Un mondo al bivio

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UN MONDO AL BIVIO

come prevenire il collasso ambientale ed economico

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LESTER R. BROWN UN MONDO AL BIVIO COME PREVENIRE IL COLLASSO AMBIENTALE ED ECONOMICO

Edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna QUESTO VOLUME È RACCOMANDATO DA WWF ITALIA­

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Lester R. Brown un mondo al bivio come prevenire il collasso ambientale ed economico realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it titolo originale

World on the Edge – How to Prevent Environmental and Economic Collapse Copyright © 2011 by Earth Policy Institute edizione italiana a cura di

Gianfranco Bologna traduzione

Laura Coppo coordinamento redazionale

Anna Satolli, Diego Tavazzi

progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo

© 2011, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 ISBN 978-88-6627-015-7 Finito di stampare nel mese di settembre 2011 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg) Stampato in Italia – Printed in Italy Questo libro è stampato su carta riciclata 100% i siti di edizioni ambiente

www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.verdenero.it

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sommario

le nostre società al bivio: il futuro tra collasso e sostenibilità di Gianfranco Bologna

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premessa di Lester R. Brown

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parte prima

prossimi al limite

2. riserve idriche in esaurimento e raccolti in sofferenza

51

3. erosione del suolo e deserti in espansione

67

4. aumento delle temperature, fusione dei ghiacci e sicurezza alimentare

79

parte seconda

le conseguenze

5. le nuove politiche sull’emergenza alimentare

93

6. i rifugiati ambientali: la marea che sale

107

7. tensioni in aumento, stati sull’orlo del fallimento

121

parte terza

la risposta: il piano b

8. costruire un’economia globale efficiente dal punto di vista energetico

139

9. sfruttare l’energia eolica, solare e geotermica

159

10. ripristinare i sistemi di supporto naturali dell’economia

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11. sradicare la povertà, stabilizzare la popolazione e salvare gli stati in fallimento

199

12. sfamare otto miliardi di persone

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parte quarta

guardando l’orologio

13. salvare la civiltà

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bibliografia ringraziamenti l’autore

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premessa

di Lester R. Brown

Quando incontro vecchi amici che mi chiedono come va, spesso rispondo: “Io sto bene, ma sono preoccupato per il mondo”. “Non lo siamo tutti?” è la risposta comune. La maggior parte di noi nutre una vaga ansia per il futuro, ma le preoccupazioni di alcuni si concentrano su minacce specifiche come i cambiamenti climatici o la crescita della popolazione. Alcune persone ormai non si domandano più se ci sarà un declino della nostra civiltà in caso si proceda sulla strada del business as usual, ma si chiedono piuttosto quando ciò accadrà. All’inizio del 2009 John Beddington, principale consulente scientifico del governo inglese, dichiarò che entro il 2030 il mondo si troverà ad affrontare una “tempesta perfetta” caratterizzata da carenza di cibo, scarsità d’acqua e da un elevato prezzo del petrolio. Questi sviluppi, a cui si aggiungeranno l’accelerazione dei cambiamenti climatici e fenomeni di migrazioni di massa, porteranno a gravi agitazioni. Una settimana più tardi Jonathon Porritt, ex presidente della Commissione inglese per lo Sviluppo Sostenibile, scrisse nel Guardian che condivideva l’analisi di Beddington ma non le tempistiche da lui indicate. Secondo Porritt la crisi “colpirà molto più vicino al 2020 che al 2030”, e la definisce “la recessione ultima”, dalla quale potrebbe non esserci ripresa. Queste affermazioni di Beddington e Porritt pongono due interrogativi cruciali. Se continuiamo così come fatto finora, quanto tempo abbiamo prima che la nostra civiltà globale si sgretoli? E come possiamo salvarla?

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Un mondo al bivio è la risposta a questi interrogativi. Nessuno può sapere invece quanto tempo abbiamo ancora a disposizione per continuare su questa strada. Siamo limitati dalla difficoltà di afferrare le dinamiche della crescita esponenziale in un ambiente finito, ossia la Terra. Per riflettere su questo aspetto mi aiuto con un indovinello che i francesi utilizzano per spiegare ai bambini il concetto di crescita esponenziale. Un laghetto di ninfee ha una foglia il primo giorno, due il secondo, quattro il terzo e il numero di foglie continua a raddoppiare ogni giorno. Se il laghetto si riempie completamente entro il trentesimo giorno, allora quando è pieno a metà? Il ventinovesimo giorno. Sfortunatamente per il nostro sovraffollato pianeta, al momento potremmo trovarci già oltre il trentesimo giorno. La mia sensazione è che la “tempesta perfetta” o la “recessione ultima” potrebbero arrivare da un momento all’altro. Presumibilmente saranno innescate da un calo senza precedenti dei raccolti, causato da una combinazione di devastanti ondate di calore e da un’emergente carenza d’acqua dovuta all’esaurimento degli acquiferi. Una tale diminuzione della produzione cerealicola potrebbe spingere i prezzi del cibo a livelli senza precedenti, portando i paesi esportatori a limitare o vietare le esportazioni come fecero diverse nazioni in seguito all’aumento dei prezzi nel 2007-2008, e la Russia fece nuovamente in seguito alle ondate di calore del 2010. Ciò a sua volta incrinerebbe la fiducia nell’economia di mercato come fonte affidabile di approvvigionamento di cereali. E in un mondo in cui ciascun paese si concentrasse sul soddisfacimento dei propri bisogni, la fiducia che costituisce il fondamento dell’economia internazionale e dei sistemi finanziari inizierebbe a sfaldarsi. Il secondo interrogativo riguarda ciò che bisogna fare per invertire i molti trend ambientali che stanno indebolendo l’economia mondiale. Ristrutturare l’economia in tempo utile a evitare il declino richiederà una mobilitazione di massa rapida come le mobilitazioni in tempo di guerra. All’Earth Policy Institute e in questo libro chiamiamo

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premessa

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questa enorme ristrutturazione Piano B e siamo convinti che questa, o qualcosa di molto simile, sia la nostra unica speranza. Se riflettiamo sui deficit ecologici che stanno portando il mondo verso il “limite”, risulta chiaro che i valori che li hanno generati sono gli stessi che hanno determinato i crescenti deficit finanziari. Si pensava che sarebbero stati i nostri figli a doverne affrontare le conseguenze, ma ora è chiaro che spetta già alla nostra generazione. I deficit ecologici ed economici non condizionano soltanto il nostro futuro, ma anche il nostro presente. A Beddington e Porritt va riconosciuto il merito di aver pubblicamente affrontato la prospettiva del collasso sociale, perché non è facile parlarne. Risulta difficile immaginare qualcosa di cui non abbiamo mai avuto esperienza: ci manca perfino il vocabolario per farlo. È difficile parlarne anche perché riguarda non solo il futuro dell’umanità in senso astratto, ma anche il futuro delle nostre famiglie e dei nostri amici. Nessuna generazione ha affrontato una sfida tanto complessa, enorme e urgente quale quella che ci troviamo di fronte. Ma c’è speranza. Se non ci fosse speranza questo libro non esisterebbe. Noi pensiamo di sapere sia quello che deve essere fatto sia il modo in cui va fatto. Ci sono due pietre miliari alla base della trasformazione proposta dal Piano B. Una è la revisione del sistema di tassazione, per ridurre le imposte sul reddito e aumentare le imposte sulle emissioni di anidride carbonica al fine di includere nel prezzo dei combustibili fossili anche i costi indiretti del loro utilizzo, quali i cambiamenti climatici e l’inquinamento atmosferico. La quantità di tasse da pagare resterebbe invariata. La seconda pietra miliare è la ridefinizione del concetto di sicurezza per il XXI secolo. Le minacce per il nostro futuro non sono più le aggressioni armate, ma piuttosto i cambiamenti climatici, la crescita demografica, la scarsità d’acqua, la povertà, l’aumento del prezzo del cibo e la crisi degli stati. La nostra sfida non consiste solo nel ri-

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definire la sicurezza in termini concettuali, ma anche di ridistribuire le priorità fiscali in modo da orientare le risorse verso il raggiungimento degli obiettivi del Piano B. Questi comprendono la riforestazione, il ripristino delle risorse ittiche, l’istruzione di base per tutti, l’assistenza al parto e servizi di pianificazione familiare per le donne accessibili ovunque. Anche se questi obiettivi sono concettualmente semplici e facilmente comprensibili, non saranno facili da raggiungere. Richiederanno un enorme sforzo da parte di ciascuno di noi. Le industrie dei combustibili fossili e della difesa hanno un forte interesse nel mantenere lo status quo. Ma è il nostro futuro a essere in gioco. Il mio e il vostro. Lester R. Brown ottobre 2010

Earth Policy Institute 1350 Connecticut Ave. NW Suite 403 Washington, DC 20036 Telefono: (202) 496 -9290 Fax: (202) 496-9325 E-mail: epi@earth-policy.org Sito web: www.earth-policy.org

Note, dati e maggiori informazioni che riguardano il libro sono disponibili al sito web dell’Earth Policy Institute: www.earth-policy.org.

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Nell’estate del 2010 Mosca fu colpita da temperature record. All’inizio sembrava una semplice ondata di calore, ma il caldo torrido cominciato a fine giugno proseguì fino alla metà di agosto. All’inizio di agosto la Russia occidentale era così calda e secca che ogni giorno scoppiavano 300 o 400 nuovi incendi. Milioni di ettari di foresta andarono in fiamme, e migliaia di case vennero cancellate dal fuoco. I raccolti avvizzirono e le loro rese crollarono. Giorno dopo giorno, Mosca era coperta dal fumo, e gli anziani e le persone con problemi respiratori faticavano a respirare. Il tasso di mortalità si impennò, mentre lo stress da calore e il fumo mietevano le loro vittime. A luglio la temperatura di Mosca era di 10 °C superiore alla media, e per due volte superò i 40 °C, raggiungendo punte mai provate dai moscoviti. I telegiornali della sera trasmisero servizi sull’ondata di calore per sette settimane di fila: le migliaia di incendi e il fumo ovunque sembravano un interminabile film dell’orrore. I 140 milioni di abitanti della Russia erano sotto shock, traumatizzati da quanto stava accadendo loro e al loro paese. La più intensa ondata di calore mai registrata in 130 anni di raccolta dati ha imposto un pesante tributo economico. I danni subiti dalle foreste e i costi previsti per il loro ripristino ammontarono a 300 miliardi di dollari. Migliaia di contadini dovettero affrontare la bancarotta. Il raccolto di cereali russo diminuì da quasi 100 milioni di tonnella-

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te a 60 milioni scarsi. La Russia, che negli ultimi tempi si classificava come terzo esportatore mondiale di grano, proibì l’esportazione di cereali nel disperato tentativo di controllare il vertiginoso aumento dei prezzi nel paese. Tra metà giugno e metà agosto il prezzo del grano a livello mondiale aumentò del 60%. La siccità prolungata e la peggiore ondata di calore nella storia della Russia stavano causando un’impennata dei prezzi del cibo in tutto il mondo. Ma da Mosca arrivavano anche buone notizie. Il 30 giugno il presidente russo Dmitry Medvedev annunciò che in gran parte della Russia occidentale “praticamente tutto era in fiamme”. Mentre sudava, proseguì affermando: “Ciò che sta accadendo al clima del pianeta deve essere un campanello d’allarme per tutti noi”. Con una dichiarazione che assomigliava parecchio a una conversione in punto di morte, il presidente russo sembrava abbandonare la posizione del proprio pae­ se, che fino a quel momento aveva negato i cambiamenti climatici e si era opposto alle iniziative per la riduzione delle emissioni di CO2. Ancora prima della fine dell’ondata di calore in Russia, a fine luglio arrivarono notizie di piogge torrenziali nelle montagne del Pakistan settentrionale. Il fiume Indo, l’ancora di salvezza del Pakistan, e i suoi affluenti, stavano straripando. Gli argini che avevano trasformato lunghi tratti del fiume in stretti canali (in modo da poter coltivare le fertili pianure alluvionali) avevano ceduto. Alla fine, le acque impetuose ricoprirono un quinto del paese. La distruzione regnava ovunque. Circa due milioni di abitazioni furono danneggiate o distrutte. Più di 20 milioni di persone subirono danni a causa delle inondazioni e quasi 2.000 pakistani morirono. Più di due milioni di ettari di terreni coltivati vennero danneggiati o distrutti, e morì più di un milione di capi di bestiame. Strade e ponti furono spazzati via. Anche se la colpa delle inondazioni venne attribuita all’eccezionale piovosità, erano in realtà individuabili diversi trend che contribuirono a creare quello che fu descritto come il più grande disastro naturale della storia del Pakistan.

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Il 26 maggio del 2010 la temperatura ufficiale a Mohenjo-daro, un insediamento situato al centro del Pakistan meridionale, raggiunse i 53 °C, un valore record per l’Asia. La neve e i ghiacciai dell’Himalaya occidentale, dove hanno origine i tributari del fiume Indo, si stavano fondendo rapidamente. Come fece notare il glaciologo pakistano M. Iqbal Khan, la fusione dei ghiacci stava aumentando il flusso dell’Indo ancor prima dell’arrivo delle piogge. La pressione della popolazione del Pakistan sulle risorse naturali è molto intensa. I suoi 158 milioni di abitanti sono concentrati in un’area pari all’8% della superficie degli Stati Uniti. Il 90% delle foreste primarie del bacino dell’Indo sono scomparse, e ciò ha lasciato ben poco ad assorbire la pioggia e a ridurre la velocità di scorrimento dell’acqua. Oltre a ciò, il Pakistan ha una popolazione di 149 milioni di bovini, bufali, pecore e capre, di gran lunga superiore ai 103 milioni di capi di bestiame da pascolo degli Stati Uniti. Il risultato è un paese deprivato di vegetazione. Quando piove, il rapido scorrimento dell’acqua provoca l’erosione del suolo, le dighe si riempiono di fango e la loro capacità di immagazzinare le acque alluvionali si riduce. Circa vent’anni fa il Pakistan decise di definire la propria sicurezza in termini prettamente militari. Proprio quando avrebbe dovuto investire nella riforestazione, nella conservazione del suolo, nell’educazione e nella pianificazione familiare, trascurò questi settori per accrescere la propria potenza militare. Nel 1990 il budget pakistano per le spese militari era 15 volte superiore a quello per l’educazione, e 44 volte maggiore a quello destinato alla sanità e alla pianificazione familiare. Il risultato è che ora il Pakistan è una potenza nucleare povera, sovrappopolata e devastata dal punto di vista ambientale, in cui il 60% delle donne non sa né leggere né scrivere. Ciò che è accaduto in Russia e in Pakistan nell’estate del 2010 è un esempio di quello che ci aspetta se continuiamo sulla strada del business as usual. I media hanno descritto l’ondata di calore in Russia e le alluvioni in Pakistan come disastri naturali. Ma lo sono stati real-

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mente? I climatologi sostengono da tempo che l’aumento delle temperature porterà a un’intensificazione degli eventi climatici estremi. Gli ecologi ci ammoniscono di continuo: se la pressione umana sugli ecosistemi aumenterà ancora, mentre si continuano a distruggere foreste e praterie, le alluvioni saranno ancora più disastrose. I segnali che ci avvertono che la nostra civiltà è in grave difficoltà sono molteplici. Per la gran parte dei 6.000 anni trascorsi dall’inizio della civiltà, ci siamo basati sulla produzione sostenibile dei sistemi naturali del pianeta. Ma negli ultimi decenni l’umanità ha abbondantemente superato il livello che questi sistemi possono sostenere. Stiamo liquidando i beni naturali della Terra per alimentare i nostri consumi. La metà degli esseri umani vive in paesi dove il livello delle falde acquifere è in calo e i pozzi si stanno prosciugando. L’erosione del suolo supera la formazione di suolo nuovo su un terzo dei terreni agricoli mondiali, e ciò sta privando la Terra della propria fertilità. Le mandrie di bovini, pecore e capre, in continuo aumento, stanno trasformando vaste aree di prateria in deserto. Stiamo perdendo più di 5 milioni di ettari di foreste all’anno, disboscando per ricavare terreni agricoli e tagliando alberi per ottenere legna e produrre carta.* Quattro quinti delle specie ittiche oceaniche sono state pescate al limite della loro capacità e spesso anche oltre, e vanno verso il collasso. In un sistema naturale dopo l’altro, la domanda supera di gran lunga l’offerta. *  Il 2011 è stato dichiarato anno internazionale delle foreste e, come indicato anche dai target dei Millennium Development Goals, dalla Convenzione sulla diversità biologica e dalla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, l’obiettivo da raggiungere è la “deforestazione zero” e il “degrado delle foreste zero” (Zero Net Deforestation and Forest Degradation, ZNDD) entro il 2020. Secondo il rapporto del Wwf Living Forests Report: Forests for a Living Planet reso noto ai primi del 2011, utilizzando il Living Forests Model sviluppato con il prestigioso International Institute for Applied Systems Analysis (Iiasa), se non si dovessero prendere provvedimenti concreti e si seguisse lo scenario dell’inazione, si perderebbero, entro il 2020, quasi 100 milioni di ettari di foreste e al 2050 ben 232 milioni di ettari, ndC.

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Nel frattempo, il nostro uso massiccio di combustibili fossili sta incrementando i livelli di anidride carbonica (CO2) in atmosfera, e ciò contribuisce a innalzare la temperatura terrestre. Tutto ciò a sua volta genera eventi climatici più frequenti e più estremi, tra cui ondate di calore che devastano i raccolti, siccità più intense, alluvioni più gravi e tempeste più distruttive. L’innalzamento della temperatura terrestre causa anche la fusione delle calotte glaciali e dei ghiacciai. Se dovesse fondersi del tutto la calotta glaciale groenlandese (la cui velocità di fusione, peraltro, è in rapido aumento), verrebbero inondati i delta dei fiumi dove si concentra la produzione di riso in Asia, così come molte città costiere. La fusione dei ghiacciai dell’Himalaya e dell’Altopiano Tibetano durante la stagione secca aiuta a sostenere il flusso dei principali fiumi dell’India e della Cina (il Gange, lo Yangtze e il Fiume Giallo), e il sistema di irrigazione che da questi dipende. A un certo punto, quella che in un’economia di piccola scala era stata un’eccessiva domanda locale sui sistemi naturali si è trasformata in un processo di portata globale. Uno studio effettuato nel 2002 da un team di scienziati guidati da Mathis Wackernagel ha raccolto in un singolo indicatore, l’impronta ecologica, l’utilizzo dei beni naturali della Terra, includendovi la quantità di CO2 emessa nell’atmosfera. Gli autori hanno concluso che la domanda globale sui sistemi naturali della Terra ha superato per la prima volta la capacità rigenerativa del pianeta intorno al 1980. Nel 1999 la domanda globale sui sistemi naturali ha oltrepassato del 20% un utilizzo sostenibile. Secondo calcoli recenti, questo dato è passato al 50% nel 2007.* Det*  Nel 2010 è stato presentato il nuovo Living Planet Report che viene realizzato dal WWF con la collaborazione del Global Footprint Network e della London Zoological Society. Il rapporto è pubblicato ogni due anni. L’impronta ecologica misura la superficie di terra e di acqua, produttive dal punto di vista biologico, necessarie alla produzione delle risorse rinnovabili che le persone utilizzano, e comprende lo spazio occupato dalle infrastrutture e la vegetazione che serve per assor-

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to altrimenti, ci vorrebbero una Terra e mezzo per sostenere i nostri attuali consumi; dal punto di vista ambientale, è evidente che abbiamo oltrepassato il limite del pianeta. Se poi utilizziamo gli indicatori ambientali per valutare la nostra situazione, ne risulta che il declino globale dei sistemi naturali che supportano l’economia – cioè il declino ambientale che porterà al declino economico e al collasso sociale – è già abbondantemente in corso. Nessuna civiltà del passato è sopravvissuta alla distruzione dei propri supporti naturali, né potrà riuscirci la nostra. Nonostante ciò, gli economisti guardano al futuro in modo diverso. Misurano il progresso basandosi su dati esclusivamente economici, e ritengono che la crescita di quasi dieci volte dell’economia mondiale dal 1950 a oggi (con il conseguente miglioramento degli standard di vita) sia il coronamento della civiltà moderna. In questo arco di tempo, il reddito medio pro capite nel mondo è aumentato di circa quattro volte, e ciò ha portato i nostri standard di vita a livelli prima d’ora inimmaginabili. Un secolo fa, la crescita dell’economia mondiale si misurava in miliardi di dollari all’anno; ora viene quantificata in migliaia di miliardi. Secondo gli economisti tradizionali, il mondo non ha solamente un illustre passato economico, ma ha anche davanti a sé un futuro promettente. Per gli economisti tradizionali, la recessione economica globale del 2008-2009 e il quasi-collasso del sistema finanziario internazionale sono stati un ostacolo lungo il cammino; è vero che l’ostacolo era di dimensioni eccezionali, ma tutti concordano nel ritenere che si tornerà alla crescita abituale. Le previsioni per la crescita economica, bire l’anidride carbonica immessa dalle attività umane. Nel 2007, ultimo anno per cui sono disponibili dati, l’impronta ecologica ha superato la biocapacità della Terra – la superficie realmente disponibile per la produzione di risorse rinnovabili e l’assorbimento dell’anidride carbonica – del 50%. In generale, dal 1966 l’impronta ecologica dell’umanità è raddoppiata. Questo incremento dello sovrasfruttamento ecologico è ampiamente attribuibile all’impronta del carbonio, che è aumentata 11 volte dal 1961 e di poco più di un terzo dalla pubblicazione del primo Living Planet Report nel 1998, ndC.

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che siano quelle della Banca Mondiale, della Goldman Sachs o della Deutsche Bank parlano di una crescita dell’economia globale di circa il 3% annuo; di questo passo, le dimensioni dell’economia del 2010 potrebbero facilmente raddoppiare entro il 2035. Secondo queste stime, la crescita economica nei decenni a venire sarà più o meno un’estrapolazione della crescita dei decenni recenti. Ma come siamo finiti in questo pasticcio? L’economia globale di mercato, per come è attualmente gestita, si trova in difficoltà. Il mercato sa fare bene molte cose e ripartisce le risorse con un’efficienza a cui nessun tipo di pianificazione centralizzata potrà mai arrivare. Tuttavia, mentre nel corso dell’ultimo secolo l’economia mondiale è cresciuta di almeno 20 volte, è venuto alla luce un difetto: è un difetto così importante che, se non verrà corretto in tempo, porterà alla fine della civiltà così come la conosciamo. Il mercato, che determina i prezzi, non ci sta dicendo la verità. Sta omettendo i costi indiretti, che in alcuni casi sono di gran lunga superiori a quelli diretti. Considerate la benzina. Estrarre il petrolio, raffinarlo per trasformarlo in benzina e consegnarlo alle stazioni di servizio americane può costare all’incirca un dollaro al litro. Se si considerano i costi indiretti, che includono i cambiamenti climatici, il trattamento delle malattie respiratorie, le perdite dagli oleodotti e il mantenimento della presenza militare statunitense in Medio Oriente per tutelare l’accesso al petrolio, si arriva a un totale di tre dollari al litro. Calcoli simili possono essere fatti per il carbone. In questo senso, inganniamo noi stessi con i nostri sistemi di contabilità. Non tenere conto di costi così elevati è una ricetta per arrivare alla bancarotta. I trend ambientali sono gli indicatori che possono dirci quale sarà il futuro dell’economia e, in ultima analisi, della società stessa. L’abbassamento del livello delle falde acquifere di oggi è il preludio all’aumento dei prezzi del cibo di domani. La riduzione delle calotte polari conduce al crollo del valore delle proprietà immobiliari lungo le coste.

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