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Gunter Pauli
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200 progetti implementati, 4 miliardi di dollari investiti, 3 milioni di nuovi posti di lavoro creati realizzazione editoriale
Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it titolo originale
The Blue Economy Version 2.0 – 200 Projects Implemented, US$ 4 Billion Invested, 3 Million Jobs Created Report to the Club of Rome Copyright © 2015 by Gunter Pauli traduzione: Erminio Cella, Franco Lombini, Michelle Nebiolo, Mario Tadiello, Diego Tavazzi coordinamento redazionale: Diego Tavazzi progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo
© 2015, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore. ISBN 978-88-6627-173-4 Finito di stampare nel mese di novembre 2015 presso Reggiani Arti Grafiche Srl – Brezzo di Bedero (VA) Stampato in Italia – Printed in Italy i siti di edizioni ambiente
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sommario
prefazione di Catia Bastioli
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prefazione di Giuseppe Lavazza
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dedica
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introduzione di Ashok Khosla
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prefazione dell’autore
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1. risorse eterne
35
2. il potere del pragmatismo
45
3. imitare gli ecosistemi
55
4. l’efficienza della natura nell’uso delle risorse
67
5. aprire la strada alle imprese leader
81
6. il master in gestione aziendale della natura: il master degli adattamenti brillanti
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7. l’etica al centro 8. flussi multipli di liquidità
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9. la seta sul filo del rasoio
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10. dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo
141
11. un arcobaleno di possibilità: reinventare la colorazione e i cosmetici
163
12. nuove energie
177
13. una vera miniera d’oro
197
14. edifici progettati in base ai flussi
215
15. abitazioni a buon prezzo per tutti
243
16. l’effetto a cascata della blue economy
271
17. chi è a favore degli ogm?
277
18. la cina si sfamerà da sola
285
conclusione: realizzare un sogno
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la blue economy messa in pratica in india di Ashok Khosla
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casi studio
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bibliografia
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prefazione di Catia Bastioli
La speranza oggi è più concreta. La possibilità di riscrivere i paradigmi che hanno dominato i sistemi economici (e quindi i nostri stili di vita) nell’ultimo secolo sembra essere a portata di mano. Certo, bisogna avere il coraggio e l’onestà intellettuale di ammettere che il sistema lineare di produzione-distribuzione-consumo delle merci ha prodotto costi esterni crescenti, al punto da caratterizzare un’epoca, quella dell’Antropocene: “Una nuova era geologica definita dal fatto che l’impronta umana sull’ambiente globale è ora divenuta così ampia e attiva che rivaleggia con alcune delle più grandi forze della Natura nel suo impatto sul funzionamento del sistema Terra”.1 Essere in grado di vivere bene nel limite naturale è la grande sfida del nostro secolo, che richiede azioni immediate e che non si vincerà senza un impegno individuale e politico consapevole e diffuso. Occorre riprendere la cultura della produzione e della conservazione, superando quella della dissipazione e dello scarto. Occorre superare i nostri limiti per essere in grado di vivere nel limite delle risorse disponibili, avendo chiara la consapevolezza della responsabilità dell’azione umana sui cambiamenti della natura e l’essenzialità e centralità delle risorse naturali per l’umanità. Tra i principali ostacoli da superare per raccogliere al meglio la sfida ci sono certamente le nostre abitudini consolidate, la miopia e la rapacità di molti, alimentate da egoismo, arroganza e ignoranza. Uscito per la prima volta nel 2010, nel pieno di una crisi economico-ambientale-sociale senza precedenti – quantomeno per la storia recente di quella parte di mondo che si vuole “sviluppata” – Blue Economy costruiva le proprie argomentazioni facendo un continuo riferimento al tema dello spreco. E lo faceva indican1 Steffen W., J. Grinevald, P. Crutzen, J. McNeil, “The Anthropocene: conceptual and historical perspectives”, in Philosophical transactions of the Royal Society, p. 842-867, 2011.
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do una serie di possibili soluzioni in grado di generare nuova occupazione, qualità ambientale, cultura di sistema. Ciò che ha reso questo libro un successo è stato quindi il rovesciamento di approccio attuato da Gunter Pauli: invece di tracciare scenari futuri inevitabilmente foschi, metteva davanti agli occhi del lettore soluzioni imprenditoriali concrete, in un “catalogo” di 100 casi esemplari di come fosse possibile superare in modo costruttivo la crisi ripartendo dall’ambiente e dalla riqualificazione del territorio. Ritornando a essere parte consapevole di un ecosistema si potrà avere accesso a molte più materie prime locali a basso costo di quanto sia possibile immaginare e moltiplicare le iniziative imprenditoriali creando una nuova occupazione diffusa, rispettosa del territorio e della dignità delle persone. I casi presentati erano fortemente caratterizzati da alcuni elementi comuni: il territorio, le materie prime locali, l’economia della conoscenza, l’osservazione attenta della natura e della sua mirabile capacità di integrare chimica, fisica e biologia in sistemi circolari, che non producono rifiuti e in cui ciascun elemento della catena, anche il più piccolo e apparentemente debole, ha un ruolo imprescindibile. In questa nuova edizione del volume, l’apparato di 100 casi non è più presente. Quello che cinque anni fa rappresentava la prova a sostegno della visione di Pauli è oggi realtà, diffusa, che produce risultati tangibili. I 100 casi si sono moltiplicati, censirli e documentarli diventa compito che non si può assolvere nelle pagine di un singolo libro, che comunque non saprebbero restituire il ritmo a cui l’innovazione si concretizza, nei luoghi e nei settori più diversi. Ciò che emerge con sempre maggiore chiarezza è invece la fondatezza dei concetti formulati da Pauli. Le materie prime dell’economia blu sono locali, in cascata, parte di un sistema integrato, utilizzate in modo massimamente efficiente: per questo risultano più competitive di quelle attualmente in uso. L’enorme massa di scarti che anche Papa Francesco mette all’indice nell’enciclica Laudato si’, può in realtà essere fonte di una inesauribile quantità di materie prime in cascata, per iniziative locali in rete con altri interlocutori della filiera. L’economia blu in pratica assicura che gli ecosistemi possano mantenere la loro capacità di evolversi permettendo a tutti di beneficiare del flusso inesauribile di creatività, adattamento e abbondanza di cui è capace la natura. Mettere in pratica i concetti della blue economy significa permettere che si generi una nuova forte struttura sociale ed economica diffusa, dotata degli anticorpi necessari a superare i tanti dirigismi di cui il pianeta è vittima. Una nuova governance in grado di recepire il concetto di resilienza, così come originariamente formulato da Crawford Holling, cioè “la capacità dei sistemi socio-ecologici di assorbire un disturbo e di riorganizzarsi mentre ha luogo il cambiamento”.2 2 Bologna G., “Il governo della sostenibilità tra planetary boundaries e resilienza”, in Worldwatch Institute, Governare per la sostenibilità, Edizioni Ambiente, Milano 2014.
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prefazione
di Giuseppe Lavazza
Se è vero che “possiamo leggere il mondo come materia dotata di storie”1 negli ultimi tre secoli il testo costituito dal pianeta che abitiamo è stato forse letto tenendo il libro al contrario, o non è stato letto del tutto. La quantità di storie che il mondo ci può raccontare è stata trascurata, perché tramessa in una lingua non più comprensibile a una cultura largamente improntata al materialismo e all’antropocentrismo. Oggi, tra le tante espressioni che definiscono i percorsi di trasformazione del rapporto tra le nostre attività economiche, la società e il pianeta, la blue economy descritta da Gunter Pauli in un libro ormai classico, è ciò che più si avvicina al recupero della capacità di leggere questo mondo intessuto di storie, rovesciando nella pratica, e non solo sul piano teorico, il paradigma che ha dominato la nostra cultura e guidato il nostro agire a partire dalla Rivoluzione industriale. L’economia ispirata al funzionamento degli ecosistemi, di cui Gunter Pauli definisce i principi e mostra i concreti modelli di funzionamento, si fonda su una diversa capacità di costruire un rapporto con l’ecosistema, a partire dalla comprensione profonda della complessità e ricchezza di ciò che chiamiamo risorse naturali o servizi degli ecosistemi. Una ricchezza costituita di relazioni, relazioni di cui siamo, come collettività umana, parte integrante. “Rispondere alle necessità fondamentali con ciò che si ha disposizione, introducendo innovazioni ispirate dalla natura, generando benefici multipli, includendo occupazione e capitale sociale, offrendo di più con meno. Questa è la blue economy”:2 questo è uno dei principi cardine della visione di Gunter Pauli, e forse quello che ne sintetizza meglio il significato. 1 Opperman S., “From ecological postomodernism to material ecocriticism”, in Material Ecocriticism, Iovino S., Oppermann S. (eds.), Indiana University Press, Bloomington 2015. 2 http://www.theblueeconomy.org/Principles.html
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In 120 anni di attività Lavazza ha consolidato i propri valori e attuato le proprie strategie operative sulla base di molti tra i principi che oggi ritroviamo proposti nella brillante sintesi realizzata da Gunter Pauli. Tanto che se si volesse restare sulla superficie, evidenziare i punti di contatto tra la filosofia di un’azienda come Lavazza e la blue economy potrebbe essere molto facile: il caffè è infatti protagonista di uno degli esempi più noti tra i tanti proposti da Pauli, quasi un’icona dell’economia ispirata al funzionamento della natura. L’utilizzo dei fondi del caffè come substrato per la coltivazione di funghi ben rappresenta l’eliminazione del rifiuto, concetto che non esiste in natura, attraverso un utilizzo a cascata degli output, per trarre da ciò che in un ciclo è scarto le risorse per un ciclo ulteriore. Coltivazioni sperimentali e ricerche, come quella sviluppata con il Dipartimento di Design del Politecnico di Torino, sono tra le iniziative che Lavazza ha dedicato a questo tema. Ma lo stesso lancio della capsula compostabile realizzata in collaborazione con Novamont rappresenta un’innovazione che coincide con l’idea di utilizzo efficiente delle risorse, eliminazione degli scarti, e chiusura dei cicli dei nutrienti che è alla base della blue economy. Questa consonanza ha però radici assai più profonde nella nostra storia. La blue economy intercetta percorsi su cui la nostra azienda è presente da lungo tempo. L’importanza della lotta allo spreco, per esempio, è una consapevolezza che Luigi Lavazza, fondatore della nostra azienda, acquisì già nel lontano 1935. Viaggiando in Sudamerica, per vedere di persona i luoghi in cui il caffè viene prodotto e per conoscere le persone che lo coltivano, si trovò ad assistere a una scena che ancora oggi si ripete: raccolti distrutti perché rimasti invenduti. L’indignazione fu profonda di fronte a ciò che non era solo spreco di preziose risorse della natura (le piante, l’acqua, il suolo...) ma anche spreco del lavoro impiegato a produrle, spreco di persone, di conoscenze. Trasposta nell’attività dell’azienda questa consapevolezza ha orientato, e impronta oggi più che mai, le nostre strategie di sostenibilità, che non riguardano solo lo specifico della produzione del caffè. La sostenibilità di un’impresa, infatti, non è tale se si limita alla sostenibilità del prodotto finale. La prospettiva che oggi le aziende hanno davanti richiede una più ampia assunzione di responsabilità. Ciò significa anche andare oltre il rispetto dei vincoli con cui le norme regolano lo svolgersi delle attività economiche: in altri termini, si tratta di avere una visione del significato e dello scopo stesso della propria attività, che risponda alle sfide poste dal presente e che proietti la propria responsabilità sugli scenari futuri. “Ci sono regole a cui dobbiamo attenerci perché sancite dalle leggi, dai regolamenti e dal diritto. Norme la cui osservanza è per tutti i cittadini e le aziende un dovere. Ma ci sono anche regole non scritte, dettate dalla nostra etica, dal-
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prefazione dell’autore
Se insegniamo ai nostri figli solo ciò che conosciamo, non potranno mai diventare migliori di noi. Gunter Pauli Negli anni Ottanta quando lessi i libri di Lester Brown e del suo team del Worldwatch Institute, sentii la necessità di far conoscere a tutti tale ricchezza di dati sulle problematiche ambientali del pianeta. L’analisi delle numerose statistiche negative e dell’andamento dei trend raccolti a Washington D.C. offriva solo un barlume di speranza all’orizzonte. Di conseguenza creai una casa editrice specializzata per mettere a disposizione del recalcitrante mondo degli affari europeo i due annuari pubblicati dal Worldwatch Institute, State of the World e Vital Signs. Come imprenditore che in quel periodo aveva avviato circa sei imprese, anch’io ero preoccupato. Agli inizi degli anni Novanta, con la nascita dei miei due figli, Carl-Olaf e Laurenz-Frederik, espressi un desiderio, come capita di fare a tanti neogenitori: lasciare ai nostri figli un mondo migliore rispetto a quello che abbiamo ricevuto a nostra volta. A circa vent’anni di distanza, ora che i miei primi due figli si sono diplomati, devo confessare che mi pare uno sforzo sovrumano. Tuttavia, col passare del tempo e con la comparsa di nuove rughe che tradiscono profonde preoccupazioni, non si può rimanere semplici cittadini preoccupati per il futuro rimpiangendo ogni singolo errore. Dovremmo invece unirci trovando modi per gettare le basi a partire dalle quali la prossima generazione possa ottenere risultati migliori dei nostri. Forse, il dono più prezioso che possiamo fare ai nostri figli è di offrir loro la libertà di pensare e, ancor più, di agire fuori dal coro. Pertanto, è utile riflettere su ciò che possiamo lasciare in eredità alle generazioni future in termini di pensiero positivo e possibilità di
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azioni concrete. Questo rappresenta forse la sfida più difficile. Le cattive notizie non riguardano solo lo stato di salute del nostro pianeta. Per la prima volta dopo decenni di torpore ci stiamo rendendo conto che anche il sistema economico sta vacillando. Come membro storico del Club di Roma, un’associazione informale di politici, accademici, leader economici e funzionari pubblici internazionali preoccupati del nostro futuro, sono fin troppo consapevole dell’importanza di risvegliare l’interesse su certe tematiche. Il rapporto su I limiti dello sviluppo presentato dal Club di Roma ha delineato a chiare lettere il circolo vizioso dell’esplosione demografica, del degrado ambientale, della crescita industriale incontrollata e del collasso dei valori etici. Come editore dello State of the World in varie lingue europee e in qualità di attivo partecipante del Club di Roma da oltre un trentennio, non potrei mai scindere le conclusioni negative dalle azioni positive. Cominciai a lavorare con Ecover, industria produttrice di detergenti biodegradabili con sede in Europa. Quando persino i maggiori produttori adottarono i nostri componenti biodegradabili – gli acidi grassi dell’olio di palma – come principale sostituto industriale a tensioattivi petrolchimici, ci fu un’impennata della domanda. Ciò spinse molti coltivatori, specialmente in Indonesia, a convertire vaste distese di foresta pluviale in colture di palma. Distruggendo la foresta pluviale, si è perso anche gran parte dell’habitat dell’orangutango, pertanto ho imparato con mio grande disappunto che la biodegradabilità e la rinnovabilità non equivalgono a sostenibilità. Nel mio primo articolo in materia, pubblicato a Seoul, Corea, nel 1991, ho esortato le industrie a emulare l’efficienza degli ecosistemi. La saggezza di un ecosistema non si esprime solo nella resa di servizi come acqua dolce e aria pulita, la reintegrazione dello strato superficiale del terreno, il controllo bilanciato dei batteri e un percorso evolutivo infinito, sempre alla ricerca di soluzioni migliori e di livelli di efficienza più elevati. Gli ecosistemi sono anche una fonte d’ispirazione per mutare i nostri prodighi modelli di consumo e produzione. Nell’articolo sostengo che si potrà intravedere la sostenibilità solo quando il nostro sistema eliminerà il concetto di rifiuto, cominciando ad attivare cicli “a cascata” dei nutrienti e dell’energia come avviene in natura. Dopo l’esperienza deludente con Ecover, Heitor Gurgulino de Souza, rettore dell’Università delle Nazioni Unite, ospitata dal governo nipponico, mi sfidò a creare un modello per un sistema economico a rifiuti ed emissioni zero, che creasse però posti di lavoro, contribuisse al capitale sociale e non comportasse costi più elevati. Accettai tale sfida tre anni prima che si approvasse il Protocollo di Kyoto. In questo modo ebbi l’opportunità di immaginare, dalla mia torre d’avorio accademica, come si sarebbero potute emulare le interazioni evolu-
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tive e produttive degli ecosistemi naturali, dove i rifiuti di alcuni sono cibo per altri. Dopo tre anni di ricerca e in cooperazione con lo United Nations Development Programme (UNDP), nacque in Svizzera la Fondazione ZERI, finalizzata esclusivamente all’adozione delle scoperte innovative che dimostrassero un modello di produzione e consumo economicamente attuabile e scientificamente fattibile. In occasione della celebrazione del primo decennio di attività pionieristica in tutto il globo, si è rafforzata la volontà di perseguire un modello economico che potesse ispirare gli imprenditori in modo da consentire loro di mettere l’umanità, e i suoi sistemi di produzione e consumo, su un percorso in direzione della sostenibilità. Sin dall’inizio di questa ricerca ho avuto l’opportunità di lavorare con Frijof Capra curando il libro Steering Businesses Towards Sustainability. Tale progetto ha stimolato moltissime idee. Mi resi conto che la mia ricerca su opportunità imprenditoriali di nuova generazione si basava sulla convinzione che se fossi riuscito a descrivere i modelli che avevo in mente avrei potuto ispirare altri a diventare imprenditori. Ho riflettuto sui modi per aggregare le innovazioni in sistemi per permettere alle società di funzionare come gli ecosistemi, raccogliendo le proposte più nuove sviluppate dai diversi attori, usando in modo più efficiente le forze descritte dalle leggi della fisica. Per queste leggi non ci sono eccezioni. Nell’arco di cinque anni dalla pubblicazione ho incontrato inventori e imprenditori in tutti e quattro gli angoli del mondo. Ho tenuto decine di incontri con analisti finanziari, giornalisti economici e docenti universitari di strategie aziendali. Abbiamo inaugurato splendide iniziative. Ciò ha contribuito ad affinare la logica. Un team ha completato una rivalutazione completa di tutti i casi di successo e di fallimento e ha esaminato le dinamiche del crollo dell’attuale modello economico alla luce delle innovazioni che avevamo raccolto e catalogato. Abbiamo assistito alla nascita della fenice della crescita, a volte anche una crescita a doppia cifra, una crescita che non si focalizza più sul breve periodo e sui megabonus ma dà, a un mondo con risorse limitate, l’abilità di soddisfare i bisogni fondamentali delle persone con quanto disponibile. Vidi emergere un modello che poteva spalancare agli imprenditori di tutto il mondo una finestra ricca di opportunità per cambiare il sistema economico dominante, guidato dal taglio dei costi e dalle economie di scala. Non si trattava di clonazione o manipolazione genetica, protette da brevetti che assomigliano più a bio-pirateria che a reali innovazioni. Si trattava della logica efficace e della sensibilità della logica inclusiva. Questo libro va oltre le innovazioni e trae ispirazione dall’abilità degli ecosistemi di evolversi costantemente verso livelli di efficienza più alti con quanto disponibile, di creare cascate di nutrienti ed energia, di non generare rifiuti, di utilizzare le capacità di tutti i loro membri,
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e di soddisfare i bisogni di tutti. Questo libro mostra come il settore degli affari può soddisfare i bisogni basilari, a patto che cambi la sua logica passando dal taglio dei costi alla generazione di valore. Le intuizioni logiche ricavate dallo studio di interi sistemi sono diventate la struttura portante di questo libro, permettendomi di creare l’ossatura di una blue economy e di rendermi conto che l’attuale dissesto economico è solo apparentemente un male. Può darsi che finalmente si porrà termine al consumismo sfrenato che ha indebitato l’economia a livelli insensati. Esortare i consumatori a spendere di più è uno stereotipo della cieca logica che blandisce i cittadini a “comprarsi” una via d’uscita dalla crisi indebitando in questo modo e per sempre anche tutti noi, come pure le generazioni future, oltre la nostra capacità di ripagare il debito. È poi chiaro che a causa della crescente disoccupazione giovanile, il tradizionale appello all’austerità per risistemare i conti non è una soluzione praticabile. A livello globale, questo approccio incosciente prosciuga l’intera liquidità immettendola in una “banconomia” di élite, negando crediti a chiunque altro. Tali azioni stanno alla base di un modello economico fallimentare, un modello di red economy che prende a prestito – da natura, umanità, e dai beni comuni – senza preoccuparsi di come ripagare il debito se non consegnandolo al futuro. Le insaziabili economie di scala sono alla ricerca insensata di costi marginali sempre più bassi per ogni unità aggiuntiva prodotta, chiamandosi fuori da qualsiasi conseguenza non voluta. La crisi finanziaria del 2008 è stata provocata dai banchieri e dai dirigenti d’azienda che si sono gettati a capofitto in acquisizioni e fusioni, esercitando pressioni sui capitali e accumulando debiti talmente esorbitanti che la crescita diventa controproducente. Questa è la storia della fallimentare red economy (economia in rosso). Per contro, il modello di green economy ha richiesto alle imprese di investire di più e ai consumatori di spendere di più, per ottenere la stessa cosa o anche meno, preservando nel contempo l’ambiente. Sebbene ciò fosse già arduo durante il periodo d’oro della crescita economica, è una soluzione che ha poche speranze in un periodo di congiuntura economica, infatti la green economy nonostante l’impegno e le buone intenzioni non ha ottenuto il successo che tanto desiderava. Non dovrebbe sorprendere. Come potete apprezzare una green economy se tutto quello che va bene per voi e per l’ambiente è costoso? Potete accettare un’economia in cui ciò che vi fa male e danneggia l’ambiente costa poco? Ma come si fa a chiamare una simile economia “economia di mercato”? La blue economy affronta le problematiche della sostenibilità al di là della semplice conservazione, lo scopo non è investire di più nella tutela dell’ambiente ma di spingersi verso la rigenerazione. La blue economy desidera assicurare le
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possibilità dei percorsi evolutivi degli ecosistemi affinché tutti possano beneficiare dell’eterno flusso di creatività, adattamento e abbondanza della natura. Sono i giovani di spirito che sapranno cogliere le opportunità imprenditoriali che riescono a imitare e riprodurre il funzionamento degli ecosistemi attingendo a energia e alle risorse “a cascata” per aggiungere valore, generando molteplici vantaggi dallo scambio e traducendoli in reddito e occupazione. Quando si applicano i concetti della blue economy, laddove le decisioni di milioni di attori si preferiscono al dirigismo di pochi operatori di mercato, imprese monopolistiche o controlli statali, allora si manifesta una nuova e potente struttura economica e sociale. L’impegno e la partecipazione dei cittadini cambieranno le regole del gioco e influenzeranno un vero mutamento. In un periodo storico in cui i prezzi del petrolio e degli alimenti raggiungeranno sicuramente il loro tetto massimo, ci si può rivolgere agli ecosistemi per attingere idee pratiche e trarre ispirazione, consapevoli della loro evoluzione abile e creativa per far fronte alle sfide della sopravvivenza. L’obiettivo di questo volume è di contribuire all’elaborazione di un nuovo modello economico che non sia solo in grado di far fronte ai bisogni di tutti, ma anche di trasformare ciò che definiamo “scarsità” in una dimensione di sufficienza e persino di abbondanza. Se i rifiuti di risorse materiali esemplificati dalle moderne discariche e inceneritori sono da deplorare, il “rifiuto” delle risorse umane è assolutamente inaccettabile. Quando il numero di giovani disoccupati oscilla tra il 50% in paesi industrializzati come Spagna e Grecia e più del 90% in aree assediate come la Palestina, è facile immaginare cosa significhi per la nostra società globale se i suoi leader considerano la prossima generazione inutile, o ancor peggio, se sono i giovani e gli svantaggiati a considerarsi inutili. È sintomatico di un sistema in netto declino, di una società profondamente in crisi. Ciò è esacerbato dall’incremento di statistiche sull’aumento di violenza, criminalità, terrorismo, tossicodipendenza, immigrazione illegale, abbandono dell’istruzione e trattamento deplorevole di popolazioni e comunità già a rischio o sotto servite. Abdel Salam Majali, ex presidente della Jordan University, primo ministro della Giordania e oggi presidente della Islamic World Academy of Sciences, ha affermato: “Esporre, non imporre”. Se l’obiettivo è di creare un mondo migliore per tutti, e non di rimpinguare i conti correnti di pochi, se si è pronti a contrastare il rischio con il guadagno, allora considerazioni meditate, basate su casi ben documentati e sulla scienza concreta, possono aiutarci a focalizzare le idee e a raggiungere l’obiettivo. Una solida piattaforma per l’imprenditoria potrebbe emulare il successo degli ecosistemi, eliminando i rifiuti e ottenendo piena occupazione e capacità produttiva. A livello globale, svariate iniziative di pic-
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cole dimensioni offrirebbero il punto di partenza per nuove opportunità imprenditoriali che favorirebbero il passaggio a un sistema macroeconomico. Invece di rimandare a quando i politici raggiungeranno un accordo, la direzione che si deve prendere è di condividere con tutti gli individui le opportunità delle risorse liberamente forniteci dalla natura. È sorprendente quanta poca logica naturale ci sia nella società moderna. Per raffreddare un edificio i sistemi di condizionamento pompano aria fredda verso l’alto. Per depurare l’acqua immettiamo sostanze chimiche che annientano tutte le forme di vita. Le serre riscaldano l’aria, non le radici. Paghiamo oltre 100 dollari per chilowattora di elettricità fornita da un accumulatore che inquina l’ambiente. Quando beviamo una tazza di caffè, diamo valore a solo lo 0,2% della biomassa mentre il resto lo lasciamo marcire, generando gas metano o destabilizzando i lombrichi, che soffrono tanto quanto noi a causa della neurotossina chiamata caffeina. Si gettano nelle discariche centinaia di migliaia di tonnellate di titanio, estratto e lavorato a temperature elevate, quando ci sbarazziamo dei nostri rasoi “usa e getta”. Tagliamo milioni di alberi per soddisfare il nostro appetito di carta, e poi la ricicliamo consumando un sacco di acqua. L’umanità è energivora più che mai, emette gas serra oltre ogni comprensione, mettendo in crisi l’ambiente. Non ci si dovrebbe sorprendere di fronte al cambiamento climatico e all’acidificazione degli oceani, mentre danneggiamo lo strato superficiale del suolo oltre la sua capacità di rigenerazione. Di fatto, l’unica scusa per ciò che facciamo è che ne ignoriamo le conseguenze. Una volta che ne siamo a conoscenza, non solo abbiamo la lucidità necessaria per il cambiamento, ma abbiamo anche il potere consapevole di realizzarlo. Chido Govera, un’orfana che perse la madre all’età di sette anni e che non ha mai conosciuto il padre, passò immediatamente da bimba a capofamiglia con la responsabilità di provvedere al cibo per sua nonna e suo fratellino. Questa tragedia è fin troppo reale, ma è anche troppo comune. Ci sono milioni di individui, molti dei quali donne e bambini, che devono tollerare abusi per garantirsi una parvenza di cibo, acqua e un tetto. Per anni Chido è sopravvissuta con appena una scodella di arachidi al giorno, e ha imparato molto rapidamente ad apprezzare la capacità generativa degli ecosistemi, a dimostrare che le menti creative possono resistere a tutte le avversità. In Africa, questi sistemi naturali sono stati saccheggiati dall’agricoltura irresponsabile dei coloni che hanno portato le proprie tradizioni dai climi temperati e le cui tecniche non solo hanno spogliato il terreno della sua vegetazione naturale, ma hanno drasticamente eroso lo strato fertile del terreno. Eppure, Chido non giudica gli errori del passato. Ha colto l’opportunità di ridefinire il potenziale delle colture e dei rifiuti agricoli delle colture del caffè per ottenere mezzi
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di sussistenza e sicurezza alimentare per sé e i suoi amici orfani in Zimbabwe. Con la sicurezza alimentare e dei mezzi di sussistenza, l’abuso – sia delle bambine sia dei sistemi naturali – può essere eliminato. Il sogno di Chido è di riuscirci nel corso della sua vita. Che altro vi aspettate di ottenere nel corso della vostra vita? Vi chiederei gentilmente di dare una risposta dopo aver letto il libro.
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