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I ragazzi dello zoo di Erto

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Casso

Casso

Silvia Cassol,

Giurassica, 8b+. Foto: Marco Salogni

Sul finire degli anni Settanta, la falesia di Erto era un roccione a strapiombo senza spit; alla base di quella pietra levigata, a strati generalmente orizzontali, dal 1963 rimaneva il ghiaione detritico della frana del Vajont, testimonianza silenziosa e immutabile del disastro. Mauro Corona, scultore e alpinista, all’epoca non era ancora il famoso scrittore di oggi, ma nel suo animo di artista viveva la curiosità, una ricerca di cose nuove che oggi definiremmo visionaria: leggeva molti libri e riviste di alpinismo, e in quella croda ertana cominciò a chiodare dal basso (con chiodi classici artigianali e cunei di legno) le linee più logiche: Molina, Pensionati, Pipistrelli, La Passera. Icio Dall’Omo, diciottenne, arrivava dal Cadore in autostop, con le tasche vuote ma pieno di passione; scalava spesso scalzo, aprendo vie come Pip Crash e Mani di Clown; andava ben oltre il 6c, ma al tempo nessuno lo sapeva… Io giungevo da Belluno in motorino, studente liceale con scarsi mezzi. Con chiodi e martello non avevo certo la dimestichezza di Mauro e Icio: li ho aiutati a piantare i primi spit “a mano”, ma con l’arrivo del primo trapano acquistato da Corona ho preferito lasciarli fare, mentre l’attrezzatura dall’alto si andava affermando. Mauro in particolare si dimostrò un precursore, perché piazzava gli spit a distanza sicura, consapevole che la distanza delle protezioni in alpinismo differiva dall’arrampicata sportiva, o meglio da quel nuovo gioco che riempiva le nostre giornate e i nostri sogni, e che anni dopo avrebbe meritato questo nome. Non eravamo certamente da soli a cimentarci su quegli strapiombi: da Pordenone provenivano i gemelli Giorgio e Andrea Stanchina, con Stenio Perin, che ci è mancato. Ai friulani si aggiunse ben presto un gruppo di bellunesi automuniti che mi risparmiarono molti viaggi in moto, nel freddo d’inverno e sotto gli acquazzoni. Con Dall’Omo arrivarono diverse compagnie di cadorini, oltre gli ampezzani di Cortina. La nascente falesia era a due passi

Vicende storiche di una culla della scalata strapiombante

Testo Sandro Neri

da una strada di passaggio, crocevia tra Friuli e Veneto, in cui si integrarono provenienze, abitudini e dialetti “variopinti”, come Corona amava definire quell’antenato popolo di climbers. Quindi non emersero particolari gelosie, né “sensi di proprietà”: ci sentivamo liberi di provare e riprovare quelle splendide vie nuove. Sicuri, liberi e, sotto quei tetti, al riparo dalle piogge… e da noi nel Nord Est piove spesso. Scalavamo seri, impegnati, ma non seriosi, né maniacali: giunti coi piedi per terra, partivano risate e scherzi a razzo. Guai a tirarsela o ad essere permalosi, con gente appresso come Gigi Dal Pozzo (altro grande alpinista e climber che se n’è andato troppo presto), o gli stessi Icio e Mauro, autentici signori della presa in giro a 360 gradi. Partivamo sui tiri belli incazzati, con il tifo dei presenti, ma il gioco aveva una fine, dopodiché spaziavano battute, ironia e autoironia. Quindi il volare sicuri sospesi per aria, il potersi cimentare tranquilli in progetti o vie già liberate, senza preoccuparsi in genere del tempo atmosferico, da quel lontano ’80 costituirono la fortuna di Erto, e la sua massiva frequentazione di climbers da ogni dove. Manolo comparve

da Fiera di Primiero nell’84, e restammo tutti a bocca aperta per come usava i piedi; nell’85 liberò Poltergeist, un muretto micidiale oggi valutato 8a+, che conta ancora scarse ripetizioni. Su quelle piccole tacche non mi riusciva inizialmente nemmeno un movimento, e riuscire a ripetere nell’87 una via del genere, con le prime ballerine de La Sportiva, mi rese felice. Il più forte del momento dettava un po’ legge nella valutazione (severissima) delle difficoltà, e sulle metodiche di allenamento (estremamente pionieristiche e a volte segrete…). A cambiare musica, a sovvertire quello spirito di emulazione, dall’austriaca Zillertal capitò nell’85 Gerhard Horhager: sono passati 38 anni, eppure l’austriaco mantiene quelle stesse braccia e spalle immense, e il suo sorriso amichevole: solo un ciuffo di capelli bianchi lo distingue da allora, quando diciottenne nel 1985 liberò Pole Position destra (8a+, con qualche pezzo di roccia in più, attualmente un solido 8b). Nell’87 fece il colpaccio con Sogni di Gloria, sfiorando l’8c. Gli chiesi se fosse la via più dura nel circondario europeo: mi rispose che in Germania, in una foresta presso Monaco nominata Frankenjura, un giovane tedesco aveva salito Wall Street, 8c: un certo Wolfang Gullich...! Ad Erto Gerhard lasciò il segno, non solo sulle vie: ci insegnò l’importanza di seguire ognuno liberamente la propria strada, nella gestione personale della scalata: cominciammo a coltivare, a volte anche condividere, ciascuno i propri sogni… percepimmo l’importanza dei viaggi nei templi europei dell’arrampicata, quali Finale, Arco, il Verdon e la nascente Bioux, ritrovandoci poi a Erto più rinfrancati, più fluidi per lo scalare a vista, più sereni. E per quanto la nostra culla ertana continuasse a rappresentare un centro di ritrovo, i locals di quel posto, con i friulani in testa, cominciarono a gustare il piacere della scoperta e chiodatura di nuove falesie nei propri luoghi d’origine, che dalla metà degli anni Ottanta aumentarono sensibilmente. Horhager fu il primo, in quel gruppo di giovani spensierati e forse ancora inconsapevoli, a vivere e invitare a convivere quel nuovo sport in quel modo così ricco, straordinariamente sportivo nel competere in senso agonistico in gara, non in falesia, e nella percezione del valore degli ambienti naturali che stavano nascendo intorno a noi. Questa prima generazione di “animali” dello zoo ertano creò una sorta di scuola, uno stile condiviso anche dai principali seguaci, successivi per generazione: Luca Zardini Canòn in testa a tutti, che quanto a sobrietà, concretezza, impegno e straordinaria passione ci aggiunse certamente del suo. Dopo aver ripetuto rapidamente le vie più dure di noi primi antenati, Zardini toccò l’apice del periodo storico antecedente ad Ondra, liberando The Last Way e The Big Mother, 8c+, e allungando Poltergeist (splendido muro di circa 8c, per chi pensa che a Erto vi siano solo strapiombi..). Al di là delle principali performance di quasi 40 anni, credo importante raccontare che questo modo di vivere la scalata, severo ma non morboso, influenzò anche le successive “scuole” di arrampicata sportiva friulana e bellunese, anche sulle prime strutture artificiali e nell’evoluzione dell’agonismo, altro aspetto in cui Canòn resta un punto di riferimento. La storia delle prestazioni a vista in questa falesia è assai lunga, e certamente dimentico molti personaggi, descrivendo

Mauro Corona

nel 1984 Foto: M. Kelemina

Sandro Neri

nella prima ripetizione di Sogni di Gloria, 8c, 1990. Foto: Archivio Zardini

40 anni in poche righe: il primo 8a on sight appartiene all’inossidabile veronese Nicola Sartori (anni Novanta) su Joker, bissato da Sara Avoscan, primo 8a femminile on sight sulla stessa via, intorno al 2010. Nel ’92 Luca Giupponi ci lasciò di stucco salendo la fantastica prua ultrastrapiombante del Ritorno di Ringo al primo tentativo, il primo 8b in stile flash al mondo. In anni successivi, si contano sulle dita di una mano gli 8b+ a vista, come quelli di Mrazek e Usobiaga su Giurassica. Sgranammo gli occhi anche per Jorg Verhoven su Sogni di Gloria flash !... via che attende ancora la prima on sight, ed anche la prima ripetizione femminile. Ad inaugurare il periodo del “dopo Ondra” ci pensò Andrea Polo di Udine, che chiodò un muro impressionante sopra le linee più dure, scalabile proseguendo sia da The Big Mother (variante), sia da Sogni di Gloria (allungamento). Adam, il mostro ceco, arrivò nel 2009: quel giorno qualcuno gli consigliò Giurassica (8b+) a vista, come 8a+ ideale per scaldarsi… si calò dalla sosta borbottando: “Duretto, come 8a+!...”. Dopo imprecisati minuti di pausa, concatenò la Lunga Linea dei Sogni 8c+/9a : partenza su The Big Mother uscendo per la placca attrezzata da Polo. Luca Zardini non impiegò molto a ripetere questa via firmata dal campione ceco, seguito anni dopo da un altro cortinese, giovanissimo: Matteo Menego Menardi, figlio d’arte di Bruno, uno dei primi forti frequentatori della falesia. Il “bocia” Matteo al momento ha salito tutte le vie più dure di Erto, liberando per giunta Pole Position diretta, un altro 8c+ con un boulder finale veramente infame, che attende ripetizioni. La Linea dei Sogni, cioè Sogni di Gloria allungata dalla

fatidica placca (8c+), è stata ripetuta anche da Pietro Dal Pra, altro big naturalizzato cortinese, protagonista giovanissimo delle primissime vicende ertane, nei lontani anni in cui lo chiamavamo Pierin; con Icio e Mauro scherzavamo spesso, gelosi che Pierin fosse giovane, alto, bello, fortissimo ed elegante nello scalare, per cui piacesse alle ragazze!... Tornando ai tempi attuali, la stessa via di 8c+ è stata salita anche da Enrico Cassol, giovane che insieme alla sorella Silvia rappresenta il gruppo di punta attuale per Erto, Casso e altri luoghi, insieme a Matteo Menardi, Sara Avoscan, Fabio De Cesero, Francesco Vettorata ed altri. La storia raggiunge l’apice con Stefano Ghisolfi nell’estate 2018, che in un caldo pomeriggio si passeggia a vista Tucson, Bricolage e Giurassica, tiri che arrivano all’8b+, e Ombre Atomiche al secondo tentativo (8a+ di blocco): prestazioni sbalorditive all’apparenza, se non si considera il livello di questo campione. Il racconto pare terminare, ma non è detto che sia del tutto finito... Il muro del settore sinistro (zona Poltergeist/Tortuga) potrebbe riservare qualche nuova linea: certo lo spirito di ricerca non manca a questi giovani, odierni fenomeni: più avanti di noi vecchi per naturale evoluzione, ma animati dalla stessa passione di scoprire e giocare!

Gerhard Horhager

libera Pole Position destra, 8a+, 1985. Foto: J.A. Casanova Panoramica della falesia di Erto, con sopra il paese di Casso. È evidente il ghiaione detritico alla base della formazione rocciosa, appartenente alla frana del Vajont (9 ottobre 1963). Foto: Archivio Neri

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