MATERIA RINNOVABILE RIVISTA INTERNAZIONALE SULLA BIOECONOMIA E L’ECONOMIA CIRCOLARE 35 | gennaio-marzo 2021 pubblicazione trimestrale Edizioni Ambiente
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outdoor industry Think Tank • Casey Hanisko, viaggeremo all’aperto • Tara Maurer, la rivoluzione PrimaLoft
Materiali • Fibre infinite, la sfida del riciclo • La canapa, un futuro concreto • Dossier biomateriali per l’industria outdoor
Lunga vita • Il business della riparazione • Noleggio, la nuova frontiera • Scarpe, una seconda vita d’obbligo
Casi studio • Salewa • Fjällräven
Editoriale
di Emanuele Bompan e Pamela Ravasio
Pamela Ravasio è fondatrice e amministratore delegato di Shirahime Advisory, specializzata in governance e responsabilità aziendale (CR), con particolare attenzione rivolta ai processi innovativi e alla digitalizzazione. Ha un’ampia esperienza in consulenza a dirigenti e consigli di amministrazione delle pmi.
Il filo invisibile L’industria tessile fornisce un contributo significativo all’economia globale, dando lavoro a oltre 430 milioni di persone in tutto il mondo. Un mercato fiorente in costante crescita. Ma mentre il volume degli affari aumenta, gli impatti ambientali fanno tutto tranne che ridursi. Il modo in cui progettiamo, produciamo e utilizziamo i nostri indumenti ha ripercussioni che stanno diventando sempre più evidenti. Mentre il sistema tessile tradizionale funziona seguendo una modalità quasi lineare (secondo la Ellen MacArthur Foundation vengono persi ogni anno più di 500 miliardi di dollari a causa del sottoutilizzo dei capi di abbigliamento e della mancanza di riciclo), il settore dell’outdoor è all’avanguardia nell’adozione di un sistema circolare. Dai tessuti innovativi ricavati da fonti rinnovabili alle strategie di riacquisto e al business della riparazione, le aziende del settore prevedono una transizione verso la circolarità che dovrà coinvolgere l’intero settore dell’abbigliamento. Questo numero di Materia Rinnovabile esamina l’industria dell’outdoor, il suo presente, il suo futuro e la sua influenza globale. Abbiamo dedicato una serie di articoli all’analisi dei filati e dei materiali, dai tessuti riciclati e i polimeri fino alle bio-fibre, come la canapa. I bio-materiali, afferma Mario Bonaccorso, sono cruciali per la transizione dell’intero sistema dell’abbigliamento, specialmente del settore dell’outdoor, se davvero vogliamo decarbonizzare questa industria. Ma questo numero guarda anche al futuro. Qui di seguito, alcuni dei fattori fondamentali che si affermeranno nell’intero settore dell’outdoor, come anche nelle strategie e nelle prospettive di ogni singolo business legato all’outdoor. Migliorare l’accesso agli spazi aperti: le ricerche mostrano che niente è efficace per la salute fisica e mentale della popolazione quanto il contatto con la natura. In una società sempre più urbanizzata, dipendente dalla tecnologia e dedita al telelavoro, questo bisogno potrà solo aumentare. Operare entro i limiti del pianeta: cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, scarsità delle risorse, tutti questi fattori saranno una presenza sempre più ingombrante. Il risultato? Stagioni spostate nel tempo, interruzioni della catena di rifornimento, accesso difficoltoso ai materiali cruciali, tanto per citare alcune conseguenze. Vera parità di opportunità: diversità, inclusione – dalla razza e le etnie al genere, classe sociale, provenienza geografica, esperienza e background legato all’età.
L’industria dell’outdoor, notoriamente bianca e maschile, dovrà trovare il modo per cambiare la propria disposizione mentale e accettare tutte queste comunità che storicamente non sono state ben accolte. Perché se l’industria dell’outdoor non “ci arriva”, l’industria della moda lo farà al suo posto. Prosperare con politiche pubbliche più severe: dato lo stato globale dell’emergenza climatica e le conseguenze sociali a essa legate, possiamo aspettarci l’approvazione di politiche pubbliche molto severe. Probabilmente in ritardo, probabilmente malvolentieri, ma altrettanto probabilmente imposte con fermezza. La cosa più rilevante? Il modello di business del settore dell’outdoor – come quello dell’industria dei beni di consumo in generale – è assolutamente inadatto alla nuova realtà. Non c’è dubbio che reinventare sé stessa, e il proprio modello di business in particolare, rappresenti la sfida più impegnativa per l’industria dell’outdoor nei prossimi decenni. Questo numero di Materia Rinnovabile espone alcune grandi idee per modelli di business senza precedenti. Leggete l’analisi di Daniele Lettig sul business dell’affitto e del pagamento legato all’uso di abbigliamento ed equipaggiamenti, che coinvolge grandi marchi come Rei (una cooperativa della quale il direttore editoriale di questa rivista è orgoglioso di far parte) o Fjällräven. O approfondite la conoscenza del nuovo business della riparazione degli indumenti, grazie al quale sempre più aziende stanno allungando la vita dei loro prodotti. In realtà, i dati mostrano che bastano piccoli interventi per rendere questo “usato” di nuovo “adatto allo scopo”: il 26% richiede solo la ripulitura da sporco o macchie; il 21% la riparazione di un buco; il 9% il rammendo di uno strappo e il 7,5% un ricambio, come nel caso della sostituzione di una cerniera rotta. Cosa importante: questi sforzi fanno bene all’ambiente e producono profitto, se commercializzati adeguatamente. C’è un forte senso di trasformazione in questo settore. La speranza è che marchi come Patagonia, Vaud, Fjällräven o Salewa possano ispirare il settore dell’abbigliamento tradizionale e offrirgli una visione del futuro. Noi pensiamo che possano riuscirci, e che in futuro saranno ancora migliori.
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M R MATERIA RINNOVABILE RIVISTA INTERNAZIONALE SULLA BIOECONOMIA E L’ECONOMIA CIRCOLARE
outdoor industry www.renewablematter.eu ISSN 2385-2240 Reg. Tribunale di Milano n. 351 del 31/10/2014 Direttore responsabile Emanuele Bompan Direttori aggiunti Pamela Ravasio, Marco Ricchetti Coordinamento editoriale Marco Moro responsabile editoriale di Edizioni Ambiente Hanno collaborato a questo numero Mario Bonaccorso, Chiara Buratti, Emanuele Del Rosso (vignetta pag. 7), Sergio Ferraris, Daniele Lettig, Francesco Petrucci, Kim Scholze, Elisabetta Tola, Antonella Ilaria Totaro Editor Arianna Campanile Diego Tavazzi Coordinamento di redazione e redazione Paola Cristina Fraschini Design & Art Direction Mauro Panzeri
35|gennaio-marzo 2021 Sommario
Emanuele Bompan, Pamela Ravasio
5
Il filo invisibile
Kim Scholze
7
Sostenibilità e outdoor: alla riscoperta della connessione del settore con la natura
Emanuele Bompan
10
Viaggeremo all’aperto Intervista a Casey Hanisko
Emanuele Bompan
12
PrimaLoft, isolamento termico circolare Intervista a Tara Maurer
Marco Ricchetti
15
Regenerate: perché le compagnie della moda outdoor vogliono essere rigenerative
Sergio Ferraris
19
Fibre infinite
Pamela Ravasio
24
Riparare: vivere il marchio dell’avventura
Antonella Ilaria Totaro
29
Scarpe: una seconda vita è d’obbligo
Daniele Lettig
34
Noleggio, la nuova frontiera dell’outdoor
Elisabetta Tola
38
La canapa: un ritorno al futuro molto concreto
Think Thank
Insight
Impaginazione e infografiche Michela Lazzaroni Traduzioni Patrick Bracelli, Erminio Cella, Laura Coppo, Franco Lombini, Mario Tadiello
9
Coordinamento generale Anna Re
Mario Bonaccorso
43
L’abbigliamento si tinge di verde
Responsabile relazioni esterne Anna Re Responsabile relazioni internazionali Giorgia Marino
Pamela Ravasio
48
Fare bene e farlo sapere: tracciabilità, trasparenza, innovazione e l’industria dell’outdoor
Case Studies Chiara Buratti
Daniele Lettig
Contatti redazione@materiarinnovabile.it Edizioni Ambiente è un marchio di ReteAmbiente via privata G. Bensi, 12/5 20152 Milano, Italia t. +39 02 45487277 f. +39 02 45487333 Pubblicità e promozione marketing@materiarinnovabile.it
53
56
Sostenibilità: Oberalp all’insegna del riciclo della plastica e dei materiali produttivi
Fjällräven, la sostenibilità è (anche) un design senza tempo
Abbonamenti Solo on-line su http://www.renewablematter.eu Questa rivista è composta in Dejavu Pro di Ko Sliggers Prodotto e stampato in Italia presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Copyright © Edizioni Ambiente 2021 Tutti i diritti riservati
Startup
Antonella Ilaria Totaro
58
Cyclon, la scarpa da corsa biobased che non sarà mai tua
59
Cappotti di lusso dagli scarti di produzione con Imbotex Lab
60
Re:Down, la seconda vita di piume e lanugine
61
Abiti sovraciclati da legno e cellulosa con Spinnova
62
Circular by law Il tessile alla prova dell’economia circolare
Rubriche Francesco Petrucci
In copertina Foto di Jeremy Bishop @unsplash
Unsplash/Jordan Heath
Regenerate:
perché le compagnie della moda outdoor vogliono essere rigenerative di Marco Ricchetti
materiarinnovabile 35. 2021 olddesignshop.com
24
Riparare: vivere il marchio dell’avventura di Pamela Ravasio
Se ogni appassionato delle attività all’aria aperta utilizzasse la propria giacca, pantalone o baselayer per una stagione o due in più, in quell’arco di tempo verrebbe compensato un terzo dell’impronta ecologica della produzione di un nuovo capo. Ma riparare va ben oltre la “sola” riduzione dell’impronta ecologica. Si tratta infatti di una disciplina che richiede una considerevole competenza, esperienza e conoscenza della manifattura e del prodotto, e lungimiranza nella progettazione.
Shirahime, shirahime.ch
Ciascun capo di abbigliamento outdoor ci racconta una storia. Storie di avventure, successi e disavventure. Storie di viaggi, amicizie ed esperienze di una vita. Giacche, pantaloni, cappelli e zaini sono “complici”, proteggono l’indispensabile dalle avversità, e a volte possono anche salvare vite. Talvolta però le avventure possono lasciare il segno su chi le vive, e ancor di più sulle loro attrezzature. E allora? Abbandonare un capo di abbigliamento outdoor danneggiato non è facile. Sbarazzarsi di tutti i ricordi che vi sono legati? Quasi impossibile: dopotutto la nostalgia è uno dei sentimenti più forti che provano gli esseri umani, o così si dice. Durata, riparazione e impronta ecologica
1. McKinsey & Company, “Fashion on climate”, 26 agosto 2020, mck.co/2JSeEdE 2. Greenpeace, Fast fashion is “drowning” the world. We need a fashion revolution!, 21 aprile 2016, bit.ly/3np05vZ 3. WRAP, “Valuing our clothes”, 2012, bit.ly/2LrUEPt
Sbarazzarsi di un capo di abbigliamento outdoor vissuto e funzionale non è solamente una decisione difficile dal punto di vista emotivo, ma è anche un atto di rassegnazione e una lezione di umiltà, perché molti di noi non sono più in grado di riparare i propri abiti. Si tratta di una decisione che ha costi economici e ambientali significativi: l’industria dell’abbigliamento emette annualmente circa 2,1 miliardi di tonnellate di gas a effetto serra (dati del 2018).1 Visto che ogni anno a livello globale vengono prodotti circa 80 miliardi di capi di abbigliamento,2 ne risulta che ciascun capo emette almeno 26,2 chilogrammi di gas a effetto serra solo per raggiungere il consumatore. Dato che l’industria dell’abbigliamento outdoor tende a utilizzare materiali che necessitano di
una maggiore quantità di risorse (pur essendo di qualità migliore), si tratta probabilmente di una stima per difetto. Prolungare la vita dei capi anche solo di nove mesi di utilizzo attivo, o dell’equivalente di una o due stagioni di utilizzo, ridurrebbe di circa il 20-30%3 l’impronta costituita dalla quantità totale di carbonio emesso, dai rifiuti prodotti e dall’acqua utilizzata, dato molto rilevante per un’industria, come quella dell’outdoor, che produce beni durevoli. In altre parole, se le giacche, i pantaloni o i baselayer venissero utilizzati dagli appassionati più a lungo, basterebbero in effetti una stagione o due in più, in questo arco di tempo compenserebbero un terzo dell’impronta ecologica legati alla loro produzione. Una quantità davvero notevole dato che si tratta di estendere solo di alcuni mesi la durata dei capi. Ma non è finita. Alcuni capi di abbigliamento outdoor non arrivano mai al consumatore per tutta una serie di ragioni, tra cui le principali sono probabilmente i problemi legati alla qualità e le scorte invendute. Le ricerche mostrano infatti che l’82% dei prodotti classificati dai marchi come scarti potrebbero essere rinnovati e conseguentemente (ri)venduti. Pertanto, fare in modo che una parte significativa di questi capi di seconda scelta leggermente danneggiati (il 36% del totale) raggiunga un utilizzatore porterebbe molto probabilmente a risparmiare grandi quantità di carbonio, rifiuti
ReVivo
Scarpe: una seconda vita è d’obbligo
di Antonella Ilaria Totaro
Ogni anno vengono prodotti 24 miliardi di scarpe, circa 66 milioni di paia al giorno. Il 90% di questi ha un’alta probabilità di finire in discarica, spesso nel giro di dodici mesi dall’acquisto. Uno spreco di materiali e risorse a cui, in Europa e non solo, stanno cercando di porre rimedio aziende e progetti che puntano ad allungare il ciclo o a dare alle scarpe una seconda esistenza.
La canapa: un ritorno al futuro molto concreto di Elisabetta Tola
Eliminata da tutta Europa, dopo secoli di coltivazione e uso come fibra ultra versatile, la canapa torna con nuove prospettive: fibre high-tech, materiali outdoor, nuove filiere in sintonia con la bioeconomia.
Elisabetta Tola è giornalista scientifica, conduttrice di Radio3Scienza, freelance per diverse testate nazionali e internazionali. Ceo e co-fondatrice dell’agenzia di comunicazione scientifica formicablu.it e del progetto Facta.eu. Co-autrice di Semi ritrovati – Un viaggio alla scoperta della biodiversità agricola (Codice, 2020).
“Abbiamo un’ottima opportunità. Quella di fare molta ricerca e provare a cambiare il modo in cui lavoriamo, e quindi anche l’impatto dei nostri prodotti.” Christine Ladstaetter, Innovation & Special Project Manager del Gruppo Oberalp, che gestisce il marchio Salewa, è entusiasta mentre racconta i diversi esperimenti messi in campo, letteralmente, utilizzando la fibra di canapa per realizzare abbigliamento outdoor. “È necessaria un’attenzione sempre maggiore ai materiali che usiamo e ai processi di trasformazione. Negli ultimi anni ci sono più persone che fanno attività all’aperto, a contatto con la natura, e molte di queste persone esprimono una maggiore consapevolezza per l’impatto che l’abbigliamento e le attrezzature hanno sull’ambiente.”
In linea con questa esigenza espressa dai consumatori, Ladstaetter, che lavora a Salewa da circa 30 anni e ha vissuto in prima persona i notevoli miglioramenti sul piano tecnico apportati dalle fibre sintetiche migliorate e ottimizzate a fine anni ’90, ha condotto svariati esperimenti per utilizzare materiali più naturali, prodotti anche a livello locale e non solo importati da lontano. E soprattutto, più interessanti dal punto di vista della sostenibilità, sia ambientale sia sociale. La canapa, in questo, sembra essere davvero in pole position. Quando la canapa era la regina delle colture italiane La canapa è l’equivalente vegetale del maiale in zootecnia: di questa coltura non si butta proprio nulla, è a tasso di spreco quasi zero. Semi, fiori,
PRIMALOFT® È UN MARCHIO REGISTRATO DI PRIMALOFT, INC. ©2019 PRIMALOFT, INC.
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