura e di trasferirsi a New York nel 2016, continuando però a dedicarsi alla luce e all’architettura lavorando per l’importante studio L’Observatoire International a cui, quasi per gioco, aveva mandato il portfolio con i suoi lavori. Dopo la laurea in Architettura e un master in Lighting Design all’università Sapienza di Roma, per alcuni anni è stata designer freelance e assistente universitaria. Poi è approdata al

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di Roberta Bezzi

team del prestigioso studio romano Fabertechnica, dove ha appreso le basi sulle luci teatrali, l’autocostruzione, l’exhibit, i materiali e la scenografia. Elisa Forlini, quali sono stati i progetti più importanti ai quali ha preso parte? “Senza ombra di dubbio la Cappella Sistina e il Colosseo a Roma, San Francesco d’Assisi e il nuovo Four Seasons Restaurant al Seagram Building di New York. Sono stata fortunata perché lavorando per studi di progettazione di grande rilevanza nazionale e internazionale, ho potuto sperimentare molto. In Italia ho iniziato il mio percorso e, col tempo, ho affinato l’uso della luce come strumento per poter valorizzare i monumenti, rispettando la storia e i materiali”. Un percorso che ora sta proseguendo a New York. Come cambia l’approccio verso l’illuminazione? “Negli Stati Uniti ci sono meno vincoli per quanto riguarda il patrimonio storico, quindi l’illuminazione è utilizzata in modo più vistoso, si osa di più. Soprattutto per gli esterni, si usa molto più frequentemente la luce colorata, si vuole attirare l’attenzione trami-

te l’illuminazione. Capita spesso infatti che i colori dei grattacieli cambino in base agli avvenimenti importanti della città. Qui c’è un atteggiamento più provocatorio, l’illuminazione è quasi strumento pubblicitario: la luce vuole essere protagonista dello spazio, vuole essere vista e ammirata in quanto tale”. A quali principi si rifà l’illuminazione della Cappella Sistina e della basilica di Assisi? “In Italia vige l’eleganza, la luce è discreta ed è al servizio dell’architettura. Per la Cappella Sistina e la basilica di Assisi abbiamo dato totale rilievo al monumento in cui operavamo. Nel primo caso l’attenzione si è incentrata sull’impiego di una luce omogenea capace di esaltarne tutti i colori senza dare una nostra interpretazione personale, in modo da rendere l’intera volta una tavola limpida e oggettiva in cui il visitatore non fosse distratto dall’intervento ma potesse semplicemente ammirarne gli affreschi. Nel secondo caso, l’architettura complessa che ci si presentava rendeva necessario anche studiare una gerarchia degli elementi da sottolineare a chi entrava nello spazio. In entrambi i casi abbiamo creato anche


“IN ITALIA VIGE L’ELEGANZA, LA LUCE È DISCRETA ED È AL SERVIZIO DELL’ARCHITETTURA. PER LA CAPPELLA SISTINA E LA BASILICA DI ASSISI ABBIAMO DATO RILIEVO AL MONUMENTO, MENTRE PER IL COLOSSEO ALLA MATERIA E ALLE FUNZIONI CHE AVEVA IN PASSATO”.

A LATO, LA LIGHTING DESIGNER ELISA FORLINI. IN ALTO, A SINISTRA, UNA FOTO DELLA SUA ISTALLAZIONE AL THE GRILL DI NEW YORK, L’EX FOUR SEASON. A DESTRA, UNA FOTO DELLA BASILICA DI ASSISI CON LA SUA INSTALLAZIONE.

degli scenari luminosi in grado di adattarsi a più occasioni per ampliare la flessibilità d’uso dello spazio, ed enorme importanza è stata data alla tutela delle superfici pittoriche e alla collocazione degli apparecchi per minimizzare l’impatto visivo”. Quali accorgimenti invece per il Colosseo? “Qui l’attenzione è stata data più all’architettura, alla geometria, alla materia, alle funzioni che aveva in passato e a quello che ne rimane adesso e, tramite la luce, abbiamo lavorato per rendere leggibili questi elementi. Non è un monumento di facile interpretazione e le letture che si possono dare sono moltepli-

ci. Abbiamo passato intere notti a fare test sui diversi materiali con sorgenti luminose a ottiche e temperatura colore diverse, e a valutare quanto le luci della città attorno interferissero o meno con la percezione dell’interno. Purtroppo però il progetto non è stato ancora realizzato, si trattava infatti di uno studio approfondito, indetto dall’università Sapienza e dai Beni Culturali di Roma, che aveva come scopo ultimo lo studio dello stato di fatto e redazione di linee guida da seguire in previsione di un prossimo concorso per la nuova illuminazione”. A New York, ha fatto parte del team di progettazione che si occupava della nuova illuminazione dell’ex Four Season Restaurant al Seagram Building, ora, The Grill e The Pool… “L’edifico è stato progettato nel ’58 da Mies Van der Rohe e illuminato da Richard Kelly ed è uno dei più famosi grattacieli del movimento moderno, uno degli edifici meglio illuminati che mai sia stato costruito, sogno di ogni studente di architettura. Per me esser potuta entrare al Seagram Building prima ancora che fosse inaugurato mi ha fatto sentire pri-

vilegiata, e onorata per aver potuto vivere da dietro le quinte una realtà che negli anni avevo visto solo nei libri. Nel caso dell’attuale The Grill, si è optato per una luce di ambiente molto discreta e con bassi valori di illuminamento in contrasto con l’accento con luce molto calda posto sui tavoli; si è voluto privilegiare l’atmosfera alla funzionalità che un ristorante normalmente richiede. La cantina dei vini è ora immersa in una luce dorata e non passa di certo inosservata, e nella sala principale è stato fatto un lavoro anche di re-lamping del vecchio impianto per aver un abbassamento dei consumi energetici, e sono stati aggiunti proiettori posizionati ad hoc per far spiccare le magnifiche sculture di Richard Lippold e conferire così un aspetto davvero sontuoso allo spazio”. Come si trova a New York dal punto di vista personale? “Sento molto la mancanza dell’Italia, dal cibo alle persone, allo stile e qualità della vita. Però qua le opportunità sono più ricche e gratificanti che in patria”. Il suo sogno nel cassetto? “Far brillare la mia città natale e dare così il mio contributo a Ravenna!”. IN MAGAZINE

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DEGUSTARE

Ristorazione

GOURMAND LE DUE STELLE DELLO CHEF ALBERTO FACCANI BRILLERANNO ANCORA SULLA GUIDA MICHELIN 2019, E SONO BEN CINQUE I RISTORANTI RAVENNATI CHE QUEST’ANNO SONO RIENTRATI NELLA LISTA BIB GOURMAND MICHELIN.

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di Roberta Bezzi

Lo chef ravennate Alberto Faccani continua a brillare sulla Guida Michelin 2019, che ha confermato le due stelle assegnate lo scorso anno al suo ristorante Magnolia a Cesenatico. “Le stelle Michelin? Bisogna onorarle e far sì che la gente continui ad apprezzarci” afferma. Qual è il segreto per diventare stellati? “Sposare un progetto imprenditoriale che vada nella direzione

A LATO, UNA FOTO DELLO CHEF STELLATO ALBERTO FACCANI, PATRON DEL RISTORANTE MAGNOLIA.

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della massima qualità – spiega –. Non basta essere chef di talento, anche il servizio in sala deve funzionare alla perfezione e tutte le materie prime devono essere il meglio di quello che il mercato offre, dall’acqua al caffè, dalla farina alle uova. Non bisogna fare compromessi. Nel mio ristorante ho ventidue coperti a fronte di un personale formato da sedici persone, con una evidente attenzione

alla clientela. Bisogna essere una squadra vincente, perché anche solo una persona che rema contro, può rovinare tutto”. Un investimento economico e umano che Faccani si è potuto permettere in quanto titolare del suo ristorante. Purtroppo la Provincia di Ravenna resta ancora una volta senza stelle, assegnate in passato a locali quali Il Tre Spade di Ravenna, La Voglia Matta di Fusignano e


La Frasca di Cervia. Ravenna si consola, però, con i suoi cinque Bib Gourmand Michelin (su un totale di 32 a livello regionale), ossia ristoranti che propongono una piacevole esperienza gastronomica con un menù completo a meno di 32 euro, identificati da un pittogramma inconfondibile: la sorridente faccia dell’Omino Michelin, Bibendum, che si lecca i baffi. Quali sono? La Baita e Ca’ Murani di Faenza, Osteria del Gran Fritto di Cervia-Milano Marittima, Trattoria Flora di Ragone e La Cucoma di San Pancrazio. “Ne siamo orgogliosi – raccontano i fratelli Emiliano e Marco Amadori de La Cucoma – e mai come quest’anno i clienti si sono complimentati con noi. Da quarant’anni offriamo una cucina solo di pesce con cotture tradizionali in padella o alla brace. Una scelta anomala data la nostra posizione, ma i clienti vengono apposta. Perché Ravenna non ha un ristorante stellato? Forse perché si punta troppo sul far cassa nella stagione estiva e meno sulla qualità e sulle tipicità dell’Adriatico, almeno per il pesce”. Dal 2000 la Trattoria Flora, che l’anno prossimo festeggerà i trent’anni,

riceve il riconoscimento. “Grazie alla Michelin – raccontano Albarosa Chiapponi e Giacomo Tedaldi – in questi anni sono arrivati tanti nuovi clienti, anche stranieri, in particolare francesi, tedeschi, e pure giapponesi e americani, attenti a ciò che viene segnalato dalle guide. I nostri punti di forza? La pasta tirata al mattarello, in particolare i nostri tortelli con il sugo di colombaccio, gli arrosti e la cacciagione, i dolci della tradizione come il casadello romagnolo accompagnato dalla pasta matta”. Una grande attenzione per il territorio e l’artigianalità che è presente anche al ristorante La Baita di Faenza, nato nel 1975 – su iniziativa di Roberto Olmeti – inizialmente come negozio di alimentari specializzato in salumi e formaggi e come enoteca. “La menzione ci fa molto piacere – dice Fabio Olmeti che oggi gestisce il locale con la madre Rosanna Crudeli – anche se, in realtà, vista la tipologia del nostro locale, riceviamo più clientela grazie al passaparola e alla segnalazione sulla Guida delle osterie d’Italia Slow Food. Per questo, ci teniamo a mantenere un ottimo rapporto con i presidi”.

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ADVERTORIAL

BE.CAR OPEL INAUGURA LA NUOVA SEDE

BE.CAR OPEL DI RAVENNA INAGURA LA NUOVA SEDE A FORNACE ZARATTINI. IL TITOLARE DAVIDE BENELLI CI PARLA DEL TRASFERIMENTO DELLA CONCESSIONARIA E DEL NUOVO SERVICE.

Quest’estate, nella zona commerciale di Ravenna a Fornace Zarattini, è nata una nuova sede Opel adiacente alle già presenti moderne strutture del gruppo Benelli. Una scelta nata dall’esigenza di poter esporre le nuove vetture e quelle usate in spazi più ampi, potendo accogliere in modo più funzionale i tanti clienti che hanno permesso a Be.Car Opel di crescere notevolmente negli ultimi anni. Il marchio tedesco, recentemente, ha investito molto nei propri prodotti e, le nuove linee della gamma, stanno riscuotendo un grande successo. Abbiamo raggiunto Davide Benelli, titolare Be.Car Opel Ravenna per conoscere meglio la nuova sede. Iniziamo parlando del trasferimento della concessionaria in Via Faentina, 260. “Nel 2011, quando abbiamo acquisito il marchio Opel, avevamo la necessità di trovare una soluzione immediata, era un must del management del marchio,

ma avevamo già in mente la creazione di un polo automobilistico tutto nostro. Opel sta lavorando molto bene nella zona ravennate e, nella vecchia sede, ad esempio, avevamo problematiche di spazi e di parcheggi per una migliore accoglienza clienti. Abbiamo così operato un investimento impiegando ter-

reno in nostro possesso e ci siamo inseriti nell’area commerciale a Fornace Zarattini generando un polo più corale dei nostri marchi. Nella nuova sede i nostri clienti troveranno ambienti più confortevoli, maggior facilità di parcheggio e un service tecnologico d’avanguardia con attrezzatura aggiornata”.


ADVERTORIAL

“NELLA NUOVA SEDE I NOSTRI CLIENTI TROVERANNO AMBIENTI PIÙ CONFORTEVOLI, MAGGIOR FACILITÀ DI PARCHEGGIO E UN SERVICE TECNOLOGICO D’AVANGUARDIA CON ATTREZZATURA AGGIORNATA. UN BUON SERVICE È CIÒ CHE, AL GIORNO D’OGGI, DIFFERENZIA UNA CONCESSIONARIA DA UN’OFFICINA GENERICA”.

Quanto hanno inciso i cambiamenti nell’automotive e del mercato globale nella vostra scelta? “Il mercato è sempre in continua evoluzione e bisogna essere bravi ad adattarsi. In questo momento, purtroppo non c’è una politica chiara sull’inquinamento. Occorrerebbero passi ben mirati e purtroppo manca un regista globale in tal senso”. Spendiamo due parole sulla presentazione del 15 dicembre. “La presentazione si è tenuta nella nostra sede ed è stata curata da Bronson Produzioni, una realtà formata da miei amici che stanno facendo iniziative molto belle per la città. Opel, inoltre, è main sponsor di X Factor e, considerando la mia passione per la musica, ho preferito integrare la giornata con il sound di una bella band locale.

Be.Car Opel ha una lunga storia alle spalle. Come e quando è nato tutto? “Dobbiamo tornare agli anni ’70, quando mio papà iniziò a lavorare in una piccola officina dapprima come dipendente, in un secondo momento in proprio. Grazie all’aiuto dei suoi fratelli, sono riusciti a crescere inglobando gradualmente vari marchi, tra i quali Skoda, Volvo, Peugeot, Mazda, Seat e Opel naturalmente, su diverse sedi dislocate tra Ravenna, Cesena, Lugo, Imola”. Cosa puoi dirci del service? “In tal senso vantiamo una grande tradizione e offrire un buon service è ciò che differenzia una concessionaria da un’officina generica al giorno d’oggi. I nostri meccanici sono molto appassionati di auto e preparati e questo porta a risultati molto soddisfacenti”.

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Come sta andando il business? “Molto bene, abbiamo dati molto alti rispetto alla media nazionale, sia per quanto concerne la fidelizzazione del cliente nel service sia per la vendita delle auto. Ci mettiamo l’anima e penso che questo sia un valore imprescindibile. Mi piace sottolineare che anche Biagiotti, l’architetto della nuova sede, è un mio amico e penso sia bello vedere come si sia creato un bel team che si è fatto in quattro per la realizzazione di questo importante progetto. Colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente di cuore tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione della nuova sede, la mia famiglia che mi ha sempre sostenuto e, un immenso grazie anche a tutti i miei collaboratori, un bellissimo gruppo con cui lavorare”.


LEGGERE

Libri belli

E BUONI

CONSIGLI DI LETTURA TRA GUIDE PER CHI ADORA VIAGGIARE E PER CHI AMA STUPIRE IN CUCINA AMICI E PARENTI CON RICETTE DELLA TRADIZIONE ITALIANA. SENZA DIMENTICARE LA FILOSOFIA E LA MEMORIA LOCALE.

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di Giorgio Pereci

Quando l’autunno porta il freddo un buon libro può fare la differenza tra una serata monotona e una densa di novità. A tal proposito, Edizioni IN Magazine esce in libreria con due guide interessanti e belle da sfogliare. Due libri utili e da utilizzare. Il primo è Il Paese più bello e

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buono del mondo, una guida ai siti Unesco patrimonio mondiale dell’umanità della penisola italiana. Non tutti sanno che l’Italia è al primo posto al mondo nella classifica mondiale dei siti Unesco. L’Italia è titolare di ben 54 siti, recentissima acquisizione è la città di Ivrea, tra

i quali spiccano i monumenti paleocristiani di Ravenna, la città di Ferrara e il Delta del Po, i sassi di Matera, il monte Etna e le Dolomiti. Il volume raccoglie, per tutti questi siti (a cui è stata aggiunta anche San Marino), le schede illustrative, individuando per ciascun luogo e monumento le motivazioni di visita, un inquadramento storico-artistico e un suggerimento di percorso turistico. La guida, ricca di un apparato iconografico d’eccellenza, nasce sia come volume di consultazione, sia come riferimento per chi intenda visitare realmente i luoghi recensiti. Non poteva mancare quindi uno spazio dedicato ai prodotti e ai piatti tipici di ciascuna località. L’autore della guida è Pierluigi Moressa, autore di saggi in tema di arte, storia, letteratura, che per Edizioni IN Magazine ha già curato i volumi Miti e misteri di Romagna (2015) e Una terra da scoprire. 52 luoghi di Romagna (2016). Gli approfondimenti del settore enologico sono a cura di Flavio Barge Sintoni, mentre le schede dei piatti tipici sono state curate da Mariavittoria Andrini, giornalista e scrittrice, già curatrice per Edizioni IN Magazine della riedizione di L’arte di uti-


lizzare gli avanzi della mensa di Olindo Guerrini (2012), del primo e secondo volume di Le ricette di famiglia (2014-15), di Ricordi Autobiografici di Olindo Guerrini (2016). Mariavittoria Andrini è anche la curatrice del secondo libro pubblicato da Edizioni IN Magazine, Ricette di Petronilla, un classico di inizio secolo che viene riproposto in una veste grafica che ricorda da vicino l’edizione del 1938. Amalia Moretti Foggia della Rovere, medico pediatra, tenne sotto diversi pseudonimi, a partire dal 1927, alcune rubriche sulla Domenica del Corriere e Il Corriere dei Piccoli. Fu il dottor Amal, esperto di piante e medicamenti, ma soprattutto Petronilla, donna di casa il cui motto era “mangiar bene con poco”. Numerose donne impararono a cucinare grazie ai suoi suggerimenti. Il libro raccoglie molte di queste ricette, che coprono ogni occasione, dai primi piatti alle pietanze di carne, pesce e verdura, per concludere con dolci, marmellate e liquori. Una lettura leggera e interessante che ci consente di portare lo sguardo, oltre che sulla tecnica culinaria, anche sulla società borghese di inizio secolo, con i propri rituali, le tipiche relazioni familiari caratterizzate da distinzioni di ruoli precisi e invalicabili, un sottile umorismo all’inglese. Un salto nella storia, raccontata dal cuore pulsante di ogni famiglia italiana: la cucina. Un’altra pubblicazione, in questo scorcio di fine anno, può essere in-

teressante e divertente da leggere o utilizzare. Parliamo dell’Agenda Filosofica per Spiriti Liberi 2019, sempre di Edizioni IN Magazine, dedicata a Friedrich W. Nietzsche. Si tratta di un progetto editoriale nato all’interno dell’Associazione L’Agenda Filosofica, con un obiettivo preciso: l’associazione ritiene infatti – e citiamo direttamente dall’introduzione – che “la filosofia sia tra le urgenze che vanno praticate oggi, quasi una necessità improrogabile, perché essa insegna e allena a pensare e, per questo, rappresenta l’antidoto al veleno delle certezze fallaci e dei dogmi inadeguati permettendoci di avanzare alla ricerca di nuovi futuri.” L’agenda è un primo passo: ogni settimana presenta un aforisma tratto dalle opere di Nietzsche, probabilmente uno dei pensatori più citati e meno conosciuti della modernità, i cui testi sono forse i più folgoranti e memorabili della storia della filosofia, fin dai titoli: Umano troppo umano, Al di là del bene e del male, Ecce homo, La nascita della tragedia, Così parlò Zarathustra. È una sorta di pausa caffè filosofica che serva alla nostra mente per distogliersi dai fantasmi della routine e che ci possa aiutare a meglio vivere grazie a qualche pillola di saggezza in più. Curatori dell’agenda – a cui si affianca il Taccuino Filosofico, un quaderno dove appuntare, o disegnare, i propri pensieri – sono Alberto Donati e Costantino Rossi, cofondatori dell’associazione.

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NARRARE

L’eroe

ROMANTICO LORD BYRON È ENTRATO NELLA TEMPERIE ROMANTICA CON I CARATTERI DELL’EROE INQUIETO ED ERRABONDO. LO SVILUPPO DELLA SUA POESIA SI ASSOCIA AI DRAMMI ESISTENZIALI, COME LA MORTE DI SUA FIGLIA ALLEGRA.

L

di Pierluigi Moressa

Lord George Gordon Byron vagabonda a lungo per l’Europa. Nel 1819, a Venezia, conosce la ravennate Teresa Gamba, diciannovenne sposa dell’anziano conte Alessandro Guiccioli. L’interesse per la giovane donna, di cui diviene l’amante, lo spinge a stabilirsi a Ravenna. Nella città romagnola,

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IN MAGAZINE

Byron entra in contatto coi Carbonari, compie frequenti cavalcate in pineta, porta a termine tre canti del Don Juan. La sua presenza suscita il senso di una turbolenza che dà forma all’immagine dell’eroe romantico, dibattuto fra passione e poesia, fra inquietudini esistenziali e aspirazioni ideali. Con Teresa soggiorna nel castello di Monteleone (non lungi da Montiano). Si tratta di un rifugio che essi lasceranno solo per spostarsi nel Granducato di Toscana. Successivamente Byron convince Teresa a rientrare a Ravenna. In solitudine, egli sarà in Liguria: prima a Porto Venere poi a Genova. Nell’inquieto spostarsi del poeta non c’è più posto per la bambina che fino ad allora è vissuta con lui. Clara Allegra Byron (chiamata inizialmente Alba) è nata a Bath il 12 gennaio 1817, figlia di George e di Claire Clarmont, che è sorellastra di Mary, la moglie del poeta Percy Bysshe Shelley. La piccola, a soli 15 mesi, viene lasciata da sua madre alla tutela di Byron, che vive separato da lei; la donna pensa che la bimba potrà godere di un tenore di vita migliore presso il proprio padre. Byron si occupa

della figlia; Teresa nutre un affetto genuino per Allegra, che la chiama mammina. Ritenendo che la migliore educazione per una ragazza sia quella impartita in convento, George affida la bambina alle suore cappuccine di Bagnacavallo; è il 22 gennaio 1821. Claire, madre di Allegra, è contraria all’ingresso della figlia in collegio. Nell’agosto successivo, Percy Shelley le fa visita e la trova calma e riflessiva, piena comunque di gioia e vitalità. Improvvisamente, la bimba si ammala, si aggrava rapidamente e muore. Il 20 aprile 1822 è il giorno del suo trapasso, a poco più di 5 anni; pare morta per un’infezione di tifo. Una lapide, presso la chiesa di San Giovanni, ne ricorda la presenza e la prematura scomparsa, che l’ha rapita “al bramoso affetto del grande genitore”. Questi intanto ha deciso di unirsi al popolo greco, che è in lotta contro l’Impero ottomano per la propria indipendenza. Byron raggiunge la città di Missolungi, dove è colto da febbri reumatiche, poi da meningite. Muore il 19 aprile 1824. Nel frattempo, Allegra è stata inumata entro una chiesa, ad Harrow nel Middlesex.



ADVERTORIAL

PIZZERIA ALFIO NEW UNA PIZZA DIVENTATA TRADIZIONE

RIBATTEZZATA ALFIO NEW, LA STORICA PIZZERIA DI RAVENNA CAMBIA SEDE IN VIA ROMEA. DAL 1955 LA FAMIGLIA PARDINI PORTA AVANTI L’ATTIVITÀ OFFRENDO MASSIMA QUALITÀ E LA FAMOSA PIZZA AL TEGAMINO.

Ravenna, Via Romea 150/R Tel. 0544.67379 info@pizzeriaalfionew.it www.pizzeriaalfionew.it

La pizza al tegamino è il fiore all’occhiello della pizzeria Alfio di Ravenna. Di recente ribattezzata Alfio New, con il cambio sede in via Romea 150/R. Ciò che è rimasto inalterato dal 1955 a oggi, è la passione e l’entusiasmo con cui la famiglia Pardini lavora per offrire alla clientela la massima qualità nel rispetto della tradizione. L’azienda, ormai conosciuta da tutti in città, è orgogliosa di essere stata la prima a produrre la pizza al tegamino, da molti imitata, ma nessuna uguale alla ricetta originale di Alfio New, conservata gelosamente nel cassetto. “Tutto è iniziato per merito dei nostri genitori, Aldo e Alba Tina – raccontano Bruna e Cinzia Pardini –. Nostro padre aprì una prima pizzeria in via Salara che portava il suo nome. A un certo punto, per convincere il fratello più piccolo che viveva in Toscana a raggiungerlo gli promise che avrebbe cambiato il nome della pizzeria. Alfio accettò e nacque così l’omonima pizzeria. La pizza era nel dna di famiglia. Come mai proprio quella al tegami-

no? Perché mio padre, ancora giovanissimo, aveva imparato quella tecnica che lo aveva incuriosito e gli era rimasta nel cuore, riuscendo a perfezionarla nel tempo. La bontà degli ingredienti è fondamentale. Ieri come oggi, Alfio New utilizza solo la mozzarella e la stessa qualità del pomodoro, facendo tutti i giorni i pelati a mano. Nel portare avanti un’attività così longeva e fiorente, fondamentale è stato l’apporto di Alba Tina, grande

lavoratrice e vincitrice di tanti premi, che tuttora – a 81 anni – continua a impartire consigli e insegnamenti alle figlie e ad andare in negozio perché ama il contatto col pubblico. Il suo motto è: “Lavorare sodo e con costanza, senza mai distrarsi troppo, garantendo la massima attenzione al cliente e al prodotto che si lavora”. “Dopo gli ultimi 18 anni in via Canale Molinetto – aggiungono Bruna e Cinzia – siamo finalmente riusciti a trovare un posto facilmente raggiungibile e con parcheggio, con maggiore spazio interno per consentire il consumo sul posto”. La pizzeria, che negli anni ha avuto filiali in tutta Ravenna e nelle località limitrofe, offre ben 65 diversi tipi di pizze per soddisfare tutti i gusti. Alfio New è aperto tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 18 alle 22.


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