Ecologia letteraria

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ECOLOGIA LETTERARIA

una strategia di sopravvivenza



Serenella Iovino

ecologa letteraria Una strategia di sopravvivenza

Prefazione di Cheryll Glotfelty Con uno scritto di Scott Slovic


Serenella Iovino

ecologia letteraria

una strategia di sopravvivenza Prefazione di Cheryll Glotfelty Con uno scritto di Scott Slovic

coordinamento redazionale:  Paola Cristina Fraschini progetto grafico:  GrafCo3 Milano immagine di copertina:  elaborazione GrafCo3 Milano

© 2006, 2015, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore. ISBN 978-88-6627-166-6 Finito di stampare nel mese di febbraio 2015 presso Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR) Stampato in Italia – Printed in Italy Questo libro è stampato su carta certificata FSC

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sommario

nota dell’autrice

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prefazione

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di Cheryll Glotfelty

introduzione

Che cos’è l’ecocriticism Che cosa studia Quali metodi utilizza Come leggere questo libro

parte prima

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un’etica della cultura ambientale

l’orizzonte dell’etica ambientale

Il giardino e la discarica. Una pittura di paesaggio Crisi ecologica e cultura postmoderna Dal centro alla periferia, dal singolare al plurale la sfera d’azione globale e l’immaginazione ecologica

Dal globale al locale, e ritorno Globalizzazione, ambiente e colonizzazioni culturali Dal locale al globale

la cultura ambientale come strategia di sopravvivenza

Verso nuovi modelli culturali Un paradigma bio-culturale: l’ecologia letteraria Ecocriticism: letteratura come etica applicata Un umanesimo non antropocentrico

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parte seconda quattro letture ecocritiche la differenza e l’ammonimento. il femminile trasversale nell’ “iguana” di anna maria ortese Ortese e l’Iguana L’oppressione allo specchio L’etica della cura e la complessità della differenza

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la trascendenza sovversiva. “la passione secondo g. h.” di clarice lispector e la mistica del non umano Una trascendenza sovversiva La blatta e la passione dell’io

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un’ecologia della differenza. cultura e paesaggio in pier paolo pasolini Il paesaggio e la cultura della differenza

Venezia e il muretto. Paesaggio, tradizione e marginalità La cultura del dissenso nelle voci del paesaggio Il Terzo Mondo e l’alternativa Il passato nel paesaggio e l’orizzonte del presente Una risposta ecologica alla fine del paesaggio

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la vita plurale degli alberi. jean giono, la land ethic e un’ecologia della speranza La salute della terra e l’ecologia della speranza Abitare il paesaggio Gli alberi e la Vasta Natura

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l’inquietudine, la speranza e il coraggio della narrazione di Scott Slovic

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Bibliografia

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Indice dei nomi

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Ringraziamenti

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nota dell’autrice

Una delle cose che ho notato subito, quando ho cominciato a interessarmi di ecocritica, è stato l’enorme richiamo che questi argomenti avevano sui miei studenti. Sentire qualcuno che raccontava loro la crisi ambientale con le parole dei romanzi, o li invitava a riflettere sul modo in cui la crisi ecologica e sociale parla attraverso i nostri paesaggi, sembrava colmare in loro un bisogno emotivo e culturale primario. Questi racconti, infatti, traducevano i modelli di una cultura che vuole mettersi all’ascolto degli “altri” abitanti nel mondo, siano essi animali, oceani, foreste, o umani diversi – una cultura “evoluta” che cerca di tirarci fuori dai deliri di onnipotenza (e dalla solitudine) dell’Homo sapiens sapiens. La difficoltà maggiore, tuttavia, stava nel recuperare testi per quelle lezioni. Sebbene in Inghilterra o negli Stati Uniti l’ecocritica si studiasse già dagli anni Novanta, in Italia non c’erano libri o manuali che ci aiutassero a lavorare insieme su queste cose. Inoltre, i testi canonici della disciplina, tutti anglo-americani, si riferivano necessariamente a una realtà geografica e culturale lontana. A me invece interessava che la nostra riflessione si mettesse in dialogo con quelle realtà, ma partendo da qui: dai nostri luoghi, dalle nostre crisi ecologiche, e dagli autori che anche nella nostra lingua hanno cercato di dare voce alla presenza e alla sofferenza delle nature che non siamo noi. Il risultato che speravo di ottenere era questo: presentare la cultura letteraria ambientale nella sua dimensione insieme locale e globale, facendone emergere la natura fecondamente comparatistica. Ecologia letteraria è nata proprio per rispondere a queste esigenze. È nata da incontri, pensieri, letture, conversazioni, e soprattutto da uno scambio continuo con colleghi e studenti. In questi anni, a dispetto dei suoi limiti “fisiologici”, il libro si è rivelato molto utile, e non solo per la didattica. Con mia piacevole sorpresa, ha trovato lettori anche fuori alle aule universitarie, lettori che spesso mi hanno scritto e parlato, offrendomi la possibilità di continuare ed estendere


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quello scambio da cui il progetto era nato nel 2006, e da cui sono nate tutte le cose che ho scritto in seguito. Sono passati nove anni dalla pubblicazione di Ecologia letteraria, e il dibattito non si è certo fermato a quanto scritto qui. Però mi rendo conto che queste pagine sono ancora uno strumento valido per chi si voglia mettere all’ascolto delle storie dell’ambiente e delle nature altre dall’umano. Lo sono, proprio perché non sono solo mie, ma sono frutto di una co-evoluzione di pensieri e di visioni, di racconti e di voglia di futuro. Se ecologia è interconnessione di forme di vita, questo è un progetto ecologico. Perché anche le idee sono una forma di vita, e pensare (e pensarsi) insieme è l’unica possibile strategia di sopravvivenza. Ringrazio le Edizioni Ambiente, in particolare Paola Fraschini e Marco Moro, per aver voluto continuare questo cammino. Serenella Iovino Torino, gennaio 2015


introduzione

Quando si forniscono dati e statistiche sui danni subiti dall’ambiente si rischia sempre di apparire disinformati, o in ritardo sui tempi. Ogni giorno, infatti, qualche nuova emergenza ecologica mette in luce variabili che non erano state considerate, e che correggono (il più delle volte in negativo) le stime degli esperti. Aprendo per caso un libro del 1994, leggo: Se oggi è un giorno come tutti gli altri sul pianeta Terra, allora perderemo 116 miglia quadrate di foresta pluviale, o circa un acro al secondo. Altre 72 si avvieranno verso la desertificazione, e questo sarà il risultato della nostra cattiva gestione e della sovrappopolazione umana. Perderemo da 40 a 250 specie, e nessuno sa se il numero preciso sarà 40 o 250. Oggi la popolazione umana crescerà di 250.000 abitanti. E ancora oggi, aggiungeremo all’atmosfera altre 2.700 tonnellate di clorofluorocarburi e 15 milioni di tonnellate di diossido di carbonio. Stanotte la Terra diventerà un po’ più calda, le sue acque più acide, e il tessuto della vita più fragile. Entro la fine dell’anno, i numeri saranno impressionanti: la perdita complessiva di foresta pluviale sarà uguale a un’area grande quanto lo stato di Washington [circa 185 mila km2]; i deserti si espanderanno per un’area grande quanto la Virginia occidentale [circa 63 mila km2]; e la popolazione mondiale sarà aumentata di 90 milioni di abitanti. Entro il 2000, forse il 20% delle forme di vita esistenti sul pianeta nel 1900 si sarà estinto.1

Anche se sono passati più di vent’anni, non credo sia necessario rivedere o aggiornare queste previsioni. Per capire quanto sia delicato l’equilibrio dell’ambiente intorno a noi e come ben pochi siano stati i progressi rispetto al 1994, è infatti sufficiente osservare come sia mutato il paesaggio fuori dalle nostre finestre o nelle nostre città, chiederci quando è stata l’ultima volta che abbiamo visto uno scoiattolo nei nostri giardini pubblici (quando abbiamo la fortuna di averne), o notare quanto spesso i telegiornali ci diano notizia di catastrofi più o meno annunciate, come lo tsunami del Sud-est asiatico del 26 dicembre 2004 o l’uragano Katrina, che ha distrutto New Orleans a fine agosto 2005.2 Contemporaneamente ci si sorprende, un po’ disorientati, a chiedersi perché, a dispetto degli allarmi


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di scienziati e ambientalisti (spesso trattati dai media come Cassandre postmoderne), si faccia tanta fatica a rispettare gli accordi del Protocollo di Kyoto. O addirittura, com’è successo per gli Stati Uniti all’inizio della prima presidenza di George W. Bush, che si decida di revocare la propria adesione al Protocollo con lo scopo ultimo di non “danneggiare” l’economia interna di un paese che, con il 4% della popolazione mondiale, consuma, da solo, il 25% delle risorse, producendo oltre il 36% delle emissioni inquinanti. Di fronte a questi scenari e a questi disastri (che sono naturali, ma anche sociali) si possono assumere due atteggiamenti. Il primo è quello di una accettazione rassegnata degli eventi: visto che non c’è verso di arrestare una tendenza i cui meccanismi vanno ben oltre la nostra portata, e spesso anche oltre la nostra possibilità di giudizio, tanto vale restare alla finestra, e lasciare agli “esperti” il compito di decidere del nostro futuro. Il secondo invece è quello di chi ritiene che in fondo è la somma che fa il totale, e che forse è vero, come ha scritto il biologo Barry Commoner, che in natura “ogni cosa è connessa a ogni altra”. Come lo scioglimento della calotta polare è connesso con la desertificazione delle coste mediterranee, anche la nostra azione individuale rientra, cioè, nell’equilibrio complessivo del sistema. Chi si riconosce in questo secondo gruppo, sceglie di rendersi conto che atteggiamenti deresponsabilizzanti non fanno che acuire i disagi dell’ambiente, e insieme non fanno che accrescere le sperequazioni sociali connesse a tali disagi. Questa scelta di consapevolezza non è mai una scelta neutrale. Essa, infatti, rappresenta una forte tensione polemica, basata sulla constatazione che l’idea di cultura trasmessaci dalla nostra società, un’idea per lo più volta a creare un divorzio concettuale tra umanità e natura, è inadeguata a fronteggiare i problemi del presente. Se la crisi ecologica è essenzialmente una crisi culturale, è necessario scegliere di modificare i propri modelli e andare verso una forma “evoluta” di cultura, in cui conoscenza e responsabilità siano funzione l’una dell’altra: una forma di cultura, cioè, che non solo ci permetta di sopravvivere, ma soprattutto di comprendere che l’essere umano può sopravvivere come specie soltanto se è accompagnato, in questa sopravvivenza, dalle forme di vita non umane. La strategia di sopravvivenza costituita da questa cultura prevede o una sopravvivenza congiunta di umanità e natura o nessuna sopravvivenza: umanità e natura vanno considerate in un’ottica ecologica, che è quella della compresenza, e non quella della distruzione reciproca. Vedere la cultura come una strategia di sopravvivenza è, aldilà di ogni fallacia naturalistica, la premessa tacita di ogni etica ambientale. Con le sue argomentazioni e i suoi dibattiti, l’etica dell’ambiente prepara, infatti, i presupposti per questa “cultura evoluta”, ed è per questo che essa può essere considerata un’etica della cultura. Come sosteneva Aldo Leopold, padre dell’etica della terra, “nell’e-


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tica, nessun cambiamento importante si è mai compiuto senza un cambiamento interno nelle nostre priorità, nei nostri legami, affetti e convinzioni”.3 Se questo è vero, ciò che l’etica dell’ambiente ci richiede è proprio di modificare in maniera inclusiva (ossia ecologica) i nostri modelli culturali, le nostre costruzioni teoriche, le nostre gerarchie di valori. In una parola, il nostro modo di vedere il mondo e i soggetti non umani. Queste priorità, questi legami, queste convinzioni presuppongono cioè un allargamento dei nostri valori e dei nostri orizzonti culturali. Per rendere possibile tutto ciò, l’etica ambientale si sposa sovente con altre discipline e pratiche tradizionali come l’economia, l’architettura, le arti figurative, l’agricoltura, la biologia. Il risultato di questo connubio può essere una ridefinizione dell’identità di tali discipline o l’emergere di nuove forme culturali, come ad esempio la bioarchitettura, la land art, o la biologia conservativa. La letteratura è una di queste discipline “tradizionali”. L’idea di un discorso congiunto di letteratura e filosofia dell’ambiente scaturisce dalla persuasione che sia possibile un uso etico-ambientale dei testi letterari (classici vecchi e nuovi), che essi possano cioè contribuire a un’evoluzione del modo in cui ci orientiamo eticamente nel nostro rapporto con il mondo non umano. A questa idea, implicita già in decenni di esercizi creativi e interpretativi, è stato dato di recente il nome di ecocriticism, o ecologia letteraria. È da essa che scaturiscono l’oggetto e l’ispirazione di questo libro. che cos’è l’ecocriticism L’ecocriticism, ecocritica o ecologia letteraria, fa la sua comparsa negli Stati Uniti tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90.4 L’idea di una critica letteraria ecologica si era già affacciata con un articolo di William Rueckert, che conia il termine ecocriticism nel 1978, e prima ancora con un libro di Joseph Meeker, The Comedy of Survival: Studies in Literary Ecology, uscito nel 1972 con una prefazione di Konrad Lorenz. Nelle intenzioni di Meeker l’ecologia letteraria “è lo studio dei temi e delle relazioni biologiche che appaiono nelle opere letterarie. Allo stesso tempo, è il tentativo di scoprire qual è il ruolo giocato dalla letteratura nell’ecologia della specie umana”. Il sottofondo coevolutivo di natura e cultura è esplicito: le forme di conoscenza in generale, siano esse umanistiche o scientifiche, influiscono sulle condizioni della vita degli esseri umani e degli ambienti in cui vivono. In questo quadro ideale, l’ecologia letteraria non solo “ci permette di studiare la funzione della letteratura e il modo in cui essa influisce sulla sopravvivenza della specie umana”, ma anche di acquisire una consapevolezza del modo

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in cui le forme letterarie hanno agito storicamente nel configurarsi di una crisi ambientale.5 Nonostante nel 1980 Meeker pubblichi una seconda edizione del suo libro (una terza uscirà nel 1997), è però solo alla fine del decennio e per iniziativa di alcuni studiosi di letteratura americana, primi fra tutti Cheryll Burgess Glotfelty, Scott Slovic, Glen Love, Patrick Murphy, Lawrence Buell, che quell’idea comincia a trovare una sua diffusione e che l’ecocriticism diviene visibile come disciplina. Con un po’ di ritardo rispetto alla fioritura delle environmental ethics, la crisi ecologica fa il suo ingresso nei dipartimenti di letteratura. Le domande che si agitavano tra gli studiosi statunitensi erano più o meno queste: quali sono gli strumenti di cui l’etica e la cultura dispongono per fronteggiare la crisi ecologica? In che modo si può perseguire l’idea di una educazione ambientale che non sia semplicemente una disciplina tecnico-scientifica? È possibile trovare una consapevolezza “ecologica” del nostro vivere nel mondo attraverso forme culturali consolidate nella tradizione umanistica? Porsi tali interrogativi non era esclusivamente segno di nuove esigenze teoriche, ma anche della necessità di un coinvolgimento pratico della cultura nella crisi dell’ambiente: “La funzione più importante della letteratura oggi è di ridirigere la consapevolezza umana verso una piena considerazione del suo posto in un mondo minacciato”.6 Ciò implicava inoltre ripensare la funzione stessa dell’insegnamento della letteratura, dandole la forma di una nuova pedagogia sociale. Come scrisse Cheryll Glotfelty nel 1991: Molti di noi [trovano che i nostri rispettivi] temperamenti e talenti ci hanno posto in dipartimenti di inglese e, visto l’aggravarsi dei problemi ambientali, ci stiamo ora chiedendo in che modo possiamo contribuire alla salute dell’ambiente con le nostre capacità di professori di letteratura.7

La risposta alle questioni sollevate è allora un’ipotesi etico-educativa, basata sull’idea che un’interpretazione “ecologica” dei testi letterari ci permette di acquisire e trasmettere una coscienza critica del rapporto tra essere umano e ambiente. L’ecocriticism è questa interpretazione ecologica. Una delle prime definizioni “ufficiali” lo vede infatti come lo studio delle “interconnessioni tra natura e cultura, e specificamente degli artefatti culturali di linguaggio e letteratura”.8 Esattamente, allora, come negli anni 70 gli studi critico-letterari si erano estesi per accogliere le problematiche storiche, sociali e politiche che hanno portato alla nascita di settori di ricerca legati alle questioni di genere, di razza e ai conflitti sociali, l’ecocriticism vuole proporre una lettura delle opere letterarie che possa essere il veicolo di una “educazione a vedere” le tensioni ecologiche del presente: “Come cambiano le visioni morali e politiche, così cambia anche la critica letteraria” (Bate, 1991).


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Ciò ci suggerisce la particolarità (e la complessità) di questo metodo, che non può essere compreso adeguatamente se non se ne considerano le premesse di fondo: l’idea di un’etica ecologica come emergenza di questioni teoriche, sociali e storiche legate al rapporto umanità-ambiente; e l’idea di una cultura e di una educazione ambientali come strumento per rendere effettive (e socialmente praticabili) le questioni sollevate sul piano etico. In questo senso, l’ecocriticism non vuole perciò limitarsi a esercizi ermeneutici o ricostruzioni storiche ma intende essere una forma di attivismo culturale: un movimento,9 una critica militante, in senso anti-ideologico, che cerca nella cultura uno strumento che affini la nostra consapevolezza della vita e dei cambiamenti nella società contemporanea.10 Gli studiosi di ecologia letteraria, cioè, non solo analizzano i testi per definire in che modo la natura e la sua relazione con l’umano rientrino nella rappresentazione letteraria e si consolidino come immagini culturali ma, nel far ciò, essi cercano anche di sollecitare un cambiamento e una maggiore consapevolezza delle questioni ecologiche: per riprendere le parole di Lawrence Buell, l’ecocriticism è cioè un’indagine delle relazioni tra letteratura e natura “nello spirito di un impegno per un agire ambientale” (Buell, 1995; 2005). Ciò presuppone una diretta continuità tra principi teorici e impegno politico: “Se volete una teoria ecocritica, cercatela nella nostra pratica”, ha scritto Scott Slovic (Slovic, 1999). E questa “militanza” è evidente nel modo in cui l’ecocriticism si esercita: anche qui, in pieno spirito ecologico, prevale l’idea di una collaborazione e di una osmosi di idee, visibile nelle varie associazioni di studi ecocritici. La maggiore di queste associazioni è l’Asle (Association for the Study of Literature and Environment) fondata nel 1992, a cui fa capo una rivista, Interdisciplinary Studies in Literature and Environment (Isle), pubblicata dalla primavera del 1993.11 Grazie all’attività pionieristica dell’Asle, di Isle e dei singoli studiosi, negli ultimi anni l’ecocriticism ha trovato un’enorme diffusione in quasi tutto il mondo, come dimostra il fiorire delle varie filiazioni internazionali (Asle Uk, Korea, Australia and New Zeland, Japan e, a venire, India, China e Taiwan) e di altre società di studi che ne condividono principi e interessi, quali l’Easlce (European Association for the Study of Literature, Culture, and the Environment), l’Osle India (Organisation for Studies in Literature and Environment-India), o la canadese Esac/Acée (Environmental Studies Association of Canada).12 che cosa studia Come si mettono insieme intento etico-pedagogico, attivismo ambientale e critica letteraria? A questa domanda gli studiosi di ecocriticism rispondono con

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una molteplicità di vedute e di letture, che non è generalmente sentita come un problema, ma al contrario come un segno di quella “diversità culturale che costituisce una parte necessaria della diversità umana e di ogni altra diversità biologica”.13 Tale eterogeneità dipende da due fattori: il primo è il carattere stesso della disciplina, per definizione aperto e in divenire; il secondo è il carattere dei testi esaminati, la loro collocazione storica e il modo in cui la questione ambientale in essi prende forma. Per la critica, infatti, l’ambiente può essere sia inteso come genere letterario sia, più in generale, come problematica etica. L’interpretazione varia a seconda che si consideri (usando un’espressione inglese) la natura as a genre o as an issue. Strettamente legato all’ecocriticism esiste infatti, ed è molto vitale, un genere letterario chiamato environmental literature o nature writing. Sotto questa etichetta si può ricondurre una produzione di grande interesse e ricchezza, che spazia dalla narrativa alla poesia e alla saggistica.14 Il nature writing ha una lunga e illustre preistoria specialmente sul versante anglo-americano. I critici vi includono opere del periodo coloniale, come Naufragios (1542) di Alvaro Nuñez Cabeza de Vaca o The Tenth Muse Lately Sprung up in America (1650) di Anne Bradstreet, o scritti che hanno fondato l’ideologia agraria come le Letters from an American Farmer (1782) di Hector St. John de Crevecoeur e le Notes on the State of Virginia (1787) di Thomas Jefferson. La scrittura ambientale è mossa da due intenti caratteristici: un intento “epistemologico”, volto a creare nel lettore un’idea problematica del rapporto tra umanità e natura; e un intento “politico”, consistente nell’adozione di tecniche retoriche che inducano a sviluppare nuovi atteggiamenti nei confronti dell’am­ biente e delle forme di vita non umane.15 L’obiettivo principale di questo genere di scrittura è quello di ispirare nel lettore la coscienza (ecologica o proto-ecologica) dell’interdipendenza tra le forme di vita. È ovvio che questa finalità si fa più esplicita e avvertita quanto più ci si avvicina ai nostri giorni. Ciò non toglie che gli autori più amati dall’ecocriticism siano in genere quelli da cui questa consapevolezza ha preso forma: Henry David Thoreau, John Muir, Aldo Leopold, infatti, sono figure senza le quali probabilmente l’ecocriticism non esisterebbe. Oggi il nature writing è rappresentato sulla scena internazionale da scrittori e scrittrici per lo più viventi, e per i quali un’etichetta di genere è forse riduttiva. Negli Stati Uniti, dove la produzione è più copiosa, i nomi più noti sono, tra gli altri, quelli di Gary Snyder, Wendell Berry, Edward Abbey, Terry Tempest Williams, Annette Kolodny, Linda Hogan, Annie Dillard, Wallace Stegner, Leslie Marmon Silko. Inizialmente relegati a una popolarità “di nicchia”, questi autori legano in gran parte la loro fortuna a quella dell’ecocriticism, cui devono una fioritura di studi a livello internazionale. Ai loro nomi si possono aggiungere


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quelli di filosofi come Gregory Bateson o Richard Dawkins, di naturalisti e scienziati come Rachel Carson, Paul Shepard, Edward O. Wilson, Gary Nabhan o Stephan Jay Gould. Molto utili sono, a questo riguardo le antologie: la più rappresentativa per il versante anglo-americano è il Norton Book of Nature Writing; ma diverse sono le raccolte che si stanno affiancando sul terreno delle altre letterature, tra cui brilla per accuratezza ed estensione Italian Environmental Literature, curato da Patrick Barron e Anna Re (2003). Se si opta per un oltrepassamento delle etichette di genere, alla ricerca di autori e di opere non dichiaratamente legati a un discorso ambientalista, il terreno potenziale dell’interpretazione ecocritica si dilata però enormemente. Come ha scritto Slovic, “non esiste una singola opera letteraria che non possa essere fatta oggetto di interpretazione ecocritica” (Slovic, 1999). Ciò significa cercare, nelle opere letterarie, un’espressione delle tematiche emergenti nel dibattito etico-ambientale. In questo senso, le analisi ecocritiche sono interessate al modo in cui la letteratura e la scrittura in genere si fanno espressione dei conflitti socio-ecologici, dalle problematiche legate alla differenza (di genere, di specie, di etnia, di abilità ecc.), alle discriminazioni ambientali (razzismo e classismo ambientale). Questa tendenza si è molto accentuata negli ultimi anni (Armbruster, Wallace, 2001). Sempre più numerosi, infatti, sono gli studi dedicati a intersezioni tematiche e prospettiche, ad esempio con l’ecofemminismo, con la sociologia e le questioni di giustizia sociale, la scrittura nativa e afroamericana, con l’ecologia urbana e gli studi sul paesaggio, il cinema, l’arte, la pratica pedagogica, la semiotica. È inoltre interessante notare che negli ultimi anni studi ecocritici siano sorti anche in ambiti linguistici e letterari diversi (dalla Germania, alla Svezia, la Spagna, l’Europa dell’Est, il Giappone ecc.), arricchendo la pluralità degli approcci, e dando un grande impulso allo studio comparatistico e interdisciplinare.16 Ciò non solo contribuisce ad allargare i confini geografici degli studi di ecocriticism, includendovi figure e tematiche finora considerate marginali o eccentriche, anche per motivi linguistici. Ma, cosa più interessante, offre un’opzione criticointerpretativa nuova agli studiosi di letterature non anglofone. Questa diffusione è il segno che un’esigenza di investigare la rappresentazione letteraria del rapporto ecologico e un’attenzione per le potenzialità della letteratura ai fini etico-ambientali sono sempre più vive e urgenti. quali metodi utilizza Il suo duplice intento politico-epistemologico (da vedere, in realtà, come due facce della stessa medaglia) si riverbera anche nella metodologia dell’ecocriticism, nella

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quale si riconoscono una linea storico-ermeneutica e una linea etico-pedagogica. La prima cerca di ricostruire, sulla base dei testi, l’immagine culturale della natura o del rapporto umanità/natura che l’autore traduce nella sua opera, conformandosi all’ideologia dominante del periodo storico in cui vive o distaccandosi da essa. Questa linea ci consente di riportare la crisi ecologica alle sue possibili condizioni storiche, e di riflettere sulla sua evoluzione in termini squisitamente culturali. Ciò assume significato, specialmente se gli autori esaminati appartengono al passato: a momenti storici in cui, pur venendo riconosciuto ed espresso, il distacco tra umanità e natura non si era ancora articolato nei termini di una consapevolezza ecologica. A questo riguardo critici letterari come Lawrence Buell (1998, 2001, 2005), Jonathan Bate (1991, 2000), David Mazel (2001), Terry Gifford (1995, 1999, 2006), raccogliendo in molti casi l’eredità di ecocritici ante litteram come Leo Marx (1964) o Raymond Williams (1973; 1976), hanno fornito interessanti letture di Thoreau, di Emerson, dei romantici inglesi, di John Muir, dell’ideale arcadico. L’altra linea vede nel testo letterario uno strumento di alfabetizzazione ambientale. Essa tende a privilegiare un approccio al testo volto a eviscerarne potenzialità etico-educative, mostrando di volta in volta i valori di cui il testo stesso si fa veicolo in relazione alle problematiche dell’etica ambientale. Va ribadito, tuttavia, che queste due linee sono spesso solo articolazioni di un unico processo di lettura, e che una differenziazione troppo netta rischia di creare partizioni artificiose. Nel suo proposito di ristrutturare in termini non conflittuali la nostra percezione del rapporto tra natura e cultura, l’ecocriticism esige una costruzione educativa di fondo. Questo significa che le sue letture sono volte a una presa di coscienza dei valori ecologici di cui il testo, per via negativa o affermativa, si fa portavoce. Dalle prime enunciazioni del problema agli sviluppi attuali, l’ecocriticism ha potuto seguire di pari passo i risultati e gli sviluppi del dibattito etico-ambientale, divenen­done in un certo senso una seconda sponda. Di fatto, esso ha acquisito tutte le tematiche e le scansioni dell’etica ambientale, e ciò ha arricchito enor­ memente lo spettro delle sue interpretazioni. Allo stato attuale, le analisi ecocritiche non si eser­citano più solo su testi letterari di argomento naturalistico o ambientale (testi, cioè, in cui la natura sia oggetto di rappresentazione tout court) ma, come si è visto, si esten­dono a tutto lo spettro delle questioni ecologiche che possono essere oggetto di rappresentazione. L’ambiente, cioè, diventa sempre più un issue che non un genere letterario. Questo è quanto Meeker in un certo senso prefigurava, quando insisteva sul carattere interdisciplinare dell’ecologia letteraria e auspicava una metodologia basata su una visione ecologica e un approccio comparatistico:17 l’idea di una ecologia della letteratura, infatti, è anche nelle reciproche influenze e confluenze delle opere, delle


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tematiche, dei generi letterari.18 Ciò è avvenuto e continua ad avvenire ancora oggi, ma la cosa che colpisce di più è che quest’interdisciplinarietà si è enormemente dilatata, e che l’ecocriticism è diventato un discorso critico in cui le istanze della critica letteraria convergono e si condensano con quelle dell’etica ambientale, degli studi sociali ed economici, delle scienze naturali. Sempre più, cioè, l’ecocriticism si configura come lo strumento attraverso cui l’etica ambientale, le sue analisi e i suoi dibattiti, si esercitano criticamente sui prodotti della cultura, costituendo una sinergia etico-culturale. Se è dunque ancora prematuro tracciare un bilancio è proprio perché l’ecocriticism è un discorso aperto, un metodo in fieri, a cavallo tra ermeneutica e attivismo, un’idea di cultura che, in quanto strategia di sopravvivenza, richiede da parte dell’umano un continuo sforzo creativo. come leggere questo libro Nonostante dall’estero si guardi all’Italia con notevole interesse, come testimonia ad esempio l’antologia di Barron e Re (2003), l’ecocriticism è ancora pressoché sco­ nosciuto nel nostro paese.19 Ciò a dispetto di un’interessante coincidenza: negli stessi anni in cui gli studiosi americani lavoravano a uno statuto per la nuova disciplina, usciva infatti in Italia una piccola antologia in due volumi, L’idea di natura nella storia della letteratura. L’autore era Ercole Ferrario, medico e ambien­talista milanese, animato da una visione dell’ecocriticism pionieristica e del tutto indi­pen­dente. Presentando il suo lavoro, Ferrario spiegava: All’origine di quest’opera vi è la riflessione dell’autore sulla possibile esistenza di un nesso diretto tra natura e produzione letteraria. Questo rapporto c’è ed è assai più ampio e rappresentativo di quanto si potesse immaginare a prima vista. […] Questa raccolta di testi rappresenta un primo tentativo che si inquadra, come fatto nuovo, nella copiosa letteratura ambientalistica, giustamente preoccupata del futuro (Ferrario, 1989).

Condividendo tali idee, Ecologia letteraria nasce da una duplice esigenza: la prima è quella di presentare al pubblico italiano un nuovo campo di studi; la seconda, di avviare un confronto critico che, partendo dall’idea di ecologia letteraria come parte integrante di un più ampio progetto etico-culturale, possa contribuire al dibattito internazionale e interdisciplinare su questo argomento. Ciò si riflette sulla struttura del libro, che si presenta diviso in due parti, una “teorica” e una “applicativa”. La prima parte, Un’etica della cultura ambientale, descrive quello che considero il mio orizzonte di riferimento. Si tratta di un orizzonte insieme storico e teorico.

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In esso interpreto l’emergenza della cultura ambientale come espressione di una sensibilità che, più o meno negli stessi anni, definirà se stessa come “postmoderna”. Sono consapevole del fatto che l’accostamento tra postmoderno e pensiero eco­ logico non sia del tutto pacifico tra gli studiosi di etica e filosofia dell’ambiente (Evernden, 1992; Zimmerman, 1994; Gare, 1995; Oelschlaeger, 1995; Soper, 1995; Gifford, 1996; Phillips, 2003). Portato agli estremi, infatti, il relativismo intrinseco nella pars destruens del postmoderno può condurre ad atteggiamenti nichilistici nei confronti dei problemi della natura, vista essa stessa come un prodotto culturale o un costrutto linguistico. Ciò presenta lati paradossali. Come ha scritto ironicamente Kate Soper: “non è il linguaggio ad avere un buco nell’ozono; e la cosa reale continua a essere inquinata e degradata anche se noi raffiniamo le nostre intuizioni decostruttive al livello del significante”.20 Se tutto è un prodotto culturale allora lo è anche la stessa idea di natura o la stessa idea di una crisi ambientale: per questo, un pensatore influente come Jean Baudrillard può liquidare gli allarmi degli ambientalisti come irrilevanti in un mondo in cui tutto è una forma più o meno scoperta di “simulazione”. Voglio chiarire preliminarmente, ma ciò credo emerga con chiarezza dalle pagine che seguono, che questa non è la mia posizione. Quello che mi ha portato ad accomunare cultura ecologica e pensiero postmoderno è piuttosto la funzione di critica ideologica che riconosco comune a entrambi i fenomeni. Come il postmoderno rigetta l’idea di grandi mitologie centralistiche e onniesplicative, funzionali solo al rafforzamento di poteri già forti, così la cultura ecologica rigetta le grandi narrazioni centralistiche della cultura e della filosofia “tradizionali”, cercando altrove (diremmo, più in “periferia”) attributi di valore e riferimenti concettuali. Questa posizione mi sembra confermata, per esempio, da quegli studiosi che distinguono tra un “postmodernismo decostruttivo”, che dalle ceneri della modernità ricava “una disintegrazione nichilistica di ogni valore”, e un “postmodernismo ecologico o ricostruttivo”, in cui la creatività e il senso di comunità sono funzionali alla rimozione delle ideologie che hanno determinato la crisi.21 È dunque un’attenzione ai valori “periferici”, a un’idea di cultura meno dualistica e gerarchica, ai soggetti altri dall’umano (dove anche quella di umano è un’idea profondamente ideologica ed elusiva), che costituisce, a mio avviso, l’aspetto critico “ricostruttivo” del pensiero etico-ambientale in cui l’ecocriticism nasce e si muove. Dare le coordinate di questo orizzonte culturale alla ricerca di una “ristrutturazione” etica, e interpretare questa “ristrutturazione” come un passaggio dalle grandi narrazioni ideologiche alle “narrative locali”, minori o periferiche, viste come luogo in cui emergono nuovi significati e nuovi valori, mi è sembrato perciò un tentativo non tanto di riprodurre le scansioni dell’etica ambientale sotto


introduzione

forma di “visione panoramica”, ma al contrario di interpretare l’etica ambientale stessa come motivata da precise emergenze di rifondazione culturale. A queste emergenze l’ecocriticism risponde in due modi: raccogliendone le istanze (sotto forma di diritti della differenza: dall’ecofemminismo alla liberazione animale, dalla giustizia sociale al bioregionalismo ecc.), e proponendo se stesso come un’educazione a riconoscere queste istanze tramite una lettura eticamente orientata delle opere letterarie. Il punto dunque, “non è soltanto di parlare della natura, ma di parlare per la natura”.22 Per questo, non è sufficiente stimolare “nei giusti, pensieri giusti”, ma imparare a pensare in modo provocatorio e antiideologico la nostra relazione con il mondo naturale.23 In ciò, l’ecologia letteraria si configura come un nuovo pragmatismo. Nella sua combinazione di creatività e di ricerca di senso, l’ecologia letteraria prelude così a un “umanesimo non antropocentrico”: un umanesimo “evoluto” che ridisponga l’umano all’orizzontalità, e che sia per questo più adatto a riconoscere l’alterità nelle sue manifestazioni e l’ambiente naturale (nelle sue forme di natura e di paesaggio) come luogo in cui queste manifestazioni sono accolte e dialettizzate. Nella seconda parte, Quattro letture ecocritiche, ho provato a passare dalla teoria alla pratica interpretativa, e ho immaginato alcuni percorsi di lettura. Il tema conduttore che ho scelto è l’idea di differenza: una differenza di genere, ma non solo, nel primo saggio; di specie e di “essenza”, nel secondo; di culture, lingue e paesaggi, nel terzo; e infine, una differenza di futuri possibili, attraverso la salute della terra e della biodiversità, nell’ultimo. Partendo dai punti in cui è più evidente il contatto tra lettura ecocritica e questioni etico-ambientali ho cercato di mettere in rilievo la funzione del testo letterario come invito a superare le immagini culturali tradizionali del rapporto tra umano e non-umano: di mettere a nudo il suo intento di indicare, tramite la rappresentazione letteraria, nuove e più inclusive possibilità etiche (rinnovando, se si vuole, la tradizione platonica del mythos). Coerentemente con le premesse dell’ecocriticism e i miei interessi etico-filosofici, ho voluto vedere nel testo letterario uno strumento che aiuti il lettore immaginare un universo di valori più esteso, un momento di consapevolezza. Gli autori che ho scelto sono, nella maggior parte dei casi, ancora nuovi a un’interpretazione stricto sensu ecocritica. È evidente che questa scelta, oltreché da gusti e letture personali, è stata dettata soprattutto da ragioni di provenienza geografica e di formazione. Anche in questo caso, dunque, ho cercato, dove possibile, di portare al dibattito qualcosa che mi sembra possa servire ad accrescere le possibilità di dialogo interculturale e interdisciplinare, aggiungendo alla tradizione del nature writing (inteso in senso ampio, come “scrittura della differenza”) nuovi territori d’indagine.

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ecologia letteraria

Questo libro ha un intento teorico e uno più “pragmatico”. L’intento teorico è quello di indagare se è possibile fare etica applicata a partire dalla letteratura, e quali sono i percorsi lungo i quali quest’etica può muoversi. L’etica dell’ambiente deve nutrirsi di un continuo dialogo con le forme della cultura, se vuole, come deve, essere una forma effettiva e attiva di razionalità pratica e costruire i fondamenti di un pensiero “sostenibile”. Il secondo intento è di parlare a chi, come me, crede che costruire un pensiero “sostenibile” e una cultura “evoluta” ci autorizzi, in un continuo sforzo (auto-) edu­ca­tivo, ad avvicinarci ai testi (anche a quelli classici) con una nuova consapevolezza, facendoli parlare al presente, e non avendo perciò paura di “usarli” più con gli strumenti della filosofia che con quelli della filologia. Ciò significa dare fondo all’osmosi di idee che può esserci tra il nostro contesto intellettuale (e tutte le problematiche dell’oggi) e i testi letterari esaminati, avendo fiducia nella loro capacità di continuare a dirci qualcosa. Tutto questo, per quanto il metodo uti­ lizzato sia molto diverso da quello critico tradizionale, ci ricorda che un modo per rispettare un’opera nella sua volontà di “fare cultura” è quello di vedere la sua capacità di offrirci nuovi strumenti per comprendere il mondo e agire criticamente in esso. Che in tal modo si offra una chance in più alla sopravvivenza e al percorso evolutivo della nostra specie (e di ogni forma di vita che, più o meno direttamente, dipende da noi) è qualcosa su cui vale senz’altro la pena scommettere.

note 1 Orr, 1994, p. 7. Chi fosse interessato a conoscere dati più aggiornati, può consultare il rapporto annu ale del Worldwatch Institute, State of the World, edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna, Edizioni Ambiente, Milano. 2 Scriveva Peter Wenz nel 2002: “se il surriscaldamento del pianeta accelera eventi atmosferici estremi, New Orleans, Miami, o Galveston rischiano di essere sommerse da uragani mai visti prima” (Wenz, 2002, p. 209). Lo spirito apparentemente profetico di questa affermazione era in realtà dettato da una consapevolezza eco­logica che, nel caso di New Orleans, è colpevolmente mancata a livello politico. 3 Leopold, 1949, p. 225. 4 Burgess [Glotfelty], 1989; 1991; Love, 1990; Slovic, 1992. Per quanto riguarda il termine, tradurre ecocriticism con l’italiano “ecocritica” è una soluzione che sta lentamente prendendo piede (e che si sta affermando anche in paesi neolatini, per esempio in Spagna). Tuttavia, è mia convinzione che tra le due parole non ci sia una corrispondenza totale, essendo l’inglese criticism direttamente collegato alla critica letteraria, cosa che invece non avviene con l’italiano “critica”. Una traduzione più fedele potrebbe perciò essere “critica letteraria ecologica”, ma ecocriticism mi sembra più diretto e preciso. C’è anche chi preferisce a ecocriticism il termine environmental criticism, nella convinzione che ecocriticism si richiami a un “inesistente olismo metodologico” (Buell, 2006, p. 12). Non condivido questa riserva, poiché credo che, discussioni metodologiche a parte, “ambientale” (environmental) non renda il senso “ecologico” di una critica letteraria basata proprio su un concetto di  letteratura come spazio in cui vivono, si combinano e si evolvono idee, immagini e valori. 5 Meeker, 1972, pp. 9, 10, 17. 6 Love, 1990, p. 213. 7 Burgess [Glotfelty], 1991, p. 2. 8 Glotfelty, 1996, p. xix. 9 Murphy, 2000, p. 17. 10 Slovic, 1992.


introduzione

11 Per una raccolta antologica del primo decennio di attività della rivista, si veda Branch e Slovic (2003). 12 Tutte queste associazioni pubblicano regolarmente le loro newsletter in cui vengono date notizie di

convegni, call for papers, novità bibliografiche e altre iniziative eco-culturali. Per approfondimenti si vedano i rispettivi siti. 13 Murphy, 1998, p. ix. 14 Vi è in realtà una sottile distinzione tra nature writing, più legato alla saggistica (a quella che, cioè, in inglese si definisce non fiction) e l’environmental literature, definizione più ampia e che comprende diverse forme letterarie. Per il nostro discorso, tuttavia, possiamo considerare i due termini come pressoché equivalenti. 15 Slovic, 2001, pp. 254-258. 16 Alcuni esempi di intersezioni tematiche sono: con l’ecofemminismo e la scrittura femminile, Anderson (1991); Murphy (1995); Gaard e Murphy (1998); Edwards e De Wolfe (2001); con la sociologia e le questioni di giustizia sociale, Adamson, Evans, Stein, (2002); con la scrittura nativa e afroamericana: Adamson (2001); Mayer (2003); con l’ecologia urbana, Cronon (1991); Bennet e Teague (1999); Dixon (2002); con il cinema, MacDonald (2003); Light (2003); Iovino (2003); Goodbody e Everett (2005); con la pratica pedagogica, Mayer e Wilson (2006); con la semiotica, Maran (2001; 2006). E ancora, sull’intreccio tra narrazioni e valori ambientali, fondamentale Satterfield e Slovic (2004). Per saggi e raccolte in altri ambiti linguistici e letterari, si vedano Goodbody (1998); (2002); Mayer e Gersdorf (2005); (2006); Maran e Tüür (2001; 2005). Per uno sguardo complessivo si vedano, oltre a Glotfelty e Fromm (1996), Anderson, Slovic, O’Grady (1998); Slovic (2001); Hart e Slovic (2004). 17 Meeker, 1972, pp. 10 e ss. 18 “La letteratura comparata è per le scienze umane quello che l’ecologia è per le scienze naturali”, ibid., p. 11. 19 A parte il paragrafo che vi ho dedicato nel mio libro Filosofie dell’ambiente (Iovino, 2004, pp. 140-44), non mi risulta che vi siano altri studi sull’argomento. Ciò non significa che l’interesse verso questa nuova disciplina non sia destinato a crescere, come mostrano ad esempio i lavori di Anna Re, la cui antologia Americana verde, prima raccolta sistematica di environmental literature statunitense destinata a un pubblico italiano, vedrà presto la luce per i tipi di Edizioni Ambiente. Va pure detto che spesso questa scarsa visibilità interna si riflette nelle raccolte internazionali, come il pur massiccio Literature of Nature, curato da Patrick Murphy (1998), dove l’Italia, a differenza ad esempio di Grecia, Spagna, Romania e perfino di Malta, non è minimamente rappresentata. 20 Soper, 1995, p. 151. 21 La distinzione è di Charlene Spretnak (1991), pp. 12-22. Su questo, si veda pure Soulé e Lease (1995). 22 Coupe, 2000, p. 4. 23 Slovic, 1992, p. 171; Satterfield e Slovic, 2004.

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