Corporation 2020

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corporation 2020

trasformare le imprese per il mondo di domani



Pavan Sukhdev

Corporation 2020 Trasformare le imprese per il mondo di domani

QUESTO VOLUME È RACCOMANDATO DA WWF ITALIA­


Pavan Sukhdev corporation 2020 trasformare le imprese per il mondo di domani realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it

Copyright © 2012 by Pavan Sukhdev Published by arrangement with Island Press traduzione:  Laura Coppo, Toni Federico coordinamento redazionale:  Diego Tavazzi progetto grafico:  GrafCo3 Milano impaginazione:  Roberto Gurdo

© 2015, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore ISBN 978-88-6627-107-9 Finito di stampare nel mese di maggio 2015 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato in Italia – Printed in Italy i siti di edizioni ambiente

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sommario

presentazione di Edo Ronchi

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le corporation nel periodo dell’antropocene di Gianfranco Bologna

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prefazioni di Nicholas Stern e di Jochen Zeitz

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introduzione

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1. la storia giuridica delle corporation

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2. il grande allineamento: 1945-2000

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3. corporation 1920

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4. attraverso lo specchio delle esternalità delle aziende

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5. incorporare le esternalità

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6. pubblicità responsabile

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7. limitare la leva finanziaria

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8. tassare le risorse

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9. corporation 2020

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10. il mondo di corporation 2020

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note

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ringraziamenti

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Agli studenti che guideranno le aziende di domani. Questo è il vostro libro, fate che accada.



presentazione

Pavan Sukhdev, nato a New Delhi, ha studiato all’università di Oxford ed è stato – per 14 anni, dal 1994 – un manager della Deutsche Bank, dove ha fondato e diretto anche un progetto di contabilità verde in India (Gist). Pavan Sukhdev ha inoltre guidato il progetto Teeb (The Economics of Ecosystems and Biodiversity) – lanciato dalla Germania e dalla Commissione europea su proposta dei ministri dell’ambiente del G8+5 a Potsdam, in Germania nel 2007 – per lo studio dell’impatto economico della perdita di biodiversità. Come consigliere speciale dell’Unep ha coordinato le iniziative in materia di green economy ed è l’autore principale di Towards a Green economy, il rapporto dell’Unep sulla green economy del 2008. Da questi lavori Pavan Sukhdev deriva la sua conoscenza del cambiamento ormai necessario verso un nuovo modello di business proiettato verso il futuro: verso una green economy che, superando il vecchio modello ancora largamente prevalente, quello della brown economy, sia in grado di produrre un benessere migliore e più equamente diffuso, conservando il capitale naturale e i servizi ecosistemici. Senza dimenticare la sua conoscenza del mondo delle imprese maturata grazie alla sua esperienza professionale e anche con la partecipazione al progetto – avviato dal 2004 da Allen White e Marjorie Kelly del Tellus Insitute di Boston – di Corporation 20/20: un’iniziativa internazionale, multi-stakeholder, che sviluppa e diffonde una vision per le imprese del XXI secolo che si basa su alcuni semplici principi: scopo dell’impresa è quello di sfruttare gli interessi privati per servire l’interesse pubblico; le imprese devono maturare ritorni per gli azionisti, ma non a scapito dei legittimi interessi degli altri stakeholder; devono funzionare in modo sostenibile, soddisfacendo le esigenze della generazione presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le loro; devono distribuire equamente la ricchezza tra coloro che contribuiscono alla sua creazione; devono essere regolate in modo partecipativo, trasparente, etico e responsabile e non devono violare né i diritti delle persone né altri diritti umani univer-


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sali. Ritroviamo questa vision anche in questo lavoro di Sukhdev che ci spiega che è arrivato a scrivere Corporation 2020, oltre che per la spinta di un collaboratore – Sanjeev Sanyal, economista della Deutsche Bank – perché è convinto che le prospettive delineate nei lavori precedenti sarebbero rimaste solo aspirazioni o libri per “abbellire gli scaffali di qualche libreria” se “l’attore principale dell’economia di oggi, la corporation” non fosse stata coinvolta nella loro realizzazione. Scriverà questo libro grazie a un incarico all’Università di Yale per un sostegno a una tesi di laurea in materia, nel 2011, ma non sfugge che il lavoro è fatto anche per essere presentato al Summit di Rio+20 del 2012 che si propone proprio di rafforzare l’implementazione e la praticabilità dei principi e dell’Agenda 21 della conferenza di Rio del 1992 per lo sviluppo sostenibile. Nelle ormai decennali riflessioni e ricerche in materia di sviluppo sostenibile e in quelle, più recenti, sulla green economy, non sono mancati cenni, spunti, coinvolgimenti anche del mondo industriale. Corporation 2020 fa di più, assegna al “sistema industriale” – quale “principale esecutore economico dell’umanità” – sia la principale responsabilità dell’insostenibilità del nostro modello economico, sia quella del suo cambiamento verso una green economy. Riconoscendo un dato di fatto, noto, ma anche questo non sempre tenuto in debito conto nell’elaborazione della sostenibilità su scala globale: il peso, nel sistema industriale globalizzato del nostro mondo attuale, delle grandi imprese multinazionali con bilanci superiori ai 25 miliardi di dollari, cresciute da circa 210 nel 2000 a oltre 330 nel 2010. La prima parte di Corporation 2020 è dedicata all’analisi storica delle modalità di affermazione del modello Corporation 1920: il modello tradizionale di grande impresa multinazionale che si è affermato e che domina la scena mondiale della brown economy, l’economia insostenibile. Questo modello si è affermato con grande successo, proprio in America nei primi decenni dell’Ottocento, a partire dall’affermazione di un’identità indipendente, stabilita per legge e che attribuiva alle corporation una “personalità giuridica” – di libera impresa – che garantiva piena libertà di agire nel tempo, nello spazio e nella tipologia di attività, riconoscendo come unica e legittima finalità quella di generare profitto per gli azionisti, senza alcun obbligo di utilità e/o di responsabilità sociale. Dopo la Seconda guerra mondiale – continua Sukhdev – ondate simultanee di deregulation e di innovazione, sia del commercio mondiale sia nel mercato dei capitali, hanno prodotto il successo e l’affermazione delle multi-miliardarie e multinazionali corporation che dominano le nostre economie e permeano le nostre società. L’affermazione del modello Corporation 1920 è stato accompagnato da quattro caratteristiche: la ricerca spasmodica della crescita, della grande dimensione come misura del successo; il crescente indebitamento come leva di espansione; l’abnorme spesa per la pubblicità che punta a


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moltiplicare bisogni e consumi; una forte spesa per il sistema lobbystico, capace di influire sui governi, sui controllori e sui legislatori e di “inclinare a proprio favore il campo da gioco”. Questo modello ha creato non poche distorsioni. Anche se queste aziende sono troppo grandi per fallire, sono in grado di scaricare sulla società gli enormi costi delle crisi finanziarie originate dal loro indebitamento, e di creare forti difficoltà di accesso al credito alle piccole e medie aziende. La pubblicità martellante impone il consumismo, peggiora la qualità del benessere e ostacola l’affermazione di beni e servizi di migliore qualità. L’azione lobbystica ha creato vere e proprie distorsioni normative, sussidi perversi, fiscalità di favore che hanno contribuito non poco alle inefficienze economiche e della spesa pubblica. Ma forse i danni e le minacce maggiori del modello Corporation 1920 sono quelle ambientali, perché questo modello ha generato impatti e rischi rilevanti, mantenendoli però come esternalità, ossia non attribuendo e non pagando per le risorse naturali – prelevate o danneggiate – un prezzo in grado di riflettere il loro reale valore per la società. Resterà nella storia, come esempio negativo, la campagna lobbystica, finanziata dalle multinazionali del petrolio e del carbone, tesa a negare le cause antropiche del cambiamento climatico e a screditare il Protocollo di Kyoto, contribuendo non poco alla sua mancata applicazione negli Stati Uniti e al forte aumento delle emissioni mondiali di gas di serra (+30% dal 1990) che sono la causa principale del drammatico aggravamento della crisi climatica. Scrive Sukhdev che alcune industrie producono un valore aggiunto inferiore ai danni che producono alla società proprio perché “i costi di questi danni non sono calcolati in modo appropriato, per l’assenza o l’incompletezza di un mercato dei beni e dei servizi ambientali”. La proposta centrale di Corporation 2020 diventa quindi quella di “incorporare le esternalità”: semplice da dire, ma molto complicato da fare. Consapevole di ciò, Sukhdev avanza una serie, molto dettagliata, di indicazioni. Intanto è bene far conoscere i buoni esempi, i casi di successo – prodotti da attività di denuncia di associazioni di cittadini o dalla diretta iniziativa di alcune imprese – che dimostrano come sia possibile internalizzare i costi ambientali nei processi produttivi e nei prodotti e realizzare buoni risultati economici. Ma perché queste iniziative positive incontrano una così grande difficoltà a diffondersi? Per una serie di ragioni. Intanto perché molti manager misurano solo ciò che sanno misurare e non ricorrono ad audit e reporting in grado di misurare e valutare le esternalità. Poi perché non è così semplice acquisire la capacità di integrare le esternalità nella vision e nella concreta contabilità e gestione dell’impresa. Richiede la capacità di praticare una strategia che non si basi solo sui vantaggi a breve termine e che sappia includere e valorizzare anche le esternalità positive (la riduzione dei rischi, il miglioramento del posizionamento per gli stakeholder, i potenziali di espansione di nuovi mercati ecc.). Ma ol-

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tre che sui comportamenti dei manager, Sukhdev pone l’accento su una serie di “condizioni abilitanti”, necessarie per lo sviluppo delle imprese della green economy. Fra queste attribuisce grande peso a una regolamentazione del reporting delle imprese che consenta di conoscere le esternalità e obblighi a una pubblicità responsabile, in modo da accrescere il ruolo dei consumatori, rendendoli protagonisti più attivi e affermando il loro diritto a un’informazione più precisa e completa sulla durata dei prodotti, sulla loro origine, sulle modalità di smaltimento del rifiuto che producono. Una seconda riforma dovrebbe riguardare il controllo e il quadro di gestione dell’indebitamento delle grandi multinazionali, eliminando altresì i sussidi perversi come la deducibilità fiscale degli interessi che incoraggia il ricorso al debito. La terza condizione abilitante dovrebbe riguardare una riforma fiscale – tassando i mali e non i beni – cominciando col tassare di più e meglio le risorse (carbone, petrolio e altri minerali) per sviluppare usi più efficienti e generare nuove entrate per ridurre la pressione fiscale (per esempio sul lavoro o per migliorare e meglio indirizzare la spesa e gli investimenti pubblici). Ma poiché i campi della green economy sono abbondantemente seminati di buone intenzioni e ritenuti già molto produttivi con una sopravvalutazione dei raccolti di risultati, mi pare importante ribadire e sottolineare una affermazione di Sukhdev: “Non sta ancora accadendo. [...] “È probabile che chi spera in questi cambiamenti endogeni (cioè nell’idea che le imprese possano e debbano guidare la sostenibilità ‘dal di dentro’ perché è nel loro interesse farlo) sia un po’ troppo ottimista. La realtà è che, nonostante queste correlazioni tra sostenibilità e successo aziendale, il cambiamento endogeno potrebbe non essere sufficiente. [...] La maggior parte delle aziende sta ancora promuovendo e alimentando una brown economy”. Per riallineare le imprese con il modello Corporation 2020, Sukhdev propone quattro linee principali. • Gli obiettivi dell’impresa devono allinearsi con quelli della società, non prescinderne, devono quindi comprendere la finalità di produrre benessere, l’equità, l’armonia sociale, e devono ridurre le scarsità ecologiche e i rischi ambientali. • Le imprese devono puntare a generare ricchezza reale. Le attività industriali e commerciali devono migliorare non solo il capitale finanziario, ma anche quello umano e naturale e, in cambio del mutato atteggiamento, dovrebbero ottenere vantaggi fiscali, maggior impegno dei collaboratori e maggiore fiducia dei territori e dei consumatori. • Le imprese devono diventare una comunità dei nostri giorni, unite da valori, missione, obiettivi e governance condivisi, e dovrebbero ricreare quel senso di appartenenza che è stato perduto per effetto della modernizzazione e della globalizzazione.


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• Le imprese devono essere anche una scuola di formazione e fare in modo che i propri collaboratori a tutti i livelli crescano come cittadini “capacitati” non solo per il loro mestiere, ma per svolgere un ruolo sociale responsabile. Sukhdev è consapevole che “ci troviamo nel bel mezzo di una ripresa incerta dalla più grande crisi finanziaria ed economica della storia” anche se questa crisi non sembra produrre una sostanziale messa in discussione del modello sbagliato della brown economy e quello corrispondente – che tanti guasti ha prodotto – delle Corporation 1920. La ricetta di Sukhdev per superare questo stallo e muoversi verso il modello Corporation 2020 è molto chiara: rendicontazione (con trasparenza, misurazione e divulgazione); un ruolo centrale per la fiscalità ecologica (anche con un riorientamento degli investimenti dei governi e degli appalti pubblici); nuove norme in grado di regolare i diritti di proprietà (con strumenti di comando e controllo e standard obbligatori per tutelare i beni comuni, per limitare il consumo di capitale naturale e mantenere i servizi ecosistemici). Tutto ciò è finalizzato a rendere la transizione dall’economia brown a quella green una grande opportunità economica. Questa riflessione di Sukhdev sollecita un bilancio sul sistema normativo europeo che regola il sistema industriale ai fini della tutela ambientale e della sostenibilità. Molte delle questioni relative agli impatti delle attività delle imprese, sollevate da Sukhdev, sono affrontate dal complesso e ampio sistema normativo europeo vigente: con i sistemi di certificazione Emas di organizzazione ed Ecolabel di prodotto e con consolidati sistemi di reporting; con le Via (Valutazioni di impatto ambientale) dei progetti di impianti o modifiche significative e con la Vas (Valutazioni ambientali strategiche) di piani e programmi; con l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) che obbliga le imprese ad adottare non solo gli standard vigenti ma le Bat (Best Available Tecniques, migliori tecnologie disponibili), oltre agli obblighi di prevenzione e ripristino dei danni ambientali fino alle norme che puntano a limitare e prevenire ogni forma di inquinamento di origine industriale, a prevenire i rischi di incidenti rilevanti e quelli derivanti da sostanze chimiche, fino alla più recente adozione del principio di responsabilità estesa dei produttori all’intero ciclo di vita dei loro prodotti. Il sistema europeo di regolazione del sistema industriale ha comunque generato e stimolato importanti cambiamenti. Non è esente da limiti: a volte risulta troppo complesso e, specie se le amministrazioni pubbliche non sono efficienti e se la qualità delle normative di applicazione è scarsa e inutilmente complicata, produce alti costi burocratici e tempi troppo lunghi delle decisioni. Ma non si può dire che non abbia prodotto cambiamenti e non stia portando molte imprese – certo non tutte, ma in numero ormai consistente – verso un modello green di business.

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A me pare che le proposte di Sukhdev possano comunque contribuire a migliorare la qualità green del sistema industriale europeo, anche se il suo modello di Corporation 2020 dovrebbe essere meglio confrontato con l’esperienza della vasta elaborazione normativa europea che ha affrontato non poche delle problematiche che lui solleva. Mi limito a citare l’utilità di questo confronto perché un suo esame, anche minimo, richiederebbe uno spazio che esula da questa sintetica presentazione. La seconda riflessione riguarda proprio il nodo della fiscalità ecologica, con un riferimento concreto: la trattativa internazionale in corso che dovrebbe concludersi alla fine del 2015 alla Conferenza di Parigi – per un nuovo accordo vincolante per la riduzione dei gas di serra, da realizzare entro il 2030. L’efficacia di questo accordo richiede non solo la fissazione di obiettivi, adeguati e consistenti, di riduzione globale delle emissioni di gas serra, ma anche l’adozione di strumenti in grado di realizzarli e che dovrebbero comprendere una qualche forma di fiscalità ecologica, necessaria per internalizzare i costi delle emissioni di gas serra. L’efficacia di questi strumenti dovrà fare i conti con una delle caratteristiche delle modalità operative delle imprese multinazionali: quella di spostare la produzione nei paesi che hanno minori costi del lavoro e minori tutele ambientali, e di trasferire le proprie sedi nei paesi che hanno regimi fiscali più favorevoli. Per limitare queste vie di fuga delle multinazionali si potrebbe applicare la responsabilità ambientale dei produttori alla vendita finale dei loro prodotti: per ogni prodotto dovrebbe essere indicata la CO2 emessa durante la sua produzione e, nel caso, che sarà emessa durante il suo uso. Per questa CO2 dovrebbe essere pagato un costo – una carbon tax – al momento della sua immissione nel mercato di vendita finale. Se la carbon tax fosse applicata al momento della produzione, infatti, i paesi, solitamente a basso prelievo fiscale e basso costo del lavoro dove le multinazionali realizzano la gran parte della loro produzione, potrebbero non applicarla, o applicarla al livello minimo, per attirare o mantenere investimenti e posti di lavoro. La carbon tax dovrebbe, invece, essere fissata a un livello adeguato e omogeneamente abbastanza esteso, per disincentivare in modo efficace i processi produttivi e il consumo di beni che comportano emissioni di gas serra e per incentivare una maggiore efficienza energetica e un maggior ricorso a fonti rinnovabili di energia. La carbon tax applicata al momento della vendita, sul consumo dei beni e dei carburanti, pagata quindi nei paesi consumatori, per la gran parte i paesi più ricchi, sarebbe meno eludibile e riguarderebbe anche la gran parte dei beni venduti dalle multinazionali. Gli stessi paesi che attirano gli investimenti delle multinazionali grazie a un minore costo del lavoro e a minori tasse sulle imprese, avrebbero inoltre meno resistenze ad applicare una tassa sulle emissioni di carbonio dei beni e dei


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carburanti consumati – anche su quelli che non sono prodotti nel paese stesso, ma sono importati – perché senza tale tassa rinuncerebbero a una fonte di entrate con scarse contropartite. Una importante verifica del ruolo del sistema industriale, e delle imprese multinazionali in particolare, si vedrà nei risultati della trattativa globale in corso per un nuovo accordo post-Kyoto per mitigare la crisi climatica. È questo il banco di prova decisivo di questa fase storica per capire se le imprese stanno muovendosi – e quali sono le proposte realmente efficaci per contribuire a muoverle – verso il modello Corporation 2020 e verso un’economia verde a bassissime emissioni di carbonio, oppure se resteranno sulla via della brown economy, anche se questa sta portando l’umanità verso una crisi climatica drammatica. Edo Ronchi

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prefazioni

I nostri oceani sono sovrasfruttati, la deforestazione continua a ritmo sostenuto, la biodiversità sta crollando e le concentrazioni di gas serra continuano ad aumentare. Le vite e i mezzi di sussistenza di molte persone nel mondo sono sempre più a rischio a causa dei danni che le nostre attività stanno arrecando agli ecosistemi e all’ambiente del pianeta. Cresce il rischio di superare dei tipping point. L’inazione è pericolosa: i pericoli sono in aumento per l’effetto combinato dell’accumulo dei gas a effetto serra e degli inquinanti a lunga persistenza. I più poveri sono, e saranno, colpiti per primi e più duramente. Ma saremo tutti coinvolti se continueremo a ignorare i fenomeni e a ritardare l’azione, anche per effetto degli esodi delle popolazioni e per la tensioni e i conflitti che ne deriveranno. Molti (o la maggior parte) dei nostri problemi derivano da fallimenti del mercato, da comportamenti irresponsabili e dalla prevalenza di visioni a breve termine. Possiamo risolvere questi problemi con una politica sana, collaborando e adottando un approccio più lungimirante. Possiamo farlo servendoci della tecnologia, dell’organizzazione e della politica. Questi strumenti si rafforzano a vicenda. E possono migliorare gli standard di vita materiale, in particolare per i poveri, possono darci inclusività ed equità sociali ed economiche, oltre a un ambiente più piacevole e ospitale. In altre parole, possono darci una maggiore sostenibilità economica, sociale e ambientale. In effetti, se non li consideriamo come un’unica cosa, ognuno di loro rischia di essere compromesso. Questo libro espone con forza e chiarezza queste tesi. E spiega quali sono le azioni e gli strumenti di cui abbiamo più bisogno. Gli strumenti sono progettati per affrontare i fallimenti del mercato. Corporation 2020 mostra come lo spirito imprenditoriale e la creatività delle aziende, degli individui e delle comunità possono essere usati per riparare i danni causati dalle distorsioni dei mercati e dai comportamenti irresponsabili, arrecando benefici alle aziende, agli individui, alle comunità e al mondo intero. Se non riusciremo a correggere le distorsio-


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ni più grossolane del mercato, riusciremo solo ad aggravarle ancor di più. Se lo faremo, creeremo un modo di produrre e consumare più efficace, forte e attraente: più sicuro, più pulito, più silenzioso, più ricco di biodiversità e più equo. Corporation 2020 sostiene che la Green Economy Initiative dell’Unep ha dimostrato che la costruzione di un’economia che promuove lo sviluppo economico e l’equità sociale, riducendo i rischi ambientali e la scarsità ecologica, non solo è possibile, ma è necessaria per la sostenibilità. Per troppo tempo abbiamo però parlato di cambi di direzione a livello “macro”, senza riconoscere che il cambiamento a livello di economia può avvenire solo a partire dal livello “micro, cioè da buone micro-politiche che possono affrontare la questione dei fallimenti del mercato. Questo ci conduce ai principali protagonisti dell’economia: le corporation. Come cambierà il loro comportamento? Come qualsiasi specie biologica, il loro “ambiente”, che comprende le istituzioni e le politiche dei prezzi, deve cambiare per permettere loro di evolversi. Ma servono anche discussioni più aperte, oltre a un maggior impegno sociale su ciò che funziona e ciò che è sostenibile. Corporation 2020 propone quattro principali modifiche a quelle che potrebbero essere chiamate le “condizioni abilitanti” per lo sviluppo di un tipo di società più responsabile. • Rivelare le esternalità: in modo da fornire a investitori e consumatori ulteriori informazioni, e per consentirgli di scegliere sulla base di criteri più ampi di quelli del prezzo sugli scaffali o del ritorno sugli investimenti. • La tassazione delle risorse: tassare i “mali” piuttosto che “i beni” (goods). • Una pubblicità responsabile: bisogna dare ai consumatori informazioni reali, e non solo annunci di vendita. • Limitare la leva finanziaria: questo vale in particolare per le aziende considerate too big to fail (“troppo grandi per fallire”), il cui indebitamento è essenzialmente un’esternalità negativa scaricata sulle spalle dei contribuenti. Il momento è critico. Non possiamo aspettare fino al 2050 o 2100 per migliorare le performance ambientali. La scienza ci dice che, se vogliamo conservare la speranza di costruire un’economia sostenibile, il business as usual deve essere rivoluzionato entro il prossimo decennio. Nel programmare l’azione tenere a mente alcuni punti. • I negoziati internazionali tendono a parlare genericamente e al livello “macro” di un paese. Per ottenere un vero cambiamento dobbiamo anche guardare al livello “micro”, cioè anche a quello delle aziende. • La concorrenza produce efficienza a patto che alle risorse venga dato il valore corretto. Il sistema attualmente dominante sottovaluta le forme non monetarie di ricchezza nonché il capitale pubblico in generale.


prefazioni

• Non dovremmo preoccuparci se le politiche Corporation 2020 “fanno male alla crescita”. Spesso crescita e sviluppo vengono confusi. Le azioni descritte sono essenziali se vogliamo innalzare gli standard di vita e se vogliamo superare la povertà. Naturalmente i metodi per misurare il progresso devono essere più ampi del Pil e della sua visione ristretta, come in effetti ha da tempo capito la maggior parte di quelli che pensano seriamente allo sviluppo e agli standard di vita. • Il settore privato, la società civile e i governi devono lavorare insieme per apportare modifiche significative al business as usual. Non ci sono “proiettili d’argento”, e nessuna istituzione è in grado di risolvere da sola i problemi complessi del mondo di oggi. Abbiamo gli strumenti per creare un mondo migliore, più giusto e più produttivo. Abbiamo davanti agli occhi la distruttività del percorso che abbiamo imboccato e conosciamo le sue cause. Corporation 2020 spiega cosa dobbiamo fare, e illustra con chiarezza il ruolo dei mercati e delle società. Non ci sono più scuse per non agire. Nicholas Stern, luglio 2012

Il lavoro sulla green economy dell’Unep mostra che una nuova economia verde e inclusiva è l’unico passo possibile in direzione di un mondo davvero sostenibile. Ma la green economy non può essere realizzata senza prima riflettere sui ruoli e le responsabilità dei soggetti coinvolti nella transizione. Modifiche a livello macro possono essere realizzate solo con uno sforzo comune di molti soggetti di livello micro. Il settore privato deve perciò diventare l’attore primario dell’innovazione, e deve contribuire a risolvere i problemi da cui dipendono i governi e le altre parti interessate se si vogliono fare reali passi in avanti verso una green economy. Le corporation possono anche essere responsabili della situazione in cui ci troviamo oggi, ma sono le uniche realtà che possono fare il “salto quantico” necessario per costruire soluzioni globali. Come aziende, dobbiamo smettere di fare affari producendo danni collaterali per iniziare a fare affari che danno benefici collaterali. Questo passaggio è fondamentale, perché l’attuale corsa finanziaria non porta a nulla se comporta una corsa verso il fondo ambientale e sociale. Finora, la complessità della natura, e i servizi gratuiti che essa ci fornisce, sono

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stati trascurati e sviliti perché non siamo riusciti a dar loro un prezzo né a venderli sui mercati. Valorizzare il capitale naturale, e di riflesso il vero costo del business sulla natura, è essenziale per completare l’equazione dell’“economia sostenibile”. Misurare le esternalità e dare un valore economico agli impatti ambientali del business non è solo una questione di assunzione di responsabilità nei confronti della natura – ambito nel quale rientrano la nostra qualità di vita e i nostri mezzi di sostentamento – ma anche di avversione al rischio e di innovazione. Si tratta anche di individuare nuove opportunità per beneficiare della sostenibilità nel lungo termine. Questo approccio deve essere applicato a tutti i business – dobbiamo sapere quali impatti hanno sui servizi ecosistemici, dobbiamo trarre conclusioni chiare, e trovare soluzioni appropriate – se vogliamo andare verso un futuro più equo e sostenibile. Questo approccio è un tema centrale di Corporation 2020, e delinea un chiara opportunità per un nuovo modello di business. Che le corporation debbano guidare il processo è una convinzione che condivido con Pavan Sukhdev. Mi auguro che la prossima generazione di leader aziendali non debba mettere in discussione il fatto che la loro attività debba essere “win-win”, debba cioè dare un doppio dividendo a tutti gli stakeholder, comprese la natura e la società. Senza dubbio, nel mondo di Corporation 2020 ci sarà ancora la concorrenza, ma le aziende, invece di evadere le tasse, di fare lobbying e di esternalizzare i costi, si sfideranno sulla base dell’innovazione, della conservazione delle risorse e dei servizi ai consumatori. Per quanto mi riguarda, sono impaziente di contribuire all’affermazione del mondo delineato da Corporation 2020. Jochen Zeitz,* luglio 2012

*  Durante il suo mandato come amministratore delegato e presidente della Puma, Jochen Zeitz ha ideato e sviluppato il primo Conto ambientale dei profitti e delle perdite del mondo industriale, che assegna un valore economico agli impatti ambientali dell’azienda lungo tutta la catena di fornitura.


introduzione

“Sbagliare non è altro che un’opportunità per ricominciare, questa volta in modo più intelligente.” Henry Ford Cercando su Internet le parole “rivoglio la mia vita”, si trova un video di Tony Hayward, ex Ceo della Bp.1 Le sue affermazioni, caso lampante di pessima diplomazia aziendale, sono state riportate da tutti i media il 30 maggio del 2010, un mese dopo la fuoriuscita di greggio dalle perforazioni della Bp nel Golfo del Messico. Hayward stava cercando di placare l’ira degli abitanti di Venice, in Louisiana, che erano stati danneggiati dall’incidente. Quello che è degno di nota non è tanto l’incapacità di Hayward di tranquillizzare i suoi ascoltatori, quanto il contesto da cui sono nate le sue dichiarazioni. Solo un anno prima aveva dichiarato che la motivazione principale della sua vita professionale era “l’obbligo di agire responsabilmente”.2 Pur riconoscendo le responsabilità della Bp nei disastri in Texas, nella Baia di Prudoe in Alaska e altrove, aveva sostenuto che fin dalla sua nomina a Ceo nel 2006 aveva cercato di fare della sicurezza una priorità della Bp. Nel contempo, aveva sottolineato che l’obiettivo principale della società era quello di tutelare agli interessi degli azionisti e non salvare il mondo. Nemmeno un anno più tardi si trovava a dover rispondere di un fallimento dei sistemi di sicurezza di proporzioni drammatiche – in quella che si sarebbe rivelata la più grave perdita di petrolio della storia.3 Come conseguenza, le azioni della Bp sono crollate, distruggendo in meno di un mese e mezzo un capitale di 70 miliardi di dollari degli azionisti.4 Dopo il disastro della Deepwater Horizon, Hayward si è dato un altro obiettivo: limitare i danni. Ha contestato i risultati delle analisi condotte da tre diversi team scientifici indipendenti, che affermavano di aver individuato dei pennacchi di petrolio lunghi quasi 40 chilometri che serpeggiavano minacciosi sotto



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