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Stefania Divertito Toghe verdi Storie di avvocati e battaglie civili Š 2011, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277 Š 2011, Stefania Divertito Tutte le edizioni e ristampe di questo libro sono su carta riciclata 100% Finito di stampare nel mese di ottobre 2011 presso Grafiche del Liri – Isola del Liri (Fr)

Nel libro si menzionano inchieste e atti giudiziari. Tutte le persone citate, coinvolte in indagini o processi, sono, anche se condannate nei primi gradi di giudizio, da considerarsi innocenti fino a condanna definitiva.

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indice

prefazione di Erri De Luca

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prologo

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la valle assetata

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la capitale delle discariche

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i fumi che accompagnano il po al mare

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da latina a new york

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la cittĂ del petrolio

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due buone notizie

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l’uomo che sogna la super-procura contro i crimini ambientali

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grazie a...

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bibliografia

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prefazione

In America ci fanno un film che incassa tanto quanto anche commuove, Erin Brockovich, e l’attrice vince pure l’Oscar. Da noi sono cronache grigie, neanche nere, che invece vanno a ruba. Laggiù c’è un continente ancora giovane che contro i torti inflitti al suolo, all’aria, all’acqua, alla salute, ha un contrappeso dentro una pubblica opinione informata e indipendente. Laggiù una storia personale può diventare forza di tutti e leva per sollevare pubblica risposta. Da noi tutto s’impasta in un lamento sordo e senza conseguenze. Sarà perché laggiù esistono vasti spazi, mentre da noi siamo al completo. Siamo circondati dall’assedio fitto di malfattori privati che hanno la garanzia dell’impunità, o al peggio sanzioni lievi a fronte di un potente tornaconto personale. Finché non si sequestrano i beni degli avvelenatori, accorpandoli allo stesso regime di confisca delle fortune illecite di mafia, restano rose e fiori per i responsabili e tossine maledette per la comunità indifesa.

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Stefania Divertito fruga nella discarica della memoria pubblica e l’aggiorna. Fa restauro di coscienza civile della nostra sbracata identità di popolo. Reagiremo, alla lunga succederà, ma dopo quale altra sciagura ancora? Erri De Luca

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prologo

Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia, il resto è propaganda. Horacio Verbitsky Gianca’, ’e notizie so’ rotture ’e cazzo. Tratto dal film Fortapàsc sulla morte del cronista napoletano Giancarlo Siani Il bicchiere d’acqua viene fatto scivolare all’altro capo della scrivania. «Lo prenda, beva. È fresca. È acqua che proviene dai rubinetti di Hinkley.» La donna fa per prenderlo, lo porta quasi alla bocca, poi ­realizza. Lo mette giù, senza pensarci un attimo, lo allontana da sé. Prendo il telecomando, torno indietro, al punto di partenza. Il bicchiere d’acqua viene fatto scivolare all’altro capo della scrivania. Una donna parla e l’altra allontana l’acqua da sé. Come fosse veleno.

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Torno ancora indietro, mi metto comoda sul divano, incrocio le gambe. Guardo di nuovo. L’acqua passa da una parte all’altra. La telecamera inquadra il bicchiere. Fermo l’immagine. Sul veleno. Da una parte c’è Erin Brockovich. Dall’altra l’avvocato che difende gli interessi della multinazionale che ha inquinato le falde acquifere e avvelenato l’acqua della cittadina di Hinkley con il cromo esavalente. Faccio in modo che tutto sia in secondo piano. Quello che mi interessa è quel bicchiere di acqua intossicata. Che ha ucciso gli abitanti di Hinkley, che potrebbe far ammalare anche l’avvocato in tailleur scuro e capello liscio di piastra, se solo nessuno l’avesse avvertita del pericolo. Guardo quel bicchiere e penso che ne ho bevuti tanti, di veleni. Ne ho mangiati, ne ho respirati, ne ho assorbiti. Sono nata in terra di raffinerie. Poi arrivò la sirena e lo sbuffo bianco, ma a volte scuro, della centrale termoelettrica. Poi la fabbrica siderurgica con gli acuti a fine turno, quando sciami di operai approdavano alla salumeria per un panino. “’A marenn”, come si dice dalle mie parti. Dai depositi di gasolio arriva spesso quell’odore caratteristico, che ovunque lo senta, mi fa nascere dentro la nostalgia di casa. Fisso il bicchiere sulla scrivania e penso a una mia amica morta di leucemia. Ai tanti giovani stroncati da tumori. Alle malattie respiratorie che sempre più colpiscono i bambini. Chissà. So che è arrivato il momento di partire e scovare le lotte che con testardaggine e tenacia vengono portate avanti nei terreni avvelenati. Perché dove c’è un bicchiere d’acqua im-

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bevibile c’è sempre una Erin Brockovich che ogni mattina si sveglia con un preciso obiettivo: ottenere giustizia. Ho bisogno di affondare le dita in queste lotte, mettermi di fianco a loro e percorrere un pezzo di strada insieme. Mi piacciono quelli che si mettono in gioco solo per poter dire: “Attenzione, l’acqua è tossica e vi dico di chi è la colpa”. San Giovanni a Teduccio è la periferia sfortunata di Napoli. Quella a est. A Bagnoli, all’estremo ovest, c’è stata l’Ilva, che ha distribuito migliaia di posti di lavoro per poi toglierli all’improvviso, lasciando in eredità inquinamento e milioni di euro piovuti per la bonifica e la gestione degli affari. Bagnoli è una fucina di progetti, molti dei quali rimasti a metà, mentre altri alimentano un laboratorio permanente che miscela arte, cultura, ingegneria, architettura e scienza. San Giovanni a Teduccio ha avuto le sue fabbriche, alcune famose come la Cirio, altre meno conosciute, ma soprattutto ha le raffinerie, oggi depositi, che hanno inquinato il territorio per sempre. Sempre. È una parola difficile da comprendere davvero. Sempre, vuol dire che quella terra sarà sterile per i miei figli, i figli dei miei figli e tutti gli altri che verranno ancora. Noi che abbiamo visto lo sviluppo e il declino dell’era industriale abbiamo respirato l’aria appestata dai lunghi camini fiammeggianti, quando il cielo di notte non era mai nero, ma rosso o anche verde, a seconda di cosa vi bruciavano, abbiamo camminato su spiagge divenute fanghi tossici per i loro scarichi, attraversato strade intasate da autocisterne. Per decenni. Fisso il bicchiere di veleno e penso a San Giovanni a Teduc-

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cio, dove i bambini hanno l’asma bronchiale e i miei amici si ammalano di tumore. Nessuno ha ancora aperto inchieste, in quel fazzoletto di Napoli. Non sono piovuti i milioni in bonifiche e ristrutturazioni. E anche se sono sorti comitati di cittadini che chiedono di sapere, se i medici in più riprese hanno denunciato l’emergenza sanitaria, la giustizia qui non è ancora arrivata. Ma altrove sì. E lotta, silenziosa. Ne ho conosciuti di magistrati e di avvocati, pronti ad affrontare la controparte, guardandola negli occhi, mentre fanno scivolare il bicchiere d’acqua nelle loro mani. «Ne beva. È acqua di Sarroch, Cagliari, dove il petrolchimico Saras lascia una scia di scarichi e di malati. Ne beva, è l’acqua delle autobotti, perché a Vaglia, nel Mugello, da quando è stato scavato per costruire i tunnel della tav, l’acqua non arriva più dalle sorgenti a monte. Ne beva, è l’acqua di Malagrotta, a Roma, dove la discarica più grande d’Europa ammorba l’aria, scivola nel sottosuolo, inquina le falde. Ne beva, è acqua di Porto Tolle, a Rovigo, dove gli scarichi industriali hanno fatto impennare le malattie tra i bambini. Ne beva, è l’acqua di Trento. Ha presente quel territorio incontaminato pieno di vallate, montagne e buon vino? Qui le Acciaierie Valsugane hanno emesso fumi nocivi. E hanno mischiato gli scarichi industriali al terreno vendendolo poi ai contadini. Beva, e mangi questi frutti che arrivano da lì. Beva ancora. Questo bicchiere d’acqua arriva direttamente da Paola, caotica e vivissima cittadina calabrese. Dove una volta si lavorava tutti alla fabbrica dei Marzotto. Che oggi è

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chiusa, ma prima di andare via ha seppellito rifiuti e amianto sotto la sabbia. Infine, ecco, beva. Quest’acqua è torinese. Proviene dalla Thyssenkrupp. C’è un magistrato che non si è arreso e che ha ottenuto una condanna esemplare per quegli imprenditori che hanno macchiato di rosso sangue la lavorazione dell’acciaio. I fumi della Thyssen ammorbano Torino. I sette morti della Thyssen ammorbano chiunque abbia coscienza civile. Il procuratore Raffaele Guariniello è un faro, un guardiano dell’integrità. Le sue inchieste riguardano tutti, anche noi che viviamo ad altre latitudini.» In Italia si compie un delitto contro l’ambiente ogni 43 minuti, secondo i dati del 2010 del ministero dell’Ambiente, senza distinzione tra Nord e Sud. Nei tribunali sono almeno trecento gli eco-avvocati, contando solo quelli del wwf, oltre mille ore l’anno di lavoro al servizio della società civile, duecentocinquanta udienze nel 2010 per difendere salute e ambiente. Una truppa togata che in realtà è molto più consistente. Nei miei sedici anni di lavoro ne ho conosciuti tanti di avvocati di parte civile che per decenni hanno inseguito perizie, testimonianze, hanno studiato chimica, ingegneria meccanica, medicina, per poter dimostrare, accusare, ottenere giustizia. E tanti sono i magistrati che per anni hanno rincorso l’industriale di turno temendo lo scorrere del tempo, che quasi sempre vuol dire prescrizione. Ci sono trecento processi ancora pendenti, mi informa il wwf: dalle industrie inquinanti, agli enti locali colpevoli di violazioni in materia di caccia, contro privati per salvare l’in-

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tegrità dei boschi o dei fiumi, ma anche ricorsi per conto di cittadini o associazioni locali contro inquinamenti o espansione di cave, contro progetti deturpanti per il paesaggio o abusivi, opposizioni contro progetti di grande opere prive di Valutazione di Impatto Ambientale, costituzione di parte civile contro incendiari o bracconieri, e infine contro industrie ricomprese negli elenchi dei siti da bonificare colpevoli di inquinamenti illeciti e altri gravi reati ambientali. Il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, continuamente bacchetta il governo, di qualsiasi colore sia: “I reati ambientali continuano a rientrare tra le contravvenzioni, le sanzioni sono scarsamente deterrenti, i tempi di prescrizione bassissimi e non è stato previsto nulla per i reati nell’ambito del ciclo del cemento lasciando, di fatto, senza tutela il paesaggio e la fragilità geomorfologica e urbanistica dei territori. E paradossalmente, invece, si continua a ‘proteggere’ chi costruisce abusivamente, ex novo o parzialmente, perché per questi reati non è prevista la reclusione”. L’Unione Europea ci ha richiamati ufficialmente, per l’ennesima volta, perché non abbiamo ancora introdotto il delitto ambientale nel nostro codice penale. C’è, è vero, uno schema di decreto legislativo firmato da questo governo, ma l’esercito delle toghe verdi fa spallucce, perché tale misura, viene detto, non risolverà il problema: non prevede, infatti, l’introduzione né di un inasprimento delle pene, né delle nuove e improrogabili fattispecie di reato connesse alla gestione dei rifiuti, per cui punire chi sversa veleni in mare, chi libera sostanze nocive nell’atmosfera e chi le sotterra, rimane difficile e farraginoso. Chi compie il reato di discarica abusiva, ad esempio, è punito con un’ammenda che va da 2.600 a 26.000 euro mentre

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chi realizza cave illegalmente rischia al massimo 1.032 euro. Non introducendo poi nell’ordinamento italiano un testo unico per i reati ambientali, si è ancora costretti a fare riferimento a una giungla di articoli e commi, che rendono spesso molto complicati i procedimenti giudiziari anche in materia di disastri ambientali. Il 2010 è stato l’anno nero per gli eco-delitti, ci ha raccontato Legambiente nel suo annuale rapporto sulle ecomafie: se si sommassero i rifiuti sequestrati solo nell’anno appena passato, si potrebbe formare una colonna di 1.117 chilometri. Più o meno la distanza tra Reggio Calabria e Milano. Questa, la lunga strada che 82.181 tir carichi di rifiuti potrebbero coprire. Un’interminabile autocolonna “immaginata” sommando i quantitativi (2 milioni di tonnellate) sequestrati solo in dodici delle ventinove inchieste per traffico illecito di rifiuti messe a segno dalle forze dell’ordine. Una strada impressionante eppure ancora sottostimata, perché viene normalmente individuata solo una parte delle merci trafficate illegalmente; 540 campi da calcio, invece, possono rendere l’idea del suolo consumato nel 2010 dall’edilizia abusiva, con una stima di 26.500 nuovi immobili. Una vera e propria cittadina illegale, con 18.000 abitazioni costruite ex novo e la cementificazione di circa 540 ettari. Sono duecentonovanta i clan impegnati nel business dell’ecomafia censiti nel rapporto, venti in più rispetto al 2009; 19,3 miliardi di euro invece è il giro d’affari stimato per il solo 2010. Nel complesso, la Campania continua a occupare il primo posto nella classifica dell’illegalità ambientale, con 3.849 illeciti, pari al 12,5% del totale nazionale, 4.053 persone denunciate, 60 arresti e 1.216 sequestri, seguita dal-

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le altre regioni a tradizionale presenza mafiosa: nell’ordine Calabria, Sicilia e Puglia, dove si consuma circa il 45% dei reati ambientali segnalati dalle forze dell’ordine nel 2010. Un dato significativo ma in costante flessione rispetto agli anni precedenti, in virtù della crescita, parallela, dei reati in altre aree geografiche. Si segnala, in particolare, quella nordoccidentale, che si attesta al 12% in virtù del forte incremento degli illeciti in Lombardia. Complessivamente, in Italia i reati accertati nel 2010 sono stati 30.824, con un incremento del 7,8% rispetto al 2009: più di 84 reati al giorno, 3,5 ogni ora. Gli illeciti relativi al ciclo illegale di rifiuti e a quello del cemento (dalle cave all’abusivismo edilizio) rappresentano da soli il 41% sul totale, seguiti dai reati contro la fauna (19%), dagli incendi dolosi (16%), da quelli nella filiera agroalimentare (15%). Il 2010 è un anno da record per le inchieste sull’unico delitto ambientale, quello contro i professionisti del traffico illecito di veleni (art. 260 D. Lgs. 152/06): sono state ben 29, con l’arresto di 61 persone e la denuncia di 597 e il coinvolgimento di 76 aziende. Altre sei inchieste di questo tipo si sono svolte nei primi quattro mesi del 2011, mentre in totale – cioè dalla sua entrata in vigore nel 2002 a oggi – sono salite a quota 183. Il fenomeno si è ormai allargato a tutto il Paese, consolidandosi in strutture operative flessibili e modulari, in grado di muovere agevolmente tonnellate di veleni da un punto all’altro dello stivale. I numeri e i dati relativi alle attività d’indagine svolte sui traffici illeciti non esauriscono l’azione di contrasto dei fenomeni di smaltimento illegale. Sempre nel corso del

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2010, le forze dell’ordine hanno accertato circa 6.000 illeciti relativi al ciclo dei rifiuti (circa 1 reato ogni 90 minuti). Per quanto riguarda il ciclo del cemento, nel 2010 sono stati accertati 6.922 illeciti, con 9.290 persone denunciate, più di una ogni ora. A concludere affari con l’ecomafia è spesso un vero e proprio esercito di colletti bianchi e imprenditori collusi. Ecco, ho deciso di mettermi in viaggio per porgere il bicchiere d’acqua a chi si è macchiato di questi delitti. Lo faccio perché mi diverte l’idea di guardare loro negli occhi e poter dire, semplicemente, “ne beva”.

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la valle assetata

Io non capisco che razza di arte è la tua: astrattista, futurista, esistenzialista? La mia arte è assenteista, cioè vale a dire: nelle mie opere manca sempre qualche cosa... Tratto dal film Totò cerca moglie Laggiù qualcuno festeggia. Grida, ride, stappa bottiglie, lancia petardi. Qualcuno ha una chitarra, e ora arriva l’eco di stornelli, di vecchie canzoni da falò. Festeggia in anticipo, per buon augurio. Spera nel riscatto. Ha fame di vittorie, che da troppe domeniche le bandiere con il numero 46 restano meste nelle borse agganciate alle moto come i marsupi ai canguri. È facile immaginare la loro attesa per la gara di domani. I sacchi a pelo che si srotolano, i thermos con il caffè, i cappellini, le magliette e gli adesivi con i simboli del loro beniamino, che in questo campionato sembra non ricordare più di essere stato figlio diretto del vento e del coraggio. Non sono delusi, i fan di Valentino Rossi, hanno sempre un mo-

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tivo per sperare, lottare e venire qui ad alitargli il loro tifo da vicino. La notte li copre con un mantello spesso, solo le voci euforiche raccontano la loro presenza, mentre l’unica luce che si distingue è il palato giallognolo della montagna che a intervalli regolari sputa fuori treni iperveloci. Si vedono solo per un attimo, fino a che non vengono inghiottiti dal buio. Appena un passo più in là. A pochi metri di distanza dalla festa preventiva, qualcuno spera che la domenica del Gran Premio passi presto. Non ne può più di rumori che violentano la valle, neanche se si tratta di rumori di festa e non più dei sordi boati della dinamite che hanno reso vuota la montagna, concava la sua pancia, che hanno armato le falde dei fiumi e fatto scorrere convogli di lamiere invece dell’acqua fresca del Mugello. Chi sta qui, in questa casa dai pavimenti bianchi e dalle grandi finestre affacciate su colline assetate, vuole solo dormire. E dimenticare. Ha alle spalle quindici anni e una settimana infernale, e tiene tra le mani un foglio che annulla con poche parole la battaglia di una vita: tutti assolti. Non c’è rabbia in Sergio Pietracito. Neanche una scoria. Le rughe del suo volto raccontano sorrisi, non espressioni corrucciate. E tuttavia, guarda il foglio con il timbro del tribunale di Firenze e ha le spalle basse. Si può fare l’appello all’appello, vero? C’è sempre la Cassazione, giusto? Mica è finita, no? Non si arrendono gli abitanti del Mugello. Sono come i fan di Valentino Rossi. Non si arrendono mai. Hanno gambe forti per reggere i venti contrari. Gli occhi che guardano avanti, e aspettano con fiducia la prossima sentenza.

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