CREDITI FOTOGRAFICI pp. 3, 4, 7, 9, 10, 15, 19, 23, 29, 30, 32, 33, 34, 47, 48, 49, 50, 56, 59, 62, 68, 73, 75, 76, 78, 86, 87, 92, 95, 98, 99, 101, 102, 103, 107, 108, 111, 113, 119, 128, 130, 131, 132, 135 © Archivio personale di Paolo Zeccara pp. 5, 6, 7, 8, 13, 14, 16, 17, 18, 20, 21, 22, 25, 26, 27, 28, 29, 31, 32, 36, 52, 55, 60, 63, 71, 72, 74, 76, 79, 93, 94, 96, 97, 100, 104, 117, 118, 121, 122, 124, 145 © Biblioteca Passerini – Landi, Piacenza pp. 11, 21, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 54, 57, 84, 85, 90, 91, 94, 105, 106, 107, 109, 110, 112, 113, 115, 116, 125, 126, 127, 129, 130, 132, 133, 134 © Edizioni Curci S.r.l. pp. 12, 46 © Archivio Storico del Gruppo Intesa Sanpaolo pp. 24, 35, 46, 51, 53, 58, 64, 65, 66, 69, 71, 77, 79, 92, 120, 121, 122, 123 © Archivio personale di Giancarla Moscatelli p. 51 © Claudio Galli p. 67 © Wolfgang Jargstorff – Fotolia.com p. 70 tratta dal libro A Milano con Verdi – © Edizioni Curci S.r.l. pp. 80-83 © Monastero di San Benedetto delle Adoratrici del SS. Sacramento in Milano p. 88, 136 © Gian Mauro Banzòla Autore ed editore ringraziano la Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza, l’Archivio Storico del Gruppo Intesa Sanpaolo, il Monastero di San Benedetto delle Adoratrici del SS. Sacramento in Milano, Paolo Zeccara, Claudio Galli, Gian Mauro Banzòla per la collaborazione alla ricerca fotografica di questo volume. Un ringraziamento speciale alla Signora Graziella Galli per le fonti e le informazioni fornite. L’editore, esperite le pratiche per acquistare i diritti di riproduzione delle fotografie prescelte, è a disposizione degli aventi diritto per eventuali lacune od omissioni. Impaginazione: Paolo Zeccara, Francesca Centuori Editing: Pino Pignatta Proprietà per tutti i Paesi: Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. – Milano Tutti i diritti sono riservati EC 30007 / ISBN: 9788863951752 www.edizionicurci.it Prima stampa in Italia nel 2017 da Press Up S.r.l.
INTRODUZIONE
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INTRODUZIONE
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ome fa una canzone, scritta quasi per caso, di getto, a diventare l’inno di una città? Ci vogliono almeno tre ingredienti: un bravo compositore, una soubrette di talento e una città operosa e ricca di fermento. Per O mia bèla Madonina c’erano proprio tutti: Giovanni D’Anzi, Linda Pini e Milano. Una metropoli moderna, in piena espansione, in un momento storico difficile ma anche ricco di vitalità, dove non mancavano la voglia di stare insieme, di passare qualche serata nei locali e di ascoltare la radio, anche se si proveniva da paesi lontani e si era arrivati a Milano in cerca di fortuna, magari con una valigia di cartone e dopo un lungo viaggio. Nacque tutto in una sera, in poco tempo: il pianoforte, la cantante e il desiderio di scrivere una canzone con una bella melodia e con un testo che suscitasse un sorriso. Lo spirito di quei tempi e la proverbiale accoglienza della città hanno fatto il resto. O mia bèla Madonina si sentiva cantare dappertutto, in un milanese raffazzonato e farcito di accenti del Centro e Sud Italia, testimonianza di un forte senso di appartenenza alla città, seppure di adozione. In questo libro ho voluto ricordare la Milano di quegli anni, gli anni ‘30, come si viveva, quali erano la musica e gli spettacoli preferiti dalla gente ma, soprattutto, ho cercato di raccontare, attraverso la vita di D’Anzi e gli approfondimenti di arte, storia e costume, il clima e il luogo nel quale è nato l’inno di Milano. Perché O mia bèla Madonina era ed è la canzone di Milano, suonata, conosciuta e cantata ancora da generazioni di milanesi di nascita o di adozione. La Madonnina è il simbolo della città, in un certo senso incarna lo spirito di unità e sacrificio che ha da sempre animato la comunità milanese. Sotto di lei si sono ritrovate tante persone che hanno © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
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sperato in nuove opportunità, inseguito i propri sogni, cercato e messo radici, plasmando il volto della città che oggi conosciamo. Passeggiare per il centro e visitare i luoghi di D’Anzi ci fa assaporare l’atmosfera di quegli anni, così lontani, è vero, ma, con i loro eccessi e le loro novità, non così diversi dai nostri. E ci fa sentire tutti milanesi.
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1 • MILANO NEGLI ANNI '30: RITRATTO DI UNA METROPOLI
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li anni Trenta sono per Milano un periodo di forte cambiamento: la modernità alle porte, un nuovo sistema sociale introdotto dal regime fascista, l’aumento della popolazione, trasformano la “piccola Parigi” in una metropoli al passo con i tempi. È il periodo delle grandi opere edilizie, del rifacimento della città, del mutamento dello stile di vita. Dopo il crollo della Borsa di New York nel 1929, anche in Italia si avvertono gli effetti della crisi: aumenta la disoccupazione e la produzione diminuisce. Il governo, nel tentativo di Dopo mesi di corsa al rimediare, diminuisce i salari e dà inizio ad una serie di rialzo, gli investitori, per realizzare guadagni, speopere pubbliche in tutta Italia, compresa Milano. culano al ribasso. È l’inizio Benito Mussolini, il capo del governo, vuole una metro- di un crollo che culmina con il “martedì nero” del poli monumentale 29 ottobre 1929, giorno in vengono letteralmente e non esiterà a rade- cui “bruciati” miliardi di dollare al suolo gli ultimi ri e i cui effetti si avvertono in tutto il mondo sotto edifici ottocenteschi, forma di una grave crisi retaggio d’un passa- economica to che mal si combi- Lo smantellamento della elettrica di Santa na con l’emergente centrale Radegonda sancisce l’instile littorio. gresso definitivo nella Le centrali Si inizia nel modernità. elettriche vengono ormai 1930, con la demo- costruite lontane dalle città e dell’energia si godono, in lizione della centra- questi anni, solo i vantaggi, le elettrica Edison di via Santa Radegonda: dopo aver ac- con poca attenzione allo sfruttamento delle risorse ceso l’”alba elettrica” nel 1883, la ciminiera che svettava a e all’inquinamento © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
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pochi passi dal Duomo sparisce dal panorama insieme con le caldaie e con le dinamo, per lasciare spazio al cinema Odeon, inaugurato il 15 settembre. Se Mussolini nel 1915 rimarcava che Milano non aveva nulla – né colli, né mare, né lago - e si sarebbe dovuta accontentare della Darsena, nel ‘28 si smentisce con la costruzione dell’Idroscalo. Pensato per velivoli capaci di L’abbattimento, nel 1933, del viadotto ferroviario decollare e atterrare sull’acqua, non sarà mai utilizzato che attraversa corso Buenos Aires rappresenta, per questo scopo: gli idrovolanti usciranno di produun importante momento zione pochi mesi dopo la sua inaugurazione nel 1930. di riqualificazione della città. Quando passavano L’Idroscalo sarà quindi riconvertito in specchio d’acqua le locomotive a vapore, gli abitanti erano costretti dedicato alle gare di canottaggio, tradizione che contia chiudere le finestre per nua ancora ai giorni nostri. E così Milano avrà almeno il evitare di essere invasi dal fumo. Se fosse rimasto, lago, se non il mare. forse oggi avremmo una Poi, nel 1933, è la volta della vecchia ferrovia sopraemetropolitana circolare sul modello di quella di levata che passa in corso Buenos Aires: il viadotto di viale Chicago Tunisia viene smantellato, il percorso ferroviario modiSi affacciano nuove mode: ficato al fine di raggiungere la nuova Stazione Centrale l’arrivo dello yo-yo calamita l’attenzione dei clienti – ancora oggi scalo ferroviario prindella Rinascente. Signore cipale – mentre si demolisce quella e, soprattutto, bambini, sono affascinati dalle evo- vecchia per fare spazio a piazza Fiuluzioni dei piccoli dischetti me, oggi piazza della Repubblica. di legno trattenuti da uno Nascono piazza Diaz, piazza spago. Un passatempo semplice che ha contagiato tante generazioni, cam- degli Affari, il palazzo della Borsa. biando aspetto, materiali Viene rasa al suolo una caserma e arrivando ai giorni nostri equipaggiato di led lumi- d’artiglieria e al suo posto nasce il nosi, frizioni e altri mecca- Palazzo di Giustizia. nismi per un divertimento Anche le abitudini dei milanesi che non conosce età iniziano a cambiare: nelle case dei più abbienti, nel 1931, arriva il gas di città. L’impianto © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
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di distribuzione è alla Bovisa, la rete è limitata a poche abitazioni che possono finalmente preparare i cibi senza la “cucina economica” a carbone. È una rivoluzione che riguarda soprattutto le donne, cuoche e governanti, che non devono più occuparsi della brace e del fuoco: basta aprire il rubinetto, accendere il fiammifero e accostarlo al soffio del fornello per avere una fiamma viva e continua. Il 1932 è invece l’anno dello yo-yo, tutti sono attratti dal gioco che arriva
La bicicletta è il mezzo
dall’America: ai grandi magazzini “La Rinascente” un più diffuso anche per spofuori città: il treno maestro, venuto apposta da oltreoceano, insegna i truc- starsi è troppo costoso, l’auto chi per rimbalzi ed evoluzioni spettacolari. Modernità è ancora per pochi. Ma pedalare è faticoso: sono anche cambiare mezzo di trasporto: si pubblicizza la Ba- biciclette pesanti, senza il lilla, vettura a tre marce, 85 chilometri l’ora di velocità cambio che aiuta in salita, su strade polverose, con il massima. È proposta come auto del popolo, che cambia rischio di forare e, sopratdi cadere se le ruote lo stile di vita e rilancia l’industria. Ma costa troppo per tutto, rimangono incastrate nei le tasche degli italiani e diventa l’auto dei professioni- temuti binari del tram. sti, degli scrittori famosi e dei calciatori. E con il calcio, il ciclismo è uno dei principali argomenti di conversazione nei bar: si parla di Alfredo Binda e della Juventus, si leggono la Gazzetta © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
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Il telefono, simbolo di modernità e seduzione. Nella vita di tutti i giorni la mancanza di contatto visivo permette, letteralmente, di dare voce alla fantasia. Al cinema il telefono è tra i protagonisti di molte pellicole: sempre bianco e spesso tra le mani di donne affascinanti ed ammiccanti
dello Sport e il Guerin Sportivo, sorseggiando un bicchiere di vino prima di tornare a casa in bicicletta. Migliaia di famiglie di operai hanno infatti lasciato le loro abitazioni in città, demolite dal “piccone risanatore” di MussoliRicevere la scatola del “Meccano” a Natale è la ni e vivono ora nelle case minivera felicità per i bambime costruite all’Ortica, a San Siro ni della Milano degli anni ‘30. Pomeriggi passati a e a Baggio. costruire macchine e ogMilano è povera di verde pubgetti, ispirandosi a quelli veri oppure, più spesso, blico, le case sono addossate le une alle altre e una inventando meccanismi di fantasia. Da soli o in com- ragnatela di vicoli e strade forma un labirinto circolare pagnia, sul pavimento di a partire dal Duomo. All’interno dei palazzi nobiliari, casa, magari nei pressi della radio, per stare vicino a però, si trovano splendidi giardini con alberi secolari papà, sempre pronto a intervenire alla minima dif- che, assieme ad altri spazi più “umili”, migliorano un ficoltà, per aiutare, sì, ma poco la vivibilità della città. Ci sono cortili, officine, vie anche per giocare un po’ solitarie che ospitano piccoli orti e angoli di verde. Il “polmone verde” per eccellenza rimane però il parco di Porta Venezia, dove le famiglie passeggiano la domenica o nei giorni di festa, quando non sono occupate da adunate o raduni fascisti e possono ascoltare la banda dei tranvieri che suona arie d’opera sotto un gazebo. Poco distante, la casetta di legno in stile russo, costruita per l’Esposizione Nazionale del 1881, è la sede della Centrale del Latte. Per la merenda dei bambini che giocano nel parco, c’è la mescita di latte fresco prodotto dalle mucche della stalla comunale. Un angolo campestre e spensierato che sarà distrutto dai bombardamenti del 1943 e mai più ricostruito. © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
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Sino a metà degli A cristallo di galena, con 4 o 5 valvole, in un mobile di anni ‘20, signore e radica oppure in una semscatola di legno, la rasignorine e i loro ac- plice dio diventa il centro della compagnatori cam- vita domestica. Si accende, si attende qualche istante minano in un’atmo- che le valvole si scaldino, sfera squisitamente poi si ruota delicatamente la manopola della sintofrancese all’interno nia fino a raggiungere la desiderata e in della Galleria De Cri- stazione un attimo si è a Roma, a stoforis, la contrada Napoli, a Parigi o a Londra. sera si possono sende veder, – la via di Etirela anche le stazioni più vetro – una galleria lontane che trasmettono sulle onde medie, perché coperta da un lucer- la mancanza del sole favonario costruita sullo risce la propagazione del segnale stile dei passages pal’E.I.A.R. che si occupa rigini, che si affaccia Èdelle trasmissioni radiofosu corso Vittorio Emanuele, accanto a quella che oggi è niche e diventerà, durante fascismo, la voce del piazza San Carlo e arriva sino a via Montenapoleone. Il ilregime suo ingresso sembra quello di una sala da ballo, al suo interno ci sono caffè, negozi, il cinema Volta, dove si vanno a vedere i film dei “telefoni bianchi”, chiamati così per via degli apparecchi che sono sempre di quel colore. E poi tanti lampioni luminosi, globi di luce che rendono l’atmosfera particolarmente romantica. Dalle vetrine della libreria Hoepli si
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Safar, Radiomarelli, Superla: sono solo alcuni dei marchi di apparecchi radio prodotti in Italia negli anni ’30. Il loro costo rimane comunque elevato, i materiali e la costruzione a mano, seppure in serie, non permettono di rendere la radio, nei primi anni di funzionamento del servizio, un prodotto popolare Nelle vetrine compaiono i primi modelli di apparecchi televisivi. Lo schermo è piccolo, leggermente bombato, le immagini, in bianco e nero, sono molto lontane dallo standard di definizione e qualità al quale oggi siamo abituati, ma da subito la televisione si rivela qualcosa di veramente speciale. Folle di curiosi affollano le vetrine dei negozi che mettono in mostra gli apparecchi in funzione, tra stupore e incredulità
intravedono lampade verdi sui tavoli, Repetti e Quadrio hanno un negozio di ortopedia che espone una gamba femminile artificiale e una serie di oggetti a metà tra l’impressionante e il surreale. E poi la modista e il negozio di giocattoli, che a Natale diventa il “paese dei balocchi”. In quegli anni i bambini si divertono con i cavallini di legno, gli orsacchiotti, le bambole e il Meccano, gioco che permette di costruire macchinine, gru e altri congegni usando poche viti e barrette di metallo forato e, soprattutto, fa sentire tutti i bimbi dei piccoli ingegneri. Per i più sognatori c’è Duroni con i suoi cannocchiali, microscopi e telescopi per guardare le stelle ed esplorare le meraviglie della natura. E per gli ingegneri, quelli veri, Duroni è il fornitore ufficiale di regoli calcolatori in avorio, portati nel taschino della giacca al posto del fazzoletto bianco. Dopo anni di abbandono, la Galleria sarà demolita nel 1935 e al suo posto verrà costruito il Palazzo del Toro. Al calare della sera le famiglie si ritrovano attorno alla radio, nuovo focolare che inizia a colonizzare le
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case dei cittadini più abbienti per raggiungere, nei primi anni del secondo conflitto mondiale, la gran parte della popolazione, grazie a modelli più economici prodotti per alimentare la propaganda fascista. Le emittenti non sono poche: l’EIAR – Ente italiano audizioni radiofoniche – trasmette da varie città italiane e poi ci sono le emittenti europee. Le trasmissioni iniziano al mattino alle 9,00 e continuano tutto il giorno tra notiziari, concerti di musica classica, discorsi, rubriche, sino alla sera, quando vanno in onda i programmi di canzoni e motivi ballabili. Molto seguito è Canta Rabagliati, un programma nel quale l’ormai celebre cantante propone, tra gli altri, i pezzi scritti da uno dei Contro le sanzioni econocompositori del momento, Giovanni D’Anzi. Chi ha spa- miche si devono consusolo prodotti italiani zio accenna a qualche passo di danza, le signore fanno mare e ben presto l’autarchia piccoli lavori, i ragazzi terminano i compiti o ascoltano, contagerà anche la lingua. Non si prepara più il patè composti, accanto ai genitori. ma il pasticcio, non si Per cantanti, musicisti e appassionati della lirica, dal prende il ferry-boat ma il treno-battello, non si ha un 1932 il ritrovo serale è invece il Biffi Scala, dove però non flirt ma un amoretto, in un si tira troppo tardi: le ore piccole si fanno al Savini, in Gal- gioco di sostituzioni che rasenta il ridicolo leria Vittorio Emanuele. Ma c’è una novità, a Milano negli anni ’30, che cambierà il corso della storia e della società dopo il conflitto: è la televisione. Alla Fiera Campionaria, la SAFAR – Società anonima fabbrica apparecchi radiofonici – fa le prime dimostrazioni di questo strano apparecchio nel quale, oltre a udire il suono, è possibile anche vedere la sfocata e tremolante immagine di una modella che si muove e sorride. Di lì a © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
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pochi anni, nel 1939, sulla Torre Littoria, al parco Sempione, entrerà in funzione la prima emittente televisiva dell’EIAR. In Galleria Vittorio Emanuele e in corso Buenos Aires i negozi Radiomarelli espongono televisori in funzione, scatole dei sogni che costano come un’automobile e portano nelle case bellezza e modernità. L’emittente rimarrà in funzione fino al 1940, anno in cui i trasmettitori verranno spenti per non causare interferenze agli apparati di radioguida degli aerei militari. Dietro questa apparenza di progresso e modernità c’è però la vita di tutti i giorni, in una città dove si può comprare una radio o una Balilla, ma non si trovano più un paio di scarpe o un tessuto di qualità. Le cantine si trasformano in segrete dispense per conservare ciò che Le fibre artificiali prodotte non sarà più possibile acquistare, perché sostituito da dalla SNIA sostituiscono la altro o difficile da trovare, come té e caffè. È l’autarchia, seta e il cotone, prodotti sempre più cari e più l’obbligo di consumare soltanto prodotti italiani per difficili da trovare in tempo fronteggiare le “inique sanzioni” applicate dalla Società di autarchia delle Nazioni all’Italia a causa della guerra d’Etiopia del 1935-36, che tassano pesantemente le importazioni di prodotti stranieri. Ma in Italia non si può produrre tutto, non c’è, ad esempio, il clima per il caffè e allora al suo posto si prepara una miscela di cicoria. Non si portano più scarpe di pelle di vitello, ma di salpa, il cuoio rigenerato ricavato dai cascami e inventato da Antonio Ferretti, o quelle in pelle di rospo prodotte da Ferragamo. D’inverno s’indossano i maglioni di Lanital, prodotto tessile simile alla lana ma derivato dalla caseina, le calze non sono più di seta ma di raion. Al posto del cotone si usa il cafioc, derivato dai fiocchi di canapa e © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
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per non consumare le suole delle scarpe si applicano punte e tacchi di metallo che danno alla camminata una bizzarra sonorità da ballerino di tip-tap. Si diffonde il detto “è roba di prima”, per riferirsi a beni prodotti precedentemente l’autarchia, cioè di qualità superiore. Tra vecchio e nuovo, tra originalità e autarchia, consenso e opportunistica adesione, tra poveri e ricchi borghesi, questa è la Milano degli anni ’30. Una città che vive il fascino della spettacolare aurora boreale del 25 gennaio 1938: un evento fantastico e magico ma anche un segno nefasto. A migliaia di chilometri di distanza, a Fatima, tre pastorelli sono custodi, dal 1917, di tre segreti dettati loro da un’apparizione della Vergine Maria: nel secondo di essi si fa proprio riferimento all’aurora boreale come segno che un nuovo conflitto mondiale sta per iniziare. E la profezia si avvera: entro pochi anni i milanesi si ritrovano a fare i conti con una guerra che, per quanto metta in ginocchio la città e i suoi abitanti, non riesce ad annullare del tutto le differenze sociali. Mentre i poveri fanno la fila con la carta annonaria per la razione di pane e latte, i ricchi riescono a cavarsela in qualche modo e conservano non solo il denaro, ma anche lo spirito per gite fuori porta e per frequentare i locali notturni. Per tutti ci sono le adunate, i saggi ginnici all’Arena e il sabato fascista, dedicato alla cultura militare, tutti fianco a fianco, con i propri compagni di lavoro che non sono più colleghi, ma camerati.
Anche la musica si piega al governo fascista, con inni dedicati a Mussolini e alle Forze Armate. Canzoni e marce che hanno come soggetto tutto ciò che è propagandato dal regime. © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
INDICE 1
Introduzione 1• Milano negli anni ’30: ritratto di una metropoli Il Futurismo La donna degli anni ‘30
3 13 17
2• Non solo milanesi
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3• In Galleria si parla di politica Giovanni D’Anzi
31 37
4• Milano-Parigi e ritorno La rivista Il Trianon e il Pavillon Dorè Il Duomo di Milano
47 55 59 63
5• La Madonnina del Duomo Maria
71 81
6• Una canzone per Milano
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7• Lui le dava del “tu” La radio negli anni ‘30 La canzone e la censura
89 95 101
8• L’uomo, l’artista, il milanese
107
9• Vi parlo di me: aforismi e pensieri in libertà A tavola con Giovanni D’Anzi Casa Curci Da Piazza Scala a San Babila sulle orme di D’Anzi e delle sue canzoni
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