Eating Planet

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BARILLA CENTER FOR FOOD & NUTRITION

IN COLLABORAZIONE CON WORLDWATCH INSTITUTE

EATING PLANET 2012 NUTRIRSI OGGI: UNA SFIDA PER L’UOMO E PER IL PIANETA



Barilla Center for Food & Nutrition

eating planet

nutrirsi oggi: una sfida per l’uomo e per il pianeta introduzione Guido Barilla, BCFN: le risposte a tre paradossi

XI

prefazione Mario Monti, La sfida politica del cibo guida alla lettura

XV 3

1. le sfide del cibo introduzione Worldwatch Institute: si può intervenire nel grande e nel piccolo

10

food for all: cibo per tutti

14

1.1 1.2 1.3 1.4 1.5

Lo sperpero dei paesi ricchi Nuove tecniche di trasformazione degli alimenti Migliorare l’alimentazione La refezione scolastica Comprare locale

food for sustainable growth: cibo per una crescita sostenibile 1.6 1.7 1.8 1.9

Ripensare la Rivoluzione verde Rese e sostenibilità ambientale Cambiamento climatico e sostenibilità alimentare Zootecnia integrata per la sostenibilità

food for health: cibo e salute

16 17 18 19 20 22 22 23 24 28 30

1.10 Non solo calorie 1.11 Il ruolo delle verdure 1.12 Portare il cibo sano ovunque 1.13 L’importanza dell’informazione 1.14 Il ruolo delle strutture sanitarie

31 32 34 35 36

food for culture: cibo e cultura 1.15 Rilanciare i sistemi agricoli 1.16 Nuove tecnologie informatiche e di comunicazione

37 38 40


VI

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1.17 La divulgazione “sul campo” 1.18 Incentivare l’occupazione dei giovani

41 42

i tre obiettivi del cibo 1.19 Accrescere la consapevolezza del ruolo dell’agricoltura

44 46

2. cibo per tutti introduzione Raj Patel, Come rispondere agli eccessi del mercato

50

dati e fatti chiave

54

l’accesso al cibo: le sfide di oggi e quelle di domani 2.1 La food security e i problemi di accesso al cibo 2.2 Il “paradosso alimentare” e le sue cause 2.3 Le possibili aree di azione

56 57 60 66

una nuova emergenza: l’instabilità dei prezzi del cibo 2.4 Il modello interpretativo del BCFN 2.5 Le variabili del modello BCFN 2.6 Strategie per contrastare la volatilità

72 72 74 81

approcci e strumenti per il “benessere sostenibile” 2.7 Prodotto interno lordo contro indicatori di benessere 2.8 Approccio soggettivo contro approccio oggettivo: le diverse prospettive di misurazione del benessere 2.9 Il BCFN Index di benessere e di sostenibilità del benessere: caratteristiche e specificità 2.10 Il BCFN Index 2011 e i principali risultati 2.11 Le diverse dimensioni della sostenibilità

88 88 90 94 96 99

interviste Paul Roberts, Nell’accesso il fattore chiave è la diversità Ellen Gustafson, Le politiche agricole devono pensare alla salute e al benessere dell’uomo

106

proposte e azioni

110

102


sommario

3. cibo per una crescita sostenibile introduzione Carlo Petrini, Pagare il giusto

114

dati e fatti chiave

118

la doppia piramide: un’alimentazione sana per tutti e sostenibile per l’ambiente 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5

La piramide alimentare come strumento di educazione Alcuni studi sull’alimentazione mediterranea La piramide ambientale La doppia piramide per chi cresce La doppia piramide nel lungo periodo

il futuro dell’agricoltura: verso paradigmi agricoli sostenibili

120 122 124 128 131 135 138

3.6 L’agricoltura oggi: i principali paradigmi agricoli 3.7 La sostenibilità dei sistemi colturali del grano duro: il caso Barilla

142 145

water economy: l’emergenza acqua tra disponibilità e interessi economici

158

3.8 La disponibilità dell’acqua: dall’abbondanza alla scarsità 3.9 La realtà e le prospettive del diritto di accesso all’acqua 3.10 Le scelte e i comportamenti per un consumo sostenibile dell’acqua 3.11 L’impronta idrica di una nazione e il commercio di acqua virtuale 3.12 La privatizzazione dell’acqua: implicazioni tra pubblico e privato

160 164 165 170 173

interviste Hans R. Herren, La difficile transizione verso l’agricoltura sostenibile Tony Allan, Acqua virtuale fra sovraconsumo e cattiva gestione proposte e azioni

177 180 183

VII


VIII

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4. cibo e salute introduzione Ricardo Uauy, La salute dipende dall’alimentazione e dall’agricoltura

186

dati e fatti chiave

190

cibo per una vita sana

192

4.1 La diffusione e le tendenze delle malattie croniche e i loro impatti economico-sociali 4.2 Le linee guida per l’adozione di una sana alimentazione e uno stile di vita corretto 4.3 Le linee guida e i modelli di dieta più diffusi 4.4 Raccomandazioni per scegliere

196 198 203

cibo e bambini: la buona educazione

203

4.5 La diffusione dell’obesità e del sovrappeso nei bambini e negli adolescenti e il loro impatto economico-sociale 4.6 I nutrienti nelle differenti fasi della crescita 4.7 Le linee guida per l’adozione di una sana alimentazione e uno stile di vita corretto nei bambini e negli adolescenti 4.8 Raccomandazioni per scegliere longevità e benessere: il ruolo fondamentale della nutrizione

4.9 Impatti economici e sociali delle principali patologie su demografia e longevità 4.10 La relazione tra longevità, patologie e ruolo dell’alimentazione e degli stili di vita 4.11 Stati infiammatori e restrizione calorica: possibili interventi per rallentare i processi di invecchiamento 4.12 Raccomandazioni per scegliere

193

204 206 217 218 221 225 230 236 239

interviste Marion Nestle, Le aziende devono adottare comportamenti responsabili Aviva Must, Condividere la responsabilità sui bambini Alex Kalache, L’ impatto degli stili di vita sull’ invecchiamento proposte e azioni

241 245 248 252


sommario

5. cibo e cultura introduzione Shimon Peres, Food for Peace: un appello per la mobilitazione della buona volontà

256

dati e fatti chiave

258

la dimensione culturale del cibo 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 5.7

Il rapporto cibo-cultura: le origini Il cibo diventa comunicazione e convivialità Delizia e disgusto: la classificazione culturale del mangiabile Cibo: ruoli sociali, di genere e di potere Il valore simbolico degli alimenti nelle grandi fedi religiose Le proibizioni alimentari: cibo e purezza Cibo e cultura: un legame indissolubile

le grandi tradizioni culinarie e la realtà del cibo oggi

260 261 262 263 266 267 269 269 270

5.8 Le grandi tradizioni culinarie 5.9 Il cibo oggi: sfide e prospettive 5.10 Verso una nuova visione dell’alimentazione 5.11 Linee guida per ridefinire la relazione uomo-cibo

270 275 278 279

la cultura mediterranea: stile di vita e tradizione alimentare

281

5.12 Le caratteristiche salienti della dieta mediterranea 5.13 La dieta mediterranea e gli aspetti sociali: l’importanza della commensalità 5.14 La mediterraneità oggi: il declino di un modello 5.15 Come recuperare il significato della mediterraneità

282 286 287 294

interviste Joaquín Navarro-Valls, Costruire la cultura della responsabilità Vandana Shiva, Chi controlla il cibo controlla la democrazia Michael Heasman, La guerra della consumer culture e il sistema alimentare: quali implicazioni per il modello mediterraneo?

296 298 301

proposte e azioni

304

note

306

IX



XI

introduzione di

Guido Barilla  *

BCFN: le risposte a tre paradossi

Viviamo in un’epoca che si caratterizza per alcuni paradossi globali. Tre, in particolare, hanno da tempo colpito l’attenzione e rafforzato la nostra convinzione di dare vita a un centro di studi dalle caratteristiche innovative e del tutto originali. Il primo paradosso riguarda la coesistenza nel mondo di più di un miliardo di persone che soffrono la fame a fronte di un numero equivalente che soffre le conseguenze di un eccesso di nutrizione, nella forma di gravi malattie metaboliche come, per esempio, il diabete. Eppure, già oggi, il sistema alimentare globale è in grado di garantire un adeguato apporto nutrizionale a tutti gli esseri umani presenti sul pianeta. Le cause di questa situazione non sono facili da individuare e rimuovere. Questo, però, non deve scoraggiare ma, al contrario, deve fungere da sprone a individuare e proporre soluzioni nuove ed efficaci. Il secondo paradosso è relativo alla presenza sul pianeta di circa tre miliardi di animali da allevamento. Un terzo dell’intera produzione alimentare globale è destinato alla loro nutrizione. Peraltro, le attività di allevamento contribuiscono significativamente ai fenomeni di cambiamento climatico. Infatti si stima che siano responsabili di almeno il 50% delle emissioni agricole di gas serra. Ancora una volta si tratta di modelli da ripensare. Il terzo paradosso è legato a un’ulteriore forma di uso improprio delle risorse della Terra: la concorrenza tra biocarburanti e cibo. Una quota crescente di terreni agricoli è destinata alla produzione di carburante. Così facendo, scegliamo di dare da bere alle nostre automobili anziché da mangiare a esseri umani bisognosi. La crescente consapevolezza di questi squilibri ci ha spinto a riflettere sulle modalità più efficaci per comunicare e coinvolgere chiunque fosse interessato ad approfondire questi argomenti in modo indipendente, serio, scientificamente accurato. Da questa esigenza di informare, coinvolgere, comunicare e dibattere al fine di risolvere è nato nel 2009 il Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN), un centro di analisi e proposte dall’approccio multidisciplinare che ha l’obiettivo di approfondire i grandi temi legati all’alimentazione e alla nutrizione su scala globale. Il BCFN si propone di dare ascolto alle esigenze emergenti dalla società, raccogliendo esperienze e competenze qualificate a livello mondiale, favorendo un dialogo continuo e aperto.


XII

eating planet

La complessità dei fenomeni oggetto di indagine ha reso necessario adottare una metodologia che va oltre i confini delle diverse discipline; da qui nasce la suddivisione delle tematiche oggetto di studio in quattro macro aree: Food for All, Food for Sustainable Growth, Food for Health, Food for Culture. L’area Food for All affronta il tema dell’accesso al cibo e della malnutrizione, con l’obiettivo di riflettere su come favorire un miglior governo del sistema agroalimentare su scala globale, al fine di rendere possibile una più equa distribuzione del cibo e favorire un migliore impatto sul benessere sociale, sulla salute e sull’ambiente. L’area Food for Sustainable Growth approfondisce il tema della sostenibilità della filiera agroalimentare, attraverso un impiego equilibrato delle risorse naturali e una costante riduzione degli impatti negativi sull’ambiente. L’area Food for Health ha avviato un percorso di studio del rapporto esistente fra l’alimentazione e la salute. L’area Food for Culture, infine, cerca di comprendere, descrivere e rendere più significativo il rapporto dell’uomo con il cibo. Nei suoi primi tre anni di attività il centro ha realizzato e divulgato numerose pubblicazioni scientifiche. Guidato dalle scadenze istituzionali e dalle priorità presenti nelle agende economiche e politiche internazionali ha rafforzato, credo, il proprio ruolo di collettore e connettore tra scienza e ricerca da un lato, e decisioni politiche e azioni governative dall’altro. Ha inoltre organizzato eventi aperti alla società civile, tra i quali l’International Forum on Food & Nutrition, un importante momento di confronto internazionale con i più grandi esperti del settore giunto alla sua terza edizione. In linea con questa impostazione, le attività del BCFN sono guidate da un Advisory Board multidisciplinare, un organismo composto da esperti appartenenti a settori diversi ma complementari, che propone, analizza e sviluppa i temi e successivamente formula su di essi raccomandazioni concrete. Per ogni area sono stati individuati uno o più advisor specifici: Barbara Buchner (esperta di energia, climate change e ambiente) e John Reilly (economista esperto di tematiche ambientali) per l’area Food for Sustainable Growth; Mario Monti (economista e policy maker) per l’area Food For All; Umberto Veronesi (oncologo), Gabriele Riccardi (nutrizionista) e Camillo Ricordi (immunologo) per l’area Food for Health; Claude Fischler (sociologo) per l’area Food for Culture. Dal lavoro di questo gruppo di esperti sono nate in questi anni idee di valore: al fine di comprendere in quale modo l’alimentazione incida sulla nostra condizione di salute, si è proceduto con la costruzione della doppia piramide ambientale e nutrizionale, con l’elaborazione dell’indice di benessere BCFN, con l’analisi della Water Economy e delle linee guida nutrizionali dei principali organismi medico-scientifici internazionali. Sono stati, inoltre, svolti approfondimenti relativi alla corretta alimentazione nelle diverse età della vita, con particolare attenzione ai bambini.


introduzione

Così è nato Eating Planet, alla cui realizzazione hanno preso parte scienziati, leader politici, premi Nobel ed esperti di fama mondiale, che qui desideriamo ringraziare: Tony Allan, Ellen Gustafson, Michael Haesman, Hans Herren, Alex Kalache, Mario Monti, Aviva Must, Joaquín Navarro-Valls, Marion Nestle, Raj Patel, Shimon Peres, Carlo Petrini, Paul Roberts, Vandana Shiva, Ricardo Uauy. A tre anni dalla creazione del BCFN, abbiamo creduto utile proporre una sintesi di quanto fin qui elaborato, per segnare un punto del percorso e iniziare a ragionare su nuovi sviluppi. Il libro che abbiamo realizzato ci è sembrato il modo migliore per documentare una passione: per l’uomo e per la sua vita quotidiana, ma anche per il mestiere che facciamo, che ci chiede di non guardare solo al profitto dell’impresa. Ci chiede, crediamo, di concorrere a costruire un mondo migliore. * Presidente Barilla Center for Food & Nutrition.

XIII



XV

prefazione di

Mario Monti  * La sfida politica del cibo  *  *

Perché ho provato un’attrattiva intellettuale molto forte per il lavoro che il Barilla Center for Food & Nutrition svolge da alcuni anni? Perché penso che l’enorme problema dell’accesso al cibo rappresenti una sintesi delle difficoltà che chi si occupa di concorrenza sui mercati e di governance globale si trova oggi ad affrontare. Viviamo in un contesto in cui, più o meno ovunque, le decisioni vengono prese in situazioni di emergenza. È accaduto con la crisi finanziaria, che è stata seguita da un’azione immediata, o quasi immediata, e da sforzi notevoli in direzione di un coordinamento, perché è palese che nessun paese, da solo, e nessuna regione del mondo, da sola, possono risolvere i problemi del sistema finanziario. La consapevolezza dell’emergenza riguarda oggi anche l’accesso al cibo. Almeno nel caso delle questioni finanziarie e di altre criticità di carattere macroeconomico, abbiamo osservato una tendenza pericolosa: quando un problema diventa una reale emergenza, ci spaventiamo e, di conseguenza, siamo disposti a rinunciare a parte della nostra sovranità nazionale, perché pensiamo che la cooperazione sia l’unica soluzione. Non appena il problema sembra essere un po’ meno urgente e sensibile, in una prospettiva di breve termine tendiamo a tornare alle vecchie pratiche. A partire da questa osservazione di carattere generale, due aspetti vanno a mio giudizio sottolineati. Il primo riguarda la natura stessa della sfida che dobbiamo affrontare: l’agricoltura e il cibo, e la sicurezza del cibo nei suoi risvolti finanziari, sono problemi infinitamente più complicati e più radicati nel nostro sistema economico e nella nostra società, con conseguenze molto più ampie e durature, degli squilibri finanziari degli ultimi anni. Questo significa che risolvere questi problemi è una questione a termine infinitamente più lungo, uno sforzo prolungato, perché si inserisce più in profondità nelle strutture socioeconomiche. Pertanto dobbiamo guardarci dal rischio di reversibilità non appena si intravede la soluzione del problema. A tal riguardo, sono ottimista in merito all’Unione Europea. Siamo in 27, abbiamo organismi decisionali, istituzioni e leggi, così come strutture per attuare queste leggi. Quindi, il rischio di reversibilità, una volta che un pro-


XVI

eating planet

blema esce dallo stato di emergenza acuta, è minore nell’Unione Europea rispetto ad altre aree del mondo. È poi chiaro, ed è questo il secondo aspetto, che un rafforzamento della governance globale è fondamentale. Governance non significa limitare le iniziative imprenditoriali: governance significa governo dei mercati in termini generali, e gli imprenditori, come gli utenti e i consumatori sono i protagonisti del mercato. Quello che occorre non è un modello di pianificazione troppo ambizioso da attuare nel mondo, in un paese o in un gruppo di paesi; al contrario, l’ambito nel quale è oggi possibile conseguire un maggiore ritorno in termini di efficacia è la capacità d’instaurare rapporti sempre migliori tra gli strumenti politici e le reazioni dei mercati. Ci sono alcune proposte in merito che ritengo efficaci, a partire ovviamente dall’idea di tornare ad attribuire al cibo un ruolo centrale nel programma politico ed economico internazionale. Occorre poi promuovere misure per favorire uno sviluppo economico equilibrato e l’aumento della produttività agricola. Un terzo aspetto cruciale è la modifica della filiera di produzione e distribuzione alimentare al fine di gestire la crescente volatilità dei prezzi e garantire l’esistenza di reti di sicurezza. È qui che, se vogliamo, il settore alimentare converge maggiormente con il settore finanziario. Anche il punto conclusivo della catena, che riguarda le abitudini alimentari dei consumatori, è fondamentale. Per vari motivi legati alla sostenibilità, ma anche per considerazioni di salute individuale e familiare, questo è un aspetto su cui bisogna investire molto di più. Facendo un’osservazione macropolitica un po’ più generale, si può dire che uno dei punti deboli dei modelli economici e politici nel mondo negli ultimi vent’anni sia stato un calo di attenzione per la distribuzione, qui intesa come possibilità di accesso al cibo. Ora, gli aspetti relativi a uguaglianza, disuguaglianza e distribuzione stanno tornando prepotentemente nell’arena politica interna e globale e questa è certamente una buona notizia. * Mario Monti (Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’Economia e delle Finanze, Repubblica Italiana; Presidente dell’Università Bocconi; Membro dell’Advisory Board del Barilla Center for Food & Nutrition dal febbraio 2009 al novembre 2011). ** Le riflessioni contenute in questo scritto sono state sviluppate in occasione del workshop “L’Unione Europea può affrontare le nuove sfide geopolitiche ed economiche dell’accesso al cibo?” organizzato dal Barilla Center for Food & Nutrition presso il Parlamento Europeo lo scorso 15 giugno 2011.



sommario introduzione

Worldwatch Institute: si può intervenire nel grande e nel piccolo

food for all: cibo per tutti 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5

Lo sperpero dei paesi ricchi Nuove tecniche di trasformazione degli alimenti Migliorare l’alimentazione La refezione scolastica Comprare locale

food for sustainable growth: cibo per una crescita sostenibile 1.6 1.7 1.8 1.9

Ripensare la Rivoluzione verde Rese e sostenibilità ambientale Cambiamento climatico e sostenibilità alimentare Zootecnia integrata per la sostenibilità

food for health: cibo e salute 1.10 1.11 1.12 1.13 1.14

Non solo calorie Il ruolo delle verdure Portare il cibo sano ovunque L’importanza dell’informazione Il ruolo delle strutture sanitarie

food for culture: cibo e cultura 1.15 1.16 1.17 1.18

Rilanciare i sistemi agricoli Nuove tecnologie informatiche e di comunicazione La divulgazione “sul campo” Incentivare l’occupazione dei giovani

i tre obiettivi del cibo 1.19

Accrescere la consapevolezza del ruolo dell’agricoltura


1. Le sfide del cibo

Nell’evidente inadeguatezza dell’attuale sistema alimentare, il Worldwatch Institute sostiene con forza la necessità di elaborare e promuovere nuove strategie per soddisfare la domanda mondiale di beni alimentari in modo equo e sostenibile. Nel capitolo vengono analizzate le cause della distorsione del sistema, con raccomandazioni per sostenere la produzione agricola, valorizzarne il ruolo all’interno delle comunità di riferimento e promuovere l’integrazione biologica delle risorse naturali.


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1. le sfide del cibo Worldwatch Institute: si può intervenire nel grande e nel piccolo Ad Ahmedabad, in India, un gruppo di donne agricoltrici e lavoratrici nel settore della trasformazione alimentare sta cambiando le abitudini alimentari degli indiani. Queste donne sono parte della Self Employed Women’s Association (SEWA), il sindacato che raccoglie oltre un milione di lavoratrici in condizioni di povertà. In India, il 93% della forza lavoro femminile non è iscritta a un’organizzazione sindacale, il che rende le donne quasi invisibili, impedendo loro sia l’accesso al credito sia all’acquisto di terreni e servizi finanziari, inclusa l’apertura di conti correnti bancari. Coinvolgendole nella produzione di alimenti, il SEWA sta aiutando le donne a migliorare i propri mezzi di sostentamento attraverso la conquista di una maggiore autonomia. Il 45% delle aderenti al SEWA è costituito da piccole agricoltrici dedite ad attività cosiddette marginali.1 Le iscritte al SEWA scelgono e confezionano il riso, che commercializzano con il proprio marchio. Presso una fattoria in campagna gestita dal SEWA le donne coltivano riso e ortaggi biologici e producono compost organico su terreni precedentemente considerati improduttivi e marginali. “Ora guadagniamo oltre 15.000 rupie (350 dollari) a stagione, una cifra che non avremmo sognato di riuscire a guadagnare neppure in tutta la vita”, sostiene Surajben Shankasbhai Rathwa, membro dell’associazione dal 2003. Queste donne guadagnano di più e mangiano meglio di quanto non abbiano mai fatto e svolgono un importante servizio per la comunità producendo alimenti salutari, convenienti e coltivati secondo principi di sostenibilità per i consumatori locali. Le famiglie più povere non si possono infatti permettere cibo di buona qualità e il riso e gli altri alimenti base che acquistano sono prodotti scadenti: di frequente, i chicchi di riso sono frantumati o mescolati a sporcizia e sassolini e la maggior parte degli alimenti è prodotta con l’impiego di pesticidi e fertilizzanti artificiali.2 Ma le donne del SEWA non si interessano solo di quanto accade all’in-


agricoltore della cloud kpalimé forest, togo

L’ONG Les Compagnons Ruraux del Togo insegna pratiche di agricoltura sostenibile agli agricoltori che vivono nella Cloud Kpalimé Forest. L’organizzazione migliora la sicurezza alimentare locale con attività di formazione rivolte a gruppi di donne sulla coltura e la vendita di ortaggi biologici, piante officinali e olio di palma lavorato localmente. Grazie alla collaborazione con i residenti locali, l’organizzazione punta a evitare la fuga dei giovani adulti verso le città.


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terno della loro comunità. Vogliono sapere anche cosa fanno gli agricoltori dell’Africa subsahariana, lontana da loro migliaia di chilometri, per combattere il cambiamento climatico, conservare l’acqua e sviluppare i terreni. Nel corso di un incontro tenutosi all’inizio del 2011 hanno cercato di capire ciò che potrebbero apprendere dalle loro controparti che vivono in un’area del mondo costretta ad affrontare le stesse sfide con le quali anch’esse si confrontano quotidianamente: eventi atmosferici imprevedibili, degrado del suolo, prezzi elevati dei prodotti alimentari, povertà e malnutrizione. Questi problemi sono presenti tanto in India quanto in Africa, così come in altre parti del mondo in via di sviluppo. E anche se le attività di formazione in fattoria e i servizi di credito agricolo offerti dal SEWA da soli non saranno sufficienti a trasformare il sistema alimentare globale, rappresentano comunque un passo avanti per fare sì che l’agricoltura non costituisca solo un mezzo per sfamare il mondo, ma vada anche ad alimentare le fonti di sostentamento, garantendo la sostenibilità ambientale e la vitalità delle economie rurali e urbane.3 siamo a una svolta. Non vi sono dubbi sul fatto che l’attuale sistema alimentare non funzioni più: sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri vengono sprecate enormi quantità di cibo, l’agricoltura è responsabile di un terzo delle emissioni globali di gas serra, le patologie di origine alimentare sono in crescita e gli impatti ambientali dell’agricoltura (tra cui la deforestazione, la scarsità di acqua e l’aumento delle emissioni di gas serra) si stanno facendo sentire in maniera sempre più tangibile. 4 Nel corso degli ultimi trent’anni il sistema alimentare occidentale è stato organizzato in modo da promuovere il consumo eccessivo di alcune commodity consolidate – tra cui riso, frumento e mais – e ha lasciato da parte prodotti alimentari autoctoni che, oltre a fornire un apporto calorico, sono ricchi di vitamine e micronutrienti essenziali e generalmente sono resistenti alle temperature elevate, alla siccità e alle malattie. Una delle conseguenze è che nel mondo vi è un miliardo e mezzo di persone obese o sovrappeso e pertanto maggiormente a rischio di diabete, malattie cardiovascolari e altre patologie.5 Oggi quasi un miliardo di persone nel mondo va a dormire ogni notte affamata mentre svariati miliardi soffrono di carenze di micronutrienti (figura 1.1). Se iniziamo ora, tuttavia, possiamo mettere a punto una strategia, una visione del futuro e una road map migliori per il sistema alimentare globale, un sistema che nutra tanto le persone quanto il pianeta individuando dei modi per rendere la produzione e il consumo di alimenti più equi e sostenibili in termini economici, ambientali e sociali. Le soluzioni esistono già – nei progetti di market garden (orticoltura e vendita dei prodotti nei mercati locali) nel Niger rurale, sulle tavole da pranzo in Italia, negli orti pensili del Vietnam, presso gli istituti di ricerca di Taiwan,


introduzione  |  le sfide del cibo

negli edible school yard (orti realizzati nei cortili delle scuole) degli Stati Uniti e nelle comunità di tutto il mondo – ma non ricevono l’attenzione e gli investimenti di cui necessitano. Tutto questo deve cambiare.

1.350 1.200

stima 1.020

milioni di persone

1.050 878

900

853

845

825

1979‑81

1990‑92

1995‑97

857

873

2000‑02

2004‑06

915

925

925

2010

2011

750 600 450 300 150 0

1969‑71

2008

2009

figura 1.1 La fame nel mondo (1969‑2011) Fonte: rielaborazione Worldwatch Institute su dati FAO, “Hunger Statistics”, www.fao.org.

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3. cibo per una crescita sostenibile Pagare il giusto Carlo Petrini

La sostenibilità è un concetto legato a un’idea molto antica: il tempo. È un concetto che ci parla di “quanto a lungo può reggere” qualcosa. È senz’altro una bella parola, sostenibilità, e ha una bella origine: nasce in riferimento a uno dei pedali del pianoforte, che in inglese si chiama sustain, quello che serve per allungare le note, per farle durare nel tempo. Non per niente i francesi traducono con durabilité, capacità di durata. carlo petrini è il presiLa consapevolezza che quel che ci proponiamo di intradente dell’associazione internazionale Slow Food. prendere (a livello di comportamenti privati, pubblici o Negli anni Ottanta ha imprenditoriali) deve poter durare nel tempo e a tanti livelli fondato Arcigola, divenuta nel 1989 l’associazione (sociale, economico e ambientale), è uno degli elementi internazionale Slow Food. chiave per il futuro delle attività umane. Oggi sostenibilità Dalle sue idee sono nate la prima Università di è una parola molto utilizzata: al futuro ci si pensa un po’ Scienze gastronomiche di più, molti lo fanno continuamente, perché nell’idea di e Terra Madre, la rete di oltre 2.000 comunità del sostenibilità c’è anche un po’ più di consapevolezza che il cibo che riunisce produtfuturo non è roba nostra, così come non lo sono le risorse tori agricoli da tutto il mondo. naturali. Sono patrimoni condivisi, che tocca alle generazioni attuali preservare per quelle che verranno, verso le quali abbiamo delle responsabilità. Ecco un altro elemento: l’idea di responsabilità per chi deve ancora venire, per chi arriverà su questa Terra con gli stessi nostri diritti a godere di gusti, climi, panorami, salute, qualità della vita. Ma c’è di più. C’è la certezza che per proteggere tutto quello di cui vogliamo godere e che vogliamo tramandare non c’è un solo e unico livello di azione: servono le grandi impostazioni dei governi, i trattati internazionali e le leggi. Ma servono, allo stesso modo, i gesti quotidiani, le scelte individuali, i no e i sì che ognuno di noi può dire riorganizzando la propria esistenza o attività con un diverso ordine delle priorità. Qualcosa che non dà la precedenza soltanto al guadagnare tempo e risparmiare denaro, o viceversa, ma che per esempio consideri il tempo speso nella scelta del proprio cibo come tempo investito nella cura


introduzione  |  cibo per una crescita sostenibile

della propria salute e dell’ambiente, e i soldi utilizzati per acquistarlo come una partecipazione a un mestiere, quello dell’agricoltore, che va remunerato per i molti servizi che rende alla società e alla Terra, e non soltanto per i prodotti che immette sul mercato. Un denaro che paga dei valori, oltre che un prezzo. In tema di sostenibilità il cibo è un fattore centrale, determinante, che non si può omettere di considerare. Da questo punto di vista, forse il livello privato, degli individui, oggi è certamente il più attivo e consapevole, mentre il livello della politica rimane quello più svagato, più assente e spesso genuinamente ignorante. L’agricoltura è considerata frequentemente come un settore a sé stante, semplice produttore di merci, di commodities, che valgono soltanto per quel che costano, o per i prezzi che s’influenzano grazie alle correzioni imposte dall’alto (o peggio, tramite speculazioni finanziarie). Si pensa troppo spesso che sia un settore produttivo scevro degli altri valori di cui in realtà è portatore; valori che non a caso hanno tutti a che fare, profondamente, con l’idea di sostenibilità. C’è per esempio la cura dei suoli e dei terreni. Il saperli mantenere vivi attraverso l’attività agricola, curando una biodiversità che si può vedere immediatamente guardando le piante (coltivate e non) e gli animali (selvatici o allevati), ma che è anche celata in tanti microrganismi, la micro-vita che rende fertili e produttivi i terreni, che li conserva ricchi per il futuro, che li fa durare. Purtroppo suoli e biodiversità si pregiudicano per sempre attraverso monocolture intensive coltivate per molti anni di seguito, senza rotazione, e con l’abuso di fertilizzanti o pesticidi. Spesso la motivazione che si adduce è che queste sono pratiche necessarie per produrre di più, ma produrre per produrre non è un’attività sostenibile e, come vedremo, neanche necessaria. Così come non lo è la cementificazione selvaggia, che non può essere compatibile con la conservazione dei sistemi naturali e agricoli, sempre più minacciati. Un terreno cementificato non tornerà mai fertile: lo perderemo per sempre e lo negheremo alle future generazioni. Suoli e biodiversità, poi, sono il presupposto per cibi abbondanti, sani, diversi a seconda dei climi e delle culture, che anche per questo sono cibi sostenibili. L’accanimento eroico di alcuni nel difendere le piccole economie agricole locali, tanto più quelle a rischio di estinzione, non è un esercizio nostalgico o l’epicurea attività di chi ama mangiare rarità di grande qualità: è un atto sostenibile valido per tutti i tipi di produzioni, in difesa della biodiversità, di comunità perfettamente in armonia con l’ambiente, e di tutto ciò che ne consegue. Vale a dire diversità di gusti, e quindi di culture: altre garanzie di sostenibilità per il progresso della vicenda umana su questa Terra. Perché se non c’è diversità non c’è identità, se non c’è scambio non c’è arricchimento reciproco, se trionfa l’omologazione seriale diventiamo poveri e indifesi, incerti di fronte al futuro, alla nostra “durabilità”.

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Questi sono soltanto alcuni dei principali valori che si dovrebbero pagare – sia come singoli cittadini al momento della spesa, sia come collettività attraverso le imposte – alla buona agricoltura che rispetta il contesto naturale in cui è inserita. Lo si dovrebbe fare attraverso parametri seri e controllati, inserendo la multifunzionalità nella valutazione dell’operato delle aziende agricole, non soltanto a parole ma con veri e rigidi regolamenti. Certo: la multifunzionalità – tutti questi valori – si traduce quasi sempre in territori molto belli, in panorami che un’antropizzazione (la mano dell’uomo sull’ambiente) positiva ha reso ancor più piacevoli e suggestivi. Luoghi in cui è evidente che ci sia qualcuno che se ne sta prendendo cura. E la cura del territorio è un altro presupposto della sostenibilità, che scaturisce dall’amore per le cose che si vivono, che si usano, che si trasformano con rispetto e che quindi si possono perpetuare. La cura e tutti gli altri valori si traducono quasi automaticamente nel bello ma anche nel buono, nella capacità di trarre il massimo possibile da un prodotto, nell’esaltarne le caratteristiche attraverso tecniche agricole e di trasformazione, nel far conoscere il suo gusto unico e intenso. Bello e buono sono dunque parte integrante del concetto di sostenibilità: è tempo di finirla con l’idea che etica ed estetica siano due campi, due idee, due filosofie di vita separate tra di loro e incompatibili. Etica ed estetica, in un’ottica di sostenibilità, sono così complementari da diventare una cosa sola, un unico faro guida. Faccio un elenco: non inquinare, non esagerare con la chimica, non fare azioni dannose nel nome del semplice profitto nei confronti delle risorse, della terra e di chi la coltiva. Non consumare il suolo fertile. Difendere la biodiversità. Stimolare le economie locali, le produzioni tradizionali, le aziende medio-piccole in zone difficili, isolate o affamate. Avvicinare i cittadini agli agricoltori e all’agricoltura. Promuovere un ritorno da parte dei più giovani alla terra. Sono, questi, un po’ di “comandamenti” da rispettare nel nome della sostenibilità, alcune azioni che si possono mettere in campo a tutti i livelli sopracitati. Azioni che, oltretutto, si coniugano perfettamente con il bello e il buono, in un mondo che produce troppo cibo (la quantità totale prodotta sulla Terra è già più che sufficiente per nutrire tutti gli abitanti di questo pianeta) e che ne spreca altrettanto, dal momento che i dati ufficiali sullo spreco alimentare sono più che intollerabili e offensivi di fronte a quel miliardo di persone che è quotidianamente alle prese con la fame e la malnutrizione. Ecco altri “comandamenti”: produrre un po’ meno, produrre meglio, distribuire con senno, radicando produzione e consumo il più possibile nei diversi territori, innanzi tutto agendo sul livello locale. Tornando ai singoli cittadini, il fatto che bello e buono siano al contempo conseguenze e presupposti della sostenibilità, non può far altro che incoraggiarci a mutare le nostre abitudini, a partire proprio dalle scelte alimentari, dalla nostra spesa quotidiana. Ben presto – se non l’abbiamo già fatto – sco-


introduzione  |  cibo per una crescita sostenibile

priremo che mangiare può essere un’attività che è tanto più piacevole e salutare quanto più è sostenibile e che possiamo fare la nostra parte ampiamente senza grandi sacrifici ma, anzi, aggiungendo piccole importanti porzioni di felicità alle nostre vite. Imparando a pagare il giusto: il prezzo insieme ai valori. “Mangiare è un atto agricolo” ha scritto il poeta contadino Wendell Berry. Possiamo aggiungere che è un atto ecologico, un atto paesaggistico, un atto di profondo rispetto per le culture, un atto politico. E deve diventare un atto sostenibile, perché mangiare è la cosa più direttamente, intimamente collegata – tanto in maniera evidente quanto in maniera nascosta perché ancora insondabile per le nostre conoscenze scientifiche – con tutto ciò che ci circonda: ovvero quel grande sistema complesso che è il pianeta che ci ospita. La biosfera. In poche parole la nostra casa, di cui però non siamo semplici inquilini, ma parte integrante. Perché siamo dentro il sistema. Per troppo tempo abbiamo fatto finta di esserne un corpo estraneo, ospitato, che tutto può avere a sua disposizione, finché ce n’è a disposizione. Per questo motivo non agire in maniera sostenibile, “che fa durare”, fa male alla Terra, ma ne fa anche a noi umani. Ed è dunque anche soltanto per l’egoismo che ha sempre caratterizzato la nostra specie che dovremmo rivedere molte nostre scelte, partendo proprio da quelle che per molti di noi, troppi, nel tempo sono diventate insignificanti, semplicemente perché quotidiane. Come la scelta di che cosa mangiare ogni giorno, che in realtà ha il potere di cambiare il mondo.

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3.  cibo per una crescita sostenibile

9 MIlIArdI

Nel 2050 gli abitanti della Terra saranno 9 miliardi contro i 7 miliardi di oggi

3

+ MIlIArdI

di assetati nel mondo

Nel 2025 tre miliardi di persone non avranno abbastanza acqua potabile

30%

+

2050

2012

IMPATTO dell’ATTIvITà AgrIcOlA

33 % 80 % produzione gas serra Consumo di aCQua L’attività agricola è responsabile per il 33% della produzione globale di gas serra e per l’80% dei consumi di acqua destinati alla produzione di cibo.

-TerrA 8/20 % cOlTIvAbIle Entro il 2050 i terreni coltivabili diminuiranno a causa del cambiamento climatico e la geografia della produzione agricola si modificherà radicalmente

- 45% dI “POlMOnI” verdI

Circa il 43% delle foreste tropicali e subtropicali e il 45% di quelle temperate sono state convertite in terreni per le coltivazioni


dati e fatti chiave  |  cibo per una crescita sostenibile

AllevAMenTO dI besTIAMe

26 % terreni per la 1/3 uso terreni per il pasColo produzione di mangimi L’allevamento del bestiame è oggi la destinazione d’uso più ingente della terra disponibile: circa il 26% della terra è sfruttata per i pascoli, mentre un terzo dei terreni agricoli è diretto alla produzione di mangimi animali.

5.400 lITrI

2.600 lITrI

1.500 lITrI

32 % rIsOrse ITTIche In esAurIMenTO Il 32% delle zone di pesca sono state sfruttate in eccesso, impoverite o esaurite

cOnsuMO dI AcquA vIrTuAle Il consumo giornaliero di acqua virtuale con una dieta ricca di carne si aggira attorno ai 5.400 litri, mentre con una dieta composta da cereali, frutta, ortaggi e pesce si scende a un consumo compreso tra 1.500 e 2.600 litri

1% 2012

-di Co30in agriColtura % di emissioni 2

L’applicazione di corrette pratiche agronomiche permette la riduzione delle emissioni di CO2 generate dalle attività agricole in misura pari al 30% del totale

3,8% 2030

uTIlIzzO bIOcArburAnTI Per i biocarburanti si utilizza oggi l’1% dei terreni agricoli. Le proiezioni al 2030 indicano un valore tra il 2,5% e il 3,8% di terreni destinati alla loro produzione

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la doppia piramide: un’alimentazione sana per tutti e sostenibile per l’ambiente Non si può pensare di affrontare il tema dello sviluppo senza mettere in primo piano tutte le variabili che compongono il sistema agroalimentare, perché è proprio da questo settore che, in modo più che significativo, nascono non solo i problemi ma anche le soluzioni della sostenibilità. Ed è altrettanto evidente che la sostenibilità della filiera agroalimentare non dipende unicamente dall’impegno degli agricoltori, dei produttori e dei distributori, ma anche – e forse in misura ancora maggiore – dai comportamenti degli individui e delle famiglie, che con le loro scelte quotidiane condizionano fortemente tutto il mercato. Ma a differenza di quanto avviene in altri ambiti socio-economici (per esempio i trasporti o le abitazioni), dove il vantaggio collettivo si pone spesso in contrapposizione con quello individuale, nel settore alimentare lo sforzo di una maggiore responsabilità richiesto alle persone non diminuisce il loro benessere. Anzi: si può affermare che la riduzione del proprio “impatto ambientale alimentare”, oltre a non determinare maggiori costi, va a diretto vantaggio della salute. Infatti, analizzando i dati disponibili sull’impronta ecologica dei cibi (Ecological Footprint), il BCFN ha scoperto inattese e interessanti qualità “ambientali” di quei prodotti che, secondo i nutrizionisti, si dovrebbe consumare di più. In altre parole, si è dimostrato che se si adotta come menu quello proposto dalla classica piramide alimentare (quella che pone al vertice i prodotti da consumare con minore frequenza e alla base quelli di cui è bene abbondare) non solo si rispetta la propria salute, ma anche quella del pianeta in cui viviamo. Il Barilla Center for Food & Nutrition ha concettualizzato e pubblicato per la prima volta nel 2010 la “doppia piramide alimentare-ambientale”, uno strumento di comunicazione in grado di mettere in relazione gli aspetti nutrizionali e gli impatti ambientali degli alimenti consumati. Nel 2011, sulla base di ulteriori analisi, la doppia piramide è stata aggiornata e ridisegnata nella versione proposta in figura 3.1. Il posizionamento delle categorie di alimenti nei diversi livelli della piramide varia in base alla frequenza di consumo suggerita: ferma restando la necessità di garantire sempre la massima varietà della dieta, i cibi collocati vicino al vertice sono quelli che andrebbero mangiati meno spesso, mentre quelli che sono alla base non dovrebbero mai mancare sulla tavola. La parte nutrizionale della doppia piramide è stata costruita assumendo come modello di riferimento la dieta mediterranea – ovvero l’approccio alimentare tradizionalmente adottato nei paesi dell’area del Mediterraneo come Italia, Spagna, Portogallo,


la doppia piramide  |  cibo per una crescita sostenibile

piramide ambientale basso

alto

Dolci Carne rossa

Carne rossa Formaggio Pesce

Legumi, Dolci Yogurt, Uova

im pa t to

Pane, Pasta, Riso, Patate, Legumi

Olio Carne bianca

Pane, Pasta Latte, Riso, Biscotti

co

Olio

ns um o

su g

am b ie

ge

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nt ale

o

Formaggi Uova Carne bianca Pesce Biscotti Latte Yogurt

Frutta Patate Ortaggi

Frutta Ortaggi

alto

basso

piramide alimentare figura 3.1 Il modello di doppia piramide alimentare e ambientale Fonte: BCFN, 2011.

Grecia e Francia meridionale. La dieta mediterranea è un modello alimentare che si contraddistingue per la completezza e per lo spiccato equilibrio nutrizionale ed è riconosciuta da numerosi scienziati dell’alimentazione come una delle migliori diete in senso assoluto per ciò che concerne il benessere fisico e la prevenzione delle malattie croniche, in particolare di quelle cardiovascolari. L’inedita piramide ambientale è stata invece costruita riclassificando gli stessi cibi della piramide alimentare rispetto al loro impatto sull’ambiente (alla base quelli con un impatto maggiore e salendo verso il vertice quelli più ecosostenibili). In questo modo si è scoperto che la sequenza degli alimenti era grossomodo la stessa, sebbene invertita; questa correlazione appare infatti evidente se si capovolge la piramide ambientale. Accostando le due piramidi (una per il verso giusto e l’altra capovolta) si è ottenuta la “doppia piramide alimentare-ambientale”, dove si nota facilmente che gli alimenti dei quali è consigliato un consumo maggiore generalmente sono anche quelli che determinano gli impatti ambientali minori. Viceversa, gli alimenti per i quali viene raccomandato un consumo ridotto sono anche quelli che hanno un maggiore impatto sull’ambiente. In pratica, emerge la coincidenza in un unico modello alimentare di due obiettivi diversi ma altrettanto rilevanti: la salute delle persone e la tutela ambientale.

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3.1  la piramide alimentare come strumento di educazione Negli ultimi anni è aumentato notevolmente il numero di coloro che possono scegliere cosa e quanto mangiare. Tuttavia, senza una cultura adeguata o delle linee guida nutrizionali diffuse, illustrate e applicabili, queste persone rischiano di assumere stili alimentari sbilanciati; prova ne è la recente e dilagante diffusione di patologie dovute all’alimentazione eccessiva e non corretta. È stato il fisiologo americano Ancel Keys a spiegare al mondo perché in alcune regioni la popolazione fosse più longeva. Il segreto della longevità consisteva nel consumo equilibrato di tutti gli alimenti naturali privilegiando, per frequenza e quantità, frutta, verdura e derivati dei cereali e contemporaneamente riducendo il consumo di alimenti ricchi di grassi saturi, delle carni e dei dolciumi. In particolare, Keys scoprì che grazie a questa dieta (da lui battezzata “mediterranea”) la mortalità per cardiopatie nei paesi del Sud Europa e del Nord Africa era più bassa di quella che si riscontrava nei paesi anglosassoni e del Nord, dove l’alimentazione era ricca di grassi saturi. Peccato che da allora, anche in Italia, la dieta mediterranea sia entrata in competizione con i modelli alimentari globali (primo tra tutti il fast food, molto diffuso nella dieta nord-americana). Il valore della piramide alimentare è duplice: da un lato rappresenta un’eccellente sintesi delle principali conoscenze acquisite dalla medicina e dagli studi sull’alimentazione, mentre dall’altro è un potente strumento di educazione al consumo grazie alla sua grafica semplice e intuitiva. la base della piramide. Alla base della piramide si trovano gli alimenti di origine vegetale, tipici delle abitudini alimentari mediterranee, ricchi in termini di nutrienti (vitamine, sali minerali, acqua) e di composti protettivi (fibre e composti bioattivi di origine vegetale). Salendo si trovano progressivamente gli alimenti a crescente densità energetica (molto presenti nella dieta nord-americana), che andrebbero consumati in minore quantità. Partendo dalla base verso il vertice, troviamo la frutta e gli ortaggi, in quanto alimenti dal ridotto contenuto calorico e che forniscono all’organismo acqua, carboidrati, vitamine, minerali e fibra. Il contenuto di proteine è molto basso, così come è molto ridotto il contenuto di grassi, mentre l’apporto di carboidrati della frutta e degli ortaggi consiste soprattutto di zuccheri semplici, facilmente utilizzabili dall’organismo, e di poco amido. Inoltre, gli alimenti di origine vegetale sono la fonte principale di fibra che, oltre a regolarizzare la funzione intestinale, contribuisce al raggiungimento del senso di sazietà e quindi aiuta a contenere il consumo di alimenti a elevata densità energetica. Proseguendo nel percorso incontriamo la pasta, il riso, le patate, il pane e i legumi. La pasta è un alimento ricco di amido, con un discreto contenuto di proteine e con una quota lipidica irrilevante. Il riso, come tutti i cereali, ha un elevato contenuto di amido, un basso contenuto di proteine e uno ancora più


la doppia piramide  |  cibo per una crescita sostenibile

ridotto di grassi; contiene, inoltre, piccole quantità di vitamine del gruppo B e minerali. La patata ha un contenuto di grassi e proteine molto esiguo, mentre è ricca di amido e carboidrati; rappresenta, infine, una delle fonti più importanti di potassio, fosforo e calcio. Il pane è un alimento di prima necessità, in quanto apporta all’organismo la quota necessaria di carboidrati. I legumi, infine, sono gli alimenti vegetali a più alto contenuto proteico e presentano anche un elevato contenuto in fibra; inoltre, forniscono proteine di ottima qualità – in quanto ricche di aminoacidi essenziali e facilmente digeribili – e sono una buona fonte di vitamine del gruppo B (soprattutto B1, niacina e B12) e di minerali quali ferro e zinco, e rappresentano un’alternativa al consumo di carne. Successivamente, nella piramide troviamo l’olio extra vergine di oliva che è composto da trigliceridi (ricchi di acidi grassi monoinsaturi), acidi grassi essenziali, vitamina E, polifenoli e fitosteroli (che esplicano azioni protettive per l’organismo umano). Risalendo ancora troviamo il latte e lo yogurt. Il latte è composto per quasi il 90% da acqua in cui sono disperse tracce di proteine di alto valore biologico, grassi in prevalenza saturi a catena corta e facilmente digeribili – molti di essi sono anche ricchi in grassi animali che favoriscono l’incremento dei livelli di colesterolo plasmatico e vanno, pertanto, consumati con moderazione – e zuccheri (rappresentati soprattutto dal lattosio, costituito da galattosio e glucosio). Le vitamine presenti nel latte in quantità consistenti sono la A, B1, B2, B12 e l’acido pantotenico. Il latte, inoltre, è la fonte principale di calcio per la nutrizione umana. Lo yogurt, come il latte, è un alimento ad alto valore nutrizionale ma può essere più digeribile per chi è intollerante al lattosio per la presenza di lattasi batterica. la seconda parte della piramide. Al livello superiore della piramide troviamo un vasto raggruppamento di prodotti fra loro diversi, come i formaggi, le carni bianche, il pesce, le uova e i biscotti. I formaggi contengono proteine e grassi, mentre è quasi nullo il contenuto di carboidrati. Di particolare interesse è il contenuto di calcio, presente in una forma altamente biodisponibile, che contribuisce in modo rilevante a soddisfare il fabbisogno dell’organismo umano. Le vitamine del gruppo B sono presenti in piccole quantità, mentre buona è la dose di vitamina A. Quindi il pesce e le uova: il pesce contiene proteine di elevato valore biologico e quantità variabili di grassi, che possono raggiungere anche il 10% del peso. Nei grassi dei pesci sono presenti gli acidi grassi polinsaturi, che appartengono alla categoria degli acidi grassi essenziali; la famiglia degli acidi grassi omega-3, in particolare, è ritenuta benefica nella prevenzione delle malattie cardiocircolatorie. Le uova contengono proteine a un valore biologico così elevato che per anni la composizione proteica dell’uovo è stata il riferimento per valutare la qualità delle proteine degli altri alimenti. I

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biscotti sono costituiti da più ingredienti e hanno una composizione in termini di nutrienti e un valore energetico estremamente variabili; a livello generale, è importante il contenuto in zuccheri semplici, mentre è molto variabile il contenuto di grassi, mediamente tra circa il 9 e il 25%. Il consumo di carne, in particolare magra, è importante perché contribuisce all’apporto di proteine di elevata qualità, necessarie per la crescita dei bambini e la formazione dei muscoli. Circa la metà delle proteine della carne è costituita da aminoacidi essenziali per l’organismo umano; sono presenti le vitamine del gruppo B (in particolare la B12), il selenio, il rame e lo zinco. Il contenuto in grassi è variabile: può risultare quasi nullo o vicino al 30%, in base alla tipologia della carne, e sono prevalentemente saturi e monoinsaturi, mentre pochi sono quelli polinsaturi: è quindi da preferire il consumo delle carni bianche e moderare il consumo delle carni rosse, come mostrato nelle numerose versioni di piramidi alimentari dei diversi istituti nazionali e internazionali che le posizionano al vertice, così come per i dolci che, essendo ricchi di grassi e di zuccheri semplici, sono da consumare con moderazione. 3.2  alcuni studi sull’alimentazione mediterranea Dall’analisi dei numerosi studi di riferimento, emerge che un fattore protettivo contro le più diffuse malattie croniche – soprattutto cardiovascolari e tumorali, ma anche verso il morbo di Parkinson e la malattia di Alzheimer – è l’adozione di uno stile alimentare ispirato al modello nutrizionale mediterraneo, ovvero quello adottato dal BCFN per la costruzione della piramide alimentare, caratterizzato da: •   un elevato consumo di verdura, legumi, frutta e frutta secca, olio d’oliva e cereali (che nel passato erano prevalentemente integrali); •   un moderato consumo di pesce e prodotti caseari (specialmente formaggio e yogurt) e vino; •   un basso consumo di carne rossa, carne bianca e acidi grassi animali. Le abitudini alimentari proprie della dieta mediterranea risultano infatti essere coerenti con le indicazioni nutrizionali espresse dalle linee guida prodotte dalle più autorevoli società scientifiche e istituzioni internazionali che si occupano delle più diffuse patologie della nostra epoca (in particolare malattie cardiovascolari, cancro e diabete). Numerosi sono gli studi a prova di quanto sopra affermato. Il valore nutrizionale della dieta mediterranea venne dimostrato scientificamente dal noto “studio dei sette paesi” diretto da Keys, in cui furono messe a confronto le diete adottate da diverse popolazioni per verificarne i benefici e i punti critici: da quello studio si capirono le associazioni tra tipologia di dieta e rischio d’in-


paesaggi agrari: tokyo

La produzione di colture alimentari in impianti industriali è una prospettiva sempre più concreta in Giappone, dove il processo di invecchiamento nella popolazione agricola sta assumendo aspetti critici: per una età media di 65 anni, solo il 5% è sotto i 40. La produzione in condizioni controllate permette inoltre di stabilizzare quantità e qualità del prodotto.


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figura 3.2 La rappresentazione grafica dei consigli alimentari elaborati dall’USDA Fonte: USDA, 2011.

sorgenza di malattie croniche, e si scoprì come il livello elevato di acidi grassi saturi nella dieta e del colesterolo nel sangue rappresenti un fattore in grado di spiegare sia le differenze nei tassi di mortalità, sia di prevedere quelli futuri di malattie coronariche nelle popolazioni analizzate. Dal primo “studio dei sette paesi” fino a oggi, molte altre ricerche hanno analizzato le caratteristiche e le associazioni tra stile alimentare adottato e insorgenza di malattie croniche. Dalla metà degli anni Novanta si è anche sviluppato un filone di studio che ha dimostrato la forte correlazione tra diete e longevità. È interessante notare, per esempio, che una ricerca condotta sul database scientifico PubMed – in un arco di tempo limitato a tre mesi – evidenzia la presenza di circa 70 pubblicazioni scientifiche il cui tema principale è la dieta mediterranea. Tali pubblicazioni presentano i risultati di ricerche cliniche o epidemiologiche nelle quali l’aderenza alla dieta mediterranea si traduce in benefici misurabili in numerosissime aree della salute dell’uomo che includono, a titolo di esempio, condizioni metaboliche, effetti preventivi delle patologie cardiovascolari, delle patologie neurologiche o psichiatriche (per esempio la malattia di Alzheimer), delle malattie respiratorie o allergiche, dei disturbi della sessualità sia femminile sia maschile (per esempio la disfunzione erettile), nonché di alcune patologie oncologiche. A quest’ultimo proposito, destano interesse le recenti conclusioni dell’ampio


la doppia piramide  |  cibo per una crescita sostenibile

studio europeo EPIC, che ha valutato 485.044 soggetti adulti nell’arco di circa nove anni; l’EPIC ha dimostrato che una maggiore aderenza alla dieta mediterranea si associa a una significativa riduzione (−33%) del rischio di sviluppare un carcinoma gastrico. Infine è interessante notare come la letteratura scientifica dimostri un impatto positivo della dieta mediterranea in tutte le fasce di età della vita, a partire dal periodo prenatale e poi all’infanzia, all’età adulta, fino all’età avanzata. dalla piramide al piatto alimentare. Per rendere le argomentazioni della piramide alimentare – e dunque della dieta mediterranea – sempre più fruibili e adottabili dalle persone, è in corso un grande sforzo a livello internazionale. Un esempio è quanto il Dipartimento dell’Agricoltura negli Stati Uniti (USDA) sta facendo con il “piatto” alimentare, traduzione del contenuto della piramide alimentare (figura 3.2). Al di là delle modalità di rappresentazione grafica dei consigli alimentari, è comunque importante osservare come gran parte delle più autorevoli ricerche scientifiche sulla relazione tra alimentazione e malattie croniche evidenzino, oltre ogni ragionevole dubbio, che il modello alimentare mediterraneo deve essere considerato il punto di riferimento di una corretta alimentazione e che a esso dovrebbero essere associati stili di vita “salubri”. Nella figura 3.3 è proposto uno schema di sintesi delle linee guida per la prevenzione delle patologie cardiovascolari, diabetiche e tumorali.

sana alimentazione e corretto stile di vita 30 minuti di attività fisica al giorno

Adottare una dieta equilibrata

Consumare 2‑3 porzioni di pesce alla settimana

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5

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13 Limitare il consumo di carne e pollame a 3‑4 porzioni alla settimana

Evitare situazioni di sovrappeso e obesità

Aumentare il consumo di frutta e verdura

Preferire condimenti di origine vegetale

Limitare il consumo aggiuntivo di sale

figura 3.3 Lo schema di sintesi delle linee guida mediche Fonte: BCFN, 2009.

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Evitare l’eccessivo consumo di alcolici Preferire i carboidrati complessi e aumentare il consumo di cereali integrali Limitare il consumo di cibi a elevato contenuto di grassi Limitare il consumo di cibi/bevande ad alto contenuto di zuccheri

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Non fumare

Aumentare il consumo di legumi

Limitare il consumo di cibo fritto Evitare l’utilizzo quotidiano di integratori alimentari

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intervista  chi controlla il cibo controlla la democrazia

Vandana Shiva

Vandana Shiva è fondatrice di Navdanya, un movimento per la conservazione delle biodiversità e per i diritti degli agricoltori. È fondatrice e direttrice della Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy la cui missione è quella di risolvere i più rilevanti problemi sociali ed economici in collaborazione con le comunità locali e i movimenti sociali. È stata inoltre consigliere per il governo indiano e per governi stranieri, per ONG come l’International Forum on Globalisation, Women’s Environment and Development Organization e Third World Network.

Un miliardo di persone che soffre la fame, due miliardi di persone ammalate, il pianeta stesso ammalato (l’acqua che sta scomparendo così come la biodiversità, il danno climatico, il suolo che perde fertilità): tutti questi fattori sono collegati tra di loro nell’ambito di un modello agricolo che trascura la nutrizione del suolo e quella delle persone, e mette al centro i profitti derivanti dallo sfruttamento delle risorse. Tutto ciò significa che i piccoli agricoltori non riescono a sfamarsi perché rientrano nel gruppo dei nuovi espropriati. Oppure se riescono a coltivare, sono indebitati e vendono ciò che coltivano, tant’è che del miliardo di persone affamate, 500 milioni sono produttori di cibo. E un sistema che dimentica che il cibo deve essere funzionale alla nutrizione, finisce per produrre non-cibo, che diventa cibo spazzatura, il quale, a sua volta, causa diversi tipi di patologie. È lo stesso sistema che sfrutta l’acqua perché non ne deve sostenere i costi, causa l’estinzione delle specie e immette nell’atmosfera il 40% dei gas serra che provocano i cambiamenti climatici. Quindi i profitti distruggono il cibo, la Terra, i nostri agricoltori e la nostra salute. I profitti sono diventati un’ossessione.

Con queste premesse, che approccio dovrebbero adottare i paesi in via di sviluppo nei confronti dell’agricoltura per evitare che la situazione peggiori? Ritengo che i cosiddetti paesi in via di sviluppo siano definiti tali in quanto non sono stati industrializzati durante la prima rivoluzione industriale. E la maggior parte della popolazione nei nostri paesi, anche in Cina e India, è costituita da piccoli agricoltori. In Africa per certo, e così pure in America Latina. Dobbiamo considerare i nostri piccoli agricoltori come il nostro capitale sociale, perché le piccole aziende agricole sono quelle che producono di più. Se ci mettiamo a imitare l’agricoltura industriale su larga scala delle multinazionali occidentali, non solo distruggeremo i nostri agricoltori, ma comprometteremo anche la nostra sicurezza alimentare. Poiché i paesi in via di sviluppo si ritrovano a essere nella parte del mondo con maggiore biodiversità, la seconda cosa che dobbiamo fare è riconoscere che il patrimonio naturale della biodiversità è un vero e proprio capitale. Non i prestiti finanziari dalle banche che in futuro


interviste  |  cibo e cultura

finiranno per prendersi la terra. Non le tecnologie che, come l’ingegneria genetica, si stanno già rivelando un fallimento. Dobbiamo portare rispetto nei confronti della terra, dei nostri agricoltori così come della più antica e collaudata conoscenza in ambito agricolo. È proprio questo il concetto che viene messo in evidenza dal rapporto IAASTD che ha evidenziato che né la Rivoluzione verde, né l’ingegneria genetica rappresentano soluzioni per l’accesso al cibo. È con l’agricoltura ecologica, spesso associata a sistemi di conoscenza indigeni e frutto degli stessi, che è possibile aumentare la produzione preservando al contempo le risorse. Ritiene che le donne rivestano un ruolo specifico in questo processo? Le donne rivestono un ruolo specifico per due motivi. Innanzitutto, se si pensa alla lunga storia dell’agricoltura che sfamava la gente senza renderla obesa e senza causare epidemie di diabete, si tratta della storia di un sistema agricolo e alimentare nel quale le donne avevano un ruolo centrale ed erano le depositarie della conoscenza. Quindi è alle donne che dobbiamo chiedere cosa fare per avere un’alimentazione sana e corretta. È per questo che presso l’associazione Navdanya abbiamo attivato la Grandmothers’ University (l’università delle nonne), per imparare nuovamente come rispettare il cibo. Il secondo aspetto è che il sistema agricolo che sta creando tutti questi problemi – un miliardo di affamati, due miliardi di obesi – è un sistema che affonda le sue radici nella guerra. È proprio nato dalla guerra. Le sostanze agrochimiche sono il frutto della guerra. Questo sistema nasce da quella che io chiamo la “mentalità patriarca” che vede l’uomo come il dominatore, come conquistatore violento della Terra e delle persone. Questo modello è diventato troppo pesante per il sistema alimentare. Abbiamo bisogno della non-violenza, della diversità e della multifunzionalità che le donne possono conferire all’agricoltura. Una volta ha affermato che chi si impadronisce del nostro sistema alimentare si impadronisce anche della nostra democrazia. Che cosa intende? Ce lo può spiegare meglio? Da un certo punto di vista si tratta di quanto affermato da Henry Kissinger a proposito del cibo come arma. Disse che se si ha il controllo delle armi, si ha anche il controllo dei governi e degli eserciti. Quando si ha il controllo del cibo si ha il controllo delle persone. Nel contesto attuale, il cibo è controllato attraverso il controllo delle sementi. Monsanto si è rivelato l’unico e il più grande player sul fronte delle sementi. E tristemente il governo statunitense, che si è impoverito tremendamente esternalizzando tutta la produzione, adesso raccoglie royalty su sementi brevettate, deprivando gli agricoltori del terzo mondo

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della democrazia, della possibilità di utilizzare i propri semi, deprivando la gente in tutto il mondo del diritto di scegliere quale cibo coltivare e di sapere cosa c’è dentro al cibo. Oggi democrazia alimentare significa disporre della sovranità e della libertà delle sementi. Quindi bisogna dire “no” ai brevetti sulle sementi e “sì” alla possibilità di coltivare il proprio cibo, il che significa difendere i piccoli agricoltori e fermare il sistema perverso dei sussidi che con importi pari a 400 miliardi di dollari forniscono all’agricoltura industriale un vantaggio iniquo e la fanno prosperare. E, in terzo luogo, ciò significa essere molto più consapevoli del cibo che si mangia e di come è stato coltivato. Riassumendo: la democrazia inizia dal piatto.




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