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RIVISTA INTERNAZIONALE SULLA BIOECONOMIA E L’ECONOMIA CIRCOLARE 19 | dicembre 2017-gennaio 2018 pubblicazione bimestrale Edizioni Ambiente
Intervista a Mark Palahí: Seguire il richiamo della foresta •• Il flirt tra finanza ed economia circolare •• Chi CERCA trova
Dossier bioeconomia/Belgio: Dal carbone alla biomassa •• La chiave è l’interazione •• #waterevolution •• Così ti riciclo il pannolino
Focus finanza: se i lupi di Wall Street diventano agnelli •• Abbonarsi alla qualità •• I capitali vanno in circolo •• Come passare da prodotto a servizio •• Tutto è iniziato a Helsinki
I disastri ambientali vanno in prima serata •• Stampa 3D e mondo animale •• Impegno Ue, disimpegno Usa
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Eventi
Editoriale
Il flirt tra finanza ed economia circolare di Antonio Cianciullo
Il rapporto tra finanza ed economia circolare somiglia a quello che si era instaurato, alla fine del secolo scorso, tra il mondo del credito e le fonti rinnovabili di energia. È un flirt, non un matrimonio. Avances, non accordi organici. Ci sono però le premesse per un’intesa solida e l’Italia potrebbe svolgere un ruolo significativo in questa partita. Anche perché il trend si sta consolidando. Nel febbraio scorso Eric Solheim, il direttore del Programma ambiente delle Nazioni Unite che avevo intervistato per Repubblica, aveva disegnato un quadro piuttosto positivo della situazione: “In termini di guadagni derivanti dalle imprese coinvolte nella green economy, la Borsa italiana si colloca al decimo posto su scala mondiale. Alla fine del 2015 gli asset gestiti con criteri di investimento sostenibile e responsabile ammontavano a 616 miliardi di euro. Più del 22% del mercato assicurativo italiano è rappresentato da compagnie che hanno sottoscritto i principi per l’assicurazione sostenibile promossi dalle Nazioni Unite”. Ma aveva anche precisato che in Italia il mercato green è riservato agli operatori, non ai piccoli investitori, mentre ad esempio in Lussemburgo c’è il Lux Flag, un marchio di micro finanza garantito dall’associazione delle banche per assicurare larga diffusione a prodotti finanziari relativi a imprese impegnate in campo ambientale. Questo è il punto critico da superare: passare da una conoscenza della materia riservata agli addetti ai lavori a un tema di larga diffusione. Le premesse ci sono tutte perché le varie crisi che periodicamente s’intrecciano (economica, energetica, delle risorse, sociale) mettono in evidenza, anche negli ultimi sondaggi di fine anno, una sensibilità crescente alle questioni ambientali. E anche il panorama internazionale diventa sempre più netto. Lo dimostrano il peso che ha avuto la svolta green dell’economia in One Planet Summit, l’incontro organizzato dal presidente francese Macron per ribadire gli impegni di salvaguardia climatica decisi alla conferenza di Parigi di due anni fa, e il ruolo crescente della finanza verde sostenuta
in modo particolare dalla Cina e dalla Francia (i green bond nel 2015 valevano 40 miliardi dollari, nel 2016 sono raddoppiati superando gli 80 miliardi, nel 2017 hanno avuto un altro balzo analogo). Quello di cui ora c’è bisogno è la connessione tra questa sensibilità e le opportunità concrete di riconversione produttiva che vanno in direzione dell’allentamento delle tensioni sociali esasperate dal sommarsi delle crisi. Un link che, come dimostrano i servizi ospitati in questo numero di Materia Rinnovabile, comincia a profilarsi. In Europa la Bio-based Industries Joint Undertaking, fondata nel 2014 per amministrare e gestire la partnership pubblica-privata da 3,7 miliardi di euro sulle industrie biobased, ha finanziato in un triennio 65 progetti (e l’Italia è il secondo Paese per numero di progetti approvati). Parliamo di progetti dimostrativi ma anche di progetti di peso, come quello coordinato da Novamont per la creazione in Sardegna di una bioraffineria molto innovativa, basata su colture oleaginose a basso input come il cardo coltivate in zone marginali per ricavare bio-monomeri ed esteri con cui realizzare lubrificanti, cosmetici, bioplastiche. Lo sforzo europeo, che si è concretizzato anche nel pacchetto sull’economia circolare e nel primo forum sull’economia circolare che si è tenuto nel giugno scorso in Finlandia, ha sottolineato le possibilità offerte al mondo creditizio dall’economia circolare. E, come si racconta nelle pagine che seguono, Jamie Butterworth, ex amministratore delegato della Ellen MacArthur Foundation, ne ha approfittato per contribuire alla fondazione di Circularity Capital, una società creata proprio per rendere evidenti agli investitori le opportunità derivanti dalle aziende impegnate in un’economia circolare che si prepara al salto di crescita. La via è aperta, si tratta di percorrerla. P.S. Applicando il principio della circolarità delle funzioni, da questo numero lascio la direzione di Materia Rinnovabile. Un ringraziamento a tutti i lettori che ci hanno seguito e sostenuto in questi tre anni e, alla testata, un augurio di buon proseguimento.
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19|dicembre 2017-gennaio 2018 Sommario
MATERIA RINNOVABILE
www.materiarinnovabile.it ISSN 2385-2240 Reg. Tribunale di Milano n. 351 del 31/10/2014 Direttore responsabile Antonio Cianciullo Direttore editoriale Marco Moro
Think Tank
RIVISTA INTERNAZIONALE SULLA BIOECONOMIA E L’ECONOMIA CIRCOLARE
Hanno collaborato a questo numero Elisa Achterberg, Emanuele Bompan, Mario Bonaccorso, Rudi Bressa, Irene Bruschi, Matteo Cavalitto, Luca D’Ammando, Aglaia Fischer, Roberto Giovannini, Fabio Iraldo, Emanuele Isonio, Francesca Maccagnan, Francesco Petrucci, Barbara Pollini, Antonella Ilaria Totaro, Lambert Van Nistelrooij
Antonio Cianciullo
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Il flirt tra finanza ed economia circolare
Emanuele Bompan
8
È ancora forte il richiamo della foresta Intervista a Marc Palahí
Mario Bonaccorso
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Dossier Belgio Dal carbone alla biomassa
Lambert van Nistelrooij
17
Riflettori accesi sul biobased
Emanuele Isonio
20
Focus finanza Se i lupi di Wall Street diventano agnelli
Emanuele Isonio
24
Matteo Cavallito
27
Antonella Ilaria Totaro
30
Antonella Ilaria Totaro
33
Focus finanza Se l’investimento arriva dal basso
Aglaia Fischer, Elisa Achterberg
36
Focus finanza Per innovare serve una comunità
Ringraziamenti Andrea Di Stefano, Jasper Havermans Caporedattore Maria Pia Terrosi Coordinamento di redazione Paola Cristina Fraschini
Design & Art Direction Mauro Panzeri Impaginazione e infografiche Michela Lazzaroni Traduzioni Erminio Cella, Laura Coppo, Franco Lombini, Mario Tadiello
Policy
Editing Paola Cristina Fraschini, Diego Tavazzi
Focus finanza Un’occasione per ripensare il ruolo delle fondazioni Intervista a Sonia Cantoni
Focus finanza La sostenibilità vale di più
Focus finanza Capitali in circolo Intervista a Jamie Butterworth
7
Coordinamento generale Anna Re
Mario Bonaccorso
40
Focus finanza Una intesa vincente
Responsabile relazioni esterne Anna Re Responsabile relazioni internazionali Federico Manca Ufficio stampa ufficio.stampa@reteambiente.it
Rubriche
Case Studies
Emanuele Bompan
42
Focus finanza Tutto è iniziato a Helsinki
Rudi Bressa
46
Così ti riciclo il pannolino
Barbara Pollini, Francesca Maccagnan
49
Pensare con le mani
Contatti redazione@materiarinnovabile.it Edizioni Ambiente Via Natale Battaglia 10 20127 Milano, Italia t. +39 02 45487277 f. +39 02 45487333 Pubblicità e promozione marketing@materiarinnovabile.it Abbonamenti (6 numeri all’anno) Solo on-line su www.materiarinnovabile.it/moduloabbonamento Questa rivista è composta in Dejavu Pro di Ko Sliggers Prodotto e stampato in Italia presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi)
Luca D’Ammando
53
Acque nere, oro nero
Irene Bruschi, Fabio Iraldo
56
Chi CERCA trova
Roberto Giovannini
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Il circolo mediatico I disastri ambientali vanno in prima serata
Francesco Petrucci
61
Circular by law Impegno Ue, disimpegno Usa
Federico Pedrocchi
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Pillole di innovazione Stampa 3D e mondo animale
Copyright ©Edizioni Ambiente 2018 Tutti i diritti riservati
In copertina Detriti spaziali. Centinaia di migliaia di detriti spaziali sono in orbita intorno al nostro pianeta a una velocità di 28.000 km/h e minacciano satelliti e stazioni spaziali. L’immagine, generata al computer, rappresenta gli oggetti in orbita terrestre attualmente monitorati. ©NASA
©Giadaionnestari
È ancora forte il richiamo della foresta Intervista a Marc Palahí
Oltre a fornire energia da sempre le foreste svolgono un ruolo cruciale nella conservazione della biodiversità e nell’equilibrio degli ecosistemi. Ma dal legno oggi si possono anche ricavare biomateriali utilizzabili in molti settori, dall’edilizia, alla chimica, al tessile. Al posto dei prodotti di origine fossile. di Emanuele Bompan
L’espressione “sostenibilità” è strettamente correlata alle foreste. La parola entrò in uso nel 1713 quando il direttore delle operazioni minerarie Carl von Carlowitz, di Freiberg in Sassonia, pubblicò il trattato sulla silvicoltura Sylvicultura oeconomica, nel quale veniva discusso per la prima volta il principio di “uso continuativo e sostenibile”. Von Carlowitz coniò il termine in un momento in cui in molte parti d’Europa c’era bisogno di Marc Palahí è il Direttore dello European Forest Institute e responsabile della guida dell’organizzazione verso una piattaforma scientifico-politica pan-europea riconosciuta. Palahí ha un PhD in silvicoltura ed è un esperto di foreste e cambiamenti globali. Ha scritto influenti articoli sul ruolo trasformativo delle foreste nella lotta ai cambiamenti climatici e nello sviluppo di una bioeconomia europea.
grandissime quantità di legno per le attività di scavo in miniera e per la fusione dei minerali grezzi. I dintorni delle città minerarie venivano gradualmente deforestati. La scarsità di legno era una minaccia incombente. Nel suo Sylvicultura oeconomica Von Carlowitz sosteneva che occorreva conservare le foreste raccogliendo una quantità di legno non superiore alle capacità naturali di rigenerazione dello stesso. Oggi le foreste stanno assumendo un ruolo fondamentale nella settore della bioeconomia: forniscono materiali (legno e non-legno), bioenergia, oltre a una moltitudine di altri servizi di regolazione dell’ecosistema, tra i quali il più importante è l’assorbimento dell’anidride carbonica. Senza dimenticare i servizi culturali ecosistemici. Una serie di innovazioni nella gestione sostenibile e nei processi chimici che rendono le foreste una risorsa sempre più rilevante in tutto il mondo. Abbiamo discusso dello sviluppo futuro del settore forestale con Marc Palahí, direttore dello European Forest Institute, un’organizzazione internazionale fondata da 28 Stati europei, il cui obiettivo è quello di condurre ricerche e fornire supporto nell’ideazione delle politiche inerenti ai problemi dei “polmoni” della Terra. Mr Palahí, quale sarà il ruolo delle foreste nell’economia futura in termini di prodotti e di servizi? “Le foreste rappresentano la più importante infrastruttura biologica presente sul pianeta: sono il bacino primario di assorbimento dell’anidride carbonica, la principale sede di biodiversità sulla
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European Forest Institute, www.efi.int/portal
un ruolo importante a livello europeo e continuerà a farlo nel futuro prossimo.” Quindi il legno è un combustibile di transizione? “È una fonte di energia transitoria: penso che a lungo termine il settore energetico possa essere completamente decarbonizzato. Il passaggio all’energia pulita è già iniziato e sta progredendo molto velocemente. Credo che il ruolo fondamentale delle foreste nell’economia futura sarà quello di sostituire alcuni materiali.” L’edilizia è un settore chiave in cui il legno può diventare un materiale di primo livello. “Attualmente gli edifici in legno rappresentano solo il 10% del mercato totale in Europa, ma naturalmente la tecnologia sta progredendo molto rapidamente. Oggi con il legno si possono costruire grandi edifici, alti come quelli di acciaio. Costruire con il legno è positivo per il clima perché si sequestra CO2 dall’atmosfera e la si immagazzina per un lungo periodo di tempo. Inoltre utilizzando il legno al posto di calcestruzzo e acciaio si riduce sostanzialmente (del 50%) l’impronta di carbonio di un edificio. La sfida è a livello legislativo: tuttora in molti Paesi non è permesso costruire edifici di legno alti più di 2 o 3 piani.”
La tecnologia permette di utilizzare tutte le parti di un albero? “In paesi come la Finlandia e la Svezia grazie a tecnologie avanzate riusciamo a utilizzare tutte le parti di un albero e le sue componenti, cellulosa e lignina. Se da molti anni la cellulosa viene trasformata in molti prodotti diversi, oggi siamo in grado di usare anche la lignina come base per la fibra di carbonio (LCF- Lignin-based carbon fiber). Così in un futuro prossimo saremo in grado di avere automobili e aeroplani fatti di fibra di carbonio derivata dal legno.”
La gestione delle foreste è fondamentale per la loro conservazione, anche per un uso economico. Quale potrebbe essere il piano globale perfetto al riguardo? “A livello europeo abbiamo una storia di successo. Negli ultimi 30 anni la superficie delle foreste è aumentata di un’area pari al triplo della Svizzera, con un incremento della quota di alberi in crescita e una maggiore biodiversità. Però ai tropici e in altre regioni del pianeta, le foreste non sono state competitive come l’agricoltura o altre forme di utilizzo del terreno. Per questo la deforestazione non si ferma: gli agricoltori guadagnano di più con la soia o altre coltivazioni. Con dei buoni investimenti possiamo ribaltare la situazione. E se la bioeconomia vuole avere successo dobbiamo investire in biodiversità, perché questo garantisce la resilienza delle risorse biologiche a lungo termine. Per farlo abbiamo bisogno di forti politiche e investimenti per promuovere la silvicoltura.”
Il legno viene anche usato per produrre energia. Secondo lei sarebbe meglio usarlo per produrre materiali? “Oggi la bioenergia ricavata dalle foreste gioca oggi
©Giadaionnestari
Emanuele Bompan, geografo urbano e giornalista, si occupa di giornalismo ambientale dal 2008. Autore con Ilaria Brambilla del libro Che cos’è l’economia circolare (Edizioni Ambiente, 2016).
terraferma, la più importante fonte terrestre di ossigeno e svolgono un ruolo cruciale nella formazione delle precipitazioni. Sono anche fondamentali per migliorare la resilienza di comunità rurali e urbane perché hanno un effetto positivo su acqua, suolo e biodiversità che sono risorse indispensabili per il sostentamento della vita sul nostro pianeta. Il secondo ruolo fondamentale delle foreste, legato alla nostra economia, è che rappresentano la principale fonte di risorse biologiche rinnovabili non alimentari. Queste risorse possono essere trasformate in materiali diversi, morbidi come il cotone o resistenti come l’acciaio. Si possono ottenere prodotti di base in grado di sostituire quelli ambientalmente sorpassati di origine fossile in settori industriali, come l’edilizia, il tessile, quello delle plastiche o delle sostanze chimiche. Quindi le foreste sono importantissime per un’economia circolare che rispetti i limiti del pianeta.”
Quale ruolo possono avere le organizzazioni internazionali? “Sono necessarie per fermare la deforestazione e per promuovere piani di ri-forestazione. Grazie alla bioeconomia forestale possiamo recuperare più di un miliardo di ettari. Questo rappresenterà una soluzione forte per contrastare i cambiamenti climatici promuovendo allo stesso tempo i prodotti biobased. Quando si sarà creata una catena di valore, si potranno distribuire ricchezza e occupazione. Abbiamo bisogno di un obiettivo chiaro: stabilire un prezzo per le emissioni di carbonio, una politica molto chiara per stimolare il mercato. Ma dobbiamo smettere di elargire sussidi per i prodotti fossili.”
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Dossier
BELGIO Una forte industria chimica, una buona disponibilitĂ di biomassa, una consistente rete logistica integrata. Oltre a una eccellente ricerca pubblica e privata. Questi i punti di forza della bioeconomia belga guidata dalla regione delle Fiandre. Anche se la Vallonia non sta ferma a guardare e ha deciso di puntare soprattutto sulla chimica verde.
Policy
Dal carbone alla BIOMASSA
Trainata dalla Regione delle Fiandre, la bioeconomia in Belgio ha grandi ambizioni. E vanta già molti fiori all’occhiello: per esempio nella produzione di biocarburanti, nelle biotecnologie e nella ricerca. di Mario Bonaccorso
Vision 2050. A longtermstrategy for Flanders, www.vlaanderen.be/int/ europese-unie/en/news/ vision-2050-long-termstrategy-flanders
Mario Bonaccorso è giornalista, fondatore del blog Il Bioeconomista. Lavora per Assobiotec, l’Associazione italiana per lo sviluppo delle biotecnologie.
La forte presenza dell’industria chimica (il sesto paese dell’Ue per fatturato, secondo l’associazione europea Cefic, e il primo al mondo su base pro capite), con grandi impianti di fermentazione come quelli di AlcoBiofuel e BioWanze, una buona disponibilità di biomassa, una rete logistica integrata in una delle aree più sviluppate del continente, dove i porti di Ghent e Anversa giocano un ruolo strategico. E ancora: una ricerca pubblica e privata di eccellenza, cluster dedicati e impianti pilota che consentono lo scale-up industriale delle tecnologie. Sono queste le caratteristiche principali della bioeconomia in Belgio, dove è la Regione delle Fiandre a esercitare una vera e propria forza di traino. Archiviati gli anni dell’economia basata sul carbone, oggi il Paese ha individuato nell’impiego delle fonti rinnovabili la leva per un nuovo sviluppo economico sostenibile, anche se ancora manca una strategia nazionale su questo meta-settore. Le Fiandre alla guida della bioeconomia belga Le politiche sulla bioeconomia in Belgio riflettono il carattere federale del paese, ma soprattutto il diverso livello di sviluppo tecnologico e industriale che caratterizza le due principali regioni. Mentre in Vallonia la bioeconomia è considerata nel più ampio contesto della green economy e non esiste ancora una strategia correlata, le Fiandre negli ultimi anni hanno preso diverse iniziative volte a sostenere il settore, con una prima bozza di una strategia dedicata (Bioeconomy in Flanders), presentata nel 2014 grazie a un gruppo di lavoro interdipartimentale composto da diversi ministeri e agenzie governative come VITO (l’Istituto fiammingo per la ricerca tecnologica) e OVAM (l’Agenzia pubblica per i rifiuti), che hanno collaborato con istituzioni di ricerca, associazioni industriali e società civile. Il documento individua cinque aree prioritarie per promuovere la bioeconomia fiamminga. La prima consiste nella rimozione di tutti gli ostacoli regolatori e nel coordinamento delle misure legislative più rilevanti per il settore.
La seconda sottolinea la presenza delle infrastrutture, della ricerca e dell’innovazione come elementi fondamentali per favorire lo sviluppo della bioeconomia. Ciò significa anche una forte attenzione verso la formazione di esperti e la valorizzazione dei risultati della ricerca, evitando un conflitto nell’allocazione delle risorse per cibo, materiali ed energia. La terza riguarda l’uso efficiente della biomassa, con lo sviluppo di criteri di sostenibilità e territorialità. La quarta prevede la creazione di un mercato e di una consapevolezza tra l’opinione pubblica. La quinta, infine, è la cooperazione interregionale e internazionale per favorire il trasferimento tecnologico e di conoscenze. Tutto ciò dovrebbe portare la regione, nella visione del governo, a essere nel 2030 una delle più competitive in Europa in ambito bioeconomico e tra le più importanti a livello di ricerca e innovazione. I temi dell’economia circolare, dell’energia e di Industria 4.0 rientrano anche tra le sette priorità di transizione individuate dal governo fiammingo nel piano strategico Vision 2050. A long-termstrategy for Flanders. Lo sviluppo di una bioeconomia competitiva producendo biomassa in modo sostenibile e (ri)-utilizzando scarti e residui per alimenti e mangimi, materiali, prodotti ed energia è incluso in modo esplicito nel documento CircularFlanders approvato lo scorso 24 febbraio. Il punto di partenza è molto incoraggiante, perché già oggi la bioeconomia è una realtà notevolmente sviluppata nelle Fiandre. La regione contribuisce al 58% del prodotto interno lordo totale belga (dati 2013: 229,9 miliardi di euro su 395,3 totali), e al 61% delle spese globali in Ricerca e Sviluppo (dati 2013: 5,8 miliardi di euro su 9,6 miliardi totali). Nel 2015, il fatturato del settore chimico, delle plastiche e delle scienze della vita ha raggiunto i 42 miliardi di euro, con 59.500 posti di lavoro diretti e oltre 100mila indiretti, 1,6 miliardi di euro per la Ricerca e Sviluppo e 11 miliardi di valore aggiunto lordo (il 30% del totale dell’industria). Di 60 miliardi di euro è il fatturato dell’industria agroalimentare, che dà lavoro a 145.500 persone e contribuisce per 8,2 miliardi di euro al valore aggiunto lordo fiammingo.
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 Bio Base Europe Pilot Plant, www.bbeu.org Biorizon, www.biorizon.eu
Il Flanders Biobased Cluster L’ambizione fiamminga di essere uno dei centri di punta della bioeconomia europea risale almeno al 2005, anno di fondazione della Ghent Bio-Energy Valley, chiamata a soddisfare la richiesta del governo di produrre biocarburanti sul territorio belga. Da qui è nato anche il Rodenhuizebiorefinery cluster nel porto di Ghent, che ospita l’impianto per la produzione di bioetanolo di Alco Biofuel ed è oggi uno dei più grandi siti europei di produzione bioenergetica. La regione di Ghent è responsabile del 90% della produzione totale dei biocarburanti fiamminghi. Dopo l’avvio della produzione di biocarburanti, la Ghent Bio-Energy Valley ha ampliato il proprio campo di attività a tutti i domini della bioeconomia. Un cambiamento che ha portato anche una trasformazione del nome prima, nel 2013, in Ghent Bioeconomy Valley e successivamente, nel 2016, in Flanders Bioeconomy Valley. Quest’ultima è un vero e proprio hub dell’innovazione biobased che ha come partner l’Università di Ghent, il Porto, la stessa città e l’Agenzia di sviluppo delle Fiandre orientali, e mette insieme centri di ricerca, investitori, Pmi e grandi imprese. L’obiettivo è favorire l’innovazione tecnologica in campo biobased, consentire una clusterizzazione delle diverse filiere della bioeconomia, fornire servizi specialistici ai propri membri e promuovere una corretta informazione sulla nuova economia che impiega le fonti biologiche come materia prima. Fiore all’occhiello della Flanders Bioeconomy Valley è il Bio Base Europe, di cui fanno parte il Bio Base Europe Pilot Plant e il Bio Base Europe Training Center, un centro di formazione, esibizione e network che promuove lo sviluppo di una bioeconomia sostenibile, offrendo alle imprese formazione specifica e connessioni strette con la domanda di mercato. Bio Base Europe Pilot Plant Situato nel porto di Ghent, per la realizzazione del Bio Base Europe Pilot Plant è stato ristrutturato un edificio già esistente. Si tratta di una piattaforma pilota aperta, capace di accogliere sotto lo stesso tetto l’intera catena di valore, dalle risorse rinnovabili al prodotto. Dotata di attrezzature per pre-trattamento delle biomasse, fermentazione, biocatalisi, chimica verde e processi a valle,
la struttura è composta da tre grandi aree, con laboratori e uno spazio per la manutenzione. La prima area pilota è dedicata al pre-trattamento e alla biocatalisi: vi si trovano diversi reattori con dimensioni fino a 8 metri cubi; il secondo settore è dedicato alla biotecnologia industriale, con fermentatori fino a 15 metri cubi; la terza area contiene reattori chimici e attrezzature di estrazione con dimensioni fino a 5 metri cubi. I diversi moduli sono estremamente flessibili e possono essere collegati per realizzare in modo diretto molteplici linee di produzione. La finalità di questo impianto è ambiziosa: diventare un centro di riferimento a servizio delle imprese per testare i bioprodotti made in EU. Oggi il Bio Base Europe Pilot Plant, che è operativo dal 2011, è considerato un punto di avanguardia per le biotecnologie industriali, anche in virtù del riconoscimento ufficiale ricevuto dalla Commissione europea. Nel corso degli anni, grazie al supporto finanziario del Porto di Ghent, della Provincia delle Fiandre orientali, del governo fiammingo, dei Paesi Bassi e dell’Unione europea, nell’impianto pilota di Bio Base Europe sono stati investiti oltre 25 milioni di euro. La ricerca biotecnologica Le Fiandre sono anche uno dei principali mercati europei per le biotecnologie. Nel 2015 il mercato biotech belga capitalizzava 17 miliardi di euro, il 15% del totale europeo. L’1% di tutti i brevetti mondiali per il biotech industriale è di proprietà belga. Mentre l’economia biobased è cresciuta dal 2008 al 2014 del 28%. Rappresentanti d’eccellenza della ricerca fiamminga sono VIB, l’Istituto per le biotecnologie che occupa 1470 scienziati di 60 nazionalità differenti, e VITO, l’Istituto per la Ricerca Tecnologica che occupa oltre 750 scienziati di 20 nazionalità differenti. Non mancano gli impianti pilota per trasformare la ricerca in nuovi prodotti da portare sul mercato: oltre al già citato BBEPP, a Melle è stato costruito il FoodPilot grazie a ILVO, l’Istituto per la ricerca agricola e ittica e Flanders’ FOOD, la piattaforma per l’innovazione dell’industria alimentare finanziata all’80% dal governo fiammingo. Si tratta di un centro di analisi, applicativo e dimostrativo che converte la biomassa – incluse nuove piante dedicate – in prodotti alimentari e non alimentari. Frutto della collaborazione con i Paesi Bassi nel campo della ricerca è Biorizon, un centro di ricerca condiviso con un focus sullo sviluppo tecnologico per la produzione di bulkaromatici biobased (BTX) e di aromatici biobased funzionalizzati per materiali performanti, prodotti chimici e rivestimenti. Biorizon, che utilizza la metodologia dell’open innovation, mira ad anticipare la crescente carenza di aromatici da parte dell’industria petrolchimica e coltiva l’ambizione di rendere più verde l’industria chimica belga. Fondatori di Biorizon, che fa parte del cluster olandese Biobased Delta, sono VITO, i centri di ricerca olandesi TNO, ECN (Energy Research Center of the Netherlands) e l’incubatore
Policy Green Chemistry Campus localizzato nel sito belga per le plastiche innovative di Sabic, il colosso chimico che ha il proprio quartier generale a Riad, in Arabia Saudita. Il BIG-Cluster La collaborazione transfrontaliera è alla base dell’azione fiamminga nel campo della bioeconomia. Del resto, Fiandre, Olanda e Renania rappresentano il maggiore cluster chimico europeo. Per questo motivo proprio alcuni attori della bioeconomia dei Paesi Bassi, della Regione delle Fiandre e di quella tedesca della Renania settentrionale-Vestfalia hanno fondato nel 2014 BIG-Cluster, un mega-cluster che punta a fare da cabina di regia per le iniziative sulla bioeconomia attuali e future, con tre leader: FISCH (FlandersInnovationHub for SustainableChemistry) per le Fiandre, il cluster delle biotecnologie industriali Clib2021 per la Renania settentrionaleVestfalia e la fondazione BE-Basic per i Paesi Bassi. Grazie al suo eccellente posizionamento nei quattro pilastri della competitività – istituzioni, infrastrutture, macroeconomia e istruzione – il mega cluster, conosciuto anche come AnversaRotterdam-Reno-Ruhr (ARRR), è da decenni una potenza nell’innovazione industriale nel settore della chimica e oggi punta a mantenere i livelli di crescita economica e di occupazione grazie a una riconversione basata sull’impiego delle fonti rinnovabili. Le imprese A testimoniare il grande interesse e impegno della chimica belga nel campo della bioeconomia è il gruppo Solvay, oggi uno dei più importanti player nel settore della chimica da materie prime rinnovabili. La società che nel 2016 ha registrato ricavi netti per 10,9 miliardi di euro sta puntando con forza a costruire un modello di chimica sostenibile per affrontare le sfide ambientali globali. Già oggi vanta un portafoglio con numerosi prodotti di origine biologica, sotto forma di polimeri e materiali, tensioattivi, solventi, monomeri e aromi. “Stiamo innovando per creare prodotti e processi eco-efficienti grazie alla nostra esperienza nella chimica organica, nella catalisi e nella biotecnologia”, ha dichiarato Sergio Mastroianni, Initiative Leader di Solvay Research and Innovation, lo scorso aprile in occasione dell’evento PlantBased Summit che si è tenuto a Lille (Francia). “I nostri ricercatori in tutto il mondo – ha detto – si concentrano sullo sviluppo dei prodotti con funzionalità senza precedenti da materie prime rinnovabili, in particolare dalle piante”. “Cerchiamo di sfruttare le caratteristiche specifiche delle biorisorse, dalle quali creiamo nuovi usi per i nostri clienti con la massima efficienza dei costi, riducendo l’impronta ambientale dei loro prodotti”, ha rimarcato nella stessa occasione François Monnet, direttore Chimica rinnovabile di Solvay.
Accanto a un colosso come Solvay si trovano realtà più piccole, come Synvina, frutto di una joint venture tra l’olandese Avantium e il gruppo chimico tedesco Basf. La nuova società, che ha il quartier generale ad Amsterdam, localizzerà ad Anversa, in un ex stabilimento Basf, il proprio impianto per la produzione di 50mila tonnellate annue di acido furandicarbossilico (FDCA) da fonti rinnovabili. Il FDCA è un intermedio chimico essenziale per la produzione di PEF (polietilenefuranoato) e quindi di bioplastiche. La Vallonia non sta ferma a guardare Se le Fiandre guidano la bioeconomia belga, la Vallonia non sta comunque ferma a guardare. Nella regione più meridionale del Belgio, a Wenze, si trova il maggiore impianto nazionale per la produzione di bioetanolo di proprietà di BioWanze, una società controllata da CropEnergies AG, che a sua volta fa parte del gruppo tedesco Südzucker. Nel 2013 è stata lanciata l’iniziativa CoqVert, una partnership pubblico-privata tra il cluster Green Win, la società per l’attrazione degli investimenti in Vallonia AWEX-ForeignInvestment e Val Biom, l’associazione per la valorizzazione non alimentare della biomassa, in collaborazione con EssensciaVallonia, la federazione dell’industria chimica e delle scienze della vita. Attraverso questo progetto, i partner hanno voluto dare una spinta significativa allo sviluppo di una bioeconomia forte e competitiva in Vallonia, incoraggiando nuovi progetti in un settore ritenuto vitale come quello della chimica verde. Nello specifico, l’iniziativa CoqVert ha lo scopo di favorire l’utilizzo di biomasse da risorse non alimentari, come sottoprodotti, residui e rifiuti. Per questo motivo le bioraffinerie di seconda generazione sono al centro di un piano di sviluppo del settore nel lungo periodo. Ma non solo: tra le misure intraprese vi è anche il sostegno a progetti di ricerca e investimento e di formazione. “La bioeconomia – sostengono i partner di CoqVert – deve essere parte integrante della politica industriale della Vallonia, data l’abbondante presenza di biomassa non alimentare, le competenze scientifiche di rilievo internazionale nel campo dell’agricoltura, della silvicoltura, della chimica (verde) e dei materiali.” Il potenziale per lanciare progetti di ricerca innovativi e ambiziosi a supporto della bioeconomia esiste nel più ampio piano di supporto all’economia verde. Nel 2015 il governo vallone ha lanciato il Plan Marshall 4.0, un piano quinquennale con un budget di 2,9 miliardi di euro che ha individuato cinque aree prioritarie di sviluppo. Tra queste sono presenti la Ricerca e l’innovazione e l’Energia e l’Economia circolare. “Un percorso ‘verde’ – lamentano gli attori valloni della bioeconomia – è in corso in tutte le regioni limitrofe: Fiandre, Paesi Bassi e Francia hanno adottato una strategia centralizzata a supporto della bioeconomia”. La Vallonia non vuole restare indietro.
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 Intervista
di M. B.
La chiave è l’interazione Ludo Diels, Project Leader alla VITO
“Le Fiandre hanno l’industria chimica. La Vallonia ha il potenziale delle biomasse e anche alcuni utilizzatori finali interessanti. Quindi, di fatto, c’è una buona complementarietà.” Ludo Diels, Project Leader alla VITO, un’organizzazione indipendente europea leader nella ricerca e nella tecnologia nei settori della tecnologia pulita e dello sviluppo sostenibile che ha sede a Mol (Anversa), parla con Materia Rinnovabile. Quali sono i punti forti e quelli deboli della bioeconomia belga? “Il principale punto di forza risiede nel collegamento con l’industria chimica. Il Belgio è insieme all’Olanda e alla Germania il più grande cluster chimico d’Europa e tra i primi quattro più grandi cluster al mondo. L’industria chimica è la più grande industria delle Fiandre e rende forte questa economia. La seconda industria è quella alimentare (minore volume di affari, maggiore occupazione) e anche questa è fortemente collegata alla bioeconomia. Inoltre il Belgio possiede una potente rete logistica che supporta la regione ARRR (Anversa-RotterdamReno-Ruhr) e può contare su un vivace settore dell’innovazione basato su università, RTO (Research and Technology Organisation), impianti pilota di incubazione di vegetali ecc. Le Fiandre sono anche state la culla della biotecnologia vegetale e sono l’unico posto in Europa dove ancora esistono attività industriali di biotecnologia vegetale (la maggior parte si sono spostate in USA). Sono il centro dell’economia circolare e della gestione dei rifiuti e hanno diverse aziende che lavorano sulle biomasse ante litteram che si occupano principalmente di sostanze chimiche ad alto valore aggiunto (come Omnichem-Ajinomoto, Oleon, TFC, Lawter). La principale debolezza sta nella limitata disponibilità di biomasse, sebbene attualmente si stiano osservando flussi secondari che avranno un potenziale. Inoltre il Belgio non ha molte vere bioraffinerie complete: una di queste è la Biowanze. Ma possiede alcuni piccoli impianti per la produzione di bioetanolo e biodiesel.” vito.be/en
Quali sono le principali aziende chimiche presenti in Belgio? “Oltre a quelle specifiche che ho già nominato, ilBelgio ha tutte le grandi aziende chimiche (Covestro, BASF, Evonik, Ineos, Borealis, Lanxess ecc.) che in qualche modo sono in relazione con la bioeconomia. Ci sono anche molte aziende chimiche che si occupano di sostanze chimiche ad alto valore aggiunto (EOC-group, Kaneka, Sumitomo, Allnex) e altre sul lato degli utilizzatori finali della catena di valore, come Derbigum, Beaulieu, Unilin.” Potrebbe spiegarci qual è il ruolo della VITO nell’economia belga?
“Direi prima di tutto che trasferisce i risultati della ricerca accademica all’applicazione per l’industria (approccio generico). Si concentra sulla chimica sostenibile mediante il passaggio a materie prime rinnovabili (biomasse e CO2) e implementando l’intensificazione dei processi. Come Vito riteniamo che l’introduzione della bioeconomia richieda tecnologie più efficienti per fare un passo avanti. La risposta a questo fatto è l’intensificazione dei processi (in particolare integrando tecnologie di conversione e separazione). Giochiamo un ruolo strategico nell’organizzare e gestire una chimica sostenibile nelle Fiandre (con un forte ruolo nel network Catalisti) e, in questo modo, VITO obbliga al passaggio al livello successivo della bioeconomia. Siamo presenti nelle attività interregionali (Biorizon, BIG-Cluster, Vanguard) ed Europee (ruolo attivo in PPPs BBI e SPIRE) e anche nelle strategie mondiali (Strategia Bioeconomica tra Europa e India).” Il Belgio non ha ancora una strategia nazionale, come non la ha la Vallonia. Mentre le Fiandre hanno una strategia e, soprattutto, hanno importanti attori industriali. Quanto sarebbe importante avere una strategia nazionale e come la bioeconomia belga è influenzata dal divario tra Fiandre e Vallonia? “Le Fiandre hanno l’industria chimica, la Vallonia ha il potenziale delle biomasse e anche alcuni utilizzatori finali interessanti. Quindi, di fatto, c’è una buona complementarietà. Questo viene già menzionato nella strategia delle Fiandre e anche la Vallonia riconosce questa situazione win-win. Forse non abbiamo bisogno di una strategia belga, ma occorre almeno un approccio integrato. Lo si potrà fare quando la Vallonia avrà una sua strategia. Solo quando esistono due strategie ufficiali può essere ufficialmente creato un collegamento tra di esse.” Quanto è importante la relazione con l’Olanda per la bioeconomia belga? “Le Fiandre operano in grande collaborazione con l’Olanda attraverso l’ARRR e condividendo una specializzazione intelligente nellabioeconomia. Un buon esempio è Biorizon, il centro di ricerca condiviso sulle fragranze biobased. Un altro è il BioBase Europe Pilot Plant di Ghent collegato al Tracking Centre di Terneuzen.” Come viene percepita la bioeconomia da parte dell’opinione pubblica belga? “Credo che la percezione non sia molto diversa rispetto ad altri paesi. L’opinione pubblica non è ben consapevole del potenziale per la propria economia e il proprio welfare. In molti casi l’industria chimica viene vista come sporca e i benefici economici vengono
Policy sottostimati, anche dal mondo politico. Inoltre, discussioni come ‘cibo vs carburante’, ‘manipolazione genetica’, ‘utilizzo del territorio’, necessitano di una revisione e di dibattito pubblico e politico. La paura di piccoli svantaggi costringe l’opinione pubblica a vivere nell’economia del business-as-usual fondata sul petrolio.” Quali sono le misure vigenti in Belgio per sostenere lo sviluppo della bioeconomia? E cosa andrebbe implementato a breve termine?
“Nelle Fiandre la bioeconomia è ora parte della strategia per l’economia circolare. Inoltre, la chimica sostenibile è uno dei cinque cluster punta di diamante del governo fiammingo per lo sviluppo di future attività industriali. Per sfruttare appieno tutto questo, l’interazione tra i settori va migliorata (chimica e materiali, chimica e cibo). Lo stesso vale per l’interazione a livello nazionale (collaborazione con la Vallonia) e internazionale (collaborazione con Olanda e Germania e diverse altre regioni) e tutto questo in funzione di una specializzazione intelligente.”
Intervista
di M. B.
Ai bioprodotti serve un contesto equo Monika Sormann, dipartimento di Economia, Scienza e Innovazione (EWI) del governo fiammingo
“Prima di tutto non possiamo parlare di una bioeconomia belga. In Belgio le diverse autorità – i governi federali, regionali e cittadini – hanno un alto livello di autonomia. Per esempio la competenza sulle politiche per l’innovazione, per l’agricoltura, per la ricerca appartiene quasi esclusivamente alle regioni o alle comunitภmentre quando è necessario un punto di vista belga a livello europeo e internazionale, le autorità ricorrono per il consenso a un sistema di deliberazione ben sviluppato” A dirlo – in questa intervista esclusiva per Materia Rinnovabile – è Monika Sormann, consigliere sulle politiche per la bioeconomia nel dipartimento di Economia, Scienza e Innovazione (EWI) del governo fiammingo. Con lei parliamo di bioeconomia in Belgio e in Europa. “C’è sicuramente bisogno – afferma – di una struttura normativa che incentivi l’uso di materie prime rinnovabili per la produzione di materiali e di una successiva promozione dei prodotti biobased.”
www.ewi-vlaanderen.be/en
Quali sono secondo lei i punti di forza della bioeconomia belga? “I principali punti di forza della bioeconomia nelle Fiandre sono stati definiti nell’Industrial Biotechnology Study del KET e in studi commissionati dal governo fiammingo nel 2012 e nel 2016 riguardanti l’industria biobased nelle Fiandre. Ovvero: l’eccellenza nella ricerca nelle università e negli istituti di ricerca, come il gruppo VIB che si occupa di biotecnologie vegetali e lieviti, e Vito per energia e materiali. In aggiunta ci sono centri di ricerca specifici per il settore dei tessuti e della plastica, importanti utilizzatori di grandi quantità di polimeri biobased e prodotti chimici ad alto contenuto tecnologico. Le Fiandre possono contare su forti settori industriali come quello chimico, l’agroalimentare, il tessile e il cartario; su tre porti marini, una fitta rete di strade, ferrovie e canali navigabili e una buona operatività in rete: le Fiandre sono situate centralmente tra Francia, Olanda e Germania, tre regioni forti nell’economia biobased; sulla disponibilità di risorse grazie a un settore agroalimentare molto efficiente e a un alto livello di raccolta differenziata e utilizzo dei
rifiuti; sul Biobased Europe Pilot Plant, la Flanders BioBased Valley, sulla piattaforma CINBIOS (per la biotecnologia industriale e l’economia biobased, ndR), e su un cluster per la Chimica Sostenibile. Una nuova politica per il rafforzamento della Smart Specialisation nelle Fiandre ha portato a cluster di eccellenza come Catalisti (chimica sostenibile) collegato alla bioeconomia e Flander’sFood. Abbiamo anche un gruppo di lavoro trasversale sulle politiche relative alla bioeconomia e un piano d’azione e una strategia per le Fiandre (2013); inoltre una strategia per l’economia circolare del 2016 comprende assegnazioni circolari negli appalti pubblici per accrescere la consapevolezza dei consumatori e sviluppare nuove catene di valore usando i rifiuti come risorsa in vista della riduzione dell’impronta di CO2.” E le debolezze? “Le principali debolezze sono la scarsa visibilità politica della bioeconomia nelle Fiandre, il fatto che i finanziamenti per Ricerca e Innovazione siano perlopiù piuttosto generici e aperti a tutti i settori; e che i fondi disponibili per valorizzare i risultati delle ricerche attraverso attività pilota o dimostrative (per i più alti TRL, Technology Readiness Level) non sono sufficienti per potenziare questo mercato emergente. Inoltre, c’è bisogno di un contesto equo in cui confrontare i biocarburanti con materiali e sostanze chimiche, e gli stessi biocarburanti con i carburanti fossili, a livello regionale ed europeo.” Qual è il ruolo del Biobase Europe Pilot Plant (BBEPP) nell’economia belga? “Il BBEPP è stato fondato con l’obiettivo di colmare il vuoto tra la ricerca e la commercializzazione di prodotti biobased. I principali valori sono la sua indipendenza e l’accessibilità. Ha avviato delle partnership con molte importanti aziende e istituti di ricerca nelle Fiandre e in tutta Europa. Economicamente, l’impianto pilota vanta un giro di affari annuo di 5 milioni di euro e ha circa 50 dipendenti. Il BBEPP crea anche occupazione nell’indotto. Nato con i fondi ERDF nel 2009 ha usato
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 gli investimenti pubblici come leva per partire e guadagnare da investimenti privati e da progetti finanziati dall’Ue. Ha sostenuto con successo lo sviluppo della commercializzazione di nuovi processi biobased.” In particolare, può spiegarci qual è il ruolo dell’impianto pilota nel potenziare la bioeconomia e attrarre investimenti dall’estero? “L’implementazione delle innovazioni biobased è uno sconquasso per le attuali catene di valore, con alti rischi tecnologici, operativi e di mercato. Gli impianti pilota ad accesso libero come il BBEPP contribuiscono a ridurre considerevolmente il rischio tecnologico per gli innovatori, rendendo disponibile una tecnologia di livello adeguato alle necessità senza che gli innovatori debbano spendere milioni di euro. Il lavoro svolto negli impianti pilota contribuisce a costruire il set di dati necessario a convincere i management, gli investitori o le agenzie di finanziamento a rendere possibili passi successivi. Inoltre il BBEPP aiuta gli innovatori a trovare i partner giusti per completare la loro catena di valore o fornisce assistenza nell’individuazione di esperti che supportino gli imprenditori riguardo agli aspetti non tecnologici come regolamentazione, IPR, LCA, sviluppo della pianificazione del business ecc.” Il porto di Ghent e il porto di Anversa sono due dei più importanti elementi della bioeconomia belga. Quanto è strategico il sistema logistico nel favorire lo sviluppo dell’economia biobased? “Entrambi i porti giocano un ruolo importante, ciascuno a modo suo. L’accesso al trasporto marittimo e fluviale delle merci sia dal mare che verso l’interno dell’Europa attraverso canali e fiumi e infrastrutture stradali e ferroviarie ben sviluppate è fondamentale. Il porto di Anversa ospita uno dei più grandi cluster petrolchimici del mondo. L’industria chimica rappresenta uno dei settori economici più importanti delle Fiandre e del Belgio e ha un ruolo significativoin molte catene di valore biobased. Inoltre, il settore richiede un maggiore uso di materie prime e intermedie rinnovabili nei suoi processi. Anversa ha un’enorme capacità di stoccaggio per i container e circa 300 km di condutture, alcune delle quali possono anche essere usate per prodotti biobased. L’industria chimica punta a diventare più sostenibile, e la collaborazione internazionale con l’Olanda e il Nord Reno-Vestfalia gioca un ruolo importante (Big-Cluster, iniziativa Vanguard ecc.) Recentemente è nata una joint venture tra BASF e Avantium per la produzione e la vendita del polimero biobased FDCA.
Il BBEPP è situato nel porto di Ghent, come anche uno dei più grandi siti per la produzione integrata di biocarburanti in Europa, il cluster di bioraffinerie di Rodenhuizedok, nato da una partnership pubblicoprivato nel 2005. Ghent ha scelto di dedicare un ampio spazio alle aziende che vogliono investire nella bioeconomia. Le biomasse vengono consegnate e stoccate in grande quantità per sviluppare zuccheri. Un paio di mesi fa, la Arcelor Mittal si è impegnata a investire nella conversione dei gas C1 in biocarburanti e forse in altri prodotti chimici insieme a LanzaTech.” Quanto sarebbe importante avere una strategia nazionale e in che modo la bioeconomia belga viene influenzata dal divario tra Fiandre e Vallonia? “In Vallonia Greenwin (il Cluster dell’Innovazione Vallone, ndR) gioca un ruolo importante nella creazione di una bioeconomia. Il fatto che non ci sia una strategia nazionale non è necessariamente un ostacolo alla collaborazione tra regioni. Poiché non ci sono politiche nazionali per i progetti di ricerca e innovazione in cui la collaborazione di partner delle Fiandre e della Vallonia è obbligatoria, i ricercatori vengono utilizzati per collaborare a progetti dei programmi di finanziamento europei.” Quali misure sono state adottate in Belgio per sostenere lo sviluppo della bioeconomia? E cosa pensa che andrebbe implementato a breve termine? Sia in Belgio che nell’Unione Europea. “Le misure vigenti nelle Fiandre sono le nuove politiche sui cluster; Catalisti e Flander’sFood sono due cluster di eccellenza legati alla bioeconomia e l’economia circolare basata sul precedente programma di gestione dei materiali ora si è focalizzata anche su biomasse, acqua ed energia. La maggior parte delle misure per il finanziamento di Ricerca e Innovazione sono generiche, ma c’è il supporto alla cooperazione nei programmi dell’Ue, per esempio INTERREG, ERAnet, JPI, Vanguard Initiative, con un programma pilota sulla bioeconomia. Molte misure, come quelle sull’energia sostenibile, sono ideate a livello dell’Ue e adottate nei paesi membri. Nelle politiche dell’Ue dovrebbero essere previste sinergie più strette tra la bioeconomia (e la sua strategia) e altre politiche europee come regolamentazione dei flussi di rifiuti, CAP, Economia Circolare. Abbiamo bisogno di finanziamenti più efficaci per gli investimenti in infrastrutture a TRL superiore per colmare il divario innovativo e supportare in tutto il paese dei progetti in impianti pilota. C’è sicuramente bisogno di una struttura normativa che incentivi l’uso di materie prime rinnovabili per la produzione di materiali e di una successiva promozione dei prodotti biobased. Così questi prodotti potrebbero essere sovvenzionati come le bioenergie, per esempio, sulla base dei loro benefici in termini di emissioni di gas serra, o potrebbero essere inclusi in un programma di ‘appalto pubblico sostenibile’, investimenti obbligatori in azioni e finanziamento del debito nella bioinnovazione, e gli investimenti pilota renderebbero concrete le opportunità di mercato.”
Policy
RIFLETTORI ACCESI sul biobased
La Ue finanzia centinaia di progetti biobased ogni anno ma spesso si perde traccia dei risultati ottenuti. Per questo serve una strategia di comunicazione efficace. E in questa direzione si muovono alcune iniziative come RegioStars Awards, LandArt Diessen, BioCannDo.
di Lambert van Nistelrooij
Membro del Parlamento Ue dal 2004, Lambert van Nistelrooij si è occupato di politiche regionali, ricerca e innovazione, energia e dell’agenda digitale. Ha lavorato agli European Structural and Investments Funds, allo European Fund for Strategic Investments, allo Structural Reform Support Programme e alla Biobased Industry Initiative come relatore.
RegioStars Awards, www.regiostars.eu Bio Base NWE, www.biobasenwe.org/en/ home LandArt Diessen, www.landartdiessen.nl
L’economia biobased sta crescendo a un ritmo costante. Rappresenta una larga quota del Pil europeo complessivo con un volume di affari annuo pari a due trilioni di euro e dà lavoro a oltre 22 milioni di persone. I tassi di crescita, sebbene stabili, rimangono bassi. Una delle cose che mancano è una strategia di comunicazione convincente che evidenzi i vantaggi e i benefici sostenibili dei progetti biobased. Ogni anno la Ue finanzia centinaia di progetti in questo settore, ma successivamente non si sente parlare molto dei risultati ottenuti. L’Europa ha bisogno di una strategia di comunicazione efficace che metta sotto i riflettori gli effetti e i risultati di questi progetti: è nell’interesse dei cittadini e delle persone coinvolte nel settore che questi progetti e i loro sviluppi ricevano attenzione e riconoscimento. Sebbene riciclo e sostenibilità siano diventati termini di uso comune negli scorsi decenni, i vantaggi dei prodotti biobased rimangono in gran parte sconosciuti ai consumatori e ai produttori. Dobbiamo migliorare sul fronte della percezione e della consapevolezza dei cittadini riguardo all’economia biobased. È necessario un approccio integrato per tutte le parti coinvolte in questo settore economico. Il mondo è sempre più connesso; l’approccio comunicativo dei produttori rafforza entrambi i segmenti, della produzione e del consumo. Si potrebbero usare esempi dimostrativi per convincere le parti coinvolte e i futuri sviluppatori/produttori del valore (locale) aggiunto dell’economia biobased. L’Ue può e dovrebbe contribuire maggiormente a questo processo di aumento della consapevolezza. Fortunatamente ci sono alcune iniziative dell’Ue che mirano proprio a questo: prendete gli annuali RegioStars Awards, conferiti nello scorso ottobre
a Bruxelles. Questi Awards mettono in risalto progetti originali e innovativi, supportati dagli European Structural Funds, che affascinano e ispirano altre regioni europee. Erano presenti oltre 100 progetti, 24 dei quali erano stati nominati per questo prestigioso premio. I finalisti provenienti da 20 Stati membri e dai paesi con essi confinanti sono stati giudicati sulla base di quattro criteri: innovazione del progetto, impatto prodotto sulla regione e sui cittadini, sostenibilità e capacità di creare partnership. Nella categoria “Smart Specialization for PMI Innovation”, il RegioStars Award è stato conferito al consorzio Bio Base NWE. Questo consorzio, sostenuto dall’European Regional Development Fund (ERDF) 2007-2013 / Interreg North West Europe, raggruppa esperti di economia biobased provenienti da otto organizzazioni di cinque diversi paesi (Paesi Bassi, Germania, Gran Bretagna, Irlanda e Belgio). Insieme hanno fornito reti e soluzioni tecnologiche a oltre 755 piccole e medie imprese. Queste campagne hanno ricevuto supporto commerciale su come fare arrivare i loro prodotti e le loro idee dal laboratorio al mercato. In aggiunta, sono state fornite opportunità di finanziamento sotto forma dei cosiddetti “innovation coupon”. Comunque si dovrebbe fare di più per coinvolgere maggiormente i cittadini. Si sono fatti i primi passi: in Olanda con il Commissario europeo per lo Sviluppo Regionale, Corina Cretu, abbiamo organizzato una mostra d’arte biobased, LandArt Diessen. In collaborazione con il progetto olandese BioCannDo, abbiamo raccolto circa 100 prodotti biobased che sono stati esposti al pubblico. Il progetto BioCannDo finanziato dall’Ue si concentra sulla promozione di prodotti biobased presso la cittadinanza. Per esempio,
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 Lambert van Nistelrooij, Membro del Parlamento europeo, e il Commissario per lo Sviluppo Regionale Corina Cretu insieme a uno dei vincitori dei RegioStars Awards 2017, Bio Base NWE (fonte: flickr)
www.cda.nl/nistelrooij/letthe-stars-shine
indicando dove acquistare questi prodotti e quali sono gli ulteriori benefici. Questo approccio si diffonderà in Europa negli anni a venire. Bruxelles aiuterà gli imprenditori assumendosi una parte del rischio. Questa mostra locale ha anche fatto partire l’iniziativa “Let the stars shine”. Nei prossimi mesi, con otto colleghi selezioneremo alcuni dei progetti sovvenzionati dall’Europa e studieremo i modi di comunicare innovativi utilizzati per coinvolgere cittadini, città e regioni nel progetto. Vogliamo evidenziare questi progetti per comunicare la loro storia. Nel 2018 raggrupperemo i progetti innovativi in una mostra a Bruxelles. Naturalmente i progetti biobased faranno parte della lista. Nel libro “Let the stars shine” potete scoprire di più riguardo a questa iniziativa.
COMPRARE BIOBASED Fonte: EuropaBio.
I MARCHI DI PRODOTTI DI CONSUMO STANNO INTRODUCENDO L’USO DI BOTTIGLIE DI PLASTICA AL 100% DI ORIGINE VEGETALE E RICICLABILI
3,7 MILIARDI DI EURO INVESTITI
UTILIZZATO IL 65% IN MENO DI CARBONIO DA COMBUSTIBILI FOSSILI PER PRODURRE BIOPLASTICHE RISPETTO ALLE PLASTICHE TRADIZIONALI
NEL CORSO DI 7 ANNI (2014-2020) IN RICERCA E INNOVAZIONE PER LE INDUSTRIE BIOBASED ATTRAVERSO IL BBI JU
OLTRE UN MILIONE 30% IN MENO DI ELETTRICITÀ USATA DALLE LAVANDERIE LAVANDO GLI INDUMENTI A 30 °C INVECE CHE A 40 °C
DELLA FORZA LAVORO EUROPEA GIÀ IMPIEGATA NELLA BIOECONOMIA
DI POSTI DI LAVORO VERRANNO CREATI NELL’INDUSTRIA BIOTECH TRA IL 2010 E IL 2030 PRINCIPALMENTE NELLE AREE RURALI
2 MILIONI
DI ULTERIORI POSTI DI LAVORO CREATI ATTRAVERSO MISURE VOLTE A INCREMENTARE LA PRODUTTIVITÀ DELLE RISORSE
Focus
FINANZA in collaborazione con
www.valori.it
materiarinnovabile 19. 2017-2018
Focus finanza
in collaborazione con
Karen Arnold/www.publicdomainpictures.net
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Se i LUPI di Wall Street diventano AGNELLI
Dipendenza dalle materie prime, prezzi volatili, effetti dei cambiamenti climatici, legislazioni ambientali sempre più restrittive e accresciuta attenzione agli impatti. Sono alcuni aspetti connessi all’economia lineare che rendono la transizione a quella circolare “un buon affare”. Ma servono adeguate risorse per finanziare questo passaggio. Così come occorre saper valutare le incognite.
di Emanuele Isonio
Trasformare i “lupi di Wall Street”, disinteressati a qualunque buona causa, in agnelli “al capezzale del pianeta”: l’impresa appare ardua. Ai limiti dell’innaturale. Eppure poche cose attirano gli investitori più dell’odore dei soldi. Ed ecco che, magicamente, anche il clima è diventato ormai un buon affare. Soprattutto là dove le politiche energetiche e industriali dei vari Paesi indicano con decisione l’abbandono delle fonti fossili e dei sistemi di produzione ad alto consumo di materie prime in favore di energie pulite e modelli basati sui precetti dell’economia circolare.
Caporedattore del mensile di economia e finanza etica Valori, Emanuele Isonio è giornalista dal 2006 e si è specializzato in inchieste su sanità, finanza, transizione ecologica, energie rinnovabili e agricoltura. Nel 2012 è stato premiato come “Young Journalist” dalla Direzione agricoltura della Commissione europea.
L’ultima conferma è arrivata dalle conclusioni del One Planet Summit, vertice mondiale sull’ambiente con 50 capi di Stato e di governo, tenutosi a dicembre a Parigi. Un po’ vetrina voluta dal presidente francese Emmanuel Macron per rafforzare l’immagine di una Francia paladina del clima e un po’ occasione per ribadire un concetto che, almeno in apparenza, dovrebbe rasentare l’ovvio: non si fa una rivoluzione (tantomeno verde) senza soldi. Tra gli analisti transalpini, in molti hanno notato che sono stati banchieri e finanzieri, piuttosto che il mondo della politica, gli ascoltatori più sensibili del messaggio di Macron e del suo ministro dell’Ambiente, Nicolas Hulot. La Francia d’altro canto, con le sue sessanta centrali nucleari da dismettere o ristrutturare a costi esorbitanti, può diventare
terra ideale per chi è pronto a concedere credito ai colossi energetici impegnati nel passaggio dall’atomo alle rinnovabili. Edf (Elecriticité de France) ha deciso l’emissione di un mega-green bond da 25 miliardi di euro per finanziare il suo “Plan Solaire” da 30 gigawatt e 30mila ettari di campi fotovoltaici. Quel che succede nel mondo dell’energia non è poi così diverso da quanto accade in altri settori industriali intenti a trovare il modo per ridurre il consumo di risorse naturali, ripensare i sistemi di produzione, sviluppare sistemi di riuso e riciclo. Tante azioni raccolte nei principi dell’economia circolare. Che possono dispiegare grandi effetti, a patto di avere adeguate risorse in grado di finanziare la transizione. Esattamente un anno fa, un rapporto presentato al World Economic Forum 2017 dalla società di venture capital Systemiq insieme alla Ellen MacArthur Foundation (Growth within: a circular economy vision for a competitive Europe) calcolava in 320 miliardi di euro i finanziamenti necessari al cambio di modello di sviluppo da qui al 2025. Sostenendo con le giuste risorse i cambiamenti in mobilità, cibo ed edilizia (le tre macroaree considerate nel rapporto perché responsabili del 60% della spesa delle famiglie europee e dell’80% del consumo di risorse), l’Unione europea vedrebbe crescere del 7% annuo il proprio Pil, riducendo al tempo stesso del 10% il consumo di materie prime e del 17% l’emissione di CO2.
Policy
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Figura 1 | Investimenti necessari per ottenere benefici dell’economia circolare Investimenti totali identificati nell’economia circolare dell’Unione Europea fino al 2025 (£ miliardi)
555
320
875
Benefici dell’economia circolare sulla base dei valori indicizzati secondo il “Achieving Growth Within” 2012=1001
70 210
135
130 120 110 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0
ALIMENTAZIONE
115 260
140
MOBILITÀ
125 405 290
SVILUPPI PROSSIMA ONDATA ATTUALI DI ECONOMIA CIRCOLARE
AMBIENTE EDIFICATO
TOTALE
PIL
Scenari per il 2030
+7%
-10% -17%
COSTO DELLE RISORSE PRIMARIE EMISSIONI DI CO2
2012
SVILUPPI PROSSIMA ONDATA ATTUALI DELL’ECONOMIA CIRCOLARE
Fonte: “Achieving Growth Within”.
2050
2030
Figura 2 | Finanziare le risorse CONCEPT
INIZIO
CRESCITA
MATURITÀ
Istituzioni, fondi pensione
Capitale pubblico
VALORE
Investitori d’impatto Banche debitrici Nuovi operatori Capitale di avviamento / di rischio Prestiti / sussidi
Crowd funding
TEMPO
Trovare i fondi per la transizione è un’esigenza primaria per il Vecchio continente, se si considera che, tra il 1900 e il 2009, l’industrializzazione ha portato a un aumento di 10 volte del consumo delle materie prime e a un incremento di sette volte del consumo energetico nazionale. La Ue è poi il maggior importatore di risorse (760 miliardi
Fonte: FinanCE, “Money makes the world go round”.
di euro l’anno, il 50% in più degli Usa). Viene da Paesi extracomunitari il 60% dei combustibili fossili e dei metalli. E i materiali d’importazione pesano tra il 40 e il 60% dei costi sostenuti dalle imprese manifatturiere continentali: un chiaro svantaggio per la loro competitività globale, connesso con la volatilità dei prezzi
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 Tabella 1 | Riassunto dei rischi circolari e lineari
RISCHI CIRCOLARI
RISCHIO LINEARE
Necessario cambiamento di mentalità per vedere prodotti (usati) come serie di moduli e/o materiali di valore anziché rifiuti
Dipendenza da risorse vergini (rischio di stravolgimento della filiera)
L’investimento iniziale richiesto può causare deterioramento dei margini sul breve termine
Esposizione alla volatilità dei prezzi delle risorse
Bilancio dei margini sul breve periodo contro stabilità di lungo termine
Maggiore legislazione ambientale
Domanda di mercato dei prodotti offerti: oggi clienti e imprese sono abituate a essere proprietari dei prodotti
Crescita demografica e aumento della ricchezza finanziaria
Dipendenza dalla collaborazione con la filiera
Effetti dei cambiamenti climatici
Valore residuo di molti prodotti ignoto, a causa del mercato ridotto di imprese con produzione circolare (per esempio ditte che operano il riciclo creativo, il riutilizzo, ricondizionamento o ristrutturazione)
Domanda di prodotti ecologici
Rischio di blocco della filiera
Imprese/prodotti che diventano obsoleti poiché ancorati alle loro vecchie pratiche lineari (beni insabbiati)
e con la dipendenza dall’estero (sono già 20 le materie prime classificate come “critiche” dalla commissione Ue rispetto ai rischi di un loro approvvigionamento). Già, ma dove guardare quando si tratta di trovare finanziatori? Dipende infatti dal tipo di attività da finanziare. “Esistono molti diversi tipi di prodotti finanziari necessari per sfruttare pienamente i modelli di business circolari” spiega il rapporto Money makes the world go round realizzato dal gruppo di lavoro FinanCE, del quale fanno parte istituti bancari (tra cui Intesa San Paolo), università ed enti europei (BEI e
Figura 3 | Prestiti all’economia circolare 2012-2016: €2,38 miliardi
7%
Gestione idrica EUR 640m
15% 29%
Industria e servizi EUR 680m Agricoltura e bioeconomia EUR 530m Smaltimento rifiuti EUR 360m
22% 27%
Product-to-service EUR 170m
Fonte: EIB in the Circular Economy.
Fonte: FinanCE, “Money makes the world go round”.
BERD). “Ad esempio, nella fase di transizione in cui un’azienda passa da un modello di business lineare a uno circolare, il profilo di rischio può essere più adatto al capitale di rischio più elevato, mediante l’iniezione di capitale azionario o aumenti di capitale. Una volta completata la transizione, potrebbe invece risultare più appropriato passare a un capitale a rischio inferiore, tramite forme di prestito generiche”. Il fulcro è sempre il profilo di rischio di una determinata impresa o iniziativa, che può essere adeguato per alcune forme di finanziamento ma non per altre ed è spesso connesso con la maturità dell’impresa (figura 2). “Il livello di rischio si rifletterà nel premio di rischio” sottolineano gli analisti di FinanCE. “Quando è elevato, il premio deve essere elevato, perché il finanziatore deve essere risarcito per il rischio assunto”. Anche il mondo produttivo circolare ha infatti le proprie incognite, che ogni potenziale investitore inevitabilmente valuta (tabella 1). Ma d’altro canto, sono proprio i rischi sempre più palesi del tradizionale approccio lineare a rendere i finanziamenti per la transizione une bonne affaire come ha scritto Le Figaro in prima pagina nei giorni del summit parigino: dipendenza dalle materie prime, esposizione alla volatilità dei prezzi, effetti dei cambiamenti climatici, legislazioni ambientali sempre più restrittive e maggiore sensibilità dei consumatori verso prodotti a basso impatto. Non è un caso quindi il moltiplicarsi di prese di posizione in favore delle energie pulite e delle realtà dell’economia circolare da parte di investitori, piccoli e grandi. A partire da numerosi fondi pensione, europei e mondiali, che stanno
Policy disinvestendo centinaia di miliardi di dollari (35 solo quelli annunciati a novembre dal fondo sovrano norvegese), allarmati che gli investimenti in fossili e nei campioni della vecchia economia lineare si trasformino in stranded assets, beni “insabbiati” che si traducono in perdite per risparmiatori e azionisti. E qualcosa si muove anche a livello comunitario, dove la Commissione Ue ha creato a maggio, insieme alla Banca europea per gli Investimenti, una piattaforma per il sostegno finanziario all’economia circolare, che riunisca banche nazionali, investitori istituzionali, il fondo europeo investimenti strategici e l’iniziativa InnovFin del programma Horizon 2020. Un modo per cercare di colmare la scarsità di finanziamenti specifici per l’economia circolare che, per il biennio appena trascorso, si sono fermati a 650 milioni di euro. “In quanto principale finanziatore al mondo dell’azione climatica multilaterale – con più di 19 miliardi di euro di finanziamenti dedicati lo
scorso anno – riteniamo l’economia circolare un fattore fondamentale per invertire il corso dei cambiamenti climatici, utilizzare in modo più sostenibile le scarse risorse del pianeta e contribuire alla crescita dell’Europa” ha spiegato il vicepresidente della BEI, Jonathan Taylor. “Per accelerare questa transizione continueremo a fornire consulenza e a investire sempre di più in modelli innovativi di economia circolare e in nuove tecnologie, come pure in progetti più tradizionali di efficienza delle risorse”. Nell’ultimo quinquennio, dalle casse della BEI sono arrivati 2,38 miliardi di prestiti in favore di piccole e medie imprese europee impegnate nella transizione circolare (figura 3). Ma è la stessa banca europea a ricordare che i risultati futuri dipenderanno da quanto l’Europa sarà in grado di moltiplicare le risorse: “la piena implementazione delle sole direttive Ue attualmente in vigore sui rifiuti – ricorda la BEI – richiederanno investimenti per almeno 40 miliardi entro il 2020”.
Green bond: è boom. Non solo in Europa 81 miliardi di obbligazioni che hanno terminato il loro ciclo giungendo a maturity. “Tali cifre – sottolineano gli autori del rapporto – evidenziano il persistente trend di crescita esponenziale che da qualche anno caratterizza il mercato. Per il solo settore dei green bond labelled (obbligazioni destinate a finanziare progetti ambientali o relativi al cambiamento climatico che sono state etichettate come “verdi” dall’emittente, ndr) e di quelli certificati secondo i Climate Bonds Standards fissati dalla CBI, le emissioni registrate alla fine del 2017 dovrebbero raggiungere i 130 miliardi di dollari contro gli 81,6 del 2016 (vedi grafico).
Il boom dei green bond nel mondo (titoli labelled certificati)
0
13 ,6
81 41 ,8 37 ,5
11
1,
2,
2
6
2009
1
2008
3,
9 0,
2007
4 0,
8 0,
La stima quantitativa del fenomeno può variare moltissimo a seconda della definizione adottata, ma una cosa è certa: nel mondo della finanza responsabile, poche categorie di prodotti hanno saputo attirare negli ultimi anni l’attenzione di analisti e media mainstream come i green bond, i titoli fixed income pensati per finanziare progetti, imprese e iniziative in genere destinate, in un modo o nell’altro, a tutelare l’ambiente e a contrastare il fenomeno del cambiamento climatico. Il loro valore, solo nel continente europeo, non è comunque inferiore a 178 miliardi di euro. Il calcolo, realizzato sulla base dei dati forniti dalla Ong londinese Climate Bond Initiative, è contenuto all’interno del 1° Rapporto sulla Finanza etica e sostenibile, presentato dalla Fondazione Finanza Etica a novembre scorso alla Camera dei deputati. Una frazione, quella europea, di un movimento mondiale esploso soprattutto grazie all’interesse manifestato dal settore degli investitori privati, a partire dal biennio 201314. A livello planetario, secondo le stime più recenti di CBI, i green bond in circolazione ammontano a 895 miliardi di dollari. Le obbligazioni registrate sono 3.493, gli emittenti sono 1.128. Tra i settori più coinvolti ci sono i trasporti a bassa emissione di CO2 (554 miliardi pari al 61% del totale) e il segmento delle energie pulite (173 miliardi, 19%). Nel corso del 2016 l’ammontare complessivo delle obbligazioni verdi è aumentato di 201 miliardi di dollari grazie a 138 miliardi di nuove emissioni da parte di collocatori già operanti e 144 miliardi provenienti da operatori entrati per la prima volta sul mercato cui vanno sottratti
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017*
Fonte: Climate Bond Initiative (www.climatebonds.net), luglio 2015, aprile 2017 e ultimo accesso al 21 ottobre 2017. Dati in miliardi di dollari Usa. *Stime.
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Un’OCCASIONE per ripensare il ruolo delle fondazioni Intervista a Sonia Cantoni
Oggi il sistema delle fondazioni bancarie è un player importante per lo sviluppo sostenibile del Paese. Ma occorre selezionare con attenzione i progetti da finanziare e non sottovalutare il modo in cui si opera. di Emanuele Isonio
Fondazione Cariplo, www.fondazionecariplo.it
“L’economia circolare può diventare un’occasione per sistematizzare e restituire significato a molte azioni che il sistema delle Fondazioni ex bancarie in Italia compie per catalizzare e rimettere in circolo risorse (di idee, di passione, di volontariato, di fiducia, di solidarietà) diffuse nella nostra società”. A sostenerlo è Sonia Cantoni, consigliere d’amministrazione della Fondazione Cariplo con delega alle questioni ambientali. “Il sistema delle fondazioni è un player importante dello sviluppo sostenibile nel nostro Paese: nel 2016 – rivelano i dati Acri (Associazione fondazioni e casse di risparmio Spa) – ha destinato al mondo del non profit (pubblica amministrazione e terzo settore) 101 milioni di euro per lo sviluppo locale, 14 milioni di euro per la protezione e la qualità ambientale, 27 milioni di euro a cooperative e imprese sociali, 97 milioni di euro per programmi di educazione, istruzione e formazione, a cui vanno aggiunti 120 milioni di euro confluiti nel Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, e 124 milioni di euro per ricerca e sviluppo. Alle erogazioni a fondo perduto si aggiungono gli investimenti del patrimonio correlati con la
missione: 4,4 miliardi di euro nel 2015, pari a circa l’11% del patrimonio totale. Le fondazioni bancarie si sono sapute ritagliare un ruolo nella transizione verso un’economia circolare? “L’economia circolare è un’economia progettata per autorigenerarsi che promuove innovazione di processo e di prodotto. A noi della Fondazione Cariplo sembra interessante una lettura più ampia. Sia dell’obiettivo (soddisfare non solo i bisogni materiali ma più in generale il benessere dell’individuo e della collettività), sia dei modi (promuovere anche sistemi di scambio non monetari), sia degli impatti (favorire innovazione sociale, negli stili di vita e di consumo). Insomma un modello per ripensare anche l’uso di risorse non materiali, per esempio delle risorse sociali.” Dal vostro punto di osservazione, c’è una conoscenza adeguata di quale sia l’effettivo ruolo delle fondazioni da parte dei soggetti che potenzialmente potrebbero collaborare per sviluppare progetti nell’ambito dell’economia circolare?
Policy “Notiamo che sta cambiando il modo in cui siamo percepiti: le organizzazioni, le istituzioni e le persone comprendono che non siamo più una banca, ma moderni filantropi. Le fondazioni sono impegnate sempre più sul fronte della comunicazione; il risultato è che intercettiamo ambiti che fino a poco tempo fa erano lontani e sconosciuti, nascono collaborazioni con aziende. Il famoso triangolo virtuoso, auspicato dal presidente Guzzetti – ‘pubblico-privato-privato sociale’ – è sempre più concreto, in svariate forme e in tutta Italia.”
Sonia Cantoni, Consigliere d’amministrazione della Fondazione Cariplo.
Mancano le figure professionali che possono aiutare ad accedere ai fondi delle fondazioni? “Nel nostro Paese il settore non profit appare nel suo complesso ancora poco preparato a reagire con efficacia ai vecchi e nuovi mali che investono la nostra società, con soluzioni innovative che, per esempio, ridefiniscano e riqualifichino la domanda stessa piuttosto che limitarsi alla risposta (si pensi alla domanda di mobilità nelle grandi città), che operino per prevenire piuttosto che per riparare, senza ignorare che di fronte a certi disastri prossimi o addirittura conclamati (gli effetti dei cambiamenti climatici, per esempio) occorre ormai attrezzarsi anche in termini di adattamento. Tante Pubbliche amministrazioni sembrano travolte da una domanda di intervento continua e in crescita, non adeguatamente supportata da risorse; ma anche da una instabilità politica che produce frequenti cambiamenti di rotta nelle strategie e nei modi di intervento. E molte preziose risorse di intelligenza, di fiducia e i volontariato presenti nella società civile finiscono così per essere sprecate.” Responsabilità anche del Terzo settore? “Nel Terzo settore troppe organizzazioni si limitano a lottare quotidianamente per la propria sopravvivenza, senza avere la capacità di fare un salto di qualità, di fare sistema attivando sinergie, di riorganizzarsi, di praticare nuove strade e nuovi linguaggi. Confidiamo nel potenziale di innovazione che la recente riforma ha innescato. Il Terzo settore già ora fa supplenza allo Stato, ma questo non è abbastanza e non è neppure giusto: può auspicabilmente ricoprire il ruolo di terzo pilastro dell’economia del Paese, di una nuova economia che attiva e mette in circolo risorse disperse dei cittadini
responsabili e attivi, a fianco del pubblico e del privato. Ha però bisogno di un ulteriore passo in avanti, che si può fare solo con formazione e sostegno economico adeguati. Servono idee, coraggio e soprattutto una visione condivisa. Le Fondazioni possono agire da catalizzatori e sostenere questo cambiamento. Un programma intersettoriale lanciato dalla Fondazione Cariplo nel 2016 su iniziativa dell’Area servizi alla persona, e la neo-nata Fondazione Giordano dell’Amore Social Venture (che raccoglie e riattiva in sinergia l’esperienza e le risorse di due altre storiche Fondazioni con finalità sociali), con una dote complessiva di circa 20 milioni di euro fanno proprio questo: per la prima volta in Italia verrà attivato un piano di formazione del Terzo settore specifico (gestito con tecnologie di avanguardia), un bando per il miglioramento organizzativo degli enti, una serie di workshop sui temi strategici e una piattaforma di facilitazione e sostegno economico all’imprenditoria sociale.” Come vengono scelti i progetti da finanziare? “Non a caso. E non in modo autoreferenziale. È ormai consolidata, almeno nella nostra Fondazione, una pratica di ascolto e confronto, preliminare all’emanazione dei bandi, con i soggetti beneficiari. Nella selezione delle proposte (per lo più comparativa) si valuta la coerenza con gli strumenti di programmazione pluriennali e annuali di cui la Fondazione si è dotata. I criteri di selezione sono individuati su proposta degli uffici, si avvalgono del confronto con i componenti degli organi interni e del coinvolgimento di autorevoli competenze ed esperienze esterne. E vengono comunicati in modo trasparente. Sapete per esempio che Fondazione Cariplo ogni anno quando attiva i nuovi bandi presenta tutto in streaming on line? E sono più di 5.000 le persone che partecipano agli incontri.” Come fa un’associazione a individuare la fondazione più adatta al proprio progetto? “Deve studiare bene le regole di funzionamento di quella fondazione: il suo territorio di competenza, i suoi obiettivi strategici, i criteri di intervento, le scadenze nel corso dell’anno. Sempre che l’organizzazione in questione agisca non concedendo risorse ‘a pioggia’, ma attraverso processi trasparenti e partecipativi di definizione degli obiettivi, delle misure, delle azioni strategiche. Noi della Fondazione Cariplo siamo molto attenti a questo aspetto, consapevoli di dover gestire un patrimonio derivante all’origine da pubblica beneficenza per dare lavoro ai poveri e provvedere ai loro più pressanti bisogni materiali, dunque un ‘bene comune’.” Quali sono i punti di forza che fanno ritenere interessante una richiesta di contributo? “Quando la richiesta viene da una rete di soggetti (pubblici e privati del Terzo settore, magari anche con il coinvolgimento di soggetti profit in qualità
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 di sostenitori co-finanziatori) rappresentativi di una certa comunità in un certo territorio; quando garantisce la sostenibilità nel tempo di una data iniziativa proprio per la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti (o di chi li rappresenta, se diffusi sul territorio) e perché si è garantita risorse anche da fonti alternative e complementari alla Fondazione. E inoltre quando sperimenta soluzioni innovative o propone modi per adattare ad una certa realtà soluzioni sperimentate con successo da altre comunità o in altri territori.” E quali errori vanno invece evitati? “Le domande di contributo a sostegno della vita piuttosto che della vitalità di un’organizzazione, per la gestione ordinaria piuttosto che per progetti di innovazione. Vanno evitate anche iniziative autoreferenziali, che non trovano riscontro nella percezione condivisa di un bisogno, di un rischio, di un’opportunità e nella partecipazione di una comunità, dei diversi attori di un territorio al disegno e all’attuazione di una soluzione.”
Sapete per esempio che Fondazione Cariplo ogni anno quando attiva i nuovi bandi presenta tutto in streaming on line? E sono più di 5.000 le persone che partecipano agli incontri.
Quali iniziative e strumenti ha messo in campo la Fondazione Cariplo per incentivare la transizione all’economia circolare nei territori in cui opera? “Se guardiamo alle attività della nostra Fondazione (un patrimonio a prezzi di mercato di 7,7 miliardi di euro a fine 2016, oltre 1.000 progetti sostenuti in media ogni anno che corrispondono ad un impegno in termini di erogazione di più di 150 milioni di euro) nell’accezione dell’economia circolare rientrano a buon diritto le iniziative sostenute negli anni dall’Area ambiente, come i progetti finanziati con i Bandi ‘Costruire Comunità sostenibili’ e ‘Comunità resilienti’, i progetti finanziati per risparmiare energia nella PA e per sostituire fonti rinnovabili alle fonti fossili, la promozione di un ‘Centro nazionale di competenza per l’economia circolare’ in provincia di Brescia, la realizzazione di un ciclo di incontri pubblici tra marzo e giugno scorso (‘la teoria e la prassi’ dell’economia circolare: tutti i materiali sono disponibili sul sito della fondazione). Ci sono poi i progetti sostenuti dall’Area ricerca con il bando ‘Ricerca integrata su biotecnologie industriali e bioeconomia’. Ma possono essere ricondotte al modello dell’economia circolare anche le iniziative pensate per rivitalizzare aree marginali della Lombardia e del Piemonte, in particolare aree montane con rischio di spopolamento (vedi il progetto intersettoriale “AttivAree”), o aree urbane periferiche (come il progetto intersettoriale ‘La città intorno’. Fanno leva, infatti, sulla domanda di nuova economia, di autoorganizzazione, di cultura da parte dei territori e sull’offerta diffusa da parte degli attori sociali. E così pure le iniziative di sharing solidale, nonché l’imponente programma di housing sociale ideato e sostenuto dalla fondazione fin dal 1999, che si sta sviluppando non solo come occasione di recupero sociale ma anche di rigenerazione urbana.”
Quali risultati sono stati ottenuti finora? “Le attività di monitoraggio e valutazione sugli strumenti di erogazione e sui singoli progetti vengono realizzate puntualmente dalla Fondazione per rendere conto delle attività svolte e riflettere criticamente sull’efficacia delle attività finanziate. Tali informazioni oltre a essere presenti sul sito, sono contenute sia nel Bilancio di missione, sia nel Rapporto annuale. In 25 anni la Fondazione ha sostenuto 29.683 progetti per complessivi 2.800 milioni di euro (145 milioni di euro per 1.800 progetti sostenuti dalla sola Area Ambiente, 2 milioni di euro destinati alle edizioni 2012 e 2013 del bando ‘Costruire Comunità sostenibili’ e 30 progetti sostenuti, 5,2 milioni di euro destinati alle quattro edizioni 2014-2017 del bando ‘Comunità resilienti’ e 54 progetti sostenuti), più di 11 milioni di euro complessivamente messi a disposizione dal 2014 nelle diverse edizioni del bando ‘Ricerca integrata su biotecnologie industriali e bioeconomia’, che ha finanziato 41 progetti e un milione di euro di contributo per l’attivazione del ‘Centro nazionale di competenza per l’economia circolare’ in provincia di Brescia. Ma una delle grandi sfide che stiamo affrontando è di riuscire a valutare in termini sistematici l’impatto che la Fondazione come organizzazione riesce a generare sulla società. Solo quando questa sfida sarà vinta si potrà rispondere esaurientemente a domande come questa. Un impegno che potrebbe risultare utile a molte altre organizzazioni del Terzo settore.” E quali sono le previsioni per il futuro? “Il 2018 vedrà la continuità di molti dei bandi che – in un’accezione più allargata e sociale di economia circolare – vedono impegnate le diverse aree erogative della Fondazione nella ‘rimessa in circolo’ delle risorse diffuse della comunità. Per esempio verrà riproposta la call for interest di ‘Territori virtuosi’, il progetto che offre sostegno alla riqualificazione degli edifici e degli impianti di illuminazione degli enti pubblici e degli enti del terzo settore, con il ricorso a modalità di Finanziamento Tramite Terzi – FTT, avvalendosi di Energy Service Company – ESCo. Con riferimento a temi più consolidati e caratteristici dell’economia circolare, l’Area Ricerca focalizzerà le risorse dedicate a problematiche ambientali e al bando sulle biotecnologie industriali su un uso più efficace e sostenibile delle risorse naturali e sulla valorizzazione degli scarti di produzione. Sempre a questo proposito – per creare nuove iniziative di impresa e quindi offrire opportunità di occupazione ai giovani e promuovere in modo diffuso l’innovazione del sistema produttivo del nostro Paese proprio all’insegna della Economia Circolare – nell’ambito delle attività promosse da Cariplo Factory si sta consolidando un’alleanza strategica con il Gruppo Intesa San Paolo, da tempo pure impegnato su questi temi, dal 2015 anche come partner finanziario globale della Ellen MacArthur Foundation.”
Policy
Focus finanza
in collaborazione con
La sostenibilità di Matteo Cavallito
Matteo Cavallito, giornalista, scrive da molti anni per il mensile Valori svolgendo inchieste sui temi economici, sociali e finanziari. Dal 2016 è membro del Comitato di Indirizzo del corso di laurea in Scienze Storiche dell’Università degli Studi di Genova. È coautore, per la Fondazione Finanza Etica, del primo rapporto La finanza etica e sostenibile in Europa (2017).
1. Global Sustainable Investment Alliance (GSIA), “Global Sustainable Investment Review 2016” (www.gsi-alliance.org/wpcontent/uploads/2017/03/ GSIR_Review2016.F.pdf), marzo 2017. 2. Ovvero EUROSIF (Europa), RIAA (Australia), UKSIF (Regno Unito), USSIF (Usa) e VBDO (Olanda). 3. US SIF Foundation, “Report on US Sustainable, Responsible and Impact Investing Trends 2016” (www.ussif. org/files/SIF_Trends_16_ Executive_Summary(1). pdf), 10 maggio 2016.
VALE DI PIÙ Secondo l’ultimo rapporto del Global Sustainable Investment Alliance gli investimenti responsabili nel mondo – a fine 2016 – hanno raggiunto un controvalore pari a 23 trilioni di dollari. E tra le ragioni di questa crescita ci sono anche le loro ottime perfomance finanziarie. $22.890.000.000.000. Quasi 23 trilioni di biglietti verdi. È il controvalore degli investimenti sostenibili rilevato nel mondo alla fine del 2016, l’ultimo anno per il quale esistono dati definitivi. A segnalarlo, lo scorso mese di marzo, la più recente edizione dell’indagine biennale della Global Sustainable Investment Alliance (GSIA),1 un network che riunisce cinque diverse associazioni del settore degli investimenti responsabili.2 Nello spazio di un biennio, ha segnalato lo studio, il valore delle operazioni ESG (Enviroment, Social, Governance), ovvero degli assets selezionati dagli investitori del Pianeta secondo uno o più criteri di sostenibilità in termini ambientali, sociali e di gestione responsabile è aumentato del 25%. Il trend conferma un’onda lunga di crescita che ha radici ormai profonde. Emblematica, in questo senso, l’espansione del settore negli Stati Uniti: tra il 1995 e il 2016, rileva l’ultimo studio dell’USSIF,3 i fondi di investimento che integrano i criteri ESG nel processo di selezione degli asset in portafoglio sono passati da 55 a 1.002; nel medesimo periodo il controvalore dei loro investimenti responsabili è cresciuto da 12 miliardi a 2,6 trilioni di dollari. A oggi, rileva l’analisi della GSIA, gli asset ESG presenti nel mercato americano ammontano complessivamente a 8.700 miliardi, il 33% in più rispetto al dato 2014. Leader di mercato si conferma però l’Europa con circa 12 mila miliardi di asset gestiti e una crescita più modesta ma pur sempre rilevante: +12% circa su base biennale. Molto significativa l’espansione del mercato canadese (+49%), addirittura impressionante quella australiana che fa registrare un +248% nello
stesso periodo. A fare il botto, però, è soprattutto il mercato nipponico che, in controtendenza rispetto al resto dell’Asia, evidenzia un boom senza precedenti: nel 2014 il controvalore degli investimenti ESG a Tokyo e dintorni ammontava alla miseria di 7 miliardi di dollari; oggi siamo a quota 474, quasi il 6.700% in più. Ma quali sono i fattori chiave dietro alla crescita del fenomeno? In altre parole, cosa spinge gli investitori ad adottare con sempre maggior frequenza i criteri ESG nella definizione delle proprie strategie? Le scelte politiche globali in campo ambientale – culminate con la firma degli accordi sul clima – rappresentano certamente una parte della risposta, al pari dello sviluppo della green economy e della sempre maggiore attenzione per le strategie di economia circolare. Eppure, in definitiva, sembra esserci anche qualcos’altro: un elemento, una risorsa, capace di rendere queste strategie più attraenti in senso “quantitativo”. L’ipotesi più forte, insomma, è che l’integrazione dei fattori ESG non produca soltanto un impatto positivo in termini di sostenibilità, ma offra anche migliori performance finanziarie. A sostenerlo, tra gli altri, il direttore del settore U.S. Equity and Quantitative Strategy di BofA Merrill Lynch Global Research, Savita Subramanian, che in uno studio pubblicato alla fine del 2016 ha ricordato come l’80% dei fund managers interpellati tra coloro che applicavano i criteri di sostenibilità nella gestione degli investimenti motivasse tale scelta citando proprio i maggiori rendimenti. Tra le società quotate dell’indice S&P Common Stock, in particolare, quelle con i più elevati rating ESG offrivano rendimenti superiori
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 Figura 1 | I fondi ESG negli Stati Uniti: 1995-2016 0 1. 02
3.000
Numero di fondi
2.500
2.000
0 72
1.500
1.000
3 49
Asset gestiti (miliardi di $)
4 89
Asset gestiti
Fonte: US SIF Foundation, “Report on US Sustainable, Responsible and Impact Investing Trends 2016” (www.ussif.org/files/SIF_ Trends_16_Executive_ Summary(1).pdf), 10 maggio 2016.
1 20
0 20
1 18
4 14
8 16
0 26
500 55
0
1995
1997
1999
2001
2003
2005
2007
2009
2011
2013
2015
Figura 2 | Gli investimenti ESG nel mondo: 2014-2016 e variazione %
2%
5,
+2
25.000 2014 2016
15.000
7%
1,
+1 +3
10.000
7%
2,
Asset gestiti (miliardi di $)
20.000
Fonte: Global Sustainable Investment Alliance (GSIA), “Global Sustainable Investment Review 2016” (www.gsi-alliance.org/wpcontent/uploads/2017/03/ GSIR_Review2016.F.pdf), marzo 2017. Dati in miliardi di dollari Usa.
5.000 +6
Asia (escluso Giappone)
6%
del 5% rispetto a quelli delle compagnie con un rating più basso. E le ricadute, sottolineava Subramanian, erano evidenti anche nella gestione del rischio: “Un investitore che avesse acquistato solo azioni con un rating ESG sopra la media – spiegava nell’occasione – avrebbe evitato il 90% delle bancarotte che abbiamo visto dal 2008”.4 I vantaggi nella gestione del rischio emergono con forza anche sul fronte dell’economia circolare: già nel giugno 2015, in particolare, un’indagine a cura del think tank britannico Green Alliance aveva notato come maggiori investimenti nel campo del riciclo dei materiali e dell’efficienza energetica potessero generare una maggiore resilienza
Australia e Nuova Zelanda
9,
Canada
8 .6
Usa
7% 5,
%
,5
47
9%
Europa
+1
+2
+4
0
Giappone
TOTALE
rispetto alla volatilità di prezzo dei mercati delle materie prime. Un fenomeno, quest’ultimo, manifestatosi con forza nei primi anni post crisi.5 Allo stato attuale, il nesso sostenibilità/ performance ha trovato conferme soprattutto in campo ambientale. “Da un punto di vista teorico è dimostrato che i fondi che selezionano il proprio portafoglio secondo criteri di sostenibilità ambientale non rendono meno dei fondi convenzionali, a patto che l’universo investibile sia abbastanza ampio” spiega a Materia Rinnovabile Leonardo Becchetti, Ordinario di Economia Politica dell’Università di Roma Tor Vergata. “Studi
4. BofA Merrill Lynch Global Research, “ESG: good companies can make good stocks,”, 18 dicembre 2016, citato in Merrill Lynch, “Capitalism and the Rise of Responsible Growth” (www.ml.com/articles/ capitalism-and-the-riseof-responsible-growth. html), accesso a dicembre 2017. 5. Green Alliance, “Managing resources for a resilient economy: lessons from the financial sector” (www.green-alliance. org.uk/resources/ Managing%20 resources%20for%20a%20 resilient%20economy.pdf), 30 giugno 2015.
Policy 6. Si vedano: John Nofsinger Abhishek Varma, “Socially Responsible Funds and Market Crises”, 24 dicembre 2012 (www.geneva-summiton-sustainable-finance. ch/wp-content/ uploads/2013/03/nofsinger. pdf) e Leonardo Becchetti, Rocco Ciciretti, Ambrogio Dalò, Stefano Herzel, “Socially Responsible and Conventional Investment Funds: Performance Comparison and the Global Financial Crisis”, CEIS Working Paper No. 310, 18 febbraio 2014 (papers. ssrn.com/sol3/papers. cfm?abstract_id=2397939).
empirici6 hanno inoltre portato alla luce i migliori rendimenti ottenuti dagli investitori che hanno saputo anticipare le politiche ambientali attuate negli ultimi anni puntando su aziende capaci di performare meglio rispetto alle omologhe del comparto fossile”. E in futuro? “La grande scommessa dei prossimi anni – precisa Becchetti – consiste nel rendere economicamente convenienti anche la sostenibilità sociale e la responsabilità fiscale”. Il meccanismo, per altro, dovrebbe essere quello già sperimentato nel campo della sostenibilità ambientale: ovvero una combinazione di pressioni dal basso, a opera degli investitori, e di una contemporanea pressione regolamentare dall’alto. Nel settembre 2014, per esempio, più di 120 investitori con asset gestiti per oltre 10 trilioni di dollari hanno siglato il cosiddetto Montréal Carbon Pledge, un documento programmatico sostenuto dai
Principles for Responsible Investment (PRI) e dalla United Nations Environment Programme Finance Initiative (UNEP FI) con il quale gli operatori si impegnano a misurare, rendere pubblico e ridurre l’impatto ambientale del proprio portafoglio. “Contemporaneamente – ricorda Becchetti – gli annunci dei governi di Cina, India e Olanda hanno fatto crescere l’aspettativa di una regolamentazione più severa del trasporto privato a beneficio dello sviluppo dell’auto elettrica. In questo senso la grande performance finanziaria di un titolo come Tesla è la dimostrazione di come il mercato abbia già iniziato a premiare i ricavi attesi dall’azienda nei prossimi anni”. Quanto all’economia circolare, conclude, “in quanto parte dei principi di sostenibilità ambientale è probabile che si riveli una scelta vincente: le istituzioni possono fare molto in questo senso, costruendo incentivi efficaci per esempio sul piano fiscale”.
Le strategie di selezione
15 23
.0
2014 2016
46
.0
12 69
.3
10
5
36
8. 52
7. 7
91 5.
0
21
6. 9
5
38 4. 0 03 1. 0 89 1
33
Esclusione
Integrazione
Azionariato attivo
Investimenti a tema sostenibile
Screening normativo
7
Investimenti a impatto positivo
Best-in-class
1
8
13
24
7. Gli investimenti basati su più criteri vengono conteggiati una volta sola. Per questo motivo la somma dei valori delle singole strategie supera il valore totale degli investimenti ESG nel mondo (22,89 trilioni di dollari).
Crescita degli investimenti per criterio di selezione ($ mld)
10
Sono sette, secondo gli analisti, le strategie utilizzate dagli investitori per valutare la sostenibilità degli asset in portafoglio. La più diffusa è l’esclusione dall’universo investibile (Exclusion of holdings from investment universe) che implica la scelta di non investire in un settore o in una compagnia il cui business risulti incompatibile con i criteri ESG o con gli standard normativi internazionali. Secondo l’ultima indagine GSIA, il controvalore dei portafogli di investimento che escludono una o più categorie di titoli “problematici” (armi, tabacco, nucleare etc.) ammonterebbe a 15 trilioni di dollari, 3.000 miliardi in più rispetto al dato 2014.7 Sugli altri gradini del podio la cosiddetta ESG Integration (10.400 miliardi) – ovvero l’inclusione esplicita e sistematica da parte dei manager dei fattori ESG nell’analisi finanziaria tradizionale – e l’azionariato attivo (8.400 miliardi) che implica l’impegno degli operatori nel promuovere istanze etiche, sociali e ambientali dialogando con le società in cui investono. Nell’elenco delle strategie anche lo screening normativo (valutazione di compatibilità delle imprese con gli standard minimi di business practice basati sulle normative internazionali), la selezione dei titoli Best-inClass (caratterizzati cioè dai migliori punteggi ESG all’interno del loro settore), gli investimenti a tema sostenibile (nell’efficienza energetica, nell’energia rinnovabile etc.) e quelli a “impatto positivo” in termini di sviluppo sociale o ambientale (Impact investing).
Fonte: Global Sustainable Investment Alliance (GSIA), “Global Sustainable Investment Review 2016”, marzo 2017. Dati in miliardi di dollari Usa.
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Capitali in circolo Intervista a Jamie Butterworth
di Antonella Ilaria Totaro Jamie Butterworth è uno dei partner fondatori di Circularity Capital e l’ex amministratore delegato della Ellen MacArthur Foundation, hub globale di innovazione nell’economia circolare. Butterworth è membro della Smith School dell’Oxford University e ha contribuito a numerosi forum sull’economia circolare anche presso il World Economic Forum e l’European Commission Resource Efficiency Platform.
Circularity Capital, www.circularitycapital.com
L’economia circolare ha valore finanziario? Quali sono i benefici finanziari e le opportunità che derivano dall’investire nell’economia circolare? E quali sono i rischi che si affrontano quando si investe in risorse finite? Sono domande cui cerca di rispondere da oltre un decennio Jamie Butterworth. L’ex amministratore delegato della Ellen MacArthur Foundation, oggi è tra i fondatori e partner di Circularity Capital, società di private equity specializzata in economia circolare, creata per rendere evidenti agli investitori le opportunità derivanti dalle aziende impegnate nell’economia circolare e per supportare l’innovazione e la crescita delle pmi nel settore. Assieme a Jamie Butterworth sono partner di Circularity Capital Ian Nolan, David Mowat e Andrew Shannon, tutti con un background nel campo della finanza, del private equity e degli investimenti. Con i modelli di produzione e consumo lineare messi sempre più in discussione, Circularity
Capital cerca aziende che, applicando i modelli circolari, possono avere sul mercato prestazioni migliori dei competitors lineari. Fondata nel 2015, Circularity Capital mira a investimenti di 1-5 milioni di sterline in pmi europee redditizie e in rapida crescita. Gli investitori di Circularity Capital comprendono istituzioni finanziarie, società, family offices e impact investors. Dopo la first close di marzo 2017, a ottobre 2017 Circularity Capital ha guidato un round di investimenti di 7,4 milioni di dollari in Winnow Solutions, azienda con sede centrale a Londra e uffici a Dubai, Shangai e Singapore, operante in 29 Paesi, che ha sviluppato una tecnologia per eliminare i rifiuti alimentari nei servizi di catering commerciali. La soluzione di Winnow è stata utilizzata, tra gli altri, da IKEA e Accor Hotels. L’investimento di Circularity Capital servirà a Winnow Solutions a scalare a livello internazionale. Come è nata l’idea di Circularity Capital? “Sono stato parte del team che ha fondato l’Ellen MacArthur Foundation nel 2010. Ci interessammo molto a come l’economia circolare può agire come quadro di riferimento per un’economia rigenerativa e alternativa ai modelli di produzione e consumo lineari oggi dominanti. Una delle prime cose che abbiamo fatto fu produrre con McKinsey un’analisi per capire come l’economia circolare creasse valore finanziario. Volevamo determinare se il modello economico circolare potesse far guadagnare allo stesso modo, se non di più, del modello lineare di creazione di valore. Abbiamo preso in esame un sottoinsieme dell’economia europea, e pubblicato un report (Toward the Circular Economy) che abbiamo presentato al World Economic Forum (WEF) nel 2011. I risultati del report dimostravano dove e come i modelli di economia circolare potessero essere migliori delle loro controparti lineari. Questo lavoro ha suscitato un interesse notevole da parte di alcune
Policy delle aziende presenti al WEF. Come risultato di ciò abbiamo creato il Circular Economy 100 (CE 100), il programma di innovazione globale della Ellen MacArthur Foundation che riunisce aziende, città, organizzazioni, istituzioni accademiche per aiutare i membri e le organizzazioni a sviluppare nuove opportunità e a realizzare più velocemente le proprie ambizioni circolari. Durante i quattro anni seguenti, entrammo in contatto con un numero crescente di aziende operanti nell’economia circolare. Si trattava non solo di un numero crescente di compagnie globali, ma anche di una miriade di pmi e partner fornitori – spesso i primi a innovare i nuovi modelli di business e a catturare le opportunità commerciali di questa transizione. Divenne sempre più evidente che queste aziende non avevano accesso al capitale, al supporto specializzato e al network necessari per sbloccare il proprio intero potenziale. Questo è stato l’inizio di un viaggio durato tre anni per sviluppare Circularity Capital.
1. Il modello di product as a service è basato sull’idea di vendere servizi più che prodotti, i quali rimangono in possesso dell’azienda produttrice o fornitrice del servizio. Per maggiori dettagli vedi anche “Avrò cura di te”, intervista a Walter R. Stahel di Emanuele Bompan, Materia Rinnovabile n. 16, maggiogiugno 2017.
The Circular Economy 100, www.ellenmacarthur foundation.org/ce100
L’obiettivo era quello di creare società di private equity specializzata che avrebbe dimostrato come l’economia circolare potesse produrre ritorni di mercato interessanti parallelamente ad un misurabile non-finanziario impatto positivo. Nel 2015 ho lasciato come amministratore delegato della Ellen MacArthur Foundation per concentrarmi full time nello sviluppo di Circularity Capital. Era davvero evidente che avevamo bisogno di combinare due competenze centrali – l’esperienza e la conoscenza del settore dell’economia circolare con l’esperienza nella gestione degli investimenti. Così è iniziato un processo di costruzione del team di Circularity Capital – che comprende Ian Nolan (ex Chief Investment Officer del 3i Group e della Green Investment Bank), David Mowat (parte del team fondatore di Caird Capital) e Andrew Shannon (prima investitore venture capital al Foresight Group). Questo è stato per me un periodo affascinante, ho presto capito che avevo molto da imparare. Avevo una visione macro-economica abbastanza top-down dell’economia circolare, mentre Andrew, David e Ian come investitori erano in grado di vedere la stessa sfida con una visione buttom-up dal punto di vista delle aziende. Unendo questi due ambiti di competenze, abbiamo studiato l’ecosistema europeo delle pmi per capire quali fossero le aziende esistenti, quali richieste di capitali avessero, come e in quale settore operassero e come producessero valore. Questo lavoro ci ha permesso di capire a fondo il mercato e come avremmo infine iniziato a investire i capitali e a costruire un portfolio di aziende circolari.” Investire in aziende circolari non è molto facile. Tuttavia siete riusciti a creare un’azienda d’investimento. Quali sono state le sfide nella creazione di Circularity Capital? “La prima scommessa era quella di formare il giusto team di investitori specialisti del settore che capissero veramente questa parte di mercato, identificassero le opportunità più appropriate e
supportassero le aziende in cui si è investito a sviluppare il loro intero potenziale. La seconda era raccogliere i capitali da un gruppo di investitori che condividono i nostri stessi valori. Tutto ciò si ricollega al fatto che per accelerare davvero l’economia circolare, il capitale deve circolare – per esempio, affinché il capitale fluisca verso le aziende circolari, gli investitori devono essere convinti che il rischio sia adeguato ai ritorni finanziari.” Quanto è difficile parlare di economia circolare agli investitori e convincerli del ritorno finanziario? “Cerchiamo di utilizzare una terminologia che gli investitori capiscono. Poi scendiamo nel dettaglio con alcuni esempi. Molto raramente troviamo un investitore che abbia difficoltà a capire come l’economia circolare crea valore. È davvero affascinante vedere la velocità con cui gli investitori si abituano al concetto e iniziano a parlare dei modelli, delle sfide dell’economia circolare e di come sia difficile finanziare, per esempio, il modello di product as a service.1 Gli investitori sono bravi nel guardare a modelli di business alternativi e a finanziarli, una volta che hanno fatto proprio il concetto.” A quale tipo di aziende siete interessati? “Investiamo 1-5 milioni di dollari in pmi europee in fase di crescita che operano nel settore dell’economia circolare e cerchiamo aziende che abbiamo un forte potenziale per creare valore economico circolare, un eccellente team gestionale e che operano in settori in fase di crescita.” Ci sono settori specifici dell’economia circolare ai quali guardate? “Abbiamo individuato cinque tipologie di aziende che ci interessano nell’ecosistema delle piccole e medie imprese. Una è waste to product (dal rifiuto al prodotto) che comprende le aziende che raccolgono il flusso di rifiuti e lo trasformano in qualcosa di maggiore valore. La seconda tipologia è product to product (dal prodotto al prodotto) che racchiude le aziende che hanno una soluzione o un’attività che estende la vita del prodotto come la rigenerazione o la riparazione. Il terzo gruppo di aziende è quello dei business model circolari che spesso significa product as a service nel quale le aziende mantengono il possesso della risorsa ed è quindi nel loro interesse estenderne il ciclo di vita. Infine, gli ultimi due sono circular design e enabling data solutions. Circular design riguarda l’innovazione attraverso i materiali, il packaging, le soluzioni creative. Mentre l’area dei data comprende le soluzioni dove l’utilizzo delle informazioni permette di creare maggiore valore per accelerare i cicli circolari e ridurre gli scarti. Guardiamo a queste cinque aree. Guardiamo ai settori che riteniamo più interessanti. Dopo di che, molto proattivamente, andiamo dalle aziende che spesso non sanno di operare nell’economia circolare, probabilmente non ne hanno mai sentito parlare e tuttavia stanno magari creando un valore immenso.”
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 Ci sono abbastanza opportunità di investimento? “Sì, stiamo vedendo parecchie opportunità di investimento molto interessanti. Abbiamo stimato che abbiamo bisogno di analizzare circa 100 aziende per ottenere la giusta qualità per ogni investimento portato a termine. Pensiamo di investire in circa 10-12 aziende durante la vita del veicolo di investimento.” Da dove arrivano gli investitori in Circularity Capital? “I nostri investitori sono investitori istituzionali, grandi aziende e family offices principalmente dall’Europa e dagli Stati Uniti.”
Antonella Ilaria Totaro è esperta di economia circolare e sostenibilità, di cui si occupa da diversi anni tra Olanda e Italia. Si interessa di startups e nuovi business models, energia rinnovabile, mobilità e sistemi alimentari sostenibili. Pianta alberi con la Land Life Company, di cui è la responsabile in Italia.
Qual è il ruolo delle banche nell’economia circolare? “Non ho un background nel mondo bancario, quindi forse non sono la persona più adatta a cui chiedere. Tuttavia credo che uno dei ruoli delle banche sia quello di capire veramente i requisiti finanziari delle aziende che operano nell’economia circolare – per esempio devono capire come le aziende che passano al modello di prodotto come servizio possono finanziare i beni nel proprio bilancio. Quando consideriamo determinate opportunità di investimento, effettivamente lavoriamo spesso con le banche per identificare la corretta forma di finanziamento a seconda del modello di crescita dell’azienda in oggetto. Esistono società specializzate – come De Lage Landen (DLL) – che hanno molta esperienza nel finanziare il modello di prodotto come servizio. Cerchiamo persone che abbiamo questo tipo di esperienza quando facciamo investimenti. Questa è solo una delle opportunità pratiche per le banche di impegnarsi nell’economia circolare.” C’è un attore o un elemento mancante nell’attuale passaggio all’economia circolare? “Abbiamo notato che se si guarda alla comprensione dell’economia circolare, al quadro di riferimento e alle opportunità, ci sono alcune aree geografiche dove il concetto è compreso da una gran parte di persone, come in Olanda per esempio. Tuttavia le opportunità sono ovunque, non solo nei territori che ne sono più consapevoli. Abbiamo notato che c’è un’opportunità interessante nel rendere più investitori istituzionali e proprietari di capitali consapevoli di cosa significhi economia circolare e di come si possa creare valore. In passato, parlando con una grande corporate bank americana o con fondi pensione, probabilmente passavamo la prima parte dell’incontro spiegando cosa fosse l’economia circolare e perché avrebbe potuto portare più valore rispetto a un modello di business lineare. Se si parla con grandi aziende – per esempio aziende di beni di largo consumo o di servizi sanitari – esse probabilmente ne hanno sentito parlare grazie al lavoro che l’Ellen MacArthur Foundation, il World Economic Forum, McKensey e Accenture hanno fatto
su questo argomento. Il mondo della finanza è un po’ separato dal mondo delle grandi aziende, quindi bisogna lavorare per far abituare le persone al concetto prima di essere in grado di distribuire capitali al meglio. A tal proposito c’è una mancanza di consapevolezza delle opportunità nella finanza globale.” Si tratta, a suo avviso, di una lacuna nell’istruzione? “I corsi di finanza e gli MBA si stanno evolvendo lentamente. Ci sono una serie di programmi che stanno cercando di integrare l’economia circolare al proprio interno, mentre molte persone con cui interagiamo hanno frequentato MBA dieci, quindi o venti anni fa. È, purtroppo, normale avere questa lacuna, ma alcuni attori stanno provando a colmarla. Per esempio, il World Economic Forum ha giocato un ruolo centrale nel mostrare questa opportunità a un ampio numero di soggetti.” Lei ha lavorato per la Ellen MacArthur e, ora, per Circularity Capital incontra e analizza piccole e medie imprese. Esistono, però, anche le grandi aziende che cercano di passare da un modello lineare a quello circolare. Per loro non è così semplice. Cosa possono fare le grandi aziende per avviare la transizione a un modello circolare senza esserne destabilizzate? “Mi piace come un manager aziendale recentemente ha risposto alla stessa domanda da parte mia, dicendo che, al di là delle attività crescenti che la sua azienda stava già facendo in questo settore (in termini di progettazione del prodotto, gestione dei resi e ridistribuzione delle risorse), si può utilizzare l’economia circolare come un quadro di riferimento olistico a cui guardare a livello sistemico per ottimizzare l’intero sistema aziendale. Si tratta di un’occasione per le grandi aziende per identificare opportunità, raccogliere più valore e differenziarsi dai concorrenti. Per le pmi è spesso più facile cambiare il modello di business, queste hanno team più piccoli che si incontrano regolarmente, i dipartimenti non sono compartimenti stagni, possono facilmente mettersi d’accordo, iniziare una fase pilota e eseguire il cambiamento in meno tempo. Le grandi imprese hanno, invece, problematiche diverse che riguardano anche come gestire l’eredità del passato e le tante attività lineari esistenti. Non basta concentrarsi su una sola attività come la rigenerazione, il vero valore è creato quando il dipartimento della rigenerazione parla con quello della progettazione per ottimizzare il prodotto e tutto ciò è fatto pensando a come il prodotto è commercializzato e venduto – potenzialmente attraverso un nuovo modello di business. Molte di queste attività sono già in corso, ma serve un approccio olistico per unire i punti e far sì che le cose funzionino. Questo è l’inizio, poi quando il primo passo è fatto, le aziende possono diventare più ambiziose e spingersi oltre.”
Policy
Focus finanza
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Se l’investimento arriva
DAL BASSO
500.000 euro raccolti in tre sole campagne. La scelta di un’azienda olandese di puntare sul crowdfunding per trovare finanziamenti per il proprio modello di business circolare. Ma anche per dimostrarne la solidità ai futuri azionisti. di Antonella Ilaria Totaro
Bundles, www.bundles.nl/en One Planet Crowd, www.oneplanetcrowd.com
1. Vedi anche “Avrò cura di te”, Intervista a Walter R. Stahel di Emanuele Bompan, Materia Rinnovabile n. 16, maggio-giugno 2017; www.materiarinnovabile. it/art/315/Avro_cura_di_te
Finanziare l’economia circolare non è semplice. Finanziare una start-up nell’economia circolare è complicato. Finanziare una start-up che ha un modello di business circolare (product as a service) diventa quasi proibitivo. Eppure l’olandese Bundles sta sfruttando con successo la leva del crowdfunding nell’attesa di investitori dall’alto. Lavaggio dopo lavaggio, l’era del “prodotto come servizio” entra nelle case e si afferma nel mondo degli elettrodomestici. “Wij houden van de toekomst”. “Amiamo il futuro”. È con questa frase e con una serie di magliette e tutine bianche stese ad asciugare al sole che si presenta Bundles, l’azienda olandese che offre abbonamenti per elettrodomestici di alta qualità. Tutto inizia nel 2003 in partnership con la Mìele, azienda di elettrodomestici tedesca, e con un prodotto di alta gamma che è offerto e consegnato
direttamente a casa a fronte della sottoscrizione di un abbonamento mensile. In un minimo di tre e un massimo di cinque giorni la lavatrice, l’asciugatrice o la lavastoviglie richiesta è consegnata e installata nella casa dell’utente, pur rimanendo di proprietà di Bundles. Il cliente, che usufruisce di un servizio, ma non possiede l’elettrodomestico, paga in base al numero dei cicli di lavaggio e al pacchetto scelto al momento della sottoscrizione. Mantenere il possesso dell’elettrodomestico significa che Bundles si occupa della sua consegna, della sua installazione e anche della sua manutenzione fino a offrire servizi aggiuntivi come il rifornimento automatico di detersivi. Lasciare a Bundles la proprietà e la responsabilità degli elettrodomestici che entrano nelle case implica che i prodotti che vengono forniti devono essere di alta qualità e innovativi per offrire una migliore esperienza possibile agli utenti, ma anche usare meno energia, acqua e detersivi. Oggi Bundles in Olanda ha raccolto 1.100 abbonamenti di cui circa 800 per le lavatrici, 250 per le asciugatrici e 50 per le lavastoviglie. I clienti attivi sono 870. Esiste, dunque, un effetto rete per i clienti: dopo aver provato un tipo di elettrodomestico come servizio, ne scelgono un secondo e magari un terzo. Nella sola Olanda, annualmente oltre un milione di lavatrici, asciugatrici e lavastoviglie sono buttati via. Puntare su un’“economia della performance”1 e sull’efficienza significa che soltanto i migliori elettrodomestici sono utilizzati e riutilizzati. Sulla carta è un sistema che conviene. Non si paga il costo di un elettrodomestico che di solito smette di funzionare dopo qualche anno per obsolescenza programmata, si paga soltanto mensilmente per un prodotto, che seppur non si possiede, offre alte prestazioni e poche preoccupazioni visto che, grazie al software installato connesso
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 all’elettrodomestico, Bundles sa quando l’apparecchio non funziona e invia l’assistenza a casa per le riparazioni. Naturalmente, a questo modello di “prodotto come servizio” sono associate alcune criticità riguardanti il possesso e la responsabilità degli elettrodomestici (a oggi entrambi in capo a Bundles) e il rischio di credito in un business model circolare che è ripagato mese dopo mese dai suoi utenti e non immediatamente a fronte come avviene negli acquisti tradizionali. Il finanziamento è sicuramente uno degli elementi cruciali per Bundles e per tutte le aziende impegnate in modelli di business circolari. Così, in attesa di raggiungere nuovi investitori e scalare, negli scorsi anni Bundles, nata nel 2003, si è finanziata dal basso. Al di là dei capitali investiti dal suo fondatore Marcel Peters, ex innovation manager per un’azienda di servizi energetici, e dal
co-fondatore Wouter Buijze, Bundles ha portato avanti tre campagne di crowdfunding, tutte di successo, per un totale di 500.000 euro raccolti. Le campagne di marzo, giugno e settembre 2017 sono state ospitate sulla piattaforma olandese One Planet Crowd, dove i privati cittadini possono prestare capitali a partire da 250 euro all’azienda e/o alla campagna che ritengono di supportare. Il modello di crowdfunding ha, ovviamente, i suoi limiti nel finanziare il product as a service perché, invece, di pensare a nuovi investimenti, tutte le entrate sono usate per acquistare nuovi elettrodomestici e ripagare i prestiti. Al contrario i 600.000 euro raccolti da Bundles dagli investitori che hanno partecipato al primo equity round, chiuso dall’azienda agli inizi di dicembre, serviranno a espandere i servizi di Bundles a nuove applicazioni IoT, a sviluppare nuovi servizi e una migliore piattaforma software per gestire gli abbonamenti.
Intervista
di A. I. T.
Abbonarsi alla qualità Marcel Peters, fondatore e amministratore delegato di Bundles
Perché avete scelto il crowdfunding per finanziare il modello di prodotto come servizio? “Perché è più semplice. Il ritorno su un investimento in crowdfunding è chiaro. Nelle campagne su One Planet Crowd gli investitori ricevono un ritorno garantito del 6% nei successivi 10 anni. Le partecipazioni azionarie (equity capital) nel caso di Bundles sono molto più complicate perché non si sa quale sarà il ritorno. Dipende altamente dalla redditività di Bundles nel futuro. Abbiamo scelto il crowdfunding anche perché così possiamo dimostrare di poter essere ancora più redditizi. Vogliamo ripagare il 6% di debiti e dimostrare che possiamo aumentare il ritorno sugli investimenti di questi abbonamenti. Il crowdfunding serve anche a dimostrare che il nostro modello di business è solido e a mostrare ai futuri azionisti che Bundles gioca e giocherà un ruolo significativo nella performance economy e che le quote di Bundles avranno valore in futuro.” Qual è l’ostacolo principale per chi vuole investire in aziende circolari come Bundles? “È cruciale l’incertezza di quanto valore può essere raccolto da Bundles in questo modello di ‘prodotto come servizio’. Chi investe in un modello di product as a service oggi non è tanto interessato a quanto sarà grande l’impatto del suo investimento. È più interessato ad avere un impatto positivo nel passaggio all’economia circolare, essendo attivo nel settore e rendendo la sua attività visibile ai clienti. Lo vede quasi come un investimento non commerciale. Se si chiede agli investitori commerciali, la velocità con cui un modello
circolare scala l’investimento, comparata alla velocità con cui consuma soldi per far funzionare il modello, è semplicemente non abbastanza corretta. La transizione verso l’economia circolare ha bisogno di tempo. Fino a quando la transizione non cambierà davvero il passo sarà difficile stimare il valore potenziale che le aziende come Bundles possono creare per il futuro.” Qual è il rischio principale per Bundles in futuro? “Il rischio è che grandi aziende come Electrolux o Miele decidano di fare tutto da sole, dopo aver imparato come funziona, e taglino Bundles fuori. Potenzialmente tutte le aziende che hanno capacità finanziarie, informatiche o di marketing, possono pensare di entrare nell’economia degli abbonamenti facendo a meno di Bundles. Dobbiamo dimostrare, in questi anni, che la combinazione di capacità in nostro possesso e l’effetto “rete” nell’offrire differenti abbonamenti e prodotti attraverso un unico canale crea una differente e migliore esperienza per i clienti. Il fatto che i clienti non debbano sottoscrivere dieci diversi abbonamenti con dieci differenti fornitori è, alla fine, il modo che rende Bundles un bene prezioso. Oggi brandizzare gli elettrodomestici che portiamo nelle case ci fa conoscere e riconoscere dalle persone. Si tratta di un elemento chiave per cercare di raggiungere una posizione di vantaggio in futuro.” Qual è il prossimo passo per Bundles? “Quando avremo risolto il problema della scalabilità e avremo la fiducia dei clienti nell’offrire un buon servizio inizierà davvero la competizione. Una volta trovato
Policy come far funzionare il modello, tanti, che magari oggi hanno un legame o una partnership con Bundles, cercheranno di entrare nel mercato. Tuttavia se il mercato diventa ampio abbastanza questo non sarà un problema perché ci sarà spazio per tutti. Nel futuro non voglio vendere cicli di lavaggio con Bundles, ma voglio vendere il software, voglio vendere un brand di product as a service. Vendendo il software e scalando potremo costruire qualcosa di unico. Dando il software in licenza a livello internazionale, altri potranno creare un’azienda migliore, adeguata alle necessità dei singoli territori e delle singole culture e si potrà avere una situazione win-win.” Le banche sono interessate al modello circolare? “Certamente sono interessate, ma le banche non sono investitori privati, hanno criteri molto rigidi in termini di rischi che possono assumersi. Se il rimborso di un prestito dipende dalla stabilità dell’azienda, non possono assumersi il rischio di un’azienda che ha un elevato consumo di cassa. Con il crowdfunding e gli investitori è diverso, essi vogliono e possono dare agli imprenditori l’opportunità di dimostrare che ce la possono fare.
Al momento ING e Intesa San Paolo sono probabilmente le banche più concrete perché conoscono tutto a proposito di pagamenti e gestione di credito. Tuttavia non possono, a mio avviso, lanciarsi da sole nell’economia delle sottoscrizioni perché, anche se possono finanziare gli elettrodomestici e costruire il software per incassare correttamente soldi, queste non sono le due uniche cose necessarie per entrare nella performance economy. Le banche potrebbero assumersi una parte del rischio in cambio di un interesse prefissato. Così Bundles potrebbe dividere il rischio con le banche, o la stessa cosa potrebbe avvenire con un’azienda di trasporti o di detergenti. Ma, in fondo, le aziende manifatturiere o le banche non vogliono avere la responsabilità degli utenti quando l’abbonamento è cancellato o quando i clienti hanno domande tecniche sugli elettrodomestici. Oggi i clienti si rivolgono a Bundles per qualsiasi dubbio, non chiamano la banca per sapere qualche bottone premere per lavare un vestito rosso. In futuro si potrebbe pensare ad una joint venture creata da Bundles e alcuni partner come, per esempio, Electrolux. Una volta che i contratti tra i partner e i rischi sono ben strutturati, credo sarà abbastanza facile scalare e far crescere il modello in altri Paesi.” Come possono, allora, le banche aiutare a finanziare il modello di business circolare e contribuire alla transizione verso il modello di “prodotto come servizio”? “Le banche potrebbero non pensare da banche. Dovrebbero essere i guardiani del flusso di cassa e dei rischi di liquidità dell’azienda. Una banca è brava a valutare e strutturare rischi, mentre nel modello di product as a service non è molto chiaro chi si assume il rischio. Agli imprenditori e agli investitori piace assumersi rischi, ma non piace non sapere quanto è grande il rischio. Qui le banche possono aiutare. Possono strutturare il rischio in un modo che sia chiaro a tutti qual è la perdita massima e qual è il guadagno massimo, quali sono le criticità. Questo può essere un ruolo per le banche. La questione è, però, capire quanto pagare una banca per questo servizio. Non ho mai visto una banca finora aiutare, senza fornire il capitale, le aziende a strutturare il rischio in un modo che i costi del capitale per Bundles, e per le altre aziende con un modello in abbonamento, diminuiscano. Si potrebbe creare un’azienda separata dalla banca stessa, una società con un board diverso che assuma come consulenti gli esperti della banca, i quali non devono analizzare la richiesta di credito di un cliente, ma mettersi nei panni di chi ha un’azienda con un modello di product as a service, aiutando a strutturare il rischio e a capire quali sono e come possono essere mitigati i rischi. L’azienda a questo punto potrebbe andare dalle banche offrendo loro un prodotto finanziabile con un rischio strutturato. Le banche possono così decidere se investire i risparmi dei propri clienti in aziende con un modello di abbonamento dove il rischio è definito e spostare soldi verso l’economia circolare. Tutto ciò, al momento, non è possibile perché i rischi nell’economia circolare non sono strutturati e chiari.”
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Per INNOVARE serve una comunità Sviluppare modelli di business attuabili per l’economia circolare è essenziale per attirare finanziamenti e quindi per il suo successo. Come dimostra l’esperienza della Community of Practice, una comunità di apprendimento “open” basata sulla sinergia di tante diverse competenze. di Aglaia Fischer e Elisa Achterberg
Aglaia Fischer e Elisa Achterberg, project manager Programma Circle Finance, Circle Economy.
Via via che l’economia circolare si afferma in tutto il mondo, diventa cruciale sviluppare con urgenza e implementare modelli di business “circolari” praticabili. Tra questi, uno dei più promettenti è quello che si basa sull’utilizzo dei beni invece che sul loro possesso, fornendo servizi invece di prodotti. Le aziende che adottano il modello product as a service (prodotto come servizio o PaasS) mantengono la proprietà dei beni che producono. Sono così incentivate a creare prodotti di alta qualità e lunga durata – e a collaborare con i propri partner nella supply chain – mentre i clienti possono usarli senza ulteriori preoccupazioni. Le aziende che intendono implementare questi modelli faticano però ad accedere ai finanziamenti a causa di una serie di modifiche nella struttura del valore, della proprietà e della governance che influenzano i soggetti che devono erogare i finanziamenti. Inoltre, la creazione di un modello finanziario per un business basato su una logica PaaS si è dimostrata un’operazione molto complessa, specialmente se il bene coinvolto ha componenti
che possono essere riciclati all’infinito. Spesso alle aziende mancano la competenze necessarie per illustrare agli investitori l’impatto dei loro business, e non riescono quindi a convincerli della loro validità. La carenza di dati non consente agli investitori di valutare in modo preciso i rischi, creando un eccesso di incertezza. Inoltre, gli attuali standard finanziari, legali e di rendicontazione non sono strutturati per interpretare correttamente rischi e opportunità “circolari”. Tuttavia, finché nessuno ci prova non si creerà mai uno standard. Ed è proprio con questo obiettivo che Sustainable Financial Lab, Circle Economy e Fairphone, consapevoli dell’urgenza di colmare il gap tra i finanziatori e gli imprenditori circolari, hanno promosso la creazione di un’inedita Community of Practice, collaborando per creare tutti gli elementi e gli strumenti necessari a far funzionare il modello PaaS: una comunità aperta e diversificata, un prodotto circolare durevole, un modello finanziario appropriato e uno schema contrattuale solido. Tutte le informazioni vengono fornite open source sotto forma di un Libro bianco, di un modello di
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Sustainable Financial Lab, sustainablefinancelab.nl/en Circle Economy, www.circle-economy.com Fairphone, www.fairphone.com/en
Contratto di servizio circolare e di una guida allo sviluppo di uno strumento finanziario, riuscendo infine a dimostrare che la distanza tra aziende e finanziatori è di gran lunga inferiore a quanto ritenuto inizialmente. Una comunità di apprendimento “open” Per superare le barriere ai modelli di business circolari servono trasparenza e una collaborazione aperta, in modo da creare sinergie tra diversi ambiti di competenza (business, legale, operativo e finanziario). Da questa considerazione è nata la Community of Practice, un soggetto interdisciplinare che mette assieme Sustainable Finance Lab, Circle Economy, Fairphone, PGGM, ING, ABN AMRO, NBA, Allen & Overy e Circularise. La Community of Practice è stata resa possibile sia da Nederland Circulair!, che ha investito nella comunità, sia da tutte le altre organizzazioni partner di CoP che hanno co-investito nell’esperienza di apprendimento. Per superare le barriere e dare impulso alla diffusione dei modelli PaaS è indispensabile connettere i partner che intendono collaborare e condividere le proprie competenze. Il modello di business è stato analizzato con più attenzione che in passato, concentrandosi su alcune domande: quale dovrebbe essere esattamente la proposta di valore? Come si può inserirla in un contratto? Quali sono le sue implicazioni finanziarie? Qual è la struttura finanziaria più adeguata? A queste domande non si può rispondere separatamente, contestualizzando per esempio la proposta di valore, stabilendo la durata del contratto e lasciando le tariffe mensili indefinite fino alla fine del progetto. Dopo lunghe discussioni multidisciplinari – a cui hanno contribuito tutti i partner di CoP – sono arrivate le risposte e i pezzi del puzzle sono andati al loro posto.
È perciò importante insistere su un processo di apprendimento aperto in grado di unire i puntini sul lato del contenuto e incentivare sinergie trans-disciplinari. Fairphone: un prodotto modulare durevole Nei modelli di business che forniscono un prodotto in forma di servizio, i fornitori mantengono la proprietà del prodotto. In questo modo si incentiva l’offerta di oggetti durevoli di alta qualità che possono facilmente essere aggiornati, riparati e riacquisiti alla fine del loro ciclo di vita utile. Il telefono prodotto da Fairphone, che come noto usa materie prime prodotte secondo precisi requisiti etici e ambientali, è progettato per la modularità e ottimizza la creazione di valore sulla base della durata dei suoi moduli invece che dell’intero dispositivo. Questo permette un notevole risparmio sui costi, perché i singoli moduli possono essere separati per la manutenzione, la riparazione e il riciclo. In questo modo, la vita utile dei moduli può essere estesa intervenendo solo su quelli che necessitano di manutenzione o riparazioni. La progettazione modulare di questo smartphone si è quindi dimostrata adatta alla formulazione di una proposta per un Circular Fairphone Service (altrimenti detto Fairphone-asa-Service). Servono però nuovi processi operativi per esprimere appieno il “valore circolare” del servizio. È essenziale gestire al meglio l’hardware in modo da ottimizzare l’uso dei singoli moduli, assicurare servizi di alta qualità e massimizzare il valore circolare. In più, diventano cruciali l’accesso ai dati degli utenti e il loro utilizzo, per esempio per permettere a Fairphone di programmare una manutenzione preventiva, ma questi passaggi devono essere valutati attentamente per gli aspetti inerenti la privacy.
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 Guida allo sviluppo di uno strumento per i flussi di denaro per “prodotti come servizio”
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STIMA DELLA TARIFFA PERIODICA PER PRODOTTO
Stimare i costi della gestione del bene per componente*
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DELINEARE GLI SCENARI DEL RICICLO
Scegliere l’orizzonte temporale (es. 5 anni)
Stimare i costi finanziari e assicurativi Stimare i costi operativi e di servizio per componente
FARE PROIEZIONI SUI FUTURI FLUSSI DI DENARO
Entrate = + scenari + [incentivi ai contratti] per scenario cliente + benefici legati al riciclo
Scegliere periodicità dell’evento (es. mensile)
Costi = - [costi di gestione/ riparazione/logistica/ sostituzione] per scenario per componente
Definire le possibilità di riparazione per componente
RISULTATO Modellizzare i flussi di denaro
Aggiungere un margine di profitto
Chi è responsabile di quali costi?
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Definire uno scenario per i componenti: ciclo di vita, aspettative su guasti e riparazioni
Sviluppare contratti corrispondenti
Definire uno scenario per il cliente: crescita prevista e uscita dei clienti
RISULTATO Tariffa periodica per prodotto
RISULTATO Scenari futuri
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DEFINIRE LA STRUTTURA DI FINANZIAMENTO
Necessità fondi (es. flussi di denaro negativi)
Bisogna adeguare le proprie supposizioni?
Bisogna adeguare le tariffe?
Quali sicurezze si possono offrire: portfolio clienti (dimensione, differenziazione, rating del credito ecc.); qualità dei beni (garanzia); solidità del contratto (incentivi a prolungarne la durata) Calcolare il valore a rischio sul prodotto
Scegliere la struttura finanziaria (equity investment, finanziamento interno o prestito)
*Si assume che un prodotto circolare possa essere disassemblato e riassemblato sia per i componenti sia per i materiali.
RISULTATO Struttura di finanziamento e costi
Un contratto di servizio circolare solido ma flessibile I modelli PaaS trasformano radicalmente il rapporto con il cliente: da una semplice transazione si passa infatti a un contratto continuativo di servizio. Le specifiche del servizio devono essere delineate chiaramente. I rischi devono essere distribuiti tra le parti, e vanno tradotti in uno schema di contratto che rifletta il bisogno di flessibilità e continuità. Per Fairphone è essenziale offrire un livello tecnologico adeguato tenendo presenti le considerazioni sull’economia circolare. Il livello di tecnologia offerto nel servizio e la copertura del rischio di rescissione del contratto sono stati oggetto di discussioni approfondite. Promettere di fornire la tecnologia più recente può ridurre la circolarità, ma d’altro lato se una proposta di valore vuole attrarre clienti deve stare al passo coi tempi. Inquadrare il servizio in
termini di “tecnologia generalmente accettata” è sembrato un buon compromesso. In questo modo, Fairphone ha il diritto e la responsabilità di considerare tanto gli aspetti legati alla funzionalità quanto quelli relativi alla sostenibilità. Il potere dei numeri Sviluppare un modello finanziario dei flussi di denaro è essenziale per comprendere gli effetti di un business PaaS sugli indici e i rendiconti finanziari: bilancio, dichiarazione dei profitti e delle perdite e flussi di cassa. Produrre rendiconti finanziari su prodotti modulari non è però facile. Lo strumento finanziario per il flusso di cassa che è stato creato per il Circular Fairphone Service ha contribuito a uscire da questa situazione di stallo, con imprese a cui mancano i numeri a sostegno dei loro modelli PaaS e finanziatori riluttanti a investire. Creare modelli complessi di PaaS è poi particolarmente difficile perché, per esempio,
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DICHIARAZIONE DI PROFITTI E PERDITE DEL PROGETTO
6 BILANCIO DEL PROGETTO
Calcolare gli schemi di svalutazione
Stimare il valore contabile dei moduli ristrutturati
Calcolare l’attività di riparazione
Prevedere moduli di valore contabile e svalutazione
RISULTATO Dichiarazione di profitti e perdite previsti
Calcolare debito e patrimonio netto Calcolare i rapporti finanziari (es. solvenza/rapporto debito-capitale) RISULTATO Bilancio previsto
Report “The circular phone”, www.circle-economy. com/the-circular-phone
nel caso di Fairphone i moduli possono essere riciclati molte volte. Questo impone di fare delle ipotesi sui cicli di ritorno e di riuso e sul tempo di vita dei moduli. Richiede anche una corretta valutazione della tariffa mensile sulla base dei costi previsti per l’erogazione del servizio, la manutenzione dei moduli, l’assicurazione, il finanziamento e altre operazioni. La tariffa mensile combinata con le aspettative sul ritorno e il riuso dei moduli ha permesso di fare proiezioni su flussi di cassa, profitti e bilanci. Dati i presupposti, col tempo i flussi di cassa cumulativi sono diventati positivi, e gli investimenti necessari per il Circular Fairphone Service si sono dimostrati relativamente limitati. Un bilancio impostato sulla modularità dei prodotti impone di avere un’infrastruttura con cui gestire i dati, in grado di tracciare e seguire i moduli e monitorarli. In caso contrario, è impossibile registrare a bilancio i vari cicli dei singoli prodotti, anche sulla base delle diverse aspettative sul loro ciclo di vita. Al momento, non è ancora chiaro che tipo di rendicontazione sia necessario per i modelli circolari di business. Occorrerà poi approfondire anche gli effetti sulle agevolazioni fiscali della progressiva perdita di valore dei prodotti. Dati i risultati delle proiezioni sui flussi di cassa, la soluzione per finanziare il Circular Fairphone Service sta nel combinare la flessibilità di un conto corrente con la maggiore prevedibilità della relazione finanziaria di uno schema di noleggio, garantendo nel contempo alcuni punti fermi come la qualità del cliente (portfolio diversificati e prevedibili), la qualità dei beni (smartphone di buona qualità e modulari) e i flussi di cassa (un portfolio di contratti). La potenziale mancanza di un solido portfolio di clienti nella fase di start-up può essere compensata con una penale in caso di
rescissione (che diminuisce col tempo) che copra il rimanente valore a rischio sul bene in caso appunto di rescissione del contratto. Nel caso specifico del Fairphone-as-a-Service questa penale potrebbe non essere necessaria, dato che i dispositivi Fairphone 2 hanno un valore elevato sul mercato dell’usato e dei beni ricondizionati. I partner finanziari della CoP hanno lavorato con impegno sull’adeguamento delle strutture esistenti, fino a trovare quella definitiva per questo esperimento pilota. L’approccio adottato per Fairphone può facilmente essere adattato e replicato in altri business. Il diagramma di flusso riportato specifica come sviluppare uno strumento finanziario per un modello basato sul concetto del prodotto come servizio. Immaginare nuovi modelli di business per trasformare la logica economica dominante Il percorso svolto dalla Community of Practice ha permesso di superare diverse barriere che si frappongono tra i modelli PaaS e l’accesso ai finanziamenti. I risultati raggiunti sono rilevanti sia per quelle imprese che puntano a modelli di business circolari sia per gli investitori che vogliono comprendere i rischi e le opportunità di questi stessi modelli. Sebbene siano fondamentali in una logica economica in trasformazione, e siano molto promettenti in vista della transizione verso l’economia circolare, questi modelli non possono funzionare per tutti i tipi di prodotto o per tutti i segmenti di mercato. Le aziende che sono interessate a innovare il proprio modello di business, e che sono disposte a ripensare gli incentivi economici con cui diffondere la circolarità nel mercato in cui operano, hanno ora un riferimento da cui partire per trasformare davvero la logica economica corrente. Seguendo l’etica open-source, abbiamo reso disponibile quanto appreso sotto forma di un libro bianco, un modello di Contratto di servizio circolare e una guida allo sviluppo di uno strumento finanziario per il flusso di cassa; tutti i documenti sono scaricabili online. Fairphone sta attualmente esplorando le opportunità per avviare un progetto pilota che offra il primo Servizio Circolare Fairphone per le aziende. Chi fosse interessato a partecipare a un progetto pilota o a rendere circolare il proprio business può mettersi in contatto con Circle Economy (e per chi fosse semplicemente interessato a fornire ai propri dipendenti lo smartphone più circolare al mondo, il contatto giusto è Fairphone). Pubblicando quanto abbiamo imparato e condividendo i risultati del nostro percorso puntiamo a fornire gli strumenti necessari e l’ispirazione per creare i giusti modelli di business per la transizione verso il prodotto come servizio. La conoscenza che abbiamo acquisito deve essere condivisa, modificata e sperimentata. Divertitevi!
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Focus finanza
in collaborazione con
Una intesa
VINCENTE Con 65 progetti finanziati in tre anni BBI JU – partnership pubblico privata tra Ue e consorzio delle industrie biobased – svolge un ruolo di primo piano nel favorire lo sviluppo della bioeconomia in Europa. Sostenendo non solo progetti di ricerca e innovazione, ma anche la realizzazione di impianti pilota e dimostrativi utili a verificare sostenibilità e competitività.
Horizon 2020, ec.europa. eu/programmes/ horizon2020
Horizon 2020, Bio-based Industries Joint Undertaking, Banca europea per gli investimenti, fondi strutturali europei, fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis), banche private e il cosiddetto Piano Juncker per gli investimenti. Non si può dire che oggi manchino gli strumenti per finanziare la bioeconomia in Europa. Se in passato non esistevano molti fondi dedicati, oggi chi fa innovazione nella bioeconomia ha la possibilità di scegliere tra canali differenti, anche se l’altra faccia della medaglia è un panorama forse troppo frammentato con un processo di accesso al finanziamento molto spesso lungo e complesso. L’innovazione ha bisogno di fondi per andare avanti, senza di essi qualsiasi visione equivale a un’allucinazione. La celebre battuta attribuita agli scienziati della Nasa aiuta bene a comprendere come il tema dell’accesso ai finanziamenti sia cruciale per tutti gli attori impegnati ad avviare nuovi impianti, sviluppare nuovi bioprodotti, costruire nuove filiere. Dalle università alle piccole imprese, fino alle grandissime, tutti sono alla ricerca di fonti di finanziamento efficaci e certe per portare avanti il proprio progetto.
First2Run, www.first2run.eu
Chi in questi anni è riuscito a svolgere un ruolo di primo piano nel finanziare importanti progetti di bioeconomia è la Bio-based Industries Joint Undertaking (BBI JU), entità legale fondata nel 2014 per amministrare e gestire la partnership pubblica-privata da 3,7 miliardi di euro sulle industrie biobased. La Commissione europea e il gruppo industriale multisettore riunito nel Bio-based Industry Consortium hanno unito le forze per sostenere un settore emergente e sviluppare la bioeconomia attraverso bandi annuali per nuove proposte, perseguendo progetti di ricerca e innovazione e includendo progetti
di Mario Bonaccorso
Bio-based Industries, www.bbi-europe.eu
sperimentali e impianti di produzione “pilota”. Si tratta di uno strumento relativamente nuovo a livello europeo, oggi preso a modello da paesi leader nel settore come il Canada. Complessivamente dal 2014 al 2016, la BBI JU ha finanziato 65 progetti, con 729 beneficiari complessivi (incluse le partecipazioni multiple). Nel 2016 i paesi che si sono visti finanziare il maggior numero di progetti sono stati nell’ordine Spagna, Italia, Francia, Germania e Belgio. Fino a poco tempo fa gran parte della ricerca e sviluppo finanziata dall’Europa veniva dislocata in altre parti del mondo. Un vero e proprio pugno nello stomaco per il Vecchio continente era stato il caso Bio-Amber, la joint-venture francoamericana che ha deciso di collocare a Sarnia, in Ontario, il proprio impianto commerciale. I programmi quadro europei, e specialmente il nuovo programma Horizon 2020 (2014-2020), hanno in qualche modo cercato di contrastare questa tendenza concentrandosi sull’innovazione. Il piano è di non fermarsi alla fase di ricerca o a una fase pilota, ma portare avanti progetti dimostrativi, creando impianti di produzione su piccola scala che potranno poi essere utilizzati per verificare sostenibilità e competitività. E sono integrati persino i cosiddetti “progetti bandiera” che godono di finanziamenti specifici per gli impianti di produzione pilota in Europa. Questo tipo di finanziamento è disponibile per gli aspetti innovativi di questi impianti e non per l’intera infrastruttura. Insomma, l’obiettivo condiviso a livello europeo è eliminare i rischi da un settore emergente e creare le condizioni strutturali per usare a proprio vantaggio le risorse rinnovabili, le tecnologie e il know-how industriale presenti. Uno dei progetti bandiera più noti è First2Run in Sardegna, coordinato da Novamont e
Icona: AlfredoCreates.com, Anniken & Andreas/the Noun Project
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Bioskoh, bioskoh.eu
Grace, www.bbi-europe. eu/projects/grace
Urbiofin, www.urbiofin.eu
Embraced, www.embraced.eu
Biomotive, biomotive.info
finanziato con 17 milioni di euro per dimostrare la sostenibilità tecnica, economica e ambientale di una bioraffineria integrata altamente innovativa, in cui colture oleaginose a basso input (per esempio il cardo), coltivate in zone aride o marginali, vengono impiegate per estrarne oli vegetali da convertire attraverso processi chimici in bio-monomeri (principalmente acidi pelargonico e azelaico) ed esteri per la formulazione di bioprodotti quali biolubrificanti, cosmetici, plastificanti e bioplastiche. I co-prodotti della filiera vengono valorizzati per la produzione di mangimi animali, altri prodotti chimici a valore aggiunto ed energia dagli scarti al fine di aumentare la sostenibilità della catena del valore. Standardizzazione, attività di certificazione e divulgazione sono parti integranti del progetto così come lo studio dell’impatto sociale dei prodotti provenienti da fonti rinnovabili. Il progetto supporta gli sviluppi connessi a impianti primi al mondo nel loro genere, già costruiti e che hanno visto un investimento iniziale dei partner privati di oltre 300 milioni di euro. Bioskoh è un progetto bandiera coordinato da Biochemtex e finanziato con circa 21 milioni di euro che ha invece l’ambizione di avviare la prima di una serie di nuove bioraffinerie per la produzione di bioetanolo di seconda generazione, impiegando biomasse lignocellulosiche. Il progetto prevede l’utilizzo di un sito petrolchimico dismesso in Slovacchia, per realizzare una bioraffineria autosufficiente dal punto energetico, con l’obiettivo di dimostrare che il bioetanolo di seconda generazione può essere prodotto a un prezzo più basso ed economicamente più redditizio, con un buon potenziale per una ulteriore riduzione dei costi nel contesto attuale del mercato. Passando dai progetti pilota a quelli demo, uno degli ultimi progetti finanziati dalla Bio-based Industries Joint Undertaking è Grace, coordinato dall’Università di Hohenheim (Germania). Questo progetto, il cui acronimo sta per “GRowing Advanced industrial Crops on marginal lands for biorEfineries”, ha la finalità di esplorare i potenziali delle colture industriali non alimentari, miscanto e canapa, come fonte di biomassa per la bioeconomia. Sia il miscanto sia la canapa sono relativamente sotto-sfruttati ma offrono un’opportunità di business interessante per gli agricoltori e l’industria. Quando si coltivano su terreni marginali, contaminati o inutilizzati e abbandonati, gli impatti sulla sicurezza alimentare possono essere minimizzati e la potenziale introduzione di inquinanti nella catena alimentare può essere prevenuta. Tra i partner di Grace figurano grandi società come Novamont e Indena, la britannica Terravesta e il cluster italiano della chimica verde Spring. Tra i nuovi progetti demo, partiti lo scorso primo giugno, figurano anche Urbiofin, Embraced e Biomotive. Il primo, coordinato dall’impresa spagnola Industrias Mecanicas Alcudia, mira a
sviluppare una bioraffineria innovativa integrata per la trasformazione dei rifiuti solidi urbani (MSW) in nuovi bioprodotti. “Ogni persona in Europa – si legge sul sito della BBI JU – genera una media di 500 chilogrammi di rifiuti solidi urbani all’anno. Circa il 50% di questi sono rifiuti organici, costituiti da carboidrati, proteine e lipidi, che rappresentano materie prime utili per la creazione di prodotti preziosi. Inoltre, la loro conversione ridurrà gli effetti inquinanti e contribuirà al passaggio ad una vera e propria economia circolare”. Il progetto Urbiofin vuole dimostrare la redditività tecnico-economica e ambientale della conversione della frazione organica dei rifiuti solidi urbani su una scala semi-industriale. Consentirà di sviluppare componenti chimici, biopolimeri o additivi utilizzando il concetto di bioraffinazione urbana. Il secondo progetto, Embraced, coordinato dall’impresa italiana Fater, prevede l’avvio di una bioraffineria multifunzione per il riciclaggio del contenuto organico dei prodotti igienici assorbenti. Si tratta di pannolini per bambini, prodotti per l’incontinenza degli adulti, articoli per l’igiene femminile e salviette igieniche, che sono attualmente considerati una frazione non riciclabile dei rifiuti solidi urbani, con 8,5 milioni di tonnellate che vengono inceneriti o mandati in discarica ogni anno in Europa. Embraced rappresenterà, in un ambiente industriale rilevante, un modello di bioraffineria integrato replicabile, economicamente ed ecologicamente sostenibile, basato sulla valorizzazione della frazione cellulosica dei rifiuti trattati per la produzione di intermedi chimici, polimeri e fertilizzanti di origine biologica. Siamo quindi di fronte a un progetto di vera bioeconomia circolare. Il terzo progetto, Biomotive, è coordinato dalla polacca Selena Labs Spolka Z Ograniczona Odpowiedzialnoscia e ha come fine lo sviluppo di fibre e poliuretani avanzati bio-based per l’industria automobilistica. In una fase in cui le case automobilistiche sono sotto pressione crescente per diminuire i consumi di carburante, il peso delle autovetture diventa un elemento di grande rilevanza. Ed è stimato che il 10% di riduzione del peso del veicolo offre una riduzione del consumo di carburante del 5-7%. Per questo motivo, i produttori stanno investendo sempre di più nello sviluppo di materiali più leggeri; oggi circa il 20%delle vetture moderne è fatta di plastica e tale percentuale dovrebbe aumentare grazie alle proprietà riconosciute dei polimeri nell’assorbimento del suono e della vibrazione. Il progetto Biomotive finanziato dalla BBI JU mira a dimostrare, nei rispettivi ambienti industriali, la produzione di materiali biobased innovativi e avanzati (cioè poliuretani termoplastici, schiume poliuretaniche termoindurenti 2k e fibre naturali rigenerate) specificamente per l’industria automobilistica.
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Tutto è iniziato a HELSINKI Qualche mese fa 1.500 persone provenienti da 100 paesi si sono incontrate in Finlandia dando vita al primo Forum mondiale dell’economia circolare. Ecco cosa è successo e quale sarà il prossimo passo. di Emanuele Bompan, da Helsinki
World Circular Economy Forum Wcef, www.sitra.fi/en/projects/ world-circular-economyforum-2017
Potrebbe benissimo essere stato il più grande meeting sull’economia circolare a oggi. Stiamo parlando del primo World Circular Economy Forum (Wcef) che si è svolto a Helsinki, in Finlandia, dal 5 al 7 giugno 2017. Un incontro di oltre 1.600 persone con ruoli chiave provenienti da quasi 100 paesi che hanno condiviso nella capitale finlandese idee e pratiche nel tentativo di trovare le migliori soluzioni al mondo per l’economia circolare e che ha
messo insieme i più riconosciuti esperti e decisori del settore. Materia Rinnovabile era lì per documentare. Perché questo piccolo paese, smart, pro Europa? Dopo l’Olanda, la Scozia e l’Italia, la Finlandia ha deciso di avviarsi verso la circolarità e di essere all’avanguardia nel ripensare la propria economia. “Un’economia circolare può offrire alle aziende europee dei risparmi netti stimati in 600 miliardi di euro. Nella sola Finlandia le soluzioni circolari
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Resq-club, www.resq-club.com/en
potrebbero portare tra i 2 e i 3 miliardi di euro all’anno di valore aggiunto” spiega il ministro dell’Ambiente, Kimmo Tiilikainen, durante un briefing con la stampa. “Per approfittare di questi e altri benefici, due anni fa il governo finlandese si è posto l’obiettivo strategico di diventare un precursore nell’economia circolare” continua Tiilikainen. “Abbiamo coinvolto il livello più alto del nostro governo, poiché potrebbe avere un ruolo chiave nel promuovere l’economia circolare e nell’operare un cambiamento visibile nell’economia finlandese. Poi lo scorso anno abbiamo adottato una Roadmap nazionale in tal senso. Il processo è stato molto interessante, perché c’erano un paio di ministri a mediare i lavori ed erano state coinvolte oltre mille persone, in rappresentanza di settori del business, Ong, municipalità e così via.” Il risultato è un solido piano con una visione ambiziosa, progetti concreti e responsabilità chiare. La Roadmap comprendeva la realizzazione di un Forum mondiale sull’economia circolare, aperto al maggior numero possibile di soggetti interessati provenienti da tutto il pianeta. “È stato qualcosa di cui c’era davvero bisogno: radunare le persone per fare un salto avanti nell’economia circolare” dice Ernesto Hartikainen, specialista al Finnish Innovation Fund Sitra, responsabile del programma del Wcef. Il Forum 2017 per l’economia circolare è stato organizzato dal Sitra, con il supporto del Nordic Council of Ministers, della Ellen MacArthur Foundation, dei Ministeri finlandesi dell’Ambiente, degli Affari Esteri, degli Affari Economici e dell’Impiego. In totale erano presenti 12 organizzazioni in partnership con Sitra. Un evento – acclamato dai media – che ha rappresentato un momento importante nella lunga strada per sviluppare un’economia circolare.
Nell’area del meeting, durante il Wcef 2017 è stato possibile incontrare imprenditori vietnamiti e startupper dagli Usa, funzionari cittadini di Amsterdam e imprese russe. Attori chiave del mondo della sostenibilità, come l’ambientalista Ashok Khosla o l’ex direttore dell’Unep Achim Steiner, erano disponibili per scambi di idee e incontri nella Finland Hall a Helsinki, il centro Expo e Convention di Helsinki. Diciassette sessioni plenarie e parallele – tutte trasmesse in streaming – (i video sono disponibili sul sito) hanno presentato soluzioni di economia circolare per il business, le città e la finanza. Sono stati toccati numerosi punti riguardanti l’economia circolare, tra i quali: la sua integrazione nell’Agenda 2030; le sfide che pone nell’ambito dell’innovazione le città; la ricerca economica e le forme di finanziamento. Tra i relatori principali, Janez Potočnik, copresidente dell’Environmental International Resources Panel delle Nazioni Unite, ha dato una visione panoramica dell’uso globale di risorse naturali. Riferendosi alla crescita prevista della popolazione mondiale e del consumo pro capite, ha affermato che il secondo rappresenta un fattore più importante del primo nel determinare il crescente uso di risorse. Inoltre, sottolineando che i paesi più ricchi consumano dieci volte più materiali di quelli più poveri, Potočnik ha osservato che questi ultimi non possono seguire le stesse traiettorie di crescita dei paesi sviluppati a causa dell’insufficienza di risorse naturali disponibili. Inoltre – ha aggiunto nel suo intervento – nonostante un notevole potenziale per il miglioramento dell’efficienza energetica, poiché i mercati non raggiungeranno l’efficienza autonomamente, servono politiche pubbliche e volontà politica, come anche una leadership e una migliore governance su scala globale. Notando che “il capitale finanziario è sopravvalutato, il capitale umano è sottovalutato
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verificare questi numeri, il Giappone è famoso per molte idee che “chiudono il ciclo” in molti settori. Come il metodo Aigamo, un approccio alla coltivazione del riso decisamente low-tech, creato dall’agricoltore Takao Furuno. Utilizzando anatre e pesci che mangiano gli insetti occorre una quantità minore di insetticidi, mentre le erbe delle risaie forniscono azoto in modo che serva meno fertilizzante. Il rendimento in queste risaie è tra il 20% e il 50% superiore a quello ottenuto con i metodi di coltivazione industriali.
Si ritiene che gli esseri umani siano intelligenti e questo è assolutamente il momento di dimostrarlo.
e il capitale naturale spesso non viene valutato affatto”, Potočnik ha chiesto una transizione verso un nuovo modello economico che disaccoppi la crescita economica dall’uso delle risorse e utilizzi queste ultime in maniera più responsabile. “Si ritiene che gli esseri umani siano intelligenti e questo è assolutamente il momento di dimostrarlo”, ha concluso. Molti partecipanti al Forum venivano da Tokyo. Tadahiko Ito, ministro dell’Ambiente giapponese ha descritto uno dei più piani più “bizzarri” per utilizzare la raccolta urbana di materiali provenienti da telefoni cellulari e apparecchiature elettroniche dismessi: il Giappone li userà per produrre 5.000 medaglie d’oro, d’argento e di bronzo per le Olimpiadi del 2020 che si terranno a Tokyo. “Il Giappone è una delle nazioni leader nell’economia circolare”, ha spiegato Teppo Turkki, Leading Specialist della Sitra in Giappone. “I giapponesi vivono su isole con risorse estremamente limitate e quindi hanno sviluppato soluzioni in tal senso dagli anni Settanta e Ottanta, specie nel campo dei beni di consumo elettronici. Nessuno lo fa meglio.” Il ministro ha sottolineato che la sola industria del riciclo dà lavoro a 650.000 persone e genera il 7% del Pil del Paese. In Giappone – ha precisato – si ricicla circa l’80% delle parti di automobili e il 98% di tutti i metalli. Anche se Materia Rinnovabile non ha potuto
Uno dei contributi più interessanti è stato quello di Anirban Ghosh del Mahindra Group, incentrato sul modo in cui l’economia circolare può aggiungere valore per il consumatore e creare il marchio, presentando casi di studio in India. Anirban Ghosh ha descritto l’importanza relativa dei vari elementi che costituiscono il valore per il consumatore, tra i quali i vantaggi funzionali e razionali. Inoltre ha osservato che non importa quanto un prodotto sia accattivante o sostenibile, se i “livelli inferiori della piramide” – funzionalità e razionalità – vengono trascurati quel prodotto non avrà successo. Con 1.600 partecipanti da incontrare e numerosi eventi collaterali, è stato difficile seguire tutti i gruppi di discussione. Senza dubbio il Wcef 2017 ha dimostrato che la strategia finlandese è giusta. Probabilmente il prossimo anno il Forum si svolgerà in Giappone alla fine di ottobre (il che spiega la nutrita presenza di giapponesi a Helsinki). “Questo è stato il nostro regalo al mondo”, ha detto Matti Vanhanen, membro del Parlamento finlandese e presidente del Consiglio dei direttori del Sitra. “Perché la condivisione della conoscenza è uno dei pilastri dell’economia circolare.” Ma prima del Wcef 2018, Sitra ha organizzato un seminario a Bruxelles dal titolo “Beyond Wcef – Are European policymakers ready for a global circular economy?” con l’obiettivo di sottolineare l’importanza che hanno i decisori politici della Ue affinché l’economia circolare sia vista da una prospettiva globale e non solo europea. The International Resource Panel co-chair Janez Potočnik è stato affiancato dal Vice presidente della Commissione europea Jyrki Katainen e dal Vice presidente del Parlamento europeo Heidi Hautala. La discussione dei decisori politici europei ha toccato temi quali: la gestione della crisi, l’integrazione dei Sustainable Development Goal se della circolarità negli accordi per il commercio, la promozione dell’economia circolare nei paesi meno sviluppati e la pianificazione a lungo termine. Il Fondo Sitra Naturalmente il Wcef 2017è stato anche una vetrina mondiale per esporre la via finlandese all’economia circolare. L’elemento centrale della transizione alla circolarità nel paese di Linus Torvalds (l’inventore di Linux) è un fondo sovrano, chiamato Sitra, fondato nel 1967 – esattamente
Policy cinquant’anni fa – con il supporto finanziario della Banca di Finlandia. Questa entità che risponde direttamente al Parlamento gestisce una media di 30 milioni di euro di fondi ogni anno. “L’obiettivo del Sitra è portare un cambiamento sistemico nella società”, spiega Ernesto Hartikainen, manager del Sitra per il Wcef. “A questo si arriverà anche attraverso una roadmap che ha l’obiettivo di rendere la Finlandia un leader globale nell’economia circolare entro il 2025. Stiamo coinvolgendo molti ministeri, il settore pubblico e quello privato: da noi ci si aspetta una sfida allo status quo presente nel paese e in maniera evidente. Non siamo un “think tank”, siamo un “think and do tank” (pensa e agisci).” Sitra, di fatto, lavora sia sulle raccomandazioni per le politiche che su ricerca e sviluppo in progetti molto concreti. Il fondo stima che la Roadmap porterà almeno 3 miliardi di euro in valore aggiunto all’economia nazionale contribuendo a disaccoppiare il benessere percepito e la crescita economica dalle emissioni di gas serra e dal crescente consumo di risorse naturali. Se il numero di ministri e politici presenti al Wcef è un’unità di misura del successo, l’economia circolare diventerà facilmente un punto cardine dell’economia finlandese. “La Roadmap ha identificato 60 tipologie diverse di progetti, con città o aziende, divisi in quattro aree di interesse: la prima legata al sistema alimentare sostenibile, la seconda alla silvicoltura, la terza agli edifici e all’edilizia circolare, alla tecnologia e alla catena di rifornimento dell’industria, e la quarta riguarda trasporti e logistica”, spiega il ministro dell’Ambiente Kimmo Tiilikainen. Per massimizzare i risultati, Sitra ha per prima cosa lavorato per rimuovere i colli di bottiglia legislativi e normativi, poi per implementare progetti pilota. La lista comprende aziende come Valtavalo che vende soluzioni per l’illuminazione invece di impianti elettrici; Elko Rent che fornisce una soluzione con un veicolo elettrico condiviso per comunità abitative e aziende; Eko-Expert che offre un metodo per il riciclo degli avanzi di isolanti per l’edilizia. L’azienda di proprietà finlandese Swap.com facilita il riciclo di beni di provenienza statunitense con il suo sistema di spedizione online e il suo negozio che devolve il ricavato in beneficenza, e l’azienda produttrice di trattori Valtra che offre scatole del cambio rilavorate al posto quelle totalmente nuove. I progetti sono stati selezionati sulla base di quattro criteri di valutazione: il livello di interesse, la qualità dei modelli di business, la scalabilità delle soluzioni e la loro efficacia. Alcuni progetti sono su scala molto grande. Come il Kera District, nella città di Espoo, un progetto che rigenererà un ex parco industriale di ventidue ettari trasformandolo in un quartiere residenziale utilizzando soluzioni di economia circolare. Le misure comprendono una maggiore efficienza nell’uso di risorse, creando sistemi a ciclo chiuso e istruendo in tal senso i residenti locali.
Ci sono poi anche progetti più semplici, ma ugualmente efficaci. Come il Ravinto la Loop Restaurant che fa la sua parte raccogliendo il cibo in eccesso dai supermercati e pianificando il menù del giorno sulla base degli ingredienti disponibili. All’ora di pranzo il locale è pieno zeppo. Sul menù? Curry di carote, carni miste e verdure. Gustoso, economico e circolare. Se si chiede ai clienti se non si preoccupano del fatto che mangiano avanzi, questi restano sbalorditi dalla domanda. “Io porto sempre qui i miei bambini, è educativo”, dice Aamy, una giovane designer, che sta mangiando un misto di riso e verdure. “Questo posto è grande: il cibo è ottimo e tu fai la cosa giusta.” Il ristorante è parte di Resq-club.com, l’applicazione pensata sia per consumatori che vogliono pasti buoni a buon prezzo, sia per i ristoranti che vogliono vendere, a prezzi economici, cibo che altrimenti verrebbe buttato via alla fine della giornata. Nel 2017 il Resq-club ha ricevuto il Circular Economy Award dalla città di Helsinki. Il Resq-club sostiene che da gennaio 2016 sono stati risparmiati oltre 200.000 pasti da oltre 1.000 ristoranti, o 40.000 kg di cibo, equivalenti a 5 miliardi di chilogrammi di emissioni di anidride carbonica. Non lontano da Ravinto la è possibile bere una buona birra India Pale Ale o Pils al Bryggeri, un ristorante e birrificio che collabora con Gasum, azienda finlandese leader nel settore del gas naturale, per generare biogas come sottoprodotto della birrificazione. Gli scarti della sua produzione di birra vengono ora riusati per alimentare il birrificio, i fornelli della cucina e il sistema di riscaldamento del patio. “Noi crediamo che questa Roadmap possa cambiare la disposizione mentale delle persone. E per farlo dobbiamo concentrarci sulla progettazione di prodotti, servizi e modelli di business. Non è solo una strategia per diventare più efficienti nell’uso delle risorse, è veramente riprogettare la propria catena di valore dal punto di vista dell’economia circolare. Molte parti dell’economia circolare non potrebbero esistere senza nuove tecnologie, in particolare la tecnologia mobile o l’intelligenza artificiale”, continua il ministro. Per valutare l’implementazione della Roadmap Sitra ha posto un chiaro obiettivo. Entro la fine del 2018 deve implementare il 30% dei progetti e arrivare al 100% entro la metà del 2019. “Queste pietre miliari sono molto importanti” spiega Ernesto Hartikainen. “Stiamo rendendo chiaro ai soggetti coinvolti che abbiamo avviato questo progetto per tre anni. Cerchiamo di trovare partner in modo da poterlo passare a loro. È molto importante che tutti capiscano che il Sitra non esisterà per sempre. Li stiamo aiutando a salire a bordo e devono prendersi la responsabilità. In modo che Sitra possa affrontare una nuova sfida”.
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Così ti riciclo il pannolino A Treviso, presso il centro di valorizzazione e riciclo dei materiali di Contarina Spa, il primo impianto al mondo in grado di riciclare fino a 10.000 tonnellate di pannolini all’anno. La tecnologia tutta italiana e sviluppata da Fater Spa, figlia di quasi 10 anni di ricerca e sviluppo, è oggi pronta su scala industriale. di Rudi Bressa
È la prima tecnologia in grado di riciclare al 100% i materiali che compongono i pannolini e i prodotti assorbenti. Un impianto costruito ex-novo a Lovadina di Spresiano (Treviso), che trasforma rifiuti altrimenti destinati alla discarica in nuove materie prime seconde:
Contarina Spa, un’eccellenza europea È una società a partecipazione interamente pubblica, attiva dal 1989, che svolge il servizio di raccolta rifiuti in 50 Comuni della provincia di Treviso, appartenenti al Consiglio di Bacino Priula: serve circa 554.000 abitanti su un territorio di 1.300 chilometri quadrati. La società ha raggiunto oltre l’85% di raccolta differenziata con una tariffa che si attesta ben al di sotto della media nazionale, e l’obiettivo è di raggiungere il 96,7% entro il 2022. Grazie ai 60 milioni di euro investiti in attività di sensibilizzazione, formazione e in progetti di ricerca e sviluppo Contarina Spa ha potenziato le proprie strutture, gli impianti industriali di compostaggio e di selezione del rifiuto riciclabile. Sta inoltre convertendo il proprio parco mezzi verso sistemi di trazione a basso impatto e con motorizzazioni a gas, ibride ed elettriche.
plastica, cellulosa e un polimero super assorbente, pronte per rientrare nel ciclo produttivo. Il sistema è stato sviluppato da Fater Spa, azienda italiana nata da una joint venture fra Procter & Gamble e il Gruppo Angelini, e realizzato all’interno del sito produttivo di Contarina Spa, società che si occupa della raccolta dei rifiuti nei 50 Comuni facenti parte del Bacino Priula, nella provincia di Treviso. “Grazie alla partnership instaurata con Fater abbiamo preso parte alla sperimentazione di quello che è il primo impianto a livello mondiale per il riciclo dei prodotti assorbenti usati”, ha dichiarato Franco Zanata, presidente di Contarina Spa. “Da questa collaborazione è nata una tecnologia nuova, che rappresenta un fondamentale passo in avanti nella sfida che ci siamo posti di riciclare il non–riciclabile, trasformando ciò che era rifiuto in risorsa”. L’impianto oggi operativo è frutto di quasi 10 anni di ricerca e sviluppo, a partire dalla prima sperimentazione iniziata nel 2008. La tecnologia
Case Studies Rudi Bressa, giornalista freelance e naturalista, scrive di ambiente, scienza, energie rinnovabili ed economia circolare per varie testate nazionali.
Info www.contarina.it fatergroup.com/it
si basa sull’impiego del vapore e della pressione per sterilizzare e separare meccanicamente i componenti del pannolino, secondo diversi passaggi. Dal prototipo iniziale, nel 2015 Fater ha sviluppato un primo impianto pilota per comprendere la fattibilità su scala industriale del progetto, fino ad arrivare a oggi, con l’impianto di Lovadina che a pieno regime potrà trattare 10.000 tonnellate di pannolini e prodotti assorbenti l’anno (durante la fase di test il macchinario ha lavorato circa 1.500 kg di rifiuti l’anno). Secondo le stime fornite da Fater, da una tonnellata di rifiuto differenziato si possono ricavare 300 chilogrammi di materiale secco che, una volta trattato, viene trasformato in 150 kg di cellulosa, 75 kg di plastica e 75 kg di polimero super assorbente. A loro volta questi materiali possono trovare nuovi sbocchi applicativi: con la cellulosa vengono realizzati prodotti assorbenti per animali domestici, carta riciclata e, in un prossimo futuro, imballaggi. La plastica può invece essere utilizzata nei vari cicli di lavorazione, con un plus: i colori pastello tipici dei pannolini; per quanto riguarda il polimero, può
BANCHI SCOLASTICI
PARCHI GIOCO URBANI
PLASTICHE
BANCALI PER TRASPORTO MATERIALI
GADGET DI OGNI TIPO
essere reintrodotto per la realizzare nuovi prodotti assorbenti. In termini ambientali l’impianto eviterà il conferimento in discarica di 13.000 metri cubi di rifiuti, riducendo l’emissione di 3.000 tonnellate di CO2 l’anno. Vapore e pressione La raccolta dei pannolini usati funziona all’interno del già collaudato “porta a porta” gestito da Contarina Spa. Possono fare richiesta per un contenitore dedicato sia le utenze domestiche sia strutture come ospedali, asili nido, scuole materne e case per anziani. Si tratta di un bacino composto da 220.000 utenze, pari a oltre 500.000 persone. Il rifiuto così raccolto arriva all’impianto gestito da Contarina Spa che lo avvia a recupero. Qui la fase principale è rappresentata dalla sanificazione del rifiuto, tramite vapore e movimento meccanico all’interno di un autoclave. Si tratta del cuore del processo, una fase che dura all’incirca 45 minuti, durante la quale viene eliminata la componente organica dai pannolini. Successivamente, durante altri tre distinti passaggi, le materie prime seconde vengono ulteriormente differenziate: grazie alla lettura all’infrarosso i polimeri sono separati dalla cellulosa, e successivamente divisi in plastica e polimeri assorbenti. Il tutto avviene senza processi chimici o combustione di sorta. Secondo i dati forniti nell’ambito del progetto europeo RECALL ogni anno sarebbero più di 900.000 le tonnellate di pannolini e prodotti assorbenti conferiti in discarica o inceneriti in Italia, 8,5 milioni in Europa e fino a 30 milioni di tonnellate nel mondo. Milioni di tonnellate di materie prime seconde che in un prossimo futuro si spera possano essere recuperate, in un’ottica di economia circolare.
MOLLETTE PER STENDERE LA BIANCHERIA
TAPPI PER BOTTIGLIE DI DETERSIVI
CARTE SPECIALI
FLOROVIVAISTICA
POLIMERO SUPER ASSORBENTE
BARRIERE MOBILI ANTI-ESONDAZIONE
BIO-CARBURANTI
CELLULOSA VISCOSA
ASSORBITORI INDUSTRIALI
LETTIERE PER ANIMALI DOMESTICI
NUTRIENTE PER APPLICAZIONI FLOROVIVSISTICHE
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 Intervista
di R. B.
“Il prossimo passo sarà la realizzazione di una bioraffineria” Marcello Somma, Direttore associato Fater AHP-Recycling BU
Marcello Somma è l’inventore del processo; ingegnere chimico, ha lavorato nella Ricerca & Sviluppo prima in Danimarca e poi presso Procter & Gamble in Germania e Svizzera. Nel 2009 è tornato in Italia per seguire il progetto riciclo promosso dall’azienda.
Un impianto del genere ha senso nel caso di una raccolta differenziata spinta? Può questa tecnologia fare da volano per migliorare ulteriormente le percentuali di raccolta? “Assolutamente sì. Più sono spinte le raccolte differenziate, maggiore rilevanza assume l’impianto di riciclo dei pannolini. Laddove si raggiungono percentuali di raccolta differenziata superiori al 7080%, i prodotti assorbenti per la persona (pannolini e pannoloni – PAP in breve) costituiscono fino al 20-25% del rifiuto residuo indifferenziato che viene avviato a smaltimento finale. In questi contesti, proprio per incentivare la raccolta differenziata spinta, le frequenze di raccolta del rifiuto residuo vengono ridotte a non più di 1 volta a settimana ed esistono già molte esperienze con frequenze di raccolta inferiori, fino a 1 sola volta al mese. Molti comuni (oltre 700 in Italia, per una popolazione complessiva di 11 milioni di abitanti), anche senza avere poi la possibilità di avviare a riciclo i rifiuti raccolti, stanno già introducendo servizi di raccolta differenziata dedicati a questa tipologia di rifiuto per offrire un servizio ai cittadini che avrebbero difficoltà a tenere in casa per lunghi periodi questa tipologia di rifiuto. L’introduzione di un impianto di riciclo di pannolini in questi contesti consente, non solo di incrementare ulteriormente le percentuali di raccolta differenziata, ma soprattutto di aumentare i tassi di riciclo e la valorizzazione dei preziosi materiali contenuti nei PAP post-consumo.” Con un progetto di questo tipo è possibile andare incontro ai cittadini e ridurre le tariffe? “Grazie al recupero di materie prime seconde di elevata
qualità, l’avvio a riciclo dei PAP post consumo può portare a una riduzione del costo di trattamento fino al 35% rispetto al costo di smaltimento in discarica o inceneritore del rifiuto residuo. Questo si traduce in un risparmio per i Comuni sul costo complessivo di gestione dei rifiuti urbani e conseguentemente una potenziale riduzione delle tariffe rifiuti per i cittadini. La raccolta differenziata specifica sui PAP sottrae inoltre volume e peso al totale della frazione residua delle singole famiglie sulla quale i cittadini versano la TARI nei comuni con sistemi di tariffazione puntuale.” In un’ottica di economia circolare i materiali recuperati trovano effettivamente impiego, ovvero c’è già un mercato? Sono economicamente sostenibili? “Sì certamente. Si consideri che da una tonnellata di pannolini usati riciclati si ottengono quasi 75 kg di plastica, più di 150 kg di materia organicocellulosica e 75 kg di polimero superassorbente. Dei tre materiali recuperati dal processo di riciclo, due (cellulosa e plastica) confluiscono in mercati già esistenti e possono già essere utilizzati in numerose applicazioni, per le quali abbiamo già vari clienti. Per quanto riguarda il polimero super assorbente, anche se al momento non esiste un mercato postconsumo, abbiamo individuato alcune potenziali applicazioni industriali che al momento usano polimero vergine. In ogni caso, le nostre materie prime seconde sono in genere di più elevata qualità rispetto agli omologhi materiali riciclati. Il che ne giustifica una valorizzazione nella realizzazione di prodotti a più alto valore aggiunto e rinforza la sostenibilità economica del progetto nel suo complesso.” Quali sono gli sviluppi di questa tecnologia? “La tecnologia di riciclo dei PAP ha già raggiunto il livello di applicazione a scala industriale e le nostre attività di ricerca sono ora focalizzate sull’individuazione di applicazioni ad alto valore aggiunto per le materie prime seconde che si ottengono dal processo di riciclo. Un focus particolare lo stiamo dedicando alla valorizzazione della frazione organicocellulosica, attraverso la messa a punto di processi di bioraffinazione per la sua trasformazione in biopolimeri e prodotti fertilizzanti. In quest’ambito abbiamo ottenuto un riconoscimento dalla Commissione europea e da BBI (Bio-Based Industries public-private partnership), che hanno finanziato un importante progetto di innovazione, l’EMBRACED (H2020-BBIJTI-2016 – Grant Agreement n. 745746), di cui siamo capofila e che prevede lo sviluppo di questa attività di ricerca con la realizzazione di un primo impianto dimostrativo di bioraffineria ad Amsterdam.”
PENSARE con le
MANI di Barbara Pollini e Francesca Maccagnan
Alcune università italiane ed europee insegnano agli studenti a sperimentare materiali innovativi nei loro progetti e a valutarne gli impatti che avranno nell’intero ciclo di vita. Un design nuovo che spesso parte dal materiale per arrivare all’oggetto.
Barbara Pollini è Ecodesigner e docente all’università Naba di Milano del corso “Materiali e nuove tecnologie per l’innovazione del progetto”. Co-fondatrice nel 2010 del network Nuup Sustainable Creativity.
Termini come “materiali biobased, sostenibili, circolari” stanno finalmente iniziando a entrare nel vocabolario anche dei non addetti ai lavori. Caratterizzare un oggetto per il suo materiale è, infatti, una leva che attrae sempre di più nuovi consumatori. D’altronde, occuparsi dei materiali di cui sono composti gli oggetti che utilizziamo quotidianamente e saperli raccontare nella maniera più opportuna è un argomento centrale sia come opportunità di business, sia per gestire le materie prime in maniera più sostenibile. Dal materiale dipendono la durabilità, la piacevolezza e le prestazioni del prodotto; una volta terminato l’utilizzo rimane soltanto la materia di cui è composto. La scelta e la conoscenza del materiale sono essenziali per determinare l’impatto ambientale di un oggetto già dalla fase progettuale, motivo per cui un numero sempre maggiore di designer stanno affrontando la questione con interesse.
Francesca Maccagnan è Ecodesigner, co-fondatrice nel 2010 del network Nuup Sustainable Creativity. Attualmente si occupa di progettazione sostenibile di prodotto.
Material Tinkering: un primo approccio nei laboratori universitari
In alto: Bioplastiche DIY
In diversi atenei italiani ed europei di Product Design l’approccio sperimentale sta diventando una metodologia che si sta diffondendo nel percorso di insegnamento dei materiali. Se in passato la didattica si focalizzava maggiormente sulla conoscenza dei materiali
esistenti, oggi alcuni docenti hanno iniziato ad affrontare il tema con un approccio esperienziale, guidando lo studente nella creazione di un materiale nuovo attraverso un metodo che porta a “sporcarsi le mani”. Gli alunni, con un approccio tecnico e scientifico, sono chiamati a riflettere sulle conseguenze ambientali delle loro scelte in fase progettuale, sulla sensorialità e sul significato emotivo che possono assumere gli oggetti prodotti con i diversi materiali. Carlo Santulli, docente di Scienza e Tecnologia dei Materiali presso la Scuola di Architettura e Design dell’università UNICAM di Camerino, riassume nei suoi corsi i due modi con cui lo studente si relaziona con il tema dei materiali: nel modulo “Caratteristiche prestazionali e conformative dei materiali” lo studente viene guidato nella selezione del materiale per la realizzazione del progetto di design, mentre nel corso “Sperimentazione di Materiali Innovativi per il Design” è chiamato ad esplorare la materia alla ricerca di nuove soluzioni utilizzabili. Quest’ultimo corso è caratterizzato da un approccio laboratoriale focalizzato sull’ideazione di bioplastiche e altri materiali organici attraverso l’utilizzo di materiali di scarto possibilmente a km0 e riconoscibili dallo studente per la sua esperienza lavorativa o personale. L’entusiasmo e la dimestichezza nei confronti del materiale portano lo studente a costruirne la “personalità”, ideando il percorso e le procedure di prova che gli consentiranno di definire le caratteristiche espressive e tecniche
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 A destra: RC+L, materiale ottenuto dall’impiego di fondi di caffè e realizzato dagli studenti Matteo Brasili, Elisa Castelletta, Giovanni Dipilato, Gaia Ravera, Martina Sacco, Dario Javier Sosio durante il corso “Materiali e nuove tecnologie per l’innovazione del progetto” in NABA
In alto: Celluosa batterica
A destra: Nithikul Nimkulrat. The black&white striped armchair, 2014. Photo credit: Nithikul Nimkulrat (www.inicreation.com)
e che, infine, lo porteranno ad identificare una possibile applicazione a livello di prodotto. “Per inserirli in una narrativa di progetto credibile, – afferma Santulli – mi avvalgo del contributo di altri docenti e designer professionisti che, grazie alla loro esperienza, sono in grado di inquadrare meglio le possibili destinazioni d’uso, evitando strade semplici e valorizzando le qualità estetiche dei materiali organici utilizzati in partenza.” Anch’esso legato alla realizzazione di materiali DIY (Do It Yourself), il corso “Designing Materials Experiences” condotto da Valentina Rognoli, Stefano Parisi e Camilo Ayala Garcia al Politecnico di Milano, Scuola del Design, è finalizzato allo sviluppo di un concetto materico, un materiale autoprodotto attraverso un approccio lowtech. Gli studenti svolgono attività di Material Tinkering1 “pensare attraverso i sensi”, costruendo un know-how profondo che spazia da una conoscenza tecnico-fisica del materiale a una dimensione espressivo-sensoriale ed esperienziale.2 Non sono esclusi dal metodo studi sull’utente e la capacità di immaginare scenari d’applicazione. Secondo Valentina Rognoli si sta verificando un cambio di paradigma per cui è il designer che tangibilmente autoproduce delle proposte che “incorporano già in partenza i desideri e i bisogni dell’utente; spesso innovative dal punto di vista delle proprietà, della sostenibilità, delle risorse e dei processi” e che possono
servire da fonte di ispirazione per lo sviluppo di altri materiali. In un contesto di studi altrettanto multiculturale come quello del Politecnico, si svolge alla NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, il corso di “Materiali e nuove tecnologie per l’innovazione del progetto”. Gli studenti sono invitati a ricercare nuovi materiali a partire da sostanze organiche, preferibilmente di scarto o da sostanze autogenerative come funghi, alghe o batteri. Il corso si concentra sin dal primo momento su un approccio di sostenibilità ambientale e di riduzione degli impatti e trova, nel concetto stesso di sostenibilità, un fattore chiave per l’innovazione. Alla fine del corso è prevista una presentazione finale alla quale spesso sono invitati professionisti legati al mondo dei materiali e del progetto. Gli studenti presentano e discutono i risultati ottenuti: uno scambio che rende l’apprendimento collettivo e non limitato a una ricerca individuale. Oltre ai corsi semestrali, alcune università offrono percorsi formativi altamente specializzati sul tema dei materiali. È il caso del Master “Design through New Materials” condotto alla Elisava Barcelona School of Design and Engineering. Per la direttrice del corso Laura Clèries “è importante essere in grado di pensare attraverso la manualità, oltre ad essere una risorsa creativa, l’attenzione verso il materiale assume un ruolo protagonista
1. Il termine tinkering trova una traduzione italiana con la parola “rattoppare”, ma il suo significato include un approccio in grado di indagare, stimolare processi creativi e trovare delle soluzioni attraverso tutti i sensi. Material Tinkering: Parisi, S., Rognoli, V, Sonneveld, M. (2017). “Material Tinkering. An inspirational approach for experiential learning and envisioning in product design education”. 2. Rognoli, V. (2010) “A Broad Survey on Expressive-Sensorial Characterization of Materials for Design Education”. METU Journal of the Faculty of Architecture 27(2).
Case Studies
A destra: StoneCycling. Photo credit: Dim Balsem (www.stonecycling.com)
nel processo di progettazione; nel caso del nostro Master un atteggiamento scientifico e allo stesso tempo creativo è vincolato a un aspetto multidisciplinare, sociale, antropologico, tecnologico ed estetico”. Il programma sostiene laboratori pratici, visite a industrie e a importanti centri di innovazione dei materiali. Il master affronta con serietà anche le questioni legate alla proprietà intellettuale e al marketing, un tema fondamentale quando si tratta di posizionare con successo un materiale all’interno di un mercato o di un settore, oppure per riconoscere il potenziale di nuovi modelli di business associati ai materiali. Dall’oggetto manifesto alla produzione in serie L’entusiasmo degli studenti nella sperimentazione di materiali DIY ha più di una spiegazione: influiscono sia radici storiche profonde rappresentate dai cambiamenti che le persone hanno apportato nei territori e nel tempo, sia sulle matrici culturali più recenti, come il movimento dei makers e la democratizzazione del sapere scientifico. Anche se oggi siamo circondati per lo più da oggetti prodotti industrialmente, il piacere del saper fare tipico dell’artigiano risponde ancora, dalla parte più antica nostro cervello, al bisogno di migliorare il nostro status, sottolineando un aspetto di design emozionale, in primis per chi
lo sperimenta come progettista. Per le attività di material tinkering, le mani, la tattilità, sono uno strumento chiave assieme agli altri sensi. Lo conferma l’artista e designer tailandese Nithikul Nimkulrat, docente alla Estonian Accademy of Art, Faculty of Design (Tallin) quando afferma che l’artigianato non è solo un modo di produrre oggetti, ma anche un mezzo per pensare attraverso le mani che manipolano il materiale.3 Questo è il concetto fondamentale alla base della sperimentazione dei materiali DIY. Ma affinché questa risulti applicabile ed efficace, è necessario affiancarle una metodologia sia scientifica, per le qualità del materiale da raggiungere, sia applicativa, come il Material Driven Design.4 In questo percorso progettuale il materiale non si sceglie alla fine, ma coincide con l’input progettuale, invertendo la domanda da “Con che materiale posso realizzare il mio progetto?” a “Che progetto posso realizzare date le caratteristiche del materiale che ho ottenuto?”. È proprio questo nuovo punto di vista che può migliorare la qualità del matching tra materiale e progetto, portando a soluzioni innovative. Una grossa spinta al trend dei progetti DIY è stata data anche dal movimento open source, in cui persino una scienza complessa come quella dei materiali, che necessita di laboratori e macchinari costosi, è arrivata nei garage dei makers aprendosi all’impiego di risorse e tecnologie low-tech,
3. Cit: (Nimkulrat, N. (2012). “Hands-on Intellect: Integrating craft practice into design research”. International Journal of Design, 6(3), 1-14). 4. Material Driven Design (MDD) è un approccio progettuale che vede il materiale come punto di partenza: Il processo inizia con un materiale (o una proposta di materiale) e termina con un prodotto o lo sviluppo di un nuovo materiale. In questo approccio i designer sono portati a valutare, oltre alle caratteristiche tecniche anche gli aspetti espressivi ed emozionali del materiale per una sua più profonda comprensione. “Material Driven Design (MDD): A Method to Design for Material Experiences”, Karana, E., Barati, B., Rognoli, V., Zeeuw van der Laan, A.
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Info www.nuup.it
In basso: Tom van Soest e Ward Massa di StoneCycling. Photo credit: Dim Balsem (www.stonecycling.com)
permettendo l’emergere di soluzioni inaspettate ma altrettanto efficaci che, spesso, nascono proprio dall’impreparazione di chi sperimenta e dalla prospettiva non convenzionale che ne consegue. Del resto in questa pratica, così come nella disciplina scientifica, l’errore non è visto con un’accezione negativa, bensì come un fattore di conoscenza nell’ambito di un processo conoscitivo in divenire. Sia che a sperimentare sia uno studente o un designer, gli esiti della ricerca sfoceranno in due scenari possibili: il primo – volto a mostrare principalmente il processo di ricerca – coincide con il pezzo unico, l’oggetto manifesto che intende mostrare le potenzialità del materiale attraverso i primi prototipi e campioni, frutto di un’arte che si è tra i pochi alchimisti a conoscere, ma il cui processo di produzione è già intuibile. Poi, se i risultati ottenuti sono promettenti può aprirsi uno scenario successivo, quello della riproducibilità industriale, dove si standardizza il sistema produttivo in modo seriale. Alcune sperimentazioni sul materiale vanno infatti oltre il piacere del “farselo da soli” e hanno caratteristiche di innovazione e sostenibilità per cui vale la pena provare a standardizzarne la produzione. È proprio quello che è accaduto a Tom van Soest con il suo progetto di tesi, presentato alla Design Academy di Eindhoven nel 2011 e incentrato su una sperimentazione materica volta all’upcycling dei materiali edili. Il suo obiettivo era il recupero dei materiali delle demolizioni: una volta reperiti i materiali di scarto per due anni li ha tritati e processati in un garage, ottenendo dei nuovi mattoni sempre più performanti e mettendo a segno alcune prime collaborazioni con aziende del settore. Nel 2013 Tom van Soest assieme
a Ward Massa ha fondato una start-up, che prende il nome dal progetto stesso: StoneCycling. L’azienda oggi offre diverse collezioni di mattoni “Waste Based Bricks” caratterizzate ognuna da colorazioni e texture particolari date dai diversi mix di materiali di partenza. Fino ad arrivare al 2016 quando è stato ultimato il primo edificio costruito con questi mattoni. Ma quando chiediamo a Ward Massa se, ora che sono arrivati a fondare un’azienda, la ricerca resta ancora la parte predominante della loro attività, ci risponde “Certo, siamo una piccola organizzazione, il che ci obbliga a pensare ai prossimi materiali futuri: possiamo esistere solo se continuiamo ad innovare”. Quello di StoneCycling non è un esempio isolato, perché il trend dei materiali Do It Yourself è in crescita e consente una nuova possibilità ai designer: la progettazione del materiale stesso. Dal momento che molte sono le ricerche a carattere innovativo e sostenibile in questa direzione, sembra corretto menzionarle tra i banchi di scuola o, perché no, adottare la ricerca sul materiale come metodo didattico per un maggior coinvolgimento emotivo degli studenti nella scelta dei materiali e nella comprensione delle loro potenzialità. Questo argomento diventa particolarmente importante quando pensiamo che la scelta del materiale necessiti, in un’ottica di progettare per l’economia circolare, di una marcia in più, dal momento che, spesso, la fase di pre-produzione (cioè l’estrazione e la lavorazione della materia prima) e quella di lavorazione (cioè la produzione vera e propria del prodotto) generano il maggior impatto ambientale soprattutto per quei prodotti, ad esempio i mobili, che non richiedono il consumo di risorse per il loro funzionamento. Lo conferma Carlo Proserpio che lavora nel laboratorio di Design per la Sostenibilità Ambientale del dipartimento di Design del Politecnico di Milano, esperto di Life Cycle Assessment e Life Cycle Design, che sottolinea come tutte le scelte effettuate in fase di progettazione siano determinanti rispetto alle emissioni che il prodotto avrà lungo l’intero ciclo di vita e come la selezione del materiale sia una di queste scelte ma non la sola. In particolare, Proserpio consiglia di scegliere il materiale non in termini relativi (individuando in un range di materiali quello più sostenibile), ma considerando le caratteristiche che il materiale può conferire all’intero ciclo di vita del prodotto, eseguendo o consultando un LCA sul prodotto e definendo su questa base le strategie prioritarie di Life Cycle Design da adottare. L’aspetto esperienziale legato all’ideazione e manipolazione di nuovi materiali vede oggi maggiori possibilità: i software di analisi del ciclo di vita, le strategie di ecodesign, il coinvolgimento di più persone nella sperimentazione e lo scambio di informazioni sono efficaci strumenti didattici per creare materiali a basso impatto ambientale, garantendo un utilizzo sostenibile delle risorse.
Rubinetto: Monica Stromann/the Noun Project
Case Studies
Acque nere,
ORO NERO di Luca D’Ammando
Dai reflui fognari si possono ricavare fertilizzanti, biopolimeri, energia elettrica e biometano. È quello che sta facendo il Gruppo Cap con il progetto #waterevolution. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”, cantava Fabrizio De André nel 1967. Chiedendo perdono al poeta, cinquant’anni dopo possiamo andare oltre e affermare che dal fango può nascere il carburante. Stiamo parlando di biometano ottenuto dai reflui fognari, cioè i cosiddetti fanghi di “supero”, prodotti di scarto delle acque nere. È questo l’obiettivo di BiometaNow, il progetto di economia circolare e recupero delle risorse sviluppato dal Gruppo Cap, la società pubblica che gestisce il servizio idrico integrato in 134 comuni dell’area metropolitana milanese e altri 64 delle province di Monza, Brianza e Pavia, per un totale di 6.483 chilometri di rete idrica, 782 pozzi e 294 impianti di potabilizzazione. Nel complesso
l’infrastruttura porta ogni anno a più di 2 milioni di cittadini circa 200 milioni di metri cubi d’acqua. Prima di entrare nel dettaglio di questa sperimentazione, è bene fare un passo indietro per comprendere meglio la #waterevolution del Gruppo Cap, una cornice di innovazione che comprende numerosi progetti e attività di sviluppo dei processi in chiave di economia circolare. In particolare per quanto riguarda la depurazione, l’azienda milanese è impegnata nello sviluppo di una vasta e complessa politica di recupero dei nutrienti che, anche attraverso sinergie con il ciclo della raccolta differenziata, permetta di recuperare risorse e materiali dai fanghi, da materia organica e in generale dal ciclo dell’acqua, predisponendosi a trasformare
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Luca D’Ammando, giornalista, ha collaborato con il quotidiano Il Foglio e ora con Metro. Ha scritto per Vanity Fair e Sette.
i principali depuratori in altrettante bioraffinerie che potrebbero produrre non solo biometano, ma anche fertilizzanti, energia elettrica, biopolimeri e nutrienti. Oltre, naturalmente, all’acqua depurata. Il riutilizzo delle acque reflue, infatti, può contribuire a soddisfare diverse esigenze idriche sia in termini ambientali sia in alcuni settori produttivi, agricoltura o orticoltura, per l’irrigazione di frutteti e pascoli, per colture acquatiche. Ma anche per usi industriali, come
la produzione di calcestruzzo e il controllo delle polveri. E, nonostante alcuni rallentamenti burocratici, Cap è già pronto a sperimentare la possibilità di riutilizzare le acque derivanti dal processo di depurazione dei reflui nel depuratore di Assago, con le quali potrebbe, per esempio, riscaldare o rinfrescare il Mediolanum Forum di Assago (450.000 metri cubi di volume, una superficie coperta di oltre 40.000 metri quadri, un’arena centrale capace di ospitare fino a 12.700 spettatori). Oppure rifornire le spazzatrici meccaniche che operano la pulizia delle strade cittadine (8.400 litri a settimana), irrigare parchi e giardini o rifornire l’autolavaggio con oltre 13 mila metri cubi di acqua l’anno. Ma il fronte più ampio e a uno stato più avanzato è quello che riguarda i fanghi di supero: lo scarto per eccellenza che contiene numerose sostanze nutrienti, con enormi potenzialità dal punto di vista della produzione energetica, di biogas e biocarburanti. Già oggi il Gruppo Cap in quattro impianti di depurazione (Robecco sul Naviglio, Peschiera Borromeo, Bresso-Niguarda e Sesto San Giovanni) produce energia elettrica attraverso la cogenerazione del biogas ottenuto dai processi di digestione anaerobica. In altre due strutture (Pero e Truccazzano) sta portando avanti gli interventi necessari per attivare la produzione. Mentre nell’impianto BressoNiguarda recupera anche il calore delle acque depurate per scaldare gli uffici e gli altri ambienti di lavoro collegati alla struttura. Abbandonando la logica superata dei rifiuti e puntando alla valorizzazione delle caratteristiche degli scarti, il trattamento di fanghi di alta qualità produce fertilizzanti sia per usi agricoli che per coltivazione di piante e fiori. Nei due impianti di Cassano d’Adda e Settala, Cap ha già completato l’attività di sperimentazione arrivando all’industrializzazione del processo su Peschiera Borromeo a partire dall’agosto del 2017 con una produzione annua stimata in 12.000 tonnellate l’anno di fertilizzanti. Anche a Rozzano, da gennaio 2017, è attiva la produzione di fertilizzanti: circa 2.000 tonnellate di ammendante compostato misto all’anno. Nell’impianto di Sesto San Giovanni si lavora al processo di fermentazione dei fanghi di depurazione per produzione di acidi grassi volatili che in un primo momento verranno utilizzati per sostituire i reagenti chimici utilizzati nel processo di depurazione, ma sui quali – in un secondo momento – verranno avviate sperimentazioni finalizzate alla produzione di bioplastiche, in collaborazione col progetto Smart Plant, finanziato dalla Comunità europea nell’ambito dei finanziamenti Horizon 2020. Ma l’iniziativa sicuramente più interessante è quella realizzata nel depuratore di BressoNiguarda, dove è nato il primo distributore di metano prodotto proprio utilizzando i
Case Studies Microalghe nel depuratore È anche attraverso i progetti minori, le piccole tessere di un mosaico, che si realizza un disegno più ampio, di sostenibilità ed efficienza. Ne è la dimostrazione la sperimentazione che prevede l’inserimento di microalghe nel processo di depurazione del depuratore di Bresso-Niguarda gestito dal Gruppo Cap. Obiettivo: migliorare le performance dell’impianto dal punto di vista ambientale ed energetico all’insegna dell’economia circolare. Grazie a un finanziamento da 300.000 euro da parte di Fondazione Cariplo e alla collaborazione con l’Università di Milano-Bicocca e con il Politecnico di Milano, è stato avviato l’impianto pilota per la coltivazione delle microalghe, che resterà in funzione nei prossimi due anni per testare il sistema. Le microalghe, infatti, possono migliorare la qualità dei reflui riducendo il contenuto di microinquinanti in modo del tutto naturale. Sono in grado, inoltre, di moltiplicarsi grazie ai soli nutrienti presenti nelle acque di scarto (azoto e fosforo), riducendone così la concentrazione. In aggiunta, il loro metabolismo necessita di CO2, che può così essere recuperata dai gas di scarico prodotti dall’impianto stesso. E, per finire, le alghe in eccesso possono essere inserite nel biodigestore anaerobico, aumentando così la produzione di biogas e biometano.
Info www.gruppocap.it
#waterevolution, www.gruppocap.it/ilgruppo/waterevolution/ il-progetto
reflui fognari. Così un depuratore dell’area metropolitana di Milano si è trasformato in una vera e propria bioraffineria e in un distributore di carburante. Un progetto nato grazie alla collaborazione con realtà dotate di competenze tecniche e scientifiche: Gruppo Fca, l’istituto Cnr-Iia e la società di ingegneria Ecospray. Il depuratore di Bresso-Niguarda raccoglie le acque reflue civili, industriali e meteoriche dei comuni di Paderno Dugnano, Cormano, Cusano Milanino e Cinisello Balsamo, servendo 300mila abitanti. Il normale processo di depurazione determina – all’interno dei digestori – la formazione di biogas composto dal 65% di metano circa, mentre il secondo principale componente è l’anidride carbonica. Visto che il gas naturale di origine fossile contiene normalmente dall’85 al 98% di metano, il biogas può raggiungere qualità simili solo dopo un processo di upgrade. Le fasi del processo sono fondamentalmente tre: la prima prevede la pulizia del biogas per rimuovere le impurità, seguita da un vero e proprio upgrade per la rimozione della CO2. E, infine, i post-trattamenti per la rimozione del metano eventualmente residuo nell’off gas così da non rilasciarlo in ambiente. È in questo processo di trasformazione che interviene la tecnologia di
filtrazione a zeolite studiata da Eco Spray. Così lavorato, il metano ottiene indici di purezza vicini al 99%, e una volta compresso è pronto per essere immesso nelle vetture. A regime, l’impianto di Bresso sarà in grado di produrre da solo oltre 340.000 chilogrammi di biometano, ovvero, il carburante necessario a far viaggiare 416 veicoli per un’autonomia 20.000 chilometri l’uno. Lo scorso novembre, a Ecomondo 2017, una delle protagoniste è stata proprio la Fiat Panda Natural Power #BiometaNow, alimentata proprio con il biometano prodotto dal depurazione di BressoNiguarda. I test condotti sui primi 10.000 chilometri percorsi dal veicolo hanno evidenziato un abbattimento delle emissioni del 97% rispetto allo stesso modello a benzina. Il problema, purtroppo ricorrente in questo campo come in ogni ambito dello sviluppo dell’economia circolare, è che le normative tardano a dare un sostegno chiaro e deciso. Sintomo della mancanza di una visione di ampio respiro. Anche perché è più che evidente l’impatto positivo che avrebbe sull’ambiente l’adozione di questo processo su scala nazionale negli impianti di depurazione. E l’obiettivo a lungo termine di Cap è quello di creare una cinquantina di bioraffinerie in Lombardia in grado di trasformare le acque reflue in carburante e rifornire la rete di circa un migliaio di distributori di metano presenti in tutta Italia. Un’idea virtuosa che coniuga economia ed etica, come sottolineato da Alessandro Russo, presidente e amministratore delegato del Gruppo Cap: “Ogni anno processiamo circa 70.000 tonnellate di fanghi di supero, i cui costi di smaltimento oggi valgono 100 euro a tonnellata. Si tratta di un onere importante che si paga in bolletta. Per questo abbiamo deciso di investire in progetti di economia circolare con l’obiettivo di creare valore da quello che oggi è uno spreco”.
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Chi CERCA trova
Un progetto di Assolombarda e Geo-Iefe Bocconi che mostra come l’economia circolare diventa una risorsa competitiva per le aziende. di Irene Bruschi e Fabio Iraldo
1. Il documento del progetto, con la descrizione estesa e completa di tutti i casi studio sarà disponibile sul sito di GEO (www.geo.unibocconi.it) e sul sito di Assolombarda (www.assolombarda.it/ servizi/ambiente).
Il concetto di economia circolare è sempre più diffuso, ma sicuramente di non facile applicazione concreta nella realtà operativa e quotidiana delle organizzazioni. Per definizione, infatti, l’economia circolare implica un’attenta riprogettazione del ciclo di vita del prodotto. La sua attuazione incontra barriere significative, soprattutto tra le imprese di minori dimensioni, a causa, da un lato, della parziale consapevolezza e conoscenza di tutte le opportunità di risparmio, riutilizzo, recupero e riciclaggio delle risorse e delle materie; dall’altro delle difficoltà di identificare e coinvolgere nella filiera i partner che siano in grado di supportare l’azienda nelle azioni mirate a “chiudere” i cicli e, quindi, a ottimizzare l’uso delle risorse e minimizzare gli sprechi. In questo contesto, la Commissione europea ha intensificato gli impegni dedicati al tema, in particolare con la Comunicazione COM (2015) 614/2, che prevede di destinare consistenti risorse economiche al tema: fondi europei, mediante i quali sostenere gli investimenti necessari a favorire l’inversione di rotta dal modello lineare a quello circolare. Il quadro delineato ha offerto l’opportunità per Assolombarda, grazie al supporto tecnico di GeoIefe Bocconi, di avviare un percorso per affiancare le imprese associate nella progressiva maturazione della consapevolezza in merito alle possibilità offerte dall’economia circolare. È nato così il progetto CERCA, finalizzato a rendere la Circular Economy una Risorsa Competitiva per le Aziende pronte a mettersi in gioco e a rivalutare i propri processi e le proprie attività con un nuovo occhio critico. L’obiettivo del progetto è stato triplice: aiutare le aziende a identificare le opportunità attraverso un processo di check-up e la conseguente definizione di linee di azione e soluzioni operative a livello aziendale e nell’ambito della specifica catena del valore; promuovere le best practice; identificare barriere e ostacoli al fine di supportare le policy. Ciò ha implicato un impegno in prima linea delle aziende che hanno individuato il proprio progetto
di sperimentazione, così come opportunità e barriere, legate sia al caso specifico, sia al settore, sia – a volte – al sistema economico generale. I casi studio aziendali, affiancati da una più accademica analisi della letteratura, sono stati indagati adottando un approccio orientato a identificare e valorizzare determinati business model, ossia quelli ritenuti più efficaci nell’attuare e guidare strategie di circular economy a livello aziendale. In questa logica, sono stati individuati specifici modelli di business di applicazione dell’economia circolare nella realtà operativa delle organizzazioni, che hanno trovato una o più corrispondenze nelle esperienze delle aziende partecipanti al progetto CERCA e di seguito presentate.1 I principali business model Tra quelli che caratterizzano le esperienze delle molte altre aziende coinvolte nel progetto CERCA, quattro sono i principali business model emersi: dematerializzazione, remanufacturing, upcycling e durability, che rientrano tra le svariate sfaccettature con cui l’economia circolare può essere interpretata a livello applicativo (figura 1). Tutte le strategie, partendo da una rivisitazione del concept e una riprogettazione del prodotto in tutte le fasi, esplorano modalità innovative di gestione del ciclo di vita, dall’estrazione di materie prima alle modalità di recupero e riutilizzo. Carlsberg Italia configura il modello di dematerializzazione, avendo rivoluzionato le modalità di spillatura della birra mediante l’introduzione del sistema DraughtMasterTM, un’innovazione radicale grazie alle quale l’imballaggio tradizionale dei fusti in acciaio è stato sostituito da un imballaggio realizzato in PET riciclabile, permettendo inoltre di eliminare l’impiego della CO2 come gas propellente per la spillatura. Obiettivo della dematerializzazione è utilizzare meno e/o meglio le risorse naturali e i materiali come input produttivi e come componenti del prodotto (“doing more with less”), e ha come
Case Studies Consulente in ERGO srl e ricercatrice presso IEFE, Università Bocconi, Irene Bruschi svolge attività di consulenza e ricerca su environmental management, sistemi di gestione e circular economy. Dal 2014 fa parte del team del Tavolo di Management dell’Osservatorio sulla Green Economy dell’Università Bocconi. Professore Ordinario di Management presso la Scuola Sant’Anna di Pisa (Istituto di Management) e Direttore di Ricerca presso lo IEFE dell’Università Bocconi, dal 2014 Fabio Iraldo coordina l’Osservatorio sulla Green Economy dello stesso ateneo.
fondamento l’innovazione e il ripensamento del prodotto o del packaging, e dei cicli produttivi e di consumo. La rivoluzione della spillatura di Carlsberg Italia prima ancora di rappresentare un modello di dematerializzazione, attua una visione strategica inclusiva che supera l’approccio semplicistico per cui l’economia circolare è ridotta ad una mera questione di gestione del rifiuto e del fine vita. L’innovazione nel design infatti incide in modo significativo su tutte le fasi a monte – ponendo attenzione agli approvvigionamenti, agli input di processo e di prodotto, al packaging – incontrando la sostenibilità ambientale ed economica, e a valle, influenzando la logistica e le modalità di consumo. NitrolChimica rappresenta un modello applicativo di remanufacturing, improntato alla logica di trasformare il “rifiuto” in risorsa. La produzione di solventi avviene, infatti, mediante rigenerazione dei residui di lavorazione provenienti da diversi settori, nei quali il solvente rappresenta la materia prima (farmaceutico, chimico, cosmetico e auto motive). Il processo di recupero dei solventi riesce a ridurre drasticamente le emissioni di CO2 rispetto alla produzione delle stesse sostanze partendo dalle fonti fossili e ottenendo,
peraltro, ottime performance dal punto di vista qualitativo. La pratica del remanufacturing implica il disassemblaggio del prodotto usato e il ripristino al fine di mantenere le specifiche del design originario: le performance sono almeno equivalenti o anche migliori rispetto a quelle garantite nell’utilizzo iniziale, e per il consumatore il prodotto ottenuto, oltre a mantenere la conformità agli standard tecnici e di sicurezza, deve poter essere considerato pari a un nuovo prodotto. La chiusura del ciclo può essere garantita anche da un altro modello di business, l’upcycling, configurato da 3M, la cui filiale DyneonGmbH, ha avviato il primo impianto per il riciclaggio dei polimeri completamente fluorurati: il PTFE presente in prodotti di scarto, è ridotto al monomero originario, utilizzato per rigenerare nuovo PTFE, annullando completamente il bisogno di ulteriore materia prima vergine, ed evitando il conferimento in discarica dei prodotti a fine vita contenenti tale polimero. Passando dal processo tradizionale all’upcycling si neutralizza la dipendenza da materie prime vergini, anche critiche, e si abbattono le emissioni di CO2eq. e il dispendio energetico fino al 76%. Chiudere il cerchio vuol dire passare da un modello
Figura 1 | Modelli di business di applicazione dell’economia circolare
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Fonte: elaborazione degli autori (allrightsreserved).
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SE C
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materiarinnovabile 19. 2017-2018 2. Studio Life Cycle Assessment, condotto conformemente alle norme ISO 14040 – 14044, tenendo in considerazione la metodologia del sistema internazionale EPD® (Environmental Product Declaration) per la valutazione dell’impatto ambientale del ciclo di vita.
di Re-cycling, che può comportare una diminuzione della qualità e degli usi del prodotto, ad uno di Up-cycling che riporta il materiale al suo stato iniziale più puro, pronto per essere polimerizzato e re-introdotto nel processo manifatturiero, senza limiti di impieghi, usi e performance. Un ultimo approccio riguarda la durabilità, prospettiva adottata nel caso sperimentale della società Vivisol, uno dei principali gruppi europei che operano nelle cure domiciliari, in particolare nelle problematiche respiratorie. Mediante uno studio LCA2 sul kit di ventilazione meccanica invasiva, mirato a indagare l’aumento di durabilità del prodotto per evitare lo spreco di valore, si è provveduto a stabilire un confronto fra lo scenario attuale e un ipotetico scenario di economia circolare che prevede un sistema a rendere e ridistribuzione, previa valutazione
Tabella 1 | Risparmi di impatti ottenuti da Carlsberg Italia con la Tecnologia Draught Master M20 Fonte: Carlsberg Italia.
Risparmio generato dai fusti Draught Master M20 rispetto a Fusti in acciaio
Bottiglie in vetro
Lattine in alluminio
Consumi idrici (litri)
-27,99%
-21,83%
-27,32%
Consumi energetici (MJ)
-19,86%
-41,02%
-33,17%
Potenziale di riscaldamento globale (kg CO2eq.)
-28,58%
-49,11%
-25,84%
Acidificazione (kg SO2eq.)
-11,53%
-31,68%
-7,75%
Totale rifiuti (kg)
-18,92%
-85,66%
-86,97%
Totale rifiuti pericolosi (kg)
-45,99%
-43,51%
-36,36%
di sicurezza e qualità, di elementi non utilizzati del kit. I risultati ottenuti hanno visto lo scenario circolare nettamente vincente rispetto all’attuale. Allungando la vita utile non solo si sposta nel tempo il momento dello smaltimento e il conseguente replacement con un prodotto nuovo, ma si perpetua il valore dei prodotti stessi. Il progetto CERCA ha fornito molteplici spunti di riflessione e i casi studio hanno fatto emergere alcune importanti indicazioni, in merito a driver, risultati, leve e barriere. Vi sono alcuni elementi che accomunano il percorso intrapreso dalle aziende partecipanti al progetto, che hanno costituito i driver delle scelte strategiche in senso “circolare”. Innanzitutto, in tutti casi si è verificato un incremento dell’efficienza nei processi, che ha a sua volta generato un importante vantaggio, ossia una riduzione dei costi. Il payoff del processo, più o meno a lungo termine, di riprogettazione e checkup interno, consiste anche in un ritorno economico non indifferente e protratto nel tempo, in grado di rappresentare uno stimolo per il continuo miglioramento. La base di tale ritorno può essere un risparmio generato da approvvigionamenti più economici (upcycling e remanufacturing), processi più efficienti (dematerializzazione) o aumento della vita utile e sfruttamento di valore (durabilità). Il ritorno è, inoltre, non solo economico, ma anche d’immagine e competitivo: le aziende che per prime si mettono in gioco, anticipando il mercato, possono godere di una valorizzazione, non solo in termini di vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti come first mover, ma anche di immagine nei confronti di clienti, utenti e consumatori. Si pensi alla fidelizzazione che si può creare sia in rapporti B2C, sia anche soprattutto in rapporti B2B, come nei casi di 3M (upcycling) e NitrolChimica (remanufacturing), che hanno instaurato un circolo virtuoso di
73
0
Figura 2 | Confronto delle emissioni di CO2 tra solventi vergini e solventi rigenerati Solventi riciclati (media ESRG)
5.
6.000
90
0
Solventi vergini
3.
41
0
3.
4.000
2.
2.
04 0
05 0
3.000
1.
47 0
2.000
0
Solventi misti
Fonte: Carbon Footprints of Recycled Solvents - Study for the European Solvent Recycler Group.
70 5
79
7
65 0
38
42
6
1
8
1.000
15
Impronta carbonica (kg CO2eq./t)
5.000
Acetone
THF
MEK
TEA
PERC
Case Studies Figura 3 | Risparmi in termini di emissioni e di fabbisogno energetico passando dal processo di produzione tradizionale del TFE (1 tonnellata), al processo di upcycling di 3M 12
12
CO2 Energia
Energia (MWh) e CO2eq.(t)
10 8
-6
5%
6
2 0
6%
4,2
-7
4
2,8
3,4
1,2
0,8
Fonte: 3M. Resa upcycling 90%
Resa upcycling 60%
Metodo R22
Tabella 2 | Risparmi potenziali di impatto ottenibili da SOL applicando lo scenario circolare Categoria di impatto (indicatore)
Differenza % (circular economy vs As is)
Potenziale effetto serra (kg CO2eq.)
-30,76%
Potenziale di acidificazione (kg CO2eq.)
-31,34%
Potenziale di formazione di ossidanti fotochimici (kg C2H4eq.)
-30,55%
Potenziale di eutrofizzazione (kg PO4-3eq.)
-30,46%
Fonte: elaborazione degli autori.
Info www.geo.unibocconi.it www.assolombarda.it/ servizi/ambiente
approvvigionamenti con materie prime seconde di qualità dai propri clienti, calati nel ruolo anche di fornitori. Uno dei driver rimane, chiaramente, anche la pressione normativa, sebbene per ora non giunga sulla base di atti o standard vincolanti o mandatori, siano essi di livello nazionale o sovranazionale. La stessa pressione normativa può tramutarsi in opportunità con un duplice risvolto: da un lato preparare e anticipare i futuri obblighi di legge, dall’altro innalzare l’attenzione da parte delle istituzioni e, più in generale, degli stakeholder, facendosi promotori del cambiamento. Un importante spunto di riflessione lo pongono i risultati ottenuti dalle aziende, caratterizzati da un importante fattore comune: in tutti i casi sono infatti emersi chiaramente i minori impatti generati e i relativi benefici ambientali. In merito alle leve che hanno agevolato i percorsi, due elementi principali si sono distinti chiaramente. Da un lato, il network è risultato essere un supporto fondamentale a varie finalità: ottimizzare la logistica, inizialmente anello debole della circolarità del business, e resa nuovo punto di forza (NitrolChimica); rendere fattibile e concreta la durabilità, utilizzando ciò che può ancora avere
grande valore (Vivisol); organizzare un sistema di raccolta diretta sul proprio mercato dei prodotti “esausti” (3M). In secondo luogo, gli strumenti scientifici riconosciuti, quali LCA (Life Cycle Assessment) e LCC (Life Cycle Costing), hanno dimostrato la propria validità nel fornire un supporto efficace e stimolante nella valutazione preventiva dell’efficacia potenziale della “circolarità” del proprio business. Svolgere un’analisi di impatto ambientale può portare alla luce inefficienze o impatti non conosciuti, indirizzando nel modo più efficace le attività finalizzate ad attuare pienamente la strategia di economia circolare. Tuttavia, il processo di riprogettazione e di chiusura dei cicli non è indenne a scontrarsi inevitabilmente con alcune barriere. In primis, il ritorno di immagine positivo può non apparire scontato e il timore di una scarsa conoscenza e consapevolezza da parte del consumatore può frenare l’innovazione. Occorre adottare contromisure adeguate, comunicando innovazione e impatti ambientali ridotti affinché il consumatore possa fare scelte di acquisto premianti. Certamente, la comunicazione deve avvenire in modo efficace e le istituzioni devono svolgere un ruolo fondamentale di awareness raising. Nel contesto attuale, inoltre, le istituzioni sono chiamate anche ad abbattere quegli ostacoli di natura tecnica e normativo-burocratica che impediscono la transizione piena al nuovo modello circolare, riducendo le difficoltà presenti oggi nel reimpiego di scarti o rifiuti derivanti da altre produzioni, incentivando una maggiore omogeneità nelle materie prime seconde considerate come input e output, e dunque favorendone un mercato attivo e competitivo, e infine affrontando i problemi nella gestione della logistica dei rifiuti, andando innanzitutto a ripensare e riformulare il concetto di rifiuto, primo importante passo nella strada verso l’abbattimento delle barriere normative attualmente in essere. Quest’ultima considerazione può annoverarsi anche tra gli elementi che concorrono alle difficoltà di coinvolgimento delle filiere, e in particolare di filiere differenti dalla propria, con cui ricercare sinergie per conoscere le possibilità e le opportunità connesse all’instaurazione di simbiosi industriali. E parallelamente, non sempre risulta semplice e immediato il coinvolgimento attivo di fornitori o clienti B2B allo scopo di ottimizzare il ciclo di vita del prodotto e renderlo “circolare”. Il committment deve essere condiviso da tutti gli attori, e l’interesse deve andare oltre il mero vantaggio/svantaggio economico di breve periodo. Ciò si collega all’ultimo punto, ossia alle inevitabili barriere dimensionali o economiche, che possono rallentare o impedire gli investimenti nei processi di innovazione, per i quali serve una presa di posizione istituzionale che favorisca gli incentivi economici e/o fiscali, o possono tradursi in costi di transazione per attivare il networking o di attuazione per sostenere il processo stesso di innovazione.
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Rubriche Il circolo mediatico
I disastri ambientali vanno in prima serata Roberto Giovannini, giornalista, scrive di economia e società, energia, ambiente, green economy e tecnologia.
Così come avviene già da un po’ nel mondo del cinema, anche la tv ha cominciato a capire che abbiamo già e avremo sempre di più un problema molto serio di gestione delle emergenze climatiche. Oggi telegiornali e quotidiani ci raccontano storie di alluvioni, siccità, tornadi e bombe d’acqua; domani, è molto probabile che questi eventi catastrofici siano più frequenti, pesanti e diffusi. E da che mondo è mondo la narrazione del disastro – meglio ancora se il disastro viene raccontato attraverso le storie personali di personaggi credibili e “comuni” con cui ci si possa identificare – è ricetta per richiamare il pubblico. A maggior ragione, se c’è il concreto rischio che un giorno o l’altro le emozioni suscitate dal teleschermo possano trasformarsi in esperienze di vita vissuta in prima persona. Ed ecco dunque l’accoppiata di serie televisive che vi proponiamo questa volta. Una è ancora in corso di preparazione e ne sappiamo ancora abbastanza poco; un’altra invece è già andata in onda conquistando un successo di pubblico notevolissimo. La prima serie tv è statunitense, e la sta sviluppando la rete NBC: si tratta di American Disaster, un titolo che è tutto un programma, affidata alla scrittura di Michael McGrale (CSI: Miami) e diretta da Deran Sarafian (regista di House e The Strain). Si incentra sugli sforzi di una comunità di una piccola cittadina del Midwest, che viene colpita da un disastroso tornado e che dovrà imparare a collaborare per uscirne. L’idea è quella di sviluppare una serie antologica, in cui ogni stagione racconterà un diverso disastro naturale e la reazione della popolazione all’evento. Quel che conta è che in questa serie si punterà soprattutto sul racconto di quel che accade quando – passato il disastro – giornalisti e telecamere se ne vanno via, lasciando i cittadini alle prese con la devastazione, ma soprattutto con la necessità di ricostruire edifici e relazioni. Scommette invece sulla descrizione del disastro in tempo reale Als de dijkenbreken, (Quando si romperanno le dighe), la serie in coproduzione olandese-fiamminga che nel novembre 2016 ha scioccato i telespettatori di Paesi Bassi e Fiandre. La storia racconta – seguendo le vicende personali di cinque persone, dal primo ministro olandese a normalissimi cittadini – quel che accade quando per una
serie di sottovalutazioni e inadeguate risposte istituzionali una megatempesta spinge le acque del mare contro le dighe del progetto Delta, completate nel 1986 per proteggere la costa della zona del delta del Reno, della Mosa e della Schelda. Le dighe non resistono all’impeto delle acque, causando una disastrosa inondazione delle aree costiere delle Fiandre e dell’area chiamata Randstad, la conurbazione che comprende le quattro principali città olandesi, Amsterdam, Rotterdam, Utrecht e l’Aia. Mentre il premier belga Verbeke, non appena manifestatosi il pericolo, decide immediatamente l’evacuazione di Ostenda e dell’intera area minacciata, il suo collega olandese Kreuger temendo le conseguenze economiche e politicoelettorali di una evacuazione di massa si limita a diramare l’allarme senza prendere altri provvedimenti. Risultato, panico e disastro. La catastrofe è sconvolgente: mentre nella sala di crisi della Protezione civile a l’Aia politici e tecnici possono soltanto guardare, il mare spazza via Rotterdam mandando la città sotto metri di acqua e travolge le auto bloccate dall’ingorgo causando 25.000 morti e 100.000 dispersi. A un certo punto anche la sala di crisi dev’essere evacuata, e lo sfortunato (e incosciente) premier è costretto a contemplare da un elicottero il mare di acqua che ha coperto la parte più ricca del paese. E quando cerca di visitare un centro di emergenza, viene scacciato in malo modo dai rifugiati. Als de dijkenbreken, trasmessa tra novembre 2016 e gennaio del 2017, in Olanda ha conquistato uno share del 26%, in Belgio addirittura del 45%. Anche perché il tema è sentito: nel 1953 l’ultima inondazione causò 1.835 morti e 70.000 evacuati. Tanto è vero che la Rijkswaterstaat, l’agenzia governativa olandese per le acque, ha sentito la necessità di far parlare i suoi esperti dopo ogni puntata per spiegare lo stato dell’arte ai cittadini. E così Harold van Waveren, presidente della Commissione di coordinamento nazionale sulle inondazioni, ha spiegato che lo scenario della serie è “davvero estremo”, e che qui o lì ci sono errori; ma che però Nordwijk e Katwijk – due dei luoghi dove le dighe si rompono nella fiction tv – sono effettivamente punti deboli, che vengono sistematicamente rafforzati. Insomma: “col cambiamento climatico un paese come il nostro è molto vulnerabile – ha detto van Waveren – e questa serie tv è utile, perché fa crescere l’attenzione e il senso di urgenza”.
Rubriche
Circular by law
Impegno Ue, disimpegno Usa Francesco Petrucci*, giurista ambientale, membro della Redazione normativa di Edizioni Ambiente.
*In collaborazione con Rivista “Rifiuti – Bollettino di informazione normativa” e Osservatorio di normativa ambientale su www.reteambiente.it
La 23° Conferenza Onu delle Parti sul clima (nota come COP 23) che si è tenuta a Bonn dal 6 al 17 novembre 2017 ha proseguito i lavori “tecnici” per dare piena attuazione all’Accordo di Parigi sul clima di dicembre 2015, dovendo fare i conti con il “disimpegno” degli Usa. Mentre i lavori dei 195 partecipanti hanno segnato piccoli passi in avanti, un gruppo di Paesi ha raggiunto un importante risultato approvando il “Powering Past Coal”, documento che segna l’impegno per una decisa uscita dal carbone al 2030 (per l’Europa hanno firmato Austria, Belgio, Francia, Italia, Danimarca, Olanda, Regno Unito). Prossimo appuntamento a Katowice in Polonia per COP24 dal 3 al 14 dicembre 2018 sperando che le Parti riescano a superare distanze e criticità ancora esistenti. In questo senso riveste molta importanza la dichiarazione congiunta Unione europea-Cina sui cambiamenti climatici firmata a metà dicembre 2017, in cui i firmatari hanno confermato gli impegni assunti per attuare l’accordo di Parigi sul clima e la cooperazione per migliorarne l’attuazione. E proprio mentre si svolgeva COP 23 è arrivato il rapporto della Commissione Ue sulle emissioni di gas a effetto serra: dal 1990 al 2016 il calo è stato del 23% accompagnato da una crescita del Pil del 53%. Una buona notizia che si accompagna a quella dell’accordo raggiunto a novembre tra Parlamento e Consiglio Ue sulla revisione del sistema di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (Emission Trading System) per il periodo successivo al 2020. Il restyling del sistema permetterà di raggiungere più efficacemente l’obiettivo dell’abbattimento del 40% delle emissioni al 2030. Intanto, dopo COP 23 l’Onu ha riunito 193 Paesi per la terza sessione dell’Assemblea Onu per l’ambiente (Unea-3) che si è svolta a Nairobi il 4-6 dicembre 2017 sul tema “Towards a pollution-free planet”. Dalla Ue è giunto l’invito a promuovere stili di vita sostenibili, finanziamenti sostenibili e una economia circolare che promuova approcci basati su riduzione, riutilizzo, riciclaggio dei prodotti. A proposito di economia circolare ha fatto finalmente passi in avanti l’iter per l’approvazione del pacchetto di direttive sui rifiuti dopo l’accordo provvisorio raggiunto da Parlamento e Consiglio Ue il 18 dicembre 2017. Probabilmente nei primi mesi del 2018 il “pacchetto economia circolare” verrà approvato definitivamente. È arrivata dalla Commissione Ue l’approvazione del modulo da utilizzare per l’autorizzazione
all’importazione del mercurio per fini diversi dallo smaltimento come rifiuto (decisione 8 dicembre 2017, n. 2017/2287/Ue). Di grande importanza per le imprese che lavorano con sostanze cancerogene o mutagene l’approvazione in via definitiva il 12 dicembre 2017 della direttiva che aggiorna le regole sulla protezione dei lavoratori esposti a tali sostanze pericolose, modificando la direttiva 2004/37/Ue. Il 20 novembre 2017 invece l’Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) ha diffuso i nuovi orientamenti per l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze e miscele, una utile guida per i fornitori di sostanze chimiche al rispetto delle disposizioni del regolamento 1272/2008/Ce. È ancora possibile usare il cadmio su alcuni Led (la tecnologia non consente ancora di eliminarlo), per questo la direttiva 2017/1975/Ue in vigore dal 20 novembre 2017 stabilisce una deroga fino al 31 dicembre 2019 al generale divieto di utilizzo previsto per i metalli pesanti dalla direttiva 2011/65/Ue. Per le industrie che fabbricano prodotti chimici organici sono arrivate le conclusioni sulle Bat (migliori tecniche disponibili) approvate con decisione Commissione Ue 2017/2117/Ue che sono il riferimento da usare per definire le condizioni e prescrizioni delle autorizzazioni ambientali per gli stabilimenti che producono prodotti chimici. La Commissione europea ha diffuso le nuove quote di immissione sul mercato degli idrofluorocarburi per il 2018-2020. Interessate dalla decisione 2017/1984/Ue sono 450 le imprese europee che hanno comunicato l’immissione in commercio degli idrofluorocarburi dal 1° gennaio 2015 in poi. L’adesione a sistemi di gestione ambientale come Emas (il sistema di ecogestione e audit europeo) riveste sempre più importanza per la competitività delle imprese, e l’Unione europea ne sollecita continuamente la diffusione. Così mentre la Commissione Ue ha aggiornato le linee guida per aderire a Emas (decisione 2017/2285/Ue), dall’altro nell’ottica di facilitare la diffusione di Emas ha riconosciuto il sistema di gestione norvegese Eco-Lighthouse come “equivalente” a Emas e utilizzabile come sistema di gestione ambientale rispondente ai requisiti Emas (decisione 6 dicembre 2017, n. 2017/2286/Ue). A proposito di certificazioni il marchio Ecolabel si è rifatto il look; la Commissione europea con regolamento 2017/1941/Ue ha approvato il nuovo simbolo. Intanto con decisione 2017/2076/Ue i criteri esistenti per “etichettare” Ecolabel le coperture dure sono stati prorogati al 30 giugno 2021.
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Pillole di innovazione
Stampa 3D e mondo animale Federico Pedrocchi, giornalista di scienza. Dirige e conduce la trasmissione settimanale Moebius in onda su Radio 24 – Il Sole 24 Ore.
Ricordo l’espressione sorridente di un artigiano dei gioielli che, di fronte alle possibilità offertagli dalle stampanti 3D, manifestava tutto il suo entusiasmo per le nuove possibilità creative, quelle che per anni aveva sognato. È vero, è così. Sono due le grandi e nuove possibilità che si aprono con le stampanti. La prima è che si può progettare una forma del dentro, mentre tradizionalmente si è sempre disegnato un fuori, perché se modello una struttura esteriore, poi come faccio a entravi dentro? Si potrebbe incollare dei pezzi, scelta orrenda in gioielleria. E poi con la stampante 3D si possono creare degli interni spettacolari, complicatissimi, e ciò dipende dal fatto che si procede a strati. Un esempio: una copia esatta del nostro pianeta, con dentro tutto, le montagne, i saraghi, i forni a microonde, sarebbe un’impresa del tutto impossibile, ma ad averci una bella stampantona grande, invece si potrebbe fare. Sorge un problema: non sfuggirà di mano l’utilizzo delle stampanti? Perché con le grandi innovazioni, anche molto belle e utili, c’è poi sempre una direzione nella quale si scivola giù. Rifletto per esempio sulla possibilità – sono già stati fatti i primi esperimenti – di creare dei nidi per le api con tubi di celle avvolti su sé stessi. Ho visto delle realizzazioni. Spettacolari. Rispetto ai nidi normali la superfice interna è decuplicata, però, e diversificabile in mille modi, con la possibilità di creare una specie di gigantesco centro commerciale per api. Poiché la forma spesso crea la sostanza, non possiamo escludere che finiscano per vendercelo, il miele. Le api sono gente che sa organizzarsi e che in più occasioni ha già mostrato una sopravvenuta irritazione per questa attività di volare da fior in fiore. Naturalmente qui prevedo: 1) che le api imparino a usare le stampanti 3D, ma questo è uno scenario evolutivo per il quale sono pronte da tempo; 2) l’entrata in campo di quei personaggi tipo i fuorilegge del west americano che presero a vendere i fucili winchester agli indiani, attività allora perseguita ma che, sul piano storico morale non è certo condannabile. In un prossimo futuro costoro procureranno alveari super frattali alle api, alle quali, del resto, quanto miele abbiamo prelevato noi, per secoli e secoli, senza dare niente in cambio? Ci sono poi le talpe. La loro predisposizione all’uso delle stampanti 3D è culturalmente fisiologica. Solo che in questo caso può
emergere una declinazione molto pericolosa delle stampanti. Le talpe, infatti, costruiscono gallerie sotterranee. Una porzione di queste gallerie si colloca a 20 o 30 centimetri al di sotto della superficie, ma è una porzione minima, mentre l’80% dei tunnel scende anche fino a 10 metri nel sottosuolo, come risultato di un lavoro faticosissimo perché dobbiamo ricordarci che tutta la terra scavata va rimossa. L’uso delle stampanti – che, va tenuto presente, in edilizia sta già producendo risultati interessanti – genera un rovesciamento costruttivo molto efficace. Le talpe potrebbero limitarsi a scavare terra, creando un vuoto nel quale mettere all’opera la stampante che, alimentata appunto dalla terra scavata, costruirebbe l’intera struttura cunicolare. Il problema è che le talpe non ci vedono e quindi, non avendo percezione della configurazione escheriana generata dalla stampante, perderebbero controllo sull’esecuzione del progetto. Nel sottosuolo, a questo punto, ci troveremmo con gigantesche strutture forate, molto fragili. Tenendo presente che la talpa è uno degli animali fra i più lontani dal pericolo di estinzione, lo scenario è quello di un pianeta che imploderebbe riducendo il suo raggio anche di un terzo e con una inevitabile espulsione di terriccio nello spazio. La massa del pianeta cambierebbe, non sarebbe più in grado di esercitare una attrazione gravitazionale sulla Luna e anche l’orbita intorno al Sole potrebbe subire una alterazione tale da mandarci a sbattere contro Marte. L’uso delle stampanti 3D, quindi, non può essere concesso a chiunque.
The RadiciGroup way to Circular Economy
Performance Plastics Synthetic Fibres & Nonwovens
Post-industrial recycling Post-industrial and post-consumer recycling
Mechanical recycling of plastics and fibre scraps back into plastics for new, high performance and value-added products. This is the way we work.
Il riciclo meccanico degli scarti di plastica e fibre per la realizzazione di nuovi prodotti, ad elevate performance e alto valore aggiunto. Questo è il nostro modo di operare.
At RadiciGroup we measure the impacts of this strategy through Life Cycle studies for a sustainable and sound approach to circular economy.
Presso RadiciGroup misuriamo gli impatti di questa strategia attraverso studi di Life Cycle Assessment per un approccio sostenibile e rigoroso all'economia circolare.
RadiciGroup: Specialty Chemicals, Performance Plastics, Synthetic Fibres and Nonwovens
www.radicigroup.com
ABBASTANZA PURO? Il riciclaggio dell’alluminio è un grande vantaggio e, rispetto alla laboriosa estrazione dell’alluminio primario, consente un risparmio energetico di oltre il 95%. Le fonderie ottengono così nuove e più economiche fonti di materiale, separando le leghe d’alluminio e i metalli pesanti con grande precisione fino ad ottenere un alluminio puro al 98/99%. Praticamente perfetto, altro che rifiuto. www.tomra.com/recycling
Contatto di vendita ORION S.R.L, Via A. May 24, Bergamo 24100 // Tel.: +39 348 761 3039 // E-mail: orionsrl1@virgilio.it
Remake è un’esclusiva carta ecologica con forte personalità e inaspettatamente liscia al tatto. La qualità tattile e l’aspetto naturale della carta sono il risultato di un processo di riuso creativo di sottoprodotti del cuoio che sostituiscono 25% di cellulosa FSC. Le fibre del cuoio sono visibili in modo variabile creando effetti unici sulla superficie dell’intera tavolozza dei colori.
www.favini.com
REMAKE: THE NEW UP-CYCLED PAPER FROM FAVINI