Per non dimenticarti

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ISBN 978-88-6332-161-6


Antonella Sergi

Per non dimenticarti

Storia di Fratel Michele Sergi, un fratello missionario comboniano in Africa

Edizioni Miele



Fratel Michele Sergi: un gaglianese sulle strade del mondo Fa onore ad una comunità la memoria dei suoi figli specialmente coloro che, per vari motivi, per scelta o per necessità, si trovano a vivere lontano dalla propria terra, quasi privati del sacrosanto diritto di realizzare la propria vita accanto ai propri affetti e privati del sacrosanto dovere di non impoverire una terra già così emarginata e dimenticata come la nostra. Nella lunga lista dei suoi figli lontani, spicca una figura eminente per fede, per senso profondo dell’umanità, per generosità e coraggio dimostrato: Fratel Michele Sergi. Ricordare la sua figura ha un grande significato per diversi motivi: il primo risiede nel fatto che quanto Fratel Michele ha compiuto di straordinario ha le sue radici nella nostra Gagliano, dove la povertà è sempre stata sinonimo di grande laboriosità, generosità ed umiltà. Mi piace ricordare la testimonianza di un grande missionario trintario diventato vescovo in un’altra terra dell’Africa, il Madagascar: Padre Francesco Vollaro. Con queste parole ricorda la Gagliano di Fratel Michele, la Gagliano degli anni della guerra: “Conobbi Gagliano in un periodo favorevole, anche se imperversava la guerra, quando regnava la semplicità, la serenità e il fervore religioso, quando si viveva poveramente ma dignitosamente. Ho conservato sempre una grande stima del popolo gaglianese, delle famiglie e di quegli uomini attaccati alla terra, al mare, al lavoro”. Nelle lettere e nelle opere di Fratel Michele non possiamo non riconoscere quelle radici che lo restituiscono alla generosità della nostra terra. Rileggere la sua vita, specialmente nei primi periodi, ci offre l’occasione per non dimenticare quel patrimonio di umanità di cui siamo eredi. Siamo figli di tanta povertà, ma ancor più di straordinaria 5


generosità. Siamo figli di gente ostinatamente attaccata alla terra, al lavoro, alla famiglia, alla fede. I nostri genitori ci hanno insegnato il valore del sacrificio e della rinuncia, dell’onestà e della laboriosità, dell’umiltà e della generosità. Il coraggio di Fratel Michele affonda le sue radici non solo nella vita della nostra comunità ma anche nella spiritualità dei Comboniani, una congregazione fondata da San Daniele Comboni, con lo scopo dell’evangelizzazione e dell’impegno missionario specialmente nell’Africa. I giovani che entravano in questa congregazione coltivavano l’ideale della missione, erano pieni di entusiasmo e di coraggio per affrontare le difficoltà più pesanti pur di annunciare il Vangelo e dispensare la grazia di Dio. Da questo entusiasmo fu contagiato anche Fratel Michele Sergi che all’amore del proprio paese e della propria terra seppe anteporre l’amore per Cristo e per il suo Vangelo. L’amore per il Signore non sminuisce nessun amore umano, anzi, è fondamento sicuro di un amore vero, che mai si chiude nel piccolo recinto delle proprie sicurezze e dei propri legami umani ma che abbraccia il mondo intero. I legami con la propria terra non sono catene che ci impediscono di camminare sulle strade del mondo ma sono il sostegno di chi sa, anche quando si sente solo, di essere accompagnato dall’affetto e dalla preghiera di tanti amici. Sono certo che il pensiero per i suoi cari abbia incoraggiato Fratel Michele negli inevitabili momenti di crisi ed è stato il rifugio carico di affetto di cui anche una persona consacrata totalmente a Dio sente di aver bisogno. La Chiesa celebra l’anno della fede, voluto fortemente da papa Benedetto XVI, che ha lanciato alla cristianità, prima di lasciare il timone della Chiesa, un appello alla conversione e alla testimonianza 6


della fede. In questo libro si traccia la figura di un testimone della fede che ha speso la sua vita per un continente dilaniato dalle guerre tribali e per un paese, il Sudan, dove la minoranza cristiana è duramente provata dalla persecuzione islamica. Ancora oggi i cristiani sono perseguitati a causa della loro fede. La libertà religiosa, sacrosanto diritto di ogni uomo, resta un sogno per molti cristiani. Fratel Michele, con la sua sapiente e paziente opera, seppe riunire diverse tribù in lotta fra loro, dare accoglienza agli immigrati dal Sud del paese, avvicinare tutti con estrema semplicità, mettere in piedi veri percorsi di catechesi per avvicinare alla fede coloro che lo desideravano. Era un illetterato, a stento aveva imparato a leggere e scrivere l’italiano frequentando le scuole serali ma l’amore per quella terra lo spinse ad imparare l’arabo con le sue numerose varianti dialettali. Si prodigò alla redazione di numerosi opuscoli scritti in arabo, per portare avanti l’opera evangelizzatrice. Rilegati, diventarono volumi di oltre duecento pagine. In tre anni ne furono stampati circa cinque milioni. Fondò il Central Chatholic Club, tuttora operante nel cuore della città di Khartoum, e chiamato “club Sergi”. Da quel club vennero fuori diversi sacerdoti, giovani catechisti, alcuni dei quali hanno conosciuto il martirio. Nelle sue lettere traspare l’amore sconfinato per il Sudan ma la sua mente, specialmente negli ultimi anni della sua vita, ritorna volentieri ai ricordi di quando era bambino, al suo “paesello” come lo chiama in una lettera (25 marzo 1979), alla sua chiesetta, alla sua famiglia. E traspare lo stesso sconfinato amore. Un gaglianese diventato africano pur rimanendo gaglianese. Quanti africani avranno conosciuto, attraverso i suoi racconti carichi di commozione e di tenerezza, la sua Gagliano: l’avranno immaginata come un piccolo paradiso terrestre dal momento che avevano, nella persona di Fratel Michele, un degno rappresentante, un infaticabile 7


operaio della pace. Potremmo dire un “manovale” della pace, visto che il suo primo impegno era quello di curare la manutenzione del grande “Collegio Comboni” frequentato da oltre mille alunni di venticinque nazionalità e religioni differenti: il miracolo della “convivialità delle differenze”, realizzato dalle ruvide mani, dalla caparbietà e concretezza di Fratel Michele. Di giorno semplice ed umile manovale, di sera intrepido catecheta, paziente educatore, audace tessitore di relazioni profonde di vera umanità, dove nessuna differenza diventa minaccia. Forse i volumi di catechetica o di missiologia non ne parleranno, ma possiamo affermare che il fratello gaglianese ha inventato un vero e proprio “metodo Sergi” per avvicinare alla fede migliaia di fratelli. Questo libro, scritto con l’affetto e la gratitudine della poetessa Antonella Sergi, è un prezioso regalo per tutti noi gaglianesi chiamati a riconoscere nella testimonianza di Fratel Michele Sergi una eccellente sintesi dei valori umani e cristiani, fondamento irrinunciabile del nostro essere comunità. Sarà anche un modo per restituire alla nostra comunità la straordinaria avventura di questo fratello comboniano. Sarà anche un modo per ricordare, attraverso Fratel Michele, tutti quei gaglianesi sparsi nel mondo che hanno onorato ed onorano col loro impegno e sacrificio la nostra amata comunità. A tutti loro va, ora che sono anche io gaglianese nel mondo, il mio speciale ricordo nella preghiera. Padre Gino Buccarello Ministro Provinciale dei Padri Trinitari Gaglianese sulle strade del mondo

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Guida alla lettura Il libro si presenta quale biografia di un Missionario Comboniano, Fratel Michele, vista da coloro i quali, sia tramite legami parentali che tramite legami di amicizia, hanno incrociato le proprie vite con la sua. A rispettare i canoni biografici troviamo i primi tre capitoli che ripercorrono le fasi della vita di Fratel Michele prima di entrare nel mondo dei missionari, nel momento della presa di coscienza verso il ruolo che avrebbe ricoperto, e durante lo svolgimento della sua funzione. Dal quarto capitolo in poi, il libro si presenta come un incrocio tra letteratura epistolare e storica, nonché narrazione di una realtà, quella africana, che vede un Paese squarciato dalle guerre territoriali e religiose. Attraverso le lettere che Fratel Michele invia, inizialmente spesso, successivamente di rado, alla propria famiglia nel sud Italia, si percepiscono gli aspetti più umani della vita del missionario: è una vera e propria immersione nei suoi pensieri, nei suoi desideri e nelle sue necessità che, naturalmente, egli esprime sempre con gioia profonda verso la propria missione. Il ruolo che Fratel Michele ricopre, non è solo quello di evangelizzazione cristiana, ma è soprattutto quello di “insegnante dell'arte di vivere”, in tutti i sensi. Egli si dimostra, a dispetto della sua scarsa istruzione, uomo ricco non solo nello spirito ma anche nell'abilità del fare: si potrebbe definire un discepolo della regola benedettina dell' “Ora et Labora”, che non solo egli stesso onora in ogni momento della sua esistenza, ma che riesce, con il suo senso pratico e le sue maniere sempre gentili, a far onorare anche a coloro che decidono di seguirlo. Egli trasmette, a chi lo circonda, l'amore per la vita, un amore universale verso ogni essere, senza pregiudizi di alcuna sorta, senza 9


mai crollare, neppure di fronte alle imprese più ardue; riesce a dimostrarsi, in ogni occasione, uomo dalle mille risorse, sempre propositivo, e così, riesce a portare a termine opere e parole che permangono nel tempo. Fratel Michele vede nell'Africa, oltre che la propria missione, la propria terra: egli percepisce gli abitanti come suoi fratelli ed è per questo che dona la propria vita per loro, senza mai rimpianti, senza rimorsi. Negli ultimi istanti della propria vita impiega tutte le energie, le poche che gli restano, per dedicarsi a “quella povera gente” che ha saputo far tesoro di una presenza così benefica per le loro esistenze. Malgrado l'esigenza di avere notizie dei propri familiari e della terra nativa, nulla può più slegarlo da un continente per il quale egli ha deciso di donare il suo spirito ed ove morirà. Il libro narra, dunque, la storia di un uomo mandato da Dio a riunire, il 30 novembre 1988 nella Cattedrale di Khartoum, sotto lo stesso tetto e per lo stesso motivo uomini di differenti etnie e religioni, a dispetto di ogni intolleranza e di ogni emarginazione razziale. Francesca Sergi Dott.ssa in lingue e letterature straniere

Fratel Michele davanti alla finestra della sua stanza al Comboni College In Khartoum 10


Introduzione L'afa di quel giorno era soffocante, giravo e rigiravo in ogni angolino della mia casa pur di trovare un po' di refrigerio, un po' d'ombra, ma invano. Decisi allora di scendere nella piccola cantina di casa mia, non ci andavo quasi mai perché è troppo buia, ma sapevo bene che lì avrei trovato quella frescura cui tanto ambivo: lì sotto, infatti, teniamo stipate le conserve e l'olio, proprio per la temperatura favorevole. Aprii la porta e già mi sentivo meglio ma... proprio non sapevo dove poggiarmi, neppure una sedia! Mi ricordai che le avevamo portate tutte su, in casa, in occasione del settimo compleanno della mia figlioletta minore: era il luglio del 2009. Percorsi ugualmente il corridoio impolverato, sentivo un fortissimo formicolio nel naso e due starnuti mi travolsero come un uragano in tempesta! Fortunatamente mi tenni forte alla piccola libreria di legno che avevamo portato laggiù per mancanza di spazio in casa: avevamo deciso, con le mie due figlie maggiori, di “relegarvi” i libri che avevamo già letto, per fare un po' d'ordine in casa. “Menomale che c'eri tu, cara libreria!” pensai e, così, per ringraziarla in qualche modo, mi chinai a sbirciare quanti libri ci fossero e se, magari, qualcuno non mi fosse mai passato tra le mani. “Le mani ruvide del regno... di Padre Lorenzo Gaiga*... Cosa significherà un titolo del genere?” pensai fra me e me; lo sfogliai e, senza indugio alcuno, decisi di leggerlo, è vero ero in piedi ma ero al fresco e tanto basta per leggere un buon libro. Si narrava la storia di “tre uomini in Missione”, tre brevi racconti di fratelli missionari comboniani, fra i quali Fratel Michele Sergi, conosciuto da tutti in famiglia come “lo zio monaco”. *Padre Lorenzo Gaiga (03/09/1934-13/11/2007) è stato un Missionario Comboniano che ha scritto centinaia di articoli e libri sulla Missione. 11


Malgrado il benevolo appellativo, per me quel nome era pregno di significato, ma ero lungi dall'idea che qualcuno avesse ricordato, attraverso le parole, la sua opera missionaria. Finalmente potevo scoprire la vera essenza di un uomo venerato come un Santo dai suoi familiari; io ne ero la pronipote acquisita, avevo sentito molto spesso raccontare di lui ma ero certa che, grazie alla preziosa fonte che avevo in mano, avrei potuto saperne davvero di più e soddisfare la mia curiosità. Lessi quel libro tutto d’un fiato, ne rimasi strabiliata. La sua vita in Missione era stata, dal mio punto di vista, un grande segno d'amore nei confronti dell'umanità! Ad un tratto mi sentii pervasa anch'io da quella stessa felicità, da quell'orgoglio che provavano da sempre i suoi familiari nei confronti di quell’uomo e, quasi fossi ispirata dalla fiamma del Santo Spirito, sentii il bisogno di dedicargli subito una poesia*. Ci riuscii in pochissimi minuti: le parole uscivano dal cuore, ne ero impressionata! Nei giorni a seguire, non facevo altro che pensare alla grande opera compiuta da un granello di sabbia, quale poteva essere Fratel Michele, nel deserto degli uomini e sentivo crescere in me la voglia di scrivere un libro che potesse essere chiara testimonianza, anche per i futuri discendenti, della Missione e dei rapporti intrattenuti da “lo zio monaco” con la propria famiglia. Ebbi l'idea di chiedere proprio a mio marito, pronipote diretto, di raccogliere in giro un po’ di informazioni: l'esito non fu dei migliori, forse mio marito, sottovalutando l'entità dell'opera dello zio, non s’impegnò al massimo, e non riuscì a raccogliere che pochissime notizie. Il libro, però, pareva avere una propria essenza, sembrava assolutamente voler essere scritto e, dato che le cose non accadono *La poesia è “Per non dimenticare” ed è contenuta nel primo libro di poesie dell’autrice “Fra le braccia di Dio”. 12


mai per caso, un giorno si presentò l'occasione che funse da scintilla. Mio marito, Salvatore Sergi, detto Totò, divenne consigliere d'opposizione del nostro Comune di residenza, Gagliano del Capo, e un giorno in Consiglio Comunale, tra le varie problematiche, si discusse quella di intitolare alcune strade con il nome di personaggi nostrani, rinomati per fatti di cronaca “Perché non ad un uomo che ha dato la sua vita per quella degli altri?” pensò, e, quello stesso giorno, rientrando a casa, mi consegnò dei preziosissimi fogli consegnatigli da suo cugino Francesco Sergi, detto Ciccio, nipote diretto di Fratel Michele, nei quali si riassumeva tutta la vita dello zio. Mi sentivo come una donna che era stata finalmente dissetata dopo aver camminato senza sosta, per settimane, nel deserto! Mi ritornò la voglia di scrivere e, questa volta, ero certa di poter contare anche sull'aiuto e l'impegno di mio marito. Non mi ero sbagliata, in men che non si dica fummo sommersi da opuscoli, foto e lettere che i suoi parenti avevano ben conservato e che, generosamente, avevano deciso di mettere a nostra disposizione, per far rivivere, in qualche modo, l'amato zio Michele. L'inchiostro nero poteva finalmente modellare le pagine del futuro libro. Sono grata a tutti i parenti di Fratel Michele Sergi per aver reso tangibile questo sogno. In particolar modo ringrazio Maria Grazia e suo fratello Antonio, Angelo, i fratelli Silvestro, Peppe e Ciccio, e i fratelli Totò, Maria e Angela, per il materiale preziosissimo che mi hanno procurato. Grazie a tutti di cuore,

Antonella Sergi

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1 Tra sogno e realtà Quando Angela era incinta di Michele, sesto di nove figli, Silvestro, suo marito, una notte ebbe in sogno una strana apparizione: un uomo, che a lui parve essere un Angelo, così gli parlò: “Silvestro, vengo ad annunciarti che il pargolo che nascerà sarà un maschio e tu gli dovrai dare il nome di Michele. Non dimenticare queste mie parole, poiché lui opererà grandi cose in nome di Dio”. Poi, con tono lievemente minaccioso, riprese: “Non lo dovrai dimenticare! Devi ricordare questo nome, è importante! Altrimenti tua moglie patirà gravi pene!”. A quel punto Silvestro gli chiese:“Ma Voi chi siete?” L’uomo allora rispose:“Silvestro, la tua curiosità non sarà soddisfatta in questo istante! Va' nella Chiesa di Castrignano1, lì troverai la risposta”. Il mattino seguente, però, Silvestro non ricordò il dialogo notturno e così fu per molto tempo, tanto che, quando si arrivò alla scelta del nome, assieme alla propria moglie, si protese per Luigi: così si sarebbe chiamato il nascituro. Durante l'ultimo periodo di gravidanza, come profetizzato dal sogno, Angela cominciò a stare male, peggiorava continuamente, fu pervasa dallo sconforto e, soprattutto dall'incredulità poiché nelle precedenti gravidanze, ben cinque, non aveva avuto il benché minimo disturbo. Una mattina Silvestro, svegliandosi di soprassalto, ricordò improvvisamente il sogno e decise di recarsi in quella chiesa2 1 Castrignano del Capo è un paese a pochi chilometri da Gagliano, paese natale di Fratel Michele. 2 Chiesa Madre di San Michele Arcangelo che contiene anche una statua del Santo in legno, del 1707, scolpita dal famoso artista napoletano Nicola Fumo. Tra le varie leggende, le si attribuiscono anche poteri soprannaturali che, nel 1867, liberarono il paese da una spaventosa epidemia di colera. 15


indicatagli dalla sconosciuta apparizione. Era un uomo buono Silvestro e non aveva motivo di temere il giudizio del Signore, eppure, quella volta, gli mancava il respiro, faticava ad avvicinarsi al massiccio portone della chiesa e, quando riuscì a varcare quella soglia, fu invaso da un brivido che gli percorse l'intera schiena: riconobbe quell'uomo, quell'Angelo, era proprio lì, di fronte ai suoi occhi, sull’altare, con la spada sguainata nella mano destra ed il bilancino d’oro nella sinistra mentre, con un piede, schiacciava la testa di Lucifero. Le nubi che, sino ad allora, parevano avergli offuscato la vista e la memoria si diradarono, come per incanto. Colui che gli era apparso in sogno era, senza dubbio alcuno, l’Arcangelo Michele. Con il cuore rigonfio di gioia e pieno di speranza ritornò, più in fretta che poté, nella propria casa dove, con immensa sorpresa, trovò la cara moglie sollevata da ogni dolore, ed egli fieramente le annunciò: “Questo bambino si chiamerà Michele Arcangelo!” Il 12 aprile del 1910, nella casa di piazza S. Angelo, in Gagliano del Capo, venne alla luce Michele: un bambino dai grandi occhi color del cielo e dai dorati capelli; mai nome parve più appropriato. Fronte della Chiesa di San Michele Arcangelo in Castrignano del Capo

Crebbe sempre in buona salute, i suoi lineamenti erano gioia per ogni sguardo e la sua robustezza era una grande risorsa per il pro16


prio padre, di cui egli poi, già da giovanissimo, come anche i suoi fratelli, ne intraprese il lavoro. La sua era una famiglia umile, dedita all’agricoltura, di sani principi e timorosa di Dio. Michele era ancora piccolo quando sentì i primi richiami alla vita religiosa perciò, non appena gli si presentava l'occasione, si dedicava alla vita ecclesiastica, senza mai, però, trascurare il lavoro: portava le pecore al pascolo e aiutava nei campi. Per un certo periodo frequentò anche una scuola serale, era un’usanza del tempo che aveva lo scopo di insegnare ai ragazzi ad apporre almeno la propria firma, poiché l’istruzione era considerata superflua; specie poi se le bocche da sfamare erano tante: i ragazzi servivano di più al lavoro ed ognuno doveva fare la sua parte. All’età di nove anni, Michele fu mandato in servitù presso una famiglia di proprietari terrieri del posto. Non fu una permanenza piacevole per il ragazzo, egli si trovava sempre molto a disagio dinanzi alle numerose bestemmie con le quali, i suddetti signori, usavano colorire ogni frase che venisse fuori dalle loro bocche. Michele, che non era abituato a quel tipo di linguaggio, diveniva sempre più insofferente a tale situazione finché, un giorno, non ce la fece più e chiese ai genitori di fargli sbrigare qualsiasi altra mansione, purché lo ritirassero da quel covo di peccatori. Conoscendo la sua predisposizione, ne accolsero la richiesta e, al suo posto, fu mandato il fratello Quintino il quale poi raccontò che, ad ogni bestemmia del signorotto, interveniva la moglie a redarguirlo: “Zitto, zitto! Altrimenti se ne va pure questo!”

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