RIFIUTI
luglio 2014 mensile
n. 219 (07/14) Euro 14,00
Registrazione Tribunale di Milano n. 451 del 22 agosto 1994. Poste italiane spa – Spedizione in abbonamento postale – Dl 353/2003 (conv. in legge 46/2004) articolo 1, comma 1, DCB Milano
bollettino di informazione normativa 1994-2014 L’intervento La disciplina delle modalità di applicazione del Sistri al trasporto intermodale
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di Pasquale Fimiani
Albo gestori ambientali: 20 anni di attività e il nuovo che arriva
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di Eugenio Onori
Classificare i rifiuti: un tema complesso che deve sfuggire alla logica del paradosso
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di Claudio Rispoli
Legislazione norme nazionali L’emergenza nazionale Tari si estende ai rifiuti di Roma
Decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16
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Decreto 22 aprile 2014
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Legge 23 giugno 2014, n. 89
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il commento di Simona Faccioli e Lavinia Basso Imballaggi, in vigore dal 14 giugno gli esempi che chiariscono la definizione il commento di Francesco Petrucci Tasi, ancora modifiche sulle date dei pagamenti
Giurisprudenza Discariche: la disciplina delle garanzie finanziarie compete allo Stato
Corte Costituzionale – Sentenza 2 aprile 2014, n. 67
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Corte di Cassazione, Sezione III penale – Sentenza 9 maggio 2014, n. 19129
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il commento di Alessandro Amato e Maria Rosaria Mola Discarica: la legittimità discende solo dall’autorizzazione in materia di rifiuti
Traffico illecito: competente il Tribunale del luogo in cui si verifica lo smaltimento abusivo
Corte di Cassazione, Sezione III penale – Sentenza 12 maggio 2014, n. 19509 Impianto non autorizzato: legittimo il sequestro dell’automezzo che vi conduce i rifiuti
Corte di Cassazione, Sezione III penale – Sentenza 14 maggio 2014, n. 19884
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Rubriche Quesiti a cura di Paola Ficco, Daniele Bagon, Alessandro Geremei, Claudio Rispoli Focus Rifiuti e sanzioni amministrative a cura di Italia Pepe
Edizioni Ambiente
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DIY
cioè Do it yourself. Tradotto in un più familiare “fai da te” fa subito pensare agli anni ‘70, quando l’Italia scopriva che aggiustare un tavolo si chiamava bricolage; chi riverniciava un comò faceva del decoupage mentre, chi riparava la lucidatrice la domenica, si dedicava a un hobby. Parole dietro alle quali si nascondeva qualcosa di leggero e personale che, nella fenomenologia di quegli anni tutta dedita all’“usa e getta” e al finto mito di una ricchezza consumista, non veniva mostrato né volentieri né con orgoglio perché ricordava una povertà prebellica. Tuttavia, la tendenza al fai da te risale alla rivoluzione industriale, nata per non dimenticare la manualità rispetto al nuovo sapere tecnico e tecnologico che in Inghilterra e in America aprivano le strade a questo presente, alimentata dall’esodo bianco dalle città statunitensi sempre più nere verso periferie con villette a schiera bisognose della costante manutenzione dei proprietari. Così, piano piano (ma neanche tanto) l’esercito degli “aggiustatori” diventava un vero e proprio target di riferimento di editoria specializzata e di strategie di mercato capaci di coinvolgere le multinazionali per offrire tutto l’occorrente per il “tempo libero”. Ma tutto si trasforma e quello che era un hobby sembra essersi trasformato in un lavoro da un lato e in una comunità globale dall’altro. Si chiamano fixer, nascono in California e hanno un credo: il diritto alla riparazione che protegge l’ambiente e genera lavoro e libertà. Perché aggiustare è meglio che riciclare e il loro sito (ifixit.com il cui simbolo è un pugno che stringe una chiave inglese) offre anche manuali per riparare cose che abitano usualmente le nostre case e che altrettanto usualmente si rompono. Così riparare diventa per i fixer anche una dichiarazione di guerra all’entropia. Tutto può essere riparato dai computer ai maglioni. L’Europa copia l’idea e nascono i primi Repair Café. In Italia (ancora) non ci sono ma ci vuole un attimo per far esplodere il fenomeno, con tutti i mercatini dell’usato che ci sono, i cassonetti dove “donare” cose che possono essere riutilizzate, le “rici-
clerie” comunali, i teloni (sporchi) sui marciapiedi (sporchi) che ospitano cose (sporche) tirate fuori dai cassonetti e vendute direttamente all’ignaro turista che si gode i monumenti romani (e a chi, pur di comprare, accetta l’immondizia perché costa poco e può sempre servire). Effetti della crisi o della coscienza ambientale che aumenta? Difficile ascrivere ad un versante o all’altro la ragione di tutto questo. Certo è che qualcosa sta cambiando. Ma mentre la realtà è fluida e dinamica, la legge è statica. Così dobbiamo fare i conti con una operazione di recupero che si chiama “preparazione per il riutilizzo” (che, secondo il “Codice ambientale” comprende controllo, pulizia, smontaggio, riparazione) e che precede (appunto) il “riutilizzo”. Tutto questo, se riguarda un rifiuto, deve essere autorizzato. Non solo si è ancora in attesa di un decreto che definisca le modalità operative per la costituzione e il sostegno di centri e reti accreditati “di riparazione/riutilizzo” nonché di un “catalogo esemplificativo di prodotti e rifiuti di prodotti che possono essere sottoposti, rispettivamente a riutilizzo o a preparazione per il riutilizzo”. Nel frattempo tutti fanno tutto, raccolgono, riparano, rivendono in un delirio sempre meno da retrovia e sempre più invasivo. Quindi, o si regolamenta il sistema e si fa un passo avanti o se ne fa uno indietro (cancellando quelle norme) perché se si accetta che la Onlus ripari computer rotti e tavoli dismessi rivendendoli al miglior offerente senza autorizzazione per la gestione dei rifiuti (preparazione per il riutilizzo), lo stesso deve valere per l’impresa che decide di investire nel settore e predispone capannoni o laboratori. Diversamente, il panorama sarà anche suggestivo (rectius: buonista) ma troppo casuale; privo di quel filo conduttore che anziché rispettare il paradigma legislativo, lo agita all’insegna di una creatività che sconfina (ancora) con la speculazione esegetica di quello che rifiuto è e di quello che, invece, non lo è. Paola Ficco
Premessa
L’intervento
RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 219 (07/14)
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La disciplina delle modalità di applicazione del Sistri al trasporto intermodale di Pasquale Fimiani Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione
L’articolo 188-ter, comma 1, Dlgs 152/2006, introdotto dall’articolo 16 del Dlgs 3 dicembre 2010, n. 205, nella versione originaria prevedeva, alla lettera g), l’obbligo di adesione al Sistri, in caso di trasporto intermodale, per i soggetti ai quali sono affidati i rifiuti speciali in attesa della presa in carico degli stessi da parte dell’impresa navale o ferroviaria o dell’impresa che effettua il successivo trasporto. Il comma 1 fu poi sostituito dall’articolo 11, comma 1, del Dl 31 agosto 2013, n. 101, come modificato dalla legge di conversione 30 ottobre 2013, n. 125, con la previsione, tra l’altro, della obbligatorietà della adesione al Sistri “in caso di trasporto intermodale, i soggetti ai quali sono affidati i rifiuti speciali pericolosi in attesa della presa in carico degli stessi da parte dell’impresa navale o ferroviaria o dell’impresa che effettua il successivo trasporto” ed il rinvio ad uno o più decreti ministeriali da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della norma, per la definizione delle modalità di applicazione a regime del Sistri al trasporto intermodale. Il Dm 24 aprile 2014, pubblicato nella Gu 30 aprile 2014, n. 99 ed entrato in vigore il 1° maggio 2014, ha adempiuto a tale previsione con l’articolo 2, che recita: “1. Il deposito di rifiuti nell’ambito di attività intermodale di carico e scarico, di trasbordo, e di soste tecniche all’interno di porti, scali ferroviari, interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci, effettuato da soggetti ai quali i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico degli stessi da parte di un’impresa navale o ferroviaria o che effettua il successivo trasporto, è un deposito preliminare alla raccolta a condizione che non superi il termine finale di trenta giorni. 2. Gli oneri sostenuti dal soggetto al quale i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico degli stessi da parte di un’impresa navale o ferroviaria o altra impresa per il successivo trasporto, sono posti a carico dei precedenti detentori e del produttore dei rifiuti, in solido tra loro. 3. I rifiuti devono essere presi in carico per il successivo trasporto entro sei giorni dalla data d’inizio dell’attività di deposito preliminare alla raccolta di cui al comma 1. Se alla scadenza di tale termine i rifiuti non sono presi in carico dall’impresa navale o ferroviaria o da altri operatori che effettuano il successivo trasporto, il soggetto al quale i rifiuti sono affidati deve darne comunicazione formale, immediatamente e comunque non oltre le successive 24 ore, al produttore nonché, se esistente, all’intermediario o al diverso soggetto ad esso equiparato che ha organizzato il trasporto. Il produttore, entro i ventiquattro giorni successivi alla scadenza del termine di cui al primo periodo, deve provvedere alla presa in carico di detti rifiuti per il successivo trasporto e la corretta gestione dei rifiuti stessi. 4. La presa in carico dei rifiuti entro il termine di cui al comma 3, terzo periodo e la comunicazione entro il termine di cui al comma 3, secondo periodo, escludono, per i soggetti rispettivamente obbligati a detti comportamenti, la responsabilità per attività di stoccaggio di rifiuti non autorizzato, ai sensi dell’articolo 256 del Dlgs n. 152 del 2006. 5. È fatto comunque obbligo al soggetto al quale i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico degli stessi di garantire che il deposito preliminare alla raccolta sia effettuato nel rispetto delle norme di tutela ambientale e sanitaria. 6. Quanto previsto ai precedenti commi non modifica le eventuali responsabilità del trasportatore, dell’intermediario nonché degli altri soggetti ad esso equiparati, in conseguenza della violazione degli obblighi assunti nei confronti del produttore. 7. Restano fermi gli obblighi e gli adempimenti del trasportatore, dell’intermediario nonché degli altri soggetti ad esso equi-
Il rapporto tra l’articolo 2 del Dm 24 aprile 2014 e l’articolo 193, comma 12, Dlgs 152/2006: profili generali
L’articolo 2 del Dm 24 aprile 2014 richiama l’articolo 193, comma 12, Dlgs 152/2006 per il quale: “Nel caso di trasporto intermodale di rifiuti, le attività di carico e scarico, di trasbordo, nonché le soste tecniche all’interno dei porti e degli scali ferroviari, degli interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci non rientrano nelle attività di stoccaggio di cui all’articolo 183, comma 1, lettera aa) purché siano effettuate nel più breve tempo possibile e non superino comunque, salvo impossibilità per caso fortuito o per forza maggiore, il termine massimo di sei giorni a decorrere dalla data in cui hanno avuto inizio predette attività. Ove si prospetti l’impossibilità del rispetto del predetto termine per caso fortuito o per forza maggiore, il detentore del rifiuto ha l’obbligo di darne indicazione nello spazio relativo alle annotazioni della medesima Scheda Sistri – Area movimentazione e informare, senza indugio e comunque prima della scadenza del predetto termine, il comune e la provincia territorialmente competente indicando tutti gli aspetti pertinenti alla situazione. Ferme restando le competenze degli organi di controllo, il detentore del rifiuto dovrà adottare, senza indugio e a propri costi e spese, tutte le iniziative opportune per prevenire eventuali pregiudizi ambientali e effetti nocivi per la salute umana. La decorrenza del termine massimo di sei giorni re-
L’articolo 193 Dlgs 152/2006, comprensivo del predetto comma 12, era stato così sostituito dall’articolo 16, comma 1, lett. e), Dlgs 3 dicembre 2010, n. 205, con la decorrenza prevista dal comma 2 del medesimo articolo 16 (e cioè dal giorno successivo alla scadenza del termine per la operatività del Sistri). Pertanto, essendo l’effettività di entrambe le norme subordinata alla medesima condizione (consistente, appunto nella predetta operatività), si pone la questione dei loro rapporti, considerato che né l’articolo 188-ter, comma 1, del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dall’articolo 11, comma 1, del Dl 31 agosto 2013, n. 101 (convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125), né l’articolo 2 del Dm 24 aprile 2014 contengono previsioni che espressamente modificano od abrogano l’articolo 193, comma 12, Dlgs 152/2006. Il confronto tra le due disposizioni si rende necessario, in primo luogo, con riguardo all’inquadramento sistematico della fase di deposito dei rifiuti in attesa della presa in carico. Ed infatti, mentre l’articolo 193, comma 12, Dlgs 152/2006 si limita ad individuare le condizioni ricorrendo le quali, nel caso di trasporto intermodale di rifiuti, le attività di carico e scarico, di trasbordo, nonché le soste tecniche all’interno dei porti e degli scali ferroviari, degli interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci non rientrano nelle attività di stoccaggio di cui all’articolo 183, comma 1, lettera aa), l’articolo 2 del Dm 24 aprile 2014 qualifica il deposito di rifiuti nell’ambito di attività intermodale di carico e scarico, di trasbordo, e di soste tecniche all’interno di porti, scali ferroviari, interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci, effettuato da soggetti ai quali i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico degli stessi da parte di un’impresa navale o ferroviaria o che effettua il successivo trasporto, come un deposito preliminare alla raccolta a condizione che non superi il termine finale di trenta giorni. La spiegazione di tale soluzione, come accennato, si coglie nel preambolo del Dm, che richiama le seguenti previsioni della direttiva 2008/98/Ce: • il considerando n. 15 della direttiva 2008/98/Ce, per il quale “è necessario operare una distinzione tra il deposito preliminare dei rifiuti in attesa della loro raccolta, la raccolta di rifiuti e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento”; • il successivo considerando n. 16, per il quale “nell’ambito della definizione di raccolta, il deposito preliminare di rifiuti è inteso come attività di deposito in attesa della raccolta in impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero o smaltimento”, e “dovrebbe essere operata una distinzione tra il deposito preliminare di rifiuti in attesa della raccolta e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento”; • l’articolo 3, punto 10), della direttiva 2008/98/Ce, che definisce “raccolta… il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento”; • le definizioni delle categorie D15 dell’allegato 1 e R13 dell’alle-
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I riferimenti normativi della nuova disciplina sono individuati nel preambolo del Dm 24 aprile 2014: • nell’articolo 193, comma 12, del Dlgs 152/2006, come modificato dal Dlgs 3 dicembre 2010, n. 205, per il quale, nel caso di trasporto intermodale di rifiuti, le attività di carico e scarico, di trasbordo, nonché le soste tecniche all’interno dei porti e degli scali ferroviari, degli interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci, non rientrano nelle attività di stoccaggio di cui all’articolo 183, comma 1, lettera aa) purché siano effettuate nel più breve tempo possibile e non superino comunque, salvo impossibilità per caso fortuito o per forza maggiore, il termine massimo di sei giorni a decorrere dalla data in cui hanno avuto inizio le predette attività; • nel considerando n. 15 della direttiva 2008/98/Ce, per il quale “è necessario operare una distinzione tra il deposito preliminare dei rifiuti in attesa della loro raccolta, la raccolta di rifiuti e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento”; • nel successivo considerando n. 16, per il quale “nell’ambito della definizione di raccolta, il deposito preliminare di rifiuti è inteso come attività di deposito in attesa della raccolta in impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero o smaltimento”, e “dovrebbe essere operata una distinzione tra il deposito preliminare di rifiuti in attesa della raccolta e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento”; • nell’articolo 3, punto 10), della direttiva 2008/98/Ce, che definisce la raccolta come “il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento”; • nelle definizioni delle categorie D15 dell’Allegato 1 e R13 dell’allegato 2 della direttiva 2008/98/Ce, che escludono dalle operazioni di smaltimento e di recupero il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, e qualificano come temporaneo il deposito preliminare alla raccolta.
sta sospesa durante il periodo in cui perduri l’impossibilità per caso fortuito o per forza maggiore. In caso di persistente impossibilità per caso fortuito o per forza maggiore per un periodo superiore a 30 giorni a decorrere dalla data in cui ha avuto inizio l’attività di cui al primo periodo del presente comma, il detentore del rifiuto sarà obbligato a conferire, a propri costi e spese, i rifiuti ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti, in conformità agli articoli 177 e 179”.
L’intervento Trasporto intermodale e Sistri
parati, riguardo alla compilazione ed alla sottoscrizione delle schede Sistri di rispettiva competenza”.
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Premessa
L’intervento
RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 219 (07/14)
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Classificare i rifiuti: un tema complesso che deve sfuggire alla logica del paradosso di Claudio Rispoli Chimico – Esperto ADR
Si torna sul tema della classificazione, poiché appare ancora necessario fare chiarezza sul punto. Il presente contributo, pur non aggiungendo molto a quanto già descritto nel Manuale “Gestire i rifiuti tra legge e tecnica” scaricabile gratuitamente dal sito http://freebook.edizioniambiente.it/, ha l’intento di presentare l’argomento in modo diverso, tale da consentire un approccio alla classificazione dei rifiuti fuori dagli schemi o “teoremi”, purtroppo, di uso comune e che, soprattutto, tiene conto di tutto il panorama normativo esistente, non di parti isolate di esso (1). I riferimenti normativi fondamentali sono dati dagli articoli 183, comma 1, lett. b) e 184, comma 4, Dlgs 152/2006. Il “nodo” risiede sempre nella distinzione tra rifiuto pericoloso e rifiuto non pericoloso, particolarmente rilevante nel caso in cui al rifiuto corrispondano le famose “voci speculari” nell’Elenco europeo dei rifiuti (Eer) ed in particolare, quali siano gli strumenti disponibili che consentono di effettuare tale distinzione.
La situazione ad oggi
La situazione attuale può essere così riassunta: è noto che la decisione 2000/532/Ce (modificata dalle decisioni 2001/118, 2001/119 e 2001/573), contiene l’Elenco europeo dei rifiuti (Eer) tuttora vigente. La procedura ivi prevista per l’attribuzione del corretto codice al rifiuto pone come punto di partenza l’identificazione della fonte, cioè l’attività da cui hanno avuto origine i rifiuti (punto 3.1 dell’allegato alla decisione; riportato fedelmente nel punto 3, allegato D, Dlgs 152/2006, al n. 3). Una volta che questa fonte è stata conosciuta, si cercherà nella famiglia di codici (prima coppia di cifre) che corrisponde appunto all’attività svolta, giungendo poi (per passi successivi e seguendo le istruzioni ivi riportate) all’individuazione delle due successive coppie di cifre corrispondenti al processo specifico ed al tipo di rifiuto. Nell’Eer i rifiuti pericolosi sono contrassegnati con un asterisco “*”, quelli privi di tale asterisco sono non pericolosi, per alcuni rifiuti sono previsti due codici, uno pericoloso e l’altro non pericoloso, tra i quali occorre scegliere quello pertinente in base alle proprietà o alle concentrazioni di sostanze pericolose del rifiuto (questi sono appunto i “codici a specchio”, dizione non più presente nella disciplina oggi vigente, ma entrata nell’uso comune) (2). In sintesi si può affermare che: • esistono dei codici classificati “a priori”, in questo caso non occorrono analisi di classificazione: a prescindere dalle caratteristiche del rifiuto questo sarà classificato così come previsto nell’Eer (3); • esistono dei codici attribuibili solo in base all’accertamento della presenza (o assenza) di una o più caratteristiche di pericolo (le cosiddette “voci a specchio”), accertamento in genere eseguito con un’analisi. (1) Una presentazione introduttiva, per non esperti, della classificazione dei rifiuti, è reperibile nel vademecum “Produttori, come gestire i rifiuti speciali”, sempre scaricabile gratuitamente dal sito http://freebook.edizioniambiente.it/, (2) La decisione 2000/532/Ce così recita: “Se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso è classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concen-
trazioni (ad esempio percentuale rispetto al peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o più delle proprietà di cui all’allegato III della direttiva 91/689/Cee del Consiglio….omissis”. Sul tema delle voci a specchio, si veda anche l’intervento pubblicato nel numero 212 di Rifiuti – Bollettino di informazione normativa. (3) Ma potranno servire analisi per determinare le caratteristiche di pericolo o la conformità per un tipo di destinazione di recupero o smaltimento
Iniziamo proprio dal Cer, dai più visto come l’unica “fonte” ai fini della classificazione dei rifiuti e, per comprenderne appieno la portata, è utile presentare una sintesi della sua nascita ed evoluzione che ne illustra il contesto normativo europeo da cui trae origine.
Evoluzione storica dell’Elenco europeo dei rifiuti
Tutta questa disciplina ha il suo fondamento normativo nelle direttive 75/442/Cee e 91/689/Ce, ha quindi origini molto lontane e va evidenziato come, negli intenti del Legislatore comunitario il Cer avesse scopi diversi da quelli attribuitigli poi nella disciplina italiana.
L’Elenco europeo dei rifiuti in Italia
I codici Cer dell’Elenco europeo dei rifiuti in Italia sono il fulcro dell’intero sistema gestionale dei rifiuti italiano: trasportatori e gestori di impianti di recupero e/o smaltimento, anche in procedura semplificata, sono autorizzati/iscritti in base a tali codici. È però opportuno, vista la vigenza ultradecennale di questo sistema, porre l’attenzione su alcuni limiti di questa scelta: • l’elenco europeo dei rifiuti è stato concepito per scopi diversi, sostanzialmente statistici e di uniformità di nomenclatura: il Cer, come indicatore della classificazione del rifiuto, entra quindi nella gestione, ma non fornisce alcun contributo tecnico di supporto ad essa (come precisato nella nota introduttiva alla decisione 94/3/Ce). • con la definizione di rifiuto vigente è evidente l’impossibilità di realizzare un elenco esaustivo dei rifiuti e il Legislatore europeo lo ha dichiarato esplicitamente; (4) Il criterio di concentrazione era già indicato come fattore da considerare nella redazione del Catalogo europeo dei rifiuti già dalla direttiva 91/689/Ce
(articolo 1 comma 4), pertanto la decisione 94/904 (articolo 1) aveva introdotto i noti valori limite in modo però ambiguo, assumendo “a priori” che i ri-
Inutile dire il danno che ciò comporta a tutto il sistema gestionale dei rifiuti italiano e al sistema economico in genere: le imprese non hanno chiarezza su come operare, l’azione degli Organi di vigilanza è disomogenea, il dibattito sul “codice corretto” esaurisce fiumi di inchiostro, tonnellate di carta e le persone coinvolte, senza che si ponga l’attenzione sul rifiuto e sulle sue caratteristiche. Innumerevoli i procedimenti giudiziari che ruotano su questi problemi, spesso molto più di facciata che di sostanza. Si ritiene sia legittimo chiedersi se questa impostazione sia coerente con le finalità della norma stabilite negli articoli 177 e 178, Dlgs 152/2006. Limitandosi alla questione delle autorizzazioni/iscrizioni, si rinvia alla lettura dell’articolo 208, Dlgs 152/2006, in particolare del comma 11, inerente appunto i contenuti delle autorizzazioni, e si invita il Lettore ad un riflessione: siamo sicuri che sia sufficiente inserire i codici Cer per ottemperare a quanto ivi descritto? Si ritiene di no e, purtroppo, il ricordo di incidenti anche mortali avvenuti in impianti regolarmente autorizzati consolida questo personale convincimento; al riguardo va puntualizzata la perdurante mancata attuazione di quanto stabilito all’articolo 195, comma 1 b-bis) a mente del quale spettano allo Stato “la definizione di linee guida, sentita la Conferenza unificata … sui confiuti pericolosi ivi descritti superassero uno o più di detti limiti, senza quindi obbligo di verifica; solo con la Decisione 2000/532 tale indicazione si è però
concretizzata attraverso i “codici a specchio”. Non è certamente la Dir 2008/98, come invece taluni sostengono, ad avere introdotto il criterio di concentrazione.
RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 219 (07/14)
L’articolo 1 della lontana direttiva 75/442/Cee stabiliva: “La Commissione, conformemente alla procedura di cui all’articolo 18, preparerà, entro il 1° aprile 1993, un elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all’allegato I. Questo elenco sarà oggetto di un riesame periodico e, se necessario, sarà riveduto secondo la stessa procedura”. Gli atti successivi sono: • decisione commissione 94/3/Cee del 20 dicembre 1993 che istituiva un “elenco dei rifiuti conformemente alla Direttiva 75/442/Cee”, al fine di disporre di una “terminologia comune per tutta la Comunità allo scopo di migliorare tutte le attività connesse alla gestione dei rifiuti” ed a fini statistici: nasce il primo Cer, Catalogo europeo dei rifiuti; • decisione del Consiglio 94/904/Ce del 22 dicembre 1994 che istituiva un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, direttiva 91/689/Ce; tale elenco precisava quali dei rifiuti descritti nell’elenco stabilito dalla decisione 94/3/Ce, fossero considerati a priori pericolosi, in base al criterio di provenienza, cioè si presumeva che tali rifiuti presentassero, comunque, una o più caratteristiche/proprietà di cui all’articolo 1 della medesima decisione; • decisione Commissione 2000/532/Ce: nuovo Elenco europeo dei rifiuti “integrato”, poiché contiene codici sia di rifiuti pericolosi (distinti con il segno grafico dell’asterico *), sia non pericolosi; per alcuni rifiuti viene introdotto il criterio di concentrazione (4).
• è pertanto conseguente che nell’Elenco siano compresi molti codici generici, poco o nulla descrittivi del rifiuto e per questo attribuibili correttamente a rifiuti estremamente diversi per proprietà e caratteristiche chimico-fisiche (valga a titolo di esempio la confusione sui codici 191212, che molti ritengono attribuibile solo ai rifiuti prodotti a seguito del trattamento di rifiuti urbani) e non a caso la Circolare del 4 agosto 1998 su registri e formulari prevede l’inserimento nel formulario di una descrizione che “consente di identificare il rifiuto con il massimo grado di accuratezza”; • mancano, inoltre, i codici per alcuni rifiuti, e per molti altri l’attribuzione rimane comunque ambigua e soggetta a letture diverse; • la centralità attribuita ai codici Cer sposta l’attenzione dei soggetti coinvolti dal rifiuto al codice, si dimentica così il fatto che il Cer è una “targa” che si “appende” al rifiuto per la sua gestione ma, come già detto, spesso non fornisce alcuna informazione sul rifiuto; • ne risultano così attività di gestione autorizzate in modo generico e superficiale ove gli impianti sono valutati “idonei” a gestire i codici, ma non a gestire rifiuti con specifiche proprietà o rischi associati; • il sistema stesso si presta facilmente ad usi impropri o illegali, quali l’attribuzione di codici “di comodo”, anche il Sistri non può impedire questi fenomeni; • i cambi di codici in esito ad una operazione di gestione sono disciplinati in modo incompleto ed ambiguo e, di nuovo, sono quindi soggetti a letture disomogenee anche presso i medesimi Enti competenti, con possibili perdite nella tracciabilità dei rifiuti (o frequenti “doppi conteggi” degli stessi rifiuti nelle comunicazioni annuali); • l’insufficienza dei Cer nel descrivere il rifiuto ha determinato la necessità di introdurre la nozione di “caratterizzazione di base” (cioè: “La caratterizzazione di base consiste nella determinazione delle caratteristiche dei rifiuti, realizzata con la raccolta di tutte le informazioni necessarie per uno smaltimento finale in condizioni di sicurezza,” di cui alla “disciplina discariche”); purtroppo è frequente la confusione tra “classificazione” e “caratterizzazione”: il Cer fornisce solo la classificazione.
L’intervento Classificazione dei rifiuti
Quindi, al fini della classificazione attualmente sussistono due criteri: • quello della provenienza (origine del rifiuto) cui si ispirava la prima stesura dell’Eer; • quello della concentrazione, limitatamente ai rifiuti cui si fa riferimento specifico o generico a sostanze pericolose (“voci a specchio”), introdotto dalla decisione 2000/532/Ce.
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