Neomateriali nell'economia circolare - Packaging

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Neomateriali nell’economia circolare Packaging a cura di Piero Capodieci con i contributi di Mario Bonaccorso, Rudi Bressa, Arianna Campanile, Marco Gisotti, Giorgia Marino, Gian Basilio Nieddu, Roberto Rizzo, Antonella Ilaria Totaro © 2018, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Coordinamento: Anna Re Coordinamento editoriale: Marco Moro Redazione: Arianna Campanile Progetto grafico: Mauro Panzeri Impaginazione: Roberto Gurdo Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’editore

ISBN 978-88-6627-240-3 Questo volume è composto in Sánchez, un carattere disegnato da Daniel Hernández nel 2011 Finito di stampare nel mese di ottobre 2018 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato su carte Favini: copertina Biancoflash Premium 350 g/m2, interno Biancoflash Premium 120 g/m2. Stampato in Italia – Printed in Italy


NEOMATERIALI NELL’ECONOMIA CIRCOLARE

PACKAGING a cura di Piero Capodieci


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Gli imballaggi a Sistema di Giorgio Quagliuolo

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Gli atout del packaging di Valeria Bucchetti

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Packaging the change di Piero Capodieci

1 Biomaterie 44

Introduzione di Piero Capodieci

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Carta, dalla tradizione all’innovazione

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Quando è l’etichetta che conta

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Cartone ondulato contro lo spreco alimentare

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L’invenzione dei cartoni per bevande

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Partire da altre fibre

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Una bioplastica per il packaging

NEOMATERIALI PACKAGING


2 Le filiere che si rinnovano 98

Introduzione di Piero Capodieci

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Alluminio

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Acciaio

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Plastica

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Casse per ortofrutta: quando l’economia circolare si specializza

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Vetro

3 Materiali in transizione 156

Introduzione di Piero Capodieci

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Innovazioni per il futuro

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Fonti

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Gli autori

SOMMARIO


Alexas Fotos Pixabay CC0 6

NEOMATERIALI PACKAGING




Gli imballaggi a Sistema di Giorgio Quagliuolo

1  Pubblicato il 14 giugno 2018 in Gazzetta ufficiale dell’UE, entra in vigore il 4 luglio 2018 per essere recepito entro il luglio 2020.

2  Fondamenta costruite dalla normativa italiana prima dal Dlgs 22/97 e poi dal Dlgs 152/06.

3  Associazione tra aziende che rappresenta il centro di informazione, formazione professionale e diffusione della scienza del packaging nel nostro paese www.istitutoimballaggio.it.

Giorgio Quagliuolo Nel 1983, assieme al fratello, fonda la SICON, che produce bottiglie e preforme in PET per le acque minerali e le bevande gassate, nella quale, oggi, ricopre il ruolo di Presidente del Consiglio di Amministrazione. È stato Presidente di Corepla, il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica (nel 2007 e, successivamente, nel 2013) e nel 2017 è stato eletto Presidente del Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI). Fa parte sia del Consiglio Generale sia del Gruppo Tecnico Industria e Ambiente di Confindustria. È anche Presidente della Federazione Gommaplastica.

L’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) ci spiega che la green economy rappresenta un dominio che comprende la resilienza degli ecosistemi, la qualità di una nuova occupazione, la qualità del benessere di noi cittadini nonché la circular economy. Quest’ultima, a sua volta, include l’efficienza dell’uso delle risorse, la prevenzione degli impatti ambientali negativi e, di conseguenza, anche la gestione integrata dei rifiuti. In tale direzione spinge il pacchetto delle nuove misure europee1 che modifica ben sei direttive in materia di gestione dei rifiuti, rafforzando i progressi compiuti e lanciando un’ulteriore sfida con obiettivi più elevati: lo scopo del modello di economia circolare è il disaccoppiamento tra lo sviluppo economico e il prelievo di risorse naturali, contrastando il cambiamento climatico. In questa fase di transizione verso la circular economy viene riconosciuto un ruolo fondamentale ai sistemi collettivi fondati sul principio della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR): sin dalla prima lettura dei criteri minimi individuati dagli organi europei, appare evidente come sia lontano e addirittura contrastante il recente percorso italiano verso la moltiplicazione dei consorzi di filiera degli imballaggi in nome della concorrenza. Citando Edo Ronchi, “è interessante osservare il ricorso al mercato come criterio guida per correggere sistemi che servono proprio a rimediare ai fallimenti del mercato” (La transizione alla green economy, Edizioni Ambiente, Milano, 2018, p. 169). Noi più che di fallimenti preferiamo parlare di lacune e di instabilità del mercato globalizzato, ma il risultato poco cambia: asservire i benefici ambientali alle regole della concorrenza ha come esito il minare le fondamenta2 di quella parte dell’economia circolare che raggiunge l’efficienza dell’uso delle risorse proprio grazie al riciclo degli imballaggi. Quando parliamo di packaging facciamo riferimento alla definizione formulata dall’Istituto Italiano Imballaggio:3 “Il packaging è lo strumento che rende disponibile un prodotto nello spazio e nel tempo, svolgendo – in genere complessivamente – le funzioni di contenerlo, proteggerlo, conservarlo (e/o preservarlo) e presentarlo. Ma è anche l’attività di integrare temporaneamente una o più funzioni esterne al prodotto per renderlo fruibile nelle modalità desiderate dall’utilizzatore” (Il packaging allunga la vita, 2016). Ricordiamo, quindi, che l’imballaggio non ha quasi mai un’unica funzione, bensì riveste diversi e complessi compiti: protegge e conserva; consente di identificare i prodotti e le marche e al tempo stesso deve essere accattivante per sedurre il consumatore; non comunica solo caratteristiche e provenienza ma anche informazioni volte ad aumentare la conoscenza dell’utilizzatore, aiutandolo a comprendere qualità e modo d’uso sia del prodotto sia dell’imballaggio stesso. Il presente volume, realizzato a cura dell’Ingegner Piero Capodieci, nell’affrontare l’argomento della complessità dell’imballaggio, lungo l’intero suo ciclo di vita, parte dall’indagine del materiale in cui esso è realizzato e dal presupposto che un contenitore non può essere concepito separatamente dal proprio contenuto. Il packaging, sin dalla sua ideazione, dipende dal prodotto cui è destinato e a ogni prodotto serve un dato tipo di imballaggio. Ciò è valido per qualsiasi bene ma è ancora più stringente quando pensiamo ai prodotti alimentari. La FAO ha sottolineato come il packaging rapGli imballaggi a Sistema

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4  Imballaggio Attivo: destinato a prolungare la conservabilità o mantenere o migliorare le condizioni dei prodotti alimentari imballati. Concepito in modo da incorporare deliberatamente componenti che rilasciano sostanze nel prodotto alimentare imballato o nel suo ambiente, o le assorbono dagli stessi. Regolamento (CE) N. 450/2009. 5  Imballaggio Intelligente: capace di controllare le condizioni del prodotto alimentare imballato o del suo ambiente. Regolamento (CE) N. 450/2009.

presenti uno strumento di prevenzione delle perdite alimentari e dello spreco di cibo, anche grazie alla capacità di estenderne i tempi di conservazione (shelf life): parliamo, infatti, di imballaggi attivi4 e di imballaggi intelligenti5 che assolvono a un’ulteriore innovativa funzione che si esplica nell’attivare specifiche prestazioni in virtù delle caratteristiche del prodotto, nell’interagire con questo stesso per rappresentarne e controllarne il percorso. La riduzione o l’eliminazione del packaging, che talvolta vengono viste come soluzioni in alcune politiche sui rifiuti, comporterebbero come conseguenza un aumento, a oggi difficilmente stimabile, della quantità di risorse e di cibo sprecati. Quando un bene viene buttato perché l’imballaggio non ha ben svolto le proprie funzioni, con esso vengono buttate anche tutte le risorse necessarie per produrlo, trasformarlo, trasportarlo, distribuirlo, oltre a quelle necessarie per smaltirlo: ogni spreco si traduce anche in una perdita di risorse naturali ed economiche per tutti gli attori della filiera, compresi noi cittadini-consumatori. Ogni spreco ci allontana dal modello di economia circolare. Come sottolineato da una recente pubblicazione dell’Università IUAV di Venezia “è necessario considerare il ruolo dell’imballaggio nella sostenibilità del binomio packaging-prodotto”: la questione è quella della progettazione di imballaggi sempre più performanti “che assolvano appieno le proprie funzioni utilizzando la minor complessità possibile e il minor quantitativo di materiali” (L. Badalucco, L. Casarotto, P. Costa, Packaging design, Edizioni Dativo, Milano, 2017, pp. 31-32).

6  Cial, Comieco, Corepla, Coreve, Ricrea, Rilegno.

Nella realtà l’imballaggio è spesso complesso e tecnologicamente avanzato e, una volta concluso il proprio compito, diventa un rifiuto che deve essere raccolto in forma differenziata perché venga avviato a riciclo oppure, quando questo non è possibile, a termovalorizzazione. Riciclo che, ricordiamo, viene garantito anche attraverso l’adesione da parte delle aziende produttrici e utilizzatrici al sistema Conai – consorzi di filiera.6 La complessità e il fine vita degli imballaggi vengono determinati anche dal materiale di cui sono costituiti che, come anticipato poc’anzi, è l’oggetto di analisi del presente volume il quale tratta, attraverso la presentazione di interessanti casi studio, di materiali da risorse di origine organica (carta, legno e bioplastiche) e di materiali da risorse di origine inorganica o fossile (acciaio, alluminio, vetro, plastica), oltre che dei cosiddetti materiali in transizione. Quest’ultimo capitolo presenta alcune sperimentazioni volte a migliorare le prestazioni ambientali degli imballaggi con casi molto diversi che vanno da nuovi materiali, per esempio biobased messi a punto da startup e centri di ricerca, a innovazioni di design e d’utilizzo che permettono un significativo risparmio di materia ed energia, a monte e lungo l’intero ciclo di produzione del “bene imballaggio”. Pertanto, materiale e tecnologia al servizio della funzionalità fanno del packaging uno strumento chiave per garantire il contenimento della perdita di risorse e la minimizzazione dello spreco lungo l’intera filiera; tutto ciò senza sottovalutare il fatto che una volta esaurito il proprio compito l’imballaggio diviene rifiuto. La transizione verso il modello di economia circolare è però una fase che ci chiede di non considerare più i rifiuti come tali bensì come risorse da valorizzare e reimmettere sul mercato (un cambio di paradigma, questo, che il sistema Conai – consorzi cominciò a realizzare sin dalla sua istituzione, nel 1997). Il binomio packaging-prodotto influisce sul fine vita dell’imballaggio proprio in virtù della sua necessaria complessità e, di conseguenza, degli aspetti di carattere tecnico definiti dalla sua funzionalità: prendendo nuovamente a esem-

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pio il comparto alimentare, l’impegno nella riduzione dello spreco di cibo, dettato come abbiamo visto da esigenze sia di sostenibilità sia etiche ed economiche, ha spinto a progettare imballaggi sempre più performanti ma di conseguenza più difficili da riciclare. Per garantirne la riciclabilità sarà dunque necessario investire sempre più in ricerca e sviluppo di soluzioni tecnologiche altrettanto innovative, o meglio ecoinnovative. Prevenzione a monte e valorizzazione e riciclo a valle sono le parole d’ordine lungo la filiera del packaging di qualsiasi materiale esso sia costituito. Filiera che con il panorama manifatturiero nazionale condivide i pericoli dell’esposizione ai costi crescenti e alla sempre maggiore scarsità di materie prime. All’industria del packaging, dall’immesso al consumo sino alla gestione del fine vita (ovvero includendo le aziende del recupero), viene chiesto di essere competitiva, di essere altamente tecnologica e innovativa, di essere sostenibile socialmente e creare nuova occupazione, di rispettare i dettami delle leggi e dei regolamenti di settore minimizzando al contempo gli impatti ecologici. Per rispondere a queste sfide il settore dovrà puntare sull’utilizzo circolare delle risorse: il settore riciclo deve essere potenziato e sostenuto attraverso politiche mirate e di lungo periodo. I risultati di comportamenti responsabili garantiscono benefici lungo l’intera filiera: le aziende produttrici e utilizzatrici di imballaggi ne sono sempre più consapevoli e si stanno moltiplicando gli interventi, a livello di cicli produttivi e di prodotti, verso l’economia circolare. Un comportamento responsabile è chiesto però anche a noi cittadini come consumatori soprattutto nel gesto quotidiano della raccolta differenziata e del non “gettare a terra” o abbandonare, non solo gli imballaggi che non ci servono più, ma qualsiasi tipo di rifiuto. Il problema delle nostre città, delle nostre spiagge e montagne, dei nostri laghi e mari non sta negli oggetti in quanto tali o nei materiali di cui essi sono fatti, bensì nella nostra inciviltà. Possiamo continuare a inventare materiali nuovi e innovativi o riscoprirne di antichi e tradizionali, possiamo investire su tecnologie sempre più avanzate per riciclare e ricavare nuove risorse da ciò che non è più rifiuto, ma tutto questo nulla può contro l’inciviltà dello spreco e dell’abbandono. Vi auguro una buona lettura.

Gli imballaggi a Sistema

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Gli atout del packaging di Valeria Bucchetti

Nel corso di questi anni, dedicati alla ricerca nel campo del packaging, mi sono spesso chiesta perché per l’oggetto di studio – per il packaging – fosse così difficoltoso affermarsi a pieno titolo nel campo del Design. Si tratta, com’è noto, di un dispositivo che vanta molteplici funzionalità, molte di queste espresse con la massima evidenza nella nostra vita quotidiana, altre, più sommerse, di cui abbiamo percezione solamente in casi particolari o estremi: quando per esempio entriamo in contatto con imballaggi idonei a rispondere alle emergenze, come quelli riferiti all’ambito medicale o con imballaggi extra-ordinari come i dispositivi per dispensare i pasti agli astronauti o, più semplicemente, quelli utili a garantire la movimentazione delle merci in ambito industriale.

1  Si fa riferimento al paradigma indicato da De Fusco come invariante delle fenomenologie del design, articolato in: progettazione, produzione, vendita, consumo. Cfr. R. De Fusco, Storia del design, Laterza, Roma-Bari, 1985.

Che cosa ha intralciato, in questo percorso di legittimazione, un artefatto che risponde pienamente ai paradigmi del Disegno industriale teorizzati da De Fusco?1 Forse la sua funzione di mediatore, di oggetto semiotico, e quindi come ricorda Eco,2 di dispositivo anche in grado di mentire? O la sua vocazione a contenere e, pertanto, nella maggior parte dei casi, a occultare e, persino, a camuffare? Il suo essere un po’ ruffiano, un po’ un imbonitore, al servizio del mercato, capace di tentare e di lusingare i destinatari spingendoli verso ciò che potrebbe non servire loro o il suo ruolo di promotore, grazie alle sue qualità prestazionali, delle nostre pigrizie? Basti pensare alle immagini emblematiche e accusatorie che circolano sui social che ritraggono singole arance sbucciate, pronte per essere consumate, offerte in vaschette trasparenti, per le quali non dobbiamo certamente disturbare Munari e il suo “elogio all’arancia”3 – analizzata come esempio di good design in quanto prodotto assolutamente perfetto del “marketing della natura” – per rendere evidente la deriva attuale delle logiche di consumo. O, rimanendo nello stesso ambito, alle uova sode già sgusciate, vendute a due a due in imballaggi sigillati con film pelabile e fascetta di cartoncino (delegata a trasferire le informazioni sul prodotto). Esempi che, se osservati da una prospettiva di sostenibilità ambientale e cultura dei consumi, rendono manifesti quei tratti esasperati e talvolta disfunzionali del packaging che lo connotano come icona dell’usa e getta.

2  Si fa riferimento alla “Teoria della menzogna” e all’affermazione: “Se qualcosa non può essere usato per mentire, allora non può neppure essere usato per dire la verità: di fatto non può essere usato per dire nulla”, espressa nel Trattato di semiotica generale (U. Eco, Bompiani, Milano, 1975, p. 17). 3  Munari sottopone le forme della natura al suo giudizio ironico di designer. L’arancia diviene così un esempio di “good design” in quanto “un oggetto quasi perfetto dove si riscontra l’assoluta coerenza tra forma, funzione e consumo”. Good Design è stato pubblicato per la prima volta nel 1963. Riproposto da Maurizio Corraini e da Vanni Scheiwiller nel 1997 in occasione del novantesimo compleanno di Bruno Munari è attualmente edito da Corraini. 4  Cfr. V. Bucchetti, La messa in scena del prodotto. Packaging identità e consumo, FrancoAngeli, Milano, 1999; AA.VV., PackAge, Lupetti, Milano, 2001; V. Bucchetti, Packaging Design, FrancoAngeli, Milano, 2005; E. Ciravegna, La qualità del packaging. Sistemi per l’accesso comunicativo-informativo dell’imballaggio, FrancoAngeli, Milano, 2010; L. Badalucco, Il buon packaging, Edizioni Dativo, Milano, 2011, a cura di C. De Giorgi, Sustainable Packaging?, Allemandi, Torino, 2013. Valeria Bucchetti è professoressa associata di Disegno industriale presso il Dipartimento di Design del Politecnico di Milano. Visual designer, laureata in Discipline delle Arti, Musica e Spettacolo (Università degli Studi di Bologna), Dottore di ricerca in Disegno industriale. È membro del Collegio di Dottorato in Design del Politecnico di Milano, del Consiglio scientifico del Centro di Ricerca interuniversitario Culture di genere, del comitato di redazione della collana di Design della comunicazione (Franco Angeli); socia AIAP dal 1989 al 2017. Ha vinto il premio Compasso d’Oro (1995) come co-autore del catalogo multimediale per il Museo Poldi Pezzoli. È autrice di numerose pubblicazioni.

Numerosi sono gli studi, le riflessioni, i momenti di osservazione e di ricerca sviluppati negli ultimi anni in ambito scientifico che, di volta in volta, hanno messo in evidenza la complessità, le qualità, i valori e le contraddizioni che sembrano essere una cifra distintiva dell’oggetto-packaging;4 un “calimero” che, malgrado queste sue sfaccettature, sviluppa i propri volumi e cresce economicamente nel proprio comparto. Anche per queste sue discordanze, ogni qual volta un nuovo contributo testuale si affaccia, ponendo al centro l’oggetto di studio e rinnovando la lente di osservazione, si aprono nuovi scenari. Questa pubblicazione si pone, infatti, come un tassello inedito per una riflessione sullo statuto del packaging, offrendo, attraverso il punto di vista del curatore, una prospettiva concisa, puntuale, documentata e, al tempo stesso – così come Piero Capodieci è solito fare - capace di toccare e provocare reazioni. Di richiamare chi legge a prendere posizione. Ogni testo è, nei fatti, espressione di un momento di bilancio implicito sul tema trattato; un bilancio determinato o indotto dalla volontà dell’autore. Gli atout del packaging

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È un’occasione per fermare i pensieri, per mettere ordine, per offrire e cogliere visioni e prospettive dalle quali osservare le cose. Ci viene, pertanto, proposto lo sguardo rotondo di chi governa il tema da molteplici angolazioni, di chi è stato in grado di intersecare punti di vista differenti, di rileggere ragioni radicate nell’iter evolutivo e in quello legislativo, per arrivare a osservare l’imballaggio attraverso il filtro dell’economia circolare, di cui si fa interprete. È in questa chiave, in funzione di questa premessa, che deve essere letto il catalogo di fonti documentali che ne costituisce il corpus: casi esemplari che rappresentano filiere da risorse rinnovabili e da risorse non rinnovabili, unitamente a un’area specifica dedicata ad alcuni casi rilevanti sul piano dell’innovazione che, nella loro globalità, costituiscono un repertorio essenziale per ripercorrere l’agito.

5  In particolare nella direzione della riduzione e nell’impiego di materiale riciclato e, più in generale, secondo le regole delle 4R.

Si tratta di un repertorio che richiama la riflessione intorno al modo in cui, negli ultimi decenni, il tema della sostenibilità ha orientato le scelte progettuali,5 tema che sembra non aver impresso un cambiamento significativo sul modello semantico dell’imballaggio, così per come viene pensato, progettato e organizzato. Sembra cioè che la “dimensione ambientale” ancora non sia stata colta come occasione per mettere in discussione i modelli consolidati, per scardinarli quando necessario o per rinegoziare le funzioni comunicative alle quali l’artefatto risponde. Un’occasione che deve essere accompagnata dall’affermazione di nuove priorità, di contenuti in grado di spostare il baricentro progettuale.

6  Si veda il volume Packaging controverso, a cura di V. Bucchetti (Edizioni Dativo, Milano, 2007), in cui venivano presentate delle linee di sperimentazione progettuale che ancora oggi rimangono interessanti aree di indagine.

Per non rimanere schiacciato dalla sua stessa struttura narrativa, dalla sua stessa grammatica, il packaging deve esercitarsi a tradurre nuovi contenuti informativi, deve pertanto prestarsi a far evolvere il proprio statuto di artefatto comunicativo.6

7  In una prospettiva più ampia, si veda quanto riportato nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, ossia nel programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritto nel 2015 dai governi dei 193 paesi membri dell’ONU, un documento che ingloba 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile per un totale di 169 target.

La nozione di sostenibilità, secondo la sua accezione più profonda e più ampia, così come la comunità scientifica afferma e le istituzioni dedicate indicano,7 può fornire una chiave interpretativa per rileggere il packaging consentendoci di arrivare a correlarla, per esempio, allo spreco di risorse cognitive individuali, riconoscendo come “sostenibili” gli imballaggi che permettono un’immediata comprensione del prodotto e delle sue caratteristiche, al fine di produrre il minimo sforzo cognitivo nel destinatario, accompagnandolo verso una scelta e un uso corretto e consapevole del contenuto e del suo contenitore (con tutte le ripercussioni che questa prospettiva porta con sé sul piano dei linguaggi).8

8  Si veda quanto pubblicato nel volumetto I principi della Carta etica del Packaging per favorire buone pratiche, a cura di V. Bucchetti (Edizioni Dativo, Milano, 2017). 9  Si fa riferimento al punto 8 (lungimirante) della Carta etica del Packaging (2015). La Carta un progetto a cura di: G. Baule, V. Bucchetti (Politecnico di Milano); L. Guidotti, S. Lavorini (Edizioni Dativo); redatta da G. Baule, V. Bucchetti; promossa da Edizioni Dativo con la collaborazione del Dipartimento di Design, Politecnico di Milano; patrocinata dall’Istituto Italiano Imballaggio.

Ciò significa non rinunciare a cogliere ogni cambiamento in grado di favorire nuovi modelli di consumo e comportamento. L’imballaggio sa di doversi modificare nel tempo, di dover sperimentare su se stesso per favorire le proprie trasformazioni future: “deve saper accogliere tutti i mutamenti necessari: essere soggetto di ricerca e di forme di sperimentazione che lo fanno evolvere; deve disporre di strumenti che lo mettano in grado di prevedere le proprie trasformazioni”.9 Anche per questa ragione è fondamentale, così come questa pubblicazione attesta, mantenere alto l’esercizio di letture critiche e pratiche autoriflessive, che sostengano questo processo e favoriscano la capacità di osservazione tra le pieghe del sistema complessivo. Questo quadro rafforza il mio convincimento che il packaging abbia ancora molti atout, che numerose siano le potenzialità e le strade ancora da percorrere. È indispensabile pertanto rimettere al centro il ruolo delle discipline del progetto. Un ruolo determinato dalla capacità di quest’ultimo di fornire sinte-

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NEOMATERIALI PACKAGING


si, di generare soluzioni (strutturali, morfologiche ed espressive) che siano punti di convergenza, risultanti di processi che accolgono volontà, vincoli, intenzioni, bisogni, innovazioni tecnologiche, e che trovano risposte proprio nel “farsi oggetto”. L’oggetto-packaging rimane infatti, che ci piaccia o meno, un dispositivo testuale capace di produrre effetti di senso. Questa sua essenza, in una visione sfidante di crescita e di superamento dei modelli dati, non può essere messa in secondo piano nell’atto progettuale, con il rischio di privilegiare solamente alcuni tra i molteplici punti di vista alla base del packaging (come per esempio quello tecnico), poiché l’imballaggio è la risultante complessiva ed è con l’oggetto-packaging che ci si misura. Ed è una misura che riguarda tutti noi. Tutti noi infatti siamo “soggetti impliciti in un sistema di progettazione, produzione, utilizzo, consumo e riuso dell’imballaggio”: consumatori, utilizzatori del packaging come strumento, fruitori delle informazioni che esso propone, utenti del servizio erogato dall’artefatto, interpreti del packaging come oggetto culturale e sociale, poiché è a noi che l’oggetto è destinato.10

10  Vedi la Carta etica del Packaging, p. 13.

Gli atout del packaging

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Packaging the change

di Piero Capodieci

Uno sguardo indietro Siamo nel 1960. Negli Stati Uniti viene pubblicato un nuovo libro di Vance Packard: The Waste Makers (David McKay, New York, 1960). È la cronaca documentata del passaggio dalla sobrietà puritana al consumismo, dalla cura di oggetti essenziali all’apoteosi dell’usa e getta, alla progettazione e realizzazione dell’obsolescenza programmata. Qualche citazione, riportata da Packard, basta a rendere evidente come il mercato si stesse orientando verso la produzione di beni dei quali le persone, diventate consumatori, avrebbero avuto voglia di disfarsi rapidamente: “la nostra economia enormemente produttiva... richiede che facciamo del consumo il nostro stile di vita, che convertiamo l’acquisto e l’uso dei beni in rituali, che perseguiamo le nostre soddisfazioni spirituali ed egoistiche nel consumo... Abbiamo bisogno che le cose siano consumate, bruciate, usurate, sostituite e gettate via a un ritmo sempre crescente.”1

1  Victor Lebow, “Price competition in 1955”, in The journal of Retailing, inverno 1955-56; citato in The Waste Makers pag. 24.

Curioso il racconto di un produttore di pelapatate che, avendo scoperto che pur essendo utensili che potevano durare decenni, si continuavano a vendere perché venivano gettati per sbaglio nella spazzatura insieme alle bucce, pensò di produrli di colore simile alle patate in modo che ci si confondesse più facilmente. Un intero capitolo del libro di Packard è dedicato all’obsolescenza programmata e agli sforzi per promuovere l’idea della “non-durability”, già utilizzata negli anni Trenta (un articolo del 1936, “La durata è obsoleta”, aveva come sottotitolo: “Se la merce non viene consumata più velocemente, le industrie saranno inattive e le persone disoccupate”2). Purtroppo il concetto è ancora attuale perché così funziona l’economia: si continua a parlare di stimolare la domanda per favorire la crescita, senza qualificare né l’una né l’altra. Proprio negli stessi anni, General Motors formalizzava la politica dei Modelli Annuali.3 The Waste Makers non è un libro ambientalista, ma di analisi della trasformazione sociale e delle implicazioni sia sulla vita collettiva sia sulla psicologia individuale; ovviamente il consumo/spreco delle risorse non vi è ignorato ma è ancora visto come perdita di autosufficienza degli USA. È una critica serrata che segue quella alla pubblicità, presentata da Packard in I persuasori occulti (Giulio Einaudi Editore, Torino, 1958), strumento fondamentale per trasformare tutti quelli che possono in consumatori voraci e per indurre quelli che non possono a sognare di diventarlo. Gli Stati Uniti sono la terra dell’abbondanza e in quegli anni di guerra fredda viene fatto di tutto per esportarne l’immagine e la logica in tutto l’Occidente, per dimostrare concretamente la superiorità dell’economia di mercato rispetto all’economia pianificata non solo dal punto di vista delle libertà democratiche, ma anche e forse soprattutto per la capacità di produrre e diffondere sempre più beni di consumo.

2  Leon Kelly, “Outmoded Durability”, in Printer’s Ink, 9 gennaio 1936; citato in The Waste Makers pag. 58.

3  La General Motors a partire dai primi anni Venti, con la direzione di Alfred P. Sloan, si organizzò in una struttura di coordinamento centrale e tante divisioni quanti erano i marchi (Chevrolet, Buick, Cadillac ecc.). Ogni marchio era destinato a un segmento di mercato diverso. A differenza di Ford che insisteva nel fabbricare la macchina più economica possibile, dunque senza differenziazioni, GM aveva puntato su auto con caratteristiche e prezzi diversi che, proprio per battere Ford, dovevano presentare continuamente novità attraenti. Nel 1935, dopo anni nei quali i modelli venivano rinnovati spesso ma non in modo regolato, venne elaborata la prima procedura scritta che sancì il modello annuale.

È il trionfo dell’economia lineare: Estraggo materia ed energia → Produco → Consumo → Smaltisco (in realtà in tutti i passaggi vengono generati scarti da smaltire). Packaging the change

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