Rovina

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verdenero 5

noir di ecomafia


Simona Vinci Rovina © 2007 by Simona Vinci published by arrangement with Agenzia Letteraria Roberto Santachiara © 2007, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277

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Tutte le edizioni e ristampe di questo libro sono su carta riciclata 100%

Finito di stampare nel mese di ottobre 2007 presso Arti Grafiche del Liri – Isola del Liri (Fr)

Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti accaduti o persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


simona vinci rovina



I vari modi in cui la Rovina si accosta alle sue vittime: al mercante nelle vesti di un commerciante che offre speculazioni; al giovane erede come un compagno che sperpera; a una vergine come un amante romantico e languido. Nathaniel Hawthorne, Taccuini americani

…la distruzione d’Italia è il riflesso di tutti i mali che affliggono il nostro bel Paese. Rovina chiama rovina, fino a che le rovine particolari e disperse si saldano in una rovina generale e continua… Antonio Cederna, I vandali in casa, 1955



Visto da lontano, e dall’alto, somiglia a un carcere di massima sicurezza, le cancellate altissime che riparano da sguardi indiscreti, le punte coniche dei cipressi che sbucano fuori come lance o immense baionette verdi, le inferriate a ogni singola finestra, anche a quelle minuscole dei sottotetti, i portoncini blindati, i lampioni simmetrici che si snodano su altrettanto simmetrici vialetti di cemento decorati con una bordura di agrifogli acuminati. Un carcere di massima sicurezza, ma senza la minima traccia umana. Nessuna mano che si protenda oltre le sbarre per cercare un refolo d’aria, per l’illusione di toccare il 7


cielo. Nessuna guardia armata a controllarne i perimetri ventiquattrore su ventiquattro. Nessuna ombra dietro i vetri delle finestre, nessuna luce, niente lenzuola o mutande appese a sventolare al sole. Non c’è nemmeno il sole, oggi. E questo non è un carcere, ma un quartiere residenziale appena ultimato.

Duecentocinquanta ettari di terreno pianeggiante lambito da un minuscolo corso d’acqua sul confine tra le province di Reggio Emilia e Parma, lungo la via Emilia. Il cartello plastificato apposto davanti al cancello principale recita: Villaggio La Nuova Aurora. Sei palazzine a tre piani con mansarda, giardini e garage privati, parco condominiale con piscina, sei per tre per sei, cento e otto appartamenti, rifiniture extralusso: la vita che sognavi. Mutuo fino al 100%. Possibilità prima rata dopo 13 mesi dal rogito.

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annamaria l.g. insegnante di scuola elementare

C’era una donna che correva, correva veloce anche se portava i tacchi alti, aveva questa gonna stretta che le saliva proprio a metà coscia, e c’era una luce grigia, quel pomeriggio. Sapete quella luce da temporale che non si decide, sembrava che fosse primavera e non inverno, con le nuvole basse basse come appoggiate alle case e il tum tum dei tuoni ancora lontani… Scusate, dov’è che devo guardare? Lì dove si accende la lucina rossa o là dentro…là dentro, d’accordo, mi dovete scusare ma non sono pratica di televisione, io…no, del tu non ve lo posso dare proprio, non ci riesco, mi dispiace…che dicevo? Ah, sì, in 9


paese, la gente cominciava a uscire dagli uffici, quei pochi che ci sono, e i negozi già accendevano le luci ché al pomeriggio faceva buio presto. Ho sentito questo suono di tacchi che battono l’asfalto, veloci veloci e un rumore come di gente che corre, l’abbiamo sentito tutti quanti, è chiaro, ci abbiamo fatto caso perché qui non corre mai nessuno, certo, corrono i bambini, corrono i cani randagi, ma la gente no, non così, e che motivo avrebbe la gente normale di correre a quel modo? Sono quattro strade e una piazza, il paese nostro. E lei correva, magari le hanno scippato la borsa e lei corre dietro ai ladri, ha pensato qualcuno, che qua ogni tanto certi ragazzetti se arriva gente da fuori capaci che le fanno, le bravate, invece dopo hanno detto che lei la borsa ce l’aveva a tracolla e stretta stretta al petto, come se dentro ci aveva qualcosa di importantissimo che non doveva perdersi a nessun costo, e quelli le stavano dietro, ma nessuno li ha visti…no, neanche io li ho visti…sì lo so che abito proprio sopra, ma stava arrivando il temporale, io ho sentito solo il rumore dei passi: i tacchi da donna che battono l’asfalto e insieme questi tonfi di scarpa 10


da ginnastica, tante scarpe da ginnastica, e pure le loro sagome ho visto, erano tre, tre ragazzi, ma le facce…figurarsi, e come facevo?... Correvano come il vento correvano e io stavo affacciata al balcone a ritirare i panni prima che arrivasse l’acqua, i fogli con i temi dei bambini li avevo lasciati sul tavolo accanto alla finestra, avevo paura che un colpo d’aria magari se li portava via o li scompigliava e dovevo rimetterli tutti in fila, quelli corretti e quelli no, e così ho subito chiuso, mentre stavo ancora a domandarmi dove diavolo correvano e che cosa era successo. Dicono che quando quella donna è arrivata davanti alla macelleria L’Agnello d’oro, la porta automatica si è aperta di botto, e lei è rimasta lì sulla soglia solo un secondo, almeno così ha poi raccontato Ersilia Papa, la macellaia, che stava dall’altra parte a infilzare i pezzetti di salsiccia sugli stecchi degli spiedini. Un secondo e basta, giusto il tempo di vedere il suo riflesso dentro il vetro, che si deve essere presa paura, con quelle braccia strette al petto contro la borsa, i capelli biondi tutti scompigliati, gli occhi pieni di paura, la gonna troppo sopra il ginocchio, quasi si vedeva il bordo 11


delle calze, che la Papa si è pure spaventata e s’è detta oddio quella donna vuole farmi del male. Un attimo è rimasta lì, avrà avuto giusto il tempo di vedere tre riflessi piccoli così dentro il vetro, che crescevano veloci e diventavano enormi dietro le sue spalle. E poi la porta si è aperta e lei è entrata, e Ersilia l’ha vista che scattava in avanti verso di lei, tanto che ha detto che si è portata le mani al cuore e ha pensato questa adesso mi uccide e io che le ho fatto? E dice che la bionda si è appoggiata al bancone quasi di schianto, gli occhi spalancati dentro quelli pieni di spavento di Ersilia, che è rimasta lì immobile, le mani sempre premute al petto sul grembiule giallo tutto sporco di sangue di maiale e unto di lardo, il cappellino schiacciato sulla testa a guardare tre uomini con la pistola in pugno che entravano dalla porta automatica. E mi sono domandata tante volte – perché vengono sempre in mente le cose più inutili quando succedono cose brutte – se quella donna ha avuto almeno il tempo di alzare lo sguardo, mettere a fuoco i tranci di maiale e i quarti di bue appesi ai ganci sul soffitto, o posare lo sguardo sui rotoli di salsiccia, sulle montagne di salamini secchi, i cosci 12


di prosciutto di Pietraroja, le soppressate, i pezzi di vitello, di vitellone, di manzo, e sui polli senza testa legati stretti con lo spago, alcuni con la pelle giallastra e bitorzoluta e altri tutti nudi…non me la levo più dalla testa quest’immagine con tutta quella carne morta dappertutto…l’odore della carne cruda e delle spezie le avrà fatto pizzicare il naso e lacrimare gli occhi, a me succede sempre, sarà il pepe, o il sangue secco, comunque solo un secondo, poi la canna della pistola le è arrivata contro la nuca scoperta e l’ha fatta cadere in avanti, pam!, come se un tir l’avesse presa sotto, ha raccontato Ersilia. Tre colpi uno dietro l’altro, e poi ancora, e quell’odore di morte là dentro, peggio di prima. Hanno detto che sulla faccia aveva un’espressione strana…come se ridesse, con la bocca all’insù e gli occhi stretti stretti, pareva quasi che stesse prendendo in giro quelli che l’avevano ammazzata…i morti, non so se ci avete mai fatto caso pure voi, mica hanno mai la faccia che ti aspetti di vedergli, pure se li conosci bene…magari è solo immaginazione, la mia, ma lo sapete come corre la testa in queste cose, e immagina, e vede cose dove non ce ne stanno, 13


riempie tutti i buchi… E poi, tra tutti i posti in cui poteva entrare, proprio lì, non riesco a smettere di pensarci…tra tutti i posti in cui andare a morire, dico io. Un bel negozio di fiori, tra le calle e le rose blu, lo so che sono finte ma mi piacciono lo stesso, i bonsai con quelle foglioline grandi come unghiette di neonato, le margherite colorate, i crisantemi bianchi che si portano ai morti e invece sono così belli…anche se è vero, ormai fanno subito pensare a una disgrazia…o anche all’Aquilone, poteva entrare, che è il negozietto di maglieria per bambini che sta proprio lì a fianco, con tutte quelle trine azzurre bianche e rosa e i fiocchi e i fiocchetti e gli angeli e gli animalini buffi, e lei invece è entrata proprio lì. Dicono che l’odore del sangue di maiale scannato e il suo dopo non si distinguevano, sempre sangue caldo e dolce di creatura è, o no?…quindici colpi le hanno sparato, quindici, non uno o due, e l’hanno sparata a bruciapelo, la canna della pistola attaccata alla carne. Calibro 9 ho letto sul giornale. Quant’è grande un proiettile calibro 9? Io mica l’ho mai visto in vita mia un proiettile, giuro, solo alla televisione, nei film gialli…e gli 14


agenti che sono arrivati sul posto pare che uno, il più giovane di tutti, che quasi è ancora un ragazzino, ha ventun’anni e quasi neanche la barba, e io lo so perché è il figlio della parrucchiera Rosa che sta a una strada da qua, andate a chiedere se mi sbaglio o la dico diversa da com’è, comunque, pare che gli è venuto da vomitare, e dopo ha detto che la colpa era l’odore di spezie che sempre gli faceva pizzicare la gola da quando era bambino, ma io non ci credo, è che si vergognava che ha il cuore di burro e col mestiere suo averci il cuore così è un bell’impiccio. No, io il nome di quella signora non l’avevo mai sentito, non so proprio chi sia, mi dispiace. Candida, ha detto? È un bel nome Candida, un nome da signora perbene. Sì, qualcuno ha detto che era una donna manager…un boss? E che vuol dire? Proprio come un uomo? Mah, non so, io ho sentito dire che era imprenditrice, che poi bene non lo so cosa vuol dire…che aveva delle imprese intestate a nome suo…ma io non l’ho mai conosciuta una donna del genere, non riesco proprio neanche a immaginarmela, ma ditemi com’è che le passa le giornate, una così? Io sono solo una 15


maestra, cosa volete chiedere a me, che ne so io? E mia madre, pace all’anima sua, faceva la sarta, mia sorella lavora in un laboratorio di maglieria, sciarpe e maglioni, cappelli e guanti, otto ore al giorno, fili di lana colorata dappertutto, le donne che conosco fanno un sacco di cose, ma non la donna-manager, come si legge sulle riviste…tutte ’ste donne-manager, mi dicevo sempre quando leggevo sulle riviste quest’espressione, staranno a Milano, a Torino, a Roma, staranno nelle città grandi, certo non in un paese come il nostro, quattro strade e una piazza…come dice? Chi era Rosetta Cutolo? Sì che lo so, mi pare di sì…e che c’entra?...sì, sui giornali l’ho letto che questa Candida aveva certe amicizie…sì, insomma, chiamiamole così, amicizie importanti, gente grossa, gente di quella che decide le cose, politici…e che con questa gente ci faceva degli affari, ci faceva i soldi...mah, io non so…ho parlato pure troppo…e non sto qui io a giudicare se faceva le cose sbagliate o le cose giuste che non ne so niente, posso solo dire che mi pare che una così la paura non deve neanche sapere cos’è, non come me che chiudo le finestre al primo colpo di vento. Mia 16


madre me lo diceva sempre: meglio non vedere e non sentire che se non vedi e non senti, nessuno viene a chiederti conto di niente e nessuno ti può fare del male, tu te ne stai tranquillo e beato, la vita già è tanto complicata di suo…come le piante bisogna stare, senz’occhi né orecchie né lingua… Tutte queste storie di treni e di cantieri e appalti e subappalti, cosa volete che vi dica, io non ci capisco niente di queste cose, mi dispiace…faccio la maestra alle elementari, ho una prima quest’anno, vedeste che bei bambini svegli, io gli insegno le tabelline, a fare le file di lettere, leggiamo le storie di animali, i nomi dei fiori, speriamo che non si disamorino subito e pensino ad andare a lavorare, che studiare è una bella cosa, una cosa importante per il futuro… E comunque io resto sempre dell’idea mia, che Candida è un nome da signora per bene e che una con un nome così non ci doveva finire a quel modo, è proprio una disgrazia, sì, una disgrazia vera…anche per quella povera Ersilia Papa della macelleria che non c’entra niente di niente, per questa strada, per il paese nostro…proprio una rovina per tutti…

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Il sole scivola dietro l’orizzonte. La luce è calda e appiattisce i volumi, il capomastro toglie il caschetto giallo e si passa un braccio sulla fronte per asciugare via il sudore impastato di calcina. Gli edifici, a questo punto dei lavori, somigliano a immensi scheletri di capodogli depositati chissà come sulla pianura. Le ossa della casa, nude, sono lì, e si può già immaginare quello che verrà dopo. Il capocantiere resta fermo a guardare la squadra di operai che carica sui camion gli ultimi rimasugli: pezzi di tubi, attrezzi. Gli uomini si muovono rapidi tra i vialetti di cemento, i movimenti sincronizzati, le spalle curve, l’anda19


tura un po’ barcollante dei primi momenti a terra dopo quasi dieci ore di lavoro sospesi per aria a metri e metri dal suolo. Visti da lontano assomigliano a formiche operose nel labirinto che loro stesse hanno costruito. Il cantiere è un plastico in movimento e gli uomini sono sagome senza lineamenti, soldatini minuscoli sul campo di battaglia in cartapesta, plastilina e polistirolo di un bambino che dipinge i materiali, il pennellino stretto tra le dita e la lingua incollata al palato, e sogna mondi immaginari sempre piĂš vasti, senza quei confini ristretti tra il tavolo e il muro.

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