Energia verde in Italia

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tascabili dell’ambiente


Roberto Rizzo

energia verde in italia cos’è, chi la vende, come si compra

realizzazione editoriale Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it coordinamento redazionale Anna Satolli progetto grafico: GrafCo3 Milano immagine di copertina: Darko Novakovic/Shutterstock © 2009, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02 45487277, fax 02 45487333 ISBN 978-88-96238-15-8 Finito di stampare nel mese di ottobre 2009 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg) Stampato in Italia - Printed in Italy Questo libro è stampato su carta riciclata 100%


Roberto Rizzo

energia verde in italia Cos’è, chi la vende, come si compra



sommario

prefazione di Roberto Longo

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1. la storia del sistema elettrico italiano:

da protagonisti a comparse. e domani?

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2. la liberalizzazione del mercato elettrico

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3. le offerte di energia verde

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4. la bolletta e il costo dell’elettricitĂ

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5. le offerte contrattuali

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6. liberalizzazione in italia

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7. elettricitĂ dal sole per la nostra casa

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8. efficienza a casa

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9. energia verde per il futuro del pianeta

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10. energia in dieci domande

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appendice

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prefazione di Roberto Longo

Risparmio energetico, promozione delle rinnovabili, direttiva europea 20/20/20, la svolta verde di Obama, il risiko delle aziende energetiche europee, la ripresa del nucleare nel nostro paese: in questi mesi le pagine dei giornali sono ricche di notizie che testimoniano dell’enorme importanza che le scelte energetiche hanno assunto nelle politiche non solo ambientali dei governi. Ma quali sono gli strumenti di conoscenza con cui un lettore medio si avvicina a queste notizie, con quali elementi di base può formarsi una propria opinione tra versioni spesso contrastanti fornite dalla stampa? La mancanza di una diffusa cultura dell’energia è purtroppo una grave lacuna nella possibilità di dare alle decisioni di politica energetica quella natura di scelta democratica che dovrebbe contraddistinguerle. Molto spesso gli stessi giornalisti che informano il pubblico sul tema mancano di una adeguata preparazione di base e i loro articoli appaiono, agli occhi di un esperto, una confusa rappresentazione di fatti e idee dove la potenza viene confusa con l’energia e il solare fotovoltaico col solare termico. Sorprende come tra le tante campagne di comunicazione e informazione promosse dalle istituzioni ne manchi una dedicata all’energia, chiara, semplice e referenziata, che tanto contribuirebbe alla diffusione di una scelta consapevole e partecipata su un tema di tale importanza per il futuro di tutti noi. È in questo quadro che si inserisce Energia verde in Italia. Cos’è, chi la vende, come si compra di Roberto Rizzo che, in maniera chiara, sempli-


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energia verde

ce ma rigorosa, affronta i vari temi della sostenibilità energetica e dell’industria dell’energia. Il libro fornisce le informazioni di base non solo per comprendere gli eventi e le notizie del settore ma anche per esercitare in modo più consapevole i propri diritti di cliente sul mercato ormai liberalizzato dell’energia. E per fare questo Rizzo mette in campo le esperienze e culture personali: la sua storia di ambientalista convinto senza radicalismi, ma con una militanza non tanto politica quanto pragmatica e operativa, cercando appunto di diffondere le conoscenze e le buone pratiche, mettendo in opera quell’azione di diffusione degli strumenti che possano portare a scelte consapevoli. Quindi una ragionata, se pur di parte, spiegazione dell’opposizione alla ripresa del nucleare, inserita in un quadro chiaro dell’economia dell’energia, di quella nuova parte dell’economia politica che tanto sta condizionando le scelte ambientali e industriali del nostro paese. Sarebbe difficile capire i temi oggi in discussione se non si facesse anche una descrizione del sistema elettrico italiano, se non si parlasse della sua evoluzione storica, delle spinte più politiche che tecniche che nei decenni lo hanno fatto evolvere in quella rete nevralgica che condiziona, con i suoi limiti, lo sviluppo economico del paese. Rizzo parte da lontano, aprendo il libro con l’inaugurazione della prima centrale termoelettrica italiana, nel centro di Milano, in mezzo al “quadrilatero della moda” si direbbe oggi, e ci accompagna nei momenti fondamentali di questa storia, perché di Storia si tratta: la nazionalizzazione del 1962, il referendum sul nucleare, il PEN 88 (Piano energetico nazionale del 1988) e poi lungo le fasi del CIP6 e la mistificazione delle “assimilate” porta alla liberalizzazione del decreto Bersani, al mercato libero e alla Borsa elettrica, con i suoi complessi meccanismi, senza comprendere i quali è impossibile ragionare di “costo” dell’energia e ancor meno di “prezzo” dell’energia. Le fonti rinnovabili, il risparmio e l’efficienza energetica vengono affrontati e spiegati con chiarezza, cercando di analizzarne costi e opportunità, incentivazione e accettazione sociale, portando un contributo a quella diffusione di specifica cultura che è ancora tanto lontana dalla generale diffusione.


prefazione

Sembra incredibile a chi conosce il mondo della sostenibilità e dell’energia verde, ma una recente indagine demoscopica ha rilevato come solo un terzo del campione intervistato sapesse spiegare cosa siano le fonti rinnovabili. E questo accade, oggi, quando sulla scelta energetica del futuro vengono giocati i destini politici dei governi. Un libro utile, quindi, di formazione più che di divulgazione, che dà occasione a riflessioni di ogni tipo sulla storia politica ed economica italiana. Ne vorrei richiamare una molto importante: il rapporto tra lo sviluppo delle nuove tecnologie e la loro applicazione industriale. In un momento in cui tutte le scelte energetiche sembra debbano dare luogo in Italia all’acquisto di tecnologie estere, trasformando un investimento in sviluppo e competitività in una nuova dipendenza economica e industriale da altri paesi, fa dispiacere, ma soprattutto rabbia, ricordare come la nostra industria sia stata negli scorsi decenni pioniere e leader nelle nuove tecnologie energetiche, dalla geotermia al nucleare, dal fotovoltaico all’idroelettrico e all’eolico e come politiche di miope potere di parte, o più correttamente “di bottega”, abbiano fatto abortire quello slancio che sta invece rappresentando, in altri paesi, partiti molto dopo di noi, il driver della nuova economia e della competitività. In un momento in cui la crisi attanaglia la ripresa economica e le opportunità di occupazione di tutta Europa, sarebbe veramente incomprensibile se una mancanza di chiarezza nei nostri obiettivi energetici e quindi l’assenza di una politica definita e di lungo termine non permettessero il rilancio di un’industria di settore che è pronta ad accettare e vincere nuove sfide. Siamo ancora in tempo: forse sarà opportuno far leggere il libro di Rizzo ai nostri governanti. Roberto Longo Presidente di APER Associazione Produttori Energia da Fonti Rinnovabili

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1. la storia del sistema elettrico

italiano: da protagonisti a comparse. e domani?

Vi siete mai chiesti come è prodotta l’elettricità per la lampadina che illumina il libro che avete tra le mani, o quella che fa muovere la metropolitana su cui state viaggiando? Oppure in che modo è generata l’energia che vi consente di accendere il computer e navigare su internet? Ma, soprattutto: se per illuminare la nostra casa e far funzionare gli elettrodomestici volessimo usare solo fonti pulite, come l’energia del vento o quella del sole, oggi potremmo farlo? Certo, installando un impianto solare fotovoltaico sul tetto di casa o una piccola turbina eolica in giardino e diventando autoproduttori di energia. Ma come può fare chi non ne ha i mezzi o lo spazio sufficiente? Le aziende elettriche offrono energia verde in rete? La risposta a quest’ultima domanda è sì: grazie alla liberalizzazione del mercato elettrico, decisa una quindicina di anni fa dall’Unione Europea e attuata in fasi successive anche in Italia, ciascuno di noi è libero di scegliere, se lo vuole, da quale operatore acquistare energia elettrica ed entro certi limiti che tipo di fonti usare. Proprio come quando scegliamo il distributore più conveniente dove comprare il carburante per la nostra auto, che può andare a benzina, a gas o gpl. Questo sembra quasi un paradosso in un paese che, come ci raccontano le cronache, non è autosufficiente dal punto di vista elettrico ma dipende pesantemente dall’estero. Da Russia e Nord Africa per il gas, dai paesi del Medio Oriente per il petrolio, da Indonesia, Sud Africa e Australia per il carbone. Da alcuni paesi con noi confinanti (Francia, Svizzera, Austria e Slovenia) importiamo parte dell’energia elettrica che consumiamo (nel 2008 l’11,8%).


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Il percorso che ha portato alla liberalizzazione è stato lungo e la situazione attuale, con l’elevato grado di dipendenza dall’estero, nasce da precise scelte politiche e industriali (o dalla scelta di non scegliere). Questo percorso in Italia ha inizio quasi 130 anni fa: l’8 marzo del 1883, per l’esattezza. Fu in quel giorno di fine inverno che le turbine della prima centrale elettrica italiana iniziarono a produrre energia.

una ciminiera accanto alla madonnina La prima centrale elettrica italiana bruciava carbone e si trovava nel pieno centro di Milano, a pochi passi dal Duomo, in mezzo ai tram tirati dai cavalli e ai lampioni a gas. L’edificio della centrale fino a pochi anni prima ospitava gli spettacoli del Teatro di Santa Radegonda, in via Santa Radegonda, appunto. La sua ciminiera di mattoni alta 52 metri è ben visibile nelle foto d’epoca, accanto alle guglie del Duomo (la Madonnina di Milano si trova a circa 108 metri di altezza). La potenza iniziale era molto piccola per gli standard odierni, 350 kW:oggi sarebbe sufficiente a fornire elettricità solamente a un centinaio di famiglie. All’epoca pochi potevano permettersi il lusso di acquistare l’energia prodotta dalla centrale: solamente i negozi e i locali di lusso della Galleria Vittorio Emanuele, il Teatro Manzoni e il Teatro alla Scala. Si racconta che il vero evento della prima della Scala, il giorno di San Silvestro del 1883, non fosse la Gioconda di Amilcare Ponchielli ma le 2.880 ampolle elettriche a incandescenza che illuminavano il teatro. La centrale di via Santa Radegonda era la terza a entrare in funzione al mondo, dopo quelle di New York e di Londra. L’Italia faceva così parte dell’alveo dei paesi protagonisti della seconda Rivoluzione industriale, quella dell’energia elettrica, dopo essere stata esclusa dalla prima, la Rivoluzione delle macchine a vapore: il nostro paese, a differenza del Regno Unito, della Germania e della Francia, non era certo un grosso produttore di carbone. L’Italia avrebbe consolidato la posizione di protagonista nei decenni successivi, quando si iniziarono a utilizzare anche altre fonti energetiche per produrre elettricità. In principio grazie alle enormi risorse di energia idroelettrica, più conveniente del carbone e sfruttata con le grandi dighe sulle Alpi e negli Appennini. Già a partire dal 1897 la produzione idro-


la storia del sistema elettrico italiano

elettrica superò quella termica, costituita da centrali a carbone nei centri urbani, e fino al 1966 più della metà del fabbisogno elettrico italiano sarebbe stato garantito proprio dall’idroelettrico. La penetrazione dell’idroelettrico a cavallo del Novecento significava anche sviluppo industriale. Basti pensare alla Riva & Monneret, che nel 1899 con le turbine idroelettriche di sua produzione si aggiudica la gara per la centrale elettrica delle cascate del Niagara. Oppure alle tante apparecchiature elettriche che le aziende italiane esportavano in quei decenni: Nuova Magrini, Franco Tosi, Tecnomasio (divenuta poi Tecnomasio Italiano Brown Boveri) sono solo alcuni dei nomi di spicco dell’industria elettromeccanica italiana e mondiale dell’epoca. L’Italia giocherà un ruolo da protagonista anche nel geotermoelettrico, l’uso del calore della Terra per produrre elettricità. I primi esperimenti sono italiani e una delle prime centrali al mondo di questo tipo viene inaugurata a Larderello, in Toscana: inizia a immettere energia in rete nel 1916 e ancora oggi quasi il 2% del nostro fabbisogno energetico è garantito da questa fonte. L’Italia è in prima linea anche nella nuova energia che, si pensava, avrebbe rivoluzionato l’intero sistema energetico mondiale: l’energia nucleare. To cheap to meter, troppo a buon mercato per poter essere addirittura misurata, diceva nel 1954 il portavoce dell’Atomic Energy Commission, riferendosi a quanto le generazioni future avrebbero pagato l’elettricità nucleare: oggi sappiamo che il mondo delle meraviglie del nucleare non si è mai concretizzato... Erano comunque italiane le menti che gettarono le basi per spiegare i fenomeni fisici grazie a cui funzionano le centrali nucleari: i ragazzi di via Panisperna, capitanati da Enrico Fermi, all’Istituto di Fisica di Roma tra il 1929 e il 1938 (le deplorevoli leggi razziali fasciste provocarono la fuga all’estero di molti di quei brillanti cervelli). Il nostro paese alla fine degli anni Quaranta rimaneva tra i più attivi nella ricerca nucleare per usi civili e siamo stati fra i primi al mondo, insieme a Stati Uniti e Regno Unito, a costruire centrali nucleari: il primo chilowattora nucleare italiano viene immesso in rete nel 1963.

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il ribaltone degli anni sessanta Ancora nel 1960 l’85% dell’elettricità veniva fornita da idroelettrico e geotermico, il resto dalle fonti fossili (carbone, gas e prodotti petroliferi). L’idroelettrico rappresentava quindi la base della produzione elettrica e il termoelettrico veniva usato come riserva e per garantire il fabbisogno nei momenti di richiesta massima. Quando nel 1962 il Parlamento decide per la nazionalizzazione del sistema elettrico e nasce l’Enel (Ente nazionale per l’energia elettrica), a cui spetta il compito di produrre, importare, esportare, trasportare, distribuire e vendere l’energia elettrica, l’Italia si trova nel mezzo del cosiddetto “miracolo economico”. I consumi elettrici stavano esplodendo, ma l’idroelettrico aveva ormai raggiunto il suo punto di saturazione perché non c’erano più grossi bacini da sfruttare in montagna. Si decise così di puntare sul termoelettrico, che poteva crescere quanto si voleva: bastava costruire le centrali e poi comprare il combustibile. Nel 1967 il termoelettrico supera in produzione l’idroelettrico e già nel 1973 costituisce più dei due terzi della produzione elettrica interna. Il contributo maggiore viene dai prodotti petroliferi, che forniscono all’inizio degli anni Settanta il 60% dell’elettricità nazionale. Si rovescia così la situazione precedente: il termoelettrico inizia a garantire la richiesta di base, mentre l’idroelettrico viene usato per soddisfare la richiesta di picco. Il nucleare ha un ruolo marginale, con una produzione complessiva di poco superiore al geotermico. Tutto questo significa che in poco più di un decennio l’Italia passa da una situazione di autosufficienza a una di dipendenza dall’estero non avendo giacimenti di risorse fossili sul proprio territorio. Nel 1973 avviene poi un evento che segnerà anche i decenni successivi: la prima delle due crisi petrolifere (la seconda risale al 1981). Si tratta di un duro colpo per il nostro paese, che dipende in larga misura dalle importazioni di petrolio non solo per il settore elettrico ma anche per i trasporti e il riscaldamento. Come risposta il Governo vara le politiche di austerity (domeniche a piedi, aumento del prezzo di benzina e gasolio, riduzione dell’orario di apertura dei negozi, illuminazione pubblica dimezzata, conclusione delle trasmissioni televisive alle 22:45) e un Piano energetico nazionale in cinque punti. Uno di essi riguarda il


la storia del sistema elettrico italiano

nucleare, con la costruzione di otto centrali da 1.000 MW per una potenza totale che avrebbe dovuto raggiungere i 20.000 MW entro il 1985 (questo punto del Piano non si concretizzerà mai, per fortuna: viene però riproposto oggi quasi identico dal Governo Berlusconi a 35 anni di distanza, come se nulla nel frattempo fosse cambiato...). Per la prima volta grazie a quel Piano la politica inizia comunque a interessarsi di energie rinnovabili e di efficienza energetica (con risultati enormemente inferiori alle aspettative, purtroppo). Anche il successivo Piano energetico nazionale del 1988 prevede grossi investimenti per le fonti rinnovabili, tra cui 1.000 miliardi di lire per la ricerca nel solare fotovoltaico, probabilmente per l’epoca l’investimento pubblico più ingente al mondo nel settore. Tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta vengono inaugurati alcuni fra i principali impianti a fonti rinnovabili di quel periodo a livello internazionale: le due centrali dimostrative dell’Enel, eolica nell’Alta Nurra (10 generatori eolici da 50 kW) e fotovoltaica sull’isola di Vulcano (potenza di picco di 80 kW); la centrale solare fotovoltaica da 3 MW, la più grande in esercizio nel mondo negli anni Novanta, a Serre Persano; ancora nell’Alta Nurra l’aerogeneratore Gamma 60 (1 MW); altre centrali eoliche a Frosolone e Collarmele. Dopo essere stata leader nello sviluppo delle tecnologie per l’idroelettrico e il geotermico e aver fornito la materia grigia che ha consentito la nascita dell’energia nucleare, l’Italia si pone in tal modo come capofila nello sviluppo delle energie rinnovabili moderne, eolico e solare, grazie alle ricerche e alle sperimentazioni coordinate da Enel ed Enea e che vedono coinvolte numerose altre aziende, pubbliche e private. Ma quando sarebbe arrivato il momento di promuovere la diffusione su larga scala di queste fonti sul territorio, entrano in gioco delle lobby che niente hanno a che fare con le rinnovabili. Ci si inventa dal nulla una nuova tipologia di fonti, le fonti assimilate alle rinnovabili, e i quattro quinti dei 30 miliardi che dal 1992 a oggi avrebbero dovuto promuovere le vere rinnovabili sono dirottati alla produzione elettrica da scarti di raffineria e inceneritori (che di pulito non hanno un bel niente). L’Italia rimane così al palo nelle rinnovabili, che diventano terreno di conquista per aziende tedesche, spagnole, austriache, danesi. In parte già

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oggi, e in futuro ancora di più, l’interesse coinvolge anche gli Usa grazie alle politiche verdi dell’amministrazione Obama. Il resto è attualità. Il sistema elettrico all’inizio del nuovo millennio è in affanno nel garantire il fabbisogno nazionale nei momenti di massima richiesta, soprattutto a causa della mancanza di una seria politica di contenimento dei consumi, per primi quelli domestici: la legge 10 del 1991, una delle migliori mai emanate al mondo in tema di efficienza, rimane lettera morta. Rientrare nel nucleare non è possibile (costi improponibili per le disastrate casse dello Stato, scarsa accettabilità sociale, nessuno vuole le scorie e nessuno sa dove metterle). C’è una sola fonte che può garantire tempi brevi di installazione, un impatto ambientale inferiore rispetto alle fonti fossili più inquinanti (petrolio e carbone) e costi contenuti: il gas.

dalla russia, con amore... Il grosso boom del gas in Italia risale all’ultimo decennio: se nel 2008 il 55% dell’elettricità è stata prodotta con questa fonte, nel 1997 si era solamente al 25%. Oggi gli impianti a gas sono complessivamente un centinaio e ogni giorno bruciano più di 100 milioni di metri cubi di combustibile. Sono diversi i motivi per cui il gas è stato scelto come fulcro del nostro sistema elettrico. Uno è ambientale, tema su cui i cittadini sono sempre più sensibili. Il gas, tra le fonti fossili, è la meno inquinante: una centrale a gas a ciclo combinato produce circa 360 grammi di CO2 al kWh, contro i 770 delle centrali a carbone di ultima generazione e i 740 di quelle a olio combustibile. Un secondo motivo è che la costruzione di una centrale a gas di media potenza (intorno ai 500 MW) richiede molto meno tempo rispetto ad altre tipologie di impianti: tipicamente meno di due anni. Le centrali a gas raggiungono anche un’efficienza di produzione del 56%, di gran lunga superiore al 30-35% di quelle a carbone e a olio combustibile e consentono di recuperare l’investimento iniziale in pochi anni. Il gas ha però lo svantaggio di avere un costo legato a quello del petrolio e quindi particolarmente volatile. Inoltre, lo acquistiamo da aree geopolitiche instabili, come la Russia e il Nord Africa (Libia e Algeria). Proprio per svincolarsi dall’abbraccio asfissiante con paesi instabili, è stata proposta la costruzione di una decina di terminal di rigassificazione


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(come vedremo più avanti, tutti inutili se si puntasse seriamente su rinnovabili ed efficienza energetica). La crescita del gas è andata a scapito dell’olio combustibile, il cui contributo è passato dal 44% del 1997 al 5,9% del 2008, mentre le aziende elettriche stanno investendo su una fonte che ci ricorda più il “grande smog” del 1952, che a Londra provocò ben 4.000 morti in cinque giorni, che l’aria salubre in alta montagna: il carbone.

questo sì che è progresso: torna fra noi il carbone Si punta di nuovo sul carbone non certo per motivi ambientali, visto che, come dicevamo, è la fonte che produce più emissioni di CO2 per kWh: nel 2006 le 12 centrali a carbone italiane hanno emesso 42,2 milioni di tonnellate di CO2, oltre il 30% delle emissioni del settore elettrico, per una produzione di solo il 14,1% dell’elettricità nazionale (era l’8% nel 1997). I motivi del revival del carbone sono la maggiore convenienza in termini di sicurezza nell’approvvigionamento e i prezzi vantaggiosi. Inoltre, da noi lo Stato, a differenza di quanto avviene all’estero, interviene con fondi pubblici se un impianto elettrico a carbone di nuova costruzione supera i limiti delle emissioni climalteranti previsti dall’Unione Europea. Su tutto il territorio nazionale sono in corso di realizzazione nuove centrali a carbone e progetti di riconversione di quelle vecchie, tipicamente dall’olio combustibile. Per quanto riguarda le riserve di carbone, secondo diversi analisti si raggiungerà il massimo di produzione entro alcuni decenni e a quel punto il prezzo schizzerà verso l’alto. Si parla poi molto di “carbone pulito” (ma se il carbone è pulito, allora quale appellativo scegliere per eolico e solare?). Con questo termine ci si riferisce alle tecnologie che consentono di abbattere le emissioni di ossidi di zolfo (SOx), di azoto (NOx) o le polveri prodotte nelle centrali elettriche, che vengono già utilizzate nelle centrali a carbone esistenti e che hanno consentito una drastica diminuzione di questi inquinanti. Ma ci si riferisce anche alla cattura e alla conservazione perenne sottoterra della CO2 emessa dalle centrali termoelettriche, la cosiddetta tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage). In realtà si tratta di una tecnologia ancora in fase di ricerca

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e non si prevede un suo sviluppo commerciale prima del 2030, troppo tardi per affrontare il problema dei cambiamenti climatici. Non esistono al mondo impianti CCS per centrali a carbone ma ne esistono quattro (due in Norvegia, uno in Canada e uno in Algeria) associati a impianti che bruciano gas naturale, con un processo di gran lunga più semplice di quello che sarebbe necessario per gli impianti a carbone. La CCS consuma molta energia, tra il 10% e il 40% di quella prodotta da una centrale termoelettrica, con costi che ricadrebbero sul consumatore finale, secondo la Commissione europea almeno 70 euro per tonnellata di CO2. Il chilowattora prodotto col carbone costerebbe a quel punto dal 30 al 60% in più. L’Agenzia internazionale per l’energia (AIE) stima che la quantità di CO2 da catturare e confinare per avere un effetto sensibile sulla mitigazione dei cambiamenti climatici al 2050 richiederebbe almeno 6.000 impianti, ognuno dei quali dovrebbe pompare nel sottosuolo un milione di tonnellate di CO2 l’anno. Sono quindi tanti i motivi per dire di no a questa fonte e per scegliere per la nostra casa energia prodotta da fonti pulite: l’energia del vento, del sole, delle piccole turbine idriche. Tutte fonti pulite di cui l’Italia è ricca e che associate a politiche per un uso razionale dell’energia e al gas come fonte di transizione ci consentirebbero di chiudere le centrali elettriche più inquinanti, come quelle a carbone, ed evitare l’acquisto di energia dall’estero. Ne parleremo diffusamente nei prossimi capitoli. Ma per concludere questo primo capitolo ci manca ancora un ultimo tassello: come l’energia viene trasportata dalle centrali elettriche fino alle nostre case.

la rete elettrica nazionale Il trasporto dell’energia elettrica dalle centrali fino ai centri abitati avviene tramite elettrodotti, cioè conduttori aerei sostenuti da opportuni tralicci. Le linee elettriche sono classificabili in funzione della tensione di esercizio: • linee ad altissima tensione (380 kV), dedicate al trasporto dell’energia elettrica prodotta nelle centrali elettriche su grandi distanze; • linee ad alta tensione (220 kV e 132 kV), per la distribuzione dell’energia elettrica per particolari utenze, come le industrie con elevati consumi;


la storia del sistema elettrico italiano

• linee a media tensione (generalmente 15 kV), per la fornitura a industrie, centri commerciali, grandi condomini ecc.; • linee a bassa tensione (220-380 V), per la fornitura alle piccole utenze, come le singole abitazioni. Si usano linee ad alta e altissima tensione per ottenere due vantaggi. Per prima cosa, aumentando la tensione aumenta l’efficienza di trasmissione. La perdita di energia in un elettrodotto è infatti dovuta principalmente a un fenomeno fisico che si chiama effetto Joule, per il quale la corrente che corre nei cavi produce calore: a parità di potenza è sufficiente aumentare la tensione per ridurre la corrente e quindi le perdite per effetto Joule, cioè per calore. Il secondo motivo è che occorre un minor numero di installazioni e quindi si ha una minore compromissione del territorio. Le stazioni primarie di trasformazione da 380 kV a 132 kV occupano spazi notevoli e sono il punto di arrivo e partenza di più linee aeree; sono solitamente costruite in zone con scarsa presenza di abitazioni. Le cabine secondarie portano la corrente a 220 V per gli usi domestici e possono invece essere inserite in aree vicine a edifici o, in alcuni casi, al loro interno. Prima della nazionalizzazione del 1962, il sistema elettrico era costituito da numerose aziende elettriche a carattere prevalentemente regionale o macroregionale, che si erano preoccupate di costruire una discreta rete elettrica sul territorio. Le singole reti elettriche erano interconnesse fra loro e il ruolo di Enel è stato quello di rendere più omogenea la rete già esistente e di ammodernarla. Negli anni Sessanta vengono così realizzati i collegamenti elettrici con le isole e le dorsali a 380 kV che dovranno trasportare l’energia lungo tutta la penisola e connetterla con l’estero. Nello stesso periodo nasce il Centro nazionale di dispacciamento di Roma, da cui sono gestiti gli impianti di produzione, la rete di trasmissione e l’interconnessione con l’estero: è il “cervello” dell’intero sistema elettrico italiano. Intorno al 1970 viene realizzata la linea a 380 kV Firenze-Roma, il primo collegamento tra le reti della stessa tensione costruite, negli anni precedenti, nel Nord e nel Sud del paese. La legge 9 del 1991 darà poi avvio alla liberalizzazione del settore elettrico e alla privatizzazione di Enel e con il decreto Bersani del 1999 si stabilisce

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la separazione tra la proprietà e la gestione della rete elettrica nazionale. Oggi la gestione della rete di trasmissione nazionale è affidata a un’azienda quotata in borsa che si chiama Terna Spa, proprietaria del 98,3% della rete, vale a dire di circa 40.000 chilometri di cavi: tanto quanto la circonferenza della Terra. Su di essa transitano ogni anno 337 miliardi di chilowattora di energia elettrica. Attualmente Terna è impegnata in un’opera di sviluppo e potenziamento della rete del costo di circa un miliardo di euro. Potenziare non significa necessariamente costruire nuove linee. Dove possibile, la parola d’ordine è “razionalizzare”, cioè abbattere parti obsolete (tralicci, linee, piloni) per fare posto a soluzioni tecnologicamente evolute e con un minore impatto ambientale. Verranno demoliti 4.800 tralicci dell’alta tensione (uno su venti), di cui 161 in cemento armato, e smantellati 1.200 chilometri di vecchia rete, con la costruzione di circa 450 chilometri di nuove linee. Si potranno sfruttare almeno 1.000 MW aggiuntivi di impianti eolici (questa è grosso modo la nuova potenza eolica installata in Italia nel corso di tutto il 2008) e l’eliminazione dei colli di bottiglia della rete consentirà di recuperare altri 4.600 MW, la potenza di 7/8 grandi centrali di media taglia. I tecnici di Terna stimano che a regime si avrà una riduzione delle perdite tecniche di rete per circa 300 milioni di chilowattora, pari al consumo annuo di 100.000 famiglie. Vedremo nei prossimi anni quante centrali inquinanti verranno di conseguenza chiuse grazie a queste importanti opere di ammodernamento. Secondo Aper, una fra le principali associazioni italiane delle rinnovabili, la rete elettrica italiana appare comunque inadeguata a gestire la realizzazione di nuovi impianti a fonti rinnovabili, soprattutto eolici e servirebbero degli sforzi ulteriori. Si tratta di un problema che poteva essere facilmente previsto già anni fa visto lo sviluppo delle fonti rinnovabili, ma che l’inerzia del Gestore di Rete ha fatto accrescere ulteriormente.



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