A che ora è la fine del mondo. Scivolando verso il futuro

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tascabili dell ’ ambiente

Andrea Segrè e Ilaria Pertot

a che ora è la fine del mondo Scivolando verso il futuro



tascabili dell’ambiente


Andrea Segre e Ilaria Pertot

a che ora è la fine del mondo scivolando verso il futuro realizzazione editoriale Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it progetto grafico: GrafCo3 Milano immagine di copertina: © Bruno Coccia © 2020, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02 45487277, fax 02 45487333

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Andrea Segrè e Ilaria Pertot

a che ora è la fine del mondo Scivolando verso il futuro



indice

prepararsi

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salire

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fermarsi

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vedere

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scendere

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e poi?

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prepararsi

Per chiudere il secondo decennio del Terzo Millennio e aprire quello successivo cercavo un luogo diverso dal solito. Un posto che fosse adatto tanto a segnare il passaggio agli anni Venti quanto al mio sentire rispetto a questo tipo di celebrazione, e cioè una certa allergia alle feste comandate. In aggiunta, quell’anno c’era un altro elemento che mi disturbava. Negli ultimi giorni si parlava sempre più insistentemente di una preoccupante sindrome anomala. Il problema sembrava aggravarsi rapidamente e per me, che ho sempre avuto un grande timore delle malattie, aveva un che di inquietante. Così, per passare la notte di san Silvestro in tranquillità, pensai di proporre a un’amica di andare in un rifugio alpino. Anche lei, che mi aveva seguito in tante escursioni, voleva passare il Capodanno lontano dai botti. “Chissà se si sentono anche in alta quota”, mi disse, accogliendo con entusiasmo l’insolita proposta. Entrambi volevamo allontanarci da un malessere di fondo che ci accompagnava silenzioso nella nostra quotidianità. Andare in un rifugio isolato in alta montagna, anche solo per qualche ora, era un po’ un modo per riprendere possesso della nostra interiorità e lasciarci dietro l’insofferenza verso un mondo che non sentivamo più veramente nostro. Un sistema fatto di scarpe scomode, ma griffate, di vestiti stretti, ma esclusivi, mentre passiamo le giornate in posizioni innaturali a fare cose spesso inutili e fi-


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ni a sé stesse. Era come se ci avessero rubato la volontà di essere felici. Che cos’è la notte di san Silvestro, se non l’essere felici a comando? Nessuno può essere infelice l’ultimo giorno dell’anno. Tutti lì a ingozzarsi con uova di lompo e salmone allevati a forza di antibiotici, nell’attesa del trenino di mezzanotte all’improbabile ritmo di una samba e al suono, anzi al frastuono, di petardi e girandole. Per noi quella salita equivaleva a prendere le distanze da un momento simbolico, ma finto. Il freddo e la fatica erano il modo per ritrovare il nostro essere e il nostro sentire, prendendo le distanze da uno stile di vita sempre più lontano dall’istintualità sviluppatasi in migliaia di anni di evoluzione e di equilibrio con la natura. Non stavamo bene e cercavamo di difendere con caparbietà i pochi momenti che riuscivamo a rubare alla frenesia di un sistema che sembrava non averne mai abbastanza. Più veloce, più in fretta, vince chi arriva prima, chi produce di più nell’unità di tempo, chi riduce i costi, chi abbassa i prezzi. Come noi, pur nell’indifferenza generale, anche il Pianeta non stava bene. Aveva la febbre. Quel malessere leggero, che non impedisce di andare avanti, ma che è il sintomo di qualcosa che non va. Se però la malattia non viene curata, quello che all’inizio è solo un modesto rialzo della temperatura si trasforma in qualcosa di più grave che, alla lunga, può essere fatale. Ci sentivamo così, in quell’epoca travagliata, ne avevamo parlato tante volte durante le nostre escursioni a piedi o con gli sci, e discuterne sembrava alleviare il malessere. Lo facevamo però con la rassegnazione dei vecchi, che, consapevoli di non poter fermare il tempo, si ritrovano a raccontarsi dei propri acciacchi e del mondo che non va. Un sollievo, temporaneo, che durava il tempo di una gita e si scioglieva con il riassorbirsi dell’acido lattico dai muscoli una volta rientrati a casa.


prepararsi

*** Il rifugio, l’unico ad avere dei posti liberi, era in realtà un bivacco a oltre 3.000 metri di quota. Un’altitudine dove già si sentono, almeno così è per me, gli effetti della rarefazione dell’ossigeno: il mal di montagna. Un leggero stordimento mescolato a una certa agitazione. Perché allora salire fin lassù? Nonostante la testa pesante e il freddo, in quell’ambiente mi sento molto bene, forse perché sono più vicino al limite fra il mondo finito e l’infinito. In fondo questo è per me la montagna: un confine aperto, come del resto dovrebbero essere tutti i confini. Una cima, un picco, una cresta segnano la transizione netta fra la terra e il cielo, fra ciò che è finito e l’infinito. È un confine aperto, ma nello stesso tempo è anche un limite da rispettare. Un bivacco sospeso nel vuoto e sotto la volta stellata era dunque il posto giusto per finire l’anno e iniziare quello nuovo. Per ogni fine c’è un nuovo inizio: senza scomodare il Piccolo principe pensavo che passare l’anno così poteva essere proprio una buona idea. E così è stato. Grazie ai buoni uffici di una guida, qualche giorno prima avevo prenotato due letti nel rifugio-bivacco, normalmente chiuso d’inverno, posto sulla sommità di un ghiacciaio alpino. Un luogo piuttosto spartano, dove passare le ultime ore dell’anno a -15 °C. Abbiamo dunque radunato i materiali necessari per passare una notte in quota, un po’ di vivande e del tè caldo nel thermos; analizzato con cura le previsioni metereologiche e i bollettini valanghe e pianificato l’orario di partenza della salita con gli sci e le pelli di foca, in modo da colmare il dislivello fino alla cima in tempo prima del buio. Salire le montagne con le pelli sulla neve è una delle sensazioni più belle che si possano provare. Un movimento armonico

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che ti scalda muscoli e cuore via via che guadagni metri e ti avvicini alla cima. All’inizio stai in parallelo con il tuo compagno e parli, poi progressivamente devi risparmiare il fiato e, pur salendo assieme agli altri del gruppo, rimani solo con i tuoi pensieri ascoltando i rumori dell’ambiente naturale. C’è un momento in cui si può raggiungere una straordinaria simbiosi fra natura e uomo. Era ciò che io e la mia amica cercavamo, soprattutto in quel tempo assai particolare, addirittura simbolico: il passaggio fra decenni. I primi due erano stati caratterizzati da una profonda crisi multiforme: ecologica, economica, etica. Il terzo pareva una totale incognita seppur con una prospettiva finale, il 2030, che prevedeva la realizzazione di grandi obiettivi per lo sviluppo sostenibile, come dichiarato dalle Nazioni Unite. *** Con questo spirito, il 31 dicembre arriviamo al passo, già all’ombra del pomeriggio che si spegne nella sera. Il cielo è d’un azzurro profondo, spiazzato dagli ultimi raggi di sole che colpiscono, come fiamme di calore, le cime più alte, riflettendosi nel colore ambrato che prende la dolomia d’inverno. Montate le pelli sugli sci, regolati gli scarponi e verificato il funzionamento dei materiali per la sicurezza in montagna, iniziamo a scivolare in salita. Detta così sembra un ossimoro, ma è proprio vero. Grazie alla presa che hanno sulla neve quelle che una volta erano le “pelli di foca” e che oggi sono fatte di materiali sintetici, sali scivolando in avanti, senza in effetti arretrare sulla neve. Un movimento armonico. Senti il frusciare dello sci sulla neve, scandito dal rumore dei bastoncini che si infilano nel manto nevoso a ritmo alternato e dal tuo respiro. Un movimento lento, ma costante, che ti prende in tutto il corpo. Ti guida verso l’alto e nello stesso tempo ti riporta dentro te stesso.



tascabili dell ’ ambiente La notte di San Silvestro due amici decidono di salire un ghiacciaio alpino che si sta fondendo per effetto del riscaldamento globale. Arrivati a oltre 3.000 metri di quota, trascorrono il Capodanno dialogando sulle grandi questioni che il mondo deve affrontare, a partire proprio dal cambiamento del clima. L’uso insostenibile delle risorse naturali, la società della produzione illimitata e del consumo di massa, lo stile di vita bulimico e frenetico vengono sezionati per capire cosa non funziona nel mondo, un grande frullatore che omogeneizza tutti e tutto. Quando si fonderà il ghiacciaio sarà la fine del mondo? È questa la domanda che rimane sullo sfondo del dialogo finché, nel cuore della notte arriva, inaspettato, un ragazzo salito dalla valle. Passato l’iniziale spavento, il giovane si inserisce nel dialogo che si fa sempre più serrato nella ricerca di soluzioni concrete per uscire dalla retorica del cambiamento solo annunciato. E poi? Come andrà a finire? Non una, ma infinite possibilità per chi saprà cogliere le opportunità che offre il futuro. Andrea Segrè, professore ordinario di Politica agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna, ha insegnato Economia circolare all’Università di Trento. Studia e applica i fondamenti dell’ecologia economica, circolare e sostenibile. Fondatore e presidente di Last Minute Market-impresa sociale, spin off accreditato dell’Università di Bologna, ha ideato la Campagna Spreco Zero per la prevenzione dello spreco alimentare e di altri beni. È stato preside della Facoltà di Agraria, direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie agroalimentari e presidente della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti fra i quali il Premio internazionale Pellegrino Artusi 2012. Ultimi saggi: Il metodo spreco zero (BUR, Rizzoli, 2019), Il gusto per le cose giuste (Mondadori, 2017), L’oro nel piatto (Einaudi 2015, con S. Arminio; Corriere della Sera 2020), Cibo (Il Mulino 2015). Ilaria Pertot, professore ordinario di Patologia vegetale all’Università di Trento, dirige dal 2017 il Centro Agricoltura Alimenti Ambiente, nato da un’iniziativa congiunta con la Fondazione Edmund Mach. È esperta a livello internazionale di produzione agricola sostenibile, lavora da più di trent’anni nella ricerca di biopesticidi alternativi ai prodotti chimici ed è vicepresidente dell’International Organization for Biological and Integrated Control (IOBCwprs). Autrice di oltre duecento articoli scientifici e tecnici e di manuali specialistici del settore, da diversi anni è impegnata nella divulgazione delle ultime scoperte scientifiche al vasto pubblico e nel contrasto delle fake news in campo agroalimentare.


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