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le imprese della green economy la via maestra per uscire dalla crisi
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A cura di Edo Ronchi, Roberto Morabito, Toni Federico, Grazia Barberio
GREEN ECONOMY RAPPORTO 2014
LE IMPRESE DELLA GREEN ECONOMY LA VIA MAESTRA PER USCIRE DALLA CRISI Presentazione di Ligia Noronha
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si ringraziano per il sostegno a questo libro
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le imprese della green economy la via maestra per uscire dalla crisi green economy rapporto 2014
a cura di Edo Ronchi, Roberto Morabito, Toni Federico, Grazia Barberio hanno collaborato al presente rapporto Per la Fondazione per lo sviluppo sostenibile Alessandra Bailo Modesti, Andrea Barbabella, Massimiliano Bienati, Antonello Esposito, Raimondo Orsini, Anna Pacilli Per l’Enea Gaetano Coletta, Mario Jorizzo, Erika Mancuso, Daniela Palma, Marcello Peronaci, Pasquale Spezzano realizzazione editoriale: Edizioni Ambiente srl coordinamento redazionale: Diego Tavazzi progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo
© 2014, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’editore. ISBN 978-88-6627-144-4 Finito di stampare nel mese di ottobre 2014 presso Geca Srl – San Giuliano Milanese Stampato in Italia – Printed in Italy
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sommario
le imprese per un’economia verde Ligia Noronha
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introduzione
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1. le imprese e l’ambiente
2. ecoinnovazione: il principale motore delle imprese della green economy
3. indagine sugli orientamenti degli imprenditori della green economy 4. le imprese per la green economy: una proposta per uscire dalla crisi
biografie
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le imprese per un’economia verde
Mai prima d’ora le sfide ambientali nel mondo hanno ricevuto tanta attenzione internazionale, e anche generato tante preoccupazioni circa il progresso economico e sociale. È sempre più chiaro che una crescita sostenibile a lungo termine e la creazione di posti di lavoro non possono essere raggiunte senza affrontare queste sfide. Viste in questa luce, le crisi ambientali che si stanno verificando in diverse regioni del mondo rappresentano un’opportunità storica per il cambiamento. In effetti, un numero sempre maggiore (e crescente) di paesi ha iniziato il cammino verso questo cambiamento. A seguito della Conferenza Rio+20 2012, la green economy è stata adottata dai governi come uno strumento per realizzare uno sviluppo sociale, economico e ambientale sostenibile, anche perché porta con sé la promessa dell’aumento dei posti di lavoro e di imprenditori dal profilo innovativo. L’Italia ha già iniziato a muoversi in questa direzione. Tuttavia, rimane un potenziale non ancora sfruttato per intraprendere un percorso che può creare altri green jobs, supportare una crescita sostenibile e ripristinare la salute e la qualità dell’ambiente. Con il governo e le imprese che lavorano insieme verso una green economy, l’Italia non può mancare di superare le attuali difficoltà economiche, per costruire le basi per una crescita sostenibile per il futuro. Questo rapporto è un passo importante in questo senso, in quanto delinea il ruolo potenziale per le imprese italiane nella realizzazione di tale cambiamento. Anche se sono i governi a guidare questo processo attraverso regolamenti e incentivi, sono le imprese che apriranno la strada
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verso una green economy attraverso le loro scelte quotidiane per gli investimenti e per l’occupazione. Con la rapida innovazione tecnologica, il passaggio a un’energia più pulita e a un uso più efficiente delle risorse al centro della green economy, gli imprenditori e la società dovrebbero beneficiare entrambi di una qualità ambientale solidamente incardinata nella competitività e nella crescita economica. Guidato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e dall’Agenzia nazionale per l’energia e lo sviluppo sostenibile (Enea), il rapporto contribuisce al dibattito in corso sulla green growth in Italia, e su come potrebbe presentarsi un percorso di ristrutturazione dei settori produttivi dell’economia. Analizzando sia il quadro teorico sia il processo di cambiamento, questo rapporto costituisce un importante punto di riferimento per il paese e per la comunità imprenditoriale italiana. La visione condivisa di una green economy che si trova in questo libro, e tra gli imprenditori italiani, accresce la speranza per il futuro e mostra che l’Italia sta lavorando seriamente ed è pronta per il compito di creare un’economia più verde e più inclusiva, come pietra angolare della sua crescita futura. Ligia Noronha è direttore della Divisione di tecnologia, industria ed economia dell’Unep, United Nations Environment Programme
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introduzione
La green economy non è un settore ma un modello generale di economia “capace di produrre un benessere di migliore qualità e più equamente esteso, migliorando la qualità dell’ambiente e salvaguardando il capitale naturale” (Unep, Towards a Green Economy, 2009). Il cambiamento in atto dell’economia verso una green economy, fondamentale per realizzare uno sviluppo sostenibile, vede già un ruolo attivo di una parte importante delle imprese e sollecita una loro più ampia e incisiva partecipazione. Nonostante in Italia la prolungata recessione e le carenze della politica ne stiano frenando lo sviluppo, il potenziale di questo cambiamento continua a essere ampio: non coinvolge solo le imprese, ma attraversa gli stili di vita e i modelli di consumo, sollecita nuove politiche pubbliche, economiche e fiscali, ruoli più attivi delle istituzioni ai vari livelli, più ecoinnovazione e nuove professionalità nel mondo della ricerca e del lavoro. Questo cambiamento non sarebbe realizzabile senza un ruolo attivo delle imprese, perché un migliore benessere richiede servizi e beni di più alta qualità, un buon livello di occupazione e di reddito, quindi produzione di ricchezza. E perché il miglioramento della qualità dell’ambiente e la salvaguardia del capitale naturale richiedono prodotti e processi produttivi ecosostenibili. Con questo 3° Rapporto sulla green economy in Italia ci proponiamo – con analisi, valutazioni e indicazioni – di promuovere un ruolo più attivo e più incisivo delle imprese per lo sviluppo di una green economy. Per mantenere tale progetto di sviluppo saldamente ancorato al conte-
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sto reale, occorre tener presente che il sistema di governance di tutte le imprese ha tre caratteristiche peculiari: • organizza un’attività economica finalizzata alla produzione e allo scambio di beni e di servizi con criteri di economicità che consentano di coprire i costi con i ricavi e di generare valore aggiunto; • punta a competere con le sue produzioni sui mercati nazionali e/o esteri, perché l’impresa non va in crisi solo se è in grado di vendere i beni e/o i servizi che produce a prezzi vantaggiosi; • oltre a coprire i costi di produzione generando un valore aggiunto, si propone di generare profitti, ottimizzando l’uso delle risorse e aumentando la produttività del lavoro. Lo sviluppo di una green economy è compatibile con le tre caratteristiche della governance delle imprese appena ricordate (economicità, competitività e profittabilità)? Si è scritto e discusso molto in materia. Lo sviluppo industriale non ha certo avuto origine né è cresciuto adottando sistemi di governance ambientalmente sostenibili. A prescindere dalla titolarità (del capitalista privato o di una gestione statale, di azionariati vari o di forme miste pubblico-privato), la scarsa o nulla attenzione all’ambiente, alle risorse naturali, alla sostenibilità ecologica, è stata la caratteristica di fondo dei tradizionali management e sistemi di governance delle imprese. Questa concreta esperienza storica ha radicato analisi e convinzioni fondate, se non proprio sulla inconciliabilità, certo su una conflittualità fra i criteri di economicità, competitività, profittabilità delle imprese e la tutela dell’ambiente e del capitale naturale. Poi, da qualche decennio, le situazione ha cominciato a cambiare. Volendo individuare una data di avvio di questo “cambiamento” si potrebbe simbolicamente indicare il 1992, l’anno della Conferenza di Rio sull’ambiente e lo sviluppo. È in quel periodo che si è cominciato a delineare un percorso per uno sviluppo sostenibile, intrapreso anche da un numero significativo di imprese capaci di competere e generare profitti con alte performance ambientali. Il processo si è sviluppato per molti decenni (nel capitolo 1 diamo un sommario rendiconto della crescita e della diffusione di indirizzi e strumenti impiegati da un
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gran numero di imprese per migliorare le loro performance ambientali), fino al salto di qualità del 2008: l’anno della grave crisi economica e finanziaria internazionale e della crescente consapevolezza della gravità della grande crisi ecologica globale, quella climatica. In quel contesto l’Unep ha lanciato, per la prima volta a livello internazionale, la proposta di puntare su una green economy per rispondere congiuntamente alle due crisi. Una proposta di cambiamento dell’economia di così vasta portata ha trovato terreno fertile ed è cresciuta perché ha offerto risposte a una serie di problemi e perché ha colto nuove opportunità anche per le imprese: anni di conflitti ambientali hanno reso territorialmente non più proponibili produzioni a elevato impatto ambientale e sanitario; la crescita della consapevolezza ambientale e la richiesta di un benessere di migliore qualità hanno alimentato una nuova domanda di beni e servizi green; la crisi climatica ha fatto crescere la consapevolezza dei rischi ambientali; l’elevato consumo di capitale naturale ha ridotto la disponibilità di servizi degli ecosistemi e reso l’ambiente una risorsa scarsa. La presenza, a volte la sinergia, di questi diversi fattori ha sollecitato, in alcuni casi costretto, a modificare le caratteristiche dei sistemi di governance delle imprese: • l’economicità ha dovuto fare i conti con i costi crescenti delle crisi ambientali e delle risorse naturali e, quindi, con la necessità di prevenirli e di puntare su un uso più efficiente e sul risparmio delle risorse naturali e dell’energia; • la competitività delle imprese che hanno adottato sistemi di governance ambientalmente avanzati ha tratto benefici dalla crescita della consapevolezza ambientale e della domanda di beni e servizi a elevata qualità ambientale; • anche sulla produttività del lavoro non sono mancate le novità green: con l’ecoefficienza, con un migliore uso delle risorse (materiali ed energia), con l’ecoinnovazione, con i miglioramenti della qualità dei prodotti e delle vendite, l’indirizzo green in non pochi casi ha contribuito a migliorarla e a consentire un buon livello di profittabilità; • la lunga crisi iniziata nel 2008 ha messo in difficoltà le produzioni, e
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i profitti, di molte imprese e alimentato una spinta verso innovazioni e conversioni; • differenziazioni di produzioni e prodotti in direzione green sono servite per cercare nuovi sbocchi di mercato, interno e internazionale. Per l’insieme di questi fattori, sono aumentati in questi anni i fatturati, gli occupati, le attività delle imprese collocabili in una green economy. La crescita di queste imprese è un dato di fatto facilmente riscontrabile, che documenta come i criteri di economicità, competitività e profittabilità – opportunamente integrati, arricchiti e indirizzati – siano non solo compatibili con la tutela dell’ambiente e del capitale naturale, ma abbiano alimentato un nuovo tipo di sviluppo, quello di una green economy. Il Rapporto cerca di documentare come questo processo sia partito e con quali strumenti si sia via via rafforzato. Ponendo un particolare accento sulla spinta fondamentale che lo ha alimentato: quella dell’ecoinnovazione. La diffusione di questo motore del cambiamento in direzione di una green economy e delle qualità raggiunte anche in Italia è documentata dal Premio dedicato alle imprese che hanno introdotto ecoinnovazioni. Promosso dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile con l’adesione del Presidente della Repubblica, e giunto alla sua sesta edizione, ha contribuito ad accendere i riflettori nel nostro paese su queste tematiche. Il Premio rappresenta ormai una delle rassegne più significative per le centinaia di casi individuati e analizzati ogni anno nei vari settori, premiati e segnalati, a partire dalle eccellenze. Abbiamo anche voluto interpellare direttamente gli imprenditori della green economy, attraverso un’apposita indagine, per raccoglierne le opinioni e sondare idee e convinzioni su una serie di temi centrali, convinti che la soggettività e la visione di questi protagonisti siano importanti in questo processo. Affinché le imprese possano avere un ruolo più attivo per lo sviluppo di una green economy, è necessario che almeno una parte significativa degli imprenditori, e più in generale del management, condivida analisi, valutazioni e indirizzi verso una green economy, rigettando viceversa alcune idee tipiche della tradizionale brown economy. E che quindi esista la condizione di base – quella preliminare di una vi-
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sione condivisa almeno delle linee di fondo – affinché si possa pensare che queste imprese non fanno squadra solo per gli interessi specifici della propria categoria, ma possono cominciare a muoversi per un progetto più generale, quello per una green economy. Abbiamo infine avanzato una proposta, la prima nel suo genere, per dare un inquadramento strategico e sistematico delle imprese della green economy e quindi anche su come potrebbero contribuire ad alimentare, e a rafforzare, un processo di green New Deal in grado di superare la lunga recessione italiana. Il primo capitolo, dedicato al rapporto delle imprese con l’ambiente, parte descrivendo la crescita di quelle che producono beni e servizi ambientali e lo sviluppo dei prodotti e dei modelli di business che scommettono sull’elevato livello di tutela ambientale. Abbiamo così puntato a documentare un processo, durato molti anni, che ha portato una parte importante delle imprese ad anticipare quello che diventerà il core della green economy: l’elevata qualità ambientale come tema centrale delle proprie attività economiche. Il peso e il ruolo dell’ambiente è stato però molto più esteso, non limitato alle imprese core-green, cioè quelle che producono beni e servizi ambientali. Per varie ragioni l’ambiente è stato probabilmente alla base dei più importanti cambiamenti avvenuti nelle imprese negli ultimi decenni. E in molte hanno intrapreso percorsi virtuosi di miglioramento ambientale, go-green, fissando e raggiungendo target ambientali ambiziosi. Sono ormai numerosi gli studi internazionali che analizzano non solo i vantaggi ambientali di tali percorsi, ma anche quelli economici, specie di non breve termine. Il capitolo presenta un’ampia e documentata ricognizione degli indirizzi espressi e degli strumenti attivati dalle più autorevoli istituzioni internazionali (Unep, Oecd, Unido, Unione europea) e da importanti organizzazioni (World Business Council Sd e Gri) per integrare le politiche ambientali avanzate in quelle delle imprese. La ricognizione ha lo scopo dichiarato di documentare la solidità delle radici e dell’impianto su cui si basano le imprese della green economy, in particolare nei paesi industriali maturi. Queste imprese non si sono svegliate green dalla sera alla mattina, ma sono inserite in un percorso di cambiamento in atto da
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diversi anni: un processo verso una green economy alimentato per anni da elaborazioni, politiche e strumenti robusti e consolidati a livello internazionale. Il secondo capitolo dedica un approfondimento all’ecoinnovazione, vero e proprio motore per lo sviluppo delle imprese della green economy. La spinta verso la migliore qualità ambientale e la crescente consapevolezza dei rischi derivanti dalla scarsità del capitale naturale hanno incontrato, e alimentato, non tanto e non solo casi eclatanti di nuove scoperte scientifiche, ma migliaia di “piccole” scoperte e nuove applicazioni tecnologiche, nuovi processi produttivi, miglioramenti o nuovi prodotti, in grandi ma anche in moltissime medie e piccole aziende: la rivoluzione diffusa dell’ecoinnovazione. Anche in Italia, seppure ormai da anni si investa poco in ricerca, in molte imprese di tutte le dimensioni è presente, diffuso e fecondo il fenomeno dell’ecoinnovazione, trascurato da troppi analisti tradizionali incapaci di vedere le novità perché continuano a leggere la realtà con gli occhiali del passato. Nella prima parte del capitolo viene quindi analizzato il posizionamento dell’Italia, in particolare la propensione del suo sistema produttivo nei confronti dell’ecoinnovazione. Una seconda parte analizza i diversi aspetti dell’ecoinnovazione (di processo, di prodotto, quelli riferiti alle tecnologie pulite, quelli di sistema e dei servizi) sempre in relazione sia alla sostenibilità sia alla competitività delle imprese. Il terzo capitolo pubblica e commenta i risultati dell’indagine sugli orientamenti degli imprenditori della green economy, condotta nel 2014 dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in collaborazione con le organizzazioni delle imprese del Consiglio nazionale della green economy. Dall’indagine risulta chiaramente che questi imprenditori condividono un bagaglio di idee, di analisi e di valutazioni tanto ampio e articolato da configurare una vera e propria visione. Imprenditori che gestiscono imprese che svolgono attività a valenza ambientale esistono e operano da molti anni. È vero che sia queste imprese sia queste attività sono cresciute, ma ciò che registriamo con l’indagine non è la crescita quantitativa, piuttosto il salto culturale in una parte importante dell’imprenditoria italiana verso un orientamento chiaramente green. Alla base di
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questo processo di crescita di una nuova consapevolezza ecologica fra gli imprenditori si possono individuare diversi fattori. Indubbiamente, l’ambiente non è più percepito, da molti di loro, come ostacolo o vincolo, ma sempre più spesso come opportunità di nuovo sviluppo. La recessione economica, in Italia particolarmente pesante e prolungata, sta spingendo verso la ricerca di nuovi prodotti e nuovi processi: quelli più green non sono esenti dalle difficoltà prodotte dalla crisi, ma mostrano migliori possibilità di tenuta e di ripresa. Infine, la crescita della sensibilità e della richiesta di qualità ambientale non è certo sfuggita all’attenzione di una vasta parte degli imprenditori e ha alimentato in loro un mix di convinzioni e convenienze green, dagli effetti positivi per lo sviluppo di una green economy. Nel quarto capitolo si forniscono i criteri per individuare le imprese che stanno operando per una green economy, cominciando a dare risposte a una serie di domande basilari e a definire i requisiti essenziali. Partendo quindi dall’individuazione delle tipologie e delle caratteristiche distintive delle imprese della green economy, si passa a definire, in modo sistematico, le componenti fondamentali del sistema di governance, utile anche a capire a che punto del percorso è una specifica impresa e cosa potrebbe e dovrebbe migliorare. Senza dimenticare, anzi mettendovi l’accento, la necessità di un cambiamento generale: infatti, il successo o l’insuccesso di un’impresa della green economy dipendono anche da un contesto più ampio, economico, normativo e sociale. E dalla condivisione da parte delle imprese di un programma generale comune che comprenda gli ambiti di intervento strategici – generali e tematici – necessari allo sviluppo di una green economy: che vuol dire cominciare a fare squadra. L’affermazione di questo programma, o almeno dei suoi contenuti principali, è oggi particolarmente urgente per affrontare la recessione prolungata che colpisce da diversi anni l’Italia, la sua economia e le sue imprese, comprese quelle della green economy, che risentono di un contesto economico negativo: bassa domanda interna, forte pressione fiscale e contributiva, scarsi investimenti pubblici, difficoltà di accesso e alto costo del credito. Né sono state di aiuto le politiche europee basate sulla bassa inflazione e sul contenimento del debito pubblico, che hanno ali-
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mentato deflazione e stagnazione nell’area dei paesi dell’euro e contribuito ad aggravare la crisi italiana. Per superarla, le imprese della green economy dovrebbero operare in modo più incisivo per un cambio del contesto delle politiche economiche italiane e di quelle europee. Puntando sull’alta qualità ambientale dei beni e dei servizi, le imprese della green economy potrebbero contribuire molto a riqualificare e rilanciare investimenti e occupazione, a far crescere la domanda interna e a migliorare le nostre esportazioni. Attuare rapidamente una svolta delle politiche europee potrebbe risultare piuttosto difficoltoso perché la crisi non ha colpito, almeno negli anni passati, tutti i paesi europei; anzi, alcuni paesi come la Germania, almeno per alcuni anni, ne hanno tratto vantaggio, portando a livelli fin troppo elevati il loro surplus commerciale. A lungo andare tuttavia la stagnazione colpisce tutti, Germania compresa, e ciò potrebbe ridurre le resistenze al cambiamento delle politiche economiche e finanziarie europee. Senza trascurare il fatto che, per attuare gli stessi obiettivi ambientali europei trainanti anche per una green economy (dalla lotta ai cambiamenti climatici con le nuove politiche energetiche, all’uso efficiente delle risorse, dai programmi per la tutela del capitale naturale alle numerose direttive in materia di tutela dell’ambiente), servono nuovi e ingenti investimenti, privati e pubblici, che non possono essere sostenuti dai paesi indebitati a causa del meccanismo europeo basato su rigidi vincoli di bilancio. Per coprire tali investimenti occorrerebbe cambiare questo meccanismo, consentendo l’emissione di eurobond – che non pesino sui debiti nazionali – o attivando altre misure anti-deflattive che consentano un effettivo aumento della liquidità disponibile per le imprese. Mentre evidenziamo le potenzialità e le possibilità di una cambio delle politiche economiche e finanziarie a livello nazionale ed europeo in una direzione più favorevole per le imprese della green economy, non dobbiamo trascurare la necessità di contrastare con maggior forza – facendo pesare di più le buone ragioni e il peso reale ormai raggiunto da queste imprese – le proposte e le politiche che invece ci fanno andare verso un arretramento della qualità ambientale e sociale dello sviluppo. La recessione prolungata può infatti alimentare, e sta alimentando, anche spinte
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e politiche negative per una green economy, originate da una mancanza di visione e dal persistere di idee perdenti sia nel ceto politico sia in quello imprenditoriale: l’idea, per esempio, che sia sufficiente un generico rilancio degli investimenti e dei consumi per superare questa crisi, senza scelte strategiche, priorità, indirizzi precisi. Oppure quella che continua a vedere nell’elevata qualità ambientale non un prerequisito necessario per il rilancio del made in Italy, ma un ostacolo alla ripresa economica. Ancora, nell’illusione di poter competere con i paesi di nuova industrializzazione inseguendoli all’indietro e non con la migliore qualità, che ormai non può prescindere da un’elevata tutela ambientale soprattutto per paesi come l’Italia, che hanno fatto della bellezza e del buon vivere le caratteristiche positive della loro presenza nel mondo. Non si supera questa crisi attingendo dal bagaglio di idee che hanno contribuito a crearla. Servono idee nuove e scelte strategiche precise per contrastare la retromarcia verso il declino economico, verso una società più povera e un ambiente degradato. Le imprese della green economy possono mettere in campo un progetto di green New Deal, l’unico in grado di avviare una nuova fase di sviluppo durevole e sostenibile.
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