Le vie del canto. SHEER SINGING (anteprima)

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Consulente editoriale: Feliciano Zacchia

Artwork di copertina: Samuele Pellizzari

Foto di copertina: © Martina Soriani, per gentile concessione

Proprietà per tutti i Paesi: Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano

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Tutti i diritti sono riservati

EC12407 / ISBN: 9788863954487

www.edizionicurci.it

Prima stampa in Italia nel 2023 da Press Up S.r.l. – Roma

INDICE PRIMA PARTE: SHEER SINGING 5 1 Premessa 7 2 Considerazioni generali 9 2.1 Lo sviluppo atletico 9 2.2 La tecnica “salvagente” 11 2.3 Il controllo emotivo 11 2.4 Il canto è un’arte 12 2.5 Il canto è energia 13 2.6 Il talento 14 2.7 L’identità vocale 15 2.8 Imparare da chi sa fare 16 2.9 Conclusioni 17 3 Presupposti 20 3.1 “Bisogna cantare nella propria lingua d’origine” 20 3.2 “La tecnica del canto classico prepara anche al repertorio moderno” 21 3.3 “La voce cantata deve essere una voce naturale” 21 3.4 “Se sai respirare sai cantare” 22 3.5 “Si canta rilassati” 22 3.6 “La voce va riscaldata” 22 4 Il sistema SHEER 24 4.1 La didattica del suono 25 4.2 Il percorso didattico 26 4.3 Il timbro vocale e l’architettura della risonanza 28 4.4 Il palato molle 29 4.5 La “schwa” 34 4.6 Uno schema per SHEER 38 5 Il modello SHEER per i colori vocali 39 5.1 Lo studio dei colori vocali 41 5.2 Approfondimento sui colori distorti 57 5.3 Tabella riassuntiva delle caratteristiche di SHEER 58 6 Vantaggi del sistema 60 7 Gli esercizi 63 7.1 La tecnica base in 10 lezioni 64 7.2 Conclusioni 83 8 Supplementi didattici 84 9 Appendice 88 9.1 Cenni di anatomia e fisiologia vocale, di Giovanni Ruoppolo 88 9.2 Per una gestione dello strumento voce, di Emanuela Lucchini 91 9.3 Cenni di fisica acustica 93 9.4 Metodologia di ricerca, di Concetta Cucchiarelli 95 ©
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SECONDA PARTE: SHEER TWEEN Il metodo SHEER per le voci giovani (9-13 anni) 111 1 Premessa 113 2 Differenze tra la didattica per gli adulti e quella per le voci giovani 114 3 Il metodo SHEER e l’educazione al suono come capacità espressiva di Eleonora Raneri 116 3.1 La voce come identità 116 3.2 La motivazione 117 3.3 Comunicazione efficace e problem-solving 118 3.3.1 Comunicare con i genitori 118 3.3.2 Comunicare con i tween 119 3.3.3 Assertività 120 4 Psicologia e metacognizione di Eleonora Raneri 123 4.1 Apprendimento 123 4.2 Memoria visiva e associativa 124 4.3 Training 125 4.3.1 Istruzioni di addestramento allo S.T.S. 126 5 Il percorso didattico per le voci giovani: dalla creatività al metodo 129 6 Eserciziario di tecnica, musicianship, repertorio e songwriting 131 6.1 Esercizi di tecnica 132 6.2 Esercizi di musicianship 134 6.3 Esecuzione di brani del repertorio della popular music 136 6.4 Songwriting 138 6.5 Raccomandazioni 146 7 Conclusioni 147 Ringraziamenti 149 Bibliografia e sitografia 151 ©
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Capitolo1 PREMESSA

“ Dal suono si parte, il suono si vive, al suono si torna ” .

La decisione di scrivere di tecnica vocale è stata difficile. Partendo dalla convinzione che le dinamiche del rapporto insegnante studente fossero tecnicamente e umanamente così complesse, ricche e personali da non poter essere generalizzate in un manuale di tecnica, la scrittura mi avrebbe portato necessariamente alla realizzazione di un testo incompleto e parziale.

Nessun libro può, ovviamente, sostituire un insegnante competente. L’azione del “cantare” coinvolge talmente tanti livelli della nostra esperienza (cognitivo, fisico, emotivo e comunicativo) che risulta molto complicato riuscire a criticare il proprio studio e migliorare autonomamente senza uno scambio attivo e continuo con chi è più esperto. La maggior parte del lavoro e il merito dei risultati rimangono dello studente ma le intuizioni, l’esperienza e le conoscenze di un insegnante sono necessarie perché ogni miglioramento sia più veloce ed efficace e possa essere considerato come uno stimolo a esplorare inediti mondi sonori.

Durante gli anni della mia esperienza da amante della musica, ascoltatrice attenta, cantante, songwriter e insegnante si è però, nonostante queste premesse, strutturata una metodologia di lavoro che rielaborava i contenuti della tecnica e della performance in maniera personale. Raccoglierli e organizzarli in maniera sistematica è diventato quindi necessario al fine di fornire uno strumento didattico a chi, dei miei ex studenti ora insegnanti, era interessato a utilizzarla nelle proprie lezioni.

Questo testo è il risultato di questa volontà. Considerando che l’esperienza ci fa crescere e cambia ogni istante quello che sappiamo e come lo elaboriamo, l’unico modo, il più onesto e corretto di affrontare la scrittura è stato considerare il manuale non come un prodotto finito ma come un punto di partenza per il mio lavoro successivo accettando, inoltre, la condizione d’insoddisfazione del non riuscire a trasferire in un libro tutto il complesso mondo che nelle lezioni viene rappresentato. Motivo ulteriore che mi ha spinto alla pubblicazione dei risultati della mia ricerca è stata poi la volontà di stimolare una discussione, ricevere dei feedback e dare degli spunti di lavoro in un ambiente, quello della voce, che è ancora e che sarà sempre da indagare. Prima di iniziare a scrivere, ho quindi chiesto aiuto ad amici, studenti e professionisti competenti e specializzati al fine di esporre le mie conclusioni a menti aperte e a persone meno emotivamente coinvolte di me in modo da ottenere dei risultati obiettivi a conferma della metodologia.

La scienza e l’arte della voce si specializzano continuamente, spostano le sicurezze sulle quali, fino alle teorie precedenti, si basano i metodi. Studi e ricerche importanti mi hanno

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formato e condizionato e altre, in futuro, spero mi formeranno e condizioneranno. Molta, moltissima strada c’è ancora da fare per comprendere le dinamiche della voce cantata così difficilmente investigabile e pubblico queste considerazioni sullo studio della voce sperando che questo metodo possa rappresentare un piccolo contributo al mondo della didattica.

Ciò che ho letto, ciò che i miei studenti mi hanno permesso di capire, la qualità preziosa dell’esperienza di musicista e insegnante hanno avuto un ruolo fondamentale nella definizione della metodologia. Ma ciò che più di ogni altra cosa mi ha stimolato a indagare è tutta la musica che c’è stata nella mia vita di ascoltatrice e che ha cambiato e continua a cambiare come la mia mente lavora, come il mio spirito sente e cosa fa battere il mio cuore.

La seguente trattazione è indirizzata principalmente ai futuri insegnanti SHEER e ai cantanti che hanno già studiato il metodo ma è comprensibile anche da cantanti che, pur provenendo da altre esperienze, ne sono incuriositi.

SHEER è facilmente perseguibile e adattabile alle esigenze di ogni cantante. Cambiano, a seconda dello studente e delle sue modalità di apprendimento, i tempi, il tipo di comunicazione utilizzata dall’insegnante e i livelli di approfondimento ma gli obiettivi di amplificare le qualità, facilitare l’emissione sonora, coltivare la personalità e l’unicità creativa devono essere generalmente sempre ottenuti.

Non è stato ritenuto opportuno trattare gli elementi della produzione vocale nel dettaglio della loro fisiologia e meccanica vista la già enorme quantità di materiale a disposizione di studenti e insegnanti. In appendice di questo testo si trova comunque una sezione che ne riassume gli elementi basilari. Nelle pagine che seguono, si darà quindi per scontato che il lettore conosca già le dinamiche respiratorie e fonatorie che regolano l’emissione vocale e ci si concentrerà invece su quelle risonanziali.

L’acronimo SHEER (Shaping Human Expressiveness Equalising Resonators) indica infatti che la metodologia si concentra essenzialmente sull’acquisire le capacità di modificare il timbro della voce con un fine espressivo.

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Capitolo 2 CONSIDERAZIONI GENERALI

Ho avuto la fortuna di poter scegliere di insegnare solo a studenti che avessero l’interesse, la motivazione e il tempo di perseguire un percorso artistico professionale. La ricerca sui suoni della voce, i colori vocali, è stata portata avanti presupponendo una sua utilizzazione da parte dei cantanti e cantautori destinati alla professione e fortemente interessati all’approfondimento. Il metodo è nato quindi in un ambiente didattico che non mancava di stimoli alla crescita e all’aggiornamento. La gran parte delle osservazioni sulla tecnica vocale che seguiranno sono comunque comprensibili da cantanti di tutti i livelli e vanno trattate necessariamente prima di affrontare il cuore del metodo che riguarda fondamentalmente il consentire al cantante di potersi dedicare, nella performance, esclusivamente all’interpretazione.

Obiettivo primario di SHEER è l’utilizzo espressivo dei colori vocali. Per permettere il suo raggiungimento, bisogna innanzitutto che il corpo sia stato abituato e preparato a rispondere alle richieste tecniche in maniera completamente automatica e alle necessità interpretative in maniera cosciente. In ogni forma di espressione del canto artistico (live, studio di registrazione, songwriting, insegnamento) la finalità è sempre la qualità della performance. I livelli di intervento di un insegnante di canto riguardano tutti i bisogni a essa connessi.

Qui di seguito, una serie di considerazioni che tratteremo e che faranno da premessa e giustificazione allo studio della tecnica nel canto professionale.

2.1 Lo sviluppo atletico

Un cantante inizia generalmente a prendere lezioni di canto per due motivi: incrementare l’intensità della sua voce, “cantare più forte”, e aumentare la propria estensione, “cantare più in alto”. È basilare per un insegnante lavorare quindi da subito sulla parte “atletica” della performance in modo da alimentare la motivazione, aumentare la soddisfazione personale e stimolare l’attenzione dello studente. Lo sviluppo delle qualità atletiche consente al corpo e alla mente di essere concentrati e impegnati costringendo lo studente a entrare in un ambito educativo attivo, di lavoro e di disciplina. Oltre all’evidente miglioramento della performance, il raggiungimento di qualità atletiche è di grande aiuto per il cantante che, in genere, fa fatica a giustificare lo studio della tecnica ritenuto, il più delle volte, alienante rispetto alla performance. Considerare anche gli esercizi come una performance aiuta a studiare con motivazione.

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Essi devono sempre venir collegati a obiettivi raggiungibili e soddisfacenti che, gradualmente, aumentano le possibilità espressive. Anziché eseguirli automaticamente, inconsciamente o passivamente occorre “ascoltare” ciò che succede al corpo, concentrandosi sul risultato sonoro che se ne ottiene e, soprattutto, sul come è stato ottenuto. SHEER stimola un apprendimento meta cognitivo.

Il lavoro del corpo deve essere sviluppato al limite delle sue potenzialità senza però mai arrivare a oltrepassarle. Allenare la muscolatura a essere pronta e a rispondere immediatamente alle necessità della performance consente di ottimizzare il risultato per tessiture e intensità volute. Aggiustamenti muscolari continui e morbidi, mai traumatici, impercettibili per chi ci ascolta ma sensibili per chi li fa, sono necessari e utili. Piccola mobilità quindi, ma continua e di semplice esecuzione.

La pratica riuscirà progressivamente a spostare il limite consentendo al cantante di aumentare, in maniera ugualmente progressiva, le proprie possibilità. Uno strumento più prestazionale consente indubbiamente più scelte e, avere più scelte, consente di poter adeguare il proprio strumento a tutte le condizioni e necessità comunicative. Per un performer saper fare molto significa che , anche nel caso di non voler impiegare lo strumento sempre al massimo delle sue capacità atletiche, egli potrà essere sempre in una condizione di tranquillità e sicurezza fondamentale per liberare l’espressione che non verrà così più disturbata o distratta da timori e paure.

Tutte le professioni che comportano l’esibizione davanti a un pubblico sono ovviamente connesse al giudizio esterno. Chi sale su un palco ha una responsabilità verso la propria band e il pubblico che porta necessariamente con sé una sana preoccupazione, indicatore di intelligenza, cura per quello che si fa e comprensione del proprio ruolo. È quando però la preoccupazione diventa paura dell’esibizione, o addirittura terrore, che la performance viene compromessa. Più si è sicuri del proprio strumento e delle proprie capacità e più il timore si trasforma in energia comunicativa e attenzione e si allontana il rischio che diventi paura. Accettare questa condizione di responsabilità come endogena nel lavoro di performer senza consentire alla preoccupazione di inficiare il risultato dell’esibizione è fondamentale ed è possibile solo se il corpo funziona autonomamente perché è stato abituato ad adattarsi alle varie situazioni risolvendole, ogni volta, in maniera efficace. La mente così sarà libera di essere creativa e concentrata sulla comunicazione.

In conclusione, il rapporto di interscambio e dipendenza tra mente e corpo è, in particolare per il cantante, sempre da tenere in considerazione. Corpo pronto e concentrazione attiva condizionano positivamente la performance che, una volta potenziata nelle sue possibilità tecniche, aiuta a creare un ambiente di studio e di lavoro creativo ed efficiente che porta al miglioramento della nostra comunicazione e del rapporto con il pubblico.

Il meccanismo di soddisfazione, il piacere di saper fare e di fare bene vincono sempre la competizione con l’ansia.

Il palco ha bisogno di sicurezza!

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2.2 La tecnica “salvagente”

La performance del cantante è spesso condizionata delle proprie emozioni e delle proprie risposte corporee. Lo studio della tecnica aumenta il margine di gestione di queste condizioni fisiche ed emotive anche quando il cantante non si sente al meglio fisicamente o non riesce a concentrarsi perché troppo emotivo. Consente infatti di mantenere, anche nelle occasioni di difficoltà (come, ad esempio, quando si hanno problemi di salute, difficoltà di ascolto sul palco, distrazioni), la capacità di trovare alternative timbriche più efficienti mantenendo un alto livello di qualità che dà sicurezza, tranquillità e libertà di espressione. Avere fiducia nella capacità della propria voce di adattarsi a ogni situazione rappresenta una fondamentale condizione nella carriera professionale.

Un cantante con un’ottima tecnica è un cantante sempre affidabile che, in ogni condizione, è in grado di portare a termine efficacemente la propria serata, il turno di registrazione, la sessione di prove.

Il palco ha bisogno di affidabilità!

2.3 Il controllo emotivo

La performance musicale deve essere emozionante, per chi la esegue e chi la ascolta. Emozionante non significa però emotiva. Lo scopo del cantare risiede nella necessità di far comprendere al pubblico come egli sente, vede, interpreta il mondo. Cantare significa utilizzare lo strumento voce al fine di comunicare la nostra esperienza. Può invece accadere che il cantante ritenga che il solo fatto di provare emozioni mentre si esibisce significhi possedere automaticamente la capacità di veicolare tali emozioni verso gli altri. Basta però considerare il fatto che chiunque, cantante o no, si emoziona quando canta, per comprendere come l’essere delle persone sensibili non fa di noi necessariamente dei buoni interpreti o degli artisti. Nella realtà professionale è quindi necessaria una buona comprensione delle dinamiche comunicative e dell’effetto che hanno sul pubblico le nostre scelte timbriche.

Essere sopraffatti dal proprio mondo emotivo, oltre a rendere la performance mutevole nel risultato, sposta il centro di attenzione del nostro lavoro di cantanti che non è far vedere come ci sentiamo, se siamo spaventati, forti, emozionati, arrabbiati, innamorati ma far sentire il pubblico spaventato, forte, emozionato, arrabbiato o innamorato. Bisogna scegliere che cosa far vedere al pubblico di noi e in che modo farlo. La performance deve essere “audience centrica” e non “ ego centrica”. Si canta per gli altri, non per noi stessi. Il cantante professionista non canta per “sfogarsi”, “rilassarsi”, “distrarsi”. Canta con molti propositi, che possono cambiare da performance a performance, ma tutti “verso” gli altri, tutti dedicati al pubblico. Tutti scelti e fortemente voluti.

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Se pensiamo, inoltre, a quante difficoltà ha il cantante nel distinguere la percezione che ha della propria voce da come, in realtà, essa viene percepita dal pubblico comprendiamo quanto una visione egocentrica non permetta di essere obiettivi sui risultati della performance. Il giudizio che diamo sulla nostra voce è strettamente legato all’immagine che abbiamo di noi stessi e si porta dietro la nostra storia personale con tutti i suoi pregiudizi, paure, difficoltà di accettazione, sovra o sotto stime. Per questa ragione spesso il cantante tende a far coincidere le critiche che riceve sulla propria voce con il giudizio che ha di sé stesso minando la propria autostima.

L’insegnante di canto ha quindi anche il ruolo di equilibratore tra questa immagine, privata e complessa, e quella che gli altri hanno dall’esterno. Adattando il proprio lavoro al percorso individuale e personalizzando la didattica, l’insegnante aiuta ogni studente a capirsi più chiaramente e a sfruttare le proprie potenzialità e capacità distintive spostando la visione egocentrica verso la ricerca di un ascolto emotivo che permetta un giudizio equilibrato. Il palco ha bisogno di equilibrio!

2.4 Il canto è un’arte

Il canto è musica e la musica è un’arte. Per definizione è quindi un artificio costruito con il fine di comunicare la bellezza. Rendere questa architettura più semplicemente percepibile, piacevole e il meno faticosa possibile per il corpo e la mente è l’obiettivo da perseguire per liberare l’espressione e rappresentare la bellezza efficacemente. La strada più veloce e utile è far coincidere il lavoro sulla tecnica con quello sull’espressione e trattare entrambi nello studio contemporaneamente, come unico elemento. Lo studio dell’interpretazione, realizzato tramite l’utilizzo cosciente dei colori vocali che rappresentano le emozioni, esprime infatti questa costruzione che va intesa in senso più completo e non solo come pura comunicazione del significato del testo. Nell’interpretazione si costruisce lo stile e la coerenza ai linguaggi musicali, si sperimentano le possibilità dinamiche e la varietà, si personalizzano le scelte.

Una performance ci può colpire attraverso molti livelli della percezione, cosciente o meno. Un interprete è efficace non solo se è commovente ma può emozionarci perché tecnicamente molto abile o complesso oppure perché semplice e diretto. Può essere efficace per come si muove sul palco e comunica con il pubblico, può essere efficace perché rappresenta un carattere, un personaggio interessante che ci incuriosisce, può essere efficace perché ci riporta a contesti familiari che evocano in noi memorie di esperienze vissute.

Più la costruzione è pensata, motivata, diretta e più, tutti questi suoi aspetti, numerosi e sovrapposti, riescono a colpire l’attenzione di audience diverse ed eterogenee che sono, ognuna in maniera differente e per differenti ragioni, in grado di apprezzare i diversi livelli di esecuzione. Una performance così preparata diventa coinvolgente per un pubblico più vasto perché riesce ad agire su più piani ed è quindi garanzia di successo. La condizione

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necessaria perché una struttura così complessa possa però avere sembianze di naturalezza e semplicità (che il pubblico apprezza maggiormente perché ritiene che il campo emozionale sia più autentico se “spontaneo”) è che la voce che si esprime sia la nostra. Una voce vera, autentica, identica a ciò che siamo e a quello che vogliamo dire. Costruire non significa quindi rendere falso o poco naturale. Significa amplificare, dirigere, motivare, guidare l’ascoltatore alla comprensione del nostro mondo in modo che esso sia comunicato con semplicità, anche se complesso. Considerare il canto un’arte consente di accettare la sua natura di artificio senza preoccuparsi di perdere la propria personalità. Gli strumenti di questa costruzione tecnica e cura della performance rendono questa personalità comprensibile al pubblico. L’arte deve quindi esprimere la verità ma non necessariamente la spontaneità.

Ci sono artisti che più velocemente di altri, a volte anche senza nessun tipo di lavoro cosciente, riescono ad avere questa capacità comunicativa a più livelli. È un’abilità che può anche essere acquisita direttamente dalle esperienze umane e intellettuali che abbiamo avuto, anche non direttamente connesse con il canto. Anche in questo caso però, comprendere perché quello che facciamo funziona è utile perché rende quella condizione stabile e duratura. Non per tutti è quindi necessario lo stesso percorso di preparazione e studio della performance ed è per questo che il compito dell’insegnante è di comprendere ciò che è utile e ciò che non lo è, quali aspetti sono da completare e quali no. Chi insegna deve guidare l’artista alle scelte che lo rendono più vero e quindi più comunicativo, allontanarlo da un ideale di sé a volte distante dalla verità.

L’artista deve costruire la bellezza che intende comunicare e comprendere che l’unica garanzia di realizzazione personale è vedersi e farsi vedere per quello che si è e gioire nel riconoscersi in ciò che si è costruito.

Il palco ha bisogno di verità!

2.5 Il canto è energia

Cantare significa attivare tutti i meccanismi cognitivi e fisici che ci permettono l’utilizzo dello strumento voce. Significa ascolto attento, muscoli pronti, mente attiva, concentrazione e capacità di adattamento alle necessità. È energia. È un’attività per nulla rilassata o rilassante. L’attività professionale necessita di un lavoro efficace di preparazione a molti livelli che deve permettere, durante la performance, di focalizzare l’attenzione solo sulle dinamiche del live (gestione tecnica del palco, disturbi ambientali, rapporto con l’audience, interplay con la band, interpretazione del testo). La pratica cosciente e l’esperienza nel trattare gli elementi della tecnica e della performance innescano una serie di comportamenti muscolari e cognitivi automatici che permettono di raggiungere quella serenità necessaria alla vita professionale e quella meravigliosa sensazione di benessere che il cantare comporta. Bisogna fare attenzione a considerare tutti gli aspetti durante la fase di studio per poi lasciare che corpo e mente lavorino più semplicemente durante la performance. In questo modo

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essa è più solida, efficiente e soddisfacente perché focalizzata sull’espressione. Quando ci si esibisce non ci si dovrebbe quindi preoccupare di far funzionare bene lo strumento. Esso deve, con il tempo, aver raggiunto la sapienza necessaria per risolvere autonomamente le esigenze, superare le difficoltà e gli imprevisti lasciando il campo della concentrazione e dell’attenzione alla storia che vogliamo raccontare.

Per raggiungere questo risultato, la voce va esercitata regolarmente. Ed è più importante l’aspetto della regolarità che quello della quantità di lavoro. I muscoli non devono essere rafforzati ma devono essere pronti a rispondere in maniera immediata, senza dispersione di energia o confusione.

Il corpo per natura tende a lavorare per risparmiare energia. Non vorrebbe faticare per cantare. Partendo da questa considerazione, la pratica deve quindi servire a innescare quei meccanismi che dicono alla mente che l’attività del cantare è un’attività a basso costo e che rappresenta un’energia vitale positiva invece che di sforzo e di fatica. Si innescherà un meccanismo di facilità, soddisfazione e attenzione. A basso costo non significa, come abbiamo già scritto, a costo zero. I muscoli vanno attivati nell’ordine di utilizzare ciò che serve senza coinvolgere ciò che non serve. Nel corpo si realizzano naturalmente una serie di tensioni in difesa dallo sforzo ogni volta che l’attività che si appresta a intraprendere viene considerata dal cervello pericolosa, non necessaria o potenzialmente troppo faticosa. Bisogna “convincerlo” che il cantare è senza rischi, poco faticoso e, soprattutto, necessario per la nostra felicità.

Studiare e conoscere il proprio strumento aiuta a utilizzare solo ciò che serve alla performance e ad associare al lavoro del cantare un meccanismo di soddisfazione invece che di protezione. La mente conosce e si rassicura e il corpo impara a distendere invece di costringere, impara a lavorare per il necessario invece di sforzare, impara a utilizzare l’energia invece di sprecarla.

In definitiva quindi, impara a ottenere il massimo risultato con il minimo del lavoro muscolare.

Il palco ha bisogno di efficacia!

2.6 Il talento

Sul concetto di talento si è scritto e discusso molto e, nonostante sia ormai condiviso che senza la pratica continuativa e regolare non si possa intraprendere una vita professionale che comporti performance frequenti e di qualità costante, ancora, nell’opinione comune, un certo concetto romantico sul talento vocale inteso come “avere il dono” è molto diffuso.

Al pubblico piace l’idea dell’artista autodidatta, miracolosamente in possesso di doti straordinarie. Ma, nonostante questa immagine affascinante sia un ottimo veicolo di marketing, il concetto di talento andrebbe ridefinito per essere più aderente alla verità della professione

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