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tascabili dell’ambiente
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Valerio Rossi Albertini e Mario Tozzi
il futuro dell’energia
guida alle fonti pulite per chi ha poco tempo per leggere realizzazione editoriale Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it coordinamento redazionale: Anna Satolli progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo © 2011, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02 45487277, fax 02 45487333 ISBN 978-88-6627-022-5
Finito di stampare nel mese di luglio 2011 presso Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR) Stampato in Italia – Printed in Italy Questo libro è stampato su carta Oikos
i siti di edizioni ambiente: www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.verdenero.it www.puntosostenibile.it
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il futuro dell’energia Guida alle fonti pulite per chi ha poco tempo per leggere
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sommario
prefazione
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introduzione
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1. il problema dell’energia
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2. i reattori nucleari
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esaurimento dei combustibili fossili e necessità di fonti non inquinanti cos’è l’energia nucleare come produrre elettricità dall’energia nucleare le generazioni dei reattori: dalla pila di enrico fermi ai reattori attuali la catastrofe evitabile di fukushima pregi e difetti tecnici del nucleare l’eredità di una centrale nucleare
3. le fonti rinnovabili tradizionali
i pannelli solari: una grande intuizione... di un secolo fa il solare termico: gli specchi ustori di archimede l’eolico: il mulino a vento l’idroelettrico: il mulino ad acqua l’energia dalle maree il geotermico: geyser e soffioni artificiali
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4. le fonti rinnovabili innovative
la scienza del xxi secolo all’opera i pannelli solari a materiali plastici: una busta della spesa come elemento attivo le celle a combustibile le batterie a ioni di litio prospettive e conclusioni: una sbirciatina attraverso la serratura della porta sul futuro
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prefazione
Secondo il centro di ricerche sui rapporti tra scienza e società Observa, la maggioranza degli italiani non è in grado di rispondere correttamente a tre domande di cultura scientifica di livello elementare: a cosa servono gli antibiotici, se il Sole sia una stella o un pianeta, quale sia più grande tra atomo ed elettrone. Sono dati che cito spesso, poiché mi paiono estremamente significativi e allarmanti. Quali le cause di questo stato di cose? In genere si attribuisce il diffuso analfabetismo tecnico-scientifico italiano alla prevalenza della cultura umanistica, sancita dalla riforma dell’istruzione pubblica di Giovanni Gentile del 1923. Ad ogni modo, l’atteggiamento di indifferenza o di leggerezza di molti di noi nei confronti della scienza è un dato di fatto, che a sua volta si lega a filo doppio al problema dei finanziamenti alla ricerca. Da un lato, un paese con un tessuto economico basato su piccole e medie imprese, poco propense agli investimenti in innovazione, induce a vedere la ricerca scientifica come un elemento non fondamentale per la crescita. Dall’altro, la scarsa sensibilità culturale per questo settore influisce negativamente nelle scelte dei decisori amministrativi, politici e imprenditoriali. Altro elemento da considerare in questo scenario, la penuria di immatricolazioni e di laureati in alcune facoltà scientifiche che,
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nonostante la crisi economica e occupazionale, pone addirittura il problema del reperimento di personale qualificato per alcuni comparti. Una corretta informazione scientifica non è semplicemente una necessità culturale, dunque. È un elemento essenziale per creare le condizioni di un adeguato sviluppo della ricerca, a sua volta strettamente necessario per la crescita economica e le risposte ai bisogni sociali. Più in generale, possiamo dire che una minima preparazione scientifica è necessaria per l’esercizio di una cittadinanza consapevole. Ciascuno di noi è obbligato di continuo a fare scelte e dare risposte per le quali tale preparazione è indispensabile. Quest’anno non bisogna andare troppo lontano per trovare un esempio: siamo stati chiamati a pronunciarci in due referendum, sul nucleare e sull’acqua, nei quali la valutazione degli elementi tecnico-scientifici è ovviamente determinante. Eppure, avendo seguito anche solo distrattamente il dibattito che ha accompagnato la consultazione referendaria, è parso chiaro quanto in essa abbiano inciso soprattutto elementi ideologici, politici ed emotivi. Non a caso, il già citato sondaggio di Observa ci informa che gli italiani, posti di fronte a questioni di grande interesse pubblico come gli organismi geneticamente modificati, nella stragrande maggioranza non si sottraggono a schierarsi pro o contro. Se però si va, anche qui, a indagare il motivo delle scelte, compaiono in gran parte valutazioni rispettabili, talvolta nobili, ma che non riguardano il merito scientifico. Quanti di noi saprebbero dire con precisione cosa sono gli OGM, come vengono prodotti, quali esistono già, se sono pericolosi per la salute e per l’ambiente? In questo panorama, a tratti poco confortante, il tema delle fonti energetiche si pone con un’importanza centrale. La nostra vita
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ha sempre più bisogno di energia, come pure il resto del mondo, dove alcune delle aree più popolose stanno conoscendo un progresso socio-economico acceleratissimo, simile a quello che nei decenni scorsi ha spinto l’Italia nel gruppo dei paesi più ricchi e avanzati. La scelta di un pacchetto energetico articolato e adeguato alle nostre esigenze è fondamentale, quanto complessa, anche in termini di indipendenza e sicurezza, compatibilità e sostenibilità. In una situazione così complicata, il libro del fisico Valerio Rossi Albertini e del geologo Mario Tozzi rappresenta sicuramente un utile strumento di informazione, per il taglio divulgativo e per il tono accattivante. Qualità che del resto caratterizzano gli autori, il primo forte di una recente e intensa esperienza di commentatore in televisione e per la carta stampata, il secondo ormai da tempo affermato tra i nostri principali divulgatori. Questo, ovviamente, senza nulla togliere alla correttezza, completezza e precisione dei dati scientifici, garantite dalle competenze degli autori, entrambi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il nostro maggior ente di ricerca pubblico (anche se, in questo testo, non illustrano attività di ricerca del CNR, né posizioni istituzionali ufficiali). L’insieme delle fonti alternative esaminate in queste pagine – dalle varie forme e generazioni del nucleare, alle rinnovabili sia tradizionali, sia di nuovo tipo – rientra nella ricerca di alternative all’uso dei combustibili fossili, tanto per ovviare al loro possibile esaurimento, quanto, soprattutto, per ridurne l’impatto delle emissioni, nocive per l’ambiente. Un aspetto, questo, sul quale la sensibilità sociale si è molto acuita nel corso degli ultimi decenni. Va però chiarito che non esistono fonti perfette, capaci di garantire approvvigionamenti energetici illimitati o almeno sufficienti a soddisfare i consumi a cui siamo abituati e che, nel con-
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tempo, non abbiano alcuna controindicazione. Dovremmo anzi riflettere sulla dubbia coerenza della nostra ambizione a ridurre o, addirittura, annullare l’impatto dell’uomo sull’ambiente, senza però essere disposti a ridurre parallelamente la nostra pretesa di uno sviluppo consumistico incontrollato. D’altronde, nel progresso del genere umano il miglioramento delle opportunità si accompagna sempre a un corrispondente avanzamento delle esigenze: un po’ come nell’informatica, per fare un esempio noto a tutti, dove le aumentate capacità e velocità dei computer vengono in gran parte destinate all’uso di programmi sempre più complessi, sofisticati e pesanti. Dobbiamo pertanto essere grati a Rossi Albertini e Tozzi per il lavoro compiuto qui e, più in generale, per le energie che destinano alla comunicazione e divulgazione della ricerca scientifica. Al di là dei contenuti della loro attività e delle posizioni che assumono – non sempre coincidenti, peraltro, a conferma di quanto il libero dibattito sia connaturato alla ricerca scientifica – è prezioso il contributo che essi offrono a quello che i paesi da questo punto di vista più avanti di noi chiamano il public understatement of science, la pubblica comprensione della scienza. Marco Ferrazzoli Capo Ufficio stampa del CNR
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introduzione
Il tema della produzione e dell’uso dell’energia investe tanto i settori strategici delle attività produttive, quanto la vita quotidiana dei singoli cittadini. I tragici fatti di Fukushima, la polemica sugli incentivi alle fonti rinnovabili, prima concessi, poi ritirati e, infine, reintrodotti in altra forma, impongono una riflessione collettiva su un tema cruciale per le sorti di qualunque paese industrializzato. Molti, non a torto, lamentano la scarsa informazione su questa delicata materia e sostengono la propria incompetenza a esprimersi sull’opportunità di abbracciare o rifiutare l’opzione nucleare, anche a prescindere dall’esito del referendum, che ha respinto il progetto di costruzione di centrali in Italia con il 95% dei voti. In particolare, c’è una diffusa insoddisfazione per il modo in cui vengono trattati o, peggio, taciuti questi argomenti da parte di televisione e organi di stampa, come se si trattasse di questioni marginali o transitorie. I pochi programmi di approfondimento troppo spesso si concentrano su aspetti contingenti, come il contenuto dei decreti, i valori dei consumi espressi in megawatt e chilowattora, le polemiche sorte per
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questo o quel provvedimento, ma di cosa si stia realmente parlando resta un’idea molto vaga, che giustifica l’incertezza del comune cittadino. In questo libro, quindi, non affronteremo alcuni grandi temi come il risparmio e l’efficienza energetica, seppure centrali in tale contesto, accantonando anche il dilemma relativo agli aspetti economici e sociali dell’energia nucleare, e tratteremo solo per completezza di informazione i rischi per la salute pubblica e la sicurezza, che sono in corso di valutazione da parte della Commissione Europea dopo la vicenda di Fukushima. Lo scopo che invece ci prefiggiamo è di spiegare cosa e quali siano le fonti alternative di energia. Non una trattazione rigorosa e approfondita sotto il profilo tecnico, già oggetto di numerosissimi manuali, ma una discussione piana e comprensibile, in cui faremo ricorso sistematico a esempi tratti dalla vita di tutti i giorni e dall’esperienza comune. I nostri strumenti saranno più quelli della narrativa, che della matematica, come la metafora, la parabola, l’analogia, la similitudine, il cenno storico, la citazione. Escluderemo senza misericordia ogni formula algebrica e ridurremo dati e cifre allo stretto indispensabile, sforzandoci di rendere il più comprensibile possibile il tema delle fonti di energia alternativa, pur nel rispetto della correttezza di informazione. Pertanto da un’iniziale discussione, sempre nei termini descritti, sui reattori nucleari, passeremo a illustrare le fonti rinnovabili, che suddivideremo in tradizionali e innovative. Per tradizionali intenderemo quelle attualmente in commercio (pannelli fotovoltaici al silicio, pale eoliche, specchi solari, impianti idroelettrici e geotermici); per innovative, quelle in fase di col-
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introduzione
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laudo nei laboratori di ricerca (pannelli fotovoltaici plastici, sia solari che a raggi infrarossi; celle a combustibile idrogeno; dispositivi per l’accumulo come le batterie a ioni di litio). Tra i vari soggetti a cui si è accennato, tratteremo con particolare riguardo l’ultimo, ovvero le fonti rinnovabili innovative, perché sono quasi sempre escluse sia dai dibattiti sulle energie alternative, come se non fossero una realtà presente e utilizzabile, sia da ogni guida di facile consultazione. Le fonti rinnovabili, specialmente le innovative, rappresentano un’opportunità di cambiamento non solo nelle modalità di approvvigionamento, ma anche nello scenario dell’economia futura. Fermo restando che grandi fabbriche o insediamenti urbani dovranno comunque essere riforniti da centrali di alta potenza che soddisfino le necessità civili e industriali, il fabbisogno delle medie e piccole utenze potrebbe essere garantito da un sistema produttivo autonomo, tramite impianti in loco. I risultati delle ricerche in corso sulle fonti rinnovabili di nuova generazione prefigurano un prossimo abbassamento sostanziale dei costi, preliminare a ogni prospettiva di distribuzione capillare degli impianti. La conseguenza sarà la tanto auspicata, e mai realizzata, democrazia energetica, in cui ogni utente possa produrre in proprio l’energia che gli occorre, liberandosi dal controllo dei prezzi esercitato dai potentati economici che gestiscono tanto le fonti, quanto le linee di trasporto e smistamento dell’energia. Un altro effetto benefico sarà rappresentato dalla nascita di nuovo impiego in questo settore e nel suo indotto. In Germania, dopo l’annuncio della soppressione, entro una decina di anni, delle centrali nucleari oggi in funzione (e che coprono oltre il 20% del fab-
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bisogno tedesco), si sta pianificando una produzione massiccia di fonti rinnovabili che comporterà la creazione di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. Inevitabilmente, nel corso dell’esposizione, ci troveremo a riaffermare il ruolo centrale che la scienza riveste per il progresso della società, concetto più propagandato, che praticato, da governi e imprese. Questa consapevolezza stimola un’ultima riflessione che ci ha spinto, anch’essa, a far conoscere e capire meglio le energie alternative, e che riguarda ricerca scientifica e finanziamenti. È noto che la Cina investe una frazione consistente del suo enorme PIL in ricerca e sviluppo, per una cifra complessiva stimata intorno ai 50 miliardi di dollari. Il polo tecnologico e industriale di Shanghai ha da solo oltre 50.000 addetti. A titolo di confronto, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, che è il più grande ente scientifico pubblico d’Italia (e uno dei più grandi d’Europa), ha soltanto 8.000 dipendenti. I prodotti cinesi, pur se ancora di modesto contenuto tecnologico, hanno già conquistato ampie quote di mercato, grazie al basso costo della mano d’opera e alla disponibilità di materie prime locali. Finora l’Italia vanta una tecnologia più avanzata di quella cinese e riesce quindi a competere nei settori a più alto contenuto tecnologico. Tuttavia, considerando il ritmo di crescita impressa dalle autorità cinesi, è prevedibile che in cinque, o massimo dieci anni, la Cina potrà raggiungere o sorpassare l’Italia anche sotto l’aspetto tecnologico. In quel momento, i prodotti italiani, primi tra tutti i dispositivi per la produzione di energia (per i quali la Cina ha un piano di sviluppo spe-
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ciale) saranno fuori mercato, perché molto più costosi a parità di caratteristiche tecniche. Allora saremo forse costretti a tornare a occuparci di abiti, scarpe, prodotti alimentari e turismo, per non dichiarare bancarotta. Un po’ poco per il settimo paese più industrializzato del mondo. Occorre pensarci e provvedere ora, perché domani potrebbe essere tardi. Abbiamo così brevemente riassunto i motivi per conoscere e capire meglio le energie alternative. La sfida che ci accingiamo a raccogliere è di mettere tutti i lettori nella condizione di farlo. “Il concetto vi dissi, or ascoltate come egli è svolto. Andiam, incominciamo”. Tonio, prologo da I Pagliacci, Ruggero Leoncavallo
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1. il problema dell’energia
esaurimento dei combustibili fossili e necessità di fonti non inquinanti
Una società industrialmente avanzata ha bisogno di due “ingredienti” indispensabili per svolgere le proprie attività e svilupparsi ancora di più: le materie prime e l’energia. Tuttavia, le materie prime sono, in certa misura e, almeno temporaneamente, intercambiabili. Ad esempio, per il riscaldamento di un ambiente si può usare come combustibile la legna, il carbone, il metano o il kerosene. Al contrario, l’energia elettrica per il funzionamento di macchine, apparecchi e dispositivi è insostituibile. Gran parte della sfida futura tra le nazioni industrializzate si giocherà, appunto, sul tavolo dell’energia. I paesi dove l’energia abbonda sono destinati a progredire e prosperare; quelli dove scarseggia, a languire e a cedere alla concorrenza straniera. Finora l’approvvigionamento energetico è stato garantito soprattutto dalle riserve di combustibili fossili, come carbone, gas naturale e petrolio. Il loro sfruttamento è stato spesso intensivo, come se le scorte dovessero essere inesauribili, ignorando o, almeno, sottovalutando le ripercussioni sull’ambiente del loro
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uso indiscriminato. Negli ultimi anni è diventato evidente che questo ritmo forsennato non sarà sostenibile ancora a lungo. A questo proposito, due aspetti vanno tenuti in considerazione. Da una parte, l’effetto della combustione dei materiali fossili provoca, oltre all’inquinamento dovuto al rilascio di sostanze estranee all’ambiente e pericolose per gli ecosistemi, anche massicce emissioni della famigerata CO2, l’anidride carbonica, più correttamente definita biossido di carbonio. Benché tale gas sia presente in natura, il suo eccesso è una delle cause principali del surriscaldamento del pianeta, dovuto al cosiddetto “effetto serra” di origine antropica, ovvero all’azione dell’uomo. Infatti, in una serra, la luce del Sole penetra dai pannelli trasparenti e riscalda il terreno. Una volta trasformata in calore, l’energia dei raggi luminosi non riesce più a fuoriuscire, con il risultato che la temperatura dell’ambiente aumenta progressivamente. Lo stesso effetto si sperimenta nelle giornate primaverili quando, entrando nell’automobile parcheggiata al tenue Sole di primavera, si avverte un caldo inaspettato. La luce del Sole, filtrata attraverso i finestrini e il parabrezza, ha scaldato la tappezzeria dei sedili producendo un innalzamento della temperatura nell’abitacolo. Analogamente ai pannelli di una serra, la cappa di CO2 che si stratifica in cielo permette il passaggio “a senso unico” della luce del Sole, non consentendo al calore prodotto al suolo di riattraversarla in senso inverso e di disperdersi nello spazio esterno. D’altra parte, le riserve di combustibili non sono illimitate e molti giacimenti si sono già esauriti, non potendo essere sempre rimpiazzati da altri di recente scoperta. Le risorse, presto o tardi, in venti o forse quarant’anni, a seconda delle stime, sono
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comunque destinate ad assottigliarsi in modo consistente, facendoci fatalmente precipitare nella crisi più acuta che il mondo moderno abbia mai sperimentato. Le instabilità geopolitiche per l’accaparramento delle risorse energetiche, quando questo momento comincerà ad avvicinarsi, sono facilmente prevedibili, benché non sia altrettanto prevedibile l’esito della contesa. Disinnescare questo circuito letale è compito degli uomini di buona volontà, siano essi governanti, manager del sistema industriale o comuni cittadini che, con coraggio e lungimiranza, devono predisporsi adesso a scongiurare un tale pericolo. Oltretutto, il petrolio, la principale fonte di energia, è la materia da cui ricaviamo i polimeri, ovvero gomme e plastiche, che costituiscono una componente essenziale di quasi tutti gli oggetti con qualche minimo contenuto tecnologico. Bruciare il petrolio significa privarsi di queste materie vitali e dagli innumerevoli impieghi, molti dei quali, sorprendenti e inaspettati, stiamo scoprendo negli ultimi anni e saranno illustrati nel quarto capitolo di questo tascabile. Quando arriva una tecnologia più evoluta e matura, occorre vincere ritrosia e pigrizia, pessime consigliere nelle scelte strategiche, e abbandonare progressivamente il vecchio per abbracciare il nuovo. Lo sceicco Ahmed Zaki Yamani, ex ministro saudita dell’Energia, disse una volta una frase rivelatrice: “L’età della pietra non si è conclusa per mancanza di pietre”. Noi ci associamo nel dire che è ormai ora di concludere l’età del petrolio come fonte egemone di energia e trovare soluzioni alternative più praticabili e salutari, anche se di petrolio ce ne fosse ancora molto. In questo libro intendiamo discutere tali alternative.
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Nel secondo capitolo è discussa l’opzione nucleare. In termini semplici e discorsivi, sarà brevemente illustrato il principio su cui si basa il funzionamento di un reattore; come un reattore possa produrre elettricità ; in cosa consistano le varie generazioni (la seconda, dei reattori di Fukushima; la terza, di quelli che erano stati previsti in Italia; la quarta, proposta ma non ancora messa in atto); i vantaggi e i problemi di questa soluzione; il destino delle scorie prodotte e delle varie parti dell’edificio del reattore che, essendo esposte all’emissione di radiazione, diventano a loro volta radioattive. Verrà inoltre mostrato come un reattore nucleare per la produzione di energia elettrica non differisca molto, in linea di principio, dalla caldaia di casa. In entrambi i casi è presente un elemento attivo, ovvero un fornello (solitamente a gas quello di casa, e a combustibile nucleare quello del reattore), un circuito idraulico che passa in prossimità del fornello per consentire il riscaldamento dell’acqua e un sistema di emissione del vapore prodotto dall’acqua calda (con cui si può fare il bagno turco nelle cabine doccia appositamente predisposte, mentre nelle centrali nucleari si fanno girare delle eliche, dette turbine). Si mostrerà anche che le tre successive generazioni: s LA PRIMA IN CUI ANZICH£ L ACQUA SI IMPIEGAVA UN GAS COME fluido da riscaldare; s LA SECONDA IN CUI SI USAVA SEMPLICE ACQUA s LA TERZA IN CUI SI USA ACQUA COMPRESSA COME IN UNA PENTOla a pressione; rappresentano altrettante migliorie a uno stesso progetto originario, il cui principio di funzionamento è, però, rimasto invariato.
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Il terzo capitolo è dedicato alle fonti di energia rinnovabili “tradizionali”, dove per tradizionali si intendono quelle attualmente commercializzate e in uso. Esse convertono l’energia degli agenti naturali, il vento, il moto dell’acqua, il calore sotterraneo e la luce del Sole. Infatti, quelle che adesso chiamiamo pale eoliche sono le figlie legittime dei mulini a vento; le centrali idroelettriche sono basate sul concetto dei mulini ad acqua, con cui si macinava il grano e si azionavano i frantoi; le fonti geotermiche altro non sono che una variante, più o meno artificiale, dei geyser islandesi o del Parco di Yellowstone negli Usa e dei fenomeni connessi al vulcanismo nostrano, come i soffioni di Larderello in Toscana e le fumarole dei Campi Flegrei in Campania. Il solare termico, che utilizza superfici opportunamente sagomate per riflettere e concentrare la luce del Sole, è di diretta derivazione dagli “specchi ustori”, con cui si narra che Archimede abbia respinto l’assalto della flotta romana del console Claudio Marcello nel terzo secolo a.C. Perfino i pannelli solari fotovoltaici, attualmente utilizzati per soddisfare le esigenze di singoli utenti o piccole comunità, esistono da oltre mezzo secolo. Hanno parecchie controindicazioni, come il costo elevato e la tossicità di alcuni componenti. Ciò li rende, al termine della loro vita, rifiuti speciali che richiedono procedure idonee allo smaltimento. una pausa di riflessione Il vantaggio di tutte queste fonti consiste nel fatto che la loro tecnologia è ormai collaudata e consolidata. Si sa come realizzarle, gestirle, dismetterle al termine del loro funzionamento, seguendo protocolli
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ben definiti in ogni singolo aspetto. Purtroppo, questa stessa caratteristica è anche il loro limite. La tecnologia su cui sono basate consente poche evoluzioni sostanziali. Abbiamo spremuto quasi tutto quello che erano in grado di offrirci. Quando, nel corso della Seconda guerra mondiale, l’aviazione assunse un ruolo sempre più determinante, i paesi che si fronteggiavano tentarono di aumentare quanto più possibile la velocità dei propri aerei. Per quanti sforzi facessero, però, gli ingegneri non riuscivano a conseguire progressi sostanziali. L’aumento della potenza dei motori non si traduceva in un corrispondente aumento della velocità dei velivoli. Il problema era che, oltre un certo limite, l’elica non faceva più presa nell’aria. Anzi, con la sua vorticosa rotazione, iniziava a generare delle bolle cave, cioè prive di aria al loro interno. Siccome l’avanzamento di un aereo a eliche si basa sulla spinta che le pale esercitano sull’aria in cui si avvitano, la presenza di cavità comportava che l’elica cominciasse a girare a vuoto. I tentativi di aumentare ulteriormente la potenza del motore erano inutili, bisognava cambiare metodo. Fu così che i tedeschi cominciarono a produrre jet a reazione e, di seguito, tutti gli altri paesi belligeranti dovettero rapidamente convertirsi alla nuova tecnologia per non cedere il dominio dei cieli. Lo stesso, entro certi limiti, vale in ambito energetico. La contesa tra nucleare e fonti rinnovabili tradizionali può essere equiparata a quella tra i fautori dei giradischi e i fautori dei lettori di nastri magnetici. Ognuno di essi ha validi motivi per sostenere la bontà della propria tesi. I dischi sono più duraturi, ma i nastri sono più leggeri e meno ingombranti; i dischi garantiscono una qualità del suono migliore, ma i nastri possono essere riutilizzati. La questione è che oggi siamo nell’epoca dei riproduttori digitali, gli iPod, che in uno spazio ridottissimo immagazzinano una quantità sterminata di brani musicali, sono più economici sia di un giradischi, sia di un riproduttore per cassette, e incomparabilmente più fedeli nella riproduzione e versatili nei contenuti. È vero, un riproduttore digitale si guasta con più facilità degli apparecchi tradizionali e non può essere praticamente riparato, per cui occorre sostituirlo. Però ha potenzialità nettamente superiori ai suoi concorrenti convenzionali e i difetti che ancora manifesta possono essere corretti, perché ci sono ampi margini di miglioramento. Così è anche per le fonti energetiche basate sulle nuove tecnologie.
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Il quarto capitolo è appunto ispirato a questo concetto e riguarda le fonti rinnovabili innovative: fonti di energia due volte nuove. La tecnologia del terzo millennio già ci offre soluzioni rivoluzionarie al problema energetico, inimmaginabili solo quindici anni fa. Vengono in nostro soccorso discipline tradizionali come l’elettronica e l’elettrochimica, altre in via di consolidamento, come la scienza dei materiali, e altre ancora del tutto originali, come le nanotecnologie. In particolare, queste ultime stanno fornendo risultati sorprendenti grazie all’acquisita capacità di manipolare la materia e di “disegnare” – atomo per atomo – strutture con le caratteristiche volute. Per capire come, ci si può aiutare con un esempio. Solitamente si pensa che un materiale di composizione chimica nota debba avere proprietà ben definite e indipendenti dalla sua dimensione. Un blocco di metallo possiederà certe caratteristiche, quali conducibilità elettrica e termica (capacità di trasmettere corrente e calore), resistenza alla rottura e alla compressione, lucentezza superficiale (capacità di riflettere o assorbire la luce) a prescindere dalla grandezza del blocco: un blocco di rame di una tonnellata di peso si comporterà, in proporzione, come uno da un quintale e come uno da un chilogrammo. Tuttavia, un paio di osservazioni ci fanno capire che questo non è sempre necessariamente vero. Consideriamo l’albero più alto che esista, la sequoia gigante. Può raggiungere i cento metri di altezza, avendo un diametro alla base del fusto di circa dieci metri. Pensiamo ora a una spiga di grano, alta un metro e con un diametro dello stelo di un millimetro. Siccome in natura non si fanno sforzi inutili, ciò significa che la sequoia ha bisogno che il diame-
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tro del fusto sia circa un decimo della sua altezza, mentre per una spiga è sufficiente che questo rapporto sia un millesimo. Ora consideriamo un oggetto metallico poggiato sulla superficie dell’acqua. Non si è mai visto un chiodo galleggiare. Eppure, posando con molta cautela uno spillo sottile sul pelo dell’acqua, si può constatare che si riesce a evitare che affondi. La superficie dell’acqua si comporta come una membrana elastica che sostiene lo spillo. La conclusione è che, in natura, le dimensioni contano. Questo è vero anche per molti dei componenti attivi su cui si basano i dispositivi avanzati per la produzione di energia. La struttura di membrane e di particelle microscopiche è concepita in modo che abbiano proprietà differenti dai materiali ordinari, per poter svolgere al meglio le funzioni a cui sono destinate. In questo capitolo si proporrà, inoltre, un approccio più generale al problema, un nuovo scenario consistente in una rete integrata di produzione, accumulo, distribuzione e sfruttamento dell’energia. In genere, per soddisfare il bisogno di energia, siamo abituati a considerare l’allacciamento alla rete elettrica, che non prevede la conoscenza delle modalità di generazione e della provenienza dell’elettricità. Nel nuovo scenario è possibile concepire un sistema integrato che contempli un parco per la produzione di combustibile pulito (il gas idrogeno) e sistemi di consumo di tale combustibile nelle aree in cui è richiesta l’energia. In alternativa, per esigenze più moderate, è possibile pensare di avvalersi di produzione locale, tramite pannelli solari plastici di grande estensione o celle a combustibile di alta potenza.
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Pannelli solari a materiali plastici. La sostituzione del silicio e degli altri elementi contenuti nei pannelli fotovoltaici tradizionali (che presentano le controindicazioni illustrate nel terzo capitolo) con elementi plastici economici, riciclabili, atossici e perfettamente ecocompatibili prefigura scenari finora impensati per una conversione efficiente della luce solare. Ci sono progetti oggi in fase di studio che prevedono l’uso del materiale plastico delle buste della spesa ritirate dai supermercati alla fine del 2010 (dopo essere state opportunamente trattate mediante processi chimico-fisici), come componente attivo dei pannelli. Altri tipi di pannelli, che ormai impropriamente sono definiti solari, consentono di produrre elettricità anche quando il cielo sia nuvoloso e, addirittura (sebbene con una resa inferiore), dopo il tramonto del Sole! Questi pannelli, infatti, convertono in elettricità non la luce visibile, scarsa in giornate piovose, e assente di notte, ma i cosiddetti “raggi infrarossi”, anticamente chiamati “raggi calorifici”, che hanno la stessa natura della luce, sebbene non siano percettibili dall’occhio umano, ma solo da appositi apparecchi per la visione notturna. Tali raggi sono sempre presenti, essendo prodotti, oltre che dal Sole, dagli oggetti caldi che ci circondano. Pannello fotovoltaico e pannello solare non saranno più necessariamente sinonimi. Un esempio di come, a volte, la tecnologia evolve più rapidamente del linguaggio che la descrive. I pannelli plastici non presentano le limitazioni di quelli al silicio, che hanno superfici limitate, e possono avere estensioni anche notevoli. È perfino possibile spalmare di materiale plastico attivo le superfici lisce di un palazzo (o spruzzarcelo
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sopra), per rendere la facciata un unico, gigantesco pannello solare. Le possibilità di tale tecnologia sono numerosissime, la maggior parte delle quali ancora inesplorate. Pannelli di questo tipo sono utili anche per un altro scopo, quello di produrre un combustibile assolutamente ecocompatibile, l’idrogeno. Infatti, per usi statici, come in appartamenti e uffici, la corrente generata dai pannelli plastici può essere impiegata direttamente, mentre per la locomozione occorre che l’elettricità sia prodotta senza l’ingombro di un pannello esteso, oppure immagazzinata tramite opportuni accumulatori e utilizzata a comando. A questo scopo altri due apparecchi sono già disponibili: le celle a combustibile e le batterie a ioni di litio. Le prime usano come combustibile l’idrogeno, che combinano con l’ossigeno dell’aria in modo molto più efficiente (perché senza sviluppo di calore) di qualunque motore a combustione interna, come quello delle automobili, in quanto non soggette agli sprechi inevitabili nei processi termici. Il risultato è la produzione di energia elettrica e, come unico sottoprodotto di scarto, acqua purissima. Modelli di dimensioni maggiori sono in grado di fornire elettricità a singoli utenti o piccole comunità, come un condominio, senza alcun tipo di emissione inquinante o di scorie. Le batterie a ioni di litio sono l’evoluzione delle batterie ricaricabili tradizionali, come quelle al piombo (pesanti e tossiche) delle auto. Le batterie a ioni di litio sono già impiegate per alimentare piccoli apparecchi di consumo come telefonini e computer portatili. L’aumento di efficienza di questi accumulatori di elettricità può essere riscontrato pensando alla
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durata di una ricarica di qualche anno fa, rispetto alla durata attuale. Una serie di queste stesse batterie è in grado di azionare il motore elettrico di un’automobile, sostituendo il motore a benzina o diesel tradizionali, inefficienti e inquinanti. Infine, si descriverà un metodo biologico per la produzione di idrogeno da utilizzare nelle celle a combustibile appena descritte. Esistono alcuni batteri che, cibandosi delle sostanze presenti nelle acque reflue, rilasciano idrogeno. In questo modo, è possibile depurare le acque nelle vasche di decantazione della rete fognaria e, simultaneamente, sviluppare gas idrogeno per la produzione di energia.
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