A Milano con Verdi

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Autrice ed editore desiderano esprimere la loro gratitudine a Mirella Freni per la sua gentile partecipazione e per la stesura della prefazione. Desiderano inoltre ringraziare G. Paolo Zeccara e Luca Fumagalli per la loro collaborazione. La pubblicazione di questo volume è stata resa possibile grazie all’accesso a documenti e immagini conservati in collezioni private. L’autrice ringrazia tutti coloro che, per la consultazione dei testi, la visione di materiale storico e per aver consentito la riproduzione di immagini, ne hanno agevolato la realizzazione. Questo volume è pubblicato con il contributo del CIDIM – Comitato Nazionale Italiano Musica e della Fondazione Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi. CIDIM – Comitato Nazionale Italiano Musica Via della Trinità dei Pellegrini, 19 – 00186 Roma infocidim@cidim.it www.cidim.it Fondazione Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi Via Clerici, 3 – 20121 Milano segreteria@laverdi.org www.laverdi.org L’editore ringrazia in particolare il Presidente del CIDIM Luigi Corbani per il supporto e il Consigliere delegato Francescantonio Pollice per la collaborazione. Direzione editoriale: Laura Moro Testi di Giancarla Moscatelli e Luca Fumagalli Progetto grafico: G. Paolo Zeccara Artwork di copertina: Studio Scuola di Gabriele Clima Track list cd a cura di G. Paolo Zeccara Foto di pp. 53 e 246 © Metrowebmilano - Fotolia.com; foto di p. 241 © Wolfgang Jargstorff - Fotolia.com Proprietà per tutti i Paesi: Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano © 2011 by Edizioni Curci S.r.l. – Milano Tutti i diritti sono riservati

EC 30005 / ISBN: 9788863951059 www.edizionicurci.it Ristampato in Italia nel 2013 da Grafitalia Industrie Grafiche S.r.l., Via R. Sanzio, 9 – Reggio Emilia


Prefazione

Il mio primo ricordo di Milano è stato con la Piccola Scala, il palcoscenico “minore”, un tempo ricavato accanto a quello principale, dove ho mosso i miei primi passi di soprano e che di solito ospitava produzioni “ridotte”, adatte a un ambiente più raccolto. È qui che avrei dovuto debuttare nel Serse di Haendel. Mentre provavamo, alle quattro del pomeriggio mi arrivò la telefonata dalla “Grande Scala”. Il soprano che cantava Nannetta nel Falstaff di Verdi si era ammalata. Alle 20 avrebbero alzato il sipario, non c’era tempo da perdere. Io l’avevo cantata poche settimane prima al Covent Garden di Londra e così, senza neppure rendermene conto, nel dicembre 1961, a 26 anni, mi ritrovai scaraventata sul palcoscenico più importante d’Italia. E per cantare Verdi! Dirigeva Antonino Votto. Ricordo che il suggeritore in buca mi dava indicazioni su come spostarmi perché non c’era stato tempo per le prove, giusto un momento per indossare i costumi. Il mio battesimo a Milano avvenne così, senza paura, nella più totale incoscienza. L’anno dopo arrivò il debutto in stagione nella Bohème di Puccini diretta da Karajan. Non l’avevo mai incontrato prima, ma il suo nome era già una leggenda. Per lui era fondamentale che i protagonisti avessero una silhouette coerente con il proprio ruolo: io allora ero magrolina e giovanissima, l’ideale per rappresentare Mimì. Ci capimmo subito, non avevamo neppure bisogno di parlare. Ma il mio rapporto con la Scala è proseguito lungo tutta la mia carriera. Ho cantato un’infinità di opere: tanto Verdi – Simon Boccanegra, Otello, Don Carlo, Ernani – Puccini, Donizetti, Cilea, fino alla mia ultima opera in Scala, la Fedora di Giordano, nel 1996. Milano ha un pubblico competente ed esigente. Anche passionale nel seguire i suoi beniamini. Nel capoluogo lombardo ho trascorso molti giorni felici della mia vita. Insieme con il mio compagno, Nicolai Ghiaurov, vivevamo in un appartamentino in Piazza San Babila. Oggi insegno con entusiasmo ai © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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giovani all’Accademia della Scala, dove mi ha chiamato tre anni fa la direttrice, e mia grande collega, Leyla Gencer. Il mio primo amore per Milano è nato quando ero ancora una ragazzina che andava alle scuole medie. Nel Dopoguerra seguivamo il Modena, la squadra di calcio della mia città. Un giorno, tra compagni, decidemmo che era arrivato il momento di scegliere un club di serie A. Ci affidammo alla sorte. Mettemmo in una cesta tanti bigliettini ognuno dei quali col nome di una squadra diversa. A me toccò il Milan e da allora sono una tifosa accanita. Non posso dire di essere milanese, ma milanista sì! Saluto con entusiasmo questo libro di Giancarla Moscatelli, che celebra la grande storia d’amore tra il capoluogo lombardo e Giuseppe Verdi. Nelle pagine di questo volume sono raccontate le vicende artistiche e biografiche del maestro di Busseto negli anni che trascorse a Milano e, parallelamente, sono descritti gli avvenimenti e l’evoluzione della città. Un racconto appassionato dal quale traspare quel legame “fatale” che ha unito per sempre un compositore a un popolo, una carriera a un teatro, un uomo alla sua patria. Mirella Freni

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1836 - 1840

Questa storia inizia dalla fine. Da una gelida sera di inverno. Milano, 27 gennaio 1901. In via Manzoni, nella sua stanza d’albergo, un uomo sta morendo. Tutt’intorno le strade riverberano rumori ovattati. Nulla deve disturbare il suo agonizzante riposo. Le carrozze procedono adagio. I passanti camminano lentamente, nascondendo le parole dietro i denti. Il suono dirompente di una città che corre incontro alla modernità è attutito da una profonda commozione e da quintali di paglia stesi sul selciato. Nessuno ha mai visto una cosa del genere. Il ritmo frenetico della metropoli rallenta, perché questo è uno di quei momenti in cui bisogna essere capaci di fermarsi. Non per soccombere al dolore o alla rassegnazione. Ci si ferma per dimostrare una naturale, spontanea riconoscenza nei confronti di un uomo che con la sua arte ha contribuito come nessun altro a costruire l’identità popolare e culturale di questa città. Milano vive sottovoce per sei giorni. L’uomo muore. Nessun trionfalismo funebre è previsto. Egli ha dettato precise volontà. Vuole andarsene senza far rumore. Senza musica o apparati scenografici, quasi a voler negare se stesso e la vita che ha vissuto. O forse, per dare a entrambi un significato più grande. La città accetta la richiesta di semplicità di quest’uomo, ma non può permettersi di lasciarlo solo davanti alla morte. L’anima di Milano scende in strada. È la sua gente. Centomila persone si accodano al feretro che percorre con una lentezza esasperante le vie della città. Centomila persone strette in un corteo dolente e fiero, dal quale non sfugge un rumore. Centomila persone celebrano pubblicamente la consacrazione di un uomo, di un artista, di un milanese: di uno di loro. Una cerimonia straordinaria dove ogni parola è superflua. Questa storia inizia in silenzio. © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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1800 - 1840

1800 - 1840 STORIA Ai primi dell’Ottocento, Milano è già una grande città. Dominano i francesi, guidati dall’imperatore Napoleone Bonaparte, che lancia una massiccia campagna di conquista del territorio italiano. L’offensiva si esaurisce nel 1802 quando viene proclamata la Repubblica Italiana, che diverrà Regno d’Italia il 18 marzo 1805. Napoleone avvia molte riforme, e l’influenza culturale francese culmina, a Milano, nell’inaugurazione del Conservatorio di Musica, nel 1808. Ma l’economia subisce pressioni destabilizzanti: diversi Gli archi di Porta Nuova, alla fine del Settecento. A quest’epoca la provvedimenti fiscali ostacolano il com- città è ancora ricca di testimonianmercio, mettendo in ginocchio molte ze architettoniche del passato. zone industriali e agricole. Il malcontento popolare è altissimo, rinfocolato dalla notizia che l’imperatore ha deciso di garantirsi una più che lauta rendita annuale, costringendo il ministro delle finanze, Giuseppe Prina, ad aumentare continuamente le tasse. Come se non bastasse, viene istituita la leva obbligatoria, che strappa alle famiglie di agricoltori le braccia più giovani. Napoleone ha bisogno di uomini. Nel mese di giugno del 1812 ne partono più di 600.000 (affiancati da 180.000 cavalli) per la Campagna di Russia. Finirà in un bagno di sangue. Le truppe francesi vengono decimate dal gelo e dalla fame. Molti milanesi non tornano a casa, scatenando la rabbia cittadina. Il furore contro Napoleone è tale che Milano arriva a desiderare il ritorno degli austriaci. © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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Sul palazzo del ministro delle finanze compaiono scritte ingiuriose e una tragica rima: “Prina, Prina, il sole si avvicina”. È il 20 aprile 1814: sotto una pioggia torrenziale i milanesi scatenano la rivolta delle ombrelle, dando l’assalto al palazzo di Prina. Lo malmenano, lo denudano, lo infilzano con gli ombrelli e lo gettano morente da una finestra, sotto gli occhi di una folla inferocita. Il 26 aprile del 1814 gli austriaci riprendono possesso della città, e si abbandonano a persecuzioni che fanno presto mutare il sentimento popolare. Il Lombardo-Veneto è annesso all’Impero di Vienna, non ha più esercito né bandiera. Nella sua durezza, il dominio austriaco riesce comunque a portare qualche vantaggio. Il più importante, Il Caffè della Cecchina, in pri- a lungo termine, è la riforma dell’ormo piano sulla destra, è il ritrovo degli artisti, dei “pompieri” ganizzazione scolastica che rende – i coristi della Scala che ordina- l’istruzione obbligatoria. Ma è una no solo acqua – e dell’Accademia. rivoluzione di carta: nessuno controlla che i genitori mandino a scuola i figli e l’analfabetismo resta una piaga da sanare. CITTÀ All’inizio dell’Ottocento a Milano vivono circa 135.000 persone, quasi tutte nella “cerchia dei bastioni”, quella parte della città situata all’interno delle mura spagnole. La numerazione delle case segue il senso orario progressivo, a partire dal palazzo reale fin verso le porte principali: ogni edificio ha il suo numero. Il buio della notte è rischiarato a malapena da flebili lampade a olio. 10

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1800 - 1840

I grandi palazzi delle famiglie nobili sfiorano le antiche rovine romane e si fondono in un paesaggio urbano assolutamente unico. I viaggiatori stranieri descrivono una Milano dalle strade lastricate in pavé ma, spesso, deserte. La popolazione, infatti, è divisa tra le botteghe e i campi al di fuori della città, e il tempo libero non trova spazio nella vita di artigiani e contadini. Per la nobiltà le cose vanno molto diversamente. Tutte le sere, la corsia dei Servi è invasa dalle loro carrozze e dai loro pettegolezzi. A parte i chiostri e i giardini dei palazzi, la città non sembra offrire particolari attrattive turistiche. Gli stranieri considerano il Duomo quasi di cattivo gusto, mentre il Castello, in rovina, è adibito a magazzino e prigione e ammirato solo per la sua grandezza. Ma, nonostante questi giudizi, la città resta un crocevia culturale, commerciale e Agli inizi dell’Ottocento, il Duomo è ancora in costruzione: la facciapolitico di livello internazionale. ta è provvisoria, gran parte delle guglie deve essere ancora scolpita ed è presente un campanile.

ECONOMIA E SVILUPPO Non è recente l’immagine di una Milano febbrile, che lavora e produce ricchezza. Nel 1823 nasce l’istituto bancario che contribuirà a scrivere la storia cittadina: la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde. La sede è nei locali della Congregazione Centrale della Lombardia ed è aperta due giorni per i depositi e due per i pagamenti. I libretti di risparmio sono esenti da bollo e possono essere nominativi, oppure avere come intestazione, strano ma vero, dei nomi fittizi. Con i fondi raccolti dai depositi, la Cariplo può concedere prestiti, soprattutto ai proprietari terrieri, a tassi di interesse sostenibili, favorendo lo sviluppo dell’economia del territorio. Per chi non riesce a far fronte ai debiti, invece, c’è il Monte di Pietà. © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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Dal punto di vista urbanistico la città è divisa in due zone: quella all’interno delle mura spagnole e quella al di fuori, detta “dei Corpi Santi”. Si tratta di una cintura, la cui larghezza va dai due ai quattro chilometri, nella quale si trovano prevalentemente terreni a pascolo, piccole fattorie e vari cimiteri, per la maggior parte di proprietà delle autorità ecclesiastiche. Il governo austriaco deciderà di scorporarlo creando due zone amministrative distinte e favorendo, nel contempo e involontariamente, le condizioni per il futuro sviluppo dell’industria milanese. Durante la dominazione napoleonica sono stati costruiti il Foro Bonaparte, l’Arena e l’Arco della Pace. Nel 1832 è inaugurata la Galleria De Cristoforis, che i milanesi chiamano Contrada de veder (via di vetro) perché ricoperta totalmente di vetri e che ospita negozi di confettieri, antiInterno della Galleria De Cristofoquari e vestiti alla moda. ris in una fotografia di fine ’800. Inaugurata nel 1832, la contrada de veder, come la chiamano i milanesi, manterrà sempre il primato della modernità ospitando, tra l’altro, una delle prime sale cinematografiche cittadine.

VITA E SOCIETÀ A Milano ci si sveglia presto, dopo notti buie e silenziose. Così accade almeno fino al 1835, quando inizia il servizio di lavaggio e scopatura notturna delle strade. Alle prime luci dell’alba artigiani e contadini, tra botteghe, campi e bestiame, sono già al lavoro. Il 18 aprile del 1836 si diffonde una violenta epidemia di colera, alimentata dalle cattive condizioni igieniche e dalla mancanza di una rete fognaria. In circa cinque mesi muoiono 1.500 persone. Nelle cantine di molte case periferiche, vicine alle ortaglie e ai primi campi, viene depositato a maturare il letame che verrà usato come concime, e dalle finestre ferrate poste a livello delle strade sale un fumo acre e nauseabondo, che ammorba l’aria. 12

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Circolano cani e gatti randagi all’inseguimento degli immancabili topi. I servizi igienici esistono solo nelle case dei nobili, ma nemmeno in tutte. Le acque nere vengono scaricate in strada attraverso dei condotti che terminano con un grosso mascherone, il boffacrusca, cioè soffia-crusca: per camuffare e limitare gli effetti del mascherone, infatti, si mischiano all’acqua di scarico crusca o altri scarti di lavorazione dei cereali, che hanno la stessa funzione della segatura. Per i canali di scolo a cielo aperto bisogna aspettare il 1816, quando vengono costruite le prime grondaie. Fino a quel momento, i giorni di pioggia sono davvero difficili, tra pozzanghere e improvvise docce dai tetti, soprattutto per le signore. In questi anni Milano si presenta già come una metropoli a due velocità. C’è la città del popolo, quella della cattedrale, sul cui sagrato si tiene un florido mer- Giacomo Leopardi, in ­visita a Milano, definisce la città “una piccola Pacato nero che ha per protagonista “gente rigi” per il suo f­ermento culturale e di cattiva fama”. I cibi non si possono la varietà di divertimenti disponibili. conservare, l’acqua deve essere prelevata da un pozzo nel cortile, i vestiti si lavano nel Naviglio o nei tanti canali che circondano la città. Bisogna accendere e tenere vivo il fuoco in cucina, procurare la legna da ardere nelle stufe, raccogliere verdure e ortaggi per preparare le pietanze oppure comperarle al mercato. E c’è la città elegante, che si sveglia tardi la mattina, con uomini in cappello a cilindro che passeggiano nei giardini pubblici sotto braccio a dame riccamente abbigliate. Per strada si possono incontrare ufficiali austriaci, in abito civile o in uniforme, e allievi del Conservatorio, anch’essi in divisa. La giornata dei nobili inizia tardi e si trascina fino a sera, tra una lunga toeletta e l’organizzazione dei ricevimenti del giorno. Nelle case ci si diverte, © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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si gioca a biribis, una sorta di roulette fatta con le carte, ma si parla anche di politica e cultura grazie ai tanti salotti, che un’aristocrazia ospitale e cosmopolita fa fiorire in ogni angolo della città. Si parla, si suona, si pranza o si cena insieme, si condivide uno spazio dove si gode di estrema libertà, senza troppo pericolo di essere segnalati per cospirazione contro le autorità governative. Il poeta Giacomo Leopardi frequenta Milano e la definisce una piccola Parigi. Cresce l’interesse per il superfluo, si moltiplicano i caffè e le pasticcerie, il gioco del lotto subisce una netta ripresa, con meno giocate ma più sostanziose. MUSICA, TEATRO E CULTURA L’Ottocento trova Milano immersa in una concreta vitalità culturale e contribuisce ad accentuarla. Vengono inauL’isolato del Rebecchino, di fron- gurati molti teatri, si rappresentano te al Duomo. Nelle sue osterie si ritrovano le persone “di cattiva opere liriche, commedie, prosa, spetfama”, che sono solite mercanteg- tacoli dialettali, di burattini. Le piazze giare sul sagrato della cattedrale. diventano il palcoscenico di innumerevoli artisti di strada. Il 1800 è l’anno di nascita del Teatro Filodrammatici. Nel 1803 aprono il Teatro Carcano e il Lentasio. Al Santa Radegonda nel 1813 debutta l’attrice Carlotta Marchionni, che avrà una carriera brillantissima, apprezzata anche da Madame de Staël, la famosa scrittrice francese. Il Teatro alla Scala è invece appena stato oggetto di un lavoro di pulitura degli stucchi, effettuato utilizzando una ciclopica quantità di mollica di pane, cucinata appositamente da un fornaio vicino. La Scala è punto di incontro per eccellenza della nobiltà e, tra poco, della nascente classe borghese. Il saluto più usato è “ci vediamo alla Scala”. Ma parliamo di 14

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un teatro molto diverso da quello attuale, soprattutto nel modo in cui viene vissuto dai suoi spettatori. La sala, in generale, è poco illuminata, ci sono solo piccole candele nei primi due ordini di palchi e sul palcoscenico. La platea è appena rischiarata da un enorme lampadario di cristallo pieno di candele che scende, con aria maestosa, da un grosso foro nel soffitto. Al termine della discesa, accompagnata da sospiri di stupore, c’è sempre l’applauso del pubblico. Per evidenti motivi, resta acceso durante tutta la rappresentazione. Ogni palco ha una tenda di seta che forma un baldacchino e si può abbassare quando si cena: durante gli spettacoli e in occasione di serate speciali, come i veglioni, gli spettatori dei palchi portano le vivande da casa e le cucinano sul posto, oppure le ordinano dalle trattorie interne del La chiesa di Santa Maria alla Scala, eretta nel 1381 per volontà di Mateatro per consumarle sul posto. Le ria della Scala, moglie di B­ ernabò cronache riferiscono della terribile Visconti. Nel 1776 viene demolipuzza di cibarie (cavoli, salsicce e ta per far posto al Teatro alla Scala, costruito in sostituzione del intingoli vari, decisamente poco ­Teatro Regio Ducale, distrutto da dietetici) che ammorba il teatro prima, un incendio quello stesso anno. durante e dopo gli spettacoli. Le dame sono accompagnate dal cicisbeo, una sorta di cavalier servente, spesso amante ufficiale, ma di breve durata, che ricorda molto le passate abitudini settecentesche. In alcuni palchi del teatro avvengono incontri clandestini e le dame più audaci consumano ardenti amori al riparo delle tendine che chiudono l’affaccio sulla grande sala. Nella zona del retropalco si trovano il guardaroba, un piccolo spazio per cucinare e la zona dei “servizi igienici”. Il metodo è semplice: si utilizzano dei cànteri, cioè dei vasi, tipo © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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quelli da notte, che vengono poi svuotati dai palchettisti, cioè i domestici addetti al servizio di palco, direttamente in Contrada San Giuseppe. La musica non si ascolta solo a teatro: le chiese, per quanto riguarda quella sacra, fanno la loro parte. A Milano si possono ascoltare apprezzati organisti alla consolle di veri e propri capolavori di ebanisteria e meccanica. Anche il modo di suonare le campane ha raggiunto le vette dell’arte. MANGIARE A MILANO Per la nobiltà pranzo e cena sono tra i momenti più importanti della giornata, rappresentano occasioni di convivialità utili ad imbastire affari e scambiarsi idee politiche. Di solito ci si incontra a metà pomeriggio. I banchetti sono spesso sontuosi, animati con carne, cacciagione, vino e piatti tipiIl Teatro di Santa Radegonda. In ci: polenta e riso. Il progresso di questi città sono molte le sale che offrono ogni genere di spettacolo: anni porta in tavola pane bianco e olio dalle opere liriche alle comme- di oliva, che sostituisce quelli di linosa die, dalla prosa al teatro dialettale. e ravizzone, densi e indigesti. Il termine “ristorante” è sconosciuto. I nobili cenano nei loro palazzi, mentre il linguaggio del popolo parla di osterie e trattorie, ma più spesso di trani (dal nome della città pugliese dalla quale proviene il forte vino rosso), dove però prevalentemente si beve: i frequentatori abituali sono detti tranatt. Oppure si va nelle piole (dal dialetto piemontese “luogo d’incontro”) dove si può anche mangiare. Ai tempi di Carlo Porta, poeta dialettale milanese, si parla anche di boecc, cioè buca. Le osterie e trattorie del centro sono diverse, tra le più rinomate: Il Falcone, I tre re, Il Rebecchino in piazza del Duomo e Il Bissone. Oppure si mangia nelle sale di cucina delle locande e degli alberghi. I locali sono illuminati dalle candele di sego e la 16

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loro fuliggine, secondo le cronache dell’epoca, “piove nelle zuppe”. Gli avventori consumano i piatti tradizionali della cucina lombarda: minestrone con il riso, la casoeula (uno stufato di carne di maiale e salamini), i nervitt con le cipolle. La dualità sociale della città è evidente anche a livello alimentare. La cucina popolare è povera: pane di segale, un piatto di minestra di cavolo e fagioli con un pugno di riso. La carne si mangia di rado, quando ci sono degli avanzi con i quali si preparano i mondeghili (dallo spagnolo mondeguillos), le polpettine milanesi. Quella milanese è, tuttavia, una cucina che nasce povera, basata sulle risorse del territorio – il maiale, le verdure, il riso – un po’ pesante, ma molto gustosa. Del resto un proverbio recita: dietta e broeud longh, mennen l’om a l’olter mond, Al calar della sera, il lampadee accende i lampioni a olio nelcioè dieta e brodo leggero, mandano le principali strade cittadine. l’uomo al cimitero. TEMPO LIBERO A parte il teatro e le passeggiate, il tempo libero viene occupato con attività molto semplici: giocare a carte, conversare al caffè, leggere. Quest’ultima attività, per chi se la può permettere – non è solo una questione economica, bisogna anche saper leggere –, è una delle più gradite. Lo scrittore del momento è Alessandro Manzoni con il romanzo I promessi sposi del 1827, ma si leggono anche autori stranieri, gli immancabili fogli patriottici, pubblicazioni politiche e periodici scientifico-letterari. Per le signore, che normalmente leggono un po’ meno degli uomini, il passatempo principale è il lavoro di ricamo, accompagnato da un’amabile e © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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divertita conversazione e una bella tazza di tè. Si occupano poi della beneficenza e verificano la corretta esecuzione di tutti i lavori domestici, che danno lavoro a una larga fetta della popolazione femminile e anche maschile delle classi non abbienti. Nelle dimore dei nobili, infatti, sono presenti domestici, cuochi, maggiordomi, uomini e donne di fatica che lavano, stirano, riordinano, cucinano, conducono il calesse, si occupano dei cavalli e della manutenzione della casa. Senza dimenticare le balie che si prendono cura dei bambini. MODA E COSTUME Da sempre Milano ha, nella sua componente nobile, la pretesa di imporsi come città dell’eleganza e dello La corsia del Giardino, una delle vie stile. Ai primi dell’­Ottocento, per le più eleganti della città. Le facciate di alcuni palazzi sono ornate con signore la gonna lunga è di rigore: si motivi di ispirazione musicale in porta la crinolina al di sotto, ma non omaggio al vicino Teatro alla Scala. è più ampia come nel secolo precedente. Di gran moda sono i cappelli, adorni di grandi piume di struzzo e altri volatili, accompagnati da riproduzioni in stoffa di frutti e fiori. Le acconciature sono elaborate, sempre con i capelli raccolti e impreziositi da pettini e spilloni. Una stola ampia copre le spalle, sempre scoperte, oppure si indossa una giacca corta e stretta in vita dalle larghe spalline. Per gli uomini giacca a tre quarti, con gilet e camicia bianca, al collo un papillon morbido fatto con un lungo foulard di seta. Per concludere, l’immancabile cappello a ­cilindro. D’inverno gli uomini portano cappotti con grandi manicotti di pelliccia mentre le donne vanno vestite molto leggere e passano 18

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dalle case, riscaldate con stufe e grandi camini, al gelo della strada riparandosi semplicemente con uno scialle sulle spalle. Non che siano particolarmente calorose, ma prudentemente nascondono, nelle ampie maniche del vestito, un ottimo scaldino di ottone. Le donne del popolo portano abiti più sobri, dalle larghe maniche, con gonne senza crinolina, spesso con un grembiule annodato in vita. I capelli sono raccolti in semplici acconciature e spesso coperti da cuffie o piccoli foulard. Gli uomini indossano camicie con gilet e giacche lunghe, decisamente meno raffinate e curate di quelle dei nobili. Seta, lana, velluto, raso, canapa, cotone sono i tessuti più comuni. La moda maschile impone barba e baffi, che però diventano presto Signore dell’alta società milanese. L’abbigliamento femmioggetto di una clamorosa crociata nile ricalca ancora molti eleanti-“barboni”, insieme al vizio del menti del secolo passato, come fumo. La società è molto chiusa: i le ampie crinoline delle gonne e le elaborate acconciature. matrimoni sono combinati, non ci si può unire se si è di classi sociali diverse, basta un niente per creare uno scandalo. Ciò nonostante, non sono poche le seconde nozze, prevalentemente nelle classi più abbienti: al matrimonio imposto per motivi economici o di rango fa spesso seguito un divorzio che culmina con una nuova unione con la persona scelta liberamente. La sorte del popolo, impietosamente narrata dalla canzone popolare, è ben diversa, spesso fatta di situazioni difficili, di famiglie divise, morti in tenera età, povertà, solitudine ed emarginazione. © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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VIAGGI E VACANZE Sebbene la rete stradale sia abbastanza sviluppata, le vie sono per lo più sterrate o acciottolate e, soprattutto durante la stagione invernale, sono difficili da percorrere. Ci si sposta dalla propria abitazione quasi esclusivamente per lavoro. Le distanze sono percorse a piedi o, per chi se lo può permettere, a cavallo. Molti cittadini, anche se non sono nobili, possiedono una carrozza o un piccolo calesse, che spesso viene condotto da giovanotti a piedi secondo la moda inglese e francese. La maggior parte della gente del popolo, però, non ha mai visto un’altra città. Entro le mura ci si sposta a piedi o con la carrozza, propria oppure del servizio pubblico organizzato durante l’epoca napoleonica. Quest’ultima è detta la fiacca, storpiandone il nome inglese fiaLa diligenza per A ­ bbiategrasso. ker e con chiaro riferimento alla lentezza. La carrozza è il sistema di trasporto per eccellenza e quelle che rag- Tutte le merci, invece, viaggiano su carri giungono i paesi della pianura trainati da cavalli o muli, o su chiatte che o della Brianza, sono a due pia- scivolano lente sui Navigli e sui canali. ni, con ampi spazi per i bagagli. Le strade non lastricate di pavé sono polverose, per la maggior parte imbrattate dalle deiezioni dei cavalli, ma si sta già lavorando alla nuova circonvallazione, una strada che gira intorno alla città. Le vacanze? Roba da nobili e da ricchi, ovviamente. Mete preferite: Brianza e Varesotto. Si soggiorna sui laghi oppure in collina, dove ci si trasferisce con tutta la piccola “corte”. Passeggiate, brevi escursioni e giochi all’aperto sono il passatempo del milanese in vacanza. Per i figli del popolo (gli adulti non smettono mai di lavorare) l’unico sollievo estivo è tuffarsi nel Naviglio o in uno dei numerosi canali che circondano la città. 20

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L’arrivo a Milano L’uomo osserva la città dal finestrino della carrozza che, carica di valigie e fagotti, lo trasporta lenta e traballante per le vie tortuose del centro. Pensa e ricorda. Milano, per lui, non è una novità. È arrivato sette anni fa, nel ’32, per studiare al Conservatorio. La prova d’esame però è stata davvero deludente e la bocciatura è stata difficile da accettare, anche se le probabili motivazioni non erano poi così campate per aria: troppo “vecchio” per il regolamento del Conservatorio; non del tutto pu- Giuseppe Verdi ai tempi dei suoi prilito il suo modo di suonare, pochi, mi soggiorni milanesi. Alloggia con la famiglia in Contrada Santa Marta. pochissimi, i posti per gli allievi pa- Nella pagina a fianco: Il Conserganti. Inghippi eccessivi per un solo vatorio di musica di Milano. Nel risultato: respinto. Niente Conserva- 1832 Verdi venne a sostenere l’esame di ammissione, ma fu respinto. torio, ma da Milano lui non se n’è andato, trovando il modo di studiare la stessa materia in condizioni differenti e tornandoci poi anche in viaggio di nozze. Ma oggi le cose sono diverse. Quello di oggi non è un ritorno, ma un approdo: proprio ora, mentre la carrozza s’arresta davanti al portone di via Santa Marta al 3398, l’uomo arriva a Milano per rimanerci. Porta con sé la moglie Margherita Barezzi e il figlio Icilio, che ha meno di un anno. Manca Virginia, la primogenita, morta tragicamente un mese dopo la nascita del f­ ratello. © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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Colpa di quelle strane febbri alle quali i dottori sono capaci di dare il nome ma non di inventarne la cura. L’uomo scende dalla carrozza e saluta il padrone di casa, il scior Seletti, che conosce già fin troppo bene e che l’attende impaziente. Qui inizia ufficialmente la storia che unirà la città di Milano alla vita di Giuseppe Verdi. È il 6 febbraio 1839. È sera. La famiglia Verdi inizia a sistemarsi nell’appartamento di Giuseppe Seletti, il nipote del professore di grammatica del liceo di Busseto dove Verdi ha studiato. A Margherita, intenta a disfare i bagagli mentre con un occhio controlla Icilio nella culla, viene difficile non pensare a Virginia che, in questo arrivo a Milano diviso tra l’entusiasmo Il Teatro alla Scala visto dalla cor- e la tristezza, è tutto quel che manca sia di Santa Margherita. In cartellone, all’arrivo di Verdi a Milano, per completare il quadro di una famiopere di Donizetti e Mercadante. glia che sta per affrontare un futuro per il quale da tanto lotta e fatica. Margherita è figlia di Antonio Barezzi, figura chiave per l’educazione musicale di suo marito Giuseppe e che ha creato, involontariamente, le condizioni giuste perché i due giovani si innamorassero, decidessero di sposarsi e di traslocare a Milano. La città della Scala, dove una nuova stella si è accesa nel panorama delle cantanti liriche: il soprano Giuseppina Strepponi. Una città che altra non poteva essere per Verdi. È il suo polo d’attrazione. È la sua sfida, iniziata con quella faccenda del Conservatorio che ancora non aveva 20 anni; che è proseguita “da privatista”, prendendo lezioni da un famoso maestro di composizione, Vincenzo Lavigna, esponente della scuola melodrammatica 26

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1836 - 1840

napoletana e maestro al cembalo presso il Teatro alla Scala. Niente di meglio per uno come lui, che la musica ce l’ha nel sangue e nel destino. Come spiegare altrimenti quella volta in cui, da bambino, in chiesa si lasciò trasportare dal suono dell’organo mentre serviva messa e, per scuoterlo, il prete gli menò un calcione talmente forte che Giuseppe lo maledì a voce alta, invocando che un fulmine gli scendesse in testa, cosa poi accaduta puntualmente. Verdi inizia come organista. Accompagna, ma non solo: scrive anche musica sacra. Poi le accademie, serate musicali dove si esibisce come pianista in pezzi di repertorio e sue composizioni. Giuseppe è uno svelto, impara in fretta, ma capisce che in quel modo non andrà molto lontano. Studiare diventa fondamentale. Per farlo con la dovuta serietà si La casa di Antonio Barezzi a ­Busseto. L’imprenditore emiliano è il grandeve andare a Milano. Per farlo con de mecenate di Verdi del quale sola necessaria continuità occorrono stenne gli studi a Milano. Padre di soldi. Parecchi. Verdi è fortunato, ha Margherita, non mancherà di aiutare i giovani sposi nelle prime le spalle coperte. Non dalla famiglia fasi del loro trasferimento in città. che ha una piccola osteria con annessa bottega di alimentari e tira avanti alla giornata. A sostenerlo nella sua prima avventura milanese è il futuro suocero: Antonio Barezzi, il padre di Margherita. Così eccolo a Milano, nelle stesse stanze che poi andrà a occupare con la moglie e il figlio neonato. Studia, compone e cerca lavoro, perché in qualche modo deve pur mantenersi. Ci prova a Monza, per lo stesso posto di maestro di cappella prima rifiutato per restare a Busseto. Ma è troppo tardi, il posto è già assegnato. Torna a Busseto e, q­ uando © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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serve, si reca a Milano come un pendolare ante litteram, perché qui non solo sta studiando, ma si sta inserendo nel “giro che conta”. Non è un caso che abbia già conosciuto parecchia gente, come quel tal maestro Pietro Masini, o Massini che dir si voglia, che è riuscito a fargli avere un libretto d’opera da musicare. È un bel colpo, perché è proprio quello che Verdi vuol fare: scrivere musica per il teatro. È così da sempre. Quando Giuseppe arriva davanti alla commissione del Conservatorio ha già composto alcune romanze, un notturno e tre cori su Il Conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni. Il libretto che Massini ha messo in mano a Verdi è quello dell’Oberto, conte di San Bonifacio, componimento poetico di Antonio Piazza, impiegato governativo con la passioFrontespizio dello spartito per ne per la poesia. canto e pianoforte di Oberto, ­conte Verdi scrive dal 1835 al 1836 e andi San Bonifacio, Milano 1840. nuncia a Massini di aver terminato di comporre in una lettera del 16 settembre. È solo un caso, ma quella è una data particolare. Quel giorno infatti si svolgono i funerali di Vincenzo Lavigna, morto di colera. Verdi non partecipa alle esequie e questa, per quel che ne sappiamo, è la prima espressione “pubblica” di un tratto determinante della sua personalità. Non va ai funerali del suo maestro non per insensibilità. Semplicemente: non va perché sta lavorando e nessuna distrazione, nemmeno la pietà, è concessa. L’Oberto è concluso, dunque, ma prima di vederlo in scena passano tre anni. Accadrà in quel 1839 che segnerà la sua vita con un inchiostro indelebile. Sono passati sette mesi dall’arrivo in contrada Santa Marta. La famiglia Verdi trasloca in contrada San Simone 3072, oggi via Cesare C ­ orrenti. 28

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ITINERARI PEDONALI PER IL CENTRO Ecco quattro itinerari da percorrere a piedi nel centro della città. Al di fuori di essi si trovano altri due luoghi “verdiani”: il Conservatorio di Musica e la Casa di Riposo per Musicisti. Il primo si trova in via Conservatorio, di fianco alla chiesa di Santa Maria della Passione e si può raggiungere allungando l’itinerario C, da piazza San Babila verso la circonvallazione interna di via Visconti di Modrone. La Casa di Riposo, che custodisce le spoglie del maestro e di Giuseppina in una cappella liberamente accessibile, si trova in piazzale Buonarroti, raggiungibile con la linea 1 della metropolitana, fermata “Buonarroti”.

Biglietto autografo di Giuseppe Verdi © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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Via Monte di P

5 Via San Protaso

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Via G. Verdi 12

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Piazza della Scala

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ITINERARIO A • Dagli Archi di Porta Nuova alla Galleria Vittorio Emanuele 15

Pietà

Archi di Porta Nuova 3

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Via A. Manzoni

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La corsia del Giardino oggi via Manzoni Agli inizi dell’Ottocento la corsia del Giardino è una delle vie più eleganti della città, fra palazzi nobiliari, la vicinanza di famosi teatri e della Scala, e la presenza di numerosi caffè. È qui che si ritrova la “Milano che conta”. Arriva su splendide carrozze, trainate da quattro o anche sei cavalli, strigliati e bardati a dovere. Le dame sfoggiano gioielli e vestiti all’ultima moda, guardano le vetrine dei negozi, amano spettegolare un po’ e di solito sono accompagnate da un elegante cavaliere in stiffelius e cilindro. Dopo aver accompagnato le signore, gli uomini si avviano verso uno dei tanti caffè dove si rintanano tutta la giornata per parlare di arte, letteratura e, immancabilmente, di politica. Una popolare poesia di Giuseppe Pessina, chimico e poeta milanese, li descrive così: Ai des se veden lì Poeu se veden a mezzdì Ai ses or in no cambiaa Paren finna pitturaa!

Alle dieci si vedono lì poi si vedono a mezzodì alle sei non son cambiati sembran quasi pitturati

L’aspetto della corsia del Giardino è molto singolare. Dopo i grandi palazzi nobiliari che iniziano agli archi di Porta Nuova, la strada si restringe nei pressi del Teatro alla Scala e sul lato destro della via è tutto un susseguirsi di casupole fatiscenti e irregolari. Su alcuni palazzi campeggiano medaglioni o incisioni che richiamano motivi musicali, in omaggio alla presenza del teatro. A circa metà della via si trova la chiesa di Santa Maria del Giardino, prima sconsacrata, poi adibita a deposito delle carrozze per la sua volta alta e larga, infine demolita per far posto a nuovi palazzi. Qui passeggiano la contessa Maffei, la Samoyloff e, naturalmente, Giuseppe Verdi che la percorre per raggiungere la Scala. Camminare oggi in via Manzoni, dal Grand Hotel et De Milan verso 212

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Itinerario A

il teatro, restando sullo stesso marciapiede della portineria dell’albergo, è come porre i propri passi nelle orme di Verdi. 1. Teatro Manzoni ieri piazza San Fedele oggi via Manzoni 42 Il 15 maggio 1850 un gruppo di nobili milanesi, tra cui Alessandro Melzi d’Eril, fondano la Società Anonima del Teatro Sociale di Milano, che ha come obiettivo quello di rivalutare il grande teatro di prosa. La sede della società è il Teatro della Commedia, che sorge in piazza San Fedele sull’area del demolito Palazzo Imbonati, proprio di fronte alla chiesa. Ha una capienza di 1.000 spettatori. Sarà fra i primi teatri in Europa a essere illuminato elettricamente. Dopo più di vent’anni di spettacoli, alla morte di Alessandro Manzoni, nel 1873, il comitato promotore del teatro decide di intitolarlo a suo nome. Nel 1889 Verdi e Giuseppina Strepponi, di passaggio a Milano durante il viaggio verso le terme di Montecatini, vanno al Manzoni per assistere a una rappresentazione di Goldoni, la Pamela Nubile. La protagonista principale è una splendida Eleonora Duse, una delle grandi attrici teatrali del momento, che ha un intimo rapporto di amicizia con Arrigo Boito. Da questa serata nasce il progetto per il Falstaff. Il teatro continua la sua attività fino all’agosto del 1943 quando, distrutto dai bombardamenti, è costretto a chiudere. Riaprirà nel 1950 nella nuova sede in via Manzoni 42. 2. Palazzo Poldi-Pezzoli ieri via Manzoni 12-14 oggi via Manzoni 12 Il nobiluomo Gian Giacomo Poldi Pezzoli vive qui con la sua eccezionale collezione di arte varia. Secondo il gusto dell’epoca ha raccolto sculture, pitture, cineserie, oggettistica di diverse provenienze e ha allestito come un museo alcune stanze della sua dimora. © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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Prima frequentata esclusivamente da amici e conoscenti, nel 1846 la casa viene aperta al pubblico dallo stesso nobiluomo fino al 1879, anno della sua scomparsa. Sulla sua morte circola una curiosa leggenda: si dice che morì per soffocamento all’interno della cassaforte nella quale era entrato per verificare i tesori della sua collezione. Accidentalmente vi si rinchiuse all’interno. Nel 1881 la casa viene trasformata definitivamente in museo, tuttora aperto al pubblico. 3. Grand Hotel et De Milan ieri via Manzoni 29 oggi via Manzoni 29 L’Albergo Milano fu inaugurato il 23 maggio 1863 all’insegna del progresso. La pubblicità dell’epoca lo descrive come «appositamente costruito e mobiliato secondo i bisogni e i comodi richiesti dal progresso dell’epoca». L’architetto che l’ha progettato è Andrea Pizzala, lo stesso che ha disegnato e realizzato, nel 1831, la Galleria De Cristoforis. Nel suo nucleo originario era di dimensioni più ridotte, poi, a più riprese, ingloba un edificio in via Monte di Pietà e la parte di fabbricato che dà su via Croce Rossa. Quest’ultima parte era adibita a “casa di tolleranza”, ben poco tollerata però dagli altri abitanti che, per ovvi motivi, l’accusavano di dare scandalo in una delle zone più eleganti, centrali e popolate della città. Verso la fine dell’Ottocento, il Grand Hotel mette a disposizione dei suoi clienti il servizio di posta, ma soprattutto quello di telegrafo: queste particolari dotazioni attirano non solo la nobiltà, ma anche persone d’affari e corrieri diplomatici. Per accedere ai vari piani, viene installato uno dei primi ascensori idraulici Stiegler, tuttora funzionante. Dal 1872 Verdi alloggia qui, nell’appartamento n. 105, uno spazio molto luminoso, arredato con eleganza e improntato alla praticità. Al centro della stanza il pianoforte, il tavolo da studio, un piccolo divano e le carte sulle quali lavora. La sua stanza, con i suoi mobili, è ancora amorevolmente conservata ed è possibile alloggiarvi. 214

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Itinerario A

4. Palazzo Olivazzi ieri via Bigli 21 oggi via Bigli 21 In questo palazzo, nel 1850, si stabilisce la trentenne Clara Maffei dopo la separazione dal marito Andrea. I due coniugi hanno avuto una figlia che, però, muore a pochi anni dalla nascita. Le sale dove la contessa riceve artisti, letterati, politici e i tanti amici sono due. Nella prima troneggia un pianoforte, dove ha suonato anche Franz Liszt, nel 1838, per quasi tutta una sera. La seconda è un trionfo di oggetti, soprammobili, tavolini, poltroncine, quadri di tutte le dimensioni. Tra queste mura passano ospiti come il pittore Francesco Hayez, Alessandro Manzoni e, naturalmente, Giuseppe Verdi, grande amico di Clara. Dello scrittore francese Honoré de Balzac, la Maffei ricorda spesso come si appisolasse volentieri su una poltrona, quando non si parlava di occultismo e paranormale. A poca distanza, in via Andegari, abita Carlo Tenca, il grande amore della Maffei, della quale diventerà inseparabile compagno. La notte di San Silvestro del 1859 le finestre del palazzo brillano della luce di ben mille candele accese. Si festeggia la nascita del Regno d’Italia e tutti gli invitati portano abiti tricolore. Al piano di sotto a quello dell’appartamento della Maffei, abita Ambrogio Nava: il proprietario del palazzo, ma anche l’architetto che ha provveduto al restauro della guglia maggiore del Duomo, quella sulla quale, ancora oggi, campeggia la Madonnina. Dal 1894 al 1900 in questo palazzo risiede il quindicenne Albert Einstein, emigrato a Milano con il padre, che gestisce un negozio di motori accanto alla centrale elettrica in via Santa Radegonda. A Milano, Einstein, passa periodi di tempo limitati, perché impegnato negli studi a Zurigo. 5. via Romagnosi ieri complesso monastico di San Bernardino oggi via Romagnosi Nell’attuale via Romagnosi, ai primi dell’Ottocento, ha sede il complesso © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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monastico di San Bernardino, al cui interno si apriva la chiesa di Santa Maria del Giardino. Dopo la soppressione degli ordini religiosi, la grande aula riservata al capitolo e alla predicazione diventa sede della dispensa dei tabacchi, poi della Casa di Finanza, quindi un magazzino di materiali e attrezzi del Teatro alla Scala. Nel 1872, dopo l’abbattimento degli edifici monastici ormai in stato decadente, viene aperta via Romagnosi. 6. Abitazione di Verdi in via Andegari ieri via Andegari oggi non esiste più Dopo i successi del Nabucco, Verdi alloggia in un appartamento in via Andegari. È vicino al Teatro alla Scala e all’abitazione di Clarina Maffei, in via dei Tre Monasteri, oggi via Monte di Pietà. 7. Monte di pietà ieri via Monte di pietà oggi viale Certosa 94 Il Monte di Pietà nasce a Milano nel 1496 con un documento di Ludovico il Moro che rileva la necessità di un’istituzione in grado di aiutare chi non ha denaro, prestandoglielo dietro cauzione di oggetti dati in pegno. Quando subentrano i Frati Francescani, il Monte ha la sua prima sede presso la chiesa di Santa Maria Segreta. Nel 1783 viene trasferito nel monastero di Santa Chiara, in Contrada del Monte di Pietà, nella cui ala ricostruita rimane per tutto l’Ottocento. Al Monte di Pietà si recano persone in difficoltà che impegnano i propri averi (gioielli, suppellettili, ma anche lenzuola e tovaglie) in cambio di denaro per saldare i debiti e continuare a vivere nella speranza, poi, di restituire il prestito e rientrare in possesso dei propri beni. Anche Margherita Barezzi, la prima moglie di Giuseppe Verdi, è venuta qui a impegnare i suoi gioielli per far fronte alle spese, nei primi tempi di vita a Milano. 216

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Personalità Appiani Giuseppina (1795-1860) Figlia di un magistrato, rimase vedova e iniziò a frequentare Verdi ai tempi del Nabucco. Con lui intrattenne una saltuaria corrispondenza. Il ritrovamento di diversi biglietti, scambiati con il maestro, dal tenore ambiguo, lasciano spazio all’ipotesi di una relazione tra i due che, però, non ha mai trovato riscontro. Barezzi Antonio (1787-1867) Commerciante di vini dal quale il padre di Verdi, padrone di una piccola posteria, acquistava i prodotti da rivendere a Roncole. Barezzi era un musicista dilettante, suonava il flauto e fu il fondatore della Società Filarmonica di Busseto. Con lui Verdi manterrà sempre un rapporto di cordiale riconoscenza, anche dopo il matrimonio con Giuseppina Strepponi. Barezzi Margherita (1814-1840) Figlia di Antonio Barezzi, divenne la moglie di Verdi il 4 maggio del 1836. Si erano conosciuti grazie alle frequentazioni del giovane compositore in casa Barezzi, dove dava a Margherita anche lezioni di canto e pianoforte. Ebbe due figli, Virginia (1837-1838) e Icilio (1838-1839), entrambi morti in tenera età. Bava Beccaris Fiorenzo (1831-1924) Generale, noto per la repressione dei moti operai milanesi del 1898. Posto a riposo nel 1902, dopo aver ricevuto la Gran Croce dell’Ordine Militare di Savoia ed essere divenuto senatore, aderirà al movimento interventista della prima guerra mondiale. Belgiojoso Cristina Trivulzio, principessa di (1808-1871) Patriota e scrittrice. Divenne moglie del principe Emilio di Belgiojoso, visse esule a Parigi e anche a Milano, dove riunì nel suo salotto personaggi influenti e contribuì ai moti risorgimentali. Belinzaghi Giulio (1818-1892) Uomo politico e banchiere. Fu sindaco di Milano durante il Regno d’Italia. Rimase in carica ben 19 anni, dal 1868 al 1992, con una pausa di quattro anni. Completò la sistemazione della piazza del Duomo e decretò l’annessione dei Corpi Santi alla città nel 1873. Beretta Antonio (1808-1891) Politico, fu il primo sindaco della città di Milano sotto il Regno d’Italia. Fu promotore della Compagnia del credito sul lavoro di Milano che, dal suo scioglimento, pose le basi per la futura Banca Popolare di Milano. Venne quindi coinvolto nella sospetta vicenda della costruzione della Galleria Vittorio Emanuele, con l’accusa di aver utilizzato fondi pubblici per acquistare a caro prezzo palazzi privi di valore, ma intestati a suoi parenti. Nominato conte da Vittorio Emanuele II, nel 1862 divenne membro onorario della Società Storica Lombarda. Bertini Giuseppe (1825-1898) Pittore, fu direttore dell’Accademia di Belle Arti di Brera, e diventerà il direttore del Museo Poldi Pezzoli. A lui si devono le vetrate della facciata del Duomo di Milano. © 2011 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati

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Brani del CD NABUCCO 1 Atto III • Coro degli schiavi ebrei: Và, pensiero (4:36) Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma Gabriele Santini, direttore Registrazione: Roma, agosto 1958 - Stereo - P 1959 I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA 2 Atto IV • Coro dei Crociati: O Signore, dal tetto natio (4:51) Orchestra Sinfonica e Coro di Milano della RAI Ermanno Wolf-Ferrari, direttore Registrazione: Milano, febbraio 1951 - Mono - P 1951 RIGOLETTO 3 Atto II • Aria di Rigoletto: Cortigiani vil razza dannata (4:32) Rigoletto: Alexander De Svéd, baritono Orchestra Sinfonia della Radio Italiana in Torino Alfredo Simonetto, direttore Registrazione: Torino, 1947 - Mono - P 1948 RIGOLETTO 4 Atto III • Aria del Duca: La donna è mobile (2:22) Il Duca di Mantova: Jussi Björling, tenore Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma Jonel Perlea, direttore Registrazione: Roma, giugno 1956 - Mono - P 1957 IL TROVATORE Atto II • Scena al campo degli zingari 5 Coro degli Zingari: Vedi! Le fosche notturne spoglie (2:39) 6 Aria di Azucena: Stride la vampa (2:54) Azucena: Fedora Barbieri, contralto Robert Shaw Chorale & RCA Victor Symphony Orchestra Renato Cellini, direttore Registrazione: New York, febbraio-marzo 1952 - Mono - P 1953 IL TROVATORE 7 Atto III • Cabaletta di Manrico: Di quella pira (2:12) Manrico: Richard Tucker, tenore Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma Arturo Basile, direttore Registrazione: Roma, luglio 1959 - Stereo - P 1960 LA TRAVIATA 8 Atto I • Preludio (4:02) Columbia Symphony Orchestra Thomas Schippers, direttore Registrazione: New York, dicembre 1960 - Stereo - P 1961 LA TRAVIATA 9 Atto I • Duetto di Violetta e Alfredo: Libiamo nei lieti calici (3:07) Violetta: Victoria de los Angeles, soprano Alfredo: Carlo Del Monte, tenore Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma Tullio Serafin, direttore Registrazione: Roma, luglio 1959 – Stereo - P 1960 LA TRAVIATA 0 Atto I • Cabaletta di Violetta: Sempre libera (3:59) Violetta: Maria Callas, soprano Alfredo: Francesco Albanese, tenore Orchestra Sinfonia delle RAI di Torino Gabriele Santini, direttore Registrazione: Torino, settembre 1953 - Mono - P 1953

SIMON BOCCANEGRA Prologo • Scena di Jacopo Fiesco @ Recitativo: A te l’estremo addio (1:50) # Aria: Il lacerato spirto (3:26) Jacopo Fiesco: Mario Petri, basso Orchestra Sinfonia e Coro di Roma della RAI Francesco Molinari-Pradelli, direttore Registrazione: Roma, novembre 1951 - Mono - P 1952 DON CARLO $ Atto III • Aria di Filippo II: Ella giammai m’amò (9:12) Filippo II: Boris Christoff, basso Philharmonia Orchestra, London Herbert von Karajan, direttore Registrazione: London, novembre 1949 - Mono - P 1950 AIDA Atto I • Scena di Radames % Recitativo: Se quel guerrier io fossi (1:10) ^ Aria: Celeste Aida (3:39) Radames: Franco Corelli, tenore Orchestra Sinfonica della RAI di Torino Angelo Questa, direttore Registrazione: Torino, dicembre 1956 - Mono - P 1957 AIDA Atto II • Scena del Trionfo & Coro delle schiere egizie: Gloria all’Egitto (3:43) * Marcia Trionfale e Coro conclusivo (4:22) Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma – Alberto Erede, direttore Registrazione: Roma, luglio 1952 - Mono - P 1953 OTELLO ( Atto IV • Aria di Desdemona: Ave Maria (4:57) Desdemona: Renata Tebaldi, soprano Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma Alberto Erede, direttore Registrazione: Roma, agosto1954 - Stereo - P 1955 FALSTAFF ) Atto III • Finale: Tutto nel mondo è burla (3:06) Sir John Falstaff: Tito Gobbi, baritono Mr. Ford: Rolando Panerai, baritono Bardolfo: Renato Ercolani, tenore Pistola: Nicola Zaccaria, basso Mr. Alice Ford: Elisabeth Schwarzkopf soprano Nannetta: Anna Moffo, soprano Fenton: Luigi Alva, tenore Dr. Cajus: Tommaso Spataro, tenore Mrs. Quickly: Fedora Barbieri, mezzosprano Mrs. Page: Nan Merriman, mezzosoprano Philharmonia Orchestra and Chorus, London Herbert von Karajan, direttore Registrazione: London, giugno e luglio 1956 - Stereo P 1957

I VESPRI SICILIANI ! Sinfonia (8:38) London Symphony Orchestra Antal Dorati, direttore Registrazione: London, luglio 1957 - Stereo - P 1958

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