tascabili dell’ambiente
Tessa Gelisio e Marco Gisotti
guida ai green jobs come l’ambiente sta cambiando il mondo del lavoro
realizzazione editoriale Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it coordinamento redazionale Diego Tavazzi progetto grafico: GrafCo3 Milano immagini di copertina: Shutterstock © 2009, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02 45487277, fax 02 45487333 ISBN 978-88-96238-28-8 Finito di stampare nel mese di ottobre 2009 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg) Stampato in Italia - Printed in Italy Questo libro è stampato su carta riciclata 100%
Tessa Gelisio e Marco Gisotti
guida ai green jobs Come l’ambiente sta cambiando il mondo del lavoro
sommario
prefazione
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introduzione
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intervento del presidente del consiglio
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intervista ad aldo fumagalli romario
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1. energie rinnovabili
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Intervista a Massimo Orlandi Analisi del settore 2. propulsioni verdi
Intervista a Stefano Landi e a Gaetano Di Gioia Analisi del settore 3. mobilitĂ sostenibile
Intervista ad Anna Donati Analisi del settore 4. industria agroalimentare
Intervista a Luca Zaia Analisi del settore 5. ecofinanza
Intervista a Nino Tronchetti Provera Analisi del settore 6. green building
Intervista a Massimiliano Fuksas Analisi del settore
47 47 50 59 59 62 71 71 75 83 83 87 93 93 95
7. foreste e dintorni
Intervista a Marco Roveda Analisi del settore 8. chimica verde
Intervista a Catia Bastioli Analisi del settore 9. gestione dei rifiuti
Intervista a Walter Ganapini Analisi del settore 10. bonifiche ambientali
Intervista a Claudio Mariotti Analisi del settore 11. green marketing
Intervista a Francesco Bertolini Analisi del settore 12. green advertising
Intervista a Saro Trovato Analisi del settore 13. giornalismo ed editoria ambientale
Intervista a Antonio Cianciullo Analisi del settore 14. aree protette
Intervista a Giorgio Fanciulli Analisi del settore 15. ecoturismo
Intervista a Roberto Corbella Analisi del settore 16. associazione ambientaliste
Intervista a Fulco Pratesi Analisi del settore
103 103 106 117 117 120 127 127 130 137 137 140 147 147 151 159 159 162 169 169 172 183 183 186 195 195 199 207 207 211
17. avvocati e ambiente
Intervista a Paola Ficco Analisi del settore 18. forze dell’ordine
Intervista a Ultimo Analisi del settore 19. sicurezza e territorio
Intervista a Mario Tozzi Analisi del settore 20. ricerca e controllo ambientale
Intervista a Roberto Caracciolo Analisi del settore
217 217 220 231 231 235 245 245 248 255 255 258
Intervista a Ermete Realacci Analisi del settore
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100 green jobs
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bibliografia
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ringraziamenti
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21. green policy
“Ci sono nuove energie da imbrigliare e nuovi lavori da creare.” Dal primo discorso pubblico del Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama – Chicago, 4 novembre 2008 “... Significa investire 150 miliardi di dollari per costruire in America un’economia dell’energia verde che creerà 5 milioni di nuovi posti di lavoro, sottraendo la nostra nazione dalla tirannia del petrolio straniero e salvando il pianeta per i nostri bambini.” Videodiscorso del Presidente Barack Obama del 15 novembre 2008
prefazione
Leggere ogni giorno di ambiente sulle pagine del Sole 24 Ore fa riflettere. Può essere che finalmente i temi ambientali abbiano abbandonato i salotti degli ambientalisti per diventare argomento economico-politico condiviso dal grande pubblico? Come sempre si tratta di interpretare il momento storico e la risposta è “ni”: l’ambiente come tale rimane argomento trattato con passione da pochi, se non pochissimi, ma qualcosa è davvero cambiato. Una lenta rivoluzione che solo in parte è l’espressione del movimento ambientalista; piuttosto, è la conseguenza della ricerca da parte del sistema economico di nuove frontiere, di nuovi mercati. Fino a quando l’ecologia non è diventata la leva su cui poggiare le speranze di una via d’uscita dall’empasse economica globale la contrapposizione tra ambientalismo e tessuto economico è rimasta netta. Ora quel contrasto assume toni molto più sfumati. I grandi della Terra, dopo essersi opposti per anni alle evidenze di un ecosistema globale allo stremo, messi al muro dalla limitatezza di risorse sfruttate per secoli senza troppa lungimiranza, sembrano prendere una nuova direzione dopo aver issato la bandiera della consapevolezza. Obama guida la nuova onda dell’economia verde e, al traino degli Stati Uniti, verranno gli altri; il maggior senso di responsabilità ambientale europeo, dimostrato all’atto pratico soprattutto dai paesi del Centro e Nord Europa, comincia a trovare un importante appoggio dall’altra parte dell’oceano. Qualcosa è davvero cambiato e lo dimostra l’improvvisa svolta “verde” della Cina, notoriamente attenta alla competizione economica e quasi completamente priva di interesse nei confronti dell’ecologia, vista sol-
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tanto come un fastidioso freno allo sviluppo: è l’economia che sta permeando l’ambiente e non viceversa. I meccanismi del capitalismo stanno tramutando i limiti imposti dall’ecologia in opportunità e l’ambiente, così, sta diventando il più grande business del XXI secolo. Qui è racchiuso il vero senso di questo nuovo ambientalismo pragmatico: non inventare quasi nulla di nuovo ma reinterpretare e reinventare, creare una versione evoluta dell’economia tradizionale, una piccola ma sostanziale mutazione nel Dna del capitalismo globale. Forse un’interpretazione evolutiva del fenomeno è più consona. Non si può parlare di una vera e propria rivoluzione quanto piuttosto di un fenomeno adattativo che vede il sistema economico mantenere gli stessi obiettivi cambiando la via per perseguirli. Se si trattasse di una vera rivoluzione ambientalista si punterebbe a una riduzione radicale dei consumi. Oggi, invece, si cerca di mantenere più sano l’ambiente per mantenere costante il flusso dei consumi, di cambiare gli oggetti del desiderio del mercato per non dover rinunciare a quanto raggiunto attraverso il sistema attuale. Adattamento, non radicale cambiamento. Tutto questo cambia le priorità dei governi e delle economie regionali, nazionali e locali. Riciclato, biodegradabile ed efficiente sotto il profilo energetico sono concetti usciti dal vocabolario dei termini “tabù” del marketing per diventare colonne del nuovo green appeal. I media si sono innamorati dei temi ambientali come mai prima d’ora e il pubblico sta facendo una vera e propria full immersion di ecologia applicata... Questa revisione socioeconomica in chiave ecosostenibile apre all’economia mondiale orizzonti talmente vasti da rendere persino difficili da intuire le potenzialità della green economy. In un mercato globale che sta affrontando la più grande recessione dal 1929 a oggi, il verde è un colore sempre più di moda, in assoluta controtendenza ed è anche il colore delle “divise” di un esercito di nuovi professionisti, milioni di operatori in ogni settore economico. Allora scopriamo che nella top ten delle professioni con migliori prospettive per il futuro prossimo negli Stati Uniti compaiono esclusivamente professionalità legate all’ambiente: dagli imprenditori agricoli di nuova generazione, ai tecnici forestali da destinare ai programmi internazionali di cooperazione che prevedono la riforestazione nei paesi in via di sviluppo, dagli installatori di impianti solari agli esperti di efficienza energetica, dai produttori di
prefazione
impianti eolici agli operatori di ogni livello del settore del riciclaggio, dai biologi della conservazione ai modellisti e progettisti di sistemi sostenibili, fino a ingegneri e architetti ambientali. Una vera parata di nuove professioni che segue la fanfara della nuova economia ecosostenibile. Ma attenzione, i cosiddetti green jobs, gli ecolavori, per lo più non sono altro che profili professionali tradizionali arricchiti di nuove competenze ambientali o inseriti in contesti per essi non abituali: si adatta l’alta economia, le grandi compagnie, le piccole e medie aziende e si preparano anche i professionisti dei vari settori. Questo manuale ha lo scopo di aiutare i giovani professionisti, i neolaureati o i ragazzi che stanno per intraprendere il loro cursus studiorum universitario a orientarsi in un quadro economico tanto in crisi quanto in veloce mutamento. Ma è anche una raccolta di spunti per chi, più maturo, voglia riqualificare la propria professionalità, aggiornandola ai tempi per raggiungere così nuovi livelli di competitività. Che futuro avrà il nuovo corso “verde” dell’economia mondiale? Quale ruolo interpreterà il nostro paese? Quali sono le professioni verdi? Quale potrà essere il mercato del lavoro dei prossimi 10 anni? Quale il percorso migliore per inserirsi nella green economy? Queste domande trovano risposta in un’opera arricchita dagli interventi di personaggi di spicco che si muovono nel mondo dei green jobs da molto tempo prima che questo termine avesse un senso, scritta da due “professionisti del verde” e pubblicata da una casa editrice fondata sull’idea che green economy e futuro coincidano. Imprenditori, manager, analisti e operatori dei vari settori produttivi attuali e del futuro sono stati spinti a sbilanciarsi, a esprimere pareri e a sciorinare dati che arricchiscono la guida conferendole quel valore pratico che può derivare solo dall’esperienza di chi della green economy è pioniere anche in Italia. Quasi tutti gli intervistati, compresa la stessa Confindustria il cui punto di vista è riportato nell’intervista ad Aldo Fumagalli Romario, hanno sottolineato il ruolo decisivo che ha la politica nel favorire o meno lo sviluppo dei “lavori verdi”, orientando le scelte del sistema produttivo. Per questo motivo il libro si apre proprio con l’intervento del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il cui parere in merito non può che pesare molto sugli eventi economici all’orizzonte.
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introduzione
La green economy è un fenomeno globale, rappresenta un nuovo mercato ed è innescata e sostenuta da un complesso sistema di rapporti sociali, economici e politici, oltre che da un’oggettività ambientale ormai accettata da tutti. Si tratta di un nuovo orizzonte economico talmente vasto e coinvolgente da essere quasi globalmente considerata come l’unica e credibile via di fuga dal grave stato di crisi attuale e, con ogni probabilità, questo porterà a una mutazione, seppur moderata, del sistema economico occidentale e a una nuova dimensione della corsa alle risorse naturali. In qualche modo questo momento di transizione tra vecchio e nuovo è quello che potremmo definire il green new deal globale tra tessuto economico, politica e società. La misura di quale imponente driver sia la nuova concezione pragmatica dell’ecologia la danno i dati del recente rapporto Green Jobs: Towards decent work in a sustainable, low-carbon world, commissionato e finanziato da una serie di organizzazioni appartenenti alle Nazioni Unite, l’Unep (United Nations Environment Programme), l’Ilo (International Labour Organization), l’Ioe (International Organisation of Employers) e l’Ituc (International Trade Union Confederation), e compilato dal Worldwatch Institute con l’assistenza tecnica del Global Labour Institute della Cornell University. I numeri di questo lavoro quasi enciclopedico confermano la sensazione di un mercato neonato e dotato di una forte spinta iniziale. Attualmente, come riportato dal rapporto, in tutto il mondo, solo nel settore delle rinnovabili sono 2,3 milioni le persone impiegate, di cui 300.000 nell’ambito dell’energia eolica, 170.000 nel solare fotovoltaico, oltre 600.000
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nel solare termico, le rimanenti nei biocombustibili. I settori economici tradizionali in chiave green sono i migliori surfer di questa onda verde: quello delle energie rinnovabili, dell’edilizia sostenibile e dell’efficienza energetica sono in una fase di rapida espansione, così come è rapido il processo di revisione in chiave ambientale di molti altri settori. Il panorama che si sta profilando è disegnato da una serie di fattori come, per esempio, i rapporti dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) sui cambiamenti climatici, i parametri imposti dal Protocollo di Kyoto e la crisi economica mondiale: un mix di contingenze, alcune delle quali legate direttamente alle problematiche ambientali, altre del tutto avulse dalle emergenze ecologiche ma più strettamente correlate alle turbolenze della finanza mondiale. Quale che sia la natura di questo scenario, l’aumento degli ecolavori assume un carattere trasversale soprattutto se si considera che, oltre ai paesi industrializzati, sta interessando in varia misura sia i paesi emergenti (notevoli gli investimenti nella green economy di Cina e India), sia, seppur ovviamente in misura decisamente minore, i paesi in via di sviluppo dove si incominciano a intuire le possibilità offerte dal business ambientale. La green economy influenzerà il mercato del lavoro globale in vari modi: compariranno nuove professioni, specialmente nell’ambito della lotta all’inquinamento e dello sfruttamento delle energie rinnovabili; alcune categorie professionali diverranno obsolete e semplicemente scompariranno, oppure verranno aggiornate secondo le nuove tendenze ambientali dell’industria, dei trasporti e dei servizi; in altri casi avverranno “spostamenti” dell’offerta di lavoro che potrebbero assorbire le dismissioni da settori non più necessari o in contrasto con le priorità ecologiche. Nonostante la prevedibile scomparsa, nel lungo periodo, di intere filiere (basti pensare all’estrazione, alla produzione, al trasporto e alla raffinazione del petrolio), i considerevoli investimenti in campo ambientale effettuati in questi anni, soprattutto in Occidente, e quelli imponenti che in tutto il mondo alimenteranno ulteriormente la green economy nel prossimo futuro non porteranno soltanto probabili benefici all’ambiente ma anche, e soprattutto, milioni di posti di lavoro, schiere di ecolavoratori di ogni livello.
introduzione
Tuttavia, è importante andare un po’ più a fondo nell’analisi del concetto di ecolavoro affinché non rimanga qualcosa di troppo generico: nella categoria rientrano le professioni di qualunque settore (dall’amministrativo al manifatturiero, all’agricolo) che con il loro operato contribuiscono in maniera significativa al miglioramento delle condizioni ambientali, al loro ripristino e alla conservazione del patrimonio naturale. Ovviamente questa definizione crea un enorme spazio in cui inserire una gamma di profili professionali estremamente ampia, sintomo non tanto di indeterminazione del settore quanto della sua grande pervasività. La green economy, infatti, comprende qualsiasi attività implicata nella conservazione degli ecosistemi, nella riduzione del consumo di risorse (siano esse energia o acqua), nella gestione dei rifiuti e nel riciclo dei materiali o nella produzione di energia da fonti rinnovabili, e coinvolge più o meno direttamente professionisti di quasi tutti i settori economici. Se è difficile individuare le aree che sono o che saranno più toccate dall’onda verde, a volte è persino difficile distinguere un ecolavoro da un lavoro “tradizionale”. Escludendo i profili professionali specifici che indubbiamente sono riconducibili ad attività strettamente legate all’ambiente (dall’ingegnere addetto alle bonifiche delle aree inquinate all’installatore di pannelli fotovoltaici), spesso si assiste a una revisione di professioni, processi e prodotti tradizionali in “chiave ecologica”. A volte sono sfumature difficili da cogliere ma che rappresentano differenze sostanziali. Un esperto di propulsione, per anni impegnato nel miglioramento delle prestazioni dei motori delle vetture prodotte da una grande casa automobilistica, che si trovi da un giorno all’altro a doversi concentrare prima di tutto sull’efficienza energetica dei suoi progetti o sull’ideazione di un sistema ibrido o a biocarburanti, può essere considerato un professionista verde? Se accettiamo la definizione più ampia che abbiamo dato in precedenza, dobbiamo ammettere che ci si trova di fronte a un green job. Stesso ragionamento può essere fatto per un imprenditore agricolo che decide di far virare la propria produzione verso il biologico. In entrambi i casi, professioni di settori primari dell’economia cambiano i propri obiettivi, modificano le loro pratiche e si appropriano di nuove competenze ma, in realtà, non fanno altro che aggiornare i propri profili in sintonia con la green economy.
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È probabile che migliaia di persone siano green worker senza saperlo, che dirigenti, progettisti, operatori e comunicatori delle più svariate aree di mercato siano già stati assegnati a mansioni verdi per un tempestivo cambio delle politiche di centinaia di aziende, senza però che questo abbia stravolto la loro pratica quotidiana se non negli obiettivi. In genere, poi, il livello di consapevolezza ambientale è talmente basso che se si interpellasse un campione casuale di lavoratori in merito all’ecosostenibilità della professione che svolgono la maggior parte non saprebbe cosa rispondere. In alcuni casi, aziende che hanno già intrapreso una revisione dei processi produttivi nella direzione di una maggiore sostenibilità non sfruttano la propria dimensione di pionieri della green economy a livello di comunicazione interna ed esterna, rendendo a tutti gli effetti i propri dipendenti dei green worker assolutamente inconsapevoli. Forse questa è una delle dimostrazioni più chiare di come spesso l’economia non sia eccessivamente condizionata da messaggi ambientalisti puri, quanto piuttosto dal futuro castello di normative e regolamentazioni dettate dalle evidenze dei rapporti dell’Ipcc ormai accettate dalla stragrande maggioranza dei governi mondiali. È comunque indubbio anche l’effetto eco che la trasformazione di settori critici sotto il profilo dell’impatto ambientale (produzione energetica, trasporti, carburanti e combustibili su tutti) indurrà sulle decine di filiere a essi collegati, creando una sorta di reazione a catena verso una maggiore sostenibilità dei sistemi economici in generale. È forse una visione ottimistica di un fenomeno di cui è difficile individuare i termini temporali ma che viene sposato con entusiasmo dalle economie più robuste del pianeta. L’ottimismo del nuovo corso dettato da Barack Obama all’insegna della sostenibilità permea già la comunicazione politica d’oltreoceano e muove enormi capitali influenzando la visione economica degli analisti. La Fast Company, un’azienda americana specializzata nel monitorare le tendenze economiche e sociali e nell’individuare i settori più promettenti del mercato, segnala in un rapporto di recente pubblicazione la top ten delle professioni nei prossimi anni: stupisce scoprire che le dieci voci di questo elenco richiamano tutte attività caratterizzate da una forte ricaduta ambientale. Al primo posto viene il settore produttivo più antico della storia dell’umanità: l’agricoltura. I farmers america-
introduzione
ni stanno diventando sempre più vecchi e la loro età media è sempre più vicina a quella limite per la pensione. Secondo gli analisti, è necessaria una nuova generazione di giovani imprenditori agricoli, con aziende medio-piccole a carattere locale, ovvero che operano più vicine ai luoghi del consumo dei prodotti. In questo si legge un’applicazione del sistema a chilometri-zero, uno degli aspetti cruciali della produzione alimentare sostenibile; inoltre, le dimensioni prospettate per le nuove imprese agricole fanno pensare a un aumento della qualità del prodotto agricolo medio, a una maggior attenzione alla biodiversità agricola e forse finalmente a un’ampia diffusione delle coltivazioni biologiche. Sorprendentemente (se a leggere la classifica è un italiano) segue in classifica, al secondo posto, il comparto forestale. Futuro roseo negli Stati Uniti per gli esperti in tecniche forestali che potranno trovare nuove possibilità di lavoro anche e soprattutto nei programmi internazionali di cooperazione che prevedono la riforestazione nei paesi in via di sviluppo: le unità di compensazione delle emissioni di CO2 ottenute attraverso la riforestazione, spesso in paesi tropicali o sub tropicali, sembra saranno un mercato molto interessante. È probabile che un domani, indipendentemente dai meccanismi innescati dal post Kyoto, la riforestazione sarà considerata uno strumento di pura riqualificazione ambientale e, in un’ottica socioeconomica, questa prerogativa rappresenterebbe un grande valore. Al terzo posto vengono gli installatori di impianti solari: secondo l’associazione americana degli industriali dell’energia solare, gli impianti sulle case sono destinati ad aumentare considerevolmente e sono prevedibili oltre 100.000 nuovi posti di lavoro, ben retribuiti, entro il 2016. Il numero di occupati può anche crescere se l’impiantistica solare verrà in qualche modo sostenuta fiscalmente dal governo. Segue l’efficienza energetica. Migliorare l’efficienza degli edifici pubblici (migliore uso dell’energia, risparmio, isolamenti...) richiederà oltre un milione di nuovi tecnici ed esperti. L’efficientamento e la conservazione delle risorse energetiche rappresentano due delle maggiori priorità in campo energetico, soprattutto nel momento della conversione di un sistema energetico basato quasi esclusivamente sull’energia ricavata dai combustibili fossili in uno basato largamente su fonti rinnovabili.
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Al quinto posto, ancora l’energia, ma questa volta quella dal vento. Le fabbriche di microturbine eoliche, per uso domestico, hanno già fatto registrare un incremento di 10.000 posti di lavoro e numeri più elevati sono previsti per questo che è il settore delle energie rinnovabili in più rapida crescita, ma è anche quello con forse meno prospettive di sviluppo a lungo termine, essendo il più “anziano”. Sembra che il futuro economico sia in mano a tecnici e tecnologi di varia natura, e invece nella classifica della Fast Company trovano spazio anche i ricercatori universitari: non stiamo parlando solo di figure tradizionalmente ambite dal tessuto industriale come fisici, matematici o ingegneri, ma anche di biologi, naturalisti e ambientalisti: un piccolo esercito di esperti della conservazione che saranno richiesti dalle grandi compagnie a mano a mano che queste comprenderanno il valore degli ecosistemi e della loro conservazione per lo sviluppo dell’economia. In settima posizione “i colletti verdi”, ossia manager ed esperti commerciali con nuove specializzazioni capaci di gestire imprese e commerci più sostenibili: le regole del mercato non potranno non risentire delle nuove regole della produzione. Soltanto all’ottavo posto (e questo può sorprendere) vengono gli esperti del riciclo. Nonostante la grave crisi economica globale che ha abbassato il costo delle materie prime, riciclare conviene più che “gettar via” e le politiche di incentivazione statali aiuteranno ad accrescere la quantità e la qualità di beni che devono essere riciclati e, di conseguenza, anche la ricerca di nuove tecniche di uso e riuso dei materiali. Il nono posto è occupato da una specializzazione di livello più alto: lo sviluppatore di sistemi sostenibili che verrà impiegato soprattutto nel settore delle tecnologie informatiche, per la progettazione di sistemi di supporto per le energie rinnovabili e l’efficienza energetica. Al decimo posto, infine, ingegneri e architetti esperti di pianificazione territoriale e urbana sostenibile. È una lista che sa di buoni propositi per il futuro, ma date le cifre che la Casa Bianca immagina di stanziare nella new green economy è probabile che non sia lontana dalla realtà. Nel nostro paese la situazione è diversa. Nonostante l’enorme patrimonio naturale e investimenti comunque consistenti in vari settori verdi, sotto il profilo ambientale l’Italia è piuttosto arretrata, specie rispetto
introduzione
ad altri stati europei che dell’ecosostenibilità hanno fatto un tema politico cogente da anni (specialmente gli stati del Nord e Centro Europa, su tutti la Germania). Senza dubbio, alcuni fattori esterni faranno inevitabilmente da traino per l’Italia: ovviamente il nuovo corso Usa; sicuramente la sterzata della Cina e la sua crescente capacità di influenzare i mercati globali; ma soprattutto la recente direttiva 20-20-20 dell’Unione europea, che ha valore di legge anche per il nostro paese e che prevede un massiccio ricorso alle rinnovabili e all’efficienza energetica entro il 2020. Piaccia o no, la green economy indurrà notevoli cambiamenti anche nella nostra economia. Mentre questo libro prendeva forma e si arricchiva di dati e contributi preziosi, ci si è resi conto che se il panorama mondiale degli ecolavori è ancora piuttosto indefinito e viene descritto, tutto sommato, solo da pochi dati credibili, nel Bel Paese la situazione non è ancora stata analizzata. Quello che state leggendo si può considerare a ragion veduta il primo tentativo di raccontare cosa attende milioni di professionisti italiani nei prossimi anni. Così, approfondendo l’indagine, abbiamo scoperto che i green job impiegano oggi tra gli 850.000 e i 950.000 italiani (considerando o meno i flussi indotti) che nei prossimi dieci anni diventeranno 1.300.000-1.500.000, se si vorranno e si sapranno applicare le giuste politiche, dando priorità a quei comparti ad alta innovazione sia di processo sia di tecnologia, piuttosto che cercando di consolidare interessi economici ancorati al secolo scorso. Cifre interessanti, che indicano come il settore ambiente, seppur meno propagandato che in altri paesi, è vivo anche nel contesto dell’economia nazionale e presenta tutti i sintomi della controtendenza economica in tempo di crisi che mostra altrove, in giro per il mondo. Questo ci ha rincuorato e ci ha dato la possibilità di dare qualche buona notizia, soprattutto ai giovani che hanno appena compiuto o stanno per compiere i primi passi in un mondo del lavoro effettivamente contratto e poco ospitale. L’ottimismo che nutriamo nei confronti dell’economia verde che sarà non è stato stemperato da una situazione attuale nebulosa, ed è stato confermato dalle risposte degli esperti di settore che dal loro punto di vista privilegiato ci hanno aiutato a fotografare il presente e a scrutare il futuro.
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Alcuni aspetti dello scenario italiano sembrano scontati e ripropongono lo schema globale. Anche nel nostro paese, per esempio, la crescita vertiginosa delle energie rinnovabili, iniziata nel 2009, dovrebbe continuare nel 2010. Enormi sono gli sviluppi previsti per il settore della propulsione, su cui confluiscono imponenti investimenti dell’industria privata e incentivi statali concepiti per stimolare un mondo dei trasporti sempre più sostenibile. Ridurre i consumi e contenere le emissioni il più possibile: questi sono i due imperativi del comparto automotive e, perciò, combustibili alternativi, propulsori elettrici e ibridi oltre a un grande sforzo per migliorare le prestazioni e l’efficienza dei nuovi motori (termici e non) rappresentano la missione di chiunque si occupi di ricerca & sviluppo nel settore. L’imminente ripresa del settore edilizio sembra essere all’insegna dell’efficientamento energetico, sia per le nuove costruzioni sia per la riqualificazione delle vecchie. Oltre all’ovvia richiesta di manodopera, tipica di ogni espansione di un mercato così basilare per l’economia, ci saranno opportunità di impiego per architetti, ingegneri e designer, esperti di illuminotecnica e produttori e distributori di infissi e isolanti, solo per citare alcune professionalità tra la moltitudine di quelle coinvolte nel processo di efficientamento di un edificio. Con la fine delle grandi discariche, secondo alcuni imminente, la maggior parte dei rifiuti diverrà una preziosa risorsa. L’evoluzione delle tecnologie del riciclo, la concezione di nuovi materiali dalla vita più lunga e più facili da riciclare oltre alla possibilità di produrre energia dai rifiuti stessi dovrebbero rendere la pratica dell’accumulo degli scarti umani in discarica un ricordo (triste) del passato. Se così sarà, anche il settore della gestione dei rifiuti richiamerà una moltitudine di addetti a tutti i livelli: dagli operatori ecologici ai progettisti di cicli di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, fino agli esperti nei mercati delle materie prime riottenute dal riciclaggio. Senza dimenticare che la dismissione delle discariche e le conseguenti bonifiche delle aree che le hanno ospitate (a volte per decenni) darà tanto e tanto a lungo da lavorare a chimici, ingegneri e tecnici ambientali impegnati nelle operazioni di riqualificazione.
introduzione
Anche il terziario avanzato verrà investito dall’onda verde. Il marketing ambientale sarà un’arma commerciale sempre più impiegata dalle aziende che dovranno capitalizzare con strategie di mercato quanto saranno spinte a migliorare della propria performance ambientale dalle normative sempre più stringenti. La comunicazione ambientale diventerà così un sine qua non delle agenzie di comunicazione e degli uffici della comunicazione delle aziende (al pubblico ma anche interna). Tanti e tali saranno i nuovi business da interessare, ovviamente, la finanza, a ogni livello. È probabile che si moltiplicheranno i fondi basati su attività legate alla green economy e che si moltiplicheranno consulenti e analisti specializzati nel settore. Gli avvocati che avranno una specializzazione sulle normative ambientali tendenzialmente saranno facilitati nel trovare impieghi interessanti, dato che sempre più aziende avranno bisogno di legali per consulenze in materia. Non va poi dimenticata l’attività legale dalla parte dei cittadini e delle comunità per affermare il proprio diritto alla qualità dell’ambiente. Anche il settore dell’amministrazione pubblica si aprirà agli esperti del settore, siano essi legali, tecnici o finanziari. Cambieranno pure i modi di amministrare del territorio, da sempre tra le priorità di comuni e regioni, perché le risorse naturali assumeranno un valore anche economico diverso all’insegna dell’equilibrio tra tessuto produttivo e ambiente. Reggerà il mondo della produzione agricola, dove sempre più si punterà sulla qualità e tipicità dei prodotti italiani. Le aree protette funzioneranno sempre più da catalizzatori turistici: già oggi parchi, riserve e aree marine protette nascono a volte per favorire l’afflusso di turisti sul territorio, nella ricerca di un compromesso tra turismo sostenibile e conservazione. Per molte di queste figure, anche se opereranno in settori non direttamente connessi alla tutela dell’ambiente e alla sua valorizzazione, è innegabile il bisogno di una formazione ambientale, scientifica o tecnica o di una specializzazione in tal senso. Chi si affaccia sul mercato avrà modo di impostare il suo percorso formativo alla luce della mutazione verde del sistema, mentre chi già lavora da un po’ dovrà riqualificarsi
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con corsi di formazione, master o con lo studio e approfondimento. Si pensi a settori come quello finanziario, alla comunicazione e ai media in generale, oppure al marketing. In queste aree le tecniche e la prassi non cambieranno radicalmente ma muteranno i contenuti e gli obiettivi. Comunicare tematiche ambientali o gestire tecnologie verdi implicano un approfondimento della materia che si può ottenere solo con un “supplemento” formativo, un’integrazione delle proprie competenze necessaria per garantire la qualità della propria performance. Allo stesso modo, l’aver scritto di cronaca per decenni non dà le conoscenze necessarie per poter scrivere di cambiamenti climatici, e investire in campo tecnologico implica una capacità previsionale che si costruisce soltanto su competenze tecniche, magari non troppo approfondite, ma almeno molto specifiche. In Italia l’esplosione dei green jobs conoscerà vari ostacoli: una formazione tecnico professionale ancora troppo a macchia di leopardo e non coordinata; un’università dove il disamore per i percorsi scientifici non riesce a offrire tanti laureati quanti ne richiede invece l’industria; l’attuale mancanza di un sistema di incentivi statali organizzato e coerente; una burocrazia bizantina... È un quadro che culturalmente e storicamente è sempre risultato poco reattivo a fronte di mutamenti rapidi e profondi, eppure c’è un mondo che corre e che per forza ci attirerà nella sua scia, aprendo le frontiere socioeconomiche del nostro paese alla green economy. Grande speranza viene dalle imprese e dagli imprenditori italiani che, come dimostra questo libro, sanno innovare e innovarsi puntando su prodotti di qualità, e si guardano attorno per anticipare il mercato globale piuttosto che subirlo come spesso ci è accaduto. Questi imprenditori illuminati e i giovani che stanno entrando nel mondo del lavoro o stanno completando in questi anni il loro percorso formativo hanno ancora l’opportunità di vivere da pionieri questo cambiamento che forse renderà migliore sia la vita economica delle nazioni sia l’esistenza dell’uomo medio e la salute dell’ambiente in cui viviamo. Ma un’ultima cosa ci preme ricordare, che non ci sono green jobs, ecolavori o lavori verdi laddove la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori non è rispettata. Su questo punto il rapporto delle Nazioni Unite è
introduzione
molto chiaro: “I lavori verdi devono necessariamente essere lavori dignitosi, vale a dire lavori che offrono un salario adeguato, condizioni di lavoro sicure, sicurezza del posto di lavoro, prospettive ragionevoli di carriera e rispetto dei diritti del lavoro. I mezzi di sostentamento e il senso di dignità delle persone sono strettamente legati al loro lavoro. Un lavoro inteso a sfruttare, e di conseguenza condannare le persone a una vita di povertà può difficilmente essere ritenuto ‘verde’. Vi sono oggigiorno milioni di lavori in settori ‘verdi’ come l’industria del riciclo di materiale elettronico in Asia, oppure le piantagioni di prodotti per la produzione di biocarburante nell’America Latina, ma la loro realtà giornaliera è caratterizzata da pratiche che espongono i lavoratori a sostanze nocive e pericolose oppure privano loro della libertà di associazione”. E quando tutto sarà “verde”? Cosa accadrà quando l’onda verde sarà passata? Accadrà ciò che è sempre accaduto quando l’impeto di una rivoluzione economica e di pensiero avrà esaurito il proprio momento: si partirà da una nuova base per concepire nuovi spazi economici e filosofici da esplorare. Ma ci vorrà molto tempo. E non vediamo l’ora che quel tempo arrivi, quando definire “green” un lavoro non avrà più senso e gli ecolavori saranno considerati obsoleti residui del passato.
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