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tascabili dell’ambiente
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Francesco Dugoni, Maria Luisa Doldi
rinnovabili: se non ora, quando?
comprendere le rinnovabili e la loro importanza per il futuro realizzazione editoriale Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it progetto grafico: GrafCo3 Milano immagine di copertina: Shutterstock © 2013, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02 45487277, fax 02 45487333 Gli autori devolveranno il loro ricavato a favore dell’organizzazione Con vista sul mondo – Onlus (www.convistasulmondo.org). Si tratta di un’associazione di medici volontari in vari paesi dell’Africa: oltre a offrire la loro specifica professionalità, tra le varie iniziative in corso si segnala l’impegno per rendere più funzionali le strutture ospedaliere dotandole, per esempio, di impianti fotovoltaici. Gli autori desiderano ringraziare Martina Dugoni per la realizzazione delle figure 1.1, 3.1, 3.4, 4.1 e 4.2. Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore. ISBN 978-88-6627-097-3 Finito di stampare nel mese di luglio 2013 presso Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR) Stampato in Italia – Printed in Italy i siti di edizioni ambiente: www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.puntosostenibile.it seguici anche su: Facebook/EdizioniAmbiente Twitter.com/EdAmbiente
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Francesco Dugoni, Maria Luisa Doldi
rinnovabili: se non ora, quando? Comprendere le rinnovabili e la loro importanza per il futuro Presentazione di Ermete Realacci Prefazione di Ugo Bardi
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indice
presentazione
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prefazione
11
perché questo libro
19
1. le rinnovabili: queste sconosciute 2. dal protocollo di kyoto al pacchetto “energia-ambiente” dell’ue: gli impegni dell’italia 3. scomode verità 4. energie rinnovabili: vantaggi, non svantaggi 5. gli errori da evitare 6. il futuro dell’energia
23 31 39 63 105 125
note
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Ermete Realacci Ugo Bardi
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3. scomode verità
3.1 quanto siamo autosufficienti energeticamente? Come abbiamo già detto, siamo deficitari per l’85% del nostro fabbisogno energetico. La nazione Italia, leader mondiale nel settore industriale, al netto delle più recenti crisi economiche, può affidarsi solo a un’esigua e ancorché precaria quantità di energia prodotta tramite risorse proprie; il resto viene da fuori. E che “fuori”, verrebbe da dire: Russia, Algeria, Iran, Venezuela, Libia, paesi arabi. Virtualmente potremmo affermare che l’Italia, da un punto di vista energetico, è una penisola appoggiata sulle sabbie mobili. Al primo sternuto di crisi internazionale, siamo in balia dei prezzi del petrolio e, di riflesso, del gas. Se la Russia litiga con la Bielorussia o l’Ucraina un brivido percorre la nostra schiena. Se c’è un’ondata di freddo eccezionale, come è successo nell’inverno del 2011-2012, per di più contestualmente alla vigilia delle elezioni in Russia in cui il neozar Putin tutto avrebbe fatto tranne lasciare al freddo i propri elettori, sappiamo bene quali possono essere le conseguenze in casa nostra. Il 2 febbraio 2012, a firma di Luca Orlando, il Sole 24 Ore titolava: “Stop o riduzione per duemila imprese”. Vi riproponiamo un paio di passaggi: “Stamani Emilceramica è in compagnia: sono infatti duemila le imprese grandi e piccole che hanno aderito al programma ministeriale di ‘interrompibi-
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lità’, strumento che obbliga a ridurre parte dei consumi di gas a fronte di una remunerazione per questa disponibilità. Duemila aziende in molti casi raccolte in consorzi, con 400 contratti oggetto di questo meccanismo. A partire dalle sei di oggi molti di questi impianti si sono fermati o hanno rallentato l’attività. ‘Siamo gente seria e rispettiamo i contratti – ci racconta il presidente del consorzio Toscana energia Tiziano Pieretti – ma rivolgersi alle aziende dovrebbe essere l’ultima possibilità e in questo caso invece mi pare che si sia scelto di non seguire altre strade’. ‘Noi – racconta l’ad di Ferriera Valsabbia Ruggero Brunori – chiuderemo un laminatoio, il danno è pesante ma cercheremo di gestire il personale con i contratti di solidarietà. Cosa faremo l’anno prossimo? Credo di accettare ancora l’interrompibilità, in fondo è un dovere dell’impresa contribuire a garantire altri servizi essenziali. Certo, guardando alla carenza delle nostre infrastrutture viene un po’ di tristezza: come si fa a fare industria in questo paese?’”. A riprova di quanto finora espresso possiamo prendere in esame il concetto di “sicurezza energetica” che trova nell’International Index of Energy Security Risk, a cura della U.S. Chamber of Commerce, una delle più valide elaborazioni. Nel report International Index of Energy Security Risk 2012, detto indice viene parametrato su 25 paesi (vale a dire Stati Uniti e altri 24 stati che compongono il grande gruppo di utenti di energia) nell’arco temporale 1980-2010. I punteggi sono in rapporto a un indice di riferimento che rappresenta il rischio medio dei paesi membri dell’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development). Detto indice di rischio, riferito al 1980, è pari a 1.000. Osservando la tabella 3.1 è quindi possibile evidenziare come l’Italia, su 25 paesi maggiormente utilizzatori di energia, occupi la 20° posizione.
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3. scomode verità
tabella 3.1 – punteggio di rischio energetico e posizione per 25 paesi grandi consumatori di energia 2010 Paese
Punteggio
Posizione
Messico
851
1
Regno Unito
878
2
Norvegia
940
3
Nuova Zelanda
941
4
Danimarca
942
5
Australia
942
6
Stati Uniti
964
7
OECD
988
Canada
995
8
1.006
9
Indonesia
1.013
10
Francia
1.028
11
India
1.045
12
Germania
Polonia
1.061
13
Russia
1.072
14
Cina
1.098
15
Sud Africa
1.100
16
Spagna
1.105
17
Giappone
1.119
18
Turchia
1.154
19
Italia
1.159
20
Brasile
1.165
21
Paesi Bassi
1.239
22
Corea del Sud
1.361
23
Thailandia
1.689
24
Ucraina
2.277
25
Fonte: International Index of Energy Security Risk 2012.
In “La politica estera dell’energia. L’Italia, la sicurezza energetica e gli interessi nazionali”, elaborato da Paolo Quercia e
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Antonio Villafranca nell’ambito di un progetto di ricerca congiunto ISPI-Fondazione Farefuturo, a tal proposito si legge: “L’Italia si trova nella parte alta della classifica, al 20° posto su 25. Nessun paese paragonabile all’Italia per dimensioni e ruolo nell’economia mondiale si trova ad avere valori di rischio energetico così alti. Per l’Italia l’indice di rischio è il più elevato tra tutti i paesi sviluppati, di poco superiore a quello del Giappone, e largamente superiore a quello di tutti i nostri competitor”.12 A titolo esemplificativo, per meglio conoscere i fattori di questa criticità, si osservi la figura 3.1, che schematizza la produzione di energia elettrica in Italia relativa alla produzione nazionale per l’anno 2011. Analizzando, anche per sommi capi, i dati riportati, è agevole osservare quanto segue: 1. il fabbisogno complessivo di energia, nel 2011, è pari a 334,6 TWh; 2. di questi 334,6 TWh, il 24,3% proviene da fonti rinnovabili; 3. tra le rinnovabili il settore idraulico rinnovabile rappresenta il 55,8% del totale della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Detto in altri termini, tra le fonti rinnovabili il driver principale per la produzione di energia elettrica è la quota idrica, quella storica e, per certi versi, quella più obsoleta. Analizzando il grafico elaborato dal Gse13 si evince come l’andamento delle produzione di energia idroelettrica sia altalenante, essendo condizionata dagli andamenti climatici. Nel 2011, in particolare, il coefficiente di utilizzazione è stato pari al 29% (2.531 ore rispetto alle 8.760) in calo rispetto al 2010 (33%). In generale, nell’arco temporale tra il 2000 e il 2011 (figura 3.2), la potenza degli impianti idroelettrici è aumentata secondo un
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3. scomode verità
produzione nazionale di energia elettrica anno 2011
figura 3.1
Consumi
Produzione netta e saldo estero Idraulica rinnovabile
13,5%
Biomasse Bioenergie
Geotermica
43
Perdite di rete 20,8 TWh
45,3 TWh
1,9%
1,3% 4,3 TWh
Biogas
1,0% 3,2 TWh
5,9 TWh
Agricoli
3,1% 10,1 TWh
Richiesta sulla rete 334,6 TWh
Bioliquidi
0,8 % 2,6 TWh
Eolica
2,9%
140,0 TWh
Industriali
Rinnovabile
24,3%
81,2 TWh Tra cui: • siderurgiche 18,6 TWh • meccanica 21,3 TWh • energia e acqua 16,8 TWh
9,8 TWh
Solare
44,6%
1,6% 5,3 TWh
Consumi 313,8 TWh
3,2% 10,7 TWh
Carbone
Termica tradizionale
31,1%
12,2% 40,7 TWh
Gas naturale
97,7 TWh 61,4%
40,2% 140,6 TWh 205,8 TWh
Idraulica da pompaggio
Altri combustibili 7,3%
Termica tradizionale e pompaggio
62,0% 207,7 TWh
24,5 TWh
Tra cui: • commercio 24,1 TWh • pubblica amministrazione 4,6 TWh • illuminazione pubblica 6,4 TWh 22,4%
0,6%
Saldo estero
Terziario
70,1 TWh
1,9 TWh
Domestici 13,7% 45,7 TWh
Fonte: Gse.
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tasso annuo dell’1%. Nello stesso periodo, invece, la produzione evidenzia una variabilità dovuta appunto a fattori climatici. Nel 2011 la produzione idraulica (48.523 GWh) è scesa rispetto ai due anni precedenti che sono stati eccezionali dal punto di vista dell’idraulicità. Se a ciò si aggiunge che il trend degli impianti idroelettrici vede prioritariamente la realizzazione di piccoli e mini-impianti mentre si continua a registrare la continua diminuzione della taglia media (da 8,5 MW nel 2000 a 6,2 MW nel 2011), possiamo ipotizzare una decrescita significativa produzione energia idroelettrica in italia
figura 3.2
44.200
49.138
46.811
36.670
36.070 38.154
36.068 36.994
32.815
38.755 31.472
29.483
33.479
45.823
41.624
42.338
GWh
39.520
51.117
28.451
29.119
40.160
32.464
35.775
25.715
6.577 6.989
6.444
5.732
7.128
6.091
6.354
5.684
7.390
8.422
8.712 7.858
1.553 1.668
1.604
1.455
1.731
1.526
1.521
1.416
1.770
1.961
2.245 2.190
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2000
2001 P<= 1 MW
1MW < P <= 10 MW
P > 10 MW
2011
Totale
Fonte: Gse.
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sul panorama nazionale della principale risorsa energetica rinnovabile. Il che impone di prendere immediatamente coscienza del fenomeno e di trovare adeguate compensazioni che, al netto dell’efficientamento dei consumi energetici per ridurne la domanda ed escludendo di fatto la scelta del nucleare, non può che sfociare in una scelta a favore delle altre fonti rinnovabili. Ovviamente, in questo contesto non è solo la produzione di energia elettrica che contraddistingue il panorama energetico nazionale. Importare beni primari quali petrolio e gas è funzionale altresì ad altri utilizzi energetici. Parliamo, in particolare, di energia termica e mobilità. La questione verrà approfondita nel paragrafo 5.3; per ora ci limitiamo a osservare i dati di uno studio effettuato da Massimo Gallanti (Erse – già Cesi Ricerca) e Alessandro Clerici (Confindustria) in cui si riporta, in riferimento all’anno 2007, in periodo quindi ante-crisi, la ripartizione dei consumi per impiego riferiti all’energia primaria stimata in complessivi 174 Mtep (figura 3.3). Da una disanima dei dati è immediato cogliere come la produzione di energia elettrica rappresenti, nel suo complesso, poco più di un terzo (35%) dei consumi. Ai trasporti e agli usi termici spettano rispettivamente il 27 e il 38%. Spesso, tuttavia, non si riserva un’adeguata attenzione a queste ultime componenti, come se in Italia la questione energetica fosse circoscritta alla sola produzione di energia elettrica; uno “strabismo energetico”, come qualcuno l’ha definito, che va assolutamente corretto per prendere invece visione di una criticità a tutto tondo che coinvolge ogni settore vitale della nostra economia e del nostro vivere quotidiano. Stiamo parlando di una nazione che, se da un lato si fregia di appartenere al club dei paesi maggiormente industrializzati, dall’altro soddisfa i propri fabbisogni energetici prevalentemente grazie
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consumi finali energia (2007): ripartizione per impiego
figura 3.3
18%
27%
18%
20%
18% 9%
6%
Trasporti: 27% Riscaldamento/raffrescamento/acqua calda sanitaria nei settori residenziale e terziario: 20% Illuminazione (inclusa illuminazione pubblica): 6% Cottura, elettrodomestici, ICT e altri usi elettrici nei settori residenziale e terziario: 9% Azionamenti elettrici (motori trifase): 18% Usi termici in industria e agricoltura: 18% Altri usi elettrici in industria e agricoltura: 18%
Note: sono esclusi i consumi per usi non energetici, bunkeraggi, consumi e perdite nel settore dei combustibili. Il rendimento complessivo di conversione in energia elettrica è del 39,5%.
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alle importazioni di energia primaria a costi considerevolmente crescenti. La fattura energetica nel 2010 infatti è risultata pari a 53,866 miliardi di euro (+27,1% rispetto al 2009 e pari al 3,4% del valore nominale del Pil).14 Nel 2011 il costo è lievitato a 61,9 miliardi e, secondo stime dell’Unione petrolifera nell’ipotesi in cui il greggio continui a mantenersi intorno ai 110 dollari al barile e le altre fonti su prezzi elevati, è previsto un ulteriore incremento per il 2012: 65,3 miliardi di euro. Ma c’è dell’altro. Oggi c’è ancora chi confonde l’approvvigionamento di fonti primarie di energia con la produzione di energia. Infatti, a fronte di una situazione in cui la potenza efficiente installata in Italia a inizio 2010 era di 105.000 MW, contro un picco di domanda di poco superiore alla metà, il pensiero che si formula contro un evolversi del rinnovabile è il seguente: “Perché costruire ancora centrali elettriche, seppur alimentate da fonti rinnovabili, quando in Italia abbiamo addirittura una situazione di ‘overcapacity?’”, dove con overcapacity si intende una disponibilità di centrali elettriche in grado di produrre ben oltre il nostro fabbisogno nazionale. Riteniamo però che vi siano due errori fondamentali in questo tipo di valutazione. Il primo è fin troppo evidente: è sufficiente infatti chiedersi come vengono alimentate queste centrali. Risposta: dal gas che importiamo. Cosicché siamo daccapo: addio autosufficienza. Quindi, la succitata valutazione non considera le conseguenze di un’errata pianificazione alla quale abbiamo assistito in quest’ultimo decennio. In Italia, infatti, si sono investiti 25 miliardi di euro per la realizzazione di centrali termoelettriche (turbogas a ciclo combinato in particolare) che hanno portato il sistema a una situazione di overcapacity. L’operazione non è stata affatto indolore e a soffrirne le più gravi conseguenze (vuoi per la concorrenza derivante dalla crescente produzione di energia elettrica da
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Fer,15 vuoi per la crisi economica che ha raffreddato la domanda) oggi sono proprio i soggetti operatori e finanziatori (banche in prima fila) che hanno inseguito questa forsennata corsa all’oro, supportati da scelte politiche poco lungimiranti. E a proposito di politiche poco lungimiranti, si veda in particolare il cosiddetto Decreto sblocca centrali. Scriveva a questo proposito il portale Digilander l’8 febbraio 2002:16 “Il 1° febbraio 2002 è stato approvato dal consiglio dei ministri il decreto per accelerare le procedure di costruzione delle nuove centrali. La maggior parte dei provvedimenti sono affinamenti del decreto Bersani varato nella precedente legislatura, ma rimasto poi bloccato da contenziosi incrociati fra stato-regioni-Enel. Il decreto è stato duramente contestato dalle regioni, secondo le quali il provvedimento scavalca le loro competenze. Il testo è costituito da un articolo unico. Le centrali di potenza superiore a 300 MW sono dichiarate opere di utilità pubblica e soggette a un’unica approvazione del Ministero delle attività produttive. I comuni saranno consultati durante l’iter, ridotto a 180 giorni, poi l’autorizzazione del ministero è sufficiente per procedere alla costruzione della centrale. (...) Attualmente sono 137 i progetti di nuove centrali all’esame del ministero, di cui 27 con la procedura di Via (valutazione di impatto ambientale) in fase più avanzata. (...) L’11 febbraio, una nota dell’Aper, l’Associazione dei produttori di energia da fonti rinnovabili, manifesta la contrarietà dell’associazione per l’esclusione degli impianti rinnovabili di potenza inferiore ai 300 Kw dal Decreto sblocca centrali. Le centraline a fonti rinnovabili hanno sempre incontrato ostacoli autorizzativi, anche prima dei recenti provvedimenti di delega agli enti locali in materia di piccoli impianti. Si chiede che venga riconosciuta la priorità nella produzione di energia agli impianti a basso impatto ambientale con un provvedimento analogo”. Parole profetiche, ma di scar-
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so appeal, almeno una decina d’anni fa; se ascoltate, avrebbero potuto dare un corso diverso allo sviluppo della produzione di energia elettrica in Italia... Oggi invece siamo in presenza di un sistema monopolizzato da alcuni operatori, i quali, per le criticità sopra ricordate, non hanno alcun interesse a diminuire i prezzi... Con buona pace per il povero consumatore. 3.2 chi ci dà la materia prima? Non è solo una questione di numeri, ma anche di “qualità” degli approvvigionamenti. Acquistare gas e petrolio non è infatti solo e semplicemente un fatto commerciale, ma è una questione che implica una serie di relazioni complesse tra paesi fornitori e paesi acquirenti di energia primaria di cui ampiamente si occupa la cosiddetta geopolitica, intesa, in questo ambito, come rapporti che intercorrono tra le nazioni in funzione degli approvvigionamenti energetici da fonti fossili. Per esplicitare il concetto si pensi alle più recenti crisi nei rapporti legati alla fornitura di gas da parte della Russia a favore dell’Ucraina, che dipende per il 100% degli approvvigionamenti dal gas russo, e le conseguenze che anche l’Europa occidentale avrebbe sofferto nel caso si fosse prolungato il braccio di ferro tra i due paesi. Molto prosaicamente il segretario di stato americano Clinton ha recentemente affermato: “L’energia è al centro della geopolitica perché è una questione sia di ricchezza sia di potere, il che la rende sia una fonte di conflitto sia di cooperazione”.17 Dunque, chi sono i principali fornitori di gas e petrolio per l’Italia? Che relazioni intercorrono con loro? Che tipo di “sudditanza” dobbiamo accettare? E infine, ma non per importanza, chi veramente beneficia di questi commerci?
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Relativamente alla fornitura di petrolio, analizzando la figura 3.4,18 si evince che nel biennio 2009-2010, pur con qualche distinguo legato alla Primavera araba che ha comportato per lâ&#x20AC;&#x2122;Italia un riorientamento della propria struttura di approvvigionamento, in particolare nei confronti della Libia, i primi cinque fornitori sono, nellâ&#x20AC;&#x2122;ordine, i seguenti: 1. Libia; 2. Azerbaijan; 3. Russia; 4. Iran; 5. Iraq.
variazioni negli approvvigionamenti petroliferi italiani nel biennio 2009-2010 (in migliaia di tonnellate)
figura 3.4 25.000 20.000 15.000 10.000 5.000
2009
tr i Al
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n
Ira
Ira
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ita
0
2010
Fonte: rielaborazione dati Unione petrolifera, 2011.
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Se si analizzano anche gli approvvigionamenti di gas (figura 3.5), secondo gli studi pubblicati sul portale web Quadrante Futuro,19 i primi fornitori di gas sono: 1. Algeria; 2. Russia; 3. Libia. Nel 2011, a seguito delle operazioni della NATO in Libia, l’Italia ha visto la sospensione delle forniture di gas libico. Anche in questo caso il nostro paese ha risposto aumentando la quantità di gas importato da altri paesi, soprattutto Algeria e Russia.20 Sempre secondo il succitato osservatorio “al dato libico si somma poi anche la questione siriana: il 2 settembre 2011 l’Unione europea ha approvato un pacchetto di sanzioni nei confronti figura 3.5
le importazioni di gas in italia nel 2007
30,0
27,5
25,0
22,5
20,0 15,0 8,7
10,0 5,0
3,7
4,1
Norvegia
Paesi Bassi
9,4
0,0 Altri
Libia
Russia
Algeria
Fonte: Quadrante Futuro (www.quadrantefuturo.it).
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del regime siriano, che vanno a toccare principalmente le esportazioni di greggio del paese. Se nella combinazione di paesi fornitori di petrolio all’Italia la Siria non mostrava percentuali preponderanti (nel 2009 contribuiva per 1,6%), è stato notato come nel 2010 questa percentuale raddoppiava (fino a raggiungere il 3,2%) e già a luglio 2011 raggiungeva quota 3,4% sul totale delle forniture all’Italia. Un interscambio commerciale, quindi, destinato a crescere”. Che dire dunque di questi paesi fornitori? È del tutto evidente che la questione strettamente energetica scavalca e pone in secondo ordine qualunque remora e qualunque scrupolo. Non possiamo tuttavia negare o sottacere l’amara realtà che tra i principali nostri fornitori vi sono paesi che si caratterizzano per l’essere regimi dittatoriali o pseudo dittatoriali in cui i diritti umani vengono palesemente violati. Un esempio emblematico potrebbe essere la Russia, finita sotto la lente degli osservatori internazionali in occasione delle ultime elezioni. Il Sole 24 Ore del 6 dicembre 2011 titolava “Mosca. Nonostante il netto calo, il partito di Putin mantiene la maggioranza – Accuse e nuovi arresti. L’ombra dei brogli sul voto russo. L’OECD parla di ‘aggiustamenti’, Hillary Clinton chiede un’inchiesta”. D’altra parte la “staffetta” Putin-Medvedev (già presidente di Gazprom, si veda il riquadro “Gazprom, il gigante mondiale dell’energia”) alla presidenza russa non lascia molti spazi alla fantasia per immaginare la partita del potere che si gioca nella Russia del dopo Eltsin. Da allora, giusto per dare un assaggio, anche fare semplicemente giornalismo non è un affare semplice: “Nel periodo in cui Vladimir Putin è stato alla guida del Cremlino, i killer professionisti hanno colpito 13 volte. La maggior parte dei giornalisti che sono stati eliminati erano molto conosciuti per il loro coraggio nella denuncia della cor-
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ruzione e dell’illegalità. E che fine hanno fatto i processi? Impantanati. Dalle storie, e retroscena, di Dmitry Kholodov e Anna Politkovskaja, tra posizioni tiepide del Comitato per la sicurezza della Duma, il Comitato foresta dei giusti ha pubblicato una lunga inchiesta con il titolo Russia: si muore di giornalismo, a firma Francesco Bigazzi. Nel mirino del reporter i bracci armati dai ‘poteri oscuri dello stato’, le voci di direttori, colleghi dei giornalisti caduti nella guerra dell’informazione”.21 Gazprom, il gigante mondiale dell’energia Daniele Chieffi (http://www.nannimagazine.it) Un mostro da oltre 270 miliardi di dollari di capitalizzazione, 84 miliardi di fatturato, 24 miliardi di dollari di utile e quasi 400.000 dipendenti, che è il maggiore estrattore al mondo, controlla il 16% delle riserve mondiali di gas e che, con riserve di 119 miliardi di barili, è il terzo maggior possessore mondiale di petrolio e petrolio equivalente in gas naturale, dopo Arabia Saudita e Iran. Gazprom possiede, inoltre, la rete di condutture più lunga al mondo con i suoi 150.000 chilometri e controlla anche società bancarie, di assicurazioni, editoriali, di costruzioni e agricole. Alcuni paesi del blocco ex sovietico – Bosnia-Erzegovina, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Moldavia e Slovacchia – dipendono completamente da Gazprom per la propria sopravvivenza energetica. Per altri le percentuali di dipendenza non sono meno impressionanti: 97% per la Bulgaria, 89% per l’Ungheria, 86% la Polonia, quasi il 75% della Repubblica Ceca, circa il 40% la Romania. Andando oltre le ex repubbliche socialiste, Gazprom fornisce oltre il 67% del gas della Turchia, il 65% dell’Austria, il 36% della Germania, il 27%
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dell’Italia e il 25% della Francia. L’Unione europea ottiene circa il 25% delle sue forniture di gas da questa compagnia. Gazprom è quindi un gigantesco concentrato di potere economico, controllato direttamente dal governo russo e che ha sempre avuto rapporti molto stretti con la politica e lo stesso Cremlino. Fu Gorbaciov a fondare la Gazprom nel 1989 e ad attribuirle la missione della produzione, della distribuzione e della vendita del gas. Da allora iniziò la tradizione che vide gli uomini di vertice della Gazprom finire poi anche ai vertici istituzionali russi. Nel 1989 il leader di Gazprom era Viktor Chernomyrdin, che diverrà poi primo ministro di Boris Eltsin nel 1992. Dopo alcuni anni segnati dagli scandali, nel 1999 sulla poltrona più importante di Gazprom arrivò Dmitry Medvedev, che nel 2008 sarebbe diventato Presidente della Federazione russa al posto di Vladimir Putin. All’interno di questa cornice, dentro l’intreccio di poteri tra Cremlino e Gazprom, si inserisce un consolidatissimo rapporto con l’Italia grazie alle due principali compagnie italiane (Eni ed Enel). Emblematico quanto accadde nel 2004: nell’aprile le agenzie di stampa battevano la notizia che le due succitate compagnie italiane, riunite in consorzio (Enineftegaz), si erano aggiudicate all’asta gli asset della Yukos, il gruppo petrolifero privato più importante nell’epoca di Boris Eltsin, presieduto dal suo fondatore Mikhail Khodorkovsky, arrestato nel 2003 e finito nelle patrie galere siberiane con la condanna di frode fiscale ma, soprattutto, personaggio sgradito al presidente Putin, in quanto scomodo finanziatore di partiti d’opposizione. “... Khodorkovsky è il detenuto più famoso di Russia. Per molti analisti, le sue prigioni dipendono dall’appoggio concesso ad alcuni
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governatori locali e a movimenti di opposizione come Yabloko e i comunisti, mosse poco gradite a Putin”. Per il ministro degli esteri tedesco, Guido Westerwelle, “il modo in cui si è svolto il processo è estremamente dubbio. I nostri partner russi devono prendere in considerazione queste preoccupazioni e difendere la legge, la democrazia e i diritti umani”. Anche il segretario di stato americano, Hillary Clinton, ha dichiarato che il caso “ha un impatto negativo sulla reputazione della Russia nel campo dei diritti umani e degli affari. Apprezziamo il piano di modernizzazione del presidente Medvedev, ma la Russia deve sviluppare un sistema nel quale l’indipendenza del potere giudicante sia rispettata...”.22 Nel 2009 il parlamento italiano approvò la mozione 1-00224, presentata da Pier Ferdinando Casini, di cui riportiamo la parte conclusiva: “... La vicenda è stata oggetto delle critiche da parte dei leader europei e da parte del Consiglio europeo; il governo italiano vanta ottime relazioni bilaterali con la Russia, ed è attualmente il terzo partner commerciale al mondo di Mosca, dopo Germania e Cina, ed è nota l’amicizia che lega il Presidente del consiglio, Berlusconi, al Primo ministro russo Putin, impegna il governo ad attivare tutti i canali diplomatici disponibili affinché venga garantito il rispetto dei diritti umani e del diritto alla difesa di Khodorkovsky e di Lebedev in particolare e dei cittadini russi in generale”.23 Intervento certamente interessante, ma tardivo rispetto all’operazione sopra evidenziata con la quale Eni ed Enel, nella sostanza, hanno “vinto” l’asta per conto di Gazprom che, a quell’asta, non poteva partecipare direttamente. “Gazprom, indirectly, wins assets of Yukos” titolava un articolo a firma di Andrew E. Kramer, sul New York Times il 4 aprile 2007.24 Superfluo forse ricordare che la Enineftegaz infatti aveva precedentemente stipulato un accordo di una eventuale cessione
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delle quote della Yukos a Gazprom nel caso in cui Eni ed Enel le avessero vinte all’asta. Fatto che si verificò puntualmente nel 2009. Venerdì 15 maggio il Sole 24 ore Radiocor titolava: “EniEnel: cedono 51% Severenergia a Gazprom per 1,5 miliardi di dollari”.25 Ovvio che l’operazione in sé ha potuto garantire alle nostre compagnie vantaggi commerciali e industriali, l’importante è non formalizzarsi troppo sul come si sono concretizzati! In questa tragica casistica si inseriscono parimenti i nostri rapporti con Iran, Iraq, Libia, Siria e Algeria. Come non evidenziare, per esempio, la strettissima “collaborazione” con il regime di Gheddafi? In un suo articolo, dal titolo “Dentro la tenda: le relazioni italo-libiche al di là del folklore”, Arturo Varvelli – ricercatore Ispra26 – così conclude: “Nel classico dilemma ‘stabilità o democrazia’ l’Italia ha sempre scelto per la prima contribuendo a rafforzare il regime di Gheddafi più di chiunque altro”.27 Affermazione che trova una tragica conferma nella condanna che la Corte di Strasburgo28 ha commisurato all’Italia per i respingimenti di immigrati avvenuti il 6 maggio del 2009 “... quando un gruppo di circa 200 immigrati somali ed eritrei provenienti dalla Libia furono rimpatriati dalle autorità italiane nel paese africano. Ai richiedenti, 11 somali e 13 eritrei, l’Italia dovrà versare un risarcimento di 15.000 euro più le spese processuali. L’Italia ha violato la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e in particolare il principio di non refoulement (non respingimento), che proibisce di respingere migranti verso paesi dove possono essere perseguitati o sottoposti a trattamenti inumani o degradanti.”29 Per quanto precede, è inevitabile evidenziare come una buona parte delle risorse spese per i nostri approvvigionamenti energetici contribuisca, o abbia contribuito fino a poco tempo fa, al mantenimento di regimi illiberali che infliggono enormi sofferenze alle loro popolazioni.
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3.3 il colonialismo del terzo millennio Oltre ai rapporti che legano i paesi consumatori con l’Est europeo (Russia in particolare), il Medio Oriente e il Nord Africa, qualche considerazione a parte va indirizzata all’Africa subsahariana. È sufficiente osservare i flussi di capitali delle grandi multinazionali petrolifere e i relativi canali d’esportazione degli idrocarburi mostrati nella figura 3.6 per comprendere gli “appetiti” che i paesi consumatori nutrono nei confronti di questa porzione del continente africano. A tanto appetito non sempre corrispondono rapporti equo-solidali con i paesi fornitori di materie prime, nel senso che i proventi dalle esportazioni di petrolio e gas vanno spesso a beneficio di ristretti entourage governativi con poche o nulle ricadute a favore delle popolazioni residenti. Per stigmatizzare questa situazione è stato formulato il concetto di “maledizione delle risorse”. Si tratta di un concetto complesso che cerca di spiegare il meccanismo che porta le regioni ricche di risorse naturali a essere affette da povertà cronica. In un recente articolo pubblicato da Repubblica, il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz ne dà questa definizione: “... Tre degli ingredienti economici di questa maledizione sono ben noti: 1) i paesi ricchi di risorse hanno la tendenza ad avere forti valute, che ostacolano le esportazioni di altri prodotti; 2) tenuto conto che l’estrazione delle risorse comporta spesso un’esigua creazione di posti di lavoro, la disoccupazione aumenta; 3) i prezzi oscillanti delle risorse determinano che anche la crescita diventa instabile; a ciò contribuisce anche il fatto che le banche internazionali accorrono quando i prezzi delle materie prime sono alti e se ne allontanano non appena si palesa una recessione (riflettendo così il principio da tempo confermato secondo cui i banchieri prestano i loro soldi soltanto a chi non ne ha biso-
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lâ&#x20AC;&#x2122;africa nella rete delle multinazionali del petrolio
Investimenti stranieri Flussi di capitali delle grandi multinazionali petrolifere
America del Sud
America del Nord
Europa
Esportazione di idrocarburi Miliardi di dollari 1 3
6
13
Australia
Russia e Asia centrale
Paesi del Golfo e Medioriente
figura 3.6
Asia
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Fonte: Carta disegnata e realizzata da Maria Luisa Giordano e Sara Anifowose per Cartografare il Presente.
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gno). Inoltre, il più delle volte i paesi ricchi di risorse non perseguono strategie di crescita sostenibili. Non riescono a capire che se non reinvestono le ricchezze ottenute tramite le loro risorse in investimenti redditizi sul campo, in realtà si impoveriscono sempre più. Le disfunzioni politiche, infine, esacerbano il problema, proprio come le lotte per l’accesso alle rendite delle risorse stesse portano a governi corrotti e non democratici”.30 Giunti a questo punto risulterebbe probabilmente troppo pesante proporre al lettore ulteriori approfondimenti, per cui ci limitiamo a indicare alcuni documenti specifici riferiti, in particolare, al caso della Nigeria. La scelta di questa nazione non è casuale: è il sesto esportatore mondiale – e il primo africano – di petrolio. In questo paese, dal 1960 il petrolio ha generato un guadagno stimato intorno ai 600 miliardi di dollari. Ciononostante, secondo Amnesty International la maggioranza della popolazione, specie quella residente nelle aree in cui proliferano le attività estrattive, vive in povertà (meno di due dollari al giorno) senza accesso adeguato ad acqua pulita o all’assistenza sanitaria. Ci limitiamo dunque a segnalare tre possibili approfondimenti. 1. Petrolio, inquinamento e povertà nel Delta del Niger.31 Un documento di denuncia contro lo sfruttamento della regione del Delta del Niger da parte delle compagnie petrolifere, in cui Amnesty International chiede, in particolare alla nostra compagnia nazionale Eni, i seguenti impegni: • sottoporre a controlli l’impatto delle sue attività sui diritti umani e rendere pubblici i risultati; • bonificare tutte le zone inquinate e attuare efficaci misure preventive; • avviare un’efficace consultazione con le comunità coinvolte; • rendere pubblici i rapporti d’indagine e i dati di ogni fuoriuscita di petrolio che avviene nelle aree in cui opera;
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• supportare pubblicamente le raccomandazioni del rapporto dell’UNEP (United Nations Environment Programme) e impegnarsi pubblicamente a sostenerne l’attuazione; • porre fine alla pratica del gas flaring. 2. Nigeria. Risorse di chi? Petrolio e gas nel Delta del Niger di A. Gugliotta (Odoya). Questa la presentazione del volume: “Da molti anni le multinazionali e le potenze industriali occidentali si accaparrano le risorse di petrolio e di gas della Nigeria, agendo indisturbate sul territorio grazie alla indifferenza o alla connivenza dei politici locali. La ricostruzione della vita economica e politica della Nigeria vista attraverso l’oro nero, la risorsa che ha condizionato e influenza il modo di essere di uno stato asservito alle esigenze del capitale privato, cieco dinanzi alle richieste della popolazione nigeriana privata delle sue risorse e costretta a subire il peso di uno scellerato sfruttamento, fatto di inquinamento, frustrazione e violenza. I motivi e gli sviluppi di una rivolta sanguinosa in atto in Nigeria e trascurata dai media occidentali, il racconto scandaloso di un’altra forma di colonialismo energetico, verso lo sfruttamento di una risorsa sempre più ambita: il gas”. 3. Oil for Nothing.32 Un breve documentario a cura di Luca Tommasini che raccoglie le testimonianze registrate nel corso di una missione non-governativa internazionale realizzata nel settembre 2011 in Nigeria. Concludiamo questa sezione evidenziando che in nome degli interessi dei paesi consumatori di gas e petrolio (tra cui l’Italia), non solo vengono sacrificati i diritti umani di milioni di persone, ma vengono anche perpetrati delitti inaccettabili dal punto di vista ambientale. Il tutto si scontra con il concetto di sviluppo sostenibile, riconducibile a una equilibrata sinergia delle sue dimensioni fondamentali: ambientale, economica e sociale. Sul sito della So-
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le interconnessioni tra le dimensioni della sostenibilità dello sviluppo e la regola dell’equilibrio delle tre ‘e’: ecologia, equità, economia
Sociale
Vivibile
Equo
SOSTENIBILE
Ambientale
Economico Realizzabile
Fonte: Sogesid (www.sogesid.it).
gesid Spa, strumento in house del Ministero dell’ambiente e delle infrastrutture, a proposito di sostenibilità si può leggere: “Appare indispensabile garantire uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi, operante quindi in regime di equilibrio ambientale, nel rispetto della cosiddetta regola dell’equilibrio delle tre ‘e’: ecologia, equità, economia”33 (figura 3.7).
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Per quanto precede, si ha la netta sensazione che le operazioni effettuate dalle nostre principali compagnie energetiche (Enel, Eni, Agip) non siano sempre in linea con i dettami ora espressi. Serve dunque un’assunzione di responsabilità a tutti i livelli; nessuno può dirsi totalmente estraneo rispetto a ciò che avviene in materia di approvvigionamenti energetici. Per quanti poi si professano credenti le parole di Giovanni Paolo II, pronunciate in occasione della sua visita in Canada nel 1985, dovrebbero pesare come un macigno: “Nel giorno del giudizio i popoli del Sud giudicheranno quelli del Nord”. Anche a fronte di queste valutazioni appare quindi evidente come il ricorso alle fonti rinnovabili e alla loro incentivazione, nei limiti e nei modi più adeguati possibili, rappresenti una delle soluzioni irrinunciabili che, nel prossimo futuro, ci consentiranno di affrancarci da questa triste pagina della storia dell’uomo e delle sue interrelazioni.
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Questo libro è stampato su carta FSC amica delle foreste. Il logo FSC identifica prodotti che contengono carta proveniente da foreste gestite secondo i rigorosi standard ambientali, economici e sociali definiti dal Forest Stewardship Council.
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Gli autori devolveranno il loro ricavato a favore dell’organizzazione Con vista sul mondo – Onlus (www.convistasulmondo.org).
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La settima edizione del Nimby Forum ci informa che delle 331 infrastrutture oggetto di contestazioni in Italia, all’incirca il 50% è costituito da impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Gli analisti del forum evidenziano poi che la politica locale, ancor più dei “comitati contro”, è oggi il primo ostacolo alla realizzazione dei progetti. A ciò si aggiungano i più recenti provvedimenti governativi che sembrano supportare più un disegno di contenimento che di sostegno allo sviluppo delle rinnovabili. Ma la realtà energetica indica la necessità di una scelta rinnovabile, non solo per l’Italia ma per l’Europa e il mondo. Senza nascondere gli errori finora commessi, gli autori propongono una serie di argomentazioni utili a comprendere perché le fonti rinnovabili rappresentino una scelta obbligata.
Euro 15,00 ISBN 978-88-6627-097-3
9 788866 270973
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maria luisa doldi, laureata in biologia con dottorato in agraria, ha svolto attività di ricerca applicata presso l’università di Agraria di Vienna. Collabora con diversi enti e aziende (Austrian Wine Marketing; Accademia Austriaca delle Scienze; Università del Danubio; Google) e con riviste italiane, tedesche e austriache, ed è specializzata nei settori agricoltura, energie rinnovabili e ambiente. Ha all’attivo numerosi articoli.
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Francesco Dugoni Maria Luisa Doldi
francesco dugoni è attualmente direttore di Agire, Agenzia per la gestione intelligente delle risorse energetiche. Agronomo di formazione, ha elaborato presso la Provincia di Mantova il progetto Fo.R.Agri. (Fonti rinnovabili in agricoltura), che ha ottenuto il Premio dell’Unione Europea “Energy Europe – Awards Competition 2008” (categoria “Demonstration & Dissemination”) e il “Energy Award” nell’edizione 2011 di KlimaEnergy. Ha conseguito i titoli di Energy manager e Certificatore energetico.
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Francesco Dugoni Maria Luisa Doldi
rinnovabili: se non ora, quando? Comprendere le rinnovabili e la loro importanza per il futuro
Presentazione di Ermete Realacci Prefazione di Ugo Bardi
Il prezzo dei combustibili fossili si mantiene su quotazioni elevate, l’insicurezza dell’approvvigionamento energetico è sempre dietro l’angolo, le conseguenze ambientali e sociali degli interventi per procurarsi le fonti primarie diventano sempre più insostenibili: sono tutti elementi che indicano come i tempi siano maturi per attuare una svolta energetica basata sulle energie rinnovabili. Eppure, tra “comitati contro” e politica sonnecchiante, la svolta tarda a venire. Sarà forse che le rinnovabili, così come sono state sviluppate finora, hanno segnato qualche autogol? O sarà che non si pensa alle scomode verità legate all’attuale sistema di approvvigionamento energetico? Tanti i motivi, ma per gli autori di questo libro, posti tutti gli elementi sulla bilancia, l’ago si sposta verso una scelta energetica basata sulle rinnovabili che, quando sviluppata in modo ragionato e coerente, porta con sé vantaggi di cui finora non abbiamo goduto: indipendenza energetica, giustizia sociale, sostenibilità ambientale.