Il segreto di Isabella (Anteprima)

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a cura di Paola Pacetti I gusci sono la cassa di risonanza di alcuni strumenti musicali. In questa collana contengono storie che parlano di musica in maniera inusuale e coinvolgente. Sono racconti rivolti ai bambini delle scuole elementari e medie. progetto grafico: Silvana Amato Redazione: Paola Pacetti, Samuele Pellizzari Realizzazione: Anna Cristofaro Proprietà per tutti i Paesi: Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Fondazione, via Vittoria 6, 00185 Roma / Edizioni Curci S.r.l., Galleria del Corso 4, 20122 Milano © 2019 by Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Fondazione /Edizioni Curci S.r.l. – Milano Tutti i diritti sono riservati Accademia Nazionale Santa Cecilia – Fondazione ISBN: 9788895341934 Edizioni Curci S.r.l. EC 12162/ISBN: 9788863953046 www.edizionicurci.it

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indice

capitolo 01 avere un’amica del cuore

pagina 09

capitolo 03 così nasce il reparto dei Lillà

pagina 25

capitolo 05 una tenda a tre e un’amicizia che vacilla

pagina 39

capitolo 07 il segreto di Isabella

pagina 55

capitolo 09 luci e musica, come in tutti i gran finali

pagina 73

capitolo 02 «sul mio onore prometto»

pagina 17

capitolo 04 una sede, un fazzoletto lilla e il resto

pagina 31

capitolo 06 di sorpresa in sorpresa

pagina 47

capitolo 08 quando la musica si prende il posto di un’amica

pagina 65

il clarinetto

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pagina 83


pagine 08 . 09Š 2019 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.


avere un’amica del cuore

Caterina aveva un’amica del cuore. A fare di Serena una vera amica del cuore il destino aveva collaborato parecchio. Non solo le due bambine si erano trovate nella stessa classe fin dalla prima elementare (adesso erano in prima media), ma era piovuta sulla loro testa anche una fortuna in più. Caterina e Serena abitavano nel medesimo palazzo. E non solo! Anche il piano dove vivevano era lo stesso. E non solo! Sul retro di quel quinto piano c’era un balcone lungo lungo, diviso a metà da una cancellata. Ci sarebbe stato da non crederci. Era proprio di qua e di là di quel cancello di ferro un po’ arrugginito che vivevano le famiglie delle due amiche. Ed era quel cancello il luogo preferito dei loro appuntamenti. In una delle due case si sentiva un trillo di telefono. Era il segnale. Caterina o Serena, a seconda di chi aveva preso l’iniziativa, lasciava il libro di scuola aperto a metà e si precipitava sul balcone. La mamma di Caterina brontolava un bel po’. D’inverno le gridava: «Mettiti il cappotto, ché fa freddo!» e poi, quando si affacciava e vedeva le due amiche aggrappate a quella cancellata, scuoteva la testa e diceva:

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«Sembrate delle prigioniere costrette a parlare attraverso una grata». “Prigioniere” forse era una parola troppo grave, ma qualcosa di simile Caterina lo provava. Sua sorella! Sì, proprio sua sorella Marina. Il fatto che avesse solo un anno e mezzo meno di lei non la doveva autorizzare a starle sempre appiccicata e a pretendere di seguirla come se fosse la sua ombra in ogni cosa che faceva. E se tu hai voglia di coltivarti un’amicizia privata? E se hai voglia, quando parli con le compagne, di inventarti qualche particolare della tua vita che non è del tutto vero? Lo fai perché ti piace colorare un po’ le cose, e non c’è nessun bisogno che una “spiona” della tua famiglia sia sempre lì a gracchiare: «Non è vero», «Non è successo così». Ma riguardo alla cancellata le cose erano andate proprio bene. Marina (ma mamma e papà la chiamavano Marinella) era terribilmente freddolosa, e di seguirla su un ghiacciato e squallido balcone esposto a tutti i venti non aveva la minima intenzione. Si accontentava caso mai di prenderla in giro con delle bruttissime smorfie, schiacciando il naso sul vetro dall’interno della porta-finestra. «Viva il vento e viva il freddo!» cantava Caterina dentro di sé e correva felice ad abbracciare la grata di ferro. 6 A casa di Serena la storia era diversa. Ugo, detto Ugo il Terribile, aveva solo sei anni, ma si sentiva un guerriero. Di seguire passo passo sua sorella, una “femminuccia”,

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come la chiamava lui, non gli sarebbe mai passato per la testa. In più, nella sua famiglia era successa una bellissima cosa. Era appena finita la guerra e tutta la gente era più che contenta, e così il papà e la mamma avevano deciso di mettere al mondo un altro bambino con la targhetta “nato in tempo di pace”. Quando il fortunato bambino era ancora nella pancia, la madre e il padre di Serena avevano cominciato a cercargli un nome che ricordasse questo grande avvenimento. Per un maschio ce n’era già uno bello pronto: Pacifico. Nel caso di una femmina, non gli veniva in mente niente. Allora Giuseppina, la mamma di Serena, era andata dall’insegnante di sua figlia. «Mi può suggerire un nome femminile che abbia dentro la parola “pace”?» le aveva timidamente chiesto. «Certo» aveva risposto la prof, «il nome Irene in greco vuol dire proprio “pace”». E per fortuna, per fortuna era proprio nata una Irene. Se fosse venuto al mondo un maschio, con il nome Pacifico chissà quante prese in giro si sarebbe attirato da parte dei futuri compagni di scuola! Irene adesso aveva quasi un anno e, anche se cominciava a muovere qualche passo, non sarebbe di sicuro riuscita a seguire una sorella grande scappata su un balcone per parlare con un’amica. Serena era molto contenta di avere in casa una bambina più piccola di lei di ben undici anni. Con una sorella così ti viene solo voglia di giocare come se fosse il tuo bambolotto preferito. Ecco perché Caterina pensava

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che nella famiglia della sua compagna fosse tutto più divertente che da lei. Caterina con Marina invece litigava molto, molto spesso, anche se era sicura che non fosse mai per colpa sua. Però, a rifletterci bene, di allegria ce n’era da vendere anche a casa sua. 6 Certo che erano allegri! Era finita la guerra e la gente, specie nei primi tempi, ballava per strada dalla gioia. Dopo era arrivata un po’ di delusione. Tutti avevano pensato scioccamente che all’inizio del dopoguerra si sarebbe presentata in cielo una nuvola rosa con mille lucette che scoppiettavano con un festoso bum! e, miracolo, tutto sarebbe tornato in un attimo come un tempo (ma i bambini quel tempo non se lo ricordavano). Invece “le cose della guerra” c’erano ancora, perché per farle cambiare c’era prima bisogno di ricostruire le case e le fabbriche, le rotaie dei treni, di seminare il grano e aspettare che crescesse. E così ancora c’era poco da mangiare, e la luce, il gas e l’acqua dai rubinetti ogni tanto si presentavano ma poi sparivano di nuovo. E chi aveva i soldi in banca era come se non li avesse, perché quei soldi del tempo di guerra non valevano più niente. Buio di nuovo, dunque? Ma neanche per sogno. La gente era contenta lo stesso perché la libertà, quella sì che era tornata, era questo l’importante. E poi essere poveri da soli è brutto, ma essere poveri e doversi arrangiare insieme a tanti altri diventa quasi quasi un gioco.

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6 E Caterina e Serena ci si rotolavano dentro a questo gioco! Per esempio, a scuola. Il grembiule nero non era più obbligatorio, visto che le famiglie non riuscivano a trovare la stoffa per confezionarlo. E ognuno si poteva vestire come gli pareva. Una certa Simona si era presentata in classe con un grembiulino rosa con le bretelle arricciate, insomma, di quelli che si usano in cucina, e la professoressa Biondi non aveva avuto il coraggio di protestare. Lo sapevano tutti che Simona aveva da sempre la mania di fare l’originale, e così le compagne avevano cominciato subito a ridere e darsi di gomito. Ma come? Il grembiule non era obbligatorio, poteva venire a scuola anche con una gonna e un golf. «È un po’ ingenua la prof» aveva sussurrato Serena all’orecchio di Caterina, e Caterina aveva fatto segno di sì con la testa. Proviamoci anche noi!, e il giorno dopo erano arrivate in classe tutte e due con i calzini uno diverso dall’altro. Ma guarda un po’, a loro la Biondi aveva messo una nota sul diario. Un’altra avventura del dopoguerra nasceva dalla mancanza di acqua nelle case. Il compito di andare a riempire i fiaschi alle fontanelle era tutto dei bambini. Quelli grandi, naturalmente. E le due amiche ci rientravano in pieno. Era Caterina a lanciare il Via! e a iniziare la corsa più pazza del mondo, ma la gara a chi arrivava prima la vinceva quasi sempre Serena. Si ricavavano così il tempo per chiacchierare e farsi scherzi senza trovarsi alle costole una sorella, per fortuna considerata troppo piccola per quelle spedizioni.

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Una volta, dopo aver giocato a buttarsi acqua addosso, Serena si era ritrovata con un fiasco rotto in mano e, invece di preoccuparsi, aveva cominciato a rotolarsi per terra dal gran ridere. Caterina l’aveva seguita, e insieme non riuscivano più a smettere. Ridi e ridi, quando erano tornate a casa erano così rosse in viso che le famiglie si erano preoccupate e le avevano messe a letto sotto una coperta. Nessuno, in quella confusione, aveva fatto caso alla mancanza di un fiasco. 6 Ma grembiuli rosa e fiaschi rotti erano solo sciocchezze. C’erano anche cose molto, molto serie. Ai tempi della guerra, e anche da prima, c’era stata la dittatura (che sarebbe quando comanda una persona sola e nessuno può protestare, se no va in prigione). Filippo Grimaldi, il padre di Caterina, era di quelli “contro”. Essere contro era molto pericoloso, perché se uno ti spiava e ti denunciava alla polizia, potevi fare una brutta fine. Ma Filippo non aveva paura. Ogni tanto portava a casa qualcuno che presentava sempre come “lo zio Riccardo”. «Ma papà» aveva gridato una volta Caterina, «ogni volta dici che quello è lo zio Riccardo, ma la faccia non è la stessa!». «Per te, se qualcuno te lo chiede, è lo zio Riccardo. Hai capito?». Tanto bene non aveva capito, ma dentro di sé lo sentiva. Quelle persone si nascondevano perché erano in pericolo e nessuno doveva sapere il loro nome. Era questo il segreto della sua famiglia.

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6 Adesso tutto era finito, e suo padre certe volte girava per casa agitando le braccia sopra la testa, poi si fermava, guardava in faccia le figlie e ripeteva la parola “libertà” come se l’avesse scoperta per la prima volta. Filippo e la moglie Fiorella (cioè la madre di Caterina) erano corsi a iscriversi a un partito politico e ne avevano scelto uno diverso dall’altro, forse per far capire quanto fosse largo lo spazio di questa famosa libertà. Ognuno può esprimere le proprie idee, dicevano, e se sono tante si può scegliere quelle che andranno meglio per costruire uno Stato che sia più giusto. Una sera si era presentato a casa uno degli zii Riccardo. Non si chiamava affatto Riccardo, aveva confessato ridendo, ma Caterina lo sapeva già. Quello che non sapeva era che il suo nome vero era Ferruccio e che era proprio il capo di uno di questi nuovi partiti. E visto che quella bambina li ascoltava con tanta attenzione, si erano messi tutti insieme a spiegarle che volevano mettere su una società dove tutti si sentissero uguali agli altri e pronti ad aiutare chi aveva bisogno. Figuriamoci se Caterina non era d’accordo! Avrebbe voluto entrarci anche lei in mezzo a questi fantastici gruppi, ma i bambini, anche se di undici anni, non li accetta nessuno. E invece sì. Fu suo padre a parlargliene, un giorno.

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