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Quanto vale un crisantemo? colloquio con Stefano, Luca e Andrea Morsaniga di Marta Meggiolaro
QUANTO VALE UN CRISANTEMO?
Una delle produzioni principali di Morsaniga è il crisantemo, coltivato anche in forme particolari, come la piramide che parte da un’altezza di un metro fino ad arrivare a due metri. Una famiglia di coltivatori piemontesi sta vivendo l’ingresso della terza generazione in azienda. Una produzione conosciuta per l’alta qualità che deriva dalla dedizione e dall’attenzione al dettaglio
colloquio con Stefano, Luca e Andrea Morsaniga di Marta Meggiolaro
Trentamila metri quadrati, una storia che viene da lontano, e l’intenzione di continuare a crescere in eccellenza. L’azienda agricola Morsaniga è tutto questo, e anche di più. Specializzata nella produzione di piante fiorite e piantine da orto per la vendita all’ingrosso, è nata nell’86 come evoluzione dell’attività iniziata dai bisnonni e si stendeva su cinquemila metri quadrati. Negli anni ‘90 la decisione di spostarsi a Collegno con la prima serra, dove si mettono in coltivazione i prodotti che riforniscono il consorzio agrario di famiglia di piantine da orto e fiori annuali. Da lì è iniziata la crescita di questa azienda piemontese, nota per la cura nella coltivazione, che rende i prodotti Morsaniga di alta qualità. Abbiamo parlato con Stefano, Luca e Andrea, la seconda generazione che entra in azienda, del florovivaismo italiano visto dai coltivatori più giovani.
Iniziamo da te, Andrea: quanti anni hai?
«Ho 22 anni! Ho studiato come perito agrario, e dopo il diploma sono entrato in azienda con mio padre Renato e i miei zii Giuseppe e Marina. I cinque anni di perito agrario sono stati utili, ho apprezzato gli stage, che mi hanno avvicinato ad altre realtà aziendali oltre a quella di famiglia, ma non è un indirizzo adatto a un florovivaista: le materie tecniche sono fatte bene, ma non c’è nulla di specifico per noi. Io e i miei cugini siamo
fortunati perché abbiamo imparato tantissimo qui,
nell’azienda di famiglia. Da mio padre ho imparato la parte commerciale e l’attenzione al cliente; da mio zio la parte tecnica e il gusto per la ricerca di varietà e colori, e da mia zia la parte un po’ più fine: lei ha occhio, ad esempio sulle composizioni, sa dare quel tocco in più che le rende molto più d’impatto».
Uno scatto direttamente dall’archivio storico di famiglia, che ritrae i nonni Morsaniga al lavoro. Qui sotto, una delle serre di produzione: attualmente l’azienda si estende su trentamila metri quadrati.
Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?
«Quando avevo quattro, cinque anni, andavo alle quattro del mattino al mercato dei fiori con papà. È stato mio padre a trasmettermi la sua passione. Lui e gli zii ci hanno sempre detto di fare un altro lavoro: perché se sei un coltivatore non esistono sabato e domenica, o le vacanze. Non ci hanno mai detto di fare il loro lavoro, eppure siamo qui!».
E adesso rimpiangi il fatto di non avere il weekend libero?
«Beh, non è che non mi dispiaccia, ma se ho scelto così è perché ho una motivazione forte alle spalle. Diciamo che quando io ero bambino, l’assenza del papà che era sempre occupato in serra non l’ho sentita: perché venivamo noi qui!».
Quindi sei da sempre in azienda, ma da quando sei qui ufficialmente?
«Da dopo il diploma, un anno fa. Non ho un ruolo ben preciso, ed è il bello della nostra azienda, per me. Faccio
tutto quello che c’è da fare e questo mi piace, perché mi permette di conoscere e di vedere a 360 gradi tut-
ta l’azienda. Ad esempio, quando in estate le vendite calano, vado in produzione; se serve, vado a preparare gli ordini. È il bello dell’azienda medio-piccola, non sei vincolato a occupazioni settoriali e univoche. Secondo me questo rende il lavoro migliore da molti punti di vista. A parte che non ci si annoia mai, poter vedere e collaborare alla produzione, ti mette in grado, quando vendi le piante, di dare un valore al prezzo e di riuscire a fornire informazioni precise. Puoi valorizzare il tuo prodotto, perché lo conosci fino in fondo. Rispetto ad altre realtà più grandi, penso che questa sia una marcia in più».
L’azienda è di famiglia; quando è nata?
«La partita Iva è del 1986. Nasciamo come ortolani, i miei bisnonni coltivavano ortaggi in pieno campo. Nello stesso anno due grandinate hanno distrutto tutto. Allora, il bisnonno ha regalato al nonno un piccolo negozio: un consorzio agrario. Da lì, loro due hanno iniziato la produzione e nel ‘86 ci siamo spostati a Collegno con la prima serra, dove coltivavano sempre prodotti per rifornire il negozio, piantine da orto e fiori annuali; poi, pian pianino, con la prima cerchia di clienti papà ha iniziato a vendere al mercato».
Da allora sono stati fatti grandi passi avanti….
«Sì, dopo il mercato e quindi l’acquisizione di un bacino di clienti molto più ampio, abbiamo continuato le produzioni primaverili di gerani e surfinie, annuali e piantine da orto, viole autunnali e primaverili, crisantemi stelle e ciclamini, che è la nostra produzione principale anche ora».
E fra tutto quello che fai, hai un’attività preferita?
«Da commerciale mi piace la primavera, quando le vendite sono all’apice e vedi la serra che si svuota. Mi piace seguire anche i programmi di selezione varietale, introdurre piante nuove, con l’obiettivo di introdurre varietà migliori. Lo facciamo con cautela ma cerchiamo sempre varietà nuove che un domani potrebbero sostituire quelle che coltiviamo ora».
Luca, ora spostiamoci sulla produzione…
«Il tratto distintivo del nostro prodotto è che richiede tanta manodopera: i crisantemi in vaso, per esempio, vengono coltivati con la gabbietta per tener la pianta più ferma. Le ciotole hanno la micro-rete che tiene la pianta fiorita unita, e che non permette che si apra alla prima pioggia. Facciamo tre spuntature: la prima per far “partire” la pianta, una seconda che aiuta a ramificare, e una terza per dar la forma. E poi coltiviamo anche con forme particolari, ad esempio la piramide da un’altezza di un metro fino ad arrivare a due metri».
Quello che fate quindi puntare sulla qualità, fino a “trasformare” piante comuni in prodotti di nicchia…
«Sì è vero, la nostra produzione si differenzia per alcuni dettagli nelle fasi produttive, che però poi sono la sostanza. Ti faccio qualche esempio. Le giovani piante vengono scelte ed acquistate da aziende leader nel settore; facciamo lo stesso per il terriccio che deve essere di ottima qualità per agevolare la radicazione della piantina e ridurre, insieme alla scelta del vaso, eventuali proble-
La lavorazione del crisantemo, qui coltivato a piramide, prevede tre spuntature: la prima per far partire la pianta, una seconda che aiuta a ramificare, e una terza per dar la forma.
Il processo di coltivazione permette di realizzare un prodotto di qualità alta. In questo modo anche il prodotto più popolare, come i ciclamini, acquista valore. matiche in coltivazione. Non può mancare una buona concimazione, e la cura nelle spaziature, che sono la base per ottenere la forma e la struttura della pianta. I crisantemi in vaso hanno la gabbietta, che li tiene fermi: la gabbietta costa 25 centesimi, ma rende il prodotto completamente diverso».
Una domanda doverosa: come avete vissuto il lockdown?
«Abbiamo cercato, come tutti, di buttare il meno possibile. Qui intorno abbiamo qualche azienda con cui collaboriamo e anche in questo periodo abbiamo provato ad aiutarci, facendo in modo che potessimo garantire alla gente ciò che voleva. Nel momento della chiusura, che non ha permesso di far arrivare il prodotto da fuori, siamo riusciti a vendere le nostre produzioni invernali. Le persone non potevano spostarsi e volevano tutto subito: chi aveva la fortuna di essere sul territorio poteva dare un servizio».
Secondo te, Andrea, quali sono i punti deboli in questo momento nel florovivaismo italiano?
«Il primo è che si guarda solo il prezzo, non la qualità. Il prezzo alto fa subito storcere il naso, si cancella la possibilità di considerare un prodotto, si tenta sempre di tirare il prezzo, di abbassarlo fino a che non resta margine per il produttore. Che un prezzo più alto possa essere
giustificato da una qualità più alta, sembra non im-
portante. Se riuscissimo a fare più alleanza fra di noi, saremmo più forti sia nel trattare sui prezzi, sia nell’export. Un altro aspetto riguarda noi giovani. Qualche tempo fa mi è capitato di partecipare a una colletta per fare il regalo di compleanno a un’amica. Con i soldi raccolti, le abbiamo comprato… una ricarica del telefono. Quando l’ho saputo, ho pensato che con la stessa cifra le avremmo potuto regalare una pianta molto bella. Vedo ancora troppo pochi miei coetanei appassionati di verde. Se non iniziamo a preoccuparci del ricambio generazionale nella clientela, una volta passata la fascia dei più anziani che ama il prodotto pianta, resteremo senza mercato». «Il bello da noi è che abbiamo tante regioni di produzione con caratteristiche differenti, e ogni regione emana un profumo diverso: la Sicilia sa di agrumi, la Puglia sa di fiori primaverili, la Liguria sa di aromatiche… da regione a regione, possiamo offrire tutto, e fatto al meglio. Un altro aspetto, collegato a questo, è che ogni azienda italiana produce anche quaranta specie differenti, per garantire una vasta scelta di piante al cliente. Che poi è una scelta che ci si ritorce contro quando dobbiamo competere con l’Olanda. Ma del prodotto olandese convince il prezzo e il fatto che in 24 ore ce l’hai, non la qualità. Se avessimo grandi centri di smistamento e lavorassimo in consorzi forse potremmo competere di più».
Quindi su cosa dovrebbe lavorare adesso il florovivaismo italiano?
«La collaborazione è alla base di tutto. Ad esempio, se non hai un prodotto, vai a reperirlo da un collega per cercare di garantire la disponibilità. L’altra cosa è il rispetto del prodotto. Se rispetto un Rolex, perché comprendo il valore del lavoro che ci sta dietro, posso rispettare anche una pianta che viene coltivata e curata come un figlio per sei mesi. La primula a 50 cent al mercato fa pensare: “Cosa vuoi che sia una primula?”. E invece ci sono dietro cinque mesi di lavoro, di tante persone, tanti tentativi, tanto tempo, tanta cura. Sarebbe bello valorizzare tutto questo, anche se mi rendo conto che è un po’ da idealista dirlo; sarebbe bello riuscire a far comprendere il valore dei nostri prodotti».
Hai ragione!
«Ho ragione, ma quello che accade di solito nelle nostre aziende è che pur avendo questa consapevolezza non si insiste mai fino in fondo, perché la serra va svuotata: si pensa che bisogna vendere, e che alzando troppo il prezzo si rischia di uscire dal mercato. Quindi alla fine si pensa che anche vendere a un euro va bene. E restiamo tutti sempre fermi allo stesso punto».
Dove ti vedi fra trent’anni?
«Se adesso riusciamo ad appassionare le nuove generazioni, in questo momento fra trent’anni sarò qui a coltivare i miei crisantemi, le stelle e i ciclamini».