PIANO B 3.0 mobilitarsi per salvare la civiltÀ
Lester R. Brown
Piano B 3.0 Mobilitarsi per salvare la civiltĂ
s a g g i st i c a e m a n ua l i Edizioni Ambiente
Lester R. Brown
PIANO B
3.0
mobilitarsi per salvare la civiltÀ realizzazione editoriale
Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it titolo originale
Plan B 3.0 – Mobilizing to save civilization Copyright © 2008 by Earth Policy Institute coordinamento gruppo di traduzione
Dario Tamburrano traduzione
Attilio Anitori, Debora Billi, Pietro Cambi, Giusy Campo, Chiara Dal Lago, Laura Florimonte, Lidia Gandellini, Erica Giuliani, Patrizia Guetti, Alessandro Lunetta, Vanessa Matteucci, Augusto Merletti, Valerio Petrucci, Francesco Trionfetti, Ascanio Vitale, Marina Voudouri progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Agenzia X Milano immagine di copertina: © Felix Petrusˇka
© copyright, 2008 Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Terza ristampa dicembre 2008 ISBN 978-88-89014-87-5 ufficio stampa: ufficiostampa@reteambiente.it
Questo libro è a Impatto Zero®, ridotte e compensate le emissioni di CO2
Finito di stampare nel mese di dicembre 2008 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg) Stampato in Italia – Printed in Italy questo libro è stampato su carta riciclata 100%
sommario
perché serve un piano b: verso la rivoluzione della sostenibilità
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di Gianfranco Bologna 23
a cena con lester
di Beppe Grillo 25
prefazione
di Lester R. Brown 1. l’ingresso in un mondo nuovo
Il grande flop del mercato Ambiente e civiltà Cina: perché il sistema economico attuale è destinato a fallire Tensioni in aumento, nazioni allo sfascio Il punto di non ritorno della civiltà Il Piano B: un piano di speranza
parte prima
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una civiltà in panne
2. picco del petrolio e sicurezza alimentare
Petrolio in caduta libera Quanto petrolio c’è nel cibo che mangiamo? Quale futuro per i raccolti? Automobili e popoli in competizione Il mondo oltre il picco del petrolio Insicurezza alimentare e paesi in crisi 3. temperature e mari crescono
Gli effetti delle temperature più elevate L’effetto sui raccolti agricoli Serbatoi nel cielo Se i ghiacci fondono i mari montano Tempeste sempre più violente Obiettivo 2020: ridurre la CO2 dell’80% 4. l’emergenza idrica
Diminuzione delle riserve idriche I fiumi in secca
51 52 57 60 62 66 69 73 74 76 78 80 85 88 93 94 99
I laghi che scompaiono Gli agricoltori sconfitti dalle città La penuria d’acqua viaggia oltre confine Poca acqua porta a problemi politici
101 102 104 106
5. sistemi naturali sotto stress
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Quanto costa la perdita delle foreste L’erosione del terreno superficiale Da terra fertile a deserto L’avanzamento dei deserti Riserve ittiche in esaurimento La scomparsa di piante e animali 6. prematuri segnali di declino
Il nostro mondo socialmente diviso Nuove minacce alla salute L’economia usa e getta non funziona La guerra delle risorse Frotte di rifugiati ambientali I paesi al collasso
parte seconda
129 130 132 136 138 143 145
la risposta: piano b
7. debellare la povertà, stabilizzare la popolazione
Istruzione di base per tutti Stabilizzare la popolazione Miglior salute per tutti Frenare l’epidemia dell’Aids Ridurre i sussidi all’agricoltura e il debito Un budget per sconfiggere la povertà 8. risanare la terra
Proteggere e ripristinare le foreste Conservare e ricostituire il suolo Ripristinare le riserve ittiche Proteggere la diversità vegetale e animale Piantare alberi per contrastare l’effetto serra Il budget per rigenerare la Terra 9. nutrire bene otto miliardi di persone
Ripensare la produttività dei suoli Aumentare la produttività idrica Produrre proteine in maniera più efficiente Scendere nella catena alimentare Agire su più fronti
151 153 155 158 162 164 167 171 171 176 179 181 183 186 191 192 194 198 203 205
10. progettare città a misura d’uomo
L’ecosistema cittadino Riprogettare i trasporti urbani Il risparmio idrico nella città Coltivare in città Risanare le baraccopoli Città pensate per le persone 11. migliorare l’efficienza energetica
La messa al bando delle lampadine a incandescenza Apparecchiature elettriche energeticamente efficienti Migliore efficienza energetica degli edifici Riorganizzare il sistema dei trasporti Un’economia basata su nuovi materiali Le potenzialità del risparmio energetico 12. passare alle energie rinnovabili
Imbrigliare il vento Automobili ibride spinte da energia di origine eolica Celle fotovoltaiche e collettori solari termici Energia dalla terra Biomasse Energia dai fiumi, dalle maree e dalle onde L’economia energetica planetaria nel 2020
parte terza
207 209 211 216 219 222 223 227 229 232 234 238 242 248 251 252 256 259 264 266 269 271
l’unica alternativa possibile
13. la grande mobilitazione
Ridistribuire imposte e agevolazioni Le misure di stabilizzazione del clima Una risposta agli stati in fallimento Una mobilitazione da tempo di guerra Mobilitarsi per salvare la civiltà Quel che possiamo fare anche noi
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note ringraziamenti l’autore il gruppo di traduzione
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i limiti della nostra crescita sulla terra Mentre sto scrivendo questa introduzione sono connesso al sito dell’United States Census Bureau che, nella sua homepage (www.census.gov), presenta il dato in tempo reale degli abitanti nel mondo e negli Stati Uniti. Oggi, 10 maggio 2008 alle ore 17.30, la popolazione mondiale è di 6.666.789.904 abitanti. Avevamo iniziato il secolo scorso con 1,6 miliardi e lo abbiamo concluso superando i 6 miliardi. Immaginate che cosa ha potuto significare per i sistemi naturali del nostro pianeta, che garantiscono la vita dell’uomo, la continua e crescente pressione, in quantità e qualità, del numero e dell’incremento dei livelli di consumo di energia e di risorse in soli cento anni. Il tasso di crescita della popolazione mondiale è sceso dal 2,1% del 1970 a circa l’1,2% attuale, ma l’1,2% su di una popolazione che supera i 6,5 miliardi significa un incremento annuale di circa 70 milioni di esseri umani. Gli esperti demografi delle Nazioni Unite stimano che la popolazione umana raggiungerà, con ogni probabilità, gli 8 miliardi nel 2025 e i 9,2 miliardi nel 2050 (United Nations, 2007). La crescita della maggioranza di questa popolazione, il 95%, avrà luogo nei paesi cosiddetti in via di sviluppo, e l’Africa presenta il tasso di crescita superiore rispetto agli altri continenti, il 2,4% all’anno. Ci si aspetta che la popolazione di questo continente andrà oltre il raddoppio nel 2050, raggiungendo i 2,3 miliardi. Cina, India e Stati Uniti sono i paesi più popolosi del mondo. L’attuale popolazione indiana di 1,1 miliardi dovrebbe raggiungere 1,7 miliardi nel 2050, mentre quella cinese, oggi di 1,3 miliardi, dovrebbe raggiungere 1,4 miliardi entro il 2050. Queste due nazioni da sole rappresentano il 37% della popolazione mondiale di oggi. Nel 2006 gli abitanti degli Stati Uniti hanno raggiunto quota 300 milioni e nel 2050 dovrebbe toccare i 420 milioni (UN, 2006, Worldwatch Institute, 2007). Quest’anno la popolazione urbana sta sorpassando, per la prima volta nella nostra storia (e probabilmente sarà un passaggio irreversibile), quel-
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la rurale. In più di mezzo secolo la popolazione mondiale urbana è infatti cresciuta dai 732 milioni di abitanti, che erano presenti nel 1950 nelle città di tutto il mondo, ai 3,15 miliardi del 2005. L’88% della crescita che avrà luogo dal 2000 al 2030 avverrà nelle città dei paesi in via di sviluppo. Un chiarissimo rapporto pubblicato da un gruppo di esperti riuniti dal parlamento britannico ha dimostrato che gli obiettivi del Millennio (Millennium Development Goals, voluti dai governi di tutto il mondo nel famoso Millennium Summit delle Nazioni Unite del 2000, per sradicare l’estrema povertà e la fame, per ridurre la mortalità infantile, per avviare la sostenibilità ambientale ecc.) non saranno mai raggiunti o vi sarà una significativa difficoltà a raggiungerli se si continuerà a ignorare un puntuale lavoro di pianificazione familiare nei paesi in via di sviluppo, destinato soprattutto ai 2 miliardi di persone che oggi vivono con meno di 2 dollari al giorno (Campbell et al., 2007). È questo un impegno previsto nel Piano di implementazione scaturito dall’ultima conferenza delle Nazioni Unite su popolazione e sviluppo, tenutasi a Il Cairo ormai nel 1994. Oltre alla popolazione cresce anche il prodotto globale lordo. Nel 2006 il prodotto lordo globale, il totale aggregato di tutti i beni finiti e i servizi prodotti a livello mondiale, ha sorpassato i 65.100 miliardi di dollari (nel 1970 era di 18.600 miliardi di dollari, nel 1980 di 27.600 miliardi di dollari, nel 1990 di 38.100 miliardi di dollari e nel 2000 di 52.300 miliardi di dollari). L’incremento rispetto all’anno precedente (il 2005, durante il quale il PIL globale ha raggiunto i 62.700 miliardi di dollari) è stato del 3,9% e questo incremento, la crescita del PIL cinese, da sola, ha contribuito per oltre un terzo. Le prime stime del prodotto mondiale lordo per il 2007 danno la cifra di 72.300 miliardi di dollari, con un più 5,4% rispetto al 2006 (Worldwatch Institute, 2008). Il prodotto interno lordo degli Stati Uniti è cresciuto nel 2007 di 2,1% circa, mentre quello della Cina dell’11,7%, una cifra veramente impressionante che si porta dietro enormi problemi ambientali e sociali (basti pensare, per citare un solo esempio, che oggi soltanto l’1% dei 560 milioni di cinesi che vivono in aree urbane respirano aria che può essere definita non inquinata secondo i parametri dell’Unione Europea). La crescita continua del prodotto globale lordo dimostra lo straordinario incremento dei metabolismi dei nostri sistemi sociali e quindi dei flussi di energia, materie prime, risorse naturali, nonché la trasformazione continua di ambienti e le pressioni ecosistemiche esercitate nei confronti dei metabolismi dei sistemi naturali. Come scrive nel suo ultimo libro Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute della Columbia University e Special Adviser del segretario generale
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delle Nazioni Unite sugli obiettivi di sviluppo del Millennio, con una popolazione in crescita entro il 2050, il prodotto globale lordo potrebbe essere di 420.000 miliardi di dollari. La domanda che sorge spontanea è come sia veramente possibile che si possa continuare su questa strada senza accrescere i rischi di un collasso della nostra civiltà rispetto alla capacità della Terra di farsi carico di noi.
l’antropocene L’impatto che la continua crescita quantitativa e qualitativa della nostra specie esercita su tutte le complesse sfere del sistema Terra è ormai veramente preoccupante e non fa che confermare quanto il periodo che stiamo attraversando possa essere definito, nell’ambito della geocronologia del nostro pianeta, Antropocene, dalla felice intuizione del premio Nobel per la chimica Paul Crutzen che ha proposto tale definizione già nel 2000 (Crutzen e Stoermer, 2000, Crutzen, 2002). Questa proposta è ormai ben ufficializzata nella comunità scientifica internazionale che, proprio recentemente, ha fatto presente che il termine può essere accettato dai geologi che elaborano e verificano la scala geologica del nostro pianeta proprio sulla base delle prove sin qui acquisite, a dimostrazione della profonda trasformazione che la specie umana ha esercitato sulla Terra (Zalasiewicz et al., 2008). Tutte le conoscenze scientifiche sino ad oggi raccolte documentano chiaramente che i sistemi naturali sono sottoposti a una straordinaria e profonda modificazione e distruzione dovuta alla pressione umana, basata sulla crescita, materiale, quantitativa e continua del nostro intervento. Grazie ai dati provenienti dai satelliti che scrutano il nostro pianeta sono state elaborate vere e proprie mappe dell’“impronta umana” sul pianeta (Sanderson et al., 2002). Un’impronta che ha trasformato fisicamente le terre emerse dal 75 all’83% dell’intera loro superficie. Sempre ai primi del 2008, un team di noti scienziati esperti di ecosistemi marini ha concluso un approfondito e interessante lavoro che ha permesso di tratteggiare la mappa globale dell’impatto umano su questa tipologia di ecosistemi (Halpen et al., 2008). La mappa fornisce una straordinaria sistematizzazione dei dati esistenti circa il nostro impatto sugli oceani e i mari del mondo, e il quadro che ne emerge non è certo confortante. L’analisi del team di studiosi indica che nessuna area può definirsi non influenzata in qualche modo dall’intervento umano e che un’ampia frazione degli ecosistemi marini (il 41%) risulta fortemente impattata da diversi fattori antropogenici. Alcuni ecosistemi marini presentano gli effetti sinergici di numerosi impatti a causa dell’intervento umano di origine
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terrestre e marina. Tra queste aree il Mare del Nord, il Mare di Norvegia, i mari cinesi orientale e meridionale, i Caraibi orientali, il Mare orientale nord-americano, il Mar Mediterraneo, il Golfo Persico, il Mare di Bering e i mari attorno allo Sri Lanka.
la necessità di un piano b Nessuna persona sensata oggi può dubitare del fatto che i modelli di sviluppo socioeconomici dominanti siano insostenibili rispetto alle capacità del pianeta di supportarci e sopportarci e che, quindi, sia necessario un urgente cambiamento di rotta. In una situazione di questo tipo diventa indispensabile per l’intera umanità pensare seriamente a un vero e proprio Piano B, a percorsi socioeconomici molto diversi da quelli sin qui perseguiti e alle modalità per attuarli concretamente. Già nel 1972 il primo rapporto al Club di Roma realizzato dal System Dynamics Group del prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) aveva chiaramente indicato l’insostenibilità del nostro modello di crescita economica (Meadows et al., 1972). Nella premessa di quel lungimirante volume, il team del comitato esecutivo del Club di Roma, creato e presieduto da Aurelio Peccei (1908-1984), una figura dalle straordinarie qualità umane e intellettuali del quale proprio quest’anno cade il centenario della nascita, e allora composto oltre che da Peccei da Alexander King, Saburo Okita, Eduard Pestel, Hugo Thienamm e Carroll Wilson, scriveva: “Le sue conclusioni (del rapporto, ndr) indicano che l’umanità non può continuare a proliferare a ritmo accelerato, considerando la crescita materiale come scopo principale, senza scontrarsi con i limiti naturali del processo, di fronte ai quali essa può scegliere di imboccare nuove strade che le consentano di padroneggiare il futuro, o di accettare le conseguenze inevitabilmente più crudeli di una crescita incontrollata”. Gli autori del rapporto scrivevano: “Possiamo anticipare le conclusioni che emergono fino a questo punto del nostro lavoro. Non siamo però i primi a fare affermazioni del genere, giacché a conclusioni simili sono pervenuti già da diversi decenni tutti coloro che si sono messi a considerare il mondo nel suo complesso secondo una prospettiva di lunga scadenza (nonostante ciò, la grande maggioranza delle autorità politiche di tutti i paesi sembra indirizzata a perseguire obiettivi che appaiono in contrasto con queste indicazioni). 1) Nell’ipotesi che l’attuale linea di crescita continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali), l’umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un
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improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale. 2) È possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare una condizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. La condizione di equilibrio globale potrebbe essere definita in modo tale che vengano soddisfatti i bisogni materiali degli abitanti della Terra e che ognuno abbia le stesse opportunità di realizzare compiutamente il proprio sviluppo umano. 3) Se l’umanità opterà per questa seconda alternativa, invece che per la prima, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto più presto essa comincerà a operare in tale direzione”. Un Piano B va in questa direzione e dalla pubblicazione del primo rapporto al Club di Roma sono passati 36 anni.
il valore del piano b di lester brown Lester Russell Brown è veramente la persona adatta per scrivere un libro come questo. Nel 1980 l’amico Adriano Buzzati Traverso, scienziato di fama internazionale e grande esperto di problemi ambientali (in quel periodo era anche Senior Adviser del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente – UNEP) pubblicò, nella collana da lui diretta per Sansoni, dal titolo Il Pianeta, l’allora nuovo libro di Lester Brown Il 29° giorno, uscito due anni prima negli Stati Uniti. Un libro straordinariamente lucido e chiaro che poneva in concreto le basi di quello che oggi chiamiamo sviluppo sostenibile. Non si trattava certo del primo libro di Lester Brown pubblicato in italiano. La casa editrice Mondadori, nella sua serie delle Edizioni Scientifiche e Tecniche (EST), aveva già pubblicato due libri di Brown, I limiti alla popolazione mondiale. Una strategia per contenere la crescita demografica, nel 1974, con una bella premessa proprio di Adriano Buzzati Traverso, e Di solo pane. Un piano d’azione contro la fame nel mondo, nel 1975, scritto in collaborazione con Erik Eckholm. Proprio Lester Brown nel 1974, quindi solo due anni dopo la pubblicazione del rapporto del Club di Roma sui limiti della crescita, aveva fondato il Worldwatch Institute, un istituto indipendente di analisi integrata dei problemi ambientali, sociali ed economici del mondo, che ha acquisito negli anni una straordinaria fama internazionale, grazie proprio alla principale qualità di Lester Brown, vale a dire la sua capacità di lettura transdisciplinare delle problematiche mondiali. Brown ha fatto scuola trasmettendo questo “stile” a ogni ricercatore dell’Istituto (e in tutti questi anni se ne sono avvicendati parecchi) e facendo diventare i rapporti del Worldwatch dei veri e propri best seller, nonché punti di riferimento della cultura mondiale sull’ambiente e la soste-
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nibilità: primo fra tutti l’annuario State of the World, uscito per la prima volta nel 1984 e tradotto ogni anno in oltre 30 lingue. I temi che tratta il Worldwatch Institute sono, in buona sostanza, gli stessi sui quali opera sin dal 1968 il Club di Roma, una struttura internazionale informale, costituita da un centinaio di membri provenienti da diverse parti del mondo, tutte figure di notevole spessore intellettuale, con background culturali, formativi e professionali diversi, accomunate dalla preoccupazione per il nostro futuro e per la scarsa capacità da parte della nostra specie di gestire i problemi che ha provocato. Pochi anni prima della pubblicazione de Il 29° giorno, avevo avviato un profondo rapporto di amicizia con Peccei e Buzzati Traverso, anch’egli membro del Club di Roma. Successivamente conobbi anche Lester Brown, con il quale ho intrecciato una bella amicizia e un’affascinante collaborazione che mi ha spinto a promuovere l’edizione italiana di quasi tutti i suoi libri. La prima edizione italiana di State of the World è del 1988 e, da allora, ho il piacere di esserne il curatore: un’esperienza che considero una meravigliosa avventura intellettuale. Dal 1998 l’annuario è pubblicato in Italia da Edizioni Ambiente. I rapporti personali con Peccei, Buzzati Traverso (purtroppo interrotti per la scomparsa di Buzzati nel 1983 e di Peccei nel 1984), Brown e molti altri, mi hanno in qualche modo consentito di vivere l’elaborazione della concezione della sostenibilità del nostro sviluppo sociale ed economico, che ha visto come momenti ufficiali le due grandi conferenze delle Nazioni Unite: quella su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro del 1992, e quella sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg del 2002. In veste di esperto non governativo della delegazione italiana ho partecipato a entrambe. Ancora oggi credo che Il 29° giorno sia un libro fondamentale, perché offre oltre all’analisi della situazione in cui ci troviamo anche la proposta di intraprendere una nuova strada, desiderabile e possibile, verso la sostenibilità della nostra presenza sul pianeta. Il titolo di quel volume prendeva spunto proprio da un indovinello di cui si servono gli insegnanti francesi per insegnare ai ragazzi la natura della crescita esponenziale (indovinello che fu comunicato da Robert Lattès a Donella Meadows, allora al Massachusetts Institute of Technology di Boston, una delle autrici del primo famosissimo rapporto al Club di Roma, I limiti dello sviluppo). L’indovinello recita: “In uno stagno c’è una foglia di ninfea. Ogni giorno che passa, il numero delle foglie si raddoppia: due foglie il secondo, quattro il terzo, otto il quarto, e così via”. La domanda che segue è: “Se lo stagno si ricopre interamente di foglie il trentesimo giorno, quando si troverà coperto per metà?”. La risposta è: “Il 29° giorno”.
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Brown si serve dell’indovinello per trattare la tesi centrale del libro: il nostro pianeta può essere paragonato allo stagno di ninfee. Se la presenza umana, sia in termini semplicemente numerici, relativi alla crescita della popolazione (quando il libro fu pubblicato nel 1978, la popolazione umana era di 4 miliardi), sia in termini di stili di vita, nonché di utilizzo e trasformazione delle risorse e di produzione di rifiuti, non modifica la sua strada basata sulla continua crescita materiale e quantitativa, allora entro la prossima generazione il pianeta potrebbe trasformarsi completamente, diventando inospitale per noi stessi. Brown scrive: “Una lettura attenta dei segnali indica che le pressioni sui principali sistemi biologici e sulle principali risorse di energia della Terra stanno aumentando. Sollecitazioni molto forti sono chiaramente percepibili in ciascuno dei quattro principali sistemi biologici – le zone di pesca oceaniche, i pascoli, le foreste e le terre coltivate – da cui l’umanità dipende per il cibo e le materie prime industriali. Se si fa eccezione per i terreni agricoli, sono tutti essenzialmente sistemi naturali, modificati poco o nulla dall’uomo. In grandi aree del mondo, la pressione di una domanda umana crescente su questi sistemi ha raggiunto il punto in cui essa comincia a incidere negativamente sulle loro capacità produttive. Le discussioni sulle prospettive di crescita economica a lungo termine si sono concentrate in anni recenti sulle risorse non rinnovabili, specialmente su minerali o combustibili fossili. L’attenzione sulle risorse non rinnovabili è stata rafforzata dall’assunto implicito che, poiché le risorse biologiche sono rinnovabili, non era il caso di preoccuparsene troppo. In realtà, invece, si sono andate contraendo le basi tanto delle risorse non rinnovabili quanto di quelle rinnovabili. I sistemi biologici della Terra costituiscono il fondamento del sistema economico mondiale. Oltre al cibo, i sistemi biologici forniscono praticamente tutte le materie prime all’industria, eccezion fatta per i minerali e per le sostanze sintetiche derivate dal petrolio”. “Quattro miliardi di esseri umani” – ricordo ancora che la versione originale del libro di Brown risale al 1978 – “con crescenti aspirazioni esercitano una grande pressione su questi sistemi biologici, spesso soverchiando la capacità della natura di continuare a far fronte a lungo termine a queste richieste”. “Il deterioramento dei sistemi biologici non è un problema secondario che interessi soltanto agli ecologi. Il nostro sistema economico dipende dai sistemi biologici della Terra. Tutto ciò che minaccia la vitalità di questi sistemi biologici minaccia anche l’economia mondiale. Ogni deterioramento di questi sistemi rappresenta un deterioramento delle prospettive dell’umanità”. “La restaurazione di un rapporto stabile fra l’umanità e i sistemi naturali che sostengono la vita umana non potrà non preoccupare gli uomini poli-
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tici nei prossimi anni e nei prossimi decenni. Gli adattamenti che dobbiamo oggi introdurre nei modelli di consumo, nella politica demografica e nel sistema economico, se vogliamo preservare i sostegni biologici dell’economia mondiale, sono profondi; essi rappresentano una sfida molto impegnativa sia per l’intelligenza dell’uomo sia per la sua capacità di modificare il proprio comportamento”. Il libro espone quindi la situazione dei problemi derivanti dalla crescita demografica, dallo sfruttamento energetico, dalla situazione alimentare, da quella economica, dalla distribuzione della ricchezza fra le società e dalla distribuzione della ricchezza all’interno delle società, per poi dedicarsi alle proposte relative alla necessità di adattamento tra le dimensioni e i bisogni della popolazione umana e lo stato delle risorse del pianeta, agli elementi fondamentali di tale adattamento e ai mezzi per concretizzarlo. Scrive Brown: “Il bisogno di adattare la vita umana simultaneamente alla capacità di rigenerazione dei sistemi biologici della Terra e ai limiti delle risorse rinnovabili richiederà una nuova etica sociale. L’essenza di questa nuova etica è l’adeguamento: l’adeguamento del numero e delle aspirazioni degli esseri umani alle risorse e alle capacità della Terra. Questa nuova etica deve soprattutto arrestare il deterioramento del rapporto dell’uomo con la natura. Se la civiltà, quale la conosciamo oggi, deve sopravvivere, quest’etica dell’adeguamento deve sostituire la dominante etica della crescita”. “La soluzione che daremo al problema di arrestare il deterioramento del rapporto fra la popolazione umana, che oggi conta già quattro miliardi di individui, e i sistemi e le risorse naturali della Terra, inciderà su ciò che mangeremo, su quanto pagheremo la casa e su quanti figli potremo avere. Alcuni considereranno i mutamenti che ci attendono con allarme, o anche in termini apocalittici. Altri, fra i quali si schiera l’autore, ritengono che i problemi delineati in questo libro siano solubili, ma che per risolverli in modo soddisfacente sarà necessaria una dose eccezionale di volontà politica e di intelligenza”. L’etica dell’adattamento costituisce proprio uno degli elementi centrali del concetto di sostenibilità del nostro sviluppo. Un concetto che si è andato evolvendo in questi ultimi tre decenni, producendo una straordinaria e affascinante elaborazione transdisciplinare che, di fatto, sta portando a una vera e propria Sustainability Science, una scienza della sostenibilità (si veda, tra gli altri, Kates, et al., 2001; AA.VV., 2003; Bologna, 2003 e 2008). Nel 2001 Lester Brown – che nel frattempo ha lasciato il Worldwatch Institute, alla cui presidenza è succeduto il suo “allievo” Christopher Flavin – ha fondato l’Earth Policy Institute, un istituto di analisi transdisciplinare che ha l’obiettivo precipuo di dimostrare la praticabilità imme-
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diata di una vera e propria eco-economia (come viene analizzata e proposta da anni da molti studiosi che nel 1987 hanno dato vita all’International Society of Ecological Economics). L’istituto in questi primissimi anni di vita ha già pubblicato tre volumi, tutti scritti da Lester Brown e tutti fortunatamente tradotti in italiano. Il primo intitolato Eco-economy, il secondo Bilancio Terra e il terzo, che qui viene proposto nella sua nuova, aggiornata e fortemente ampliata terza edizione (dopo che Edizioni Ambiente aveva pubblicato già la prima), Piano B. Il Piano B di cui parla Brown in questo volume vuole essere la traccia di un vero e proprio piano alternativo, che dovrebbe essere varato al più presto, per avviare una concreta inversione dell’attuale rapporto negativo esistente tra i sistemi naturali e la specie umana e realizzarne uno nuovo, certamente più positivo e armonico. La cultura scientifica e transdisciplinare della sostenibilità sta facendo progressi ragguardevoli, come ci dimostra la stessa opera portata avanti da centri come il Worldwatch e l’Earth Policy Institute. E non può non colpire la constatazione del gap macroscopico che ancora separa questi progressi e l’inadeguata, quando non del tutto assente, risposta politica. La teoria e la prassi della sostenibilità hanno oggi al loro arco molte frecce, la cui praticabilità è dimostrata da tanti esempi concreti. La conoscenza scientifica che si sta accumulando sul funzionamento dei sistemi naturali, e sul ruolo dell’intervento umano esercitato su di essi, in seno alla comunità scientifica ha consentito di raggiungere una convergenza su alcune importanti conclusioni. Non a caso in occasione della prima Open Science Conference intitolata Challenges for a Changing Earth, organizzata dai grandi programmi internazionali di ricerca sul cambiamento globale nel luglio 2001, da allora riunitisi nell’Earth System Science Partnership (www.essp.org) per lavorare in maniera maggiormente sinergica, hanno sottoscritto una dichiarazione comune che, tra l’altro, afferma: “I cambiamenti indotti dalle attività umane nel suolo, negli oceani, nell’atmosfera, nel ciclo idrologico e nei cicli biogeochimici dei principali elementi, oltre ai cambiamenti della biodiversità, sono oggi chiaramente identificabili rispetto alla variabilità naturale. Le attività umane sono perciò a tutti gli effetti comparabili, per intensità e scala spaziale di azione, alle grandi forze della natura. Molti di questi processi stanno aumentando di importanza e i cambiamenti globali sono già una realtà nel tempo presente. (...) I cambiamenti indotti dalle attività antropiche sono causa di molteplici effetti che si manifestano nel sistema Terra in modo molto complesso. Questi effetti interagiscono fra di loro e con altri cambiamenti a scala locale e regionale con andamenti multidimensionali difficili da interpretare e ancor più da predire. Per questo gli eventi inattesi abbondano. (...) Le attività antropiche
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hanno la capacità potenziale di fare transitare il sistema Terra verso stati che possono dimostrarsi irreversibili e non adatti a supportare la vita umana e quella delle altre specie viventi. La probabilità di un cambiamento inatteso nel funzionamento dell’ambiente terrestre non è ancora stata quantificata ma è tutt’altro che trascurabile. Per quanto riguarda alcuni importanti parametri ambientali, il sistema Terra si trova oggi ben al di là delle soglie prevedibili di variabilità naturale, per lo meno rispetto all’ultimo mezzo milione di anni. La natura di questi cambiamenti che hanno già luogo simultaneamente nel sistema Terra, la loro intensità e la velocità con cui si manifestano non hanno precedenti nella storia della Terra. Il pianeta sta in questo momento operando in uno stato senza precedenti confrontabili. (...) Il modo corrente di gestione del sistema Terra non è più un’opzione percorribile e deve essere al più presto sostituito con strategie di sviluppo sostenibile che possono preservare l’ambiente e, allo stesso tempo, perseguire obiettivi di sviluppo sociale ed economico” (si veda, tra gli altri, Alverson et al., 2002; Steffen et al., 2002). Il primo rapporto pubblicato dal grande programma internazionale del Millennium Ecosystem Assessment, patrocinato dalle Nazioni Unite (Millennium Ecosystem Assessment, 2003 e 2005; www.maweb.org), suggerisce che le stime di circa 3 miliardi in più di esseri umani, e un previsto quadruplicamento dell’economia mondiale entro il 2050, implicano un notevole incremento nella domanda e nel consumo di risorse fisiche e biologiche, così come di un incremento del nostro impatto sugli ecosistemi del mondo e una riduzione degli stessi servizi che essi forniscono al nostro benessere. Il benessere della nostra specie e i progressi verso uno sviluppo sostenibile – secondo il rapporto del Millennium Ecosystem Assessment – sono strettamente dipendenti dal miglioramento delle capacità di conservare e gestire gli ecosistemi del pianeta. Infatti, mentre cresce la nostra domanda e quindi la nostra pressione sui servizi che gli ecosistemi ci forniscono garantendo cibo e acqua, la nostra azione negativa su di essi diminuisce la loro capacità di soddisfare le esigenze umane. Politiche e azioni mirate per invertire il degrado degli ecosistemi possono conseguire risultati positivi, non soltanto su questi, ma anche sul nostro benessere. Sapere quando e come intervenire richiede conoscenze adeguate sullo stato di salute degli ecosistemi, sulle loro dinamiche naturali e sulla loro interazione con i sistemi sociali. La migliore informazione non garantisce automaticamente decisioni e azioni corrette, ma è senza dubbio un prerequisito per prendere decisioni migliori. Queste conclusioni non fanno che confermare quanto la scienza ambientale sta dicendo ormai da diversi decenni, e cioè che è indispensabile ridurre il nostro “peso” sulla Terra.
perché serve un piano b: verso la rivoluzione della sostenibilità
una nuova economia Per ottenere l’obiettivo di ridurre il nostro impatto sul pianeta abbiamo bisogno di una vera e propria rivoluzione del sistema economico e dei suoi assunti (Daly, 2001). Necessitiamo di un’economia capace di considerare la sua dipendenza dai sistemi naturali con tutto ciò che ne discende: una contabilità ambientale che integri quella economica, una valutazione economica dei servizi degli ecosistemi, meccanismi di politica economica che consentano di penalizzare le attività, le produzioni e i consumi che danneggiano l’ambiente e di favorire le attività e le produzioni che invece lo rispettano, scelte energetiche compatibili con le esigenze ambientali, una riduzione e un miglioramento di efficienza nei flussi di energia e materie prime nel sistema economico, e altro ancora. Su tutti questi fronti esistono ormai un’ampia letteratura e tante pratiche concrete. Un ambito nel quale si stanno affinando le ricerche riguarda l’interessante campo delle analisi dei flussi dei materiali, cioè la mobilitazione complessiva di risorse che viene effettuata da una determinata nazione e dal suo processo economico e produttivo. Questi studi dimostrano una volta di più l’estrema necessità di disporre di una contabilità ecologica da affiancare alla tradizionale contabilità economica, come base per le decisioni della politica. Il World Resources Institute ha pubblicato nel 1997 un interessante rapporto sul flusso dei materiali nell’economia statunitense, giapponese, tedesca e olandese, in collaborazione con il National Institute for Environmental Studies giapponese, il Wuppertal Institute tedesco e il Ministero per l’Ambiente e la pianificazione olandese (Adriaanse et al., 1997). Nel 2000 il World Resources Institute ha reso noto un altro studio (Matthews et al., 2000), relativo alle medesime quattro nazioni cui si è aggiunta l’Austria, grazie al contributo dell’Institute for Interdisciplinary Studies of Austrian Universities. La ricerca ricorda che, attualmente, i paesi misurano la loro crescita e performance economica attraverso il sistema della contabilità nazionale, che non prevede la misura delle “transazioni” fisiche nell’economia. I politici e i decisori hanno quindi una scarsa idea della richiesta di materie prime delle moderne economie, e dispongono di pochi indicatori in grado di segnalare lo stato di salute delle risorse e dei sistemi naturali. Con l’eccezione degli indicatori di efficienza energetica, poca attenzione viene riservata alle relazioni esistenti tra la richiesta di materie prime e l’output economico. Esaminando i flussi di materiali in Austria, Germania, Giappone, Paesi Bassi e Stati Uniti, lo studio dei cinque istituti di ricerca sviluppa un primo importante modello di contabilità del ciclo dei materiali attraverso il
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processo di estrazione, lavorazione, utilizzo e produzione di rifiuti. In queste economie industriali una quota compresa fra la metà e i tre quarti dell’input annuale di risorse è restituita all’ambiente sotto forma di rifiuti entro l’anno. L’output di materiali che tornano all’ambiente nei cinque paesi dello studio va dalle 11 tonnellate metriche pro capite annue in Giappone, alle 25 tonnellate pro capite annue negli Stati Uniti. Se a questi flussi si aggiungono i cosiddetti hidden flows (i flussi nascosti, quelli che normalmente non sono mai calcolati, come l’erosione del suolo, la mobilitazione di suolo per attività minerarie, la terra movimentata per costruire ecc.), il totale dell’output di materiali passa dalle 21 tonnellate metriche pro capite annue del Giappone alle 86 degli Stati Uniti. Dai dati raccolti si evidenzia un disaccoppiamento tra la crescita economica e il flusso complessivo di risorse (resource throughput) pro capite e per unità di prodotto interno lordo, ma l’uso globale di risorse e la produzione di rifiuti nell’ambiente complessivamente continuano a crescere. Gli autori concordano nel riconoscere che le analisi dei flussi fisici di materie prime sono di grande utilità e vanno assolutamente tenute in considerazione nelle decisioni politiche. Inoltre è fondamentale migliorare il quadro di conoscenze complessive che diano sempre più conto ai decision maker della necessità di agire per modificare questa situazione non positiva. Oggi queste ricerche sono andate molto avanti proprio perché è sempre più evidente che un prerequisito per avviare percorsi di sostenibilità dei nostri sistemi sociali è costituito dalla riduzione del flusso del metabolismo sociale. Le ricerche degli ultimi anni offrono una notevole quantità di dati per comprendere meglio questo flusso. Nell’ambito di un vasto progetto di ricerca realizzato dall’Unione Europea e definito MOSUS (Modelling opportunities and limits for restructuring Europe towards sustainability) si è provveduto a realizzare il primo assessment mondiale dell’utilizzo delle risorse. I dati dell’estrazione delle risorse, disaggregate per più di 200 categorie di materiali, sono stati compilati per 188 paesi con delle serie di dati dal 1980 al 2002. L’estrazione globale di risorse dagli ecosistemi del pianeta risulta, secondo queste ricerche, cresciuta dai 40 miliardi di tonnellate del 1980 ai 55 miliardi di tonnellate nel 2002 (www.materialflows.net). Rispetto al 1980 oggi si richiede il 25% in meno di risorse naturali per produrre un’unità di valore economico, ma questo guadagno in efficienza è stato sorpassato dal fatto che dal 1980 al 2002 la crescita dell’economia globale è stata dell’82%. Si prevede che il flusso di risorse, se i livelli di consumo continueranno a crescere e se non avranno luogo interventi politici per far declinare questo trend, raggiungerà nel 2020 80 miliardi di tonnellate (Giljum et al., 2007).
perché serve un piano b: verso la rivoluzione della sostenibilità
Dunque gli strumenti conoscitivi e operativi a disposizione della politica cominciano a essere ingenti, e la politica non ha più scuse per non agire. Come affermano Donella e Dennis Meadows e Jorgen Randers nel loro bellissimo volume I nuovi limiti dello sviluppo ponendosi il tema delle transizioni verso un sistema sostenibile: “Ma in che modo, concretamente, ognuno di noi può affrontare questi problemi? In che modo nel mondo può evolversi un sistema capace di risolverli? Vi è qui lo spazio per la creatività e la capacità di scelta. Le generazioni viventi a cavallo del XXI secolo sono chiamate non solo a riportare la loro impronta ecologica al di sotto dei limiti della Terra, ma, insieme, a ristrutturare il proprio mondo, interno ed esterno. Questo processo toccherà ogni ambito della vita e farà appello a ogni sorta di talento umano. Richiederà innovazioni tecniche e imprenditoriali, così come invenzioni a livello comunitario, sociale, politico, artistico e spirituale (...). Il passaggio dal mondo industriale allo stadio successivo della sua evoluzione non è una sciagura, ma una meravigliosa opportunità. Come cogliere questa opportunità, come costruire un mondo che sia non solo sostenibile, efficiente e giusto, ma anche profondamente desiderabile, è qualcosa che riguarda la capacità di guida, l’etica, l’immaginazione e il coraggio: tutte qualità che non appartengono ai modelli per calcolatore, ma al cuore e allo spirito umani”. Questo libro di Lester Brown è un’ennesima dimostrazione di quanto sia possibile cambiare rotta, purché lo si voglia. Un’opera sempre più ampia e approfondita di alfabetizzazione su questi problemi è fondamentale, e tutti sono chiamati a essere protagonisti, e non semplici spettatori. Gianfranco Bologna
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a cena con lester
Conobbi Lester a Washington. Accompagnavo Renzo Piano alla Casa Bianca per ritirare l’Oscar mondiale dell’architettura (Pritzker Prize). La cerimonia era organizzata da Bill Clinton in persona. Invitai Lester a cena. Lester è un brillante scienziato e le sue pubblicazioni sono tradotte in varie lingue e studiate nelle università americane ed europee. Quando entrai con Renzo nel ristorante trovai un uomo in sandali, con i calzini corti, lo zaino sulle spalle e la barba lunga. Pensammo che ci volesse vendere qualche spinello. Lui sorrise e si presentò. Rimanemmo affascinati nel sentirlo parlare dei suoi progetti e delle sue teorie sull’ambiente. Renzo traduceva, dissi a Lester che avevo tutte le sue pubblicazioni e che usavo i risultati delle sue ricerche nei miei spettacoli. Fu una bellissima serata. Le sue idee sull’ambiente e sul futuro dell’energia, riportate in questo nuovo saggio, sono ormai la base del nuovo modo di concepire l’economia, la politica, la finanza. Nel libro c’è tutto ciò che dovremmo insegnare ai nostri figli. Può essere che siamo pazzi nel credere che le cose cambino, nello sperare in una società basata sulla decrescita felice. Senza falsi PIL, ma con aria pulita, salute, istruzione, felicità. Eppure qualcosa si sta muovendo: piccoli segnali dal basso, democrazia partecipativa attraverso la rete, comuni virtuosi a 5 stelle, cittadini informati. Dobbiamo riappropriarci della nostra vita, del territorio, delle regioni, della politica della quotidianità. Cominciare a mettere in atto tutto quello che Lester scrive da anni su energia-acqua-fiscalità-sovvenzioni-trasporti. Principi di buon senso elevati a genialità. Questo libro non sarebbe uscito in Italia senza la curiosità e la voglia di una corretta informazione, che ha spinto Dario Tamburrano e un gruppo di volontari del Meetup di Roma a tradurlo gratuitamente in italiano per metterlo a disposizione della collettività. Un grazie di cuore quindi da tutta la tribù Grillo (sei figli). Un ringraziamento a Lester e ai suoi orrendi calzini corti. Alla catastrofe, ma con ottimismo. Beppe Grillo
prefazione
Quando Elizabeth Kolbert intervistò l’analista energetico Amory Lovins, per scrivere un articolo su di lui sul New Yorker, gli fece una domanda su cosa significasse pensare al di fuori degli schemi. Lovins rispose: “Non ci sono schemi”. Non ci sono schemi. Questo è lo spirito di Piano B. Forse la differenza più significativa fra il Piano B 2.0 e il Piano B 3.0 è la modifica del sottotitolo “Una strategia di pronto soccorso per la Terra” nel più semplice “Mobilitarsi per salvare la civiltà”. Quello nuovo meglio rispecchia la dimensione della sfida che abbiamo di fronte e la rapidità di cui abbiamo bisogno per riuscire a fronteggiarla. È il mondo che sta cambiando velocemente. Quando il Piano B 2.0 fu pubblicato, due anni fa, i dati sulla fusione dei ghiacci polari erano preoccupanti. Ora sono terrificanti. Due anni fa sapevamo che esistevano un certo numero di stati sull’orlo della bancarotta. Ora sappiamo che quel numero sta aumentando di anno in anno. Gli stati che falliscono sono il segno di una civiltà allo sbando. Due anni fa cominciava a essere evidente che il potenziale dell’espansione della produzione petrolifera era di molto inferiore alle stime ufficiali. Ora sappiamo che il picco del petrolio potrebbe essere alle porte. Due anni fa il petrolio costava 50 dollari al barile. Alla fine del 2007, mentre stavamo ultimando questo libro, aveva superato i 90 dollari. Nel Piano B 2.0, ipotizzavamo che continuando a costruire distillerie di etanolo per trasformare i cereali in combustibile per le auto, il loro prezzo sarebbe balzato fino a raggiungere l’equivalente del prezzo del petrolio. Ora che gli Stati Uniti hanno sufficienti distillerie per convertire un quinto del loro raccolto di cereali in combustibile per automobili, sta succedendo esattamente questo. I prezzi del mais sono quasi raddoppiati, i prezzi del grano sono più che raddoppiati. Due anni fa avevamo riportato che in cinque degli ultimi sei anni, la produzione mondiale di cereali era stata insufficiente a soddisfare i consumi. Oggi constatiamo che questo è avvenuto in sette degli ultimi otto anni e le riserve mondiali di cereali stanno raggiungendo i minimi storici. Poiché il carico dei problemi irrisolti aumenta, compresa la costante e
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rapida crescita della popolazione, l’estensione delle aree con carenza idrica, la deforestazione, l’erosione del suolo e la desertificazione, i governi più deboli crollano sotto questo peso crescente. Se non riusciremo a invertire questi fenomeni, non potremo più fermare la moltiplicazione di stati fallimentari. Alcune delle tendenze emergenti più recenti – come il declino della produzione mondiale del petrolio, le conseguenze del riscaldamento globale e l’aumento dei prezzi dei generi alimentari – potrebbero spingere a un punto di rottura anche gli stati più ricchi. Sul fronte economico, la Cina ha superato gli Stati Uniti nel consumo di risorse primarie. Attorno al 2030, quando secondo le proiezioni il reddito medio della sua popolazione raggiungerà quello attuale degli Stati Uniti, la Cina consumerà il doppio della quantità di carta prodotta attualmente nel mondo. Se nel 2030 1,46 miliardi di abitanti avranno tre auto ogni quattro persone, nello stile americano, in Cina ci saranno 1,1 miliardi di auto che consumeranno 98 milioni di barili di petrolio al giorno, una quantità molto al di sopra dell’attuale produzione mondiale. Il modello economico occidentale – basato sui combustibili fossili, centrato sull’automobile e sull’usa e getta – non potrà funzionare per la Cina. Se non funziona per la Cina, non funzionerà per l’India e altri 3 miliardi di persone dei paesi in via di sviluppo che stanno anch’essi inseguendo il “sogno americano”. In un’economia mondiale sempre più integrata, nella quale tutti dipendiamo dallo stesso grano, petrolio, acciaio, questo modello non funzionerà neanche per i paesi industrializzati. La nostra sfida generazionale consiste nel costruire una nuova economia, prevalentemente alimentata da fonti energetiche rinnovabili, con un sistema di trasporti estremamente differenziato e che riusi e ricicli tutto. Ed è necessario farlo a una velocità senza precedenti. Perpetuare il sistema economico attuale, che sta distruggendo i propri ecosistemi di supporto e spianando la via a pericolosi cambiamenti climatici non è più un’opzione percorribile. È giunta l’ora del Piano B. Ci sono quattro obiettivi prioritari nel Piano B 3.0: stabilizzare il clima, stabilizzare la popolazione, estirpare la povertà e ripristinare gli ecosistemi terrestri. Al centro dei meccanismi di stabilizzazione del clima vi è un piano dettagliato per ridurre le emissioni di anidride carbonica dell’80% entro il 2020 al fine di ridurre ai minimi termini l’innalzamento della temperatura globale. L’iniziativa sul clima ha tre componenti: aumentare l’efficienza energetica, sviluppare le fonti rinnovabili di energia ed espandere la copertura forestale terrestre mettendo al bando la deforestazione e piantando nello stesso tempo milioni di alberi per sequestrare la CO2.
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Siamo in gara fra i disastri naturali incombenti e i nostri sistemi politici. Possiamo disattivare le centrali a carbone prima che lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia divenga irreversibile? Possiamo convogliare la volontà politica per porre fine alla deforestazione dell’Amazzonia prima che la sua vulnerabilità agli incendi raggiunga il punto di non ritorno? Possiamo aiutare gli stati a stabilizzare la popolazione prima che vadano in rovina? Gli Stati Uniti sembrano avvicinarsi a un punto di svolta politica a mano a mano che si consolida l’opposizione alla costruzione di nuove centrali a carbone. Una campagna nazionale diffusasi velocemente ha portato diversi stati, inclusa la California, il Texas, la Florida, il Kansas e il Minnesota, a rifiutare i permessi di costruzione o quanto meno a introdurre delle restrizioni. Con un movimento come questo in crescita, potrebbe essere solo una questione di tempo vederlo espandersi e pretendere anche la dismissione delle attuali centrali. La domanda è: accadrà in tempo per evitare pericolosi cambiamenti climatici? Nel Piano B 2.0 parlavamo dell’enorme potenzialità delle fonti energetiche rinnovabili, specialmente dell’energia eolica. Da allora abbiamo visto proposte di progetti per generare elettricità da fonti come questa in una scala mai vista per le centrali basate su fonti fossili. Per esempio lo stato del Texas sta coordinando un vasto progetto di espansione di generatori eolici che saranno in grado di raccogliere fino a 23.000 megawatt di energia elettrica di nuova produzione, una quantità pari a quella prodotta da 23 centrali a carbone. Due anni fa, il concetto di automobili ibride plug-in con motore a benzina ed elettrico era poco più di un’idea. Oggi cinque produttori leader di automobili si stanno orientando verso il mercato delle ibride, con i primi modelli di auto a plug-in previsti per il 2010. Disponiamo delle tecnologie per ristrutturare l’economia energetica mondiale e per stabilizzare il clima. La sfida ora è costruire la volontà politica di attuarle. Salvare la civiltà non è uno sport da spettatori. Ciascuno di noi ha un suo ruolo chiave da giocare. Quando, quattro anni fa, abbiamo pubblicato il Piano B nella sua versione originale, abbiamo notato che 600 persone ordinarono una copia del libro e poi ne ordinarono nuovamente altre 5, 10, 20, 50 per distribuirle agli amici, colleghi e a leader politici o opinionisti. Con il Piano B 2.0 è balzato a 1.500 il numero di persone e associazioni che hanno ordinato e distribuito grossi quantitativi di copie. Noi chiamiamo questi distributori la nostra squadra del Piano B. Ted Turner, che ha distribuito circa 3.600 copie a capi di stato, ministri, ai 500 della lista di Fortune, al Congresso e a 672 miliardari di tutto il mondo, è stato designato capitano della squadra del Piano B.
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Per concludere, non c’è nulla di sacro nel Piano B. È il nostro più grande sforzo per progettare un’alternativa all’attuale economia, alternativa che speriamo possa aiutare a salvare la nostra civiltà. Se qualcuno ha un piano migliore, lo accoglieremo. Il mondo ha bisogno del miglior piano possibile. Lester R. Brown ottobre 2007 Earth Policy Institute 1350 Connecticut Ave. NW Suite 403 Washington, DC 20036 Tel: (202) 496-9290 Fax: (202) 496-9325 E-mail: epi@earthpolicy.org Web: www.earthpolicy.org