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Dove dimori La ricerca di un’arrampicata serena e soleggiata

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Via Giove

Via Giove

Già da alcuni anni pensavo che fosse assolutamente necessario aprire sulle Dolomiti una via un po’ più semplice; questo per me, personalmente, ma anche per chi da primo su un sesto grado è al suo limite e possiede meno esperienza sulle Dolomiti. Conosco alcuni appassionati di arrampicata, spesso anche donne, che ripetono volentieri le nostre vie in Valle del Sarca ma che rinunciano a malincuore a quelle sulle Dolomiti perché ne temono i diversi e possibili pericoli. Quando si affrontano le difficoltà, nelle vie alpine c’è qualche rischio aggiuntivo. Ad esempio, quando ci si perde e ci si allontana dal tracciato è facile ritrovarsi in zone friabili o comunque difficili, e inoltre l’insieme composto da altezza delle pareti, avvicinamento e discesa richiede uno sforzo non indifferente. Non vanno infine dimenticate le condizioni meteo, che in montagna devono essere assolutamente calcolate a indipendentemente da tutto il resto. Bisogna anche essere pronti a ritirarsi dalla via.

Finalmente ci trovavamo davanti a una parete come desideravo: a sud e soleggiata, prometteva di farci davvero divertire. Durante le nostre prime salite ci siamo spessissimo ritrovati in situazioni non semplici: la smania di Heinz, Florian e Franz di trovare le rocce migliori ci ha portato spesso su freddi, ombrosi e ventosi versanti nord. Questa volta ci sono state risparmiate queste lunghe e tremanti attese, perché la parete non era troppo alta e non aveva passaggi su muro lunghi e ripidi: non ho nemmeno avuto paura di esaurire le forze.

Provavo grande rispetto per Heinz e Florian, che tracciavano il percorso in modo professionale, rapido ma allo stesso tempo scrupoloso. Dopo seguivo io, che arrampicavo con andatura leggera sulle rocce ripulite e protette. In poco tempo siamo arrivati a un piccolo strapiombo, dove Heinz ha lavorato per un po’ alle protezioni. Mi ha sbalordita riu- scire a superare, da seconda, la sporgenza rocciosa senza difficoltà. Florian, che mi seguiva come terzo in cordata, si è dedicato a lungo al perfezionamento delle protezioni. Io pensavo che Heinz avesse già attrezzato la via bene e adeguatamente, ma Florian ha trovato ancora numerose clessidre, ha rimosso ulteriori rocce friabili e ha perfezionato la via in un modo sorprendente. Anche Florian, come Heinz, è un perfezionista: tutto deve risultare il più perfetto possibile, fino al più piccolo dettaglio.

Con alcuni tiri su belle placche, che mi hanno dato grandi soddisfazioni, abbiamo raggiunto la profonda incisione nel terzo superiore della parete. Qui si trova un tetto relativamente ininterrotto che avevamo già superato nella via vicina (il Tetto fessurato) con un audace passaggio nel vuoto. Florian e Heinz non erano del tutto d’accordo se osare salire in traiettoria diretta sul tetto oppure evitare questa zona delicata deviando sulla destra, in modo da non appesantire con un passaggio difficile la via, di difficoltà bassa e costante. Alla fine Heinz si è avventurato sul tetto. Ci ha messo un’eternità a piantare il chiodo nel punto cruciale. Ero irrequieta, ma al contrario Florian accanto a me era assolutamente rilassato e continuava a incoraggiare Heinz a piantare il chiodo in un posto ancora migliore. Come ci si poteva reggere così a lungo a un chiodo? Alla fine il chiodo è stato piantato. Mi ero già preparata ad affrontare il passaggio nel vuoto, ma Heinz non era ancora soddisfatto e ha pensato che si sarebbe potuta posizionare una pietra come rialzo: in questo modo il passaggio sarebbe stato fattibile senza ricorrere all’artificiale. Lo abbiamo fatto, ed effettivamente risultava possibile salire con un solo lungo passo. Quando alla fine sono salita sull’emozionate tetto, ero rapita dalla sensazione di vuoto e allo stesso tempo di sicurezza che provavo grazie al chiodo ben posizionato. Il passaggio chiave era ormai superato, e i due uomi- ni del gruppo hanno individuato e attrezzato molto rapidamente i tre tiri successivi. Ero decisamente soddisfatta, sia del buon lavoro dei due esperti al mio fianco, sia della mia salita leggera ed elegante. Potrei benissimo pensare di affrontare questa piccola via salendo da prima.

La Dove dimori termina su una bella cengia, e mentre Heinz se ne stava lì seduto è diventato improvvisamente irrequieto. I suoi occhi scrutavano le pareti sopra di noi. “Da qui è assolutamente possibile continuare a salire, e se vogliamo creare una via perfetta dovremmo davvero farlo. Così è troppo corta”. Con queste parole è saltato in piedi sul sentiero ed è scomparso dietro uno spigolo. Gli sono bastati pochi giorni per convincere Stefano Santomaso del suo progetto, e i due si sono messi all’opera sulla parete del Terzo Torrione di Cantoi per trovare una prosecuzione alla via Dove dimori. Questa volta ho deciso di restare a osservare sul prato della cengia. Da qui ho potuto ammirare come si sviluppava il percorso. I due hanno tracciato in un colpo solo un percorso bello e logico fino in alto, in modo elegante e fluido. Mi sono preoccupata un po’ quando, nel quinto tiro, si sono trovati ad affrontare un passaggio che da sotto sembrava impossibile da superare. Potevo sentire sin da giù le loro voci mentre dibattevano su quale sarebbe stata la soluzione ideale, migliore e più sicura. Ero contenta di poter osservare tutto questo a distanza di sicurezza. Tuttavia non sarei mai riuscita a immaginare come alla fine avrebbero proseguito: Heinz si è lanciato in un traverso a destra dall’aria molto avventurosa e ha superato la difficile zona a strapiombo in modo sorprendentemente elegante. La nascita di queste due piccole vie è stata così bella e senza intoppi che sono riuscita a dimenticare completamente le fatiche delle ultime aperture, come ad esempio la prima salita della via della Punizione (il nome dice tutto) sul Castello delle Nevere. Durante la discesa dalle vie sulle Masenade si trova persino una piccola pozza d’acqua dove nei giorni caldi ci si può concedere il lusso di rinfrescarsi.

Barbara Holzer

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