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verdenero
romanzi
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Francesco Falconi Gothica. L’Angelo della Morte © 2010, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277 © 2010, Francesco Falconi Progetto grafico: GrafCo3 Milano Immagine di copertina: © Alberto Dal Lago Tutte le edizioni e ristampe di questo libr o sono su carta riciclata al 100% Finito di stampare nel mese di aprile 2010 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg)
Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti accaduti o persone r ealmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
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Francesco Falconi
Gothica L’Angelo della Morte
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Indice
Prologo - L’Angelo della Morte
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1. Un nuovo risveglio
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2. Incubi
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3. Gothica
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4. Il segreto di padre Faust
59
5. Helena Wolff
73
6. La Mimesis Corporation
87
7. Le ombre di Volk
103
8. Uomo e D io
119
9. L’amore di Faust
133
10. Noitka G666
143
11. Dubbi e Incertezze
157
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12. Il piano di H elena
167
13. G666
177
14. L’inizio della Missione
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15. I laboratori S egreti
203
16. Lebensunwerten Lebens
217
17. Frederick Volk
229
18. Eva
247
Epilogo
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A Marcello, anche se sei troppo piccolo per leggerlo. Con affetto, zio Francesco “Gott ist tot� Friedrich Nietzsche
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Prologo L’Angelo della Morte
«Gott ist tot!» «Gott ist tot!» Urla cupe rimbalzarono tra le mura delle case, echeggiando nei vicoli tortuosi del paese. «È giunto il giorno della Bestia!» Le ante delle finestr e sbatterono, le por te si chiuser o di botto seguite dal rumore di chiavistelli. «Il Demonio è arrivato!» Gemiti, lamenti e sospiri di disperazione. Litanie sommesse, preghiere. «È lui, l’Angelo della Morte!» Poi, fu solo silenzio. Una nebbia bassa e densa scivolò nelle vie, s’insinuò in ogni fessura, lambì gli alberi e serpeggiò sui lastricati dei portici. Arrancava lenta sull’asfalto quasi fosse qualcosa di vivo e palpabile. Ogni tanto qualche lembo si staccava da terra, oscillando in aria come un tentacolo. Al suo passaggio, le luci dei lampioni perdevano subito d’intensità, spegnendosi con un fastidioso ronzio. Come la risacca del mare, la foschia si ritirava lentamente fondendosi con le tenebre che, poco a poco, ingoiavano ogni angolo del paese.
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Avvolte nell’oscurità, due figure camminavano a passo spedito. Svoltarono quindi in una traversa, schiacciandosi contro il muro. «Bastian, dobbiamo dividerci» mormorò un uomo, ansimante. L’altro era un ragazzo giovane, non raggiungeva neppure i vent’anni. I nspirò a lungo, poggiandosi con le mani sulle ginocchia. «Dividerci? Adesso?» disse tirando il fiato. «Adesso.» «Frate Ernst, cosa dici?» «Non discutere.» «Ma non puoi chiedermi di lasciar ti qui, da solo! Resteremo insieme, come sempre» gli rispose il ragazzo, quando uno stridore acuto, come di una lama che graffiava una lastra di metallo, lo fece sobbalzare. Sgranò gli occhi e, tremando, si fece il segno della croce. Frate Ernst lo afferrò per le spalle, scuotendolo con vigor e. «Bastian, è tempo di agire!» disse con voce roca ma decisa. «Deve esserci una soluzione! Posso esserti ancora d’aiuto, possiamo...» «Possiamo cosa? Non fare lo sciocco!» Bastian si guardò attorno, smarrito. «Conosco delle scorciatoie. Possiamo farcela.» «Farcela contro di lui?» «Saremo più veloci.» «Più veloci di uno spettro?» Bastian deglutì, mentre una goccia di sudore gli rigava la fronte, scomparendo tra le folte sopracciglia.
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Frate Ernst si avvicinò fissandolo dritto negli occhi. «In nome del cielo, ascoltami! Devi andare, non c’è più tempo da perdere. Ora!» Bastian rimase a bocca aperta, immobilizzato dal terrore. «Andare? Andare dove?» «Nella città. A Gothica. Dalla Curia. Loro devono sapere. Loro sapranno cosa fare.» Ernst aguzzò la vista, tentando di fendere il buio davanti a sé, che si era fatto ancora più fitto e impenetrabile. «La Curia non può fare nulla contro il demonio!» Il frate s’infuocò in v olto, i lineamenti si contrasser o in un’espressione severa. «Mai più! Non osare mai più bestemmiare contro Dio!» urlò puntandogli un dito contr o. L’altro incassò la testa nelle spalle, soffocando i singhiozzi. «È la fine. È l’Apocalisse.» «La fede! Dov’è la tua fede, Bastian!» Un rumore di vetri infranti giunse da una casa poco lontana. «Lui... lui è qui» mormorò il ragazz o terrorizzato. Ernst lo spinse via. «Vai! Non perdere altro tempo!» L’urlo di una donna tagliò il silenzio . «Che Dio sia con te» disse infine il frate, baciandolo sulla fronte. Bastian annuì, quindi sgusciò via scomparendo nel buio del vicolo. Frate Ernst iniziò a correre. Il fiato cor to, i polmoni che br uciavano dallo sfor zo, le gambe che cedevano lungo la strada dissestata che proseguiva verso l’alto, diventando sempre più impervia.
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Non oserà così tanto. Non oserà entrare nella casa del Signore. I pensieri si accavallavano gli uni sugli altri, interrotti da preghiere che imploravano la Vergine di concedere pietà a ogni suo concittadino. Un vento freddo e impetuoso aveva iniziato a sferzare la collina, disperdendo le poche parole che riusciva a pronunciare. La gola era arsa, le labbra secche, la fronte madida di sudore, il saio appiccicato addosso come un sudario . Ma Ernst non si fermò. Non poteva lasciare che la paura s’impadronisse della sua mente, che il male indebolisse la sua for za interiore sopraffacendo la volontà. Strinse il rosario al petto e si morse le labbra fino a sentire il sapore del sangue. No, la notte non avrebbe vinto. La fede l’avrebbe guidato fino alla luce, l’abnegazione e una vita dedita alla rinuncia sarebbero state sufficienti a infondergli la for za necessaria per compiere la sua missione. A ogni costo . Le campane erano vicine. La voce del Signore avrebbe spazzato via la nebbia del demonio, sconfitto le tenebr e, annientato il seme del male. Più volte Ernst inciampò e cadde a terra, ma non si fermò neppure per un istante. Si fece coraggio e si rialzò, sebbene le fitte fossero così insopportabili da annebbiargli la vista. Con i sandali lacerati e i piedi graffiati ogni passo era diventato un calvario. Crollò infine su una roccia, sotto una croce di frassino alta più di cinque metri, che si stagliav a contro un cielo così scuro come un oceano di piombo liquido . Ragnatele di lampi lo attraversavano in ogni direzione, pulsando come vene, squarciandolo con ferite di luce.
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Ernst inspirò profondamente. Immerse le mani nella fanghiglia e si trascinò avanti di qualche metro, fino a scorgere la cattedrale. Colonne massicce svettavano verso l’alto, congiungendosi ad archi acuti e schiacciandosi contro rosoni e vetrate, fino ad assottigliarsi in guglie appuntite che parevano trafiggere le nuvole. Il frate sorrise. Era quasi arrivato. Ce l’aveva fatta. L’ingresso alla casa del Signore era a pochi passi da lui. La salv ezza era vicina. Poi, un rumore alle sue spalle lo fece rabbrividire. Sperò che fosse il rombo di un tuono, ma il suono gli era parso tr oppo cupo, quasi innaturale. Maligno, gli suggerì il suo inconscio. Come una voce che ribolliva dalle viscere della terra. Ernst si voltò inorridito, facendosi il segno della cr oce. E la creatura era lì. Ombra tra le ombre, silente nell’ululato del vento, emerse dall’oscurità e avanzò lentamente sulla ghiaia che si anneriva sotto ogni suo passo. «Chi sei?!» urlò Ernst con tutto il fiato che gli era rimasto . La creatura torreggiava sopra di lui con lo sguardo fisso alla cattedrale. Un volto dall’incarnato scuro e le labbra livide, lineamenti cesellati, capelli neri simili a filamenti di tenebra. Gli occhi erano due fessure strette, purpuree e lucenti come gemme dell’inferno. Indossava un paio di pantaloni neri, le braccia e il petto scoperti mostravano cicatrici profonde e vermiglie, simili a solchi in un cratere. Le mani erano un groviglio di ferite e le unghie si allungavano in artigli.
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«Sei un demone» mormorò il frate indietr eggiando fino alla base della croce. «Un abominio. Una bestemmia contro Dio!» L’Angelo della Morte si chinò, avvicinandosi al suo volto. Il terrore attanagliò Ernst, cancellando dalla sua mente qualsiasi parola di preghiera. Trovò la forza per afferrare il rosario e issarlo di fronte al suo viso. L’essere emise un ruggito. Afferrò la catena, sbriciolandola nel pugno. Poi lasciò cadere i frantumi sulla sua fr onte. Fu allora che Ernst vide qualcosa di strano. Un simbolo impresso nel palmo della sua mano. Un segno indelebile che non lasciava ombra di dubbio. «Padre...» mormorò incredulo. La creatura dischiuse la bocca. Un fumo denso e scuro colò ai lati delle labbra. «Non ci posso credere» continuò il frate, «non puoi esser e tu! Cosa è successo? Dimmi che non è vero, dimmi che è solo un incubo!» L’Angelo della Morte strinse le dita attorno al suo collo . «Che Dio ti perdoni...» L’Angelo strinse la presa. La sua voce giunse lontana e flebile come un lamento. «Dio è morto» disse prima di spalancare le fauci. Un grido echeggiò tra le colonne della cattedrale. Poi, ci fu solo tenebra.
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1 Un nuovo risveglio
Faust, risvegliati. Aprii gli occhi lentamente. La testa mi pesav a come un macigno e le tempie mi pulsav ano dal dolore. Inspirai a lungo. Una lama di luce filtrav a dai tendaggi che scendev ano davanti a un’ampia finestra, illuminando la polvere che aleggiava nell’aria. Silenzio. La stanza avvolta nella penombra. Un letto semplice, di legno grezzo. Lenzuola bianche. Pareti spoglie rivestite di una carta da parati ingiallita dal tempo, con decorazioni d’edera che correvano lungo gli angoli dei muri. Uno specchio verticale, impolverato, dalla cornice di ferro battuto. Un comodino alla mia destra, con sopra una caraffa d’acqua. Un libro dalla copertina di cuoio nero. La Bibbia. Padre Faust? Mi sfiorai il volto, la fronte era madida di sudore. Scesi con le dita lungo il collo. Dov’era il mio crocefisso? Trasalii quando mi accorsi di essere completamente nudo. Mi alzai sul letto, tirando il lenzuolo sopra il petto. Gemetti, avevo la nausea e un fastidioso senso di v ertigine. «Piano, sei ancora debole.»
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Mi voltai di scatto verso un angolo della camera. Una figura si alzò da una sedia e si avvicinò con inceder e lento. Indossava una gonna nera fin sotto le ginocchia, una camicia grigia e un maglione semplice dello stesso colore. I capelli erano raccolti sotto un velo scuro, che le scendeva leggero sulle spalle. Una suora. La osservai con attenzione, cercando di riconoscerne i lineamenti. Occhi minuti e nocciola, naso aquilino, v olto rubicondo e grinzoso. Chi era? Ci conoscevamo? No, quel volto non mi diceva nulla. Non sapevo minimamente chi fosse. Come spesso accadeva a ogni mio nuovo risveglio, dopo il blackout. Accorgendosi del mio sconcerto, la suora si piegò e aprì un cassetto del comodino. Poggiò quindi in fondo al letto un paio di pantaloni scuri, una camicia e una fascetta bianca per il colletto. «Sia lodato Gesù Cristo» mi disse. «Sempre sia lodato.» «Mi chiamo suor Hilda» continuò piegando i vestiti con cura. «Mi hanno chiesto di vegliarti fino a quando non ti fossi ripreso.» «Io... Faust. Padre Faust.» La donna annuì, abbozzando un sorriso . «Lo so . Le tue guance hanno ripr eso color e. La febbr e è passata, stai già meglio.» Inarcai le sopracciglia. «Conosci il mio nome? Ci siamo già visti, quindi?» «No, non credo. Nel sonno, mentre deliravi, ripetevi di continuo il tuo nome. Dicevi: sono padre Faust... riesci a sentirmi? Julia dove sei? Julia aspettami. Julia sto arrivando. Sono padre Muller.»
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Aggrottai la fronte. Julia. Chi era Julia? Un brivido mi corse lungo la schiena. «Dove mi trovo?» Suor Hilda mi guardò di sbieco. «Al convento.» «Al convento» ripetei confuso. «Convento di quale città?» Lei s’incupì, sorpresa dalle mie domande. «D ove? Ma a Gothica, ovviamente.» Rimasi in silenzio. Com’ero arrivato fino a Gothica? Distava un centinaio di chilometri dal paese do ve ero nato. Era impossibile che avessi percorso tutta quella strada dal mio ultimo blackout? O forse sì? Del resto, il trascorrere del tempo non era più indicativo, non sempre. «Hai avuto una brutta febbre. Sei rimasto a letto per quasi una settimana. Come ti senti?» «Non ricordo nulla. Non ricordo mai nulla» la interruppi, stringendo il lembo di un lenzuolo . Suor Hilda, incuriosita da quelle parole, si avvicinò al letto. «Nulla? In che senso?» «Non lo so.» «Forse è meglio che vada a chiamare madre Helena» disse abbassando la testa. «Come sono arrivato in questo convento?» le chiesi prima che uscisse dalla porta. «Una settimana fa alcune sorelle ti hanno trovato privo di sensi, in un vicolo nella periferia di Gothica. Avevi i vestiti stracciati, e il tuo v olto era insanguinato. Non avevi nulla con te. Non un documento, non una valigia. Credo che tu abbia subìto un’aggressione, padre Faust» disse con tono preoccupato.
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«Un’aggressione?» «Avevi una ferita, proprio vicino alla tempia.» Mi toccai poco sopra l’orecchio. Le dita esitarono un attimo, poi trovarono una garza bianca che arrivava fin dietro la nuca. «Sei stato fortunato a cavartela. Dio solo sa cosa ti sar ebbe potuto succedere. Non è mai prudente avventurarsi da soli nei sobborghi di Gothica, è da sconsiderati! Oppure, ancor peggio, temev amo che tu fossi stato vittima dell ’Angelo della Morte. In tal caso sei davvero fortunato a essere ancora vivo.» Scrollai le spalle, non sapevo di cosa stesse parlando. Non ero mai stato a Gothica in vita mia. O almeno prima dei blackout. Invece, l’Angelo della Morte non era un nome sconosciuto. «L’Angelo della Morte?» ripetei. Suor Hilda s’incupì. «Davvero non lo hai mai sentito nominare?» Tacqui, cercando di ricordare. «Avremo modo di riparlarne» mi disse scrollando le spalle. «Comunque, il Signore ti è stato vicino. La ferita non si è neppure infettata e si è rimarginata molto presto. Beh, le sorelle del convento sanno come curare le persone. Oppure... oppure non so. È guarita come tutte le altre» concluse, indicando il mio petto. Strizzai gli occhi, non capivo a cosa alludesse. Spostai un lembo delle lenzuola e rimasi allibito. La mia pelle era un groviglio di cicatrici, linee chiare che s’intersecavano con segni più profondi. Quando alzai il capo, suor H ilda se n’era già andata.
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Con la fascetta bianca tra le dita, mi avvicinai allo specchio. La sistemai al collo, chiudendo gli ultimi bottoni della camicia, che mi stava larga. Ero alto e gracile, difficile trovare un abito che mi stesse a pennello. E nell’ultimo periodo ero dimagrito di diversi chili. Osservai la mia immagine allo specchio. Volto emaciato, occhi celesti orlati di grigio. Sembrava che non dormissi da giorni, eppure ero stato incosciente nel letto per una settimana. Cosa mi stava succedendo? Mi diedi una rapida sistemata ai capelli, stavano diventando troppo lunghi. Dovevo tagliarli. Dovevo farmi la barba. E una doccia, al più pr esto. Com’ero arrivato a Gothica? Cosa stavo facendo prima di perdere i sensi? Possibile che nessuno mi avesse aiutato? I miei amici, qualche parente? Erano tutti scomparsi? No, non è vero. Ricordo la mia famiglia. Maureg. Strinsi i pugni dalla rabbia, non potev o continuare così. Rischiavo di impazzire. Dopo ogni blackout una parte della mia vita scompariva. Veniva cancellata per sempre. Dio, ti supplico, aiutami. Quand’era successo l’ultima volta? Erano trascorse due settimane, forse un mese? Dovevo trovare una soluzione. Socchiusi gli occhi, tentando di calmarmi. Più mi agitavo, più i ricordi si facevano confusi. Dov’ero vissuto nell’ultimo periodo? Mi trovavo in un paese. Il ricordo affiorò lentamente, quasi con dolore. Un paese di operai e contadini. Si chiamava... era... Esitai, scuotendo il capo. Non lo ricordavo. Era però un piccolo centro abitato. Solo poche case lungo il pendio di una collina, ma c’era una bella chiesa. Fin troppo grande per le poche anime di quella citta-
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dina. Sì, adesso mi ricordo. Davanti c’era un crocefisso di legno. Alto, imponente. Mi grattai il mento, concentrandomi. Per quanto tempo ero stato in quel posto? Mesi, anni? Perché l’avevo abbandonato giungendo fino a Gothica? Ero diventato il parroco del paese, oppure avevo cercato rifugio dopo il precedente blackout? Ernst. Mentre quel nome rimbombav a nella mia mente. I l suo viso emerse dall’oscurità che avvolgeva i miei ricordi. Occhi iniettati di rosso e un volto contratto in un’espressione di terrore. Che Dio ti perdoni... «Ernst?» farfugliai, stringendomi le braccia al petto. Non sapevo che legame ci unisse. Era un mio amico? Un conoscente? Non era un familiare, né una persona della mia vita passata. Su questo non avevo dubbi. Sentii bussare alla porta. Entrò una giovane donna, alta e snella. Aveva dei lineamenti cesellati, occhi lunghi e verdi, labbra sottili, capelli biondi nascosti sotto una cornetta bianca. Con passo sicuro mi raggiunse, chinando br evemente la testa in segno di saluto. «Sia lodato...» esordii. «Sono felice che tu stia bene» m’interruppe. «Il mio nome è madre Helena.» «Padre Faust.» Lei annuì appena, si avvicinò alla finestra e spalancò le tende. La luce ambrata del tramonto inv estì la camera.
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«Suor Hilda mi ha parlato del tuo problema» continuò, fissando i tendaggi al muro. Sospirai. «Vi ringrazio per quello che av ete fatto.» «È nostro dovere. Il convento esiste per questo. Altrimenti non sarebbe stato costruito qui, ai confini di questa città, non trovi?» «Gothica» sussurrai. Madre Helena mi osservò a lungo e con espressione indecifrabile. Mi metteva in soggezione. «La ferita si è già rimarginata, v ero?» Feci spallucce, senza replicare. La donna si sedette sull’angolo del letto. «Bene, era meno profonda del previsto. C’era il rischio di un’infezione, ed è stata forse quella a causare la febbre. Hai anche ripreso colorito.» Si mise a sistemare le lenzuola del letto con aria assor ta, come se stesse pensando a tutt ’altro. «Ritornando al punto, suor Hilda mi accennava al fatto che non ricordi nulla eccetto il tuo nome.» Piegai le labbra, la situazione era un po’ più complicata. «Non è proprio così.» «Qual è il tuo ultimo ricor do?» Difficile dirlo . Q uando capitav ano questi momenti di buio, tutto il passato div entava sfumato e indistinto . E ra come se gli eventi si accavallassero gli uni sugli altri, diventando una matassa sempre più intricata. Impossibile dar loro un ordine cronologico, a stento riuscivo a comprendere i miei spostamenti. Come mai dopo ogni blackout mi ritr ovavo in una nuova città? Stavo forse fuggendo? Mi sforzai di ricordare cosa era successo prima che per dessi i sensi. E ro in una
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chiesa, o forse stavo camminando lungo la strada di... di quale paese? Era Gothica? «Non ho mai vissuto a G othica, ne sono sicuro.» «Tuttavia non pr ovieni da molto lontano . I l simbolo impresso nella tua mano, la doppia croce. Un ordine diffuso solo nei paesi qui vicino.» Osservai il mio palmo. Un segno verticale, tagliato da due braccia orizzontali. «Non devi pr eoccuparti, padr e F aust» mi rassicurò lei. «Siamo qui per aiutarti.» Madre Helena era estremamente gentile, ma il suo tono aveva un qualcosa di affettato che m’infastidiva. «Non sono stato aggredito e non è stata la febbr e a confondere i miei ricordi» precisai caustico. «Credo di aver già consultato qualche dottore in passato. Anzi, forse più di uno. Penso che si tratti di qualche strana forma di amnesia.» Abbassai lo sguardo a terra, smarrito. «Amnesia retrograda parziale.» Madre Helena mi sorrise ancora. I suoi occhi brillavano intensamente. «Prima di prendere i voti ero un medico» si affrettò a spiegare, dondolando la testa sulle spalle. «E devo ammettere che tutto ciò che ho imparato mi è di grande aiuto al convento. Capita spesso di incontrare mendicanti in periferia, alcuni sono davvero malconci.» «Ho dei vuoti di memoria, ma ricor do perfettamente la mia infanzia. I miei genitori. Il mio passato più remoto. Chi sono. Dove sono cresciuto, nella città di Maureg. I miei studi di teologia. Quando ho preso i voti e sono diventato parroco. Il giorno in cui la C uria decise di spostarmi. Ero...»
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Mi fermai. Da quel punto tutto diventava improvvisamente grigio. «Forse sono veramente malato. Sto peggiorando.» Madre Helena scosse la testa. «Non direi, almeno per ora. Cosa c’è sul comodino?» «Una caraffa» risposi subito, scuotendo la testa. Cosa c ’entrava quella domanda? «Con dentro?» «Per l’amor del cielo, è una caraffa d ’acqua!» mi alterai. «Ho dei vuoti di memoria, ma non sono impazzito!» Madre Helena scoppiò a ridere. «No, no, non alludevo a questo. È come immaginav o, per for tuna non hai perso la memoria semantica.» «Ossia?» «La conoscenza delle cose che ti circondano. Vedo che ti sei vestito, senza che nessuno ti abbia aiutato. Quindi non hai perso la memoria fisica.» Madre Helena scrutò la mia espressione sempre più sconcertata e mi rassicurò con un nuovo sorriso. «Come ti ho detto, ero un medico prima di div entare una suora. Il tuo problema riguarda la memoria episodica. È come se alcuni avv enimenti fossero stati improvvisamente cancellati.» Cercai di metabolizzare quella spiegazione, che però non mi convinse. «Non credo sia così semplice» dissi infine. «Perché il mio passato è così limpido e gli avv enimenti del presente così confusi?» «Beh, per la precisione non ho terminato gli studi di medicina né ho conseguito una specializzazione. I nsomma, non prendere per oro colato le mie parole» chiosò divertita. «Da quanto ho capito, è come se il tuo presente fosse un grande
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puzzle, dal quale sono stati staccati dei pezzi. Tutti i tasselli accanto sembrano quindi privi di senso, perché non trovano il giusto incastro. La tua mente, allo stesso tempo, cer ca però di trovare una giusta collocazione degli ev enti, e il subconscio interpola...» fece ancora un’altra pausa, alzando gli occhi in alto come se stesse cercando le parole più semplici. «In breve, cerca di ricoprire i buchi ma, così facendo, commette degli errori.» Mi misi a ridere, pensieroso, era insolito che una suora si esprimesse con quei termini. D’altro canto mi sentivo in imbarazzo, non avevo capito nulla della sua spiegazione. «Quindi devo avere qualche strana forma di malattia» semplificai. «Ma non è affatto piacevole non capire cosa mi stia succedendo. Suor Hilda mi ha detto che sono stato ritr ovato con gli abiti lacerati e spor chi di sangue.» «La periferia di Gothica non è un luogo raccomandabile. È possibile che tu abbia subìto un’aggressione.» «È così strano, non ricordo nulla.» «I sobborghi sono luoghi pericolosi, specialmente di notte. Del resto, l’ultimo dei pensieri dello Scisma è risolv ere questo tipo di problemi.» «Scisma?» Madre Helena alzò le spalle, inspirando pr ofondamente. «Già, dimenticavo che conosci poco di Gothica. Beh, lo Scisma è formato da un gr uppo di persone che governano questa città. Comunque, non è questo il punto . Se vuoi, padre Faust, il nostro convento potrà offrirti ospitalità finché vorrai.» «Non credo sia così semplice risolv ere il mio pr oblema, altrimenti non sarei qui» risposi a denti str etti.
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«Dipende come l’hai affrontato in passato. Fuggire, farsi prendere dal panico, ignorare... beh, non ti saranno certo d’aiuto.» «Continuerò a pregare. Dio mi aiuterà.» Madre Helena s’irrigidì. «Sì, la fede, padr e Faust, senza dubbio» disse dopo un po’. «Tuttavia ti suggerisco di tentare anche altre vie.» Sgranai gli occhi. A cosa stav a alludendo? «Altre vie? Oltre che pregare?» Madre Helena gesticolò con nervosismo. «Non sto dicendo che devi abbandonare la tua fede, padre Faust. Le preghiere e l’aiuto del Signore t’indicheranno la via da seguire, com’è successo in passato. Proprio per questo sei arrivato a Gothica. Al convento. Da me.» La sua voce era diventata sicura e inflessibile. «Quindi, ripeto, puoi alloggiare al convento per tutto il tempo che desidererai. Ma, se vuoi, posso accompagnarti all’ospedale. Conosco qualche medico in gamba, è forse bene che tu ti sottoponga ai giusti accer tamenti.» «Accertamenti? Degli esami clinici, intendi?» Madre Helena si alzò in piedi, sorridendo. «Certo che sì. Se vuoi scoprire cosa non va nella tua testa, dico bene?» Annuii. «Bene, allora non vedo alternative. Prima di tutto, è necessario capire la causa del tuo trauma. L’amnesia retrograda non si prende come un raffreddore.» Mi appoggiai alla parete. «Vorrei tornare a casa» dissi con voce stanca. «Lo spero, ma prima devi capire dov’è la tua casa. Adesso devo andare, le sorelle mi aspettano già da div ersi minuti e non amo farmi attendere. Buon riposo, Faust Muller.»
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CosÏ, senza aggiunger e altro, madre Helena si congedò, chiudendosi la porta alle spalle. Rimasi a lungo seduto sul letto, pensier oso e turbato. Era la prima volta che una madre superiora mi chiamava per nome, senza l’epiteto di padre.
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