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ENERGIA DAL DESERTO
I grandi progetti per le rinnovabili nel Mediterraneo
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a cura di Roberto Vigotti
Energia
dal deserto I grandi progetti per le
rinnovabili nel Mediterraneo
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ENERGIA DAL DESERTO I grandi progetti per le rinnovabili nel Mediterraneo a cura di Roberto Vigotti
Realizzazione editoriale Edizioni Ambiente www.edizioniambiente.it Coordinamento redazionale Paola Fraschini Progetto grafico e impaginazione Tati Cervetto
Immagine di copertina Roberto Vigotti © 2011, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333
ISBN 978-88-6627-003-4 Finito di stampare nel mese di novembre 2011 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg) Stampato in Italia – Printed in Italy
I siti di Edizioni Ambiente www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.verdenero.it Seguici anche su Facebook.com/EdizioniAmbiente
I Kyoto Books sono frutto della collaborazione tra Kyoto Club ed Edizioni Ambiente. Sono scritti dagli esperti che fanno riferimento al comitato scientifico di Kyoto Club e dai protagonisti del dibattito internazionale. I Kyoto Books intendono promuovere lo sviluppo di una consapevolezza diffusa in merito alle maggiori tematiche ambientali.
sommario
Enel Green Power I Francesco Starace Gestore dei Servizi Energetici V Nando Pasquali PwC Advisory Italia IX Oliver Galea, Riccardo Tos Presentazione Nadjib Otmane
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Introduzione XVII Giandomenico Magliano
prima SEZIONE • PROSPETTIVE MEDITERRANEE Il Mediterraneo alle soglie del nuovo millenio Predrag Matvejević
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Chiaroscuri mediterranei Margherita Paolini
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seconda SEZIONE • scenari e finalità
1 Il futuro delle rinnovabili secondo la IEA
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2 Il contesto euro-mediterraneo, priorità e strategie di bacino
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Paolo Frankl
Roberto Vigotti
Guida pratica a un’Europa forte e a basso tenore di carbonio European Climate Foundation (ECF)
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4 Stato attuale e prospettive delle rinnovabili nel Mediterraneo Emanuela Menichetti
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terza SEZIONE • criticità
5 Criticità e soluzioni per le rinnovabili nel sud Mediterraneo Roberto Vigotti
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6 Armonizzare le regole per lo sviluppo delle rinnovabili
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7 MEDRING: infrastrutture per la trasmissione elettrica
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8 Il finanziamento dei progetti per lo sviluppo
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nel Mediterraneo Fabio Tambone, Isabella Alloisio
nel Mediterraneo Jacques Kappauf, Matteo Urbani
delle rinnovabili nel Mediterraneo Paolo Gentili, Silvia D’Ovidio
quarta SEZIONE • OPPORTUNITÀ E INIZIATIVE
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Politiche europee per promuovere le fonti rinnovabili nel Mediterraneo Noemi Magnanini, Rosanna Pietropaolo
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10 Il cammino del Marocco verso lo sviluppo sostenibile
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11 Energie rinnovabili: una priorità per l’Algeria
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12 Il settore energetico in Tunisia
189
13 L’enorme potenziale delle fonti rinnovabili in Egitto
195
14 Giordania: impegno per lo sviluppo delle energie rinnovabili
203
15 Il Piano Solare per il Mediterraneo
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16 Spianare la strada al Piano Solare Mediterraneo
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17 Desertec: l’energia del futuro verrà prodotta
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Amina Benkhadra Roberto Vigotti Roberto Vigotti
Emanuela Menichetti
Roberto Vigotti Roberto Vigotti
Florian Sauter-Servaes
nel sud del Mediterraneo? Paul Van Son
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18 MEDGRID nel contesto energetico mediterraneo
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19 l’associazione dei regolatori del Mediterraneo
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20 una nuova iniziativa: res4med
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Roberto Vigotti Luigi Carbone
Roberto Vigotti
quinta SEZIONE • TECNOLOGIE
21 Solare termodinamico
247
22 Ricerca e innovazione nel solare termodinamico
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23 Centrali e sistemi fotovoltaici
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24 Solare fotovoltaico: una tecnologia in evoluzione
287
25 Energia dal vento: scenario attuale,
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26 Studi e ricerca per la trasmissione dell’energia solare
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Mauro Vignolini, Alfredo Fontanella Vittorio Brignoli
Guido Agostinelli
Cedric Philbert
ricerche e prospettive Claudio Casale, Luciano Pirazzi
nel Mediterraneo Gianluigi Migliavacca, Angelo L’Abbate, Alessandro Zani
Conclusioni Gianni Silvestrini
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Energia dal deserto • seconda sezione scenari e finalità
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prima Sezione
prospettive mediterranee
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“Al di là dell’immagine del Mediterraneo, esiste un Mediterraneo dell’immaginario: una forza simbolica che si imprime nella materia della storia.” F. Braudel, Il Mediterraneo, Bompiani, Milano 1987
“Nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa o nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo.” Aldo Moro, Discorso al Senato, 6 dicembre 1973
Il Mediterraneo è segnato dall’eterogeneità della propria storia, dei suoi costumi, delle sue religioni e delle proprie cicatrici. È un mare, un luogo liquido, che esprime varietà di culture , una miriade di stili e una molteplicità di identità. È crocevia e coacervo di arti e di visioni, spesso sfociati in conflitti prima ancora di stratificarsi in sedimentazioni di rancori e lealtà. Ma, come indicato da Braudel, esiste un Mediterraneo dell’immaginario. Esso è stato il bacino iniziatico delle idee, delle religioni, delle scienze, delle tecnologie e perfino del divenire della globalizzazione che del Mediterraneo ha domato e drammaticamente ridimensionato i confini. Oggi, la crisi economica dei paesi della sponda nord unita alla complessità dei mutamenti socio-politici dei paesi della sponda sud, moltiplicano le incertezze sul futuro del Mediterraneo. Al punto da disorientare la maggior parte dei decisori politici ed economici. Paradossalmente, qualunque siano gli esiti politicoistituzionali di un quadro di rapida trasformazione, emergono alcune certezze: le sfide da affrontare sono di natura ambientale ed energetica (cambiamento climatico e spinta demografica) e riguardano tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Con estrema maestria gli interventi di Predrag Matvejević e Margherita Paolini ci conducono lungo il percorso che dalla storia porta all’attualità. Mi auguro che, insieme ai contributi contenuti nelle prossime sezioni, quest’opera contribuisca prima di tutto a rilanciare l’immaginario Mediterraneo, ormai dato per disperso nell’incontrollata astrazione del divenire globale. Di questo immaginario i programmi per le rinnovabili costituiscono altrettanti cantieri di definizione delle più realistiche prospettive comuni.
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IL MEDITERRANEO ALLE SOGLIE DEL NUOVO MILLENNIO
il mediterraneo alle soglie del nuovo millennio
Predrag Matvejević già docente ordinario di slavistica all’Università La Sapienza di Roma, autore di “Breviario mediterraneo”
Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose al tempo stesso. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma una successione di mari. Non una civiltà, ma più civiltà ammassate l’una sull’altra. Il Mediterraneo è un antico crocevia. Da millenni tutto è confluito verso questo mare, scompigliando e arricchendo la sua storia.
Queste parole di Fernand Braudel, che compaiono nella prefazione di un’opera collettiva diretta dal grande storico francese (Il Mediterraneo: lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Bompiani, 1992), servono spesso a introdurre dotte elucubrazioni sul mare Mediterraneo. Ma oggi queste idee, utili e ovvie a un tempo, devono essere ripensate e attualizzate. Tutto è stato detto su questo “mare primario” diventato un distretto marittimo, sulla sua unità e sulla sua divisione, la sua omogeneità e la sua disparità, sui conflitti che lo lacerano: da tempo sappiamo che non è né “una realtà a sé stante” né “una costante”: l’insieme mediterraneo è composto da molti sottoinsiemi che sfidano o confutano certe idee unificatrici. 1
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Concezioni storiche o politiche si sostituiscono alle concezioni sociali o culturali, senza arrivare a coincidere o ad armonizzarsi. Le categorie di civiltà o le matrici di evoluzione al Nord e al Sud non si lasciano ridurre a un denominatore comune. Gli approcci dalla fascia costiera e quelli dall’entroterra spesso si escludono o si contrappongono. Guardare al Mediterraneo considerando solo il suo passato rimane un’abitudine radicata, tanto negli stati costieri quanto in quelli interni. La “patria dei miti” ha sofferto delle mitologie che essa stessa ha generato e che altri hanno nutrito. Lo spazio ricco di storia è stato vittima degli storicismi. La tendenza a confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa si è perpetuata: l’immagine del Mediterraneo e il Mediterraneo reale non si identificano affatto. Qui come altrove, un’identità dell’essere, difficile da definire, offusca o respinge un’identità del fare, poco determinata. La retrospettiva continua ad avere la meglio sulla prospettiva. Ed è così che la riflessione stessa rimane prigioniera degli stereotipi. Per procedere a un esame critico, bisogna alleggerirsi di un’importante zavorra, proveniente dal passato o dal presente, dal mito o dalla realtà. Il Mediterraneo ha affrontato la modernità in ritardo. Non ha conosciuto il laicismo in tutti i suoi aspetti. Ciascuna delle coste conosce le proprie contraddizioni, che non cessano di riflettersi sul resto del bacino e su altri spazi, talvolta lontani. La realizzazione di una convivenza in seno ai territori multietnici o plurinazionali, lì dove s’incrociano e si mescolano culture diverse e religioni differenti, conosce sotto i nostri occhi uno scherzo crudele: il nostro mare avrebbe meritato un destino migliore. L’immagine che offre il Mediterraneo non è affatto rassicurante. Il versante settentrionale presenta un ritardo rispetto al Nord Europa, e altrettanto la sponda meriodionale nei confronti di quella europea. Tanto a Nord quanto a Sud, l’insieme del bacino si lega con difficoltà al continente. Non è davvero possibile considerare questo mare come un vero “insieme” senza tener conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo dilaniano: in Palestina, in Libano, a Cipro, nel Maghreb, nei Balcani, nell’ex-Iugoslavia. L’Unione europea si realizza senza tenerne conto: nasce un’Europa separata dalla “culla dell’Europa”. Come se una persona si potesse formare dopo essere stata privata della sua infanzia, della sua adolescenza. Le spiegazioni che se ne danno, banali o ripetitive, non riescono a convincere coloro ai quali sono dirette. Non ci credono neanche quelli che le propongono. I parametri con i quali al Nord si osservano il presente e l’avvenire del Mediterraneo non concordano con quelli del Sud. Le griglie di lettura sono diverse. La costa settentrionale del mare interno ha una percezione e una coscienza differenti da quelle della costa che le sta di fronte. Ai nostri giorni le rive del Mediterraneo non hanno forse in comune che la loro insoddisfazione. Il mare stesso assomiglia sempre di più a una frontiera che si estende da Levante a Ponente per separare l’Europa dall’A2
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frica e dall’Asia Minore. Le decisioni relative alle sorti del Mediterraneo sono prese, molto spesso, al di fuori di esso o senza di esso: e questo ingenera frustrazioni e fantasmi. Le manifestazioni di gioia davanti allo spettacolo di questo mare si fanno rare, trattenute, e fugaci. Le nostalgie si esprimono attraverso le arti e le lettere. Le frammentazioni prevalgono sulle convergenze. Si profila all’orizzonte, già da tempo, un pessimismo storico. Il “crepuscolarismo” in poesia... Le coscienze mediterranee si allarmano e, ogni tanto, si organizzano. Le loro esigenze hanno suscitato, nel corso degli ultimi decenni, numerosi piani, progetti, programmi: le Carte di Atene e di Marsiglia, le Convenzioni di Barcellona e di Genova, il Piano d’Azione per il Mediterraneo (PAM) e il Plan Bleu di Sophia-Antiopolis che proietta l’avvenire del Mediterraneo “all’orizzonte del 2025”, le Dichiarazioni di Napoli, Malta, Tunisi, Spalato, Palma de Maiorca, tra le tante. Simili sforzi, lodevoli e generosi nelle intenzioni, stimolati e sorretti da commissioni governative o da istituzioni internazionali, non hanno conseguito che risultati scarsi e limitati. Questo genere di discorsi “in prospettiva” sta oramai perdendo ogni credibilità. Gli stati che si affacciano sul mare hanno politiche marittime rudi-
L’area del Mediterraneo vista dal satellite
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mentali. A stento riescono a mettersi d’accordo su prese di posizione, come surrogato di una politica comune. Il Mediterraneo si presenta come uno stato di cose, non riesce a diventare un vero progetto. La riva settentrionale appare occasionalmente nei programmi europei, mentre la riva meridionale ne è generalmente assente. Dopo l’esperienza coloniale, quest’ultima non si pronuncia sulle politiche mediterranee. Entrambe le rive sono molto più importanti sulle carte utilizzate dagli strateghi che non su quelle che dispiegano gli economisti. È forse un caso che si protraggano guerre implacabili proprio in punti d’incontro come il Libano, la Palestina o la Bosnia-Erzegovina? Ma devo fermarmi qui, non senza una penosa perplessità. Ho ricevuto da Ivo Andrić, poco tempo dopo l’attribuzione del Premio Nobel, uno dei suoi romanzi tradotti in italiano, con una dedica scritta nella stessa lingua che riportava una citazione di Leonardo da Vinci: “Da Oriente a Occidente in ogni punto è divisione”. Quella considerazione mi ha sorpreso: quando e come il pittore e il filosofo hanno potuto fare un’osservazione o un’esperienza simile? Non lo so ancora. Ho spesso pensato a questa breve massima nel corso dei miei peripli. Più tardi, ho potuto rendermi conto di quanto possa applicarsi al destino dell’exIugoslavia e alle passioni che l’hanno dilaniata. Rievoco qui, una volta di più: frontiera tra Oriente e Occidente, linea di ripartizione tra gli antichi imperi, spazio dello scisma cristiano, faglia tra cattolicesimo latino e ortodossia bizantina, luogo di conflitto tra cristianità e islam. Primo paese del Terzo Mondo in Europa, oppure primo paese europeo nel Terzo Mondo, è difficile stabilirlo. Altre fratture si aggiungono: vestigia di imperi sovranazionali, asburgico e ottomano, porzioni di nuovi stati ritagliati ad arbitrio dagli accordi internazionali e dai progetti nazionali, eredità di due guerre mondiali e di una guerra fredda, idee di nazione del XIX secolo e ideologie nazionaliste del XX, direzioni tangenti o trasversali Est-Ovest e Nord-Sud, relazioni tra l’Europa dell’Est e quella dell’Ovest, divergenze tra i paesi sviluppati e quelli “in via di sviluppo”. Tante divisioni si confrontano su quella parte di penisola balcanica “tra Occidente e Oriente”, con un’intensità che in certi momenti fa pensare alle tragedie antiche, nate non lontano da questi luoghi. Sull’altra riva, la sabbia del Sahara (parola che significa “terra povera” o “arida”) avanza e invade da un secolo all’altro, chilometro dopo chilometro, le terre che lo circondano. Per ampi tratti non resta che una striscia coltivabile, tra mare e deserto. E adesso quel territorio diventa sempre più popolato. I suoi abitanti sono per la maggior parte giovani. Mentre quelli della costa settentrionale invecchiano. Le egemonie mediterranee si sono esercitate a turno, i nuovi stati hanno preso il posto dei più antichi. Le tensioni che si creano lungo la costa africana suscitano le inquietudini del Sud e del Nord. Se l’arretratezza fa nascere l’ignoranza o provoca l’indolenza, 4
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l’abbandono o l’indifferenza possono farle aumentare. Una lacerante alternativa divide gli spiriti del Maghreb e del Mashrek: modernizzare l’islam o islamizzare la modernità. Queste due ipotesi non possono collimare: una sembra escludere o rinnegare l’altra. Così si aggravano le relazioni non soltanto tra il mondo arabo e il Mediterraneo, ma anche in seno alle nazioni musulmane, tra i loro progetti unitari e le loro propensioni particolaristiche. Le chiusure che si stabiliscono nell’intero bacino contraddicono una naturale inclinazione all’interdipendenza. La cultura non è in grado di fornire un aiuto soddisfacente. A un autentico dialogo si sostituiscono vaghe trattative: Nord-Sud, Est-Ovest. La bussola sembra si sia rotta. A che cosa serve ribadire, con rassegnazione o con esasperazione, le aggressioni che continua a subire il Mediterraneo? Nulla tuttavia ci autorizza a ignorarle: degrado ambientale, inquinamenti sordidi, iniziative selvagge, movimenti demografici mal controllati, corruzione in senso letterale o figurato, mancanza di ordine e scarsità di disciplina, localismi, regionalismi, e quanti altri “ismi” ancora. Il nostro mare non è comunque il solo responsabile di questo stato di cose. Le sue migliori tradizioni (quelle che associano l’arte e l’arte di vivere) si sono opposte invano. Le nozioni di scambio e di solidarietà, di coesione e di “patneriato” (questo neologismo diventa un passe-partout) devono essere sottoposte a un esame critico. La sola paura dell’immigrazione proveniente dalla costa sud non basta per determinare una politica ragionata e di più ampio respiro. La costa sud mantiene le sue riserve, non dimenticando l’esperienza del colonialismo. Il Mediterraneo esiste al di là del nostro immaginario? Ci si domanda al Sud come al Nord, a Ponente come a Levante. Eppure esistono modi di essere e maniere di vivere comuni o avvicinabili, a dispetto delle scissioni e dei conflitti. Alcuni considerano all’inizio e alla fine le rive stesse, altri si contentano di delineare le facciate. Talvolta non ci sono soltanto due visioni o due diversi approcci, ma anche due sensibilità o due vocabolari diversi. Ne risultano varie fratture retoriche, stilistiche o immaginarie, altre visioni che si nutrono del mito o della realtà, della miseria e di una certa fierezza. Molte definizioni che fanno parte del nostro patrimonio devono essere prese con cautela. Non esiste una sola cultura mediterranea: ce ne sono molte in seno a un solo Mediterraneo. Sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri differenti, raramente uniti e mai identici. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni e forme di espressione vicine. Le differenze sono segnate da origini e storia, credenze e costumi, talvolta inconciliabili. Né le somiglianze né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le seconde. Il resto è mitologia. 5
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Elaborare una cultura intermediterranea alternativa, mettere in atto un progetto del genere non pare imminente. Condividere una visione differenziata, è meno ambizioso, anche se non sempre facile da realizzare. Le vecchie funi sommerse, che la poesia si propone di ritrovare e di riannodare, sono spesso state rotte o strappate dall’intolleranza o dall’ignoranza. Questo vasto anfiteatro per molto tempo ha visto sulla scena lo stesso repertorio, al punto che i gesti o la recitazione dei suoi attori sono spesso noti e prevedibili. In compenso, il suo genio ha saputo riaffermare in ogni epoca la sua creatività e rinnovare la sua fabulazione. Occorre ripensare le nozioni consunte di periferia e di centro, gli antichi rapporti di distanza e di prossimità, i significati dei tagli e degli inglobamenti, le relazioni delle simmetrie a fronte delle asimmetrie. Non basta più osservare queste cose unicamente sulla scala delle dimensioni relative: possono essere considerate anche in termini di valori. Certe concezioni euclidee della geometria hanno bisogno di essere superate. “Invenzioni dello spirito mediterraneo”, i canoni della retorica e della narrazione, della politica e della dialettica, sono stati adoperati per troppo tempo e talvolta appaiono logori. Non so se invocazioni di questo tipo possono essere d’aiuto per non lasciarsi sopraffare da quel pessimismo storico che ho evocato all’inizio di questo periplo, e che ricorda, in certi momenti, l’angoscia segreta dei navigatori del passato che si dirigevano verso rive sconosciute. Potremo fermare o impedire nuove “divisioni”, “in ogni punto”, “da Oriente a Occidente”? Sono domande che restano senza risposta.
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chiaroscuri mediterranei
II
Chiaroscuri mediterranei
margherita paolini Coordinatrice scientifica “LIMES. Rivista italiana di geopolitica”
I paesi mediterranei della riva nord sono partner fisiologici di quelli della riva sud emersi dalla Primavera araba. Minacciati dalle speculazioni di una finanza fuori regole che ha scavato voragini sulle falle delle loro economie, sono più vicini in tutti i sensi ai loro dirimpettai di quanto non lo siano le petromonarchie del Golfo. Mentre nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente la gente scendeva nelle strade chiedendo lavoro, libertà di espressione e la fine della corruzione, la stessa regia speculativa ricavava infatti, in nove mesi di levitazione artificiale del barile elettronico sopra i cento dollari, profitti incalcolabili per sé e una rendita petrolifera per i paesi Opec (in maggioranza arabi del Golfo) di oltre mille miliardi di dollari. Molte delle rivendicazioni gridate dalle piazze nordafricane sono ora scritte nei programmi affidati ad assemblee costituenti liberalmente elette. Là dove il primo round di verifica ha potuto aver luogo, la primavera araba sembra 7
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aver tenuto, restando sostanzialmente fedele al rispetto del confronto politico a cui si era impegnata. Ma ora la levità delle sue aspirazioni è messa duramente a confronto con il pesante conto da pagare per i mesi di mobilitazione e, soprattutto, per i debiti con le casse statali semivuote che i regimi abbattuti hanno lasciato in eredità. A titolo di esempio, la compagnia del gas egiziana si ritrova schiacciata da 4 miliardi di dollari di debiti contratti con companies straniere per acquisti di gas egiziano, da esse prodotto, necessario al fabbisogno energetico locale. Un debito da restituire in tempi brevissimi, pena l’interruzione delle attività di sviluppo nel Delta del Nilo e nell’offshore profondo Mediterraneo. Due aree con promettenti riserve di gas da cui lo stato egiziano spera, in un prossimo futuro, di ricavare la valuta necessaria a sostenere gli acquisti all’estero di più del 50% di prodotti alimentari di base. Per restituire il debito nei tempi che le sono stati imposti, la compagnia nazionale egiziana si è vista costretta ad accenderne un altro con tre grandi finanziarie di Wall Street resesi disponibili ad accordarlo per un anno. Ovunque sulla sponda sud mediterranea, la Primavera araba ha levato la sua voce, le agenzie di rating hanno imperversato, dando una mano alla speculazione e calcolando il rischio-paese anche sulla base della percentuale di popolazione giovanile sotto i 25 anni, tanto più se disoccupata (un tasso medio del 25% che arriva al 30% per quella femminile). Percentuali destinate a crescere per la caduta degli investimenti in alcuni paesi: per mantenere i livelli attuali, la Banca Mondiale prevede che, al 2020, sarà necessario creare 51 milioni di nuovi posti di lavoro. Secondo altre stime, ce ne vorranno molti di più. La Primavera araba è stata ritenuta responsabile di bancarotte che invece covavano da tempo ma che il Fondo Monetario e la Banca Mondiale si son ben guardati dal denunciare. Al contrario, hanno dato assicurazioni sulla tenuta economica e solvibilità di alcuni paesi fino a pochi giorni prima che le rivolte di piazza esplodessero. I vecchi regimi, considerati dall’Occidente degni di continuità al pari di monarchie ereditarie, hanno infatti sempre goduto di credito, anche finanziario, per essersi presentati come alleati fidati nella lotta contro il terrorismo e come vigilantes insostituibili della stabilità regionale. Ma è stato piuttosto il comportamento dei loro clan, irresponsabile quanto avido, a innescare il terremoto delle ribellioni popolari. Contraddicendo le previsioni che la demonizzavano come foriera di caos, la Primavera araba ha invece portato le sue masse a partecipare, con convinzione, alle prime libere consultazioni elettorali della storia postcoloniale della regione. In quei paesi poi, come Algeria e Marocco, dove i governi hanno cercato tempestivamente di capire le istanze sociali della mobilitazione popolare e dimostrato disponibilità a un dialogo costruttivo, la protesta di piazza si è fermata, pur se in vigilante attesa. Nel caso algerino ha pesato non solo la memoria della grave crisi sofferta nel passato ma anche la visione, alle porte, delle devastazioni del territorio che hanno accompagnato 8
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chiaroscuri mediterranei
II
la rivolta antiregime libica. Legittima per molti aspetti, ma meno matura politicamente di quelle che l’hanno preceduta e, soprattutto, scarsamente rappresentativa di un puzzle territoriale di per sé già molto complesso. Se continua a mancare la capacità di gestire in tempi brevi un processo di coesione intorno a una idea di identità nazionale, il cammino della Libia verso la normalizzazione rischia di diventare molto lungo. Con effetti, anche destabilizzanti, che le sue periferie fuori controllo potrebbero provocare alle frontiere dei paesi vicini. C’è chi ha temuto che la Primavera araba potesse rimettere in discussione o comunque provocare atteggiamenti diffidenti nei confronti del modello di cooperazione energetica intermediterranea, concepito da progetti come il Desertec e Medgrid o come parto dell’Unione per il Mediterraneo. Non solo perché concordato nei tempi “sospetti” dei passati regimi ma soprattutto per l’imprinting eurocentrico con cui il modello era inizialmente sbarcato sulla sponda sud mediterranea. C’è invece chi ha ritenuto che il processo di cambiamento avviato in Nord Africa, con la maggiore attenzione rivolta ai bisogni a lungo termine del territorio, potesse portare a migliori opportunità di collaborazione tra le due sponde: a far maturare una strategia locale di cooperazione energetica intermediterranea su cui costruire una vera partnership condivisa. Ed è ciò che sta avvenendo. La Primavera araba non ha comportato ritardi ma piuttosto spazi temporali da utilizzare al meglio, per sviluppare i programmi di energia rinnovabile previsti a livello sud-sud e sud-nord dell’area mediterranea. C’è un patrimonio scientifico e tecnologico da capitalizzare insieme in questo periodo di transizione, puntando proprio sui nuovi spazi politici e fisici che si vanno aprendo.
Meteorologia geopolitica del Mediterraneo
Per cercare di interpretare i chiaroscuri del clima creato dalle stagioni seguite alla Primavera araba, proviamo a rappresentarlo attraverso una metafora di meteorologia geopolitica. Che ha il vantaggio di dare una lettura non statica, aperta a improvvise schiarite così come a impreviste perturbazioni che potrebbero scatenarsi fuori campo, alle periferie del nostro scenario di osservazione ma con esso interagenti (Iran?). I territori segnati da nuvolosità e temporali denunciano situazioni di insicurezza o di tensione: il che non significa che si debbano trascurare le aree immediatamente a essi limitrofe: al contrario, è proprio in quelle che bisogna lavorare con postazioni di ricerca e sperimentazione e con progetti pilota, per andare incontro alla buona stagione che tornerà. Studi e progetti non dovranno essere rimandati ma piuttosto essere portati avanti sulla base di un timing realistico, scandito dell’evolversi della situazione complessiva. Per un po’ di tempo purtroppo, i paesi dirimpettai nord mediterranei avranno tempo instabile: per non coprirli con nuvole e temporali, la metafora li rappresenta schematicamente “al verde”. Verdi paludi di debito sovrano dove Moody e Standard & Poor ogni tanto si affacciano, profeti di 9
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Energia dal deserto • prima sezione prospettive mediterranee
sventura. Questa situazione non aiuta la costruzione di quelle partnership robuste di cui ci sarebbe reciproco bisogno. Al know-how di qualità tecnologica e scientifica che i partner mediterranei europei possono portare in dote, non si accompagnano risorse finanziarie adeguate. Alla cui scarsità si potrebbe supplire almeno con manifestazioni di forte volontà politica: quella di cui abbondano, in nostra vece, i partner nord europei. Figura 1
Prendiamo dunque in esame, applicando la nostra metafora (figura 1), il bacino del Mediterraneo nella sua distinzione sud occidentale e orientale. Seguiamo il filo conduttore dello schema di “anello elettrico” che delimita il campo dei programmi di integrazione regionale sud-sud delle reti e delle interconnessioni elettriche tra i vari blocchi di paesi, nonché dello scambio energetico futuro tra le due sponde (figura 2). Sul Nord Africa compaiono ampie schiarite su tutta la costa mediterranea, mentre sul Levante si addensano annuvolamenti e temporali. La Primavera araba ha portato a impatti diversi sui due bacini, anche se la specifica perturbazione che si è addensata sulle acque del Mediterraneo orientale non è del tutto a essa attribuibile. Sul Maghreb, il tempo generalmente buono è dovuto alla relativa stabilità che si è venuta a creare in Marocco e Algeria, grazie agli impegni di rinnovamento che i rispettivi governi si sono impegnati a gestire, sia pure gradualmente. E grazie all’esito rassicurante, a effetto domino, delle elezioni 10
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chiaroscuri mediterranei
II
legislative in Tunisia. Tra il blocco del Maghreb e l’Egitto, porta del Mashrek, la discontinuità di clima politico aperta dalla rivolta libica ha provocato addensamenti nuvolosi al centro del paese e temporaleschi al sud che tendono a scendere sulla fascia saheliana.
Agitazioni e perturbazioni locali
Vediamo ora di approfondire alcuni dettagli della meteorologia nordafricana. In Marocco, il tempo soleggiato è dovuto alla capacità di arginare le manifestazioni di piazza dimostrata dal Re Mohammed VI. Comprimendo tempestivamente i prezzi dei beni di largo consumo ma soprattutto con il referendum sul progetto di costituzione che dovrebbe passare al parlamento una parte dei poteri della monarchia stessa. Sempre nell’ambito della futura costituzione, un aspetto importante che vi è contemplato è quello di dare ampio riconoscimento alla lingua e alla cultura della comunità berbera marocchina. Con questa base di consenso e un forte dialogo attivato con l’ala di centro dei Fratelli musulmani (che emargina le minoritarie correnti salafite più intransigenti), la monarchia ha guadagnato per ora in credibilità. Il problema cruciale è piuttosto nel deficit di bilancio che potrebbe creare un freno alla necessità di venire incontro alle rivendicazioni dovute agli alti tassi di povertà e alle crescenti sperequazioni sociali. Un’assistenza finanziaria dall’esterno sarebbe possibile aderendo alla proposta di accessione al Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), rivolta dall’Arabia Saudita a Marocco e Giordania. Ma sono in molti a ritenere che gli interessi della ricca petromonarchia del Golfo siano più indirizzati ad aprire una finestra strategica nel Maghreb e alla diffusione dell’islam, di Figura 2
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tendenza ultraconservatrice wahabita. piuttosto che ad aiutare il Marocco a fronteggiare le istanze sociali più urgenti. Intanto, il turismo marocchino si rafforza a spese di quello tunisino ed egiziano, mentre le zone franche di investimento collegate allo sviluppo dei porti nel contesto del colosso Tangermed, alimentano buone speranze. Di fondamentale importanza per il sud e sud-est marocchino, è che la situazione libica si stabilizzi riassumendo il controllo delle regioni meridionali; il Marocco ha intanto offerto al governo di transizione libico la sua assistenza per progetti di ricostruzione e di riassetto del territorio. In Algeria, troviamo tempo buono sulla costa e al centro del paese. Il governo di Bouteflika ha optato per un percorso autoriformatore, sia pure per gradi: a cominciare dalla riforma annunciata del sistema di telecomunicazioni che dovrebbe mettere fine al monopolio statale, agli interventi urgenti per la crisi degli alloggi sul punto di esplodere. Con l’intermezzo di misure a raffica contro il carovita, incrementando i salari nel settore pubblico e provvedendo sussidi ai prodotti alimentari di base. Manca tuttavia ancora nell’establishment algerino la capacità di aprirsi a un rinnovamento generazionale, ad assumere un dinamismo riformatore fortemente propositivo. Timori di sconfinamenti di gruppi armati e traffici di armi trafugate dai depositi dei lealisti di Gheddafi, sono indicati dagli addensamenti di nuvole con fronte temporalesco a sud, dove si trovano i più importanti giacimenti di gas di nuovo sviluppo e anche le più vaste potenzialità di sfruttamento dell’energia solare. Questa preoccupazione non è solo di Algeri. In un incontro interministeriale dei paesi del Sahel (Algeria, Mauritania, Mali e Niger) cui hanno partecipato rappresentanti Usa, della Ue e Onu, tenutosi ad Algeri, si è sottolineata la pericolosità della situazione creatasi ai confini della fascia saheliana, a seguito della mancanza di controllo sui territori del sud-ovest libico. Lo sbandamento di milizie appartenenti a tribù transnazionali tuareg e tubou ha fatto del Sahel “una polveriera”. E si è dichiarato che “la situazione può avere effetti negativi sulla stabilità regionale in un’area già interessata da traffici di droga e retroterra di bande di alQaida Maghreb (AQim)”. Il gruppo terrorista ha infatti potuto impadronirsi e trafficare vari tipi di armi, tra cui svariate migliaia di missili coreani terra-aria portatili tipo Sam7, in grado di abbattere aerei civili di grandi dimensioni. Una parte di questi missili sarebbe oggetto di un traffico su larga scala che, dalla regione dell’Alto Nilo egiziano, ha già raggiunto la Somalia. E mentre il Dipartimento di Stato americano affida il compito a società private specializzate di recuperarne il maggior numero possibile, AQim ha ripreso a fare attentati, come quello alla scuola militare algerina di Cherchell, eseguito in piena festività musulmana del Ramadan. Una riprova che la connotazione criminale ha totalmente soppiantato l’originaria, anche se distorta, centralità islamica delle ideologie jihadiste. Clima sereno in Tunisia: alfiere della Primavera araba, è arrivata anche per 12
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prima alle elezioni di un’assemblea costituente cui toccherà decidere, entro un anno, che tipo di sistema politico dare al paese, scrivere la costituzione e nominare un nuovo governo che sostituirà quello ad interim. L’andamento dei lavori dell’assemblea costituente metterà alla prova le capacità del maggior partito islamista, al-Nahada, di mantenere l’impostazione pluralista che ha garantito la sua affermazione. Il polo modernista è riluttante a collaborare e i gruppi fortemente minoritari, ma organizzati, dei salafisti sono difficili da controllare. Tunisi conta i costi della sua primavera, il crescente divario tra città e campagna evidenziato dalla crisi economica, il calo del turismo, la perdita delle rimesse di migliaia di lavoratori tunisini in Libia. Ma il morale è alto e c’è molto dinamismo: con il cambiamento si riscontra una maggiore attenzione allo sviluppo dell’interno e del sud del paese. L’emergere di al-Nahada, inoltre, è un segnale dell’ascesa, anche a scala transazionale, dell’islam politico in tutta la regione sud mediterranea che, dal Marocco alla Turchia, crea inediti legami di solidarietà regionale. Sulla Libia, ancora qualche nuvola sulla costa e le perturbazioni ai confini della fascia saheliana cui si è già accennato. La difficoltà di gestire i territori meridionali rende il tempo incerto anche sulla regione centro-orientale. Con la fine della missione Nato è iniziata l’ora zero: il ritorno del paese alla stabilità è fondamentale per ogni progetto di sviluppo e integrazione regionale del Nord Africa, sia in termini economici sia di politiche energetiche. C’e indubbiamente una nuova Libia che si sforza di venire alla luce: ma il problema di fondo è che si tratta di costruire ex novo delle istituzioni mentre manca a livello diffuso il riconoscimento dell’autorità dello stato. A fine 2013 è previsto che il paese abbia una costituzione approvata con referendum ed elezioni per il parlamento e per il presidente. Ma le variabili di rischio sono le risorse energetiche e il tessuto tribale, fattore di disgregazione più che tessuto connettivo. Circolano ipotesi di una distribuzione decentralizzata sia del potere sia della rendita petrolifera, mentre continua ad affiorare lo storico antagonismo tra Benghazi e Tripoli, passata sotto il controllo di militanti islamisti radicali in competizione con quelli della Cirenaica. Al sud, più che di possibili minacce di gruppi lealisti dell’ancien régime, si tratta di venire a capo del “nodo tuareg”, arroccato tra Sebha e Ghat, già serbatoio di milizie di élite di Gheddafi e guardiano insostituibile delle frontiere sahariane, che potrebbe aver deciso di ritagliarsi in quell’area un proprio territorio. Dove, peraltro, esistono risorse importanti di gas e petrolio. Riportare la produzione petrolifera a rendite come quella toccata nel 2010 con 44 miliardi di dollari, è una prospettiva lontana, ma le ingenti riserve, anche di gas, costituiscono una garanzia per il futuro. Ora è soprattutto il recupero degli assets esteri che permette di affrontare finanziariamente le problematiche più urgenti. 13
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La devastazione del territorio, da Ras Lanuf a Tripoli, è molto grave: occorre provvedere anzitutto al ripristino dei servizi di acqua ed elettricità e all’assistenza sanitaria della popolazione urbana, alla sistemazione di oltre 300.000 sfollati interni, alla grave mancanza di mano d’opera specializzata determinata dalla fuga degli immigrati. Quest’ultimo aspetto sottolinea l’importanza che, parallelamente al processo di riconciliazione nazionale, si ricrei, al più presto, un raccordo territoriale ed economico tra la Libia e i paesi del Maghreb. Soprattutto con la Tunisia che è stata molto colpita, in termini di opportunità di lavoro e di investimenti, dalla crisi del suo importante vicino. La stabilizzazione politica e la ricostruzione delle infrastrutture della Libia è poi fondamentale per ripristinare la continuità dei collegamenti fisici ed economici tra Maghreb e Mashrek. Il cielo si mostra sostanzialmente sereno sull’Egitto, nonostante il peso di ingenti debiti. Qualche nuvola al sud per la porosità delle frontiere con la Libia, addensamenti sul Sinai che ora vede ai suoi confini un’area di forte perturbazione sul Mediterraneo orientale, causata dalla presenza di ingenti riserve offshore di gas naturale contese tra i vari paesi costieri. La Primavera araba ha rimesso al centro l’Egitto, come referente non solo del Levante nel nuovo asse politico ed energetico che si è saldato tra il Cairo e Ankara, ma anche del Maghreb per l’emergere a scala regionale dell’islam politico dei Fratelli musulmani. Che proprio nel Delta del Nilo, più di ottanta anni fa, ha conosciuto la sua prima stagione. Il negoziato sullo scambio di prigionieri tra Hamas e Israele ha confermato il ruolo di rilievo assunto dal Cairo e anche il livello di alleanza politica maturato tra lo SCAF, il Consiglio Supremo delle Forze Armate, e i Fratelli musulmani egiziani. Questa alleanza sembra essere il perno dell’attuale stabilità del paese anche se forse delude le passioni più rivendicative di piazza Tahrir: rinunciare a fughe in avanti delle richieste sociali che la situazione debitoria del paese non può sostenere, evitare posture islamiste che possano scoraggiare gli investimenti e il turismo, tenere a bada le intemperanze dei salafisti più irriducibili. In compenso l’accordo, già operativo, ha introdotto un diverso rapporto con Israele: non conflittuale ma che rimette in discussione la linea accomodante tenuta dal regime di Mubarak. Si recupera la sovranità sul Sinai, si interrompono le forniture di gas a Israele a prezzi scontati e si dà deciso sostegno politico a Hamas. Quanto all’asse Cairo-Ankara che è visto soprattutto in chiave economica e di cooperazione nel settore del gas, di fatto attrae l’Egitto nella dimensione politico strategica voluta da Erdogan: quella di una ragnatela di relazioni tra la Turchia e il mondo arabo mediterraneo che tende a circuitare la proiezione marittima di Israele sul Mediterraneo orientale e a sostenere la questione della libera circolazione nelle acque di Gaza. Relazioni tra stati che di fatto passano attraverso la rete della Fratellanza musulmana, dall’Atlantico marocchino al Qatar nel Golfo. 14
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La Siria che verrà, su cui Erdogan sta investendo con il sostegno politico e logistico all’opposizione antiregime, dovrebbe anch’essa fare parte di questa configurazione stellare. Al di là delle soddisfazioni politiche che gli vengono dalla riconquista di un prestigio nel mondo arabo e islamico, l’Egitto si torce tuttavia dai debiti che si stratificano, a forza di spalmare sussidi su beni di consumo di prima necessità: alimentari e prodotti petroliferi. Nel 2011 ben 16,7 miliardi di dollari sono andati in sussidi energetici. Le riserve in valuta, calate in 8 mesi da 36 a 28 miliardi di dollari, sono sufficienti per pochi mesi di importazioni di grano, zucchero, olio vegetale. Il tasso di disoccupazione (dato ufficiale) è passato dal 9% all’attuale 12%. Dalla cornucopia degli aiuti promessi e poi raddoppiati in sede di G8 nel settembre 2011, qualcosa arriverà nel 2013. Intanto c’è un sostanzioso pacchetto di 10 miliardi di dollari del Qatar che in cambio ha ottenuto la cessione di una bella fetta di azioni del nuovo porto commerciale internazionale, situato in posizione strategica all’ingresso del Canale di Suez. Alle frontiere del Sinai si affaccia la regione del Levante entrata tutta in fibrillazione a seguito di due crisi che si sono aperte contemporaneamente. La crisi di Cipro, che coinvolge i rapporti tra Ankara e Nicosia, contrappone soprattutto Ankara direttamente a Tel Aviv. Ma è la crisi siriana, esplosa in seguito alle repressioni con cui il regime di Damasco ha cercato di bloccare le manifestazioni di piazza nate sulla scia della Primavera araba, che produce onde di instabilità in tutta l’area. Dalla Giordania al Libano, a Israele, alla frontiera turca, arrivando fino a coinvolgere il Kurdistan iracheno. Le perturbazioni levantine evidenziano anche il livello di criticità posto dai problemi di approvvigionamento energetico. La crisi nel Mediterraneo orientale è partita dall’accordo Cipro-Israele che ha definito un’area di partnership per la ricerca e lo sfruttamento di presunte, vaste risorse gasifere offshore del bacino del Levante. L’accordo, che Ankara ha subito contestato, consolida di fatto le rivendicazioni di Israele su una porzione strategica delle risorse, in parte reclamate anche dalla parte turca di Cipro, dal Libano e da Gaza, le cui coste si affacciano anch’esse sul bacino del Levante. Quanto all’Egitto, esprime sospetti che i giacimenti più occidentali del bacino del Levante facciano anche parte del confinante offshore profondo della sua zone economica esclusiva (Zee). Israele vorrebbe fare di Cipro un hub di export del gas prodotto verso l’Europa in competizione diretta con la Turchia che si attribuisce un ruolo storico di ponte tra il gas del Caspio e del Centro Asia e il mercato europeo. In questa diatriba intervengono però anche questioni legate alla sicurezza degli approvvigionamenti, critica per entrambi i paesi e la ricerca di rendite finanziare che li possano garantire a medio e lungo termine. Sia Israele sia Ankara sono infatti paesi che devono fronteggiare consumi elettrici interni in forte ascesa e quindi fabbisogni crescenti di gas naturale per alimentare le centrali elettriche. 15
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La crisi siriana, d’altra parte, assume aspetti critici per Ankara poiché blocca parte dei suoi disegni energetici nella regione del Levante, focalizzati sul transito di gas iracheno anche attraverso il territorio siriano. Così da alimentare flussi aggiuntivi di export via Turchia, evitando le regioni anatoliche esposte ad attentati curdi. Anche a Erdogan interessa tagliare il cordone ombelicale con il regime di Damasco e prendere parte per la componente dei Fratelli musulmani attiva nell’opposizione. Ma avrebbe voluto evitare il trascinarsi di una crisi, con rischi di guerra civile alle sue frontiere, devastante per tutta la regione. Le pesanti minacce di Damasco a Giordania e Israele hanno ulteriormente aggravato la situazione. D’altra parte, la questione delle minoranze cristiane e druse che mantengono l’appoggio al regime alawita nel timore di venire discriminate da parte di movimenti integralisti islamici, complica il quadro. Può anche darsi che la bonanza del gas del Levante venga ridimensionata nella stima delle risorse facendo rientrare almeno quella crisi e permettendo di trovare invece una soluzione concordata alla divisione di Cipro. Ankara ha un conto aperto con Nicosia che vede come ostacolo ai suoi negoziati sul processo di accessione europeo visto che ne ha bloccato sei capitoli tra cui quello dell’energia. Quanto alla crisi siriana, poiché non è pensabile una soluzione esterna di tipo libico ma neanche una tenuta a lungo termine del regime attuale, si arriverà a un certo punto a una fase di transizione, preceduta dalla defezione politica di Bashar al-Assad. In definitiva, una regione chiave dell’anello elettrico mediterraneo, in cui devono essere potenziate le interconnessioni sud-sud, viene a essere coinvolta da fenomeni di instabilità. Inaspettatamente, nonostante si trovi indaffarata con i problemi di tutto il condominio levantino, in contraddizione clamorosa con il mantra di Davotoglu (“zero problemi con i vicini”), la Turchia dichiara di volersi assumere un ruolo di promotore regionale per la connessione sud-sud dell’anello elettrico mediterraneo. Il ministro turco dell’energia Taner Yildil ha infatti annunciato al Cairo di lavorare a un master plan per le interconnessioni elettriche nei paesi della sponda sud ed est del Mediterraneo, elencandoli: Siria (prescindendo dalla situazione o dandone per scontato l’esito), Libano, Giordania, Palestina, Egitto, Libia, Marocco e Algeria. “Un sistema di interconnessioni sarà disponibile per la regione sud del Mediterraneo così come lo è per quella nord” ha detto.
Produzione di elettricità e scenario energetico: un ruolo per l’Italia
Il forte aumento dei consumi di energia elettrica su tutta la sponda sud del Mediterraneo e la crescente domanda di gas sul mercato europeo per la produzione di elettricità, portano a fare alcune considerazioni sullo scenario energetico di fondo. Attualmente il mercato internazionale del gas naturale ha quotazioni basse perché in gran parte falsato dalla sovrapproduzione americana di shale gas: questo fenomeno sarà probabilmente ridimensionato per l’impatto ambientale delle tecnologie di fratturazione impiegate. 16
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fonte: Dii-Siemens
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In Europa, a seguito delle norme comunitarie antinquinamento, i consumi di gas tendono a crescere con il suo l’utilizzo come feedstock delle centrali elettriche, sostenuto anche dalla progressiva dismissione delle centrali nucleari tedesche. Il gas salirà di prezzo e la rimuneratività del mercato europeo spingerà i paesi produttori della sponda sud mediterranea a mantenere elevati i livelli di esportazione: dunque a cercare di contenere il suo utilizzo per la produzione locale di elettricità. Questa equazione apre la porta allo sfruttamento di energia solare in supporto alla produzione convenzionale di elettricità alimentata da gas naturale. Di fatto alla diffusione di centrali elettriche cosiddette ibride, in particolare in paesi produttori come Algeria ed Egitto (e in prospettiva la Libia). Un altro aspetto contribuirà a favorire nei paesi produttori la diffusione di impianti che sfruttano l’energia termica solare: il vapore prodotto può essere infatti impiegato (Chevron docet) per tecniche di oil recovery; anche in questo caso risparmiando quote di gas naturale. Lo sfruttamento dell’energia solare si va poi affermando come una soluzione che può contribuire a creare le condizioni di uno sviluppo economico più equilibrato del territorio. La questione della rendita proveniente dallo sfruttamento delle risorse energetiche emerge infatti come una grande occasione di sviluppo a lungo termine fino a oggi sostanzialmente mancata. Anche nei paesi non produttori o scarsamente produttori di idrocarburi, come il Marocco e la Tunisia, lo sviluppo delle energie rinnovabili per fronteggiare la crescita dei consumi di elettricità e ridurre le spese di importazione di prodotti petroliferi e di gas viene visto con molto favore. Le energie rinnovabili consentono poi di portare sviluppo in aree lontane e localmente depresse dove spesso la protesta popolare si è sviluppata. Questa possibilità di produrre elettricità dall’energia solare per i fabbisogni interni è legata a doppio filo all’obiettivo di attirare investimenti dedicati a progetti 17
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di esportazione di elettricità in Europa. Da questo contesto deriverebbero la rendita energetica e lo sviluppo locale di know-how necessari a produrre anche per il mercato locale. A chiarimento di questa tendenza, seguono alcuni flash in merito sui paesi del Maghreb e l’Egitto. In Marocco esistono condizioni favorevoli per lo sviluppo di iniziative volte a esportare elettricità prodotta da energia solare verso il mercato europeo: la posizione strategica a distanza ravvicinata con la Spagna e l’esistenza di infrastrutture di interconnessione già esistenti e in potenziamento. D’altra parte, l’aumento dei fabbisogni interni di elettricità (+7% annuo) grava sempre più sulle importazioni di prodotti petroliferi in un regime di prezzi elevati. Il duplice obbiettivo di sfruttare le potenzialità locali di energia solare per esportare elettricità e utilizzare quote di quella prodotta per il fabbisogno interno limitando le importazioni di idrocarburi, è stato appoggiato con convinzione dalle autorità locali. Il Marocco ha lanciato un piano solare che prevede di realizzare in partnership pubblico-privata una serie di impianti e di porsi come ponte privilegiato dell’esportazione in Europa di energia elettrica prodotta localmente. Nonostante le difficoltà a sostenere pienamente i ritmi del piano, nel clima di crisi finanziaria generalizzata, il progetto chiave della centrale di Ouerzazate è diventato un punto di impegno della Dii (Desertec Industrial Initiative) che lo sponsorizza e ne ha confermato l’entrata in funzione al massimo per il 2016. A livello tecnico-economico emerge tuttavia la convinzione che, per non ritardare i programmi, la soluzione più praticabile nel breve-medio termine sarebbe quella di sviluppare centrali elettriche di tipo ibrido: il progetto pilota già realizzato ad Ain Beni Mathar da società spagnole, utilizza infatti anche quote di gas algerino, in transito via gasdotto attraverso il Marocco ed esportato in Spagna. È una opzione che, nel difficile momento finanziario attuale sembra dare maggiore sicurezza agli investimenti poiché viene garantita la continuità del feedstock gas naturale. Ed è proprio per disporre di una certa quantità locale di gas che il governo marocchino sembra tentato dall’avventura di sfruttare i depositi di shale gas presenti nel centro est e sud del paese. Anche la Tunisia, nonostante le speranze di aumentare le sue risorse di gas e petrolio con i ritrovamenti onshore nel centro del paese e nell’offshore di Gabes, dipende in gran parte dalle importazioni per alimentare le sue centrali elettriche. Lanciatissima a promuovere il ruolo delle rinnovabili nel paese prima della rivolta, lo è rimasta per convinzione. Ma forse anche la Tunisia avrà difficoltà a sviluppare i suoi piani nei termini ambiziosi previsti: coprire il 20% dei fabbisogni di elettricità con energia verde entro il 2020 e diventare un ponte per l’esportazione di elettricità, favorita dalla vicinanza all’Italia come porta di accesso al mercato elettrico europeo. Questa aspirazione continua a essere coltivata con la partecipazione della Steg, gestore istituzionale della rete tunisina, all’associazione Metso (Mediterranean Transmission System Operator, l’organismo di coordinamento 18
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degli operatori di trasmissione elettrica del bacino del Mediterraneo), promossa dall’algerina Sonelgaz e dall’italiana Terna. L’associazione spinge sulle fattibilità tecniche e commerciali di progetti di interconnettori elettrici sottomarini. A un accordo di merchant line si è arrivati tra l’inglese Nur Energy e la Terna che ha fornito le specifiche della soluzione tecnica per connettersi alla rete italiana all’altezza del centro Italia. È di fondamentale importanza, sia nel caso del Marocco sia della Tunisia, che siano assicurate, da parte di istituzioni finanziarie internazionali, quote di investimento locale alle operazioni di export per evitare che l’energia elettrica prodotta finisca sostanzialmente nel business dei grandi gruppi consumatori e distributori che operano nel mercato europeo. Diversamente dai suoi vicini, l’Algeria è favorita dal fatto di essere un importante produttore di gas naturale che l’Unione europea negli ultimi anni ha corteggiato assiduamente con l’obiettivo di diversificare le forniture di gas russo. I grandi gruppi petroliferi, esitanti ad accettare i termini contrattuali imposti dalla normativa algerina (51% alla società nazionale, 49% per gli operatori stranieri) si sono però mossi in ritardo; la crisi libica ha fatto rompere gli ultimi indugi e ormai tutte le companies si sono riaffacciate sulle certezze energetiche algerine. Nonostante le sue riserve, anche l’Algeria ha grossi problemi a fronteggiare i crescenti fabbisogni di elettricità (+6-7% annuo). Questa situazione impone di aumentare in tempi rapidi la capacità produttiva delle centrali elettriche che vengono alimentate con il gas naturale. Con la conseguenza di sottrarre quote crescenti di gas naturale al flusso delle esportazioni. Un’equazione impossibile poiché le esportazioni di gas naturale devono procedere a ritmi sostenuti per rispettare gli impegni contrattuali assunti con i consumatori europei. Ecco perché anche l’Algeria guarda con un certo interesse al potenziale gasifero supplementare che potrebbe ricavare dalle riserve di shale gas abbondanti nel paese. Ma soprattutto prende in considerazione l’opzione dello sfruttamento di energia solare per produrre quote aggiuntive di elettricità con centrali solari e/o ibride. Utilizzando via via quote decrescenti di gas naturale per l’alimentazione delle centrali elettriche, si potranno prolungare nel tempo le esportazioni di gas e la rendita nazionale che ne deriva. E così l’energia solare renderebbe possibile la quadratura del cerchio. Appare naturale che Algeri intenda a tutti i costi mantenere il suo ruolo esportatore di primo piano nel mercato europeo del gas naturale; la novità è che, in considerazione dell’espandersi del mercato elettrico, il paese appare ora determinato a giocare un doppio ruolo di esportatore di gas naturale e di elettricità. Sfruttando l’energia solare di cui ha un enorme potenziale, l’Algeria ritiene di poter produrre nel tempo quantitativi consistenti di elettricità da esportare: fino al 35% nel 2040, quando cominceranno a contrarsi le esportazioni di gas dai nuovi bacini che si aprono ora allo sfruttamento nel Sahara orientale e centrale. Questo ragionamento vale anche per la par19
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tecipazione algerina ad attività business oriented promosse in quei paesi già attraversati da condotte che esportano in Europa il suo gas, una cui quota potrebbe rifornire progetti regionali locali di centrali elettriche ibride. Ma sostanzialmente ad Algeri interessa che sia la società nazionale Sonelgaz a diventare un centro di eccellenza e una leader regionale nel campo dell’energia solare. In sintesi: produzione locale degli impianti, joint ventures a quota maggioritaria algerina, trasferimento di know-how avanzato, sono le condizioni poste agli operatori stranieri interessati a progetti di export di energia elettrica dall’Algeria all’Europa. Condizioni che, nella visione algerina, garantiscono possibilità di occupazione e di reddito locale a lungo termine. È interessante notare come, nella sua concezione dei progetti di esportazione di energia elettrica, l’Algeria consideri le potenzialità di energia solare alla stregua di giacimenti di gas che richiedono investimenti in joint ventures per essere sviluppati e i sunstream, che dal suo territorio e poi via cavo sottomarino raggiungono la costa europea, come veri e propri gasdotti. Il suo sunstream prioritario è previsto approdare sul territorio italiano. Infatti la capacità di trasporto della rete italiana, più robusta di quella attualmente esistente tra la Spagna e la Francia, si presta a fare da nervatura portante del futuro corridoio elettrico Maghreb-Europa. La cooperazione tra Sonelgaz e Terna ha permesso di entrare nel merito delle condizioni di mercato, lavorando sulla fattibilità del corridoio anche attraverso l’operazione Metso già citata. Più in generale, vi è la necessità per Sonelgaz di individuare i meccanismi dei consumi, delle trasmissioni e degli scambi del mercato elettrico europeo, per risalire a una possibile, più che potenziale, domanda di elettricità di origine sud-mediterranea. L’equazione produttiva finale algerina si deve infatti tradurre nella messa a fuoco del mix ottimale dei flussi di gas naturale e dei flussi di energia elettrica da esportare nel tempo verso l’Europa. L’Egitto si presenta come un paese particolarmente adatto allo sfruttamento dell’energia solare. Sia come potenzialità di campi solari, al centro e al sud del suo territorio, sia per la necessità di risparmiare quote di gas naturale per la produzione di energia elettrica. Il primo impianto pilota di centrale ibrida, realizzato a Kuraymat, a sud del Cairo, ha permesso una sperimentazione importante per la partnership tra la Solar AG e la Orascom egiziana che si presentano insieme al bando per la centrale marocchina di Ouerzazate. Tutta la zona del Western Desert poi, si presta all’utilizzo di energia solare termica anche per attività di oil recovery connesse ai vari programmi in corso di sfruttamento petrolifero, così come il Sinai potrebbe esserlo per i programmi nel Delta del Nilo. La possibile ripresa di importanti sviluppi della produzione di gas naturale nell’offshore mediterraneo permetterebbe poi di rilanciare il progetto dell’Arab Gas, in triangolazione con l’Iraq interessato a esportarlo via Turchia in Europa. Quanto all’asse energetico avviato tra Il Cairo e Ankara non prevede solo progetti connessi al gas naturale. L’inte20
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resse a promuovere un master plan dell’elettricità sud-sud annunciato dalla Turchia ha attirato anche l’Iraq: dunque l’Algeria non è sola a fare piani in termini di kilowattora da esportare in Europa. E l’Egitto si ritroverebbe a giocare un ruolo importante in questo quadro complessivo. La figura 2 riprende come base la suddivisione dell’area mediterranea interessata dai programmi di interconnessione elettrica, sud-sud e sud-nord, nei tre blocchi principali, quello maghrebino connesso alla rete europea Ucte, quello del sud-est Mediterraneo e il blocco turco (Israele costituisce per ora un blocco a sé stante). Su di essa sono stati riportati alcuni appunti di percorso, a partire dagli spazi indicati dalla lettura dei chiaroscuri mediterranei. La sostanziale stabilità delle zone costiere e dei loro retroterra si presta a moltiplicare i progetti sperimentali di impianti a energia solare, al potenziamento e completamento delle reti e delle interconnessioni elettriche maghrebine. Le ampie disponibilità di gas naturale indicano possibilità di favorire, a scala regionale, il decollo dell’elettricità di produzione solare con il determinante supporto, iniziale e a medio termine, del gas naturale come feedstock. Vengono anche indicate aree di particolare interesse per indagini focalizzate allo sviluppo delle reti e alle interconnessioni regionali sud-sud. Per le imprese italiane, alla postazione di particolare partnership con l’Algeria, si dovrebbero affiancare postazioni più robuste in Marocco, Tunisia, Egitto e Giordania. In Libia sarebbe opportuna soprattutto un’assistenza tecnica nella regione della Cirenaica occidentale. Anzitutto per ripristinare i servizi elettrici e favorire aree di sviluppo agricolo e agroindustriale visto che il paese importa tutti i beni alimentari che consuma, poi per l’ammodernamento delle reti locali, per la localizzazione di impianti pilota per lo sfruttamento dell’energia solare in prossimità dei campi petroliferi a fini di oil recovery. Con la Turchia infine, andrebbe studiata una particolare collaborazione alla fattibilità del master plan levantino e alle interconnessioni di una merchant line elettrica irachena via Giordania. Puramente indicativi sono i tracciati delle interconnessioni sud-nord che indicano comunque prioritario il corridoio Maghreb-Europa la cui spina dorsale è costituita dalla rete italiana, fortemente concorrenziale per i robusti collegamenti che portano verso la Francia e il Nord Europa. L’Italia emerge come un paese con grandi possibilità di intervento in settori di attività in cui vanta eccellenze tecnologiche di rilievo. È presente inoltre in gruppi di lavoro strategici come Metso e Medrec e ora anche nel Joint Committee del Piano Solare Mediterraneo. Ha una esperienza particolare nella realizzazione di opere sottomarine, una posizione geografica strategica per i collegamenti col Maghreb e una rete elettrica nazionale in ammodernamento in grado di prestarsi a fare da piattaforma di scambio internazionale. Le manca una visione politica adeguata a raccogliere la sfida della nuova visione solare che ora si è fatta interattiva grazie al contributo convinto dei nostri dirimpettai della sponda sud. 21
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conclusioni
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gianni silvestrini Direttore Scientifico Kyoto Club
Il mondo delle rinnovabili ha registrato un’accelerazione impensabile solo fino a qualche anno fa. Tutti i centri di osservazione – istituzioni internazionali, università, associazioni di imprese, ambientalisti – hanno progressivamente innalzato le valutazioni sul ruolo dell’energia verde nei prossimi decenni. Acquistano autorevolezza anche gli studi sulla possibilità di soddisfare con le rinnovabili il 100% della domanda elettrica (a volte di tutti i consumi di energia) entro la metà del secolo. In alcuni casi, proprio questi rapporti hanno fornito la base per la definizione di obbiettivi molto impegnativi da parte di singoli governi. Del resto, la Roadmap verso un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050 presentata dalla Commissione europea nel marzo 2011 prevede una totale decarbonizzazione della produzione elettrica, obbiettivo ottenibile solo con un utilizzo su larga scala delle fonti rinnovabili e, in misura minore, con il 325
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Fonte: Dii - Gollmer SolarMillennium
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sequestro della CO2 e con il nucleare. È dunque prevedibile che il mix di impianti di generazione subirà profonde trasformazioni, così come il sistema di trasmissione e distribuzione. In Europa già si sta assistendo a un graduale passaggio verso un sistema misto con una crescente presenza delle realtà decentrate abbinate alla presenza di alcune decine di grandi centrali. In Germania sono oltre 1 milione gli impianti di generazione, in Italia 300.000. Il futuro sarà caratterizzato da una ulteriore crescita della produzione distribuita, con gli edifici che produrranno più energia rispetto ai loro consumi. Contemporaneamente, in aree con elevato potenziale eolico e solare, dai Mari del Nord alle sponde sud del Mediterraneo, verranno connessi alla rete parchi offshore e centrali solari con potenze dell’ordine delle decine e centinaia di MW, quindi una potenza rinnovabile centralizzata. Per garantire una transizione di questa portata occorrerà un forte potenziamento della rete elettrica anche in una logica transnazionale, l’introduzione di elementi di “intelligenza” nella gestione della rete stessa e la creazione di un sistema di accumuli sia decentrati sia centralizzati. Questa trasformazione non riguarderà solo l’Europa ma coinvolgerà molti altri paesi, dagli Usa alla Cina. In questo libro abbiamo concentrato l’attenzione sul Nord Africa, un’area dove erano già in discussione rilevanti progetti solari e dove la spinta democratica dal basso potrebbe aprire scenari nuovi, accelerando e qualificando positivamente la transizione energetica, una volta che l’attuale fase politica di cambiamento si sia consolidata. Vista la loro importanza è necessario soffermarsi sulle possibili implicazioni delle rivolte arabe. È indubbio che la presa di coscienza dei giovani e lo smantellamento di stati dittatoriali favorirà una discussione collettiva sul modo più corretto dell’utilizzo delle risorse locali, incluse quelle rinnovabili. L’evoluzione dei programmi di investimento sul solare e sull’eolico sarà quindi diversa rispetto a quella che si sarebbe verificata nel contesto di trattative tra governi forti e poche grandi multinazionali. Probabilmente la fase di definizione e messa a punto dei progetti sarà più laboriosa e i tempi si allungheranno. Ma il processo democratico in atto comporterà una qualificazione dei progetti in grado di tenere maggiormente conto della necessità dello sviluppo, dalla possibilità di rilanciare l’agricoltura grazie all’energia pulita e alla disponibilità di acqua, alla creazione di un tessuto di imprese legate alle rinnovabili. Ma cerchiamo di capire le motivazioni che rendono interessante l’idea di realizzare impianti di grande scala che utilizzano sole e vento per soddisfare una parte crescente della domanda energetica interna ed eventualmente per esportare l’elettricità verde verso altri paesi. Partiamo dall’urgenza di rispondere alla sfida del clima. È chiaro che per arrivare ai livelli spinti di decarbonizzazione delle economie in tempi rapidi occorrerà puntare sia sulla produzione distribuita sia su apporti di impianti 326
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di grandi dimensioni. È vero che le recenti esperienze della Germania e dell’Italia hanno dimostrato che si possono installare potenze verdi dell’ordine di 5-10 GW in un anno, tempi impensabili con altre tecnologie, come il nucleare. Ma per puntare a elevate percentuali di approvvigionamento con le rinnovabili si devono affrontare nuove problematiche quali lo stoccaggio (anche interstagionale) e la stretta interdipendenza delle reti continentali ed extra-continentali. Diventa quindi interessante la possibilità di affrontare la transizione verso una produzione spinta da fonti rinnovabili in una logica transnazionale. Questa è una riflessione di carattere più generale. Analizziamo adesso le motivazioni che potrebbero spingere alcuni paesi a soddisfare con le rinnovabili congiuntamente la domanda interna e a esportare una parte dell’energia verde. Siamo in presenza di situazioni diverse, che però partono tutte dalla constatazione che l’evoluzione tecnologica degli ultimi anni rende utilizzabile sul medio e lungo periodo l’enorme ricchezza connessa al loro potenziale di fonti rinnovabili. Partiamo dal caso più attuale, quello della Grecia che punta anche sul solare per saldare i propri debiti e uscire dalla micidiale crisi economico-finanziaria in cui è caduta. Si sta lavorando su un progetto di 10 GW fotovoltaici (una potenza analoga all’attuale potenza convenzionale del paese) con investimenti per 20 miliardi di euro per gli impianti e le interconnessioni elettriche con l’Europa, nell’ipotesi che l’elettricità solare venga in parte esportata. Si parla di 200 kmq di suolo pubblico occupati, tra cui vecchi aeroporti militari, miniere abbandonate, e della creazione di 30-60.000 nuovi posti di lavoro. Naturalmente le complessità realizzative sono notevoli e bisogna vedere se Helios, così è stato denominato il progetto, riuscirà effettivamente a decollare. Ma è un fatto che si stia lavorando a un programma configurabile come una sorta di “Debt for Solar Swap” impensabile solo pochi anni fa (le Debt-for-Nature Swaps sono transazioni finanziarie che consentono di cancellare una parte del debito di paesi in via di sviluppo in cambio di investimenti ambientali). E, se dovesse andare in porto, questo programma sarebbe una prefigurazione dei progetti più ampi che coinvolgeranno altri paesi del Mediterraneo. Proprio negli stati della sponda sud da tempo si stanno concentrando progetti per valorizzare le fonti rinnovabili. Questi paesi sono caratterizzati da una rapida crescita della domanda di energia, accelerata da un prezzo di vendita tenuto artificialmente basso. Un contesto che induce a un utilizzo irrazionale dell’energia stessa, per cui la prima azione dovrebbe proprio concentrarsi sul miglioramento dell’efficienza energetica. Dal punto di vista della disponibilità delle risorse energetiche, tutti questi paesi presentano una elevatissima potenzialità solare, alcuni anche buone risorse eoliche, mentre le riserve di combustibili fossili sono concentrate solo in alcune aree. Proprio per questo si possono distinguere schemati328
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camente due gruppi di paesi, diversi per interessi e politiche energetiche. Gli stati con significative riserve di fonti fossili cercheranno di sfruttarle, attrezzandosi per un futuro caratterizzato dalla diminuzione della produzione di greggio e gas o per l’esaurimento dei giacimenti o a causa dei vincoli climatici. Questi paesi hanno il vantaggio di poter attingere a notevoli risorse economiche da investire nei prossimi 10-20 anni per avviare la transizione energetica verso le fonti rinnovabili. In questo modo potranno soddisfare sul lungo periodo la domanda energetica interna ed eventualmente sostituire con le energie verdi le entrate petrolifere e metanifere. Del resto, le realtà più attente dei paesi produttori, pensiamo ad Abu Dhabi, si stanno già orientando in questa direzione con forti investimenti nel settore solare. I paesi della sponda sud con limitate riserve fossili invece hanno un interesse più immediato nello sviluppo delle risorse energetiche che non sono nascoste sotto il suolo ma che da milioni di anni lambiscono i loro territori. La rapidissima evoluzione delle tecnologie eoliche e solari consentirà un loro impiego su larga scala per soddisfare la domanda interna e poi, eventualmente, anche quella internazionale. Ma parliamo delle tecnologie utilizzabili. Molte delle prime valutazioni ipotizzavano l’impiego del solare termodinamico a concentrazione. Questa soluzione presenta due vantaggi. Il calore di scarto può essere utilizzato per dissalare l’acqua e, in presenza di sistemi di accumulo, può garantire elettricità modulata nel corso delle 24 ore. Il calo rapidissimo del prezzo dei moduli fotovoltaici ha però spostato l’attenzione su questa tecnologia la quale, con investimenti adeguati, può consentire anch’essa di dissalare l’acqua e garantire l’accumulo di energia. Negli Stati Uniti diversi investimenti in centrali a solare a concentrazione sono stati dirottati su impianti fotovoltaici nel corso degli ultimi mesi. Solo l’evoluzione delle tecnologie, la sperimentazione in contesti difficili come quelli desertici, i costi complessivi della produzione elettrica abbinata a sistemi ad accumulo e alla dissalazione ci diranno quali sono le opzioni più interessanti. Tenendo anche conto che sono allo studio diverse soluzioni innovative che potrebbero affacciarsi sul mercato nei prossimi anni, come la produzione di idrogeno e carbonio purissimo a partire dal metano grazie a opportune fornaci solari. In questo caso si potrebbe pensare anche alla realizzazione di idrogenodotti o all’utilizzo degli attuali metanodotti utilizzando miscele di gas naturale e idrogeno. Come si vede le possibilità di intervento sono molte e occorrerà muoversi con intelligenza e con una stretta cooperazione nord-sud per elaborare efficaci strategie per uno sviluppo sostenibile e per contribuire a evitare una catastrofe climatica. Questo libro, che raccoglie molti contributi sul fronte tecnologico, economico e sociale, offre una opportunità di riflessione sugli scenari che potranno emergere nella transizione energetica e favorire quindi una discussione approfondita sui modi più corretti per avviare progetti di così ampia portata. 329
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