La Freccia - dicembre 2020

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ANNO XII | NUMERO 12 | DICEMBRE 2020 | www.fsitaliane.it

PER CHI AMA VIAGGIARE

70 ANNI DI TERMINI STAZIONE FUTURO

’21 CHRISTMAS DREAM BARBERO, BELLINI, BOCELLI, CARLUCCI, ENRIQUEZ, FEROCI, FRANCINI, GUERRITORE KAUFMANN, LAGIOIA, LAMARCA, LODOVINI, MISHEFF, PAOLUCCI, PARMITANO PIRRONE, PISTOLETTO, POLLIO, SANTARELLI, VENEZIANI, ZEROCALCARE


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EDITORIALE

VIAGGIARE E NON DIMENTICARE C

© FS Italiane|PHOTO

aliamo il sipario su un annus horribilis, dalla sceneggiatura tanto incredibile – benché qualcuno l’avesse abbozzata in preveggenti fiction letterarie – quanto ardua da scordare. Del resto uno dei pochi lasciti positivi da trarre dalla pandemia è l’evitarne ogni

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rimozione. Ed è proprio nel segno della memoria che La Freccia chiude il 2020, così come lo aveva aperto, a gennaio, rammentando i tanti anniversari tondi da celebrare. Eventi storici come i 150 anni della breccia di Porta Pia, la morte e la nascita di italiani illustri come Raffaello e Mo-

digliani o, venendo ai giorni nostri, di Federico Fellini, Alberto Sordi, Gianni Rodari, Arturo Benedetti Michelangeli. Il Covid-19 ha stravolto tutto, anche i formati e la durata di mostre, commemorazioni e cerimonie. E obbligherà anche il Gruppo FS a fare altrettanto


nel ricordare i 70 anni del completamento della stazione di Roma Termini, inaugurata il 20 dicembre 1950 dall’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi e alla quale dedichiamo, appunto, la copertina di dicembre. Il ricordo è un dono inestimabile se aiuta a guardare avanti con lucidità e lungimiranza, e non si riduce a sterili rievocazioni. Il principale scalo romano si appresta ad apparecchiarvi il futuro, con la connessione 5G, una vasta piastra parcheggio sovrastante i binari e altri innovativi servizi per chi frequenterà la Termini del XXI secolo, hub di mobilità e centro di aggregazione polivalente nel cuore della Capitale. Ecco, le Ferrovie dello Stato sono abituate a progettare e a non

fermarsi mai, a rendere sempre più forte e proficuo il loro sodalizio con il Paese e con le sue migliori forze produttive. Un sodalizio che il Gruppo FS innerva con i suoi binari e, oggi, anche con le sue strade, facendo della mobilità, della salvaguardia del territorio, dello sviluppo sostenibile e sicuro delle infrastrutture, della creazione di valore da condividere una serie di beni preziosi e vitali per la collettività. In questi mesi abbiamo garantito il diritto a muoversi congiunto con quello primario alla salute. I nostri treni, pullman e autobus hanno fatto viaggiare medici e volontari, lavoratori e studenti. Nelle settimane del lockdown sono stati milioni le tonnellate di merci e prodotti di essenziale utilità che

abbiamo trasportato, contribuendo a tenere attiva la catena logistica e a riempire gli scaffali di supermercati, farmacie, parafarmacie, negozi. Il viaggio di FS, e anche quello della Freccia, non si sono mai arrestati. Siamo usciti sempre, in digitale o sulla carta, per farvi viaggiare, con noi, guardando con fiducia al futuro. Perché viaggiare – con i nostri treni o con la lettura, la musica, l’arte – è semplicemente conoscere e vivere. Questo mese sono con noi tanti scrittori, artisti, attori e personaggi pubblici che ospitiamo e ascoltiamo per proseguire il nostro viaggio verso il futuro. Senza scordare quel che eravamo, e quel che potremmo essere.

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MEDIALOGANDO

LA RIVOLUZIONE DEL GIORNALISMO DIGITALE IL DIRETTORE DELLA REPUBBLICA MAURIZIO MOLINARI RACCONTA COME CAMBIANO LINGUAGGIO E RAPPORTI CON IL LETTORE di Marco Mancini

M

edialogando chiude il 2020 con lo stesso ospite che lo ha inaugurato, Maurizio Molinari. A gennaio lo incontrammo come direttore della Stampa, oggi è con noi per parlarci della testata che dirige dall’aprile scorso, La Repubblica. Il secondo quotidiano italiano per diffusione (ma «l’unico vero giornale nazionale, perché presente in maniera omogenea su tutto il territorio», come tiene a precisare Molinari), saldamente primo nei ranking dell’informazione online. Nel mezzo un anno drammatico, sconquassato da un’apocalisse sanitaria e sociale planetaria i cui effetti si riverberano anche sull’informazione e la comunicazione. Se in 12 mesi l’opinione di Molinari sui fondamentali del giornalismo non è cambiata, il mutato scenario e la sua attuale veste inducono nuove e interessanti riflessioni. Maurizio, da gennaio a oggi il Covid-19 ha stravolto il mondo, anche quello dei media… È vero, è come se fossimo in guerra. La pandemia è come un conflitto, con oltre 50mila morti, a oggi, soltanto in Italia. Con intere famiglie, parenti e conoscenti coinvolti, qualcosa di ag-

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marmanug

ghiacciante. Quando le persone vivono una situazione di questo tipo, costrette per lunghi periodi a starsene rifugiate, cosa cercano? Il cibo e l’informazione. In guerra hai bisogno di mangiare e sapere che cosa succede. Per il cibo ogni tanto esci e vai al supermercato ma l’informazione la cerchi e la trovi grazie al digitale. Con un’impennata dell’informazione online. Esatto. Il Covid-19 ha portato un imponente aumento degli abbonati digitali, all’inizio della pandemia La Repubblica ne aveva 40mila, oggi 130mila. E credo che anche gli altri giornali abbiano registrato una crescita simile, segnale di un forte trasferimento dei lettori nel mondo digitale. Non accontentandosi più, però, dell’informazione gratuita offerta dal web, in un mare magnum di disintermediazione che non assicura né qualità né autorevolezza. Sai, fino a quando tu giochi e scherzi può valere tutto, ma in guerra hai bisogno di credere a chi ti dà le informazioni. Poi sono accadute altre due cose. È cresciuta l’abitudine a informarsi online, in alternativa alla carta, da parte però di chi ancora


compra la carta, non di chi l’abbandona. E anche la propensione agli acquisti sul web. Prima eravamo indietro come Paese, esitavamo a utilizzare la carta di credito, ora invece si spende di più. Noi peraltro abbiamo incentivato questo percorso, le promozioni non sono mancate. In ogni caso la pandemia costituisce uno spartiacque per il giornalismo digitale nostrano, per volumi e qualità dei prodotti. Anche se la strada è lunga… Sì, del resto sono proprio queste situazioni di difficoltà che conducono a novità e accelerazione dei processi. Noi siamo nel bel mezzo della rivoluzione digitale, e abbiamo bisogno di qualità per imporla. E La Repubblica ha tantissimi giornalisti che hanno qualità e capacità. La sfida è trasferirle sulle nuove piattaforme, con un gioco di squadra che coinvolge tutto il gruppo Gedi e vede il quotidiano come nave ammiraglia. Sei alla Repubblica da quasi otto mesi, capitano di una nave che ha intrapreso una speciale rotta proprio sotto l’insegna del digitale… L’editore mi ha dato la responsabilità di ripetere l’esperienza di quel giornalismo digitale testato alla Stampa, che mostrava di funzionare, in un’organizzazione di lavoro più grande e sofisticata. In quello che considero il laboratorio oggi più avanzato di informazione digitale nel nostro Paese. Perché La Repubblica ha un suo digital lab che nasce dalla storia del giornale: il primo a realizzare un proprio sito internet, a svilupparlo, a investirci, con una tradizione di giornalisti e tecnici specializzati affiancati ora da nuove risorse. L’intero terzo piano della nostra sede è occupato da un open space dove una trentina di ragazzi, tutti sotto i 35 anni, per la maggioranza donne, lavorano in continuazione su software digitali, provano programmi e incrociano video con registrazioni audio e infografiche per realizzare una nuova generazione di contenuti intellettuali di altissima qualità. Bene, parlaci di questi prodotti di ultima generazione. Abbiamo iniziato con i long-form, due mesi dopo il mio arrivo. Sono inchieste settimanali frutto del lavoro di un team di giornalisti che si occupano insieme di un tema specifico: come, per esempio, l’origine del Covid-19. Li pubblichiamo online il mercoledì e su carta la domenica seguente. Sul web si presentano con una scrittura integrata da vari contenuti multimediali. Sono racconti digitali la cui lettura prende diversi minuti, abbonamenti e traffico dimostrano che funzionano e sono molto graditi. Siamo nel campo degli approfondimenti che rappresentano uno dei plus del giornalismo professionale. In questa forma innovativa sono capaci di catturare meglio l’attenzione del lettore. Sì, ma l’informazione digitale tout court ha un prodotto ancora più innovativo, il video reporting. Il New York Times lo ha usato per raccontare l’uccisione di George Floyd a Minneapolis. Si tratta di video brevi nei quali si mettono assieme tutte le informazioni e i documenti utili su un singolo episodio per raccontarlo come se si fosse presenti nel momento in cui avviene. Noi lo abbiamo fatto prima con l’incidente ad Alex Zanardi, poi con l’omicidio del povero Willy, poi siamo tornati a ripeterlo sul caso Cerciello, il carabiniere ucciso a Roma. In otto-dieci minuti ti consente di fare un’esperienza davvero coinvolgente, di rivivere un episodio di cronaca come se fossi lì: con le voci, le immagini dei droni e l’infografica che analizza e illustra dettagli come, che so, la posizione della ruota dell’handbike di Zanardi durante l’impatto con il camion che lo ha investito.

E poi è arrivata una profonda rivisitazione del sito La Repubblica. Sì, oggi è molto semplificato, pulito, di facile consultazione, sul modello del New York Times, quello che trovi sul giornale lo trovi sul sito. Ha riscosso un grande successo, abbiamo avuto un boom di contatti. Noi ogni giorno facciamo dai sei ai sette milioni di utenti unici e siamo arrivati, durante le elezioni americane, a 12 milioni. Dodici milioni in un Paese di 60 milioni di abitanti. Questo ti dà l’idea della crescita che abbiamo di fronte e del perché stiamo progressivamente adattando a questo la redazione, il lavoro, i compiti. La cosa bella è che i giornalisti di fronte a questa sfida danno il meglio di sé, perché percepiscono che è la nuova frontiera. E così fanno i tanti collaboratori esterni, circa una ventina, come Roberto Saviano, Stefano Massini o Corrado Augias. Prima hai utilizzato l’espressione “rivoluzione digitale”, quindi non è un’iperbole, almeno per La Repubblica? No, non lo è. Quel che stiamo vivendo è una sfida avveniristica ed emozionante, vista dall’interno. E il nostro interesse è che anche la concorrenza faccia altrettanto, che il mercato dell’informazione digitale si ampli come sta succedendo in Europa. Colgo l’occasione per ringraziare il sottosegretario all’editoria, Andrea Martella, che ha capito la fase in cui siamo, l’importanza dell’editoria digitale, le nuove professionalità che richiede e le opportunità di lavoro che crea. Solo l’altra settimana, qui a La Repubblica, abbiamo messo su un’unità di sette analisti di dati. Insieme alle enormi potenzialità di espressione, e ci torneremo, ci sono quelle di diffusione, alle quali hai appena fatto riferimento. Le sfide, quindi, sono molteplici. Per continuare a catturare lettori e pubblici nuovi, occorre scovarli in bacini diversi da quelli tradizionali. Sei d’accordo? È proprio questa la vera competizione, non tanto prendere i lettori del Corriere della Sera – quella è una sfida che c’è e ci sarà sempre – ma saper declinare il lavoro giornalistico alle nuove piattaforme, per andare su YouTube o TikTok e portare le persone che non hanno mai letto un giornale sui propri contenuti di qualità.

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MEDIALOGANDO

Il direttore della Repubblica, Maurizio Molinari, in redazione

E come ci si riesce? Sperimentando. Il nostro laboratorio digitale procede per test, con tentativi che, se funzionano, vengono sviluppati, altrimenti si chiudono lì. Ha funzionato quello su TikTok. Un mese fa un redattore della Repubblica ha girato alcuni video su questa piattaforma, inferiori a 60 secondi, nei quali si vede solo il suo volto mentre pronuncia tre frasi che rispondono a una domanda difficile, non so: «Come si elegge il presidente degli Stati Uniti?» o «cos’è una zona rossa?». Un interrogativo di largo interesse, con una risposta in tre frasi. In un mese ha fatto un milione e 100mila visualizzazioni. Il presidente di Gedi, John Elkann, assicurando «la più alta concentrazione di investimenti nel settore» ha indicato un preciso obiettivo: costruire un diverso rapporto con i lettori. Con un’interazione e un’esperienza simile a quella offerta da società come Amazon, Spotify o Netflix. Non basta quindi la trasformazione del linguaggio e la ricerca di nuove piattaforme… 6

A quelle si aggiunge altro, e riguarda i canali verticali, l’iperlocal e la distribuzione. Iniziamo dai verticali: sappiamo che il tasso di crescita dell’homepage di una testata giornalistica ha un suo livello di saturazione. Allora il punto è: come crescere indipendentemente da quel livello? Il primo a dare una risposta editoriale e industriale è stato il Financial Times aprendo dei canali interni al sito destinati a settori particolari di pubblico, che crescono per conto loro. Per questo abbiamo inaugurato a settembre due verticali che stanno andando molto bene: Salute e Green&Blue, rivolti a chi ha un forte interesse per i temi della salute e a chi lo ha per l’ambiente e la sostenibilità. Anche nell’editoria tradizionale quelli meno penalizzati dalla crisi generale sembrerebbero proprio i verticali, le riviste di nicchia. Si tratta di soddisfare gruppi omogenei per interessi, passioni… E per questo noi abbiamo a disposizione anche nove redazioni locali. Cosa c’è di più verticale di un canale locale? Dobbiamo rafforzarle sul piano digitale per dialogare meglio con il pubblico della città e fare in modo che la loro informazione diventi sempre più localistica, e non guardi solo alla città, ma ai quartieri, ai condomini, insomma diventi iperlocal. Abbiamo iniziato con Roma, e da aprile a ottobre siamo passati da cinque a dieci milioni di utenti unici. Adesso stiamo ripetendo l’operazione con Bari, e proseguiremo con le altre redazioni. Quel giornalismo locale che si pensava dovesse declinare irrimediabilmente offre occasioni di lavoro e praterie sconfinate. Perché poi abbiamo 20 milioni di italiani in America, 20 milioni in Argentina, persone che desiderano avere notizie dei Paesi o dei quartieri da cui provengono. Elkann ha parlato anche di distribuzione. Ho incontrato Daniel Ek, il CEO di Spotify, e abbiamo discusso di possibili interazioni: loro hanno la musica, noi abbiamo i contenuti, si tratta di trovare un modo per metterli assieme. È una bellissima sfida, fino a questo momento la risposta non ce l’abbiamo, però bisogna tentare di far viaggiare l’informazione anche su canali diversi. L’esempio di Spotify potrebbe suggerire anche l’offerta di prodotti self-made, con abbonamenti o acquisti on demand. Poi c’è Netflix… Anche il riferimento a Netflix è molto interessante. Nei 18 mesi che hanno preceduto il mio arrivo alla Repubblica ho viaggiato molto e visitato tante redazioni: l’esperienza altrui è molto utile. Quando ho incontrato la direttrice dell’Economist e le ho chiesto quale fosse la loro sfida, il loro obiettivo, mi ha risposto: «Fare concorrenza a Netflix». Che significa? Significa che se Netflix ha successo realizzando e distribuendo film, fiction e serie di grande qualità, perché non provare a fare altrettanto sui temi di propria competenza? Un documentario su Boris Johnson come potrebbe farlo l’Economist non lo potrebbe fare nessun altro. Allora perché non immaginare di usare il nostro laboratorio digitale per creare, se non dei film, dei mini documentari o una mini fiction che raccontino grandi fatti di cronaca? repubblica.it Repubblica

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La Repubblica


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SOMMARIO DICEMBRE 2020

IN COPERTINA 70 ANNI DI TERMINI

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108

112

35 UN TRENO DI LIBRI pag.

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Invito alla lettura di Alberto Brandani, che questo mese propone ai lettori della Freccia il nuovo romanzo di Aldo Cazzullo, A riveder le stelle

18 RAILWAY HEART

42 L’ITALIA NEL PIATTO

22 L’ITALIA CHE FA IMPRESA

Dalla minestra maritata ai knödeln in brodo, dall’abbacchio al capitone. Un viaggio tra le specialità regionali delle Feste

50 IN VIAGGIO CON SATURNINO

96 UNITI CONTRO LA VIOLENZA

26

98 54

LA SPERANZA DELLA NATIVITÀ

CONVERSAZIONI DI NATALE

102

GUSTA & DEGUSTA

28 WHAT’S UP

Ventuno protagonisti della cultura, dello spettacolo, della società civile e del mondo digital si augurano un nuovo anno libero dalla pandemia

A PIEDI NEL CILENTO

106 IL MONDO CHE VEDREMO

22

108

54

SOGNANDO IL TÖRGGELEN

112 SULLE ORME DI HERA

114 GRAND VIRTUAL TOUR

128 FUORI LUOGO LE FRECCE NEWS//OFFERTE E INFO VIAGGIO

117 SCOPRI TRA LE PAGINE LE PROMOZIONI E LA FLOTTA DELLE FRECCE i vantaggi del programma CartaFRECCIA e le novità del Portale FRECCE

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Tra le firme del mese

I numeri di questo numero

1.400

i posti auto del futuro parcheggio alla stazione Termini di Roma [pag. 17]

36 milioni

PEPPE IANNICELLI Giornalista, scrittore e conduttore radio e tv. Ama raccontare e vivere la vita: viaggi, tavole gustose, arte e spettacoli, chiese, moschee, occhi negli occhi

gli italiani che hanno uno stile di vita green secondo LifeGate [pag. 24]

1522

il numero verde a sostegno delle donne in fuga dalla violenza [pag. 97]

Read also

RICCARDO LAGORIO Redattore di vdgmagazine.it, giornalista e scrittore. Collabora con riviste e quotidiani occupandosi di luoghi, cibi, vini, intelligenze

Medialogando 2017-2020 raccoglie le conversazioni con i direttori delle principali testate giornalistiche italiane, pubblicate negli ultimi tre anni sull’omonima rubrica della Freccia. Un modo per conoscere – o conoscere meglio – alcuni protagonisti del mondo dell’informazione, dalla tv alla radio, dal web alle agenzie di stampa, dai mensili ai settimanali fino ai quotidiani locali e nazionali. E condividere spunti di riflessione sulla rapida evoluzione del settore.

PER CHI AMA VIAGGIARE

MENSILE GRATUITO PER I VIAGGIATORI DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE ANNO XII - NUMERO 12 - DICEMBRE 2020 REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA N° 284/97 DEL 16/5/1997 CHIUSO IN REDAZIONE IL 25/11/2020 Foto e illustrazioni Archivio Fotografico FS Italiane FS Italiane | PHOTO AdobeStock Copertina: © Giulia Volpicelli Tutti i diritti riservati Se non diversamente indicato, nessuna parte della rivista può essere riprodotta, rielaborata o diffusa senza il consenso espresso dell’editore

ALCUNI CONTENUTI DELLA RIVISTA SONO RESI DISPONIBILI MEDIANTE LICENZA CREATIVE COMMONS BY-NC-ND 3.0 IT

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EDITORE

Direzione Centrale Comunicazione Esterna Piazza della Croce Rossa, 1 | 00161 Roma fsitaliane.it Contatti di redazione Tel. 06 44105298 | lafreccia@fsitaliane.it Direttore Responsabile Responsabile Editoria Caporedattrice Coordinamento Editoriale Caposervizio In redazione Segreteria di redazione Coordinamento creativo Ricerca immagini e photo editing Hanno collaborato a questo numero

Marco Mancini Davide Falcetelli Michela Gentili Sandra Gesualdi, Cecilia Morrico, Francesca Ventre Silvia Del Vecchio Gaspare Baglio Francesca Ventre Giovanna Di Napoli Michele Pittalis, Claudio Romussi Serena Berardi, Cesare Biasini Selvaggi, Francesco Bovio, Alberto Brandani, Peppone Calabrese, Roberto Cetera, Viola Chandra, Claudia Cichetti, Fondazione FS Italiane, Alessio Giobbi, Peppe Iannicelli, Riccardo Lagorio, Valentina Lo Surdo, Luca Mattei, Enrico Menduni, Bruno Ployer, Angelo Pittro, Enrico Procentese, Andrea Radic, Elisabetta Reale, Gabriele Romani, Flavio Scheggi, Filippo Teramo, Mario Tozzi, Giulia Volpicelli

REALIZZAZIONE E STAMPA

Via A. Gramsci, 19 | 81031 Aversa (CE) Tel. 081 8906734 | info@graficanappa.com Coordinamento Tecnico Antonio Nappa

ENRICO MENDUNI Professore universitario di Cinema, Fotografia, Televisione. Cura mostre fotografiche e documentari. Appassionato di treni e stazioni

PROGETTO CREATIVO

Team creativo Antonio Russo, Annarita Lecce, Giovanni Aiello, Manfredi Paterniti, Massimiliano Santoli

PER LA PUBBLICITÀ SU QUESTA RIVISTA advertisinglafreccia@fsitaliane.it | 06 4410 4428

La carta di questa rivista proviene da foreste ben gestite certificate FSC®️ e da materiali riciclati

ANGELO PITTRO Vent’anni di lavoro con le guide di viaggio lo hanno reso insofferente nei confronti della vita d’ufficio. Cerca continuamente una scusa per viaggiare e spesso la trova, per la gioia sua e dei colleghi (che, quando è via, possono finalmente lavorare in pace). È il direttore di Lonely Planet Italia

La Freccia accompagna il tuo viaggio. Cerca nei vestiboli dei treni il QR code per scaricare il numero di dicembre e quelli dei mesi precedenti. Buona lettura

On Web La Freccia si può sfogliare su fsnews.it e su ISSUU

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FRECCIA COVER

Rendering dell’installazione di Marinella Senatore per il cortile di Palazzo Strozzi, realizzato da Prospettica

VISIONI DI COMUNITÀ di Sandra Gesualdi sandragesu sandragesu

Quando non lo anticipa, l’arte il tempo lo attraversa e lo rappresenta per metafore. Così We Rise by Lifting Others (Ci eleviamo sollevando gli altri), il nuovo progetto di Marinella Senatore a cura di Arturo Galansino, suggerisce una nuova riflessione sulla visione di comunità, prossimità e relazione, in questo 2020 in cui il concetto di distanziamento sociale sta profondamente cambiando la quotidianità delle persone. Una grande installazione magnetica e colorata, ispirata alle luminarie della tradizione popolare dell’Italia meridionale e pensata su misura per il cortile di Palazzo Strozzi a Firenze, quale espressione di un lavoro pluridisciplinare che Sena-

tore dedica ai temi della partecipazione collettiva e della costruzione di comunità attraverso la pratica performativa. «L’arte è per me una piattaforma orizzontale», dichiara l’artista toscana, «su cui elementi diversi, ma di uguale valore, generano movimento energetico e quindi narrazione condivisa». Dal 3 dicembre al 7 febbraio 2021 anche un programma di workshop pubblici e attività da fruire online. palazzostrozzi.org palazzostrozzi palazzostrozzi palazzostrozzi Palazzo Strozzi 11


RAILWAY heART

UN DINOSAURO DI

70 ANNI

INAUGURATA IL 20 DICEMBRE 1950, LA PENSILINA SU PIAZZA DEI CINQUECENTO DIVENNE IL SIMBOLO DELLA NUOVA STAZIONE TERMINI. CHE ORA GUARDA AL FUTURO CON UN IMPORTANTE PIANO DI RIQUALIFICAZIONE di Enrico Menduni Photo Archivio Fondazione FS Italiane

Atrio della biglietteria (1959)

S

ettant’anni fa, il 20 dicembre 1950, si inaugurava in una Roma ancora ferita dalla guerra la nuova Stazione Termini, allora come oggi la più importante e più frequentata d’Italia. L’avveniristica pensilina di cemento armato sulla facciata di piazza dei Cinquecento segnalava una grande voglia di ricominciare – le case distrutte dalle bombe nel quartiere San Lorenzo erano a pochi passi – e anche un desiderio di 12

essere moderni, eleganti, lontani da monumentalità e retorica. La pensilina, opera degli architetti Eugenio Montuori, Leo Calini e Annibale Vitellozzi, incorniciava in una grande vetrata un tratto superstite delle Mura Serviane, la cinta muraria più antica di Roma, con una forma ardita che fu subito definita il Dinosauro. Da questo grande atrio luminoso, occupato allora come oggi dalle biglietterie, si accede a una larga strada

pedonale coperta che unisce i due fianchi della stazione, percorsi da via Giolitti e da via Marsala. Procedendo oltre, si arriva alla galleria di testa dove si trovano i binari. Questo impianto razionale, che diluisce in vari transiti successivi il passaggio dal viaggio alla città e viceversa, è sostanzialmente quello di oggi e si è dimostrato capace di accogliere molti aggiornamenti: il collegamento con la prima linea della metro (1955), il cen-


tro commerciale sotterraneo (2000), la Terrazza Termini e i ristoranti del Mercato Centrale (2016) e presto il nuovo parcheggio con servizi realizzato sopra i binari. Per realizzare la stazione erano bastati tre anni, veramente pochi, e dietro si sentiva la spinta di Guido Corbellini, ministro dei Trasporti ma

soprattutto ingegnere ferroviario: i più anziani ricordano le carrozze Corbellini, con le due porte centrali (proprio come i convogli regionali Vivalto di oggi), che hanno fatto viaggiare i pendolari del dopoguerra. I problemi da superare per la nuova stazione erano molti, e non solo di carattere tecnico. Il rinnovamento

di Termini era stato commissionato già nel 1939 all’ingegnere capo delle ferrovie, Angiolo Mazzoni: architetto di grande valore, curioso, eclettico, che ha disseminato l’Italia di stazioni e uffici postali molti dei quali di qualità eccellente e, in alcuni casi, straordinaria. Fascista convinto (tanto che nel dopoguerra emigrò in Sudame-

Marcello Mastroianni sul set del film Io, io, io... e gli altri (1965)

#TERMINI70 Maestose torri esagonali svettano all’interno della principale stazione di Roma. A testimonanza dei sette decenni trascorsi dall’inaugurazione del nuovo terminal – dopo imponenti lavori di restauro – e della pensilina che i romani hanno ribattezzato Dinosauro. Per rendere omaggio a questo evento, dal 20 dicembre al prossimo gennaio il Gruppo FS organizza una mostra diffusa all’interno dello scalo ferroviario. In esposizione, fotografie e immagini che dal 1950 traghettano i visitatori verso il futuro. Attraverso l’hashtag #Termini70 sarà inoltre possibile condividere i propri ricordi e viaggi inserire che hanno dida o come cancellare protagonista questa stazione. fsitaliane.it 13


RAILWAY heART

Treno in partenza (1978)

rica e ci rimase fino al ’63), Mazzoni nel progetto di Termini aveva unito al suo gusto moderno un intento monumentale: la stazione era anche un simbolo del regime. L’ingresso nello scalo, per chi giunge

Panoramica lato piazza dei Cinquecento (1992)

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col treno, era ed è segnato sui due lati da due affusolate torri per l’acqua, di gusto futurista, a cui Mazzoni applicò eleganti scale elicoidali esterne; tuttavia, più ci si avvicinava alla città, più il progetto risentiva del clima retorico

del tempo che chiedeva alla stazione di essere imponente. La facciata su piazza dei Cinquecento avrebbe dovuto essere un massiccio porticato in marmo. I lavori furono sospesi nel ’43, la facciata non era stata


ancora realizzata, mentre era pronto il lato su via Giolitti, il più vicino al centro. Mazzoni l’aveva considerato, proprio per questo, una seconda facciata e l’aveva disegnato con le grandi arcate che ancora oggi vediamo, ispirato ai monumenti della Roma imperiale, inserendo al piano superiore un lunghissimo corridoio ad archi, come un antico acquedotto. Il ristorante era adorno di un’enorme cappa in marmo – oggi parte del Mercato Centrale – in cui si sarebbe potuto arrostire un bue intero. Il pregio principale del progetto del dopoguerra di Montuori, Calini e Vitellozzi è la transizione morbida dal vecchio al nuovo edificio. Soprattutto nella facciata e sul lato in via Giolitti, i passeggeri che vanno di fretta non hanno l’impressione di una disconti-

nuità, e non ce l’hanno avuta neppure gli spettatori del bel film Stazione Termini, realizzato nel 1953 da Vittorio De Sica interamente dentro lo scalo ferroviario. La stazione, pur composta di tanti edifici, riesce infatti a dare di sé un’impressione unitaria cui contribuisce anche la recente Terrazza Termini da cui si ha una panoramica dei binari e dei lavori in corso per i nuovi parcheggi. In più con la demolizione del negozio commerciale nell’atrio, si potranno rivedere le meravigliose mura serviane, il colpo d’occhio sarà completo. Vi sono poi, come in ogni monumento romano che si rispetti, le catacombe di Termini. Come Milano Centrale, la stazione è un enorme terrapieno sopraelevato. Sul lato est, a ridosso del quartiere San Lorenzo, si appoggia

addirittura alle Mura Aureliane che, arrivando col treno, si vedono sulla destra. Il terrapieno è un labirinto di locali tecnici, precluso ai non addetti ai lavori, e va visitato anche lo straordinario rifugio antiaereo in cui era duplicata la cabina di controllo esterna Ace, l’Apparato centrale elettrico (approfondimento a pag. 127), nel caso in cui quella principale fosse stata colpita da un attacco nemico, ma non è mai accaduto. È bello partire e arrivare, ma anche mangiare una pizza o comprare una felpa, in un edificio moderno e pieno di curiosità che ci parlano di un passato recente e antichissimo; ricco di tecnologie ma anche di ricordi, individuali o dell’intera nazione. Da qui milioni di persone sono passate, e continuano a passare ogni giorno.

Concerto di Natale della Banda della Polizia di Stato (2008)

STAZIONI D’ITALIA ON AIR Prosegue il racconto delle piccole e grandi stazioni ferroviarie italiane su Rai Radio Live, ogni venerdì alle 9 e alle 16 con replica il sabato alle 13 e alle 20, e in podcast sul sito. Gli amanti delle storie che corrono lungo i binari del Belpaese possono riascoltare le puntate degli scorsi mesi tra cui quella su Roma Termini realizzata in omaggio ai 70 anni del cosiddetto Dinosauro. A dicembre, invece, a raccontarsi sono le stazioni di Fabriano, Cividale del Friuli, Viareggio-Torre del Lago e Plan-Val Gardena, sempre con la voce della conduttrice Valentina Lo Surdo. raiplayradio.it/radiolive 15


RAILWAY heART

DESTINAZIONE FUTURO UN PARCHEGGIO SOPRAELEVATO DA 1.400 POSTI, LA RIQUALIFICAZIONE DI PIAZZA DEI CINQUECENTO E UNA NUOVA VISTA SULLE MURA SERVIANE. LA STAZIONE TERMINI CAMBIA VOLTO E RAFFORZA LA SUA CENTRALITÀ a cura di Cecilia Morrico

S

toria e innovazione. La celebrazione dei 70 anni della nuova stazione Termini, dopo i lavori di ampliamento che l’hanno resa uno dei gioielli architettonici italiani del Dopoguerra, è anche il momento per guardare avanti. E fare il punto sui numerosi interventi pianificati per valorizzare il maggiore scalo ferroviario del Paese per grandezza e traffico,

© Grandistazioni Rail

Rendering del nuovo parcheggio sopra i binari

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MorriCecili

morricocecili

oltre che uno tra i principali d’Europa. Dal 2018 Grandistazioni Rail, in qualità di gestore delle principali grandi stazioni italiane, in collaborazione con FS Italiane, Grandistazioni Retail, FS Sistemi Urbani e Rete ferroviaria italiana (RFI) ha avviato un importante processo di programmazione e progettazione per riqualificare il terminal e il contesto circostante. Un piano che completa

le opere strategiche cofinanziate dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit): la piastra parcheggi, sopra il fascio binari, e la piastra servizi, sovrastante la testata dei binari e adiacente alla galleria centrale. Un’imponente operazione di ammodernamento per restituire a Roma un’opera dall’enorme valore storico, architettonico e innovativo.


Per il primo trimestre del 2021 è prevista l’inaugurazione della piastra parcheggi: uno spazio multipiano da 1.400 posti auto. L’opera, avviata nel luglio 2012, è stata realizzata con un investimento complessivo di circa 95 milioni di euro: 79 milioni stanziati dal Mit e 16 da Grandistazioni Rail. Si tratta di una struttura, costituita da 10mila tonnellate di acciaio, realizzata al di sopra dei binari, con una tecnologia innovativa che ha consentito il varo a spinta dei primi due piani, come se si trattasse di un ponte, senza interferire con l’attività ferroviaria sottostante, mentre il terzo e ultimo piano è stato costruito poggiandosi direttamente sulle strutture costruite. L’infrastruttura potenzierà l’intermodalità di Termini, garantendo il collegamento pedonale diretto tra parcheggio e banchine ferroviarie e consentendo di alleggerire il sistema della sosta intorno alla stazione, a

vantaggio della mobilità sostenibile. La struttura, che si sviluppa per circa 150 metri longitudinalmente ai binari e per 110 trasversalmente, è alta circa 21 metri e comprende tre livelli, collegati da rampe carrabili interne, per una superficie di circa 45.400 m2. Per la ricorrenza del 20 dicembre si attiverà il nuovo sistema di illuminazione della stazione. Un modernissimo impianto a led è previsto per le facciate dell’edificio su piazza dei Cinquecento, al di sopra del cosiddetto Dinosauro, e per quelle laterali prospicienti via Marsala e via Giolitti. Grazie alle implementazioni tecnologiche il nuovo sistema che interesserà anche l’illuminazione indiretta dell’intradosso del Dinosauro, sia dentro l’atrio sia fuori, consentirà di modulare la colorazione della luce all’esterno, per realizzare eventuali scenari in occasioni particolari. Godranno di nuovo splendore, grazie agli interventi di Grandistazioni Retail, anche le Mura Serviane, valorizzate dal nuovo sistema di illuminazione e nuovamente visibili dall’interno dell’atrio. I festeggiamenti per i 70 anni sono anche l’occasione per rilanciare e reinterpretare il ruolo della stazione nel rapporto con la città, attraverso un concorso internazionale di progettazione che Grandistazioni Rail bandirà, in collaborazione con FS Sistemi Urbani, RFI e Roma Capitale, per la riqualificazione di piazza dei Cinquecento e degli spazi pubblici connessi, a valle del quale verranno avviati i relativi interventi. Nell’area, in posizione centrale, sono ancora presenti i resti delle Terme di Diocleziano e delle antiche Mura. Nonostante le potenzialità architettoniche e monumentali del luogo, i sistemi di trasporto pubblici e privati presenti sul piazzale senza un disegno organico ne hanno compromesso finora la piena valorizzazione. L’obiettivo del progetto è migliorare l’attrattività, la sicurezza, la vivibilità delle aree in stazione, nonché la loro accessibilità e il livello di connettività dell’offerta multimodale, per rafforzarne la centralità rispetto alla rete dei trasporti, incentivando gli spostamenti con i mezzi pubblici e i sistemi di mobilità sostenibile. Tutto in previsione di una complessiva riqualificazione urbana, che caratterizzerà nei prossimi

anni la viabilità circostante, secondo gli indirizzi dettati dal piano della mobilità sostenibile, finalizzata anche a migliorare le connessioni tra il terminal e le aree turistiche, tra cui appunto le Terme di Diocleziano. Ma le novità non si fermano qui: al via anche il progetto per il restauro dell’intradosso del Dinosauro, mentre quello della pensilina su via Marsala è già stato sostanzialmente completato, riutilizzando tessere originarie recuperate in altre parti del fabbricato. Sono stati poi completati, in collaborazione con le associazioni di categoria, i percorsi tattili della galleria centrale, di cui è stata sostituita l’intera pavimentazione, e dell’area antistante i binari per consentire l’ingresso al nuovo sistema di controllo accessi. L’intervento costituisce una prima fase di adeguamento dei percorsi il cui traguardo sarà la sostituzione e l’integrazione di tutti i percorsi della stazione, con il sistema LVE (Loges-Vet-Evolution). Rinnovata anche la segnaletica istituzionale del fabbricato viaggiatori, sul fronte di piazza dei Cinquecento e sui fronti laterali di via Marsala e via Giolitti. Altri lavori di riqualificazione saranno realizzati progressivamente sull’intera struttura. Salto in avanti anche per la connettività: il 5G è già arrivato nelle zone adiacenti la stazione e, nel corso del 2021, saranno avviate le sperimentazioni per portarlo anche all’interno. La tappa successiva sarà renderlo fruibile anche sui treni del Gruppo FS. Inoltre è previsto, a cura di Grandistazioni Retail, il riordino dell’atrio principale. La demolizione, già eseguita, del locale commerciale consentirà di recuperare la meravigliosa vista sulle Mura Serviane e lo spostamento del varco centrale di collegamento con la galleria, per migliorare la percezione dei percorsi principali e l’orientamento dei viaggiatori. Infine, è in corso di completamento, a cura di Grandistazioni Rail, l’allestimento dell’open space destinato al nuovo Innovation Hub del Gruppo FS Italiane, sempre nel rispetto della salvaguardia degli elementi architettonici originari degli ambienti. grandistazioni.it gsretail.it fsitaliane.it

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RAILWAY heART

PHOTOSTORIES PEOPLE

In attesa © Edoardo Stacul edo_stacul

IN VIAGGIO

Binari © Arianna Lorenzi ary_lor

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LE PERSONE, I LUOGHI, LE STORIE DELL’UNIVERSO FERROVIARIO IN UN CLICK. UN VIAGGIO DA FARE INSIEME a cura di Enrico Procentese

Utilizza l’hashtag #railwayheart oppure invia il tuo scatto a railwayheart@fsitaliane.it. L’immagine inviata, e classificata secondo una delle quattro categorie rappresentate (Luoghi, People, In viaggio, At Work), deve essere di proprietà del mittente, priva di watermark, non superiore ai 15Mb. Le foto più emozionanti tra quelle ricevute saranno selezionate per la pubblicazione nei numeri futuri della rubrica. Railway heArt un progetto di Digital Communication, Direzione Centrale Comunicazione Esterna, FS Italiane.

enricoprocentese

LUOGHI

Ala Mazzoniana, Roma Termini © Davide Spagnoletto davide_spagnoletto

AT WORK

Stefano, capotreno a Roma Termini © Edoardo Cortesi eddiecortesi

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RAILWAY heART

A TU PER TU a cura di Alessio Giobbi - a.giobbi@fsitaliane.it

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a capotreno a responsabile della Sala Operativa del Lazio. Questo il viaggio professionale che ha portato Ilenia, 37 anni, a lavorare nella Divisione Passeggeri Regionale di Trenitalia. Come si è sviluppato il tuo percorso in FS? È cominciato nel 2006, subito dopo la laurea in Comunicazione d’impresa, con il primo incarico da capotreno sui convogli regionali del Lazio. Un’esperienza che mi ha consentito di conciliare il lavoro con lo studio per arrivare alla specializzazione biennale. Poi ho avuto un nuovo incarico nel 2011, sempre in Trenitalia, come addetta alla distribuzione dei turni del personale ferroviario. Due anni dopo sono entrata nella Sala Operativa del Lazio, prima con il ruolo di gestore della circolazione, poi di responsabile. Raccontaci del primo incarico da capotreno. Lavorare a contatto diretto con i viaggiatori è stata una rampa di lancio per entrare immediatamente nei meccanismi che ruotano intorno alle attività di FS. Mi ritengo fortunata: devo molto a questa opportunità formativa, teorica e pratica, che mi ha aiutato molto per affrontare l’incarico che mi impegna adesso. Com’è l’esperienza in Sala Operativa? La parte principale delle nostre attività consiste nel seguire i treni in circolazione, da quando escono dal deposito a quando vi rientrano, avendo cura di controllare, programmare e aggiornare in tempo reale la mappatura dettagliata di ogni convoglio. Questo comporta un lavoro 24 ore su 24 in sinergia con i colleghi di vari settori, dal personale di bordo a quello della manutenzione, dai professionisti del commerciale a quelli del customer care, dal rapporto con il gestore dell’infrastruttura RFI a quello con i servizi di safety, informazione al pubblico e pulizia. Tutti tasselli che, messi insieme, compongono il processo decisionale delle nostre azioni. Cosa ti piace di questo lavoro? Avere la possibilità di vivere con empatia e curiosità una professione in cui ogni giorno è diverso, senza lasciare mai nulla al caso e cercando di individuare le esigenze dei viaggiatori e le necessità della squadra che si impegna per soddisfarle. Tutto questo insegna ad avere una visione a 360 gradi dell’azienda e del contesto in cui opera, fondamentale per il ruolo che ricopriamo. Un suggerimento per migliorare? Non accontentarsi mai, nonostante i grandi passi in avanti fatti negli ultimi anni nel trasporto regionale, soprattutto per quanto riguarda il rinnovo della flotta, l’assistenza ai passeggeri e l’informazione diventata sempre più capillare. L’esperienza sul campo mi ha insegnato che è fondamentale individuare le esigenze dei viaggiatori e soddisfarle nel minor tempo possibile.

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LE STORIE E LE VOCI DI CHI, PER LAVORO, STUDIO O PIACERE, VIAGGIA SUI TRENI. E DI CHI I TRENI LI FA VIAGGIARE

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lena Cipollini, 53 anni, è responsabile Risorse Umane e Qualità di Lungarno Collection, compagnia italiana di gestione alberghiera e brand advocate degli Hotel Portrait di Firenze e Roma e prossimamente, di Portrait Milano Parlaci della tua attività. Lavoro da circa 20 anni in ambito Human Resources & Quality e, per me, ciò che conta davvero sono le relazioni. Le persone rappresentano il cuore e il valore aggiunto della Lungarno Collection e valorizzare ciascun collega è un obiettivo personale. Per questo curo nel dettaglio la creazione e la formazione dei team dei nostri alberghi. In particolare, in questi anni abbiamo creato due Hotel Portrait – a Firenze e a Roma – dove la cultura dell’ospitalità si basa sulla connessione emotiva con i nostri ospiti, fattore diventato ancora più importante nel periodo della pandemia. Il tuo rapporto con il treno? Il bisogno di interazione con chi ruota attorno al mio mondo lavorativo lo ha reso un elemento imprescindibile per seguire al meglio la mia agenda. Prima del Covid-19 vivevo tra il Portrait Firenze e il Portrait Roma, spostandomi regolarmente tra queste città con il vantaggio di passare in poco più di un’ora e mezza da ponte Vecchio a via Condotti. Ho viaggiato fin quando ho potuto, poi con le nuove restrizioni mi sono fermata, ma spero di tornare presto a bordo del Frecciarossa con i ritmi di prima, anche in previsione di un nuovo progetto di ospitalità avviato nel capoluogo lombardo, in zona Quadrilatero, che si chiamerà Portrait Milano. Come vivi questo periodo di lavoro a distanza? Mantenere la qualità delle relazioni senza poter avere rapporti umani diretti è senz’altro una privazione che vivo con fatica. Auspico un ritorno alla normalità, continuando a investire come abbiamo fatto finora in nuove procedure e tecnologie per ottimizzare la sicurezza, senza rinunciare a quello “human touch” che per noi è imprescindibile. L’elemento principale che contraddistingue la tua professione? Si basa tutto sulla valorizzazione delle persone: creiamo le nostre squadre di lavoro trasmettendo una visione generale che prescinde dai singoli ruoli. È più facile lavorare felici se si eliminano gli automatismi e si ha modo di esprimere sé stessi. Valorizziamo le attitudini dei singoli e insegniamo loro come metterle a disposizione dei nostri ospiti, che ci ringraziano per questo ogni giorno. Cosa ti piace del treno? Poter viaggiare in totale sicurezza. Ho trovato naturale utilizzare l’Alta Velocità anche durante la prima ondata del virus, fin quando è stato possibile, quasi senza sentire la distanza tra una città e l’altra, come se Firenze e Roma fossero un’unica metropoli. In treno ritrovo quei valori presenti nel mio lavoro: accoglienza, familiarità, professionalità e conforto.

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© Federico Vagliati

L’ITALIA che fa IMPRESA

Bee My Future, il progetto LifeGate che ha salvato finora cinque milioni di api

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INSIEME PER L’AMBIENTE IL GRUPPO LIFEGATE COMPIE 20 ANNI E LANCIA UN EQUITY CROWDFUNDING PER DIVENTARE PUBLIC COMPANY. E CONSENTIRE A TUTTI DI PARTECIPARE ATTIVAMENTE AL CAMBIAMENTO

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ambia, e il mondo cambierà in armonia con te» diceva Mahatma Gandhi. «La sostenibilità non si sostiene da sola. Diamoci da fare insieme», si legge in bella evidenza sul sito di LifeGate. «Per me sostenibilità è sinonimo di rispetto, vale per le persone ma anche per le aziende. Dedico la mia vita a promuovere questo valore. Mangio biologico, italiano e il meno possibile prodotti animali. Appena posso, viaggio con lo zaino in spalla o abbandono la mia auto ibrida per godermi la libertà delle due ruote. E, quando mi è possibile, scelgo il treno per spostarmi». Enea Roveda, amministratore delegato del gruppo LifeGate, non ama giri di parole né discorsi complicati. Così, in modo altrettanto semplice e diretto gli chiediamo di spiegarci come funziona l’azienda che guida dal 2014. «LifeGate è una tra le prime società benefit che sono nate in Italia, frutto dell’esperienza maturata dalla mia famiglia negli anni ‘80 con Fattoria Scaldasole. Dal 2000 abbiamo lavorato per mettere a disposizione informazioni, progetti e servizi cercando di coinvolgere sempre più persone, imprese, istituzioni e Ong. Con l’obiettivo di promuovere il cambiamento e risvegliare una nuova coscienza sociale e ambientale verso uno stile di vita e un modello economico più consapevoli e sostenibili. In questi anni, abbiamo coinvolto oltre cinquemila imprese supportandole con attività

di Silvia Del Vecchio - s.delvecchio@fsitaliane.it

di consulenza strategica, integrando la sostenibilità nei loro processi, prodotti e piani di comunicazione, attraverso progetti socio-ambientali e strumenti innovativi». Nel 2020 avete festeggiato i 20 anni dalla fondazione di LifeGate e, per l’occasione, avete deciso di trasformarvi in public company: ci spiega meglio? Spegniamo 20 candeline proprio nell’anno che dà il via al decennio per il clima, quello delle soluzioni. Così abbiamo deciso di lanciare una campagna di raccolta fondi online su Mamacrowd, la prima piattaforma italiana di equity crowdfunding per capitale raccolto, in modo da coinvolgere tanti nuovi protagonisti in questa transizione, aprendo le porte della nostra azienda e il nostro cuore a tutti, perché solo uniti si può vincere la sfida al riscaldamento globale, la più importante di questo secolo, e garantire un futuro alle nuove generazioni. Basta un piccolo gesto per diventare parte del cambiamento. L’imprenditore Marco Montemagno ha creduto subito nell’iniziativa, un buon inizio… Siamo molto soddisfatti del risultato raggiunto in così poco tempo. Montemagno è un noto imprenditore tecnologico, ha deciso di metterci la faccia e di partecipare attivamente al cambiamento, aderendo all’iniziativa attraverso approfondimenti e confronti sull’importante tema della sostenibilità.

I primi fondi raccolti verranno destinati al progetto LifeGate Way, dedicato a startup innovative e sostenibili. Di che si tratta? Per creare valore attorno alle aree di business più giovani e promettenti, LifeGate Way supporterà le startup attraverso un percorso di accelerazione basato sui valori people, planet e profit, che promuoviamo da 20 anni. I progetti verranno selezionati proprio su questi principi: people, perché nelle imprese per prima cosa ci sono le persone, l’imprenditore e il team con i loro valori, talenti e competenze; planet, perché l’azienda può creare anche valore ambientale e sociale; profit, perché il modello d’impresa deve portare guadagno economico agli azionisti e alla propria comunità. È fondamentale anche la comunicazione: la radio e il sito di LifeGate si rivolgono a un pubblico molto ampio. Con 25mila contenuti editoriali e dieci milioni di minuti di musica trasmessi negli anni, abbiamo informato lettori e ascoltatori e oggi contiamo su una community di cinque milioni di persone. La nostra società è cambiata nel tempo e viene raccontata attraverso gli Osservatori nazionali sullo stile di vita sostenibile, indagini che realizziamo in collaborazione con Eumetra MR e che dal 2015 offrono una fotografia di come gli italiani, e in particolare i milanesi e i romani, applicano i temi della sostenibilità nelle scelte quotidiane. Dai dati del sesto

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L’ITALIA che fa IMPRESA

ste in Piedi, LifeGate Energy, LifeGate PlasticLess®. Ci racconta i princi-

En e

a te a Ro veda, ad di LifeG

Osservatorio, presentati il 22 aprile per la Giornata mondiale della terra, sono 36 milioni i cittadini che hanno allineato abitudini e consumi a una filosofia più green. Una consapevolezza che accelera il passaggio verso un’economia resiliente e attenta all’ambiente. Tra i progetti per combattere la crisi climatica avete Impatto Zero®, Fore-

pali traguardi? Dal 2000 mettiamo in atto azioni concrete contro la crisi climatica. Con questo obiettivo sono state lanciate iniziative come Impatto Zero®, primo progetto al mondo a concretizzare gli intenti del Protocollo di Kyoto, che ha compensato le emissioni di CO₂ di 400 milioni di prodotti attraverso la riforestazione di 70 milioni di m2 di aree verdi in Italia e nel mondo, dalla Costa Rica al Madagascar, anche grazie a Foreste in Piedi in Amazzonia. Contro il global warming, poi, nel 2005 è nata LifeGate Energy, energia pulita 100% rinnovabile, italiana e a impatto zero, che negli anni ha fornito 900 GWh a privati e aziende. Dovevamo inoltre affrontare il problema della plastica nei mari, che diventava sempre più un’emergenza, e con LifeGate PlasticLess®, grazie all’installazione di oltre 60 Seabin – i cestini che catturano i rifiuti galleggianti – in Italia, Svizzera, Grecia, Inghilterra e Francia, in soli due anni sono stati raccolti 25mila kg di rifiuti plastici e microplastiche, mentre a sostegno

delle biodiversità sono state protette cinque milioni di api con Bee my Future. La strada è ancora lunga e i traguardi sempre più ambiziosi. L’attenzione al nostro pianeta e alle azioni socio-ambientali che possono aiutarci a cambiare rotta dovrebbe diventare ancora maggiore, vista anche la difficile condizione sanitaria che stiamo vivendo a livello mondiale… Questo momento drammatico ci ha obbligati a fermarci come individui e come Paese, ma è anche un’opportunità per ripartire con una nuova consapevolezza. Ormai è chiaro a tutti come non sia più possibile continuare il percorso intrapreso finora. Le persone si stanno impegnando nel cambiamento, lo vediamo dai numeri dell’Osservatorio, ma solo attraverso il contributo di tutti la salute del Pianeta e la qualità della vita andranno di pari passo. lifegate.it lifegate lifegate lifegate LifeGate

© Marco Pasquini

Il cestino Seabin del progetto LifeGate PlasticLess, che ha permesso di raccogliere 25mila kg di rifiuti plastici nei mari d’Italia e d’Europa

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I MITI DELL’OPERA La collana per far conoscere ai più piccoli i grandi artisti del teatro lirico e le loro fantastiche storie

«Mi chiamo Giuseppe Verdi e sono uno dei più grandi compositori al mondo»

«Per milioni di persone sono la più grande cantante lirica della storia e per questo mi chiamano “la divina”»

Idea e testi

Cristina Bersanelli Illustrazioni Patrizia Barbieri In esclusiva su

teatroregioparma.it


GUSTA & DEGUSTA

di Andrea Radic

Andrea_Radic

andrearadic2019

OLTRE I TARTUFI C’È DI PIÙ L’APPENNINO FOOD GROUP DI LUIGI DATTILO

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17 anni, mentre i suoi coetanei sognano la prima auto, Luigi Dattilo si compra un cane da tartufi, costoso quanto un’auto di moda. Al mattino, insieme al suo pointer, sale in moto e va sui colli bolognesi a caccia dei preziosi tuberi, trovandone parecchi. «Il primo l’ho mangiato, il secondo pure, poi ho cominciato a fiutare il business. Così ho individuato altri tartufai di fiducia dai quali compravo e rivendevo il prodotto. Sempre con il mio fedele amico a quattro zampe al fianco, perché gli animali e la natura sono la mia passione», racconta Dattilo. Che 33 anni or sono ha fondato Appennino Food Group a Borgonuovo di Sasso Marconi (BO). L’azienda ha registrato nel 2019 un fatturato di 11,5 milioni di euro, lavorando 32 tonnellate di tartufi, con 50 dipendenti in Italia e uffici a New York e Singapore, diventando l’unica società per azioni del settore. «Ed è allo studio nel breve periodo la quotazione in Borsa tra le piccole e medie imprese», aggiunge. Appennino Food Group applica avanzate tecnologie per

Luigi Dattilo, fondatore di Appennino Food Group

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la scelta e la distribuzione dei tartufi a ristoranti e retail di lusso in tutto il mondo. Un’app consente di entrare virtualmente nelle celle frigorifere e scegliere il prodotto, che verrà immediatamente spedito. Tra le specialità il nero estivo, l’uncinatum e il pregiato bianchetto, fratello minore del tartufo bianco. Ma è proprio quest’ultimo (Tuber magnatum Pico) quello di maggiore qualità, conosciuto in tutto il mondo, tra i re indiscussi della cucina e vanto del territorio di Savigno. «Abbiamo avviato una modalità simile anche per il pubblico: su appenninofoodshop.com si possono scegliere e acquistare tartufi freschi o conservati, condimenti al tartufo del tutto naturali e specialità territoriali d’eccellenza, come il celebre ragù alla bolognese o quello di cinghiale dell’Appennino Tosco-Emiliano. Tutti prodotti che valorizzano le materie prime della nostra terra», conclude Dattilo, sempre con il suo cane al fianco. afoodgroup.it appenninofoodshop.com


LA NOBILE TRAMA DI SECOLO NOVO

© credito

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l bisnonno di Giovanni, Camillo Biatta, era négociant-éleveur, cioè un commerciante-vinificatore. Il nobile e antico mestiere passa di padre in figlio fino a Giovanni, che nel 1985 acquista i primi tre ettari a Passirano (BS), in Franciacorta, e fonda Le Marchesine. Oggi, con 47 ettari, sono Loris con i figli Andrea e Alice a guidare una delle produzioni più interessanti del territorio. Passione, cura, innovazione e professionalità, unite a una mano enologica illuminata, sono le caratteristiche che si ritrovano nei loro vini: classici Brut ed Extra Brut, Millesimati tra cui l’elegante Rosé e il raffinato Blanc de Blancs. Fino all’esclusivo Secolo Novo che, insieme alla sua Riserva e al Giovanni Biatta, è nato dalla dedizione dei produttori per ogni passaggio. Le uve provengono unicamente dal vigneto La Santissima di Gussago (BS), fazzoletto di terra pregiato e unico per conformazione ed escursione termica. Il lungo affinamento sui lieviti, da 54 a 72 mesi, dona grandissimo carattere. Perdersi nei suoi profumi è già parte piena dell’esperienza: ci sono vini capaci di emozionare con i soli sentori olfattivi e Secolo Novo è uno di questi. Al palato freschezza, sapidità e acidità danzano in perfetto equilibrio e si completano. Il lunghissimo finale è persistente e di nobilissima trama. lemarchesine.com

Loris, Alice e Andrea Biatta

FRATTA DI MACULAN, UN SOGNO CHE DIVENTA REALTÀ

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Fausto Maculan con le figlie Angela e Maria Vittoria

austo Maculan è senza dubbio un uomo di grande visione, che sa aggiungere a questa un pizzico di lucida follia. Il modulo vincente, condiviso con le figlie Angela e Maria Vittoria, si nutre della passione e dell’amore per la propria terra: la piccola e preziosa Breganze (VI), vulcanica e tufacea, con l’altopiano di Asiago a proteggere dai venti freddi. Fratta è figlio di questi sogni: ha un carattere molto deciso, d’altronde nasce nel 1977 per regalare fin da subito intense emozioni. Passano 20 anni e nel ’97 Maculan decide che Fratta diventerà un blend di Cabernet Sauvignon e Merlot, con grappoli scelti uno a uno dai migliori vigneti. E il sogno si avvera. Oggi questo rosso compie 40 anni e Angela e Maria Vittoria Maculan hanno dedicato l’edizione limitata di 3.298 bottiglie al sogno brillante del loro papà, a chi lo ha vendemmiato e imbottigliato e a tutti coloro che lo hanno bevuto. Frutti di bosco rossi e maturi, spezie, cacao e una punta di caffè sono i sentori di questo vino, che affascinano l’olfatto prima di giungere al palato potente, con i suoi tannini bilanciati e una rotonda principesca fattura. Per giungere preparati al Fratta è bello passare prima dal Brentino, che nasce dai medesimi vitigni, e dal Palazzotto Cabernet Sauvignon in purezza. maculan.net 27


WHAT’S UP

L’AMORE NASCOSTO IL CANTAUTORE FABRIZIO MORO TORNA CON UNA RACCOLTA CHE CONTIENE LE LOVE BALLAD PIÙ RAPPRESENTATIVE DELLA SUA CARRIERA

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di Gaspare Baglio

a la capacità, rara, di trasmettere le sue emozioni nelle canzoni. Lo ha fatto con Pensa, vincendo il Festival di Sanremo nel 2007. Ma anche con la delicata e struggente Portami via e con Non mi avete fatto niente, in coppia con Ermal Meta, trionfatrice della kermesse musicale nel 2018. Fabrizio Moro è tornato con Canzoni d’amore nascoste, una raccolta delle sue ballad romantiche meno conosciute, con l’aggiunta di due inediti: Nun c’ho niente e Voglio stare con te. Perché un best of sull’amore? È il sentimento in cui mi sono espresso meglio. Alcuni brani non erano irradiati da un riflettore importante. Li ho voluti riprendere, riarrangiare e cantare di nuovo con l’esperienza di oggi. E cosa è uscito fuori? Tanta consapevolezza in più. Quelle canzoni d’amore mi venivano di getto e circolavano con tutto l’istinto del momento. Ricantandole ho capito perché le avevo scritte e compreso meglio i miei sentimenti. L’inedito Nun c’ho niente è accorato, tormentato.. È molto ispirato e farà parte del primo film che dirigerò con Alessio De Leonardis, già aiuto regista per grandi cineasti. Con lui ho scritto la sceneggiatura e, mentre entravamo nel vivo del progetto, è nata questa canzone. Cosa puoi dirci di questo progetto? Il titolo è Ghiaccio ed è la storia di due amici: un pugile del passato che non è riuscito a esprimersi attraverso la boxe e un giovane che invece, grazie a questo sport, cerca il riscatto della vita. Da fan di Rocky Balboa erano anni che volevo scrivere un soggetto di questo tipo. Torniamo al brano che troveremo nel film: in una strofa dici che «er core non mente». Nel tuo caso, quando ti ha aiutato? Nelle scelte che ho fatto mi lascio guidare da quello che sento, senza troppi problemi. Attitudine che mi ha portato solo belle cose. Questo pezzo è in romanesco. Come mai? Non avevo mai cantato nel mio dialetto. A Roma ci vivo e il film è ambientato lì: racconto la città che ho vissuto da adolescente, prima di diventare un musicista. Cosa rappresenta Roma per te? La mia vita, le cose più importanti, tutto quello che ho oggi: qui ho trovato l’amore, ci sono i miei figli e le strade dove ho composto le canzoni più importanti. Quali zone nascoste consiglieresti di visitare? Le periferie in cui sono cresciuto. Vengono disegnate come posti di malavita, invece c’è tanta bellezza. Per esempio il mercato del giovedì a San Basilio, dove si può assorbire la vera romanità. Nell’altro inedito della raccolta, Voglio stare con te, parli di schiaffi alla tua dignità. 28

gasparebaglio

Sono molto orgoglioso ed è stato difficile, nel mio lavoro, richiamare un produttore o un manager per farmi ascoltare. Oppure aspettare un sms che avrebbe potuto cambiarmi la vita. Ho cercato di resistere e trovare il giusto compromesso tra quello che avrei potuto ottenere e il mio carattere. Il brano che fa da apripista a questo progetto è Melodia di giugno, una ballad su quello che è stato e quello che sarà, dopo un periodo di cambiamento. Sembra una metafora del momento che stiamo vivendo, segnato dal Covid-19. Stiamo ancora tutti metabolizzando questa condizione. È dura, ma bisogna tirare fuori il coraggio che, storicamente, ci ha contraddistinto. Il nostro Paese, quando è stato messo in ginocchio, si è sempre rialzato a testa alta. Spero che, non appena questo periodo passerà, saremo più forti di prima. È una vera prova, soprattutto per ragazzi e bambini che stanno crescendo con la paura di approcciarsi agli altri. Bisogna tirare fuori il meglio che c’è in noi. Cercherai, in qualche modo, di portare questo disco live? Nel 2021 avrei dovuto cominciare il primissimo tour della mia vita nei palazzetti. Dopo l’ondata Covid-19 avevamo anche pensato di organizzare concerti nei teatri, ricreando una stanza per fare capire ai giovani come nascono le canzoni tra le mura domestiche. Purtroppo temo che, finché non arriverà il vaccino, sarà difficile organizzare live e grandi eventi. fabriziomoro.net fabriziomoropage FabrizioMoroOff fabriziomoropage


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© Luigi Orru


© FLAVIOEFRANK

WHAT’S UP

I Boomdabash: in basso da sinistra Mr. Ketra e Biggie Bash, in alto da sinistra Blazon e Payà

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DON’T WORRY, BE HAPPY I BOOMDABASH CELEBRANO I 15 ANNI DI CARRIERA CON UN BEST OF DEI LORO SUCCESSI. ANTICIPATO DA UN SINGOLO CHE È UN INNO ALLA SPERANZA

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l loro nome fa rima con l’estate, il mare e i tormentoni che la bella stagione porta con sé. Non è un caso, quindi, se i Boomdabash hanno vinto per tre anni consecutivi la Power Hits Estate di Rtl 102.5 con Non ti dico no, Mambo salentino e Karaoke, canzoni che hanno fatto incetta di view, stream e rotazioni radiofoniche. Ma ora è il momento di festeggiare i 15 anni di carriera con un best of che ha lo stesso titolo del singolo di lancio: Don’t worry. Biggie Bash, che insieme a Blazon, Payà e Mr. Ketra forma la band pugliese, ci racconta come questo brano dal sapore natalizio assuma un significato particolare. Che cosa rappresenta? È un inno alla speranza, al restare lucidi, con la schiena dritta e lo sguardo alto. Non solo nella situazione attuale, ma anche nelle difficoltà della vita. Speriamo che la musica aiuti le persone in questo momento duro per l’Italia. E le faccia restare positive, per vedere la luce in fondo al tunnel. Nel brano c’è un coro di bambini… Scelta voluta. I più piccoli non conoscono la negatività né alcune ansie e paure, come quella del futuro. Dovremmo imparare da loro. Con questa raccolta festeggiate i 15 anni di carriera. Che evoluzione avete avuto come artisti ed esseri umani? Sono stati anni fantastici. Abbiamo creato dal nulla un sogno e lo abbiamo coltivato, i momenti difficili ci hanno temprato. La caparbietà, che manteniamo tuttora, è senza dubbio uno degli ingredienti del nostro successo. Per il resto, siamo rimasti gli stessi, ma con una maggiore consapevolezza musicale. E un gran senso di responsabilità ora che abbiamo tanti fan. Il vostro nome è sinonimo di summer hit. Non avete paura di restare prigionieri di un’etichetta? La bella stagione, discograficamente parlando, funziona sempre. Noi non siamo solo quelli dei tormentoni estivi, che comunque ci hanno fatto conoscere a tanta gente.

Abbiamo una discografia ampia e, prima di essere mainstream, siamo stati una realtà indipendente che ha calcato tantissimi palchi, con molti live ogni anno. State pensando a misure particolari per organizzare concerti in tempi di Covid-19? Abbiamo scelto di non suonare: con le strutture dei nostri live non riusciremmo a fare un concerto. Rispettando tutte le prescrizioni governative, non potremmo rientrare nei costi. E poi c’è l’elemento emotivo: il live è una magia. Se non si può avere il pubblico sotto al palco e sentire il contatto fisico con le persone è meglio rimandarlo a quando sarà possibile, nella massima sicurezza. Il Festival di Sanremo 2019 vi ha consacrato agli occhi del grande pubblico. Quest’anno vi rivedremo? Ci abbiamo pensato, ma abbiano ritenuto non fosse congeniale per noi. Preferiamo concentrarci sui singoli e sulla raccolta. Però siamo certi che, in un futuro prossimo, torneremo a calcare il palco dell’Ariston. G.B. boomdabash.com boomdabashsound BOOMDABASH boomdabash_official

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WHAT’S UP

LA COSTELLAZIONE DI

MINA

LA GRANDE CANTANTE ITALIANA PRESENTA CASSIOPEA E ORIONE, I PRIMI CAPITOLI DEL SUO ITALIAN SONGBOOK. UNA RACCOLTA DI SUCCESSI, COVER E BRANI INEDITI

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assiopea e Orione non sono solo raggruppamenti di stelle che popolano la volta celeste. Rappresentano anche i primi due tasselli del progetto discografico Italian Songbook targato Mina. «Nella sua carriera si è concentrata solo su quello che voleva produrre. È stata la prima a concepire album a tema come quelli dedicati al Brasile, a Napoli o a alla reinterpretazione dei pezzi di grandi cantautori come Lucio Battisti», spiega il figlio e arrangiatore-produttore Massimiliano Pani. La Tigre di Cremona ha pubblicato oltre 1.400 canzoni e 75 album, probabilmente più di qualunque altro artista. Ma scovare tutte le sue meraviglie non è semplice. Ecco, quindi, l’idea: imbastire un lavoro filologico su tutto il materiale in italiano così da raccogliere in un solo progetto i successi dell’interprete, le cover e diversi inediti pieni di sentimento. «Abbiamo riaperto i nastri e alcuni brani sono stati risuonati alla sua maniera. Si è cercato di dare un equilibrio ai pezzi

che ne avevano bisogno. Per quelli che funzionavano, invece, abbiamo fatto solo un restauro audio», prosegue Pani. Il risultato è un lavoro che esalta le diverse sfaccettature di una voce unica, amata da generazioni diverse, permeata di sincerità, che non ha mai abbracciato mode passeggere. Una diva sempre avanti, «capace di giocare con la sua immagine attraverso le copertine dei dischi, prima ancora di Madonna e Lady Gaga. Popstar che poi, vedendo le sue cover, sono impazzite». Mina ha portato avanti le sue idee «riuscendo a non finire in una nicchia e non concedendo mai ciò che non le interessa, come la promozione». È sempre stata una pioniera e, nella remotissima ipotesi di tornare sulle scene, sceglierebbe comunque modalità innovative. «Nel 2001 realizzò il primo grande evento sul web e crollò la Rete per quanta gente si era collegata», spiega il figlio. «Se dovesse mai rifare qualcosa, quindi, sarà solo attraverso canali nuovi». Per essere, anche questa volta, la prima. G.B.

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Teatro di Roma

Argent ina

Teatro Argentina

La metamorfosi Lo ritroverete in scena non appena sarĂ di nuovo possibile.

teatrodiroma.net cantiere dell’immaginazione

Ora che i teatri sono chiusi al pubblico, il lavoro del Teatro di Roma continua immaginando e creando sui propri palcoscenici reali e virtuali. Torneremo presto a condividere dal vivo l’emozione del teatro. Nel frattempo seguite sui nostri canali la nuova programmazione digitale: #TdrOnline e Radio India

Foto di Claudia Pajewski

In queste settimane il palco del Teatro Argentina avrebbe ospitato il debutto di La Metamorfosi di F. Kafka per la regia di Giorgio Barberio Corsetti.



UN TRENO DI LIBRI

Invito alla lettura di Alberto Brandani [Presidente giuria letteraria Premio Internazionale Elba-Brignetti]

In viaggio con il Prof

A RIVEDER LE STELLE L’ITALIA NON NASCE DA UNA GUERRA O DALLA DIPLOMAZIA; NASCE DAI VERSI DI DANTE, A 700 ANNI DALLA SUA MORTE

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ei circoli letterari si sussurra che Aldo Cazzullo conosca a memoria la Divina Commedia, imparata con i ferrei insegnamenti di un tempo. Di certo c’è che il nostro autore Dante ce l’ha nel cuore e lo racconta con una vena didattica, soffermandosi sulla cantica più conosciuta al mondo: l’Inferno. Ci avvicina a versi e personaggi entrati nell’immaginario di tutte le genti. Grandi letterati si sono accostati in modo profondo alla Commedia: dalle splendide pagine di Francesco De Sanctis alle raffinate intuizioni di Attilio Momigliano (citato anche da Jorge Luis Borges), alla lectio magistralis di Eugenio Montale che spiegò come il Dante poeta e l’artista fossero una cosa sola. Ma a mio sommesso parere il dantista per eccellenza del ‘900 è stato Natalino Sapegno, non solo perché in una celeberrima lettera sostenne che «la letteratura, non so se purtroppo o per nostra fortuna, è diventata in qualche modo la forma di tutta la nostra vita», ma anche perché la sua compenetrazione della Divina Commedia lascia sbalorditi. «Delle tre cantiche, l’Inferno è la più varia, la più mossa, la più drammatica e ricca di umanità. È il regno delle passioni intense e profonde; delle grandi figure emergenti su uno sfondo di tenebre e disperazione, ancora tutte avvinte agli affetti e alle cupidigie terrene, pronte a lasciarsi trasportare dai ricordi, a rivivere come presente il dramma della loro vita [...]; e dietro di essi le folle dei peccatori, le figure dei demoni a mezzo tra l’umano

e il simbolico, i personaggi della mitologia classica richiamati a nuova vita poetica, gli aspetti aspri e deformi, desolati e sconvolti del paesaggio, la tragicità ora terribile ora grottesca ora ripugnante delle pene [...]» (Natalino Sapegno, Disegno storico della letteratura italiana). Ma torniamo a Cazzullo. Splendida l’intuizione: la nostra Patria nasce con Dante. Non dalla politica o dalle guerre, ma dalla cultura e dagli affreschi, da Petrarca e Giotto, dalla lingua forgiata dal Sommo Poeta. La lingua, la bellezza, la cultura, la letteratura e la filosofia, le arti e i mestieri, la ferocia, gli amori, i tradimenti e il doloroso esilio, tutto Dante provò. E come non ricordare Paolo e Francesca, da cui nascono versi che ci fanno assaporare l’impeto dell’innamoramento e della passione e la crudeltà della vendetta che si abbatte sui due amanti? Francesca è il primo caso narrato di femminicidio. E Dante diventa, forse, il primo femminista della storia: ricordiamo che siamo nel Medioevo, secoli bui in cui se la vita degli uomini contava poco, quella delle donne era pari a zero e si discuteva addirittura se avessero un’anima o meno. Invece Dante scrive che è solo grazie alla donna se la specie umana supera qualsiasi cosa terrena, perché la donna è il capolavoro di Dio. Per Dante la Commedia è anche una denuncia: i traditori, gli avidi, gli assassini vengono posti, con nome e cognome, nei gironi infernali, talvolta senza pietà, talvolta alleviando loro la pena.

Ma è anche un atto d’amore verso il “bel Paese”, verso la sua città e la vita. In quasi due secoli qualche critico ha definito Dante fazioso, irascibile, vendicativo, incattivito. In particolare Niccolò Machiavelli sosteneva che l’Alighieri non avesse sopportato l’ingiusta condanna e l’ingiuria dell’esilio. Un giudizio ingeneroso, perché la verità è che Dante, e qui sta l’eterna giovinezza della sua opera, è duro e severo con tutti e in primis con se stesso. Ricordiamoci che Ulisse è Dante e Ulisse ci sprona: «Fatti non foste a viver come bruti/ma per seguir virtute e canoscenza». Nell’eterna ricerca di queste stelle cardinali sta l’universalità senza tempo della Divina Commedia e l’auspicio per ciascun Ulisse moderno che possa, dopo le peripezie di una vita, tornare «a riveder le stelle».

Mondadori, pp. 278 € 18 35


UN TRENO DI LIBRI

BRANI TRATTI DA A RIVEDER LE STELLE Illustrazioni di Gustave Doré dalle edizioni Mondadori

[...] Dante ama una donna che non c’è più e una patria che non c’è ancora. Una patria che – oggi noi lo sappiamo – nasce con lui. L’Italia ha questo di straordinario, rispetto alle altre nazioni. Non è nata dalla politica o dalla guerra. Non da un matrimonio dinastico, non da un trattato diplomatico. È nata dalla cultura e dalla bellezza. Dai libri e dagli affreschi. È nata da Dante e dai grandi scrittori venuti dopo di lui: Petrarca, che da piccolo ebbe la fortuna di incontrarlo; Boccaccio, che per primo definì la Commedia «Divina» e la lesse in pubblico. È nata da Giotto, che Dante cita nel Purgatorio, e che forse incontrò mentre affrescava nella Cappella degli Scrovegni il Giudizio universale, con i sommersi e i salvati. E l’Italia è nata dagli altri artisti che da Dante furono ispirati nel ritrarre il Bene e il Male, il Paradiso e l’Inferno, la grandezza dell’uomo e l’abisso della sua perversione. Dante non è soltanto il padre della lingua italiana. Una lingua che si è mantenuta fresca e viva grazie a lui e ai suoi seguaci, anche se per secoli nella vita quotidiana fuori da Firenze non l’ha parlata nessuno; quasi come l’ebraico, la lingua della Bibbia che gli ebrei non hanno praticato per millenni, fino a quando non sono tornati nella Terra Promessa. Accade a volte che una lingua sia plasmata, salvata e mantenuta viva da un libro: per noi, la Divina Commedia. Dante è anche il padre dell’Italia. Un nome che ripete quasi ossessivamente, fin dal primo canto del suo poema. Dante non pensa a uno Stato italiano, che sarebbe nato solo 540 anni dopo la sua morte. Per lui il potere politico è l’Impero, e il capo è l’imperatore; mentre il Papa deve essere un’autorità spirituale; come è diventato ora. Per Dante, l’Italia è un sogno. Un paradigma di cultura e di bellezza. Ma non è un’entità astrat-

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Caronte (Inferno, canto III, versi 82-84)

ta; è carne, è sangue, è terra. L’Italia è una montagna scoscesa, una collina dolce, un mare agitato, dalla Provenza al golfo del Quarnaro. È il Bel Paese, definizione inventata da lui. Il Paese in cui si dice «sì». Unito dalla fede cristiana e dall’amore per il bello. L’Italia è l’erede della grande cultura latina, della Roma imperiale, cantata dal poeta che Dante venera come maestro e che lo condurrà fuori dall’Inferno e dal Purgatorio: Virgilio. E Virgilio lo affiderà a Beatrice, la donna che Dante ama anche se non l’ha mai avuta, non l’ha mai baciata, forse non ha mai potuto neppure rivolgerle la parola. Una donna che simboleggia tutte le donne amate. Anche per questo siamo tutti figli e nipoti di Dante. L’unico scrittore italiano che ha davvero un respiro universale, che è conosciuto ovunque. Noi abbiamo la fortuna di parlare la sua stessa lingua. Di poter seguire le orme del suo viaggio attraverso il nostro Paese, sino ai confini di ciò

che è in noi. [...] Rimini è il vero ombelico d’Italia. Un posto dove sono efficienti e veloci come i milanesi, ospitali e calorosi come i napoletani. Grandi inventori di mondi paralleli: nell’entroterra, il borgo antico, con l’arco romano di Augusto, il ponte di Tiberio, lo splendido tempio rinascimentale dei Malatesta; in riva al mare, la città di cartone, con gli stabilimenti contrassegnati da un numero colorato perché non si perda neanche un bambino. [...] Francesca da Rimini è forse il personaggio più noto della Divina Commedia. Anche se Rimini non è la sua città; è il luogo dove ha trovato l’amore e la morte. Come molte altre anime, pure lei per prima cosa racconta a Dante da dove viene. È come il «where are you from?» che apre un po’ tutte le conversazioni del mondo globale; perché un po’ tutti amano parlare delle proprie


Un assaggio di lettura origini, della propria terra. Francesca viene dalla marina dove sfocia il Po (che un tempo bagnava anche Ravenna). È figlia della famiglia regnante, i Da Polenta. «Marina» è la parola con cui Dante indica l’immenso specchio d’acqua del delta che sconfina nell’Adriatico. Un angolo d’Italia di grande fascino, poco conosciuto, dove oggi si va a caccia in barca con il cane affacciato a prua, si fa il bagno dalle spiaggette sul fiume, si costruiscono capanni tra i canneti. E poi i silenzi di Rovigo e di Adria che dà il proprio nome a un intero mare; le lagune pescose di Comacchio e di Chioggia; i mosaici bizantini di Ravenna e le rovine gloriose di Aquileia, da cui fuggirono incalzati dagli Unni i fondatori di Venezia… Dante non può saperlo mentre scrive, ma è proprio sulla «marina dove ’l Po discende» che nell’estate del 1321 contrarrà la malaria, che lo porterà alla morte. Rimini è invece la città di Gianciotto

Minosse (Inferno, canto V, verso 4)

Malatesta, il colpevole del femminicidio più celebre della storia. «Ciotto», che oggi per i giovani romani è sinonimo di muscoloso, palestrato, Paolo e Francesca (Inferno, canto V, versi 73-75)

per gli italiani del Medioevo significa zoppo, sciancato. I Malatesta e i Da Polenta sono rivali. Il matrimonio deve suggellare la pace. Ma Francesca si innamora di Paolo, il fratello del marito; che li sorprende e li uccide entrambi. Il delitto avviene attorno al 1283, quando Dante ha diciotto anni, e desta grande emozione a Firenze: l’anno prima Paolo è stato capitano del popolo in città. [...] Poi Dante fa un’altra cosa, stavolta inconsueta. Scrive un proemio, un’introduzione, nel pieno della sua opera. Segno che sta per raccontare ai lettori una storia particolarmente importante, che lo riguarda in prima persona, che mette a nudo la sua anima. È una svolta, un cambio di passo. Il poeta ci avverte che dovrà tenere a freno l’ingegno, affinché non si abbandoni a correre per proprio conto, senza essere guidato dalla virtù; in modo da non sprecare il talento avuto in dono dagli astri o dalla Provvidenza. Dante insomma annuncia che misurerà ogni parola, perché sta per affrontare un momento decisivo non solo della sua produzione letteraria, ma della sua vita interiore. È la storia di Ulisse. Ma è anche la sua.

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UN TRENO DI LIBRI

Un assaggio di lettura

[...] E qui Ulisse pronuncia le parole fatidiche, anzi Dante scrive i versi indimenticabili: «Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza». Non è l’eroe greco che sta parlando; è il poeta. Se Flaubert diceva «Madame Bovary sono io», allora Ulisse è Dante. È l’uomo di pensiero – l’opposto del bruto, dell’animale non razionale – che mette in gioco se stesso per seguire la virtù e la conoscenza; e non si accontenta mai di quello che sa e di ciò che è diventato, perché è consapevole di poter sapere di più e di poter diventare migliore. Queste parole segnano il superamento del Medioevo e l’alba dell’era moderna. Perché la modernità non nasce dalla sapienza; nasce dalla ricerca. Dalla coscienza di essere ignoranti. [...] «Ecco Dite» indica Virgilio, che chiaCentauri (Inferno, canto XII, versi 76-78)

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ma il re dell’Inferno sempre con il nome classico, lo stesso dell’Eneide. «Dite» per gli ebrei è Satana, per i cristiani Lucifero. E ora Dante si rivolge a noi, dicendo: non chiedetemi quanto io sia diventato «gelato e fioco»; non lo scrivo, perché qualsiasi parola sarebbe inadeguata; vi basti sapere che «io non mori’ e non rimasi vivo». L’imperatore del doloroso regno spunta dal ghiaccio dal petto in su. Per dare un’idea delle sue dimensioni, il poeta spiega che può confrontare il proprio corpo con quello di un gigante, più di quanto un gigante si possa confrontare con un braccio di Lucifero: in altre parole, c’è meno sproporzione tra un uomo e un gigante, che tra un gigante e un braccio del diavolo. Se egli fu tanto bello come ora è brutto, e tuttavia si ribellò al suo creatore, allora è giusto che da lui provenga ogni male. Lucifero ha una sola testa, con tre facce: quella davanti è rossa, in-

fiammata d’ira impotente; la sinistra è nera, simbolo di ignoranza; la destra è «tra bianca e gialla», giallastra, come l’invidia. Rispetto a Dio, il diavolo è opposto e speculare, come un’immagine rovesciata in uno specchio. Anche lui ha una sua oscena trinità: alla potenza, alla sapienza e all’amore corrispondono appunto l’impotenza, la stoltezza, l’odio. Sotto ogni faccia spuntano due ali da pipistrello, più grandi di qualsiasi vela. Lucifero quindi ha sei ali, come i serafini, a ricordo dell’angelo che è stato; e sbattendole crea il vento che ghiaccia il lago dei traditori. Con sei occhi piange, e da tre menti «gocciava ’l pianto e sanguinosa bava». In ogni bocca maciulla con i denti un peccatore. Il primo, con la schiena scorticata dai graffi, è Giuda Iscariota, che ha il capo nelle fauci e le gambe di fuori. Gli altri due, di cui spuntano le teste, sono Bruto e Cassio. Dante non ha per loro nessuna pietà.


Lo scaffale della Freccia a cura di Alberto Brandani

IL LIBRAIO DI VENEZIA Giovanni Montanaro Feltrinelli, pp. 144 € 12 Il 12 novembre 2019, 187 centimetri di acqua alta inondarono Venezia. Giovanni Montanaro, che ha vissuto in prima persona i tragici giorni dell’inondazione, racconta – in un modo lontano dalle cronache – l’angoscia dell’acqua che sale, che distrugge, ma anche personaggi ed emozioni il cui cuore è Venezia, l’amore che nasce grazie ai libri e la tenacia di salvare le cose più care.

INTERVISTA ALLA SPOSA Silvio Danese La nave di Teseo, pp. 528 € 19 La storia di Stefania incomincia quando tutto finisce, in una notte sconvolgente dopo 20 anni di matrimonio. Aggredita, intrappolata, reagisce alla brutalità e inverte con equivalente potenza una sorte certa. Viva. Ma poi? Mentre sconta la sua pena, Stefania accetta di raccontare emozioni e fatti, anche nei dettagli meno riferibili, a uno scrittore forse disposto a riscattarne il destino.

BORGO SUD Donatella Di Pietrantonio Einaudi, pp. 168 € 18 Adriana è come un vento, irrompe sempre nella vita di sua sorella con la forza di una rivelazione. Sono state bambine riottose e complici, figlie di nessuna madre. Ora sono donne cariche di slanci, sbagli, delusioni e possibilità, con un’eredità di parole non dette. Vivono due amori sacri e un po’ storti, irreparabili come sono a volte gli amori incontrati da giovani. Un’emozione calda e sussurrata.

UN’AMICIZIA Silvia Avallone Rizzoli, pp. 464 € 19 Se le chiedessero di indicare il punto preciso in cui è cominciata la loro amicizia, Elisa non saprebbe rispondere. È stata la notte in cui Beatrice è comparsa sulla spiaggia – improvvisa, come una stella cadente – o è stato quando hanno rubato un paio di jeans in una boutique e sono scappate sfrecciando sui motorini? La fine, quella è certa: sono passati 13 anni e il ricordo le fa ancora male.

NATO DA NESSUNA DONNA Franck Bouysse Neri Pozza, pp. 272 € 18 Gabriel è un giovane curato di campagna. Un giorno una sconosciuta si affaccia al suo confessionale, bisbigliando la storia di una donna morta in manicomio dopo aver ucciso il proprio figlio. Tra i suoi abiti sono nascosti dei quaderni che il curato dovrà prelevare durante la benedizione del corpo. Il giorno della sepoltura, senza neanche aprirli, Gabriel afferra i quaderni e li nasconde sotto la tonaca..

LEZIONI DI VOLO E DI ATTERRAGGIO Roberto Vecchioni Einaudi, pp. 208 € 17 Lo specialissimo professore che abita queste pagine parla di Socrate o di Ulisse, viaggiando leggero nel tempo, dalla guerra di secessione a Fabrizio De André, dal Vangelo a Spoon River, da Saffo ad Alda Merini. Per trasportarci in un altrove dove la cultura è qualcosa di vivo, di scintillante. Quindici racconti indimenticabili, 15 lezioni innamorate destinate a colpire il cuore e il cervello.

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Lo scaffale della Freccia a cura di Gaspare Baglio

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DOWNTON ABBEY - IL RICETTARIO UFFICIALE DI NATALE Regula Ysewijn Panini Comics, pp. 240 € 35 Oltre 80 ricette della tradizione gastronomica britannica che, affiancate da un’avvincente narrazione, compongono un affresco delle specialità natalizie all’epoca di Downton Abbey. Un tesoro di informazioni storiche che raccontano preparazioni tipiche come la Christmas Pie, rivisitate attraverso le lenti del celebre serial.

IMAGO LUX Adriano Angelini Sut Edizioni Ensemble, pp. 304 € 15 Sono gli anni ‘70 e Liliana Roscioli, ragazza della buona borghesia romana attratta dal fascino dell’occulto, sparisce nel nulla. La sorella Eva si mette sulle sue tracce e la ritrova, trasfigurata, nel sud della Francia. Cinquant’anni dopo prende il via un romanzo in cui il male flagella una Capitale decaduta, un thriller che riassume archetipi, presagi e paure di un mondo senza luce.

NATALE IN GIALLO AA. VV. Einaudi, pp. 248 € 15 Anche durante la Festa più attesa dell’anno possono accadere fatti inquietanti che colorano di suspense l’Xmas day. Il libro raccoglie dieci racconti di autori come Robert Louis Stevenson, Arthur Conan Doyle, Thomas Hardy, Saki, Amelia B. Edwards e Francis Scott Fitzgerald. Sotto l’albero campeggiano intrighi, misteri e delitti che fanno tenere il fiato sospeso fino all’ultima riga.

UN MATRIMONIO A DICEMBRE Sarah Morgan HarperCollins, pp. 278 € 15 Nell’idilliaco paesino di Aspen, la famiglia White al completo si riunisce per il matrimonio di Rosie, la piccola di casa. I festeggiamenti, però, celano segreti: i genitori, Maggie e Nick, stanno per divorziare, la sorella maggiore Katie è intenzionata ad annullare la cerimonia e la stessa sposa è assalita dai dubbi. Tutto è pronto per un Natale che nessuno dimenticherà.

FRIENDS - IL RICETTARIO UFFICIALE Amanda Yee Panini Comics, pp. 144 € 25 Tutti i segreti per riassaporare uno dei maggiori successi tv degli ultimi 30 anni. Grazie a una serie di semplici istruzioni step-by-step è possibile ricreare i biscotti della nonna di Phoebe o il panino con le polpette di Joey. Niente paura: i piatti proposti sono adatti anche ai neofiti della cucina. Un regalo a prova di telecomando (e di fornelli).

ATLANTE DEI LUOGHI MISTERIOSI DELL’ANTICHITÀ Francesco Bongiorni, Massimo Polidori Bompiani, pp. 160 € 25 In questo volume sono raccolte le più belle storie sui misteri dei tempi antichi di tutti i continenti. Gli autori restituiscono l’emozione irripetibile della scoperta e l’incontenibile gioia di una scommessa, spesso vinta contro ogni buon senso. Perché inseguendo miraggi e leggende si finisce a scovare testimonianze e tesori concretissimi, trovando risposta a domande che vivono dentro di noi.


Lo scaffale ragazzi a cura di Claudia Cichetti

GLI EROI DI LEUCOLIZIA Angela Iantosca Giulio Perrone Editore, pp. 144 € 15 (7-12 anni) Da Peppino Impastato a padre Pino Puglisi, da Annalisa Durante a don Peppe Diana fino a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I paladini dell’antimafia diventano protagonisti di una raccolta dedicata ai più piccoli. E si trasformano in trampolieri, stelle nel cielo, alberi di pace, sogni da realizzare. Un regalo capace di trasmettere, anche a Natale, valori come democrazia e rispetto delle regole. G.B.

IL PICCOLO ARON E IL SIGNORE DEL BOSCO Francesco Niccolini, (illustrato da Sonia Maria Luce Possentini) Carthusia, pp. 32 € 16,90 (da 7 anni) Aron ha cinque anni, è vivace, simpatico e abita in un villaggio ai piedi di una grande montagna. Parla con le piante, è amico degli animali e da grande vuol fare l’esploratore. Ma prima dovrà partire per un viaggio in solitaria fino alla fine del bosco dove incontrerà una creatura fantastica: l’unica che saprà riportare la pace e l’equilibrio tra gli uomini e la natura, salvando così l’ambiente. S.G.

TESS E LA SETTIMANA PIÙ FOLLE DELLA MIA VITA Anna Woltz Beisler Editore, pp. 180 € 15,80 (da 9 anni) Samuel e Tess, introverso e riflessivo lui, spigliata ed esuberante lei. Tess, che vive con la mamma single, coinvolge l’amico nel piano escogitato per conoscere il padre, di cui non sa nulla. Una storia che racconta i problemi delle relazioni familiari, la forza dell’amicizia, le paure e la difficoltà di crescere. Da leggere su carta e ascoltare in versione digitale grazie all’app Leggi e ascolta di Beisler. S.G.

I TRE PORCELLINI David Wiesner Orecchio Acerbo, pp. 40 € 14.50 (da 5 anni) Tutto inizia come nella famosa fiaba: tre maiali raccolgono materiali diversi e vanno a costruire altrettante case di paglia, di legno e di mattoni. Il lupo che soffia e sbuffa fa saltare il primo porcellino fuori dalla casa, ma anche dalla storia. Varcare questo limite segna un punto di non ritorno e il divertimento incalza attraverso diverse forme narrative, dal fumetto al racconto cavalleresco.

POESIA CON FUSA Chiara Carminati, Alessandro Sanna Lapis, pp. 56 € 15 (per tutti) Non è mai troppo presto per iniziare i bambini alla poesia: e allora perché non farlo parlando di gatti, animali che conoscono bene? C’è il gatto del poeta che sussurra alla luna la sua Poesia con fusa e c’è il micetto pronto all’agguato dentro una scarpa. Gatti come altrettanti tipi umani in un caleidoscopio di situazioni in cui tutti – bambini e adulti – potranno riconoscersi. In rima..

L’ICKABOG J.K. Rowling Salani Editore, pp. 320 € 19,80 (da 7 anni) In piena pandemia da Covid-19, l’ideatrice di Harry Potter rispolvera una fiaba scritta molto tempo fa per i suoi figli, che ha ritirato fuori durante il lockdown. Illustrata con i disegni dei bambini vincitori dei diversi concorsi lanciati dagli editori in ogni Paese, è arrivata così in libreria. Un racconto sul potere della speranza e dell’amicizia, che trionfano anche nelle avversità. Con i proventi devoluti in beneficenza.

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NATALE A TAVOLA

L’ITALIA NEL PIATTO DALLA MINESTRA MARITATA AI KNÖDELN IN BRODO, DALL’ABBACCHIO AL CAPITONE. UN VIAGGIO TRA LE SPECIALITÀ REGIONALI DELLE FESTE di Riccardo Lagorio - a cura di vdgmagazine.it

È

inevitabile che, essendo una penisola lunga e stretta, e con due isole che sono continenti di biodiversità alimentare, l’Italia marchi le proprie differenze e peculiarità anche intorno alla tavola di Natale. Che quest’anno sarà meno affolata del solito, per rispetto delle prescrizioni contro il Covid-19, ma comunque ricca di specialità tipiche. Come da tradizione, al Centro e al Sud si festeggia con il cenone della Vigilia, mentre al Nord è d’obbligo il pranzo del 25. Un’abitudine che influisce non poco sulla selezione dei cibi: il 24 si privilegiano piatti a base di pesce – dove il protagonista è quasi sempre il baccalà – e molluschi, mentre il giorno dopo nei piatti dei commensali regna la carne. La sera della Vigilia, soprattutto al Centro-Sud, c’è un convitato particolare: il capitone, l’esemplare femmina dell’anguilla. Roma lo celebra in forma di frittura insieme a carciofi, zucchine e cavolfiori. Anche a Napoli è servito fritto, ma dopo la minestra in brodo o gli spaghetti alle vongole. A Bari si usa farlo arrosto, aromatizzato con foglie d’alloro, nel Foggiano viene impanato come fosse una cotoletta e versato in una padella con abbondante olio bollente. A Comacchio (FE), uno dei maggiori luoghi di cattura dell’anguilla, è d’obbligo il risotto, mentre nella Lombardia orientale e in Veneto fa parte degli antipasti del 25, alla brace e marinata in aceto. All’anguilla e al capitone è affidato un valore simbolico: allontanare la cattiva sorte esorcizzando il serpente del male. Ma sono gli antipasti ad aprire normalmente le danze intorno alle tavole imbandite e decorate. In particolare in Piemonte, dove giocano un ruolo centrale: a Torino finiscono in bella mostra il vitello tonnato e la battuta cruda di 42

Fassona, spesso seguiti dalla lingua salmistrata condita con bagnetto verde, una salsa preparata assemblando prezzemolo, aglio e olio extravergine d’oliva. In Emilia sono i salumi ad avviare il banchetto: lo gnocco fritto, composto dalla caratteristica pasta di pane, fa da accompagnamento a tre Dop piacentine – pancetta, coppa e salame – o al crudo Dop di Parma o Modena. Prosciutto toscano Dop e finocchiona Igp sono invece i più apprezzati in Toscana, dove antipasto vuol dire soprattutto crostini ai fegatini di pollo o di cacciagione. A Napoli nessuno si tira indietro di fronte a un piatto di affettati accompagnato da mozzarelle e provola di Agerola. Elementi comuni sulle tavole natalizie sono i brodi. Così alla minestra di broccoli e arzilla, piatto romano della Vigilia, segue il giorno dopo la stracciatella, una minestra a base di uova cotte nel brodo di carne. Alla jota triestina, una minestra di origine mitteleuropea a base di fagioli, crauti e patate, replicano invece marubini, tortellini, anolini e cappelletti in brodo di carne cremonesi, emiliano-romagnoli e marchigiani. E alla minestra maritata partenopea (che utilizza verdure e carni diverse) rispondono i Knödeln in brodo delle vallate altoatesine, grandi gnocchi di pangrattato, speck, farina, erba cipollina e uova. Anche in questo caso si tratta di un cibo simbolico, perché imbandire la tavola con il brodo significa essere stati capaci di sconfiggere la fame. Ma il piatto natalizio per antonomasia è la seconda portata. L’abbacchio alla scottadito o al forno con patate è il re della Capitale. L’agnello si ritrova nel fritto all’ascolana, sotto forma di costolette panate (con cremini, olive farcite e verdure), in Sardegna accompagnato dai carciofi spinosi Dop,

in Lunigiana cotto nel testo con il rosmarino. Nella Lombardia orientale, l’arrosto d’agnello in casseruola entra in concorrenza con il capretto e l’immancabile polenta, sapida e dura. Altra icona del Natale è il cappone, destinato a essere lessato per il brodo o infornato per sontuosi arrosti, a volte ripieni di marroni, come nel Mugello, o di pangrattato, formaggio stagionato grattugiato, uova e fegatini soffritti nell’isernino. Zamponi e cotechini sono nati probabilmente in Pianura padana, ma durante le festività natalizie si trovano ovunque. La cucina degli eccessi li ha eletti a indispensabili protagonisti delle tavole di fine anno. Anche gli accompagnamenti sono tipicamente natalizi: oltre al purè di patate e alle lenticchie si accosta spesso la mostarda. Per finire, la frutta secca, che non manca mai durante le Feste. Da sgranocchiare a fine pasto o usare come farcitura di dolci, insieme a frutta candita e uva passa. È il caso del certosino di Bologna (e del corrispondente lievitato, il panone), pagnotta impastata con mandorle, pinoli, canditi, cioccolato fondente e spezie. O della bisciola della Valtellina, pagnotta dolce con fichi secchi, uva sultanina e frutta secca. In Friuli Venezia-Giulia il pranzo termina con la gubana, pasta dolce lievitata farcita con noci, uvetta, pinoli, zucchero, scorza di limone e grappa. Assai caratteristica la farcitura delle ostie di Agnone, in Molise: cacao, miele, cioccolato fondente, mandorle, noci e spezie. Proprio la presenza di spezie, un tempo merce assai costosa, indica l’opulenza dei dolci natalizi, dal pampepato di Ferrara (privo di frutta secca) al panforte di Siena Igp (ricco di mandorle, scorze di agrumi candite e spezie). Senz’altro il più profumato è il pandolce di Ge-


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NATALE A TAVOLA

Knödeln in brodo

nova, preparato con cedro candito, acqua di fiori d’arancio, uva sultanina, semi di finocchio, pinoli e zibibbo. Difficilmente si rinuncia a una fetta di panettone, che non fa più rima solo con Milano: è diventato infatti il dolce

© uckyo/Adobestock

Minestra maritata

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natalizio d’Italia, stimolando la creatività e l’ingegno di pasticceri e fornai, capaci di farcirlo e glassarlo con i più fantasiosi ingredienti. Il buon panettone tradizionale ha la forma a cupola perfettamente arrotondata, che

indica lievitazione e cottura perfette. Il colore bruno-dorato senza bruciature è un altro indizio per un buon acquisto, infine il profumo di burro e canditi ci fa scoprire se la pasta, che deve essere soffice e ben alveolata,


© Comugnero Silvana/Adobestock

Gubana

è conforme con l’aspetto esterno. In Campania, nel napoletano in particolare, non è Natale senza struffoli. Un’infinità di palline di pasta aromatizzata all’anice viene fritta nell’olio o nello strutto, poi avvolta nel miele cal-

do e decorata con i diavoletti, confettini colorati. Anche il reggino in questo periodo regala delizie con le nacatole, piccole ciambelle croccanti al profumo di anice. Replica la Puglia con il suo caratteristico dolce, le cartellate:

nastri di sottile pasta sfoglia, fatti con olio e vino bianco, vengono avvolti su se stessi e fritti. Poi le rose vengono impregnate di vincotto o melassa di fichi, per rendere ancora più dolce il Natale italiano.

© Mr Korn Flakes/Adobestock

Cartellate

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NATALE A TAVOLA

IL MENÙ DELLE FESTE TRE VOLTI TELEVISIVI REGALANO AI LETTORI DELLA FRECCIA I LORO SEGRETI PER GUSTOSI PIATTI DA PREPARARE DURANTE LE FESTE a cura di Gaspare Baglio

LA SICILIA DI GIUSINA Ogni sabato, alle 15:45 su Food Network (canale 33 del digitale terrestre) e in streaming su Dplay, prepara deliziosi manicaretti siculi nel cooking show Giusina in cucina - Gusto e tradizione palermitana. Ai lettori della Freccia Giusi Battaglia propone un antipasto e un primo Trinacria style perfetti per le Feste. giusinaincucina.com giusinaincucina giusina_battaglia Giusina

PASTELLA DI VERDURE PALERMITANA Ingredienti 1 zucchina, 1 cavolfiore, 1 carota, 1 melanzana, 3 carciofi, acqua, 10 g di lievito di birra, acciughe, 200 g di farina, olio di semi di girasole Preparazione Pulire le verdure e scottare il cavolfiore e i carciofi in due pentole separate. Setacciare la farina in una ciotola e aggiungere il lievito sciolto in acqua tiepida. Aggiungere una punta di zucchero per favorire la lievitazione. Mescolando, incorporare l’acqua necessaria per ottenere un impasto cremoso. Aggiustare di sale e aggiungere un paio di acciughe. Lasciare lievitare un’ora fino a quando il composto comincia a fare le bolle. Passare le verdure nella pastella, friggerle in olio caldo e servire. 46

PASTA ‘NCACIATA DEI NEBRODI Ingredienti 400 g di maccheroni freschi, 300 g di cime di broccoletti, 300 g di salsiccia, 2 spicchi d’aglio, 1 cucchiaio di pinoli, 250 g di pomodori pelati, prezzemolo, 100 g di pecorino stagionato grattugiato, 5 cucchiai di olio extravergine d’oliva, sale e pepe q.b. Preparazione Lavare i broccoletti e lessarli in acqua bollente salata. Sgocciolarli e conservare il liquido di cottura. Fare appassire un trito di aglio e prezzemolo in un tegame, insieme all’olio. Aggiungere la salsiccia a dadini e rosolare un paio di minuti. Unire i pomodori spezzettati, i pinoli e le cime di broccoletti. Regolare di sale e pepe e cuocere per 15 minuti. Lessare i maccheroni nell’acqua delle verdure, scolarli al dente e rigirarli in padella con il sugo e i due terzi del formaggio. Trasferirli in una pirofila e cospargere la superficie con il pecorino rimasto. Infornare una decina di minuti a 180°C e servire ben caldi.


Imma e Matteo

UN TOCCO DI NAPOLI Donna Imma Polese e il marito Matteo sono i protagonisti del docu-reality Il castello delle cerimonie, cult del piccolo schermo che tiene incollati su Real Time milioni di fan. Un successo che è poi sfociato nel cooking show In cucina con Imma e Matteo, in onda ogni dome-

nica alle 15 su Food Network. Per la tavola natalizia, i due protagonisti consigliano un secondo e un contorno partenopei. lasonrisa.it hotel.lasonrisa donnaimmapolese

PUPARUOLO ‘MBUTTONATO Ingredienti 6 peperoni grandi, 150 g di olive verdi, un cucchiaino di capperi, pane raffermo, olio extravergine d’oliva, prezzemolo, pangrattato

POLPETTE DI CARNE DEI POLESE Ingredienti 500 g di macinato di manzo, 4 uova, 100 g di mollica di pane raffermo, 100 g di salsiccia secca, 120 g di formaggio grattugiato, prezzemolo, mozzarella fiordilatte, olio di semi, sale e pepe q.b.

Preparazione Per prima cosa arrostire i peperoni, spellarli e togliere tutti i semini. Una volta puliti, tagliarli a metà. Nel frattempo, preparare il ripieno: ammollare e strizzare abbondante mollica di pane raffermo e condirla con olive verdi a pezzetti, capperi, olio, sale, prezzemolo e qualche pezzo di peperone. A questo punto, prendere i filetti di peperone, farcirli, arrotolarli a involtino e metterli in padella. Ricoprirli con abbondante pangrattato e prezzemolo stufandoli per 15 minuti a fiamma media. Servire caldi.

Preparazione Prendere il pane raffermo e metterlo a bagno nell’acqua. Lasciarlo in ammollo pochi minuti, strizzarlo bene e unirlo con il macinato, le uova e la salsiccia secca tagliata a pezzetti molto piccoli, aggiungendo poi formaggio grattugiato, prezzemolo tritato grossolanamente, sale e pepe. Impastare bene finché non sarà tutto omogeneo. Poi prendere un po’ di impasto, mettere un cubetto di mozzarella al centro e chiudere creando delle polpette tonde. Sigillare bene per evitare che la mozzarella fuoriesca durante la cottura. Friggere le polpette in abbondante olio di semi e gustarle calde per godere del cuore filante. 47


NATALE A TAVOLA

LA DOLCE SORPRESA DI RENATO Le sue torte sono richiestissime, anche da star internazionali come Beyoncé. Renato Ardovino è il pastry chef che ha fatto del cake design una ragione di vita. Non è un caso, quindi, se il suo programma Il dolce mondo di Renato fa il pieno di visite su Dplay. Per La Freccia ha preparato un dol-

ce speciale che può essere decorato con casette di pan di zenzero (la ricetta delle casette si trova su FSNews). letortedirenato.it Le Torte di Renato le_torte_di_renato letortedirenato

Renato Ardovino

TORTA CROCCANTE Ingredienti Base al cacao: 230 g di farina 00, 200 g di zucchero semolato, 8 uova intere, 60 g di cacao amaro, 60 ml di olio extravergine d’oliva, 16 g di lievito per dolci, un pizzico di sale Crema pasticcera al cioccolato: 200 g di zucchero semolato, 8 tuorli, 50 g di cioccolato fondente a scaglie, 50 g di cacao amaro, 50 g di amido di riso, 50 g di amido di mais, 550 ml di latte, 140 ml di panna Bagna: 200 ml di acqua, 70 g di zucchero semolato, liquore aromatizzato di Benevento q.b. Croccante: 250 g di zucchero semolato, 150 g di granella di nocciole Coating: 175 g di zucchero a velo, 2 cucchiai di latte, 65 g di margarina, 65 g di burro, colorante alimentare azzurro q.b. Preparazione Per la base al cacao montare zucchero e uova fino a ottenere un composto chiaro e spumoso. Miscelare la farina con cacao, sale e lievito. Incorporare le polveri al composto di zucchero e uova. Infine, aggiungere l’olio continuando a mescolare. Versare l’impasto in quattro teglie imburrate dal diametro di 20 cm e lasciare cuocere in forno preriscaldato a 160°C per 20 minuti. Per la crema pasticcera al cioccolato montare tuorli e zucchero in una planetaria. Miscelare in una ciotola amido di riso e di mais col cacao e incorporarli al composto di uova e zucchero per ottenere una crema omogenea. Versare pan48

na e latte in una pentola, portare a ebollizione e unire a filo il composto di amidi, tuorli e zucchero. Mescolare per due minuti finché la crema non si rassoda. Spegnere il fuoco, aggiungere il cioccolato a scaglie e mescolare fino al completo scioglimento. Per la bagna versare l’acqua in un tegame, aggiungere zucchero e portare a ebollizione. Togliere dal fuoco e lasciare raffreddare prima di aggiungere il liquore. Per il croccante porre lo zucchero in una padella antiaderente, preriscaldata a fuoco moderato, e aspettare che si sciolga mescolando con un cucchiaio di legno. Aggiungere granella di nocciole tostata al forno ancora calda. Stendere il croccante tra due fogli di carta da forno con l’aiuto di un matterello, lasciarlo raffreddare e ridurlo in pezzetti con un pestello. Per il coating riscaldate il latte e, con le fruste a media velocità, lavorare tutti gli ingredienti insieme per 10 minuti fino a ottenere un composto liscio e spumoso. Per comporre la torta bagnare il primo disco al cacao e farcirlo con crema al cioccolato. Disporre i pezzetti di croccante e coprire col secondo disco. Procedere nello stesso modo per il terzo strato di torta. Bagnare anche quest’ultimo disco. Distribuire il coating sulla torta e livellarlo con una spatola per ottenere una superficie regolare. Nella fase di lisciatura variegare la crema al burro col colorante alimentare azzurro. Lasciare riposare la torta in freezer per due ore prima di aggiungere eventuali decorazioni.



IN VIAGGIO CON

MUSICISTA PER VOCAZIONE A 14 ANNI SATURNINO HA SCOPERTO IL BASSO E NON L’HA PIÙ MOLLATO. IN FRECCIAROSSA, CI RACCONTA LA PASSIONE PER IL PALCO, IL SODALIZIO CON JOVANOTTI E LE SUE SPERANZE PER IL FUTURO

di Andrea Radic

Andrea_Radic

andrearadic2019

Photo Michele “Maikid” Lugaresi

«C

onosco un solo musicista che in mezz’ora è in grado di suonare qualsiasi strumento, anche se non lo conosce. Un talento naturale». Il musicista in questione è Saturnino Celani, in arte solo Saturnino. La definizione è di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. Oltre a un essere un grande musicista, produttore discografico e creatore di un brand di design, Saturnino possiede una qualità rara nel mondo dello show biz: non se la tira per nulla. Quando prende in mano il suo basso infiamma le platee, il pubblico lo adora, tanto che i disegnatori di Walt Disney lo hanno trasformato in un papero per una storia pubblicata su To-

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polino. Il motivo? Lo avevano scelto a gran voce i piccoli lettori. Prima di salire sul Frecciarossa per Roma, iniziamo a parlare nel FRECCIALounge, commentando il momento difficile che stiamo vivendo. Non è semplice per chi lavora nel tuo settore… Ho partecipato di recente a Bauli in piazza, una delle manifestazioni organizzate dalle maestranze dello spettacolo, tutte quelle persone che fanno in modo che tu possa salire sul palco tranquillo e far divertire tutti. Sono moltissimi in Italia, oltre 500mila, un numero enorme e tutti altamente specializzati, sono stati i primi a fermarsi e saranno, forse, gli ultimi a ripartire. Mi

auguro che si torni presto a una sana normalità, non riesco a immaginare la musica da casa o in streaming, non ha senso. I concerti sono espressione della volontà di condividere la tua musica con gli altri. Quanto ti manca questa emozione? Come l’aria, è così per tutti credo. Mi manca gioire dell’aspetto performativo, perché l’arte ti fa star bene. Quando siamo rimasti in casa, avevo strumenti musicali ovunque, il piano elettrico di fianco al piano cottura, è una necessità. Si dice che abbiamo più tempo libero… Ma per fare cosa? Io scrivo e compongo per gli altri, per suonare la mia


musica alla gente. Adesso la passione è nel congelatore. Come nel calcio quando assistiamo a un gol con lo stadio vuoto. È un anno sabbatico preso per forza. Siamo abituati a proiettarci nel futuro che però, come diceva il cantautore Joe Strummer, non è scritto. È come se fossimo su un aereo al suo primo volo per tutti, pilota compreso: non possiamo che supportare chi è alla guida. Da bambino dicevi: «Da grande voglio fare il bassista»? In realtà quasi mai, perché ho scelto con coscienza a 14 anni, scoprendo ciò che davvero mi piaceva. Un suggerimento che do a tutti: quando si riconosce la propria passione bisogna

portarla avanti, come una vocazione da seguire anche se il contesto familiare non la favorisce. La tua famiglia ti ha appoggiato? Moltissimo, mio papà ha studiato violino in collegio a Fermo, in casa ascoltavamo e condividevamo musica, alternando i dischi preferiti da mia mamma con quelli di mia sorella. Anche perché l’impianto stereo era uno solo, mica come oggi. Dai cantautori come Lucio Battisti e Rino Gaetano si passava ai Police e a Bob Marley. Ero piccolissimo quando mio papà mi ha fatto scoprire Ennio Morricone, con il quale molto tempo dopo ho avuto un incontro ravvicinato proprio in treno. Ce lo racconti?

Era seduto di fronte a me, viaggiava tranquillo con moglie e figlio, leggeva. Mi sono infilato le cuffie e ho cominciato ad ascoltare la sua musica e lui era lì, a un paio di metri, quasi un essere mitologico, perfetto nella postura. Un momento senza tempo, né passato né futuro, solo la sua musica. Quali artisti ti hanno lasciato qualcosa, perché li hai conosciuti o hai suonato con loro? Ne ho incontrati diversi, ci ho suonato, mi sono relazionato. Sapere che Sting sa della mia esistenza mi fa davvero piacere, così come Nile Rodgers degli Chic. Finora ho avuto un percorso bellissimo. Poi un giorno incontri Jovanotti e il sodalizio dura da 30 anni. Com’è andata? Ero andato in una sala a registrare mentre lui stava iniziando un tour con musicisti molto giovani e il proprietario di quello studio gli parlò bene di me. Avevo 21 anni e da Ascoli Piceno sono andato a Milano per diventare musicista, proprio come quelli dei poster. Suonai per Lorenzo e lui mi chiese se ero libero per i successivi sei mesi. Il nostro sodalizio è ancora vivo, non ci lega alcun contratto, ma lui mi convoca sempre per ogni nuovo progetto. È bello. Com’è stato quel viaggio Ascoli-Milano? Ero in treno, ovviamente, ma non c’erano ancora le Frecce, quindi una bella esperienza rock 'n' roll. Ho viaggiato di notte arrivando a Milano accolto da un’alba invernale, per la prima volta da solo. Mi colpì la maestosità della stazione Centrale, ci volle qualche minuto perché il mio cervello codificasse gli spazi. Cosa apprezzi maggiormente nelle persone? L’autenticità e la passione nel trasmettere ciò che si prova, in maniera semplice, diretta. Si capisce da come uno ti saluta, se dice “salve” non ci siamo, sta scritto sugli zerbini... Cosa non sopporti? Andando avanti negli anni, cerco di dirigermi sempre verso il bello, verso ciò che mi fa stare bene. In questo senso ho anche fatto delle registrazioni “pro bono” con artisti giovani di grande talento. È successo con Deiv, un emergente prodotto da Salmo, 51


IN VIAGGIO CON

Saturnino con Jovanotti

che mi ha chiamato dicendo: «Stiamo continuando a fare il tuo nome per questo pezzo». Ho preso il basso e sono andato in studio. Il brano si chiama Giorni migliori e mi piace molto. Oggi prendere il treno che sensazioni ti dà? Sei seduto e ti sposti a una velocità impensabile fino a qualche decennio fa. Ti senti parte di quel viaggio e, come diceva qualcuno, capisci che non è importante dove arrivi, ma il cammino per giungervi. Il tempo che passo in treno può essere meditativo o di socializzazione. Fin da quando ero piccolo, cerco di conoscere i miei compagni di viaggio. Con mia madre andavamo in treno da Ascoli a Sestri Levante, non si arrivava mai, sembrava di andare in Australia. Ma era bellissimo condividere lo spazio con altre persone e socializzare. Facevo il giro di tutti gli scompartimenti. Cosa ti aspetti dal 2021? Tornare a vivere senza la cosiddetta distanza sociale, che in realtà è fisica. Ho postato una foto meravigliosa, di quelle che trasmettono fiducia nel genere umano: ritrae dei ragazzi che, insieme, tengono in alto, con la forza delle braccia, un amico in sedia a rotelle, perché veda meglio il palco. Un rito fisico, un bellissimo atto d’amore. Ecco, vorrei che tornassimo a quella 52

fisicità, a quegli abbracci che mi mancano molto. Un messaggio positivo che vuoi lasciarci? Quello di Clara Woods, una ragazza giovanissima, colpita da ictus prenatale. Ha molte difficoltà, ma ama dipingere, sono stato alla sua mostra, bellissima. Faccio mio il messaggio di Clara e dei suoi fantastici genitori: riconosci le tue passioni e falle accadere.

Ha il volto serio, Saturnino, ma una luce fiduciosa negli occhi. Ci alziamo e camminiamo verso il treno, mentre lui imita alla perfezione la voce che annuncia le partenze. «Il mio sogno sarebbe registrare questi annunci con la mia voce». SaturninoCelani Saturnino69 saturnino69

Il giornalista Andrea Radic con Saturnino a Milano Centrale, prima di salire in treno


Questo Natale emozionati con i sapori dei borghi !

Il nuovo modo di “regalare” il Natale! Adotta a distanza la tradizione agricola di un borgo e ricevi i frutti della tua terra Grazie alla partnership fra I Borghi più belli d’Italia e Coltivatori di Emozioni oggi puoi fare un regalo unico! Sostieni a distanza un agricoltore o un piccolo produttore dell’agroalimentare che si trova in uno dei Borghi più belli d’Italia: scoprirai i sapori unici dei prodotti tradizionali e contribuirai a mantenere vivo il patrimonio delle “eccellenze” del nostro Paese. Scopri di più su: www.borghipiubelliditalia.it/coltivatoridiemozioni www.coltivatoridiemozioni.com/borghipiubelliditalia


CHRISTMAS DREAM

CONVERSAZIONI DI NATALE VENTUNO PROTAGONISTI DELLA CULTURA, DELLO SPETTACOLO, DELLA SOCIETÀ CIVILE E DEL MONDO DIGITAL RACCONTANO ALLA FRECCIA DESIDERI E PROGETTI PER IL NUOVO ANNO. NELLA SPERANZA DI ESSERE PRESTO LIBERI DALLA PANDEMIA

ALEX BELLINI

[ESPLORATORE] di Flavio Scheggi mescoupsdecoeur

«H

© Matte Ozanga

o fatto più chilometri dentro me stesso di quanti non ne abbia fatti fuori», racconta l’eco esploratore Alex Bellini. Un uomo gentile e pacato che nelle sue spedizioni ha conosciuto la profonda solitudine e il disagio, incon-

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trato il gelo e il caldo estremo. Nato nel 1978 ad Aprica (SO), un piccolo paese tra le Alpi, dalle montagne ha imparato la sua prima lezione: aggrapparsi alla roccia e tenere duro. Con questo mantra è partito per le sue grandi avventure. In Alaska ha percorso duemila chilometri a piedi trainando una slitta. Nel 2005, su una piccola barca, ha remato da solo per 227 giorni attraverso il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico. Tre anni dopo ha replicato solcando l’Oceano Pacifico, dal Perù all’Australia: 18mila km in 294 giorni. Dopo il mare è stata la volta della strada: ha corso da Los Angeles a New York in 70 giorni. Nel 2017, in meno di due

settimane, ha attraversato con sci e slitta il Vatnajökull, in Islanda, il più grande ghiacciaio d’Europa. Il suo ultimo progetto, partito a marzo 2019, si chiama 10 Rivers 1 Ocean e aveva l’obiettivo di percorrere, su un’imbarcazione realizzata con materiali di scarto, i dieci fiumi più inquinati al mondo che da soli producono circa il 90% della plastica presente nei nostri oceani. Purtroppo, da un giorno all’altro, com’è avvenuto per tutti, è stato costretto a fermarsi per la pandemia. Così Alex ha iniziato a concentrarsi su quello che da sempre considera il viaggio più impegnativo: quello dentro se stessi. Il punto


di partenza è la vita di prima, quello di arrivo una nuova esistenza, trasformata. In mezzo, il cambiamento. Durante il lockdown ha raccolto questi pensieri nel libro Il viaggio più bello, un testo per affrontare la paura che attanaglia di fronte al cambiamento. Com’è nato il tuo amore per l’avventura? Difficile dirlo. Mio padre era appassionato di motori, deserto e corse africane. Sono cresciuto con l’idea che l’avventura fosse qualcosa di possibile, non solo da sognare ma da realizzare. Poi a 20 anni la mia vita ha preso una piega diversa, dal mio paese di montagna sono andato a Milano per studiare scienze bancarie. E cosa è successo? Mi sono reso conto che mi stavo allontanando dalla mia natura: mi piaceva patire il freddo, la fame, la sete, vivere in ambienti ostili. Ho capito che questo mi dava gioia, mi rendeva vivo. Sogni di abitare su un iceberg fino al suo completo scioglimento… Nel 2011, dopo aver corso da Los Angeles a New York, ho cominciato ad avere questo desiderio. Vorrei documentare le fasi di vita di una montagna di ghiaccio, raccontare in forma romantica la fragilità del nostro ecosistema. È un’idea complessa, folle e rischiosa. Chissà se riuscirò mai a realizzarla. Qual è l’obiettivo del progetto 10 River 1 Ocean? Voglio richiamare l’attenzione sull’oceano che è diventato il buco nero del nostro pianeta, all’interno del quale tutto tende a precipitare. È un luogo molto distante da noi, lontano dagli occhi e dalle coscienze delle persone. L’Onu ha proclamato il 2021/2030 il decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile, proprio per segnalare la centralità delle acque che servono a preservare la vita sulla terra. Nei tuoi viaggi hai vissuto lunghi periodi di isolamento. Come hai affrontato il lockdown? Non è stato semplice. Mi alleno da sempre per situazioni difficili. Quando questa emergenza ci ha costretti a casa mi sono tornate alla mente le mie traversate oceaniche, quando trascorrevo settimane chiuso in cabina ad attendere che il tempo migliorasse. E nell’attesa di ricominciare a scoprire il mondo hai scritto un libro. Vuole essere un invito a compiere un

viaggio interiore. Come se ti regalassero una corsa breve, nella speranza di farti appassionare alle corse lunghe. È strutturato in sei capitoli, ognuno con un nodo da sciogliere: un elemento che impedisce il giusto fluire delle cose. Così affronto temi come il silenzio, la pazienza, la vulnerabilità. Cosa impareremo da questo 2020? Nella prima parte del libro accosto questo momento di lockdown a un rito iniziatico, simile a quello che compiono gli adolescenti delle popolazioni indigene per passare all’età adulta. Dobbiamo dimostrare di essere diventati uomini, capaci di prenderci le nostre responsabilità, di individuare gli errori del passato e disegnare una nuova traiettoria per il futuro. Il tuo viaggio più bello? Quello fatto in Groenlandia nel 2015 con tutta la famiglia. Siamo andati sulla costa ovest dell’isola per osservare un ghiacciaio da dove si staccano migliaia di iceberg ogni anno. Volevo far vedere alle mie figlie quelle montagne galleggianti, dove avrei posizionato la mia capsula di sopravvivenza. Il più bel ricordo di un Natale passato e il viaggio che invece ti auguri di compiere presto? Il più bello, non me ne voglia mia moglie, l’ho passato in mezzo all’Atlantico durante la traversata nel 2005. Era una splendida giornata di sole. Mi sono preso una pausa per mangiare il panettone e la razione di cibo più buona che avevo nella stiva. Per questo Natale, invece, mi auguro un momento di ritrovo con la mia famiglia. Anche se adesso non mi sto muovendo, vedo poco le mie figlie perché sono molto impegnate con la scuola. Alla fine di questo anno eccezionale

Chiarelettere, pp. 160 € 12

vorrei fare un viaggio in famiglia. Sperando che il Covid-19 ci abbandoni presto, che anno pensi sarà il 2021? Mi auguro sia l’anno della ripartenza. Vorrei riprendere il progetto 10 River 1 Ocean: compatibilmente con la pandemia, punto a percorrere quattro fiumi tra gli otto che mi mancano ancora da navigare. Come sarai, come saremo in futuro? Dovremmo farci trovare preparati a gestire cose simili. Questo microscopico virus ci ha fatto capire che siamo molto vulnerabili. Dobbiamo confrontarci con l’infinitesimamente piccolo. Non vorrei fare la fine dei grandi dinosauri con il topo. I primi si sono estinti, il topo è ancora qua. alexbellini.com | 10rivers1ocean.com bellini.alex.1 AlexBellini1 alexbellini_alone

alex bellini

Alex Bellini nel Pacifico incontra il nuotatore transoceanico Ben Lecomte

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© Assunta Servello

CHRISTMAS DREAM

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[CONDUTTRICE TELEVISIVA] di Gaspare Baglio

«S

gasparebaglio

ono una fan del viaggio da sempre, per cultura, per curiosità e per contaminarmi con le cose nuove che ancora non conosco. Allo stesso modo amo il treno, mezzo geniale che permette di fare più cose contemporaneamente». Esordisce così Milly Carlucci, la regina del prime time targato Rai1. Conduttrice super preparata e stacanovista del piccolo schermo, capace di inanellare un successo dopo l’altro come Ballando con le stelle e Il cantante mascherato. Quest’anno il talent di Rai1, che vede sfidarsi coppie di vip e ballerini professionisti, ha avuto una vita difficile: doveva partire in primavera ma è arrivata la pandemia. E la prima puntata è slittata a settembre… Già, con tutti i problemi che questo comporta: non era automatico che il cast mantenesse lo stesso entusiasmo. C’era il rischio che si sfilacciasse tutto. Come è riuscita a tenere unito il cast? Mantenendo vivo il rapporto tra maestri e celebrità: con allenamenti via web tutti i giorni. La prima doccia fredda, però, è arrivata poco prima di iniziare, quando il ballerino Samuel Peron e il pugile Daniele Scardina sono risultati positivi al coronavirus. Da lì ce n’è capitata una alla settimana: Raimondo Todaro operato di appendicite, Elisa Isoardi infortunata alla caviglia, Lucrezia Lando e Marco De Angelis con un’intossicazione alimentare. È vero che le difficoltà aiutano a crescere e a fortificarsi, ma ne sarebbero bastate anche meno. Per noi, comunque, è stata una grande vittoria arrivare alla decima puntata. Mai avuti momenti di scoramento? Non me li posso permettere. Come allenatore di questa squadra devo essere il primo esempio di compattezza psicologica. Uno dei punti di forza dello show è il cast. C’è qualche personaggio che vorrebbe vedere in pista? Ce ne sono vari. Ho un libro nero con

tutte le celebrities che vorrei. A Tullio Solenghi, per esempio, chiedevo di esserci dalla seconda edizione, ma sono riuscita ad averlo solo quest’anno. Pian piano vengono a maturazione anche le vicende private dei personaggi che si coinvolgono: chi partecipa deve essere libero da impegni e avere la disponibilità mentale per un programma in cui bisogna allenarsi tutti i giorni. Nello show, poi, non è mai messa in gioco la professionalità di ogni artista. A gennaio torna anche Il cantante mascherato, sempre in prima serata su Rai1, che la vede nuovamente al timone. Che novità sono previste? Abbiamo in mente un cast e dei travestimenti sorprendenti, qualche rimaneggiamento nella giuria e cambi strutturali nel corso delle cinque puntate. Ci sarà una maschera in più e stiamo pensando a qualcosa di veramente rivoluzionario. I sudcoreani, detentori del format, hanno idee clamorose. Qualche trasmissione che vorrebbe condurre, magari in una fascia diversa? Ho fatto quasi unicamente prime serate in questi anni di carriera. Mi sono super specializzata. E credo di conoscere uno per uno, per nome e cognome, i telespettatori del prime time dell’ammiraglia Rai (ride, ndr). Però, a parte tutto, perché negarsi qualcosa? Vediamo che succede. In questo momento sono concentrata su questi due show a cui lavoro artigianalmente con i miei autori.

Come trascorrerà il Natale? Ho un viaggio del cuore in sospeso: mio figlio vive e lavora a Londra. Durante il lockdown di marzo non è potuto venire. E in Inghilterra, al momento, sono di nuovo reclusi. Dobbiamo trovare il modo di stare insieme: il Natale, se non si passa in famiglia, che Natale è? Cosa si porta a casa di questo anno difficile? La consapevolezza netta, decisa e inequivocabile del valore fondamentale della salute e della prevenzione. Speriamo che le persone non facciano un lavoro di rimozione, com’è successo quest’estate. Non dobbiamo dimenticare, per essere pronti a ogni evenienza. Anche perché al giorno d’oggi il viaggio rappresenta una grande libertà, visto che in mezza giornata si arriva dall’altra parte del mondo, ma al contempo un grande pericolo. Sperando che il Covid ci abbandoni presto, che anno pensa sarà il 2021? Credo che usciremo migliori da questa esperienza, abbiamo ribilanciato la nostra vita mettendo nella giusta prospettiva i valori e gli affetti. Così come abbiamo rivalutato la casa come spazio per vivere: prima del Covid-19 era quasi una stazione ferroviaria di scambio. millycarlucci.net MillyCarlucciOfficial milly_carlucci milly_carlucci

© Angelo Carconi

MILLY CARLUCCI

Milly Carlucci mentre conduce Ballando con le stelle 57


CHRISTMAS DREAM

NICOLA LAGIOIA [SCRITTORE]

di Sandra Gesualdi sandragesu sandragesu

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na narrazione che avviluppa e risucchia come un mulinello d’acqua. Nicola Lagioia ha scritto un libro che non lascia scampo al lettore, lo inchioda a quel flusso di parole che scorre tra le pagine con immagini lucidamente ossessive, slide di una storia cupa di cui, a fatica, se ne accetta la realtà. Al centro de La città dei vivi un fatto di cronaca nera, un appartamento della periferia romana, Manuel Foffo e Marco Prato neanche trentenni che seviziano, fino alla morte, il ventitreenne Luca Varani. E Lagioia che scava, rivela, descrive, profila stati d’animo, allucinazioni, vuoti cosmici interiori. Si mette a tu per tu con il male senza senso, oltrepassa la soglia del dolore, affonda nel baratro da dove non si può risalire. Riporta un episodio feroce dei nostri giorni con la maestria del verbo contemporaneo e la densità di una tragedia greca: strazi, efferatezze, maschere, urla del coro, vittime e carnefici. E poi c’è Roma a far da quinta, la città che non finisce mai, che trasuda di potere, delirio, degrado e magnificenza perpetua di cui non si può fare a meno. Tutto in un solo sguardo. Quattro anni per scriverlo. Com’è nato il tuo ultimo libro? Ricordo benissimo quella domenica del 6 marzo 2016 quando sentii per la prima volta la notizia al telegiornale. Mi colpì la violenza estrema con cui Varani fu assassinato, non si confaceva a un delitto metropolitano, sembrava una scena di guerra dove il diritto viene sospeso. Un omicidio privo di movente – dicevano – e consumato da persone ritenute normali fino a poco prima. Foffo e Prato non avrebbero mai pensato di essere capaci di tali violenze. Quando si descrivono, durante gli interrogatori, si definiscono degli “spossessati”, quasi avessero agito soverchiati da una forza superiore. I classici concetti di libero arbitrio, autodeterminazione, assunzione di responsabilità, maturazione di una colpa in loro

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sono saltati. Tutto questo mi ha colpito profondamente, era qualcosa fuori dal comune successa a pochi passi da casa mia. Mi sono avvicinato al caso, fino a starci dentro per oltre quattro anni. Un romanzo del reale? La letteratura del vero ha una tradizione molto antica nel nostro Paese: Carlo Levi con Cristo si è fermato a Eboli, Primo Levi con Se questo è un uomo, Leonardo Sciascia con L’affaire Moro, Annamaria Ortese con Il mare non bagna Napoli, fino ad Alessandro Leogrande a cui il libro è dedicato. Tutti esempi di una produzione che ha illuminato certe vicende altrimenti rimaste al buio. Lo stesso fatto raccontato da uno scrittore, invece che da uno storico, un sociologo o un filosofo, cambia postura. Mi sono inserito in questo filone. Come hai costruito questa lunga e articolata narrazione? Ho vagato quattro anni per Roma. Poi ho raccolto materiale, interviste, documenti, seguito il processo, letto gli atti e incontrato persone di tutti i tipi che hanno accettato di parlare con me: spacciatori, senatori, carabinieri, gestori di locali, amici e conoscenti degli assassini o dei genitori della vittima. Ne è venuto fuori un racconto corale. Ho tenuto anche uno scambio epistolare con Foffo, dal carcere. L’impianto ricorda quello di un dramma antico. Il tragico, di cui la storia è percorsa, ha in sé il concetto dell’irrimediabilità, elemento che l’uomo moderno non accetta. Siamo portati a pensare che tutto sia controllabile e sfuggiamo a questa idea, ma se togliamo l’irreversibile, e quindi il senso del tragico, rimuoviamo anche la complessità che offre dignità al racconto dell’individuo. Ti sei fatto un’idea di ciò che è accaduto in quell’appartamento del Collatino? La letteratura prova a porre delle domande, non può dare risposte. Questo libro è un incontro a due, tra lo scrittore che mette insieme tutta una serie di elementi e il lettore che prova a interpretarli per trarre le sue conclusioni. Io non offro soluzioni, faccio però emergere la profonda solitudine dei due omicidi: persone che fanno molta fatica a distogliersi da loro stessi, incapaci di costruirsi un’i-

dentità e travolti con violenza dal giudizio esterno. Foffo e Prato sono dotati di una debolezza colpevole, questa è l’idea che mi sono fatto. Tracci fondali umani da cui è difficile risalire. Siamo spacciati? L’essere umano è una creatura fragile, imperfetta e stupida, un legno storto che la letteratura non ha la pretesa di raddrizzare. Nessun tribunale tra le righe, ma una restituita umanità alle storie, per il solo fatto di metterle in scena nella varietà. Saremmo persi se fossimo solo bianchi o neri invece di accettarci con i nostri colori, le contraddittorietà e le ambiguità. La colpa di Foffo e Prato forse è stata quella di non essere riusciti a chiedere aiuto. Roma è descritta in maniera corposa come Capitale degli umori densi, la città dei vivi, appunto. È la grande e antica metropoli in cui sfacelo e bellezza si mescolano senza soluzione di continuità. È bifronte: invivibile e vivibile al tempo stesso. Cinica in maniera insopportabile, per cui qualsiasi cosa tu stia facendo non ne vale mai la pena. Ma l’altra faccia della medaglia è la sua grande saggezza, la consapevolezza che tutto passa e transita, che la gloria è effimera. Nel suo mondo di mezzo le classi sociali sono molto permeabili, povertà e ricchezza si amalgamano: lì tutti hanno la possibilità di incontrare chiunque. A Roma lo splendore riserva la minaccia. Il tuo prossimo viaggio? Mi muovo sempre, anche se per un po’ di tempo non credo si possa andare lontano e non prevedo ancora spostamenti senza mascherina. Sarà un viaggio metropolitano. Si chiude un anno davvero faticoso. Come te lo immagini il prossimo e come trascorrerai il Natale? Chissà cosa succederà. Il poeta Paul Valéry diceva: «Non esiste più il futuro di una volta», riferendosi a quello remoto. Oggi il domani si è accorciato ancora di più, non sappiamo cosa accadrà tra qualche giorno. A Natale ce ne staremo a casa con i nostri cari, spero, a viverci il presente. Con i libri aperti. NicolaLagioia lagioia.nicola


© Chiara Pasqualini

Einaudi, pp. 472 € 22

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MICHELANGELO PISTOLETTO [ARTISTA]

di Cesare Biasini Selvaggi - cesarebiasini@gmail.com

A © Pierluigi Di Pietro

nche per Michelangelo Pistoletto, artista di rilievo internazionale che non ha bisogno di ulteriori presentazioni, il 2020 è stato l’anno del Covid-19, vissuto in prima persona, sulla propria pelle. Vittima del contagio a marzo scorso, ha reagito bene alle

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cure nell’ospedale di Ponderano, vicino Biella, sconfiggendo il virus a 86 anni. Ne è seguito un lungo periodo di degenza, fatto di solitudine, ma anche di riflessione. Quando lo raggiungo telefonicamente è nel suo quartier generale, a Cittadellarte (BI), più attivo che mai, con un’a-

genda già fitta di progetti per il 2021. Lo immagino con la barba canuta che riflette nel suo tipico outfit total black, seduto sulla sua poltrona di cuoio. Michelangelo, come stai vivendo questo momento? Come un’esperienza reale, dal vivo. Non è più, infatti, una congettura. Da tempo ero consapevole, come tanti di noi, che la natura prima o poi si sarebbe ribellata nei confronti dell’uomo. Ma ora con la pandemia siamo passati da una possibilità a una realtà, drammatica.


prospettiva globale da costruire, in questa nuova creatività in equilibrio con la natura. Qui noi artisti possiamo dare un contributo determinante. Tra i miei progetti più recenti c’è Let Eat Bi, con lo scopo di favorire la produzione e il consumo agroalimentare a chilometro zero, per ripensare i nostri centri abitati, in questo caso Bi sta per Biella, come città arcipelago nel verde. Let Eat Bi ha come obiettivo principale Terre AbbanDonate, una piattaforma web per promuovere l’incontro tra proprietari che non possono o non vogliono più prendersi cura dei loro terreni e quei cittadini che invece vorrebbero coltivarne uno ma non lo hanno. Il sito consente di incrociare la domanda (attraverso l’anagrafe solidale) con l’offerta (iscrivendosi al catasto solidale), un valido strumento per stimolare la nascita di buone pratiche territoriali. Questo 2020 così difficile volge al termine, siamo a dicembre. Qual è il tuo più bel ricordo di un Natale passato? Risale al 1944. C’era la guerra, con la mia famiglia eravamo sfollati da Torino a Gravere, in Val di Susa, dai miei nonni. Soffrivamo la fame, somigliavamo a scheletrini che camminavano. Ricordo ancora bene, come fosse ieri, l’invito di alcuni amici contadini a fare il pranzo del 25 dicembre insieme. Ci accolsero nella loro stalla. Appena entrai, fui travolto dall’odore acre del letame e delle mucche riparate

all’interno. Eppure fu il più bel Natale, avvolti dal tepore della stalla, mentre mangiavamo degli agnolotti fatti in casa. Per qualche ora ci sembrò di essere usciti dalla guerra e dal suo incubo. Qual è il viaggio, interiore o fisico, che ti auguri di compiere in questo Natale? Sarebbe bello andare a sciare a Sansicario, nell’alta Val Susa, se le stazioni sciistiche dovessero rimanere aperte. E qui preparare nella nostra casa, insieme alla mia famiglia, gli agnolotti da mangiare il 25. Sperando che il Covid-19 ci abbandoni presto, che anno pensi sarà il 2021? Un anno di cambiamento necessario. Necessario perché, oltretutto, non possiamo essere certi che la natura non continui a ribellarsi ancora. Anzi, già lo sta facendo. Basti pensare agli effetti periodici delle variazioni climatiche e del dissesto idrogeologico. Per fare un esempio che mi tocca da vicino, un’alluvione ha colpito Cittadellarte la notte tra il 2 e il 3 ottobre scorso, provocando il crollo di 1.300 m2 di spazi espositivi, ricreativi e didattici. Abbiamo perso Hydro, le Terme Culturali e alcune aule dell’Accademia Unidee. Il 2021 sarà, quindi, anche l’anno della ricostruzione di Cittadellarte. pistoletto.it cittadellarte.it terreabbandonate.com

Cittadellarte - Fondazione Pistoletto (Biella), veduta del cortile interno

© Courtesy Archivio Fondazione Pistoletto

Ti stai dedicando da quasi un ventennio al rapporto che l’uomo deve rifondare con la natura sulla base di nuovi presupposti… Sì, dal 2003 almeno, quando ho scritto il manifesto del Terzo Paradiso e ne ho disegnato il simbolo, costituito da una riconfigurazione del segno matematico d’infinito. Il Terzo Paradiso è la fusione fra il primo e il secondo Paradiso. Il primo è quello in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura, il secondo è artificiale, sviluppato grazie alla nostra intelligenza, fino alle dimensioni globali raggiunte oggi con la scienza e la tecnologia. Si è formato un vero e proprio mondo artificiale che, con progressione esponenziale, ingenera, parallelamente agli effetti benefici, processi irreversibili di degrado e consunzione del mondo naturale. Il Terzo Paradiso è la terza fase dell’umanità, che si realizza nella connessione equilibrata tra l’artificio e la natura. E significa il passaggio a uno stadio inedito della civiltà planetaria, indispensabile per assicurare la sopravvivenza al genere umano. A cosa stai lavorando ora? Sto continuando a occuparmi di progetti per riformare e rigenerare i principi, i comportamenti, i rapporti tra tutti gli elementi che compongono la società, dalla politica all’architettura, dalle strategie energetiche all’istruzione. Ognuno deve assumersi la propria responsabilità in questa nuova

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MONICA GUERRITORE

[ATTRICE]

di Francesca Ventre - f.ventre@fsitaliane.it

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isponde al telefono e la sua voce teatrale è inconfondibile. Monica Guerritore, indiscussa protagonista della cultura italiana, racconta il suo viaggio futuro, la sua idea di teatro, i volti femminili che prenderanno vita nel suo prossimo spettacolo e indica ai giovani la direzione per essere attori veri. Il tuo più bel ricordo di un Natale passato? A casa con le mie bambine, Maria e Lucia, quando erano molto piccole. Io e il padre, Gabriele Lavia, da attori, abbiamo inscenato l’arrivo di Babbo Natale. Gabriele sarebbe dovuto entrare bofonchiando solo due parole. Invece si è intrattenuto in un lungo monologo fino a quando una delle due bimbe si è insospettita e l’ha quasi scoperto. Il viaggio che si augura di fare? Io adoro il Grande Nord. Vorrei andare alle Isole Svalbard, al Polo. E poi, se fossi più giovane, punterei a Marte, perché prima o poi l’uomo ci arriverà. Nella speranza che il Covid-19 ci abbandoni presto, cosa ha imparato in questi mesi? È un’esperienza talmente dirompente e lunga da essersi già sedimentata dentro di noi. Conserveremo la consapevolezza di non essere onnipotenti e immortali, per riscoprire il senso spirituale dell’esistenza. E forse alla fine di tutto avremo imparato a convivere con la solitudine, sentendoci più simili l’uno all’altro. Penso, infine, che siamo usciti dal frastuono, da alcune dipendenze e schizofrenie del passato.

Quanto può aiutarci la cultura in questo momento? Lei ha proposto al presidente del Consiglio un progetto per la tv, in cosa consiste? Credo che il teatro abbia la forza di far riflettere sulle dinamiche complesse degli esseri umani. Durante gli ultimi Stati generali della cultura ho chiesto di poter adattare la narrazione e i testi teatrali al mezzo televisivo, una volta a settimana, il pomeriggio del sabato o della domenica. Lo spettacolo Quel che so di lei, prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana, che lei dirigerà e interpreterà nei prossimi mesi al Teatro della Pergola di Firenze, racconta il femminicidio di Giulia Trigona, avvenuto nel 1911… La vittima era la zia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, scrittore e aristocratico palermitano. Sposata con l’allora sindaco di Palermo Romualdo Trigona, subisce un crollo mentale a causa del tradimento del marito. A una festa, alla quale si reca tutta vestita di nero, incontra Vincenzo Paternò, un arrivista che vede in lei una preda. Si lascia travolgere in una relazione, ma verrà uccisa dal suo amante in un albergo di Roma. La storia racconta anche la molteplicità del femminile attraverso l’aiuto di sette donne. Perché ha scelto proprio loro? Sono emblematiche: ognuna di loro, chiusa in una stanza, racconta un momento fatale della vita. Si tratta di donne dell’800 prigioniere di amori turbolenti, quasi tutte nate dalla letteratura, a eccezione di Oriana Fallaci. Sono personaggi che continuano a tenere imbrigliate anche le donne contemporanee che, invece, dovrebbero distaccarsi da loro. Sul palco anche sette allieve diplomate. Cosa insegna di solito ai giovani attori?

Che il nostro mestiere ha una forza misteriosa capace da millenni di far sognare a occhi aperti e rendere le ombre vive. Andare a teatro è sistemare il caos. Essere attori vuol dire condividere un modo di essere del personaggio che interpreti, dargli cuore, carne e intelligenza. Lei ha ricoperto molti ruoli drammatici e seri. Un personaggio differente? In una prossima serie tv sarò Fiorella Totti. Mi sono divertita a vestire i panni di una donna romana semplice, che ha fatto di tutto per spronare il figlio Francesco a diventare un campione di calcio. monicaguerritore.it MonicaguerritoreOfficial

Monica Guerritore nelle vesti di Giovanna d'Arco

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ANDREA BOCELLI

[TENORE E CANTAUTORE]

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© Giovanni De Sandre

21 anni di distanza da Arie Sacre, il tenore Andrea Bocelli torna con Believe, un altro album di musica sacra con cui mira a bissare il successo del primo che, forte di cinque milioni di copie vendute all over the world, risulta il disco di classica realizzato da un solista più venduto di tutti i tempi. In attesa che apra la sede fiorentina della sua associazione benefica Andrea Bocelli Foundation, l’interprete e cantautore ci racconta il nuovo progetto musicale. Believe significa “credere”. Quanto è importante, oggi, questa parola? Credere è una sfida che vale la pena d’essere giocata. «Se vincete, vincete tutto, se perdete, non perdete nulla», diceva il filosofo Blaise Pascal. Pensare che sia il caso a sovrintendere la vita è poco conveniente e logico. Una considerazione che va oltre le dottrine e consente di imboccare la strada giusta al primo, fondamentale bivio: avere o non avere fede. Il concept dell’album ruota intorno a tre concetti fondamentali: fede, speranza e carità. Virtù teologali fondamenti dell’agire cristiano.

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Qual è l’obiettivo di questo lavoro? L’idea nasce in pieno lockdown, dalla volontà di proporre un progetto diverso: ho voluto fare un disco che parlasse essenzialmente allo spirito. E proponesse un percorso in grado di incentivare l’ascoltatore a incontrare la propria dimensione interiore, a carpirne le ragioni. Cosa vuole regalare a chi ascolta i brani? Un cielo terso, un po’ di serenità. Mai come oggi c’è bisogno di ricominciare a dialogare con la nostra anima. Believe è il mio contributo, un momento di sollievo e ottimismo, che è un atteggiamento vincente: la paura – ha detto qualcuno – è probabilmente la sola cosa di cui si debba avere timore. Non bisogna perdere la serenità, sprecando energie e difese immunitarie dietro al panico e allo stress. Nel disco spicca un inedito di Ennio Morricone. Cosa ha significato interpretarlo? Una grande emozione e responsabilità. Inno sussurrato è un piccolo gioiello, tra gli ultimi atti creativi del grande Maestro. Mi commuove e riempie di gioia cantare questa preghiera composta un mese prima della sua scomparsa. Emerge la cifra poetica di Morricone: una parte sussurrata che poi cresce e diventa voce e preghiera corale universale. Come ha scelto la tracklist? L’album ha una dimensione quasi sperimentale, è un florilegio eterogeneo capace di parlare al cuore. Accanto a capolavori classici ho affiancato canzoni non


legate alla religione, ma intrise di religiosità, tra cui Hallelujah di Leonard Cohen. Oltre a brani di una spiritualità schietta e popolare come Mira il tuo popolo, propongo due preghiere che ho musicato io stesso: un Padre nostro che realizzai anni fa e un’Ave Maria sgorgata dall’anima, in pieno lockdown. Duetta anche con la cantante lirica Cecilia Bartoli e con Alison Krauss, vincitrice di 27 Grammy Award. Com’è stato lavorare con loro? Due artiste eccezionali. Cecilia è un’amica, oltre a essere il miglior mezzosoprano in attività. Con lei interpreto

due brani, uno dei quali è Pianissimo, inedito di Mauro Malavasi sul dialogo tra due innamorati che percepiscono lo sguardo di Dio benedire la loro unione. Alison è un’icona della musica americana e sono felice di aver cantato con lei in Amazing Grace, famosissimo inno di ringraziamento. Come trascorrerà il Natale? In famiglia. Quest’anno sarà un momento importante per pregare, porci in ascolto, festeggiare il compleanno del mondo e di Colui che ci ha donato il miracolo della vita. Un’occasione per rinsaldare la fiducia e ricordarsi che, anche dopo la notte più buia, sorge sempre il sole. Sperando che il Covid-19 ci abbandoni presto, che anno pensa sarà il 2021? Sono ottimista. Credo che, attraverso questo virus, il mondo ci abbia dato un avvertimento. Spero sapremo imparare la lezione, per cambiare il nostro atteggiamento verso la Terra, di cui siamo chiassosi inquilini. Potremo uscirne migliori partendo dall’altruismo, medicina che ci distoglie dal mettere al centro dell’universo difficoltà e angosce. Essere caritatevoli è – come ha detto qualcuno – un modo per restituire alla vita quel senso che l’individualismo non potrà mai dargli. G.B. andreabocelli.com AndreaBocelli AndreaBocelli andreabocelliofficial

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ZEROCALCARE [FUMETTISTA] di Serena Berardi - s.berardi@fsitaliane.it

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abbo Natale morto, l’azienda Klaus che diventa un centro di distribuzione di giocattoli, le proteste sindacali degli elfi sfruttati. Nell’ultima fatica di Zerocalcare, A Babbo morto, per la prima volta anche in versione audiolibro, l’ironia dissacrante del fumettista di Rebibbia travolge il Natale, che non ha più nulla di magico. A ottobre è uscita la graphic novel Scheletri e ora questo racconto. Stai sfornando più libri tu di Bruno Vespa… La vivo malissimo questa cosa. Ho detto all’editore che il

Bao Publishing, pp. 80 € 11

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budget riservato a Zerocalcare per l’inverno 2020 è per un solo libro. Finirà che la gente comprerà metà di uno e metà dell’altro. Non è pensabile che le persone spendano i soldi per due fumetti a due settimane di distanza. In realtà io A babbo morto ce lo avevo già pronto, non l’ho fatto apposta. Durante il primo lockdown hai creato la serie animata Rebibbia Quarantine e sei stato ospite del programma di La7 Propaganda Live. Come stai affrontando le restrizioni di adesso e a cosa ti stai dedicando? Non le sto sentendo molto, facevo già una vita miserevole di mio. Tolte le uscite serali, non è cambiato poi tanto. Mi manca non poter andare al cinema e ai concerti, che poi sono le uniche cose che mi piacevano fare fuori casa. Sto in fissa con il Marvel Cinematic Universe, cioè i film sui supereroi che sono tutti concatenati. Il fatto che non ne esca uno, fa slittare tutti gli altri. Per il resto non ho notato grandi


differenze: io comunque lavoro molto a casa, gli accolli in giro continuo ad averceli. I disegnetti che faccio alle presentazioni dei libri sono diminuiti, ma vengono sostituiti dalle richieste tipo: «Siccome non possiamo fare questo festival, allora disegnaci questa cosa». Nella tua ultima fatica Babbo Natale viene ammazzato, gnomi ed elfi sono sfruttati e le rider della Befana lavorano senza garanzie. Più che sulla magia di Natale hai puntato sull’ingiustizia sociale. Provo a raccontare la vita di tutti i giorni traslata all’interno del villaggio degli elfi. Penso che nelle storie di tutti i Paesi ci siano ingiustizie e sfruttamento. Lo scorso Natale ho iniziato a pubblicare alcune vignette su questo filone, fingendo di lavorare veramente a un nuovo fumetto. Era solo una gag, ma poi la casa editrice mi ha chiesto davvero di farne un libro.

Hai pubblicato un post per lanciare A Babbo morto in cui hai scritto, ironicamente, di voler donare un po’ di spensieratezza ai bambini nonostante il periodo difficile. In molti ti hanno preso alla lettera e ti hanno risposto che era un gesto davvero sensibile e che lo regaleranno a figli e nipoti. Non ti senti un po’ in colpa? In quel post c’erano i disegni di una renna gambizzata e di un folletto impiccato. Mi sembrava chiaro che stessi scherzando, ma ho capito che non c’è più nulla di palese in Italia. Il racconto è anche in versione audiolibro e tu sei la voce narrante. Com’è andata quest’esperienza? Hai conosciuto Neri Marcorè e Caterina Guzzanti, che sono le altre voci? Per le misure anti Covid-19 non abbiamo potuto registrare tutti insieme. Marcorè non l’ho mai incontrato, mentre Caterina la conoscevo già. Comunque ho provato una vergogna infinita, anche perché all’inizio il fumetto non era pensato per diventare un audiolibro. Se avessi saputo che sarebbe toccato a me leggerlo, avrei utilizzato un linguaggio più semplice. Comunque sentir recitare le mie storie da due attori così bravi è figo. Le loro parti, però, sono inframezzate da me che biascico e mi mangio le parole. Tornando al Natale, il mondo si divide in due: quelli che lo adorano e iniziano a fare il countdown da agosto e quelli che lo odiano profondamente e pur di saltarlo emigrerebbero in Papuasia. Tu da che parte stai? Sto a metà. Mi piace, ma finisce che non me lo filo per niente. I regali li faccio tutti il 24 mattina. Il più brutto che hai ricevuto ma hai dovuto tenere e quello che sei riuscito a riciclare? I regali mi mettono in imbarazzo, perché devi sorridere e fare la faccia contenta. Quindi mi piacciono quelli di basso profilo, tipo i calzini brutti, perché uno che ti fa un regalo così non si aspetta chissà quali feste. Mi mette a mio agio il fatto di poter essere sobrio nei ringraziamenti. E poi non riciclo, sono un accumulatore seriale, mi tengo pure la roba schifosa. Un viaggio fisico o immaginario che ti piacerebbe fare? Mi rendo conto che sta uscendo un profilo orrendo da questa intervista, ma la verità è che io odio viaggiare. Tutte le mie relazioni hanno avuto lo scoglio della vacanza insieme. Io mercanteggio i giorni, non più di due notti fuori. Non mi piace andare lontano perché magari succedono delle cose qui a Rebibbia, io non assisto e mi viene l’ansia. Che anno pensi sarà il prossimo? Se dovessi realizzare un fumetto sul 2021, come lo disegneresti? Come una di quelle creature mitologiche divise in due parti. La prima metà è orribile, perché penso che sconteremo i contagi natalizi. Ma spero che nell’altra metà riprenderemo a vivere decentemente. Il che non vuol dire che tutto tornerà come prima, perché ci saranno molte macerie nelle vite di tutti. Ma almeno ricominceremo a uscire e a fare alcune cose. zerocalcare.it zerocalcare zerocalcare zerocalcare

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CHIARA FRANCINI [SCRITTRICE E ATTRICE]

di Silvia Del Vecchio s.delvecchio@fsitaliane.it

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ovelle fatte di vita, che ci parlano di quello che siamo, piene di speranza e ironia. Non ci poteva essere periodo migliore per l’uscita di questo libro. Spero di regalare accoglienza, abbracci, calore, cose di cui ora c’è davvero bisogno, che per ora solo Rollone il Vichingo, il mio gatto, riesce a darmi». Parte sicura di sé e genuina Chiara Francini, raccontando del suo Il cielo stellato fa le fusa, in libreria dal 1° dicembre. Tra i ringraziamenti a fine libro si legge: «Al Natale e ai miei due alberi, che sì, tengo fissi in casa e accesi da 15 anni. Perché mi danno felicità, che è l’unica ragione per cui si deve stare al mondo». Ed è proprio il caso di dire, ripartiamo da qua. Il cielo stellato fa le fusa è ambientato nella tua Firenze. In una villa «avvolta da ampio e odoroso parco che se ne sta a Fiesole, la nobildonna più alta e ambita della città tutta», scrivi nelle prime pagine. Per te cos’è Fiesole? È casa, sono cresciuta a Campi Bisenzio e ho studiato a Firenze, sono quella che sono anche per il fatto di essere fiorentina, ma soprattutto una ragazza di paese. E poi i toscani sono sanguigni, caustici, taglienti e meravigliosamente amari, come ci insegnano Dante Alighieri, Boccaccio, Mario Monicelli. I protagonisti della tua storia rimangono bloccati per sei giorni nella villa dove si sono ritrovati per seguire un convegno. Ti sei ispirata alla pandemia? Sembra scritto ora ma l’idea nasce prima dell’emergenza sanitaria. Anche se la chiusura forzata a causa della peste fa pensare al lockdown. Nella villa, i personaggi decidono di narrare delle novelle, come nel Decamerone di Boccaccio, che qui diventa un Sexemeron. Sono racconti attuali, anche se parlano di storie antiche, donne e poeti, beffe e magie, narrati da esseri umani molto diversi tra loro. Amo mettere in evidenza tutte le tinte, le sfumature, le ombre e

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gli spiragli di luce della natura umana. Però, c’è anche il gatto. «Per farlo parlare basta ascoltarlo», scrivi. Hai un’incontenibile passione per chi parla la lingua “miao”… Eh sì, qui accanto a me c’è Rollone il Vichingo. Narratore onnisciente, profondamente umano, tenero e allo stesso tempo misterioso, ironico, molto simile all’essere fiorentino. Trovo irresistibile il fatto che sia lui la voce narrante, lui che sa sempre tutto, guarda, osserva ma resta sempre genuino, vero. Il mio amore per queste creature si capisce bene nella novella Mi chiamo Serafina. Vogliatemi bene, la storia della prima gatta di mio nonno, che è nato a Gattaia, e non aggiungo altro (ride, ndr). Cibo e cultura è il tema del convegno che coinvolge i protagonisti. Due cose che non devono mai mancare, ancor di più in un periodo così difficile… Il libro è fatto di novelle legate insieme dall’ironia capaci di toccare tutti i temi che mi stanno a cuore. Tra questi, ci sono il cibo e la cultura, perché ci danno la vita, sono nascita e resurrezione. I tuoi piatti preferiti? Adoro la pasta al pomodoro, la schiacciata, la fiorentina, la finocchiona, il pan con l’olio, quello verde toscano. Piatti semplici che mangiavo da bambina. Il cibo è motivo di felicità, insieme alla cultura assolve l’immensa funzione di nutrirci in toto. Hai scritto altri tre libri, uno all’anno dal 2017. Un lavoro che porti avanti insieme alla recitazione… Sì, vanno di pari passo. Sono anche editorialista per La Stampa, scrivo per vedere quanto le persone riconoscano nei miei testi i propri colori, anche se in una combinazione diversa dalla mia. Siamo tutti composti dallo stesso arcobaleno. La scrittura deve essere condivisione, dialogo, altrimenti non c’è linguaggio né progressione. D’altronde condividere ed essere amati è quello che si augura ognuno di noi. Hai girato due film che speriamo di vedere a breve. Ce li racconti? Sì, Altri padri di Mario Sesti, per il cinema, in cui sono la protagonista insieme a Paolo Briguglia. Un film che parla delle difficoltà di gestire una famiglia quando l’amore da cui è nata finisce. E poi una commedia tutta al femminile che uscirà su Amazon Prime Video: Addio al nubilato, di Francesco Apolloni,

con Laura Chiatti, Antonia Liskova e Jun Ichikawa. Un omaggio al sentimento supremo secondo me, l’amicizia. Presto ti rivedremo anche a teatro. Con Alessandro Federico in Coppia aperta, quasi spalancata, di Dario Fo e Franca Rame, e nello spettacolo L’amore segreto di Ofelia, per la regia di Luigi De Angelis, costruito sullo spunto delle lettere d’amore tra Ofelia e Amleto raccontate da Shakespeare. Qui due attori durante il lockdown si ritrovano a dover mettere in scena questo epistolario tramite una piattaforma online. Un progetto particolare che ha debuttato quest’estate a Verona e a Fiesole. Che rapporto hai con il Natale? Oltre agli alberi che tengo sempre accesi in casa, sono nata il 20 dicembre. Entrare in casa e sapere che è Natale per me è la cosa più vicina alla felicità, per questo è un enorme dono uscire con il mio ultimo libro proprio ora. Anche se queste Feste saranno un po’ diverse… Ma è il momento giusto per capire quanto è importante essere una comunità. Quello che io faccio a Roma può aiutare una persona a Milano o a Canicattì. Magari il viaggio fisico ora è rimandato, ma quello interiore assolutamente no e, anzi, ci può portare molto lontano. Ascoltiamoci. Sperando che il Covid-19 ci abbandoni presto, che anno pensi sarà il 2021? Come sarai, come vorresti essere, come saremo? Spero di continuare a vivere con passione: la vita è cadere e rialzarsi, le ferite devono essere concepite come delle medaglie, restano ma ne facciamo tesoro. Cadere non è mai sbagliato, perché nel momento in cui ti rialzi puoi vedere la vita da una prospettiva diversa. Mi auguro, e ci auguro, di ripartire con una maggiore benevolenza per tutti gli errori e gli inciampi che ci fanno essere unici. Rollone il Vichingo conferma: «L’uomo, per curarsi e curare, deve imparare a guardarsi tutto, senza perdere nulla, deve imboccare le carni, e, soprattutto, idratare i pensieri. Deve vedersi nell’altro. Deve essere “un guaritore ferito”. Mi pare lo dicesse Gadamer». ChiaraFranciniReal chiarafrancini


© Maria La Torre

Rizzoli, pp. 336 € 18

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LUCA PARMITANO [ASTRONAUTA]

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© Esa/Nasa

uest’anno il Natale Luca Parmitano, lo passerà con la sua famiglia, festeggiando come sempre anche una

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delle due figlie, la più piccola, nata la mattina del 26 dicembre. Ma l'astronauta dell'Esa non dimentica quello del 2019, davvero fuori dall’ordinario, trascorso a bordo della Stazione spaziale internazionale. Ce lo racconta? È stato un giorno di festa speciale vissuto in comunità con i colleghi. Abbiamo addobbato gli spazi e abbassato le luci per creare un’atmosfera soffusa. E poi suonato, cantato e stonato,

in collegamento con la Terra, annullando così i 400 chilometri di distanza che ci separavano dal nostro pianeta. Un viaggio che le piacerebbe fare? Mi sembra giusto in questo periodo pensare al nostro Paese, tra tutti quelli che ho visto dall’alto. Vorrei portare le mie figlie a visitare le piccole isole della Sicilia, la mia regione. Penso a un giro in barca alle Egadi ma anche a Pantelleria, Ustica o Lampedusa. Viviamo su un pianeta malato. Un


consiglio pratico per tutelare l’ambiente? Non lasciare traccia. Anche in una semplice gita o escursione, non bisogna farsi prendere dalla tentazione troppo facile di buttare a terra una carta o peggio ancora una cicca di sigaretta: ognuna di queste azioni provoca un impatto negativo sull’ambiente. Lei è un personaggio che ha molta visibilità sui social e quindi una certa responsabilità. Che tipo di persone la seguono? Sono soprattutto giovani, adolescenti e studenti universitari. Mi danno del tu, mi chiedono consigli. Sento verso di loro un forte legame, come fossi un vicino di casa o un amico. È stato contento di diventare un personaggio del fumetto Nathan Never - Stazione Spaziale Internazionale, edito da Sergio Bonelli? È un progetto di divulgazione che parla il linguaggio di tutti. Il fumetto è popolare ed espressivo, è un genere che apprezzo molto, perché unisce la lettura e la parte visuale. Ma l’eroe è Nathan Never e non l’astronauta, perché il mio è un lavoro da persona normale. La ISS, la sua seconda casa, ha com-

piuto da poco 20 anni di vita. Che cosa rappresenta per l’umanità questo luogo? È il più grande progetto mai realizzato nella storia, grazie anche a un contributo molto importante dell’Italia. Si tratta di un laboratorio orbitante con un volume interno pari a un Boeing 747, con esternamente un traliccio per i sistemi principali e i pannelli solari. Nei moduli pressurizzati vivono e lavorano gli astronauti: i due segmenti orbitali, russo e americano, e poi il laboratorio europeo e quello giapponese, dove si svolgono esperimenti quotidianamente. E proprio oggi (17 novembre, data dell’intervista, ndr) ci sono sette persone a bordo, non più sei, grazie all’arrivo della prima navetta Crew Dragon che ha portato in orbita tre americani e un giapponese. E poi c’è la cupola che le ha permesso molte volte di vedere il mondo da lassù… Un elemento, costruito nel nostro Paese, amatissimo dagli astronauti, perché offre un orizzonte, a 360 gradi, di seimila chilometri. Da quella prospettiva privilegiata si comprende il senso di cosa abbiamo, della sua fragilità e di cosa rischiamo di perdere.

Che progetti hanno l’Italia e l’Europa per un ritorno sulla luna? L’Agenzia spaziale europea (Esa), oltre a dare un supporto continuo all’ISS, ha anche altri obiettivi. I futuri programmi lunari prevedono di inviare un habitat orbitante, chiamato Gateway, che graviti a poca distanza dalla Luna e di fissare una base permanente per far lavorare gli astronauti sul suolo del satellite. Tutto questo comincia adesso e continuerà nei prossimi dieci anni, come stabilito negli accordi multinazionali con la Nasa. Si tratta di un progetto che darà un forte sviluppo non solo scientifico, ma anche economico. Che progetti ha per il futuro? Dopo essere tornato sulla Terra, il 6 febbraio scorso, contribuisco con la mia esperienza a istruire e dare supporto agli astronauti in partenza e in addestramento. E spero di continuare a far parte dell’esplorazione spaziale in prima persona. F.V. esa.int asi.it AstronautLucaParmitano astro_luca astro_luca

© Esa/Nasa

Gli astronauti Luca Parmitano ed Andrew Morgan impegnati in un’attività extraveicolare, all'esterno della Stazione spaziale internazionale

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CHRISTMAS DREAM

VALENTINA LODOVINI [ATTRICE] di Andrea Radic Andrea_Radic

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© Loris T. Zambelli

è una parola che riassume ciò che Valentina Lodovini trasmette a chi le sta di fronte: solarità. Una donna che ama profondamente il suo lavoro: «Il cinema è il mio primo fidanzato, il mio grande amore, incondizionato, puro. Per tutto il tempo che gli dedico, da spettatrice e da attrice, per le emozioni che mi dà, belle o brutte, il cinema è tutto. Sono molto fortunata, è un grande privilegio far parte di quella minoranza di attori che riescono a campare del proprio lavoro. Sono anche consapevole che potrebbe finire da un momento all’altro, ma altrettanto convinta che lotterò molto per non farlo accadere. Faccio il lavoro che amo, la realtà che vivo supera il sogno. E mi sento profondamente

Il cast del film 10 giorni con Babbo Natale 72

grata per tutto questo». I sentimenti e la passione di Valentina si potranno ritrovare in 10 giorni con Babbo Natale, il film di Alessandro Genovesi dal 4 dicembre in streaming su Amazon Prime Video, dove interpreta una donna che ha molto successo nel lavoro. Una divisione dei ruoli in famiglia a parti inverse rispetto a 10 giorni senza mamma, una sorta di prima puntata a cui segue questo nuovo lavoro, sempre con Fabio De Luigi a fianco della Lodovini e con l’aggiunta del grande Diego Abatantuono nei panni di Babbo Natale. «Nel primo film si volevano mettere in luce le difficoltà di una mamma che lavora e contemporaneamente si occupa della famiglia. In 10 Giorni con Babbo Natale, questo messaggio si unisce alla magia e al sorriso. È una storia ricca di significato e per me è un orgoglio farne parte, darà anche elementi di riflessione sul rapporto tra donna e uomo all’interno della famiglia». Vi siete divertiti sul set? Molto, il clima era quello di una vera famiglia. Come stai vivendo questo momento di vita, in qualche modo, sospesa? Difficile parlarne, è un discorso talmente delicato, così fragile. Io tendo a vivere sempre nel presente, perché rappresenta ciò che dobbiamo costruire, anche prima che ci colpisse la pandemia. E ogni giorno cerco di adeguarmi a questa bolla terribile nella quale ci troviamo. Vivere il presente come elemento di forza? Avere la testa per aria e i piedi per terra è in qualche modo l’essenza del clown. Io mi sento così: un’artista con i piedi ben ancorati a terra, è un modo per far sì che dentro di me accadano cose. Da bambina volevi fare l’attrice o avevi altri obiettivi? Volevo fare l’agente dell’FBI come Clarice Starling, il personaggio di Jodie Foster nel Silenzio degli innocenti. Poi ho visto Gli intoccabili, dove Andy Garcia diceva che era difficile per un italiano entrare nell’FBI, e mi sono molto scoraggiata. Sono nata con l’amore per la letteratura, la poesia, il teatro e il cinema, credo fosse così già nella pancia di mia mamma.

Sei precisa e ti applichi con metodo nel tuo lavoro? Da sempre vivo la vita con un atteggiamento da studente, mi piace ricercare, conoscere, crescere, sperimentare. Non ho pregiudizi, mi butto nelle cose con grande curiosità e tanta voglia di imparare, c’è sempre molto da apprendere da chiunque, nel bene e nel male. A chi ti ispiri di più? Sto tuttora imparando, nonostante sette anni di studi tra l’Accademia di teatro, la Scuola nazionale di cinema e il Centro sperimentale. Ho incontrato molti insegnanti, tra cui registi e colleghi, ma anche la vita stessa è maestra. Traggo ispirazione dall’essere umano, dalla sua contemporaneità, dal suo calore: un miscuglio di cose dalle quali assorbi, in ogni istante puoi imparare qualcosa. In fondo, la recitazione è uno strumento per raccontare l’umanità tra similitudini e differenze, ogni persona che incontri può essere importante. È come se facessi continuamente dei sopralluoghi emotivi che, magari a distanza di anni, tornano mentre stai interpretando un personaggio sul palco o davanti alla macchina da presa. È ganzo. Grazie a questo film hai scoperto che Babbo Natale esiste veramente? (Scoppia in una fragorosa risata, ndr). Chissà se esiste oppure no, per saperlo bisogna arrivare in fondo alla pellicola. Di sicuro resta la magia pazzesca che rappresenta. E ti rendi conto di quanto sia prezioso, nella vita, credere in qualcosa, avere fiducia, la cosiddetta fede che ha sempre bisogno del dubbio, ma averla è una marcia in più. Se chiudi gli occhi e torni bambina, senti ancora il profumo della tua infanzia? La tuberosa, che porto addosso come essenza anche adesso da adulta. Mi ricorda tutte le donne della mia famiglia, della mia vita, quelle che mi hanno reso ciò che sono. Per me la tuberosa è femmina. valentinalodovini LodoValentina lodovalentina


73 Š Carlo William Rossi + Fabio Mureddu. Make up & Hair Simone Belli


CHRISTMAS DREAM

@DIO ALESSANDRO PAOLUCCI [INFLUENCER]

© Elena Datrino

di Luca Mattei

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ellemme1 - l.mattei@fsitaliane.it


A

mmette di non avere avuto particolari problemi con i bacchettoni perché il rapporto con quelli che definisce fedeli è stato chiaro fin dall’inizio: tutto si basa sullo scherzo e sull’ironia. Se si frequenta il mondo dei social network è facile incontrare (o invocare) @Dio, profilo gestito da una persona in carne e ossa, all’anagrafe Alessandro Paolucci, un influencer di successo che, nonostante il nickname, è rimasto con i piedi per terra. Oggi ha 34mila follower su Instagram, oltre 226mila Mi piace alla pagina Facebook e circa 878mila seguaci su Twitter, dove ha debuttato nel maggio 2011. Partiamo dalla Genesi: come hai iniziato? Grazie per la citazione, la Genesi mi fa sentire a casa. È cominciato tutto per caso, ero lì ad annoiarmi perché anche io, come tutti i Millennials con una laurea in Filosofia, avevo difficoltà a trovare lavoro. Pensa che ingenui eravamo nel 2011: credevamo che fosse un anno difficile, ma non avevamo ancora vissuto il 2020. Comunque, ho aperto per divertimento il profilo su Twitter ed è scattato subito un meccanismo per cui se io giocavo a fare Dio, i follower giocavano a fare i fedeli. Ci siamo capiti fin da subito, è nato tutto in modo chiaro e spontaneo. Di lì a poco ho aperto la pagina Facebook, mentre all’inizio ho un po’ trascurato Instagram, ci sono arrivato tardi e lì sto crescendo più a rilento. Ma non ho fretta: come la Chiesa cattolica, faccio le cose con tempi secolari. Nel dicembre 2019 hai scritto il primo libro, Cercasi Dio. Anche senza esperienza. Come è nata l’idea? Molte persone in questi anni mi hanno chiesto come fosse nato @ Dio e alcuni mi consigliavano di raccontarlo in un romanzo. Scrivere mi è sempre piaciuto ma ho pochissima autostima e per prendere sul serio quest’idea ho impiegato diversi anni. Poi, tra il 2017 e il 2019, sono andato a lavorare a Milano, dove non mi sono trovato benissi-

mo perché preferisco vivere in un piccolo paese. Lì ho cominciato a compensare il malessere con la scrittura. Più Milano mi dava fastidio, più scrivevo. Alla fine è uscito un libro di 500 pagine: un numero che può farti capire quanto mi sia piaciuta la città. Quando sono tornato a Perugia l’ho messo in vendita in self publishing. Nel libro ricorre spesso il racconto dei pranzi in famiglia, in particolare quello di Natale. Tra questi ce n’è uno che ricordi più di altri? I pranzi di Natale tendono spesso a essere sempre uguali: stessa tavolata, stessi posti, stessi parenti. È il rito che dà sicurezza. Nel libro racconto una di queste occasioni, anche se in modo più surreale rispetto a quanto accaduto nella realtà. Tutti mi chiedevano cosa stessi facendo su Internet ed è stato difficile rispondere. I nonni non potevano capire, anzi non ho neanche detto loro che si trattava di Dio, altrimenti mi avrebbero cacciato di casa. Cercavo di descrivere i social network come luoghi dove ci sono persone che scrivono, e il nonno mi chiedeva se facessi il giornalista. Gli ho dovuto rispondere di sì, anche se non era vero. In quel momento ho capito che per loro il mio era un passatempo, non un lavoro. In realtà vivo di questo da quasi dieci anni. Quale viaggio (interiore o fisico) ti auguri di compiere a Natale? Se fosse possibile mi piacerebbe tornare a Roma, perché è una vita che devo portare i miei amici nel ristorante a Trastevere di cui parlo nel libro. L’ho frequentato quando lavoravo nella Capitale. Prenderei volentieri il treno, quello che utilizzavo in quel periodo, è molto pittoresco e fa un viaggio in mezzo ai monti, perché per uscire dall’Um-

bria qualunque percorso tu intraprenda sei circondato da montagne. Un bel viaggio sui binari in mezzo al verde. Che anno sarà il 2021 secondo te? Diamoci un po’ di tempo, aspettiamo che arrivi questo vaccino. Non so quanto tempo ci voglia per somministrarlo a una popolazione intera, forse l’ultima volta in cui è stato fatto con urgenza era per la poliomielite. Spero che in primavera saremo tornati operativi, che potremo viaggiare e vivere le nostre vite. Tempi più lunghi non ce li possiamo permettere, l’Italia è il Paese delle piccole e medie imprese e a un altro anno così non sopravvivrebbero. Quindi, coraggio, confidiamo nella primavera. E se lo dice @Dio…. Iddio42 Dio dio_ceo

bit.ly/CERCASIDIO pp. 501 € 12,32

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MARCELLO VENEZIANI

[GIORNALISTA, SCRITTORE, FILOSOFO] di Elisabetta Reale

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U

n prontuario filosofico controcorrente per imparare ad accettare il presente, ripararsi dal potere, curare il pessimismo. Con sguardo lucido e disincantato, il filosofo e politologo Marcello Veneziani in Dispera bene. Manuale di consolazione e resistenza al declino si interroga sul mondo, il tempo, la scienza, la religione, la politica, le arti. Ma anche sull’età che avanza, chiamando in causa vecchi e giovani. Una riflessione quanto mai attuale, alla luce dei tempi che stiamo attraversando – il libro è stato pubblicato a gennaio – che punta su buon senso, bellezza, cultura e su una rinnovata capacità di stupirsi. «Le speranze sono ormai finite. Finiranno pure le disperazioni», scrive in un incipit quanto mai profetico. Quali riflessioni l’hanno portata a realizzare questo saggio? Al di là della spensieratezza e del finto ottimismo di facciata, viviamo nell’epoca della disperazione radicale: abbiamo perso fiducia nella religione, nella storia, nella politica, perfino nella scienza. Il mio manuale tenta di rovesciare la prospettiva e di considerare la disperazione come il nostro punto di partenza e non d’arrivo. Mi ha sorpreso rileggere quelle pagine alla luce della pandemia, perché sembrano scritte col senno di poi, rispondono sul piano esistenziale ai temi della nostra epoca. Perfino la copertina con le due mascherine si è rivelata “profetica”… Un manuale di sopravvivenza che non offre, però, istruzioni per l’uso. Lei scrive infatti di non aspettarsi dal filosofo «consigli pratici sulla vita», anche se la filosofia «aiuta a trasformarsi e a ricercare una via di salvezza». Molto suggestiva in tal senso «la regola dello spiraglio», ce la racconta? Ho proposto un quadrifarmaco per rispondere ai mali della nostra epoca, ho esortato a non vivere schiacciati nel presente, ho soprattutto invocato un grande salto nello sguardo verso il mondo: non vederlo solo dal nostro, personale punto di vista, ma considerare al contrario

la nostra vita agli occhi del mondo. Spostare il proprio baricentro dal cammino precario di una foglia al destino più grande dell’albero. La regola dello spiraglio è non dare mai per chiusa la porta degli eventi, ma lasciarla socchiusa, aperta alle sorprese e agli imprevisti, che non sempre sono negativi, anzi... Oltre alla speranza in sé, lei sostiene sia venuta meno anche la speranza che le cose possano cambiare. Quali rimedi, se ce ne sono, possono aiutarci a uscire dall’immobilismo, «dalla gabbia triste della quotidianità», e a vincere la paura? E perché parla di «scomparsa del futuro»? L’aspetto particolare della nostra epoca è che è venuta meno non solo la speranza che le cose possano cambiare ma anche la speranza che possano durare. E a tale proposito propongo un rimedio, una via d’uscita: la capacità di usare la macchina del tempo, i tappeti volanti, per sfuggire alla gabbia del presente, al lockdown della mente, e per abitare il passato, il futuro, il favoloso, l’eterno. Il contrario della speranza non è la disperazione ma la paura che oggi sembra tenerci tutti prigionieri. Audacia di pensare, di rianimare la tradizione e di rischiare il futuro. Suggerisce pure di tenersi lontano dalla politica… Premetto che ho sempre avuto una forte passione civile, e da anni commento con passione gli scenari politici. Ma ho perso ogni fiducia nella politica, nei suoi uomini, nella sua capacità di pensare il futuro e di governare il presente, affrontando la realtà: la politica separata dalle idee e dal senso dell’onore, dalle motivazioni ideali e dalla selezione del suo personale, si riduce solo a demagogia e carrierismo, tribuni della plebe e tecnocrati senza scrupoli. Meglio dedicarsi ad altro, la politica non è la via, la verità, la vita. Ci sono molte più cose in cielo e in terra. Con un tono schietto e sincero attraversa i grandi temi del presente, e si rivolge, dandogli del tu, a un preciso interlocutore. Chi è il de-

stinatario delle sue riflessioni? È un destinatario reale ma cangiante. Agli inizi è rivolto a un contemporaneo, di età indefinita, che vive nella nostra civiltà declinante. In un capitolo è l’anziano, che accompagno a tracciare bilanci della sua vita; in un altro è un ragazzo, che invito ad aprirsi all’avvenire, risvegliando l’energia spirituale che nasce se coltivi il senso dell’eterno; c’è perfino una postilla per un neonato, che si affaccia tramite il suo sguardo sorgivo nella posterità. Il volume è costruito quasi come fosse un concerto – preludio, andante, adagio, al posto di primo, secondo, terzo capitolo – e si conclude, appunto, con un messaggio di benvenuto a un bambino neonato. Cosa augurare alle giovani generazioni? Di non perdere lo stupore, non delegare tutto alla tecnica, non rinchiudersi nel proprio io senza orizzonte, nello specialismo della propria attività, diventando idioti globali; di connettersi agli altri, ai vecchi, a coloro che furono, a coloro che saranno. Questo significa amor fati, anima mundi e vita armoniosa come in un canto e in una danza, seguendo i tempi musicali che la compongono. marcelloveneziani.com MarcelloVenezianiPaginaautorizzata venezianimar

Marsilio, pp. 160 € 17 77


CHRISTMAS DREAM

ALESSANDRO ENRIQUEZ [STILISTA]

di Cecilia Morrico MorriCecili morricocecili

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ella prossima collezione ho racchiuso tutta la voglia di tornare alla normalità. Di raccontare un’Italia fatta di valori ed esperienze positive, ansiosa di lasciarsi alle spalle tutto quello che abbiamo passato e di rinascere in una versione spensierata e piacevole». Alessandro Enriquez affronta con il sorriso queste ultime settimane dell’anno e guarda già al 2021. Ottimista per natura, anche durante il lockdown e l’emergenza sanitaria non si è mai abbattuto, anzi ha saputo reinventarsi nel lavoro e sui social. Il 2020 volge al termine. Come lo racconteresti?

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È stato abbastanza difficile. Ma devo dire che, nonostante il brutto periodo, sono riuscito a sviluppare nuove idee e a creare delle capsule interessanti, anche se il mio lavoro principale di designer purtroppo ha sofferto. Il lockdown è piombato in mezzo alle campagne di vendita e, per stilisti e brand di moda, ha significato guadagni ridotti rispetto alla media. Stando a casa, però, ho potuto riflettere e, a modo mio, reinventarmi. Chi mi conosce sa che, come i miei capi, sono pieno d’amore, colore, italianità. Ho quindi voluto giocare sul mio Dna e sul mio hobby preferito, cucinare, lanciando su Instagram il format Recipe Calling. Dallo squillo di un telefono vintage mi chiamavano attori, influencer, cantanti e io preparavo per loro una ricetta. Non erano tutorial, ma pillole di intrattenimento e condivisione. I follower mi seguivano come se fosse una serie tv, un giorno chiamava Claudia Gerini, un altro Claudio Santamaria o Chiara Ferragni, fino a personaggi nazionalpopolari come Orietta Berti. Mi han-

no soprannominato “lo stilista rubato ai fornelli” perché il fashion è stato sempre presente nell’illustrare i miei piatti. In più, sono riuscito a realizzare delle capsule con altri brand di moda e cucina, dal valore simbolico visto il momento difficile: con gli spazzolini Tau-Marin abbiamo creato la collezione Splendidi splendenti, per riportare il sorriso, con Sanrio e Paluani un progetto per donare uova di Pasqua agli ospedali di Milano. Hai poi lavorato ai capi della prossima Primavera-Estate… È una collezione-messaggio, ci ho messo il cuore: coloratissima, ha dentro l’Italia e la voglia di gioia e di ripresa. L’ho ideata da solo, con i miei assistenti a distanza, da casa. È un insieme di stampe legate appunto al connubio moda-cucina: tavole apparecchiate, appunti di ingredienti, piatti di pasta e frasi legate al tricolore che reinterpretano quadri di Renato Guttuso come la Vucciria. Tutto ciò che è riconoscibile del nostro splendido Paese, insomma. L’abbiamo presen-


tata come un vernissage nello store di Tessabit, con scatti di diversi personaggi che indossavano la collezione: da Paolo Stella a Floria Fiorucci, la sorella di Elio, da Ginevra Odescalschi a Giulia De Lellis. Un mix & match di persone perché vorrei che i miei capi fossero per tutti. E l’idea, così come la collezione, è andata molto bene. Per l’inverno 2021, invece, hai precorso i tempi con una collezione sulla Divina Commedia, anticipando le celebrazioni per il 700esimo anno dalla morte del Sommo Poeta. Sfortunatamente, a causa del lockdown, molti negozi hanno annullato gli ordini ma io ho voluto comunque portarla avanti. È una collezione divisa in Inferno, Purgatorio e Paradiso e riprende racconti e aneddoti dell’opera di Dante. Forse avrei dovuto congelarla e aspettare il post Covid-19, ma continuo a raccontarla portandola in televisione con celebrity ed esponenti del mondo della cultura. Poi, si sa, il destino è destino. Per il futuro che cos’hai in cantiere? Sono un instancabile produttore di progetti. Non riesco a stare fermo e quando comincio a disegnare e a scegliere i tessuti penso sempre a come arricchire il mio lavoro. E da qui nascono capsule legate anche ad altre realtà, prima fra tutte il food perché ha un’enorme carica creativa grazie a numerosi elementi che si possono trasformare in grafica. Per Natale ho unito le mie passioni: insieme all'azienda Ciomod di Modica, in partnership con Legambiente e con il presidio di Slow Food Sicilia, ho creato una Xmas Love edition di cioccolato in tre gusti realizzata a mano con confezioni e cartoni riciclati. Qual è il tuo più bel ricordo di Natale e come speri di festeggiarlo quest’anno? Io sono nato a Palermo, mia madre è siciliana, mio padre ha origini franco-tunisine, siamo una famiglia super numerosa. Porto nel cuore tutte le Feste trascorse insieme. Vivendo a Milano poi, lontano dagli affetti più stretti, sento la mancanza di casa e ogni volta che vado giù è come se aspettassero tutti me per dare il via al Natale. Il 24 e 25 dicembre andiamo sempre

da mia nonna, ha una casa con saloni giganteschi capaci di ospitarci tutti. Mi diverto con i miei cugini ad apparecchiare la tavola, a cucinare, e poi a sparecchiare per allestire i giochi

Collezione PrimaveraEstate 2021 Alessandro Enriquez

con le carte. Mi auguro davvero di riuscire a raggiungerli in Sicilia anche quest’anno, per noi, come per tutti, è un momento importantissimo. Nella speranza che il Covid-19 ci abbandoni presto, che anno pensi sarà il 2021? Punto molto sulla veloce distribuzione del vaccino. Saremo tutti più attenti, certo, ma sogno di riacquistare l’affettuosità e gli abbracci italiani. Siamo un popolo che ama toccarsi, baciarsi e dimostrare con i gesti ciò che ha nel cuore. Il virus ha raffreddato i rapporti e allentato i contatti, vorrei che ritornassero forti, anche se con le giuste precauzioni. Allo stesso modo, il 2020 non va cancellato, perché nonostante la pandemia siamo riusciti a fare qualcosa per noi stessi e per gli altri. Ora dobbiamo impegnarci per risollevare l’economia, sanare i rapporti e ripartire tutti insieme. alessandroenriquez.com alessandro.enriquez alessandroenriquez_official

Pop Cartoons, per Natale Pop Caffè e Fashiontomanga, progetto dell'artista Giovanni Valenti, reinterpretano i cartoni giapponesi con gli abiti Autunno-Inverno di Alessandro Enriquez

Alessandro Enriquez x Ciomod in collaborazione con Legambiente 79


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ELENA SANTARELLI

© Roberta Krasnig

[CONDUTTRICE E SHOWGIRL]

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È

uno dei volti che abbiamo visto più spesso in tv nell’ultimo ventennio. Dopo i primi passi nel game show L’Eredità e come concorrente del reality L’Isola dei Famosi, Elena Santarelli ha iniziato un percorso nella conduzione con programmi come Total Request Live su Mtv e Plastik - Ultrabellezza su Italia1. Tutto perfetto: una carriera avviata, un amore e un figlio. Ma poi, come a volte accade, la vita ti mette di fronte a prove inaspettate. Ed Elena si è trovata a gestire la malattia del figlio Giacomo. Un evento che l’ha portata in prima linea nella lotta contro le neoplasie cerebrali infantili. Com’è iniziato il tuo percorso da attivista? Quando Giacomo è stato colpito da un tumore cerebrale ho scoperto che il costo di uno degli esami veniva coperto grazie al contributo della Fondazione Heal. Così, è nata in me una gratitudine smisurata per il loro progetto. Molte delle attività organizzate in ospedale, infatti, erano realizzate grazie alle donazioni, che sono servite anche a pagare le borse di studio di alcune dottoresse. Così ho deciso di scendere in campo a livello comunicativo. Gli impegni sono tanti ma, ogni anno, scegliamo qualcosa che richiami il Natale. Quest’anno c’è il pandoro solidale. Che tipo di messaggio volete divulgare? Non siamo mai tragici, ma teniamo a presentarci con il sorriso e il morale alto. Mio figlio per esempio, ce l’ha fatta grazie alla ricerca. Che obiettivo avete? Acquistare una strumentazione molto costosa e complessa, l’Hyperion, che consentirà di studiare e visualizzare i tumori cerebrali. Speriamo di farcela, visto che costa più di 450mila euro. È più difficile fare beneficenza in tempo di Covid-19? Il virus ha un po’ frenato la ricerca e l’attività di tutte le associazioni. Molte hanno perso qualcosa non potendo organizzare manifestazioni o cene di beneficenza, ma anche perché le persone ora sono molto più attente prima di mettere mano al portafoglio. La crisi è grande, per questo comprare il nostro pandoro è un vero atto di generosità.

Da mamma e attivista, quali cambiamenti ha portato il coronavirus? Ci sono tanti bambini malati di tumore, quindi immunodepressi, e con il Covid-19. Forse se ne parla poco, ma bisognerebbe mostrarne le immagini per far capire determinate realtà a chi nega ci sia questa pandemia. Forse una scena con un forte impatto aiuterebbe alcune persone a comprendere quello che sta succedendo, purtroppo c’è chi pensa che il problema riguardi sempre gli altri. Io ho imparato, però, che la vita può assestare un pugno nello stomaco da un momento all’altro. Non voglio sprecare energie con i negazionisti. Le terapie intensive sono al collasso e c’è chi deve essere operato per patologie gravissime e non può subire l’intervento. Cosa vuoi trasmettere con il tuo lavoro sui social? Quello che consiglio, prima di tutto, è imparare la gentilezza, non si sa mai chi abbiamo davanti. Magari rispondiamo male a qualcuno che, in realtà, sta combattendo una battaglia complessa. Attraverso i social cerco di accendere i riflettori sulla Fondazione e su questi temi importanti, condividen-

do la mia vita, quella di una persona normale. Come passerai il Natale? Abbiamo una chat di famiglia e mio zio sta cercando di capire come ci organizzeremo per le festività. Speriamo di passarle insieme, pochi ma buoni. In caso contrario, ci faremo portare le lasagne della mamma a domicilio. Sperando che il Covid-19 ci abbandoni presto, che anno pensa sarà il 2021? Ci renderà migliori? Ci sono persone che non vengono cambiate in meglio neanche dalle tragedie più grandi. Mia nonna diceva che chi nasce tondo non può morire quadrato. Per quel che mi riguarda, sono cambiate le priorità. Sono preoccupata per le restrizioni legate al virus, ma dopo quello che ho passato non posso lamentarmi. Anche se mi dispiace per i commercianti e per la crisi che dilaga. Siamo in guerra, ma anche dopo le più grandi battaglie sorge il sole. Questa luce ritornerà, anche se per molti, al momento, è difficile vederla. G.B. progettoheal.com elenasantarelli elenasantarelli

Elena Santarelli promuove il pandoro solidale della Fondazione Heal contro le neoplasie cerebrali infantili 81


CHRISTMAS DREAM

JONAS KAUFMANN [TENORE]

© Gregor Hohenberg/Sony Classical

di Bruno Ployer

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iuseppe Verdi, Richard Wagner, le grandi opere romantiche e veriste, i Lied più intimi e appassionati, ma anche i canti di Natale. Se è vero che c’è una musica possibile per ogni momento, anche Jonas Kaufmann lo dimostra. Il celebre cantante lirico compie il grande passo, quello che prima di lui hanno fatto praticamente tutti i grandi tenori da Caruso in poi: il disco natalizio, quello destinato a essere ripreso e suonato in famiglia sotto l’albero per anni e anni, come una sempreverde colonna sonora delle festività. La voce di Kaufmann, potente e ricca di sfumature e colori, arriva nelle case con It’s Christmas, 40 canzoni selezionate dal repertorio internazionale, da quello tradizionale fino al pop americano di All I Want for Christmas Is You, portata al successo da Mariah Carey. Alla nostra domanda se il 2020 sia l’anno giusto per uscire con un album natalizio, l’artista tedesco risponde: «Sì, perché dopo tanto tempo che l’avevo in mente e lo desideravo, ho avuto il modo di pensarci, concentrarmi sul progetto e dargli forma. Io amo il Natale da sempre e questo album rispecchia il mio amore per la festività che più di ogni altra significa famiglia, gioia, sorprese e sorrisi. Dentro ci sono tutte le canzoni che hanno accompagnato i Natali della mia vita, da bambino fino a oggi». Silent Night, Jingle Bells, White Christmas, ma anche Adeste Fideles e Gesù Bambino: come nel sacco dei regali, anche in questo disco viene voglia di cercare cosa c’è di speciale per ciascuno di noi. Di solito un bell’album di canzoni di Natale si ascolta anche negli anni successivi. E It’s Christmas sarà probabilmente collegato al ricordo del 2020, un anno molto difficile. Ma Kaufmann non si scompone: «Io credo che l’idea del Natale superi tutte le crisi. Abbiamo fatto Natale anche in guerra». Il disco è nato durante la chiusura della scorsa primavera. «Dal tempo libero che normalmente chi fa il mio mestiere non ha, sempre in aereo, in viaggio, in hotel. Il tempo libero e la stanzialità danno l’opportunità di pensare, raccogliere le idee e svilupparle meglio».

In questo lavoro, come sul palcoscenico e durante le altre registrazioni, Kaufmann canta con disinvoltura in tedesco, inglese, francese, italiano e latino, con il suggestivo supporto di coro e voci bianche e un caldo accompagnamento dell’Orchestra del Mozarteum di Salisburgo e, in alcuni pezzi, di una big band che porta il tenore nell’atmosfera jazz. È il modo in cui il poliedrico interprete confessa la sua passione per lo swing americano, nata dall’ascolto dei dischi che suo padre suonava durante le Feste. Qual è il suo più bel ricordo di un Natale passato? Un episodio buffo: ero piccolissimo, camminavo a malapena e mio nonno decise di portare una novità rivoluzionaria nella nostra tradizione familiare dell’albero: le lucette elettriche. Erano tutti perplessi, ma alla fine vinse lui e in men che non si dica, davanti a quella meraviglia di luci colorate, io non resistetti e abbracciai l’albero, abbattendolo a terra. Il Natale è sorrisi e allegria, questo mi auguro oggi e sempre. Ed è anche uno dei momenti più musicali dell’anno, anche se stavolta arriva durante una tragica pandemia. Cosa succederà alla musica quan-

do si potrà ricominciare a mettere in scena concerti e opere dal vivo? Quali tracce lascerà la crisi? Questo mi preoccupa davvero, spero che il pubblico non perda l’abitudine. Per ora sente la mancanza delle esibizioni live e sfrutta le opportunità che ci sono, mi auguro però che si possa presto ricostruire un rapporto di consuetudine con gli spettatori. I teatri sono rimasti aperti anche durante le guerre, perché la gente ha bisogno di distrarsi, di vedere un pezzo di cielo, di dimenticare anche solo per un’ora l’ansia, l’angoscia. Questa assenza di distrazione, di bellezza e di arte è un danno per le persone. Lei e sua moglie avete un bambino molto piccolo. Quando in un momento come questo pensa alle nuove generazioni cosa prova? Sono ottimista. Tutti speriamo che il Covid-19 ci abbandoni presto, ma che anno pensa sarà il 2021? Come saremo? Spero in un anno di rinascita per tutti e per l’arte. jonaskaufmann.com kaufmannjonas tenorkaufmann tenorkaufmann

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CHRISTMAS DREAM

ALESSANDRO BARBERO

[STORICO E SCRITTORE]

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gni epoca lo incuriosisce. Capire il passato come se fosse il presente è la dote che lo rende uno dei maggiori divulgatori del nostro tempo. Alessandro Barbero racconta il suo rapporto con la storia e la sua infanzia, rivelando un desiderio: poter viaggiare nel tempo per vivere nella Firenze di Dante, che dà il titolo al suo ultimo libro. Un Natale che ricorda con piacere? Sento ancora forte in me quello dell’infanzia. Non posso dimenticare il profumo intenso dell’albero, rigorosamente un abete vero, associato alla visione dei regali portati da Gesù Bambino. Le fragilissime palline mi incantano ancora adesso. È una magia che riesce sempre a evocare un periodo bello della mia vita. Da storico, che notizie documentate ci sono delle prime celebrazioni di questa Festa? La decisione di fissare al 25 dicembre la nascita di Cristo risale al periodo di Costantino, primo imperatore cristiano. È molto interessante che sia stato scelto il solstizio d’inverno, il giorno in cui il sole era al livello più basso, in attesa di rinascere. Quella data era la festa del Sole, culto in concorrenza con il cristianesimo ancor più di quello di Giove o di altre divinità. Così la Chiesa ha fatto sì che Cristo potesse simboleggiare anche il Sole in modo da attrarre, di conseguenza, i suoi seguaci. Perché un libro su Dante? Che ritratto ha scelto di farne? Sono uno storico, non uno studioso

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di letteratura. Ho voluto ricostruire la vita di un uomo del Medioevo e raccontarla chiedendomi che lavoro facesse, se si occupasse di politica, se avesse combattuto in guerra o avuto figli (e ne ebbe parecchi). Settecento anni fa c’erano fazioni e conflitti. Nulla è cambiato?? In realtà c’è una grande differenza: allora era tutto molto più feroce e violento. Per fortuna oggi nessuno manda in esilio i perdenti o ammazza per strada i rivali. Ma la politica di quel tempo è certo antenata della nostra, con modalità ancora attuali, come la scelta tra voto segreto o palese, la necessità di riunire consigli e assemblee o dibattere in favore delle proprie proposte. Come divulgatore, che consiglio darebbe a un professore di storia? È una materia che deve appassionare, non può essere descritta come una cosa astratta o arida. Bisogna raccontare le persone di ogni epoca facendo capire che sono vissute davvero. Ragionavano in altro modo, ma soffrivano come noi e avevano le stesse nostre passioni. E invece come non farsi ingannare dalle fake news? Quando si apprende una notizia, io consiglio di non crederci subito. Occorre farsi una semplice domanda: «Tu che me la racconti, come fai a saperlo?». Così, metà di quelle false sparirebbero. Un viaggio che ha nel cuore e uno che vorrebbe fare? Ricordo un bel tour in macchina attraverso il Marocco, con mia moglie. Appena possibile, vorrei visitare l’Iran, dove sono stato soltanto in oc-

casione di congressi. Credo sia un Paese molto più simile al nostro di quanto si possa pensare. Con la macchina del tempo dove vorrebbe andare? Qualunque epoca è affascinante. Se dovessi scegliere, direi nel Medioevo, per vedere la Firenze di Dante, i cantieri aperti del Duomo e di Santa Maria Novella. Quali letture potrebbero farci compagnia durante le Feste? Io ho voglia di rileggere i libri di quand’ero ragazzo. Consiglio a tutti di riprenderli dalla soffitta. Una volta superata la prova del Covid-19, cosa si augura per il 2021? Spero che nei testi di storia si parli dell’epidemia del 2020 e non di quella degli anni ’20. F.V.

Laterza, pp. 368 € 20


85 Š Alessandro Albert


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GIULIA LAMARCA

[TRAVEL BLOGGER]

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a piccola Giulia Lamarca girava l’Italia in camper con i suoi genitori. A 19 anni finisce nel letto di un ospedale dopo un incidente stradale che le causa una paraplegia. In quei nove mesi di

Giulia Lamarca nella foresta di bambù di Arashiyama a Kyoto, in Giappone

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immobilità capisce che solo viaggiare può salvarle la vita. Come è nata questa consapevolezza? In quel periodo di fermo mi sono resa conto di quanto l’esistenza fosse


breve e quanto conoscessi poco del mondo. Poi, una volta uscita dall’ospedale, il mio ragazzo – che oggi è mio marito – mi ha detto: «Andiamo in Australia!». E da lì è iniziato tutto. Purtroppo spostarsi in carrozzina è complicato e le persone, a volte, scelgono di non farlo per le difficoltà che comporta. Perché hai scelto di diventare travel blogger? A me i viaggi hanno salvato la vita, quindi aprire un blog mi sembrava un modo per far tornare a vivere anche altre persone. Come è cambiato il tuo modo di viaggiare dopo l’incidente di dieci anni fa? Prima non ero una viaggiatrice, ero piccola e giravo principalmente con il camper in Italia, insieme ai miei genitori. Dopo sono diventata una ragazza che attraversava i confini, così mi piace definirmi. Volevo e voglio spingermi più in là, sempre più lontano. Il mio sogno è andare dove ancora non è andato nessuno. Nella mia vita precedente il viaggio era una vacanza, ora è scoperta del mondo e di me stessa. Anche l’organizzazione è diversa: ci sono aspetti a cui adesso devo fare attenzione. È diventato indispensabile portare con me una serie di ausili e di farmaci di prima necessità. Negli spostamenti più avventurosi e spartani devo calcolare anche i giorni in cui devo farmi la doccia. Non è sempre facile trovare hotel o

luoghi agibili, quindi devo riuscire a programmare l’arrivo in strutture dove posso rilassarmi e lavarmi con calma. Barriere architettoniche, alberghi non attrezzati e operatori non formati sono problemi complessi per le persone disabili. Secondo te come si può favorire un turismo inclusivo? Sicuramente servono incentivi da parte dello Stato, ma è essenziale soprattutto lavorare sulla cultura di un popolo. L’accessibilità non è una tematica per pochi, riguarda tutti. Se anche il settore turistico riuscisse a capirlo, avrebbe molti più clienti soddisfatti. Nel concreto, sarebbe utile una legge per aumentare il numero delle camere accessibili nelle strutture ricettive. Come anche norme che regolino l'assistenza alle persone disabili sui voli aerei, prevedendo sanzioni per le compagnie che non le rispettano. Ma ritengo comunque che alcuni cambiamenti da affrontare siano più etici che pratici. In base alla tua esperienza, una persona disabile può viaggiare da sola e low cost? Certe mete in solitaria sono fattibili ma riuscire a visitarle a basso costo credo sia quasi impossibile. A oggi, in quasi tutti i Paesi dove sono stata, se cerchi una struttura accessibile devi scegliere un hotel dalle tre stelle in su e quindi avere un certo budget. Come hai vissuto il periodo di lockdown? E come hai sopperito alla tua voglia di muoverti?

Giulia e il marito Andrea nel deserto di sale a Uyuni, in Bolivia

Non bene, i viaggi sono una parte importante della mia vita. Inoltre, stavamo organizzando un giro del mondo e il Covid-19 ha frenato la nostra partenza. Per fortuna quest’estate ho scoperto uno sport che mi ha permesso di svagarmi: il wakeboard, una sorta di fusione tra lo sci nautico e lo snowboard. Ma mi mancano le altre culture, l’odore di cibi diversi, le lingue straniere. Intanto, aspettando il via libera, continuo comunque a programmare le tappe del mio giro del mondo. Il più bel ricordo di un Natale passato? In viaggio nei Paesi del Nord, in Interrail. La sera della Vigilia ero a Copenaghen a mangiare in un ristorante cinese. Per me è un ricordo bellissimo perché, come dice mio marito Andrea, ovunque vai nel mondo puoi sempre contare su un locale asiatico aperto. Il viaggio, interiore o fisico, che ti auguri di compiere? Penso che quest’anno abbia portato a tutti nuove consapevolezze. A me personalmente ha fatto capire che vivere in città, dentro un appartamento, non è quello che voglio. E che il mio giro del mondo non può più essere rimandato, devo farlo. È come una chiamata. Sperando di lasciarci presto alle spalle il Covid-19, come immagini il 2021? Come sarai, come vorresti essere, come saremo? Credo che questo sia il momento della svolta, cominciamo a renderci conto che il comportamento di un singolo si ripercuote su tutti gli altri. Quindi spero che il 2021 sia l’anno della consapevolezza, delle scelte ambientali, dei cambiamenti nel mondo del lavoro, della parità di genere, dell’inclusione, della fine delle discriminazioni: insomma un anno in cui si capirà che siamo tutti uguali. Io vorrei la valigia in una mano, una carta dei diritti nell’altra e Andrea al mio fianco. Pronta a partire per un progetto capace di dimostrare che, anche se possono presentarsi momenti difficili, la bellezza del pianeta è un buon motivo per vivere la propria vita appieno. S.B. mytravelsthehardtruth.com mytravelsbyGiuliaLamarca _giulia.lamarca 87


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RICCARDO PIRRONE

© Patrizio Taormina

[SOCIAL MEDIA MANAGER]

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È

il comunicatore del web più pungente e spietato in circolazione. Il suo sarcasmo sferzante affonda su Facebook, Instagram e Twitter. Riccardo Pirrone ha un’agenzia creativa, la Kirweb, con cui segue diverse aziende italiane. Il suo nome, però, rimane legato alle battute su lapidi e compianti con cui ha reso famose le pompe funebri Taffo. Ti porterai questa etichetta fino alla tomba? Mi sembra un po’ come La solitudine per la cantante Laura Pausini: un marchio a vita. In realtà, non ho mai parlato di morte prima di cinque anni fa. Ma da lì non mi sono più fermato. Adesso per me è come qualsiasi altro settore merceologico. È come trattare di frutta o di mobili. Il Covid-19 ha fornito parecchi spunti per il tuo lavoro. In questo periodo è la tua principale fonte d’ispirazione? Ha stravolto un po’ i piani. Ha fatto slittare l’uscita del libro Taffo. Ironia della morte (Baldini+Castoldi, pp. 224 € 17) che era prevista per marzo. E ha trasformato la linea editoriale del mio lavoro con loro: quando muoiono centinaia di persone al giorno, scherzare sulla fine della vita come facevamo prima sarebbe stato troppo pesante. La morte non era un concetto astratto, ma un numero di persone che veniva a mancare e il bollettino delle 18 ce lo ricordava ogni giorno. Quindi, per la comunicazione digital, abbiamo cambiato un po’ il registro linguistico, cercando di avere anche una funzione sociale. Abbiamo continuato con i messaggi sul nostro stile, ma in modo più diplomatico. Per esempio: «State a casa altrimenti finiremo tutti in cassa». Recentemente ti sei esposto criticando la campagna della Regione Lombardia nata per sensibilizzare i cittadini sulle regole anti-contagio. Che cosa non ti ha convinto dell’iniziativa?


La verità funziona più di un messaggio ricercato. Sono stato contattato dall’agenzia che stava creando la campagna per la Regione Lombardia. Le ho proposto di ammettere che anche le istituzioni, non sapendo bene cosa fare, avevano commesso qualche errore. Avevo suggerito una comunicazione che chiedesse aiuto alla comunità e facesse gruppo. Ma hanno optato per una campagna che non rispecchiava il sentiment del pubblico, non adatta a quello che hanno vissuto e stanno vivendo i lombardi. Si instillava senso di colpa e il dubbio che la responsabilità fosse solo dei cittadini che non rispettavano le regole. In realtà, ci troviamo di fronte a un virus che nessuno sa come affrontare. Alla fine i miei post hanno girato più di quelli della Regione Lombardia. Come raccogli le idee per creare una campagna? Mi faccio ispirare dall’attualità e mi baso molto sul real time marketing. Parlo di notizie salienti per l’opinione pubblica che sono sulla bocca di tutti. Incastrandole con il settore del mio cliente, posso creare post più ingaggianti. Se trattassi solo quello che interessa all’azienda, avrei meno riscontri. Meglio affrontare quello che tocca le persone e far conoscere così un’impresa, i suoi prodotti o i suoi servizi. Gran parte dei tuoi post si regge su ironia e humor nero. Hai mai pensato

di aver esagerato? In realtà io sono un grande censore di me stesso: molte cose non le pubblico. Forse la cosa più brutta è che comunque le penso. Prima di postare capisco qual è il mood delle persone rispetto a un determinato argomento. Quindi cerco di allinearmi con quello che la gente pensa e faccio da megafono. Oppure, se voglio stupire o ribaltare le convinzioni, posto quello che non ha mai detto nessuno. Con Rocchetta, per esempio, abbiamo rovesciato il meccanismo del body shaming. Dal claim “Brio Blu mi piaci tu” siamo passati a "Brio Blu ti piaci tu”, cercando di infondere autostima e incoraggiare le persone a non badare troppo all’opinione altrui. Sui social, da una parte, pagano trasparenza e coerenza. Dall’altra funzionano bene anche polemica e provocazione. Le tue campagne hanno successo perché sei un provocatore trasparente? Lo sono anche nella vita privata, con amici e parenti che, di base, non mi sopportano. Però sviluppo discussioni produttive. Io dico sempre che, se sui social non hai nemmeno un commento negativo, vuol dire che non hai trasmesso niente di importante. A Natale siamo tutti più buoni. Stai lavorando a qualche campagna in cui lo sarai anche tu? Ci siamo occupati di quella di Emer-

gency, scegliendo il claim “Dallo smart working ai regali smart” per invitare ad acquistare regali utili e solidali. Il più bel ricordo di un Natale passato che potrebbe ispirarti una campagna buonista? A me i Natali sembrano tutti uguali. Sicuramente quello che verrà sarà diverso e non lo dimenticherò. Con Taffo hai parlato spesso dell’ultimo viaggio, dunque meglio arrivare preparati. Il viaggio, fisico o immaginario, che vorresti compiere durante le prossime vacanze natalizie? Volevo vedere l’aurora boreale. Credo che il prossimo anno sarà ancora più difficile ammirarla. C’è una congiunzione astrale che non gioca a mio favore. In realtà mi sposto più spesso per Capodanno e per Pasqua. Ma Taffo direbbe: «Natale con i tuoi, Pasqua chissà se puoi». Che anno pensi sarà il 2021? Quale messaggio lanceresti per promuoverne l’arrivo? Sarà l’anno migliore che abbiamo mai vissuto. Tutto si basa sulla profezia che si autoavvera. Se lo diciamo tutti con convinzione, effettivamente lo sarà. S.B. riccardopirrone.com RiccardoKiRPirrone RiccardoPirrone riccardokir

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MARIASOLE POLLIO

© Roberta Krasnig

[ATTRICE E CONDUTTRICE]

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U

n idolo per i teenager, che la seguono nella fiction sbanca auditel Don Matteo e su Instagram dove macina like forte di oltre un milione e 400mila follower. Mariasole Pollio è un’adolescente

come tante che ha, su di sé, i riflettori della ribalta. Solare, simpaticissima, ci dà appuntamento tra una pausa e l’altra delle lezioni che sta seguendo con la didattica a distanza. Che anno è stato?


Molto particolare: è partito benissimo a gennaio quando è andato in onda Don Matteo su Rai1, dove interpretavo Sofia, la ragazza che vive in canonica dopo la morte dei genitori. Vedere realizzato un lavoro di nove mesi è stato bellissimo. Poi è arrivato il Covid-19 e ci ha bloccati. Tu come hai reagito? Non mi sono data per vinta, ho continuato a fare provini. E su Instagram ho creato il format Io non so cantare dove invitavo artisti famosi come Irama, Gianluca del trio Il Volo, Annalisa, Gigi D’Alessio, Stash dei The Kolors e Rocco Hunt a impartirmi lezioni. Un modo per realizzare il mio sogno, un po’ goliardico, di imparare a cantare. Ti abbiamo anche vista su Italia1 nella kermesse musicale Battiti Live. Nessuno si aspettava fosse così facile tornare a lavorare. E invece il 14 luglio ci siamo ritrovati a registrare il programma, con le giuste restrizioni sanitarie. È stato bello, perché ha dato un po’ di speranza sulla ripartenza. Tu sei un po’ la rappresentante di tanti teenager. Come vivono questo momento i tuoi coetanei? Non è facile per noi giovani, perché sento spesso che non ce la fanno più a stare a casa. Quello che dico loro è che, anche se sembra eterno, questo momento passerà. Personalmente cerco di occuparmi delle cose che avrei voluto sempre fare. Vorrei reinventare il tempo, con un po’ di forza di volontà. Non bisogna sprecarlo. Ho anche partecipato a un evento live della Milano Music Week, senza pubblico ovviamente, insieme a Max Brigante e Dj Khaled in collegamento da Los Angeles. Cosa ti piacerebbe fare? Il mio sogno più grande è il Festival di Sanremo. E, muovendo i primi passi nella conduzione, vorrei realizzarlo. Per quel che riguarda la recitazione mi piacerebbe entrare nel cast di un serial come Stranger Things e, magari, fare qualcosa con Disney. Quali programmi ti appassionano? Guardo molto tutto ciò che viene proposto su Netflix e Prime Video. E poi le fiction di Rai e Mediaset per tenermi aggiornata e sapere cosa fanno amici e colleghi. Come passerai il Natale?

Di solito festeggio con la mia famiglia al completo. I miei parenti sono tra Napoli e Bergamo. A Napoli si mangia benissimo e tantissimo: sembrerà un luogo comune, ma è vero che si inizia il 24 dicembre e si finisce il 6 gennaio. Abbiamo sempre fatto il pieno di amici e familiari, seguendo le tradizioni del Sud, anche se quest’anno sarà diverso. Cosa ti piace di Napoli? Per me è casa. A livello culinario amo tantissimo i dolci come la pastiera e gli struffoli. E poi ci sono luoghi come San Gregorio Armeno che ti avvolgono con la loro atmosfera natalizia. Purtroppo, visto che non credo sarà possibile spostarsi, stavolta rimarrò a casa e la addobberò in puro Christmas style facendo una scorpacciata di film delle Feste. Tipo? Mamma ho perso l’aereo mi fa impazzire. Lo guardo sempre, è un cult. Non mancheranno cartoon e live action su Disney+.

C’è un viaggio che vorresti fare quando l’emergenza Covid-19 sarà finita? Mi piacerebbe passare un Natale a New York, città meravigliosa. E poi l’America, per chi vuole fare il mio mestiere, è un grandissimo sogno. Presentarsi come un italiano che va negli States, secondo me, ti dà una marcia in più. Il sogno americano è anche vivere qualcosa di diverso dalla propria cultura. Sei una sognatrice? Certo, sono convinta che i sogni si devono realizzare, nulla è impossibile. Cosa ti aspetti dal 2021? La rinascita, il sole caldo dopo un freddo inverno. Apprezzeremo tante cose che prima davamo per scontate, come stare con gli amici, andare a un concerto, fare un viaggio. Credo vivremo un periodo molto felice. G.B. mariasolepolliovoliamoinsieme PollioMariasole mariasole_pollio

Mariasole Pollio sul set di Battiti Live

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ALZEK MISHEFF [ARTISTA]

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on essere uniforme e omologato, perseguire le proprie aspirazioni a costo di arrivarci a piedi o nuotando in mezzo all’Oceano Atlantico. Alzek Misheff, pittore, musicista, compositore e performer, è un creatore poliedrico e interdisciplinare che da oltre mezzo secolo percorre le parabole dell’arte internazionale con suoi interventi e mostre.

Bulgaro di nascita, fuggito a piedi da Sofia ancora giovane, diventando nomade nel mondo, partecipa alla prima Biennale a Graz, in Austria, iscritto come ospite perché senza cittadinanza. Da moltissimi anni vive e lavora in Italia. Achille Bonito Oliva lo inserisce tra gli esponenti europei di riguardo e lui, che ha appena compiuto 80 anni, quando parla dei suoi progetti passati e futuri lo fa con gentilezza ed entusiasmo. Chi è Alzek Misheff? Mi considero da sempre pittore, nello specifico maestro in ritratto e figura, come testimonia il mio diploma dell’Accademia di Sofia. Negli anni ‘70 sono entrato nella mischia dell’arte

concettuale: non considerando l’opera in modo totalmente analitico come fa Joseph Kosuth – tra i principali esponenti di questo filone – ne ho conservato una rappresentazione alla lettera, senza privarla della sua impostazione scenica e metaforica. Per esempio in Volo con le pinne ho cercato davanti al pubblico di imparare a volare proprio con le pinne, appeso tra due tralicci. Mentre nella Piscina nuotavo in una grande vasca costruita da me dentro una galleria di Milano. Inevitabile, e voluto, il conseguente effetto umoristico in contrasto con la “serietà” dei miei colleghi. Poi, dopo la performance fisica, dipingevo la scenografia come evocazione della pittura. Ecco, io sono questo. Lightning II (2000) © Douglas Kirkland Courtesy l’artista Alzek Misheff

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500 giovani volti (1984) Courtesy l’artista Alzek Misheff

Hai definito l’arte una «magnifica costrizione»: in questa riflessione qual è il ruolo di chi la fa? È fondamentale. Tutti i maestri della modernità insegnano a ribellarsi alle regole, dando prevalenza al gesto, alla libertà sconfinata dell’io dell’artista-demiurgo capace, con il proprio comportamento creativo, di rovesciare qualsiasi precetto. Picasso affermava, ma vale anche per Marcel Duchamp e molti altri contemporanei, che non è importante cosa, e nemmeno come, ma chi dipinge. Io invece ho sempre pensato, in risposta a questa considerazione, che l’arte sia una meravigliosa costrizione con regole stabili, come le migliori partite di scacchi che si svolgono per forza sulla scacchiera e non fuori da essa, pur con mosse geniali. Come rappresenteresti questi tempi dolorosi e difficili? Con la pittura, come sempre. Dipingo metropoli come Parigi, Milano, New York dove la moltitudine, la folla densa cerca un “verso dove”… Sempre citandoti: «Ciò che conta è l’incontro, tra sentimenti ma anche tra modalità e diverse espressioni creative». Concetto attuale. Si, proprio così, sono le nuove relazioni in tempo di distanziamento. Il titolo del mio concerto alla Biennale di Venezia del 2000, dove ho diretto con un controller a infrarossi Lightning II, immerso in un cilindro trasparente pieno d’acqua e pesci rossi, era Proliferante verità del sentimento. La comunicazione diventa sempre

più immediata e meno fisica: questo può avere anche dei vantaggi ma al centro occorre ci siano sempre le passioni e i sentimenti. La digitalizzazione, inaspettatamente, ha favorito un’attenzione enorme verso il passato, arte compresa. E, a proposito dell’innovazione a ogni costo di oggi, potrei citare Auguste Rodin: «L’arte viva è un proseguimento di quella del passato». Tra i tuoi innumerevoli lavori, e tra le tecniche usate, quali maggiormente ti rappresentano? La pittura, ancora una volta. Quella di grandi dimensioni realizzata per gli spazi pubblici nel territorio di Alessandria, tra cui L’orchestra sinfonica nella sala del Consiglio di Acqui Terme, opera di 9x3 metri, La festa dell’uva dipinta per una chiesa sconsacrata a Ponti e naturalmente l’ultima, il San Giorgio e la processione con le spine a Montechiaro d’Acqui. Non voglio dimenticare, però, i 500 giovani volti, progetto dell’84 in cui ho disegnato a mano, su carta di grandi dimensioni, 1.336 facce poi affisse a Bologna, Firenze, Milano, Roma e Torino. Iniziava l’epoca della comunicazione sociale, la Public art, e tutti quei volti sono stati la prima vastissima rete reale e fisica che ha anticipato Facebook di circa 25 anni. Il più bel ricordo di un viaggio? Non ho la patente e non so guidare. Ho in mente tutti i percorsi in treno fatti durante la mia adolescenza, sono stati romantici. Mi ricordo il piccolo convoglio a vapore e la compa-

gnia del fuochista e del guidatore. O anche il più buffo e, nello stesso tempo, il più serio. Nell’82, dopo tre anni di preparazione e 12 mostre sullo stesso tema tra New York e Milano, sono riuscito a realizzare la performance La traversata dell’Atlantico a nuoto, da Milano a Londra in treno e poi sulla nave Queen Elizabeth 2, nuotando nella piscina del transatlantico per cinque giorni fino all’arrivo nella Grande Mela. Uno dei miei titoli preso testualmemte, lo considero una fake news ante litteram. Un Natale passato che non dimentichi? Nel ’71, sempre in treno, ho viaggiato dal campo profughi di Trieste fino a quello di Santa Maria Capua Vetere, nel casertano, dove ho trascorso il mio primo Natale in Italia. Come ti auguri che sia il 2021? Forse questa battuta d’arresto potrà servire a ripensare ai valori di sempre che abbiamo dimenticato, chi lo sa. Cosa vorresti fare una volta fuori dalla pandemia? È prevista una mia retrospettiva in due continenti, con molto lavoro di preparazione, per i miei 50 anni di attività. Vorrei vederla realizzata. A che cosa serve l’arte? A proseguire. Bisogna tornare a concepirla come servizio di valori, quelli universali sia per l’artista sia per tutti gli altri: la Proliferante verità del sentimento, valida da sempre. S.G. alzekmisheff.net AlzekMisheff 93


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ENRICO FEROCI [CARDINALE]

© Stefano Costantino/LaPresse

di Roberto Cetera

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o non ne sapevo niente, e neanche me lo sarei mai immaginato. Poi una domenica torno a casa dopo aver celebrato la messa a San Giovanni e una coppia di amici che mi aspettavano sotto casa

mi viene incontro esclamando: “Complimenti cardinale”. Rispondo che ci vuole ancora tempo per gli scherzi di carnevale, e loro: “Ma no. Il Papa lo ha appena annunciato all’Angelus, sei cardinale”».


to di dire che la Caritas è un attore decisivo dell’azione sociale di Roma: senza il suo operato, la Capitale sarebbe molto più fragile». E, inoltre, in questi anni di intensa attività la Caritas di monsignor Feroci ha camminato con un partner di efficace sostegno: il Gruppo Ferrovie dello Stato. «È un rapporto che ha origini lontane, lo aveva già intrapreso don Luigi Di Liegro. Insieme abbiamo fatto molte cose belle e importanti. Penso alla ristrutturazione della grande struttura in via Marsala, adiacente al corpo della stazione Termini, che ospita un ostello per i senzatetto con quasi 200 letti, una grande mensa che serve 500 pasti al giorno e studi medici per coloro che non sono assistiti dal Servizio sanitario nazionale». Una struttura moderna e accogliente che venne inaugurata da papa Francesco all’apertura dell’Anno Santo del 2015, e che per l’occasione fu definita quinta porta santa dell’Urbe. «Tutti gli spazi sono stati concessi in comodato d’uso da FS Italiane, che generosamente ha rinunciato a una profittevole valorizzazione immobiliare per dare un contributo solidale alla città. Lo stesso è avvenuto con l’edificio che prima era un Ferrhotel, in via del Mandrione. Ma forse l’iniziativa che più mi è rimasta nel cuore è la raccolta di fondi effettuata con la vendita di cioccolata a bordo dei Frecciarossa», confessa Feroci, «perché tanti ferrovieri, fuori dai turni di lavoro, si sono uniti ai nostri volontari

in un clima di fratellanza e solidarietà. Io stesso, devo dire, ho avuto sempre rapporti molto belli e collaborativi con tutti gli amministratori delegati del Gruppo FS che si sono succeduti nel corso del mio mandato. E so che anche oggi il livello di cooperazione continua a essere molto buono: credo ne sia prova anche l’udienza privata che il Santo Padre ha voluto concedere a un nutrito gruppo di dirigenti e dipendenti. Beh – ride, ndr – ora i ferrovieri potranno dire che hanno un loro cardinale: mi sento parte di questa grande famiglia di lavoratori, di uomini ricchi di buona volontà». Ma ora cosa farà da cardinale don Enrico? «Quello che faccio sempre. Da quando ho lasciato la Caritas vivo al Divino Amore, un luogo caro alla memoria e alla devozione di tanti romani, dove sono il rettore del Santuario, ma anche parroco e rettore del Seminario. Il da fare non mi manca: quando ero a San Frumenzio, la mia parrocchia confinava con lo scalo di Roma Smistamento, quando dirigevo la Caritas alla Cittadella della Carità di ponte Casilino il mio ufficio era talmente vicino al sedime ferroviario che ogni volta che passava un treno ballava il lampadario. E ora, anche qui in mezzo alla campagna romana del Divino Amore, ogni tanto sento il fischio dei treni che un po’ di chilometri più in là corrono sulla Roma-Napoli. Non mi libererò mai di voi. E ne sono felice».

Don Enrico Feroci all'inaugurazione dell'Ostello Don Luigi Di Liegro, a Roma

© Stefano Costantino/LaPresse

Don Enrico Feroci, 80 anni da poco compiuti, ancora non se ne capacita: Bergoglio ha voluto cardinale proprio lui, il prete dei poveri, il parroco delle periferie romane, con uno di quei gesti a sorpresa a cui ha abituato i fedeli. Consacrato vescovo il 15 novembre dal vicario del Papa, monsignor Angelo De Donatis, ha ricevuto dalle mani del Pontefice la berretta cardinalizia nel Concistoro del 28 novembre. Ma per chi lo conosce da tempo si tratta del riconoscimento solo formale di un carisma pastorale noto e apprezzato da tutta la Chiesa di Roma, e forse arrivato in ritardo. «No – si schermisce lui – tutte le esperienze che ho attraversato nei miei 55 anni di sacerdozio sono state un dono del Signore. In particolare, i nove ricchissimi anni durante i quali ho diretto la Caritas di Roma: non sarei quello che sono senza quel periodo trascorso con i poveri per i poveri». E sicuramente è stata proprio quell’esperienza, svolta con dedizione piena e passione, a spingere papa Francesco, nella sua predilezione per gli ultimi, a volere don Enrico nel collegio cardinalizio. Dopo essere stato per 28 anni parroco di San Frumenzio, nel quartiere romano del Nuovo Salario, fu infatti scelto nel 2008 per guidare la Caritas romana, secondo successore del fondatore don Luigi Di Liegro. Un piccolo esercito della carità composto da oltre 200 operatori e cinquemila volontari che operano in ogni angolo della Capitale, con mense, dormitori e case famiglia. «Una città in cui un solo uomo soffre di meno, come diceva don Di Liegro, è un posto più felice, e questa è stata la mia missione in tutti quegli anni. Penso che siamo riusciti a fare del bene, ma ce n’è ancora tanto bisogno. Lo sai che ogni notte a Roma settemila persone dormono in strada? E poi ci sono le nuove povertà che ho potuto sperimentare in questi anni, dalla crisi economica del 2008 alla pandemia di oggi: tante famiglie si sono ritrovate in una imprevedibile e grave difficoltà. Abbiamo creato un Fondo per le famiglie, sostenendone centinaia ed evitando che cadessero nel baratro», prosegue Feroci. «La carità non si esibisce, e della carità non ci si inorgoglisce, ma mi sen-

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INCLUSION

UNITI CONTRO LA VIOLENZA TRASFORMARE DUE CASE SEQUESTRATE ALLA CRIMINALITÀ IN UN LUOGO SICURO PER LE DONNE IN FUGA DAI MALTRATTAMENTI. QUESTO L’OBIETTIVO DELLA RACCOLTA FONDI PROMOSSA DA DIFFERENZA DONNA E FERROVIE DELLO STATO

© Pax Paloscia

di Elisabetta Reale

A

ccogliere, sostenere e supportare le donne che hanno subito violenza, affinché possano riprendere in mano la propria vita, e accompagnare i loro bambini o bambine – vittime anche loro – verso luoghi sicuri e liberi. È questo lo scopo della Ong Differenza Donna che in collaborazione con il Gruppo FS Italiane lancia la campagna di raccolta fondi Ogni donna che vince la violenza cambia il mondo. Le donazioni serviranno per sostenere un

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progetto che, entro un anno, vuole garantire accoglienza in due case della Capitale in zona Prati, sequestrate alla criminalità, a 74 donne e 148 minori in fuga dalla violenza. L’iniziativa viaggerà sul web: sarà possibile fare una donazione a favore dell’associazione dal 18 dicembre al 30 giugno, attraverso il sito FS, i canali media e i social del Gruppo. È possibile partecipare alla campagna anche attraverso le biglietterie self-service di Trenitalia.

Differenza Donna nasce a Roma nel 1989 per aiutare concretamente le donne in uscita dalla violenza, garantendo protezione, indipendenza, presa di consapevolezza del proprio valore e dei propri diritti. In oltre 30 anni ha sostenuto 35mila donne e più di 60mila bambini e bambine attraverso i Centri antiviolenza. Ma l’associazione si occupa anche di prevenzione nelle scuole attraverso percorsi per aiutare ragazzi e ragazze, che saranno gli adulti di domani, a in-


© Pax Paloscia

tessere relazioni autentiche e positive al di fuori di stereotipi e pregiudizi. «Oggi più che mai sappiamo che potenziare gli interventi di accoglienza e sostegno per le donne è l’unica strategia per ottenere una società più giusta, inclusiva e aperta alle loro aspirazioni», spiega la presidente di Differenza Donna, Elisa Ercoli. Il progetto sostenuto dal Gruppo FS si rivolge a tutte le donne in difficoltà: italiane, migranti, giovani, anziane, con disabilità. E consente di restituire alla comunità due case, che le erano state indebitamente sottratte, trasformandole in luoghi sicuri di protezione. In questo modo si favorisce la partecipazione attiva delle vittime e dei loro figli, attraverso un modello di intervento nuovo, in grado di coinvolgere sinergicamente la società

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civile e la rete territoriale che la Ong ha costruito in tanti anni di esperienza. In un clima di fiducia, nella casa di Differenza Donna, operatrici specializzate assicurano supporto, assistenza legale e consulenza medica sui danni psico-fisici provocati dalla violenza. Ma anche formazione e orientamento al lavoro, in un’ottica di empowerment e di ripresa della propria vita, per scoprire talenti e realizzare sogni. Particolare attenzione viene data alle donne con disabilità che, per la loro vulnerabilità, sono esposte cinque volte di più al rischio di subire sopraffazioni e stupri. Per loro la Ong è riuscita a mettere a punto dal 2008 una divisione specializzata. Un impegno speciale serve anche per aiutare i più fragili di tutti, bambini e adolescenti, che grazie al progetto potranno avere un luogo tutto per loro, dove essere ascoltati, partecipare a laboratori ludico-espressivi, ricevere supporto emotivo per provare a ricostruire la relazione con la propria madre ed elaborare il trauma subito. «Da luglio 2020 Differenza Donna», aggiunge Ercoli, «gestisce il 1522, il numero di pubblica utilità a sostegno delle vittime di violenza e stalking attivato nel 2006 dal dipartimento per le Pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che risponde a richieste che arrivano da tutta Italia». Il periodo di lockdown a causa del Covid-19 ha creato un’emergenza nell’emergenza. La convivenza forzata tra le mura domestiche ha esposto infatti

donne che già subivano maltrattamenti a un’ulteriore difficoltà, impedendo loro di fare una chiamata per chiedere aiuto o recarsi alle forze dell’ordine. Differenza Donna non le ha lasciate sole, potenziando i servizi di ascolto all’interno dei centri, consentendo i contatti 24 ore su 24 via WhatsApp, e-mail e messenger e predisponendo nuovi luoghi per ospitare le donne in difficoltà e i loro figli. Ai progetti della Ong, FS Italiane contribuisce grazie alla tradizionale raccolta fondi che inizia nel periodo natalizio e prosegue fino a giugno. Ma il Gruppo si impegna anche a tutto tondo per la promozione dell’inclusione di genere e lo sviluppo del talento femminile a tutti i livelli nelle sue società, promuovendo azioni per la tutela dei diritti umani, dell’infanzia, dell’adolescenza, della parità fra donne e uomini, eliminando ogni forma di discriminazione. Consapevole dell’importanza della diversità quale valore fondamentale, FS ha sottoscritto anche i Women’s Empowerment Principles definiti dal Global Compact delle Nazioni Unite e da UN Women: linee guida su cui basare azioni concrete per raggiungere il bilanciamento di genere e l’empowerment femminile. Lo stesso ad del Gruppo, Gianfranco Battisti, è stato nominato nel 2019 Ambasciatore europeo per la diversità. differenzadonna.org | fsitaliane.it ongdifferenzadonna differenzadonna differenzadonna Differenza Donna 97


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LA SPERANZA DELLA NATIVITÀ VIAGGIO TRA I PRESEPI PIÙ CREATIVI D’ITALIA. CHE NELL’ANNO DELLA PANDEMIA DIVENTANO L’ICONA PIÙ POTENTE DELLA VITA CHE SCONFIGGE LA MORTE di Peppe Iannicelli - peppeiannicelli65@gmail.com

Il presepe semovente di Giacomo e Lorenzo Randazzo a Cinisi (PA)

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e piace ʼo presepio?». La domanda che Luca Cupiello rivolge nella commedia tragicomica di Eduardo De Filippo al figlio Tommasino è ancora più lancinante nell’anno del Covid-19. Il primo Natale, speriamo anche l’ulti-

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mo, con il coronavirus trova un’umanità priva di certezze. Assomigliamo tutti ai protagonisti di Natale in casa Cupiello: incerti del futuro mentre il mondo rassicurante di ieri si sfalda sotto i nostri piedi. Ed è questo il sentimento che ha ispirato i curatori e gli

allestitori dei presepi artistici esposti in chiese, santuari e luoghi simbolo della cristianità. La contemplazione di questi capolavori è un viaggio nell’arte religiosa e nella creatività popolare italiana. È un Natale come mai prima quello


che ci apprestiamo a vivere. Scarnificato delle sue manifestazioni esteriori più eclatanti (luminarie, mercatini, feste), da vivere piuttosto nel più ridotto raccoglimento familiare. Il presepe, più dell’albero, diventa simbolo di speranza; icona di una normalità che ci auguriamo di ritrovare quanto prima; rassicurante raffigurazione della potenza divina della vita che sconfigge le tenebre della morte; dolce ricordo di chi non c’è più. Questo itinerario tra le Natività d’Italia non può che cominciare da piazza San Pietro, a Roma. Sotto le finestre di papa Francesco è allestito il tradizionale maxi presepe. Per questa edizione la sacra rappresentazione proviene da Castelli, in provincia di Teramo. Le statue in ceramica, a grandezza naturale, sono frutto della creatività decennale di docenti e alunni del liceo artistico F.A. Grue. Una pedana luminosa ospita l’allestimento che si potrà ammirare fino all’Epifania. A dominare la scena la Sacra famiglia con i Re Magi in adorazione, simbolo dell’universalità del messaggio cristiano. L’Angelo con le ali aperte evidenzia la protezione divina sul Salvatore del mondo e dell’umanità. L’albero di Natale è un maestoso abete rosso proveniente dalla Slovenia. Gli artigiani di San Gregorio Armeno a Napoli, capitale mondiale del presepe, hanno già confezionato i protagonisti del 2020: non le star della musica, della politica o dello sport, ma medici e infermieri, i nuovi eroi al tempo della pandemia. Sono oltre 350, invece, i pezzi del presepe del Banco di Napoli custodito a Palazzo Reale. Un capolavoro realizzato tra il XVIII e il XIX secolo, ambientato in un paesaggio rupestre del ‘700. All’ombra del Vesuvio si svolge la giornata di venditori, musicanti, bottegai, macellai, maniscalchi, fabbri, giocatori di carte e mendicanti riprodotti con dettagli sorprendenti. La Natività irrompe sulle macerie di un tempio classico, evidente metafora della vittoria del vero Dio sui pagani “falsi e bugiardi”, come li definiva il poeta Virgilio sepolto a pochi chilometri dal Palazzo abitato dai Borbone e dai Savoia. PANE, SALE E CARTAPESTA La fantasia degli artigiani si manifesta

La Via dei presepi a Castel Fiorentino (FI)

nel sapiente utilizzo di materiali legati al territorio e alle principali attività umane. Il Castello Carlo V di Lecce ospita nella Cappella di San Francesco una magnifica Natività ottocentesca di cartapesta, opera dell’artista Luigi Guacci. Nel percorso di visita si possono anche apprendere i segreti della sua lavorazione, dalla manipolazione della materia prima al prodotto finito. La cristallizzazione guidata del sale ha permesso invece la realizzazione del presepe allestito da Agostino Finchi nel Museo del sale di Cervia (RA), in Emilia-Romagna. L’esposizione è allestita nei paraggi di una delle saline più grandi e produttive d’Italia. Qui il prodotto millenario del territorio diventa la materia prima per esprimere una sensazionale devozione artistica. I personaggi principali sono 15 e raggiungono i 40 centimetri d’altezza. Dal sale di Romagna al pane di Sardegna. A Olmedo (SS) il presepe della chiesa romanica di Nostra Signora di Talia è tutto creato da maestri panificatori e massaie con acqua, lievito, farina e tanto olio di gomito per riprodurre la notte di Betlemme con figure di pasta bianchissima. I personaggi del presepe si avviano verso la grotta guidati dalla luce di “sa Pinnetta”, la

stella cometa. I dettagli più originali sono realizzati con “sas imprentas”, speciali timbri modellanti: così si ammirano forbici, ditali e occhiali brillantissimi, merito di una speciale tecnica di lucidatura. PRESEPI IN MOVIMENTO Anche se quest’anno i presepi viventi, che coinvolgevano moltissimi borghi italiani, sono vietati per scongiurare assembramenti, si possono però ammirare quelli meccanici. Quaranta motorini e sei pompe idrauliche generano ben 32 movimenti diversi dei protagonisti della Natività di Vernasca (PC). Un vecchio motore elettrico ricavato da una nave in demolizione dona invece la vita ai 100 personaggi animati del presepe meccanico allestito nella parrocchia SS Annunziata di Torino. Le meravigliose statue di legno sono state realizzate dagli artigiani della Val Gardena. Arti e mestieri della tradizione siciliana ispirano la rappresentazione artistica semovente di Giacomo e Lorenzo Randazzo a Cinisi (PA). In scala 1:10, sotto gli occhi di Gesù Bambino, si svolgono attività contadine ormai in via di estinzione. Mentre la capanna del presepe ecologico di Castel Fiorentino (FI) s’illumina pedalando. Il paese toscano ospita una vera e pro99


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pria Via dei presepi: c’è quello con i Pinocchi, dove Gesù vince le menzogne del mondo, quello con effetti speciali, dove si alternano diverse condizioni meteorologiche, o il presepe nel pozzo con effetto cascata. NATIVITÀ TRA SANTUARI E ABBAZIE Il santuario di Montevergine, in provincia di Avellino, ospita lavori artistici internazionali, come i curiosi presepi argentini, peruviani, giapponesi, vietnamiti ed eschimesi. Una rassegna universale della creatività ispirata dal Natale proveniente anche da Paesi in cui la religione cristiana è poco conosciuta e praticata. Provengono da tutto il mondo anche le rappresentazioni ospitate dall’abbazia di Morimondo, alle porte di Milano. Il chiostro, le sale interne e le navate della chiesa consentono al pellegrino di vivere con intensità spirituale il mistero della Natività. Infine, il santuario di Nostra Signora Assunta di Carbonara a Genova, detto La Madonnetta, offre agli occhi dei visitatori un presepe ambientato nell’antica città con 100 sculture lignee in costumi d’epoca. Gesù Bambino nasce tra paggi, cavalli e marinai all’ombra della Lanterna. E, se questo non dovesse bastare ad aprire i nostri cuori, al santuario si arriva con una funicolare che regala un meraviglioso panorama della città.

© Rinaldi @genovacittadigitale

Il presepe della Madonnetta a Genova

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Uno dei capolavori artistici del santuario di Montevergine (AV)


INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

ALLA SCOPERTA DEL

PROSCIUTTO DI SAN DANIELE: LA QUALITÀ DEL MADE IN ITALY

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metà strada tra le Prealpi Carniche e il Mar Adriatico, sorge San Daniele del Friuli, un caratteristico borgo friulano che custodisce da secoli un’incredibile tradizione gastronomica. Stiamo parlando del Prosciutto di San Daniele, fiore all’occhiello dell’eccellenza alimentare Made in Italy: una produzione artigianale secolare tramandata dai mastri prosciuttai di generazione in generazione. Grazie ai 31 produttori facenti parte del Consorzio del Prosciutto di San Daniele, organismo di tutela nato nel 1961 con l’obiettivo di preservare e valorizzare questa antica tradizione, ogni giorno il Prosciutto di San Daniele arriva sulle tavole degli italiani, un’eccellenza riconoscibile in tutto il mondo.

LA MAPPA DEL GUSTO: ECCO COSA RENDE UNICO IL PROSCIUTTO DI SAN DANIELE Una tradizione che si lega a doppio filo con il territorio, per ottenere il gusto unico del San Daniele DOP sono necessari solo tre ingredienti: carne di suino italiana (proveniente da allevamenti autorizzati situati in 10 specifiche regioni d’Italia) selezionata, sale marino e lo speciale microclima di San Daniele del Friuli. Grazie all’incontro dei venti alpini e la brezza marina, insieme alla presenza del fiume Tagliamento che lambisce il borgo, San Daniele del Friuli è un luogo costantemente ventilato e con un controllato livello di umidità, ideale per la stagionatura dei prosciutti, che dev’essere superiore ai 13 mesi. Le specificità del territorio insieme all’unicità di una tradizione straordinaria hanno permesso al San Daniele di fregiarsi nel 1996 del marchio DOP, sinonimo di una filiera produttiva che promuove da sempre la qualità e la genuinità degli ingredienti. IL PROSCIUTTO DI SAN DANIELE È BUONO ANCHE PER LA SALUTE Un gusto unico che si combina a un perfetto mix di proprietà nutritive: il San Daniele – composto da proteine di alta qualità – si caratterizza per un elevato valore nutrizionale e una rapida digeribilità, qualità conferita dalla lenta stagionatura. Inoltre, è totalmente privo di conservanti, nitriti e nitrati, caratteristiche che lo rendono un prodotto ideale per ogni regime alimentare. Ma non solo: è fonte di vitamine, sali minerali e oligoelementi, la cui assunzione è essenziale per il corretto funzionamento dell’organismo.

A NATALE PORTA IN TAVOLA IL SAPORE DEI PRODOTTI MADE IN ITALY Il Natale è sinonimo di convivialità, allegria e soprattutto di buon cibo. In questo clima festoso il San Daniele DOP diventa il protagonista di numerose ricette che racchiudono lo spirito delle feste natalizie: come per esempio sfiziosi antipasti, primi della tradizione e secondi piatti ricchi di gusto. Il Natale diventa dunque l’occasione perfetta per portare in tavola le eccellenze del Made in Italy e scoprire il gusto di un territorio unico come il Friuli-Venezia Giulia. Il San Daniele DOP è un regalo che saprà sorprendere, grazie alla qualità e genuinità degli ingredienti DOP tipici di un alimento simbolo di una cultura alimentare tutta italiana. Scegliere un prodotto Made in Italy per il menù delle feste significa dunque puntare sulla qualità delle materie prime e soprattutto sostenere un settore che vanta una tradizione gastronomica senza eguali. Ma non solo: con il Natale alle porte e con la scelta dei regali spicca il dono a tema food che, grazie alla riscoperta delle unicità alimentari italiane, resta un pensiero apprezzato dai conoscitori della buona tavola. Il Prosciutto di San Daniele rappresenta un must da inserire nel proprio cesto gourmet per renderlo ancora più esclusivo e appetitoso. prosciuttosandaniele.it

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A PIEDI NEL

CILENTO UN NUOVO CAMMINO DI 90 CHILOMETRI, TRA LA VALLE DEL CALORE E I MONTI ALBURNI, PER SCOPRIRE UN TERRITORIO POCO NOTO CHE RACCHIUDE ANCHE PATRIMONI DELL’UMANITÀ di Valentina Lo Surdo valentina.losurdo.3

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ilmondodiabha.it Photo Federico Valeri

La prima tappa del cammino da Sant’Angelo a Fasanella a Roscigno (SA) 102

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re amici e un cammino. In questi semplici dati è racchiusa la formula genetica del percorso che lo scorso ottobre è stato inaugurato dai passi di chi scrive: A piedi nel Cilento. Con Federico Valeri, che al mio fianco ha fotografato questa nuova avventura, siamo stati infatti i primi a percorrere i 90 chilometri previsti, svelando un territorio troppo a lungo oscurato dal profilo maestoso dei templi di Paestum e da quel cinematografico lembo di terra in provincia di Salerno che, nel suo contatto con il mare, disegna le attraenti curve della costiera cilentana. Al loro cospetto, gran parte dell’entroterra appare come una vasta e sconosciuta area, custodita dall’anfiteatro naturale dei Monti Alburni che ne preserva l’arcaica autenticità, lontano dagli sguardi di un turismo assuefatto da fin troppa bellezza. Nel Cilento interno, insomma, non ci capiti per caso: devi volerlo raggiungere, e contemplare, a ritmo lento.

Ma andiamo a ricostruire la storia di un’amicizia cui si deve il merito di aver inanellato, in un comodo percorso circolare, gemme preziose eppure poco valorizzate come Roscigno, Sacco, Magliano, Felitto, Aquara e, soprattutto, Sant’Angelo a Fasanella, alfa e omega del percorso, custode di ben due siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. I protagonisti di questa storia si chiamano Francesco Coppola, Giacomo Cacchione e Donato D’Ambrosio, tre ragazzi nati in Campania (Francesco è di Scafati, Giacomo di Torre del Greco, Donato di Angri) che si considerano ormai cilentani d’adozione. Sono venuta a conoscenza del loro progetto nel 2017, quando conobbi Coppola durante l’ascesa al Cebreiro lungo il Cammino di Santiago e ascoltai per la prima volta i suoi emozionanti racconti su un Cilento ignoto. Fu durante quella salita che Francesco mi accennò all’idea di disegnare un percorso capace di met-

tere insieme alcune delle bellezze cilentane nascoste. Un auspicio divenuto realtà grazie all’incontro con gli altri due appassionati sostenitori di questa terra, che ha portato alla realizzazione della guida A piedi nel Cilento recentemente pubblicata per Officine Zephiro (pp. 104 € 15), Giacomo, la cui moglie è di Sant’Angelo a Fasanella, si innamorò del tratto più interno del territorio nel 2001: «Quando approdai per la prima volta nella cittadina di Giovannella, fu amore a prima vista. E io mi consideravo un uomo di mare!», ricorda con meraviglia. Il terzo amico è invece il camminatore più esperto, un atleta di corsa in montagna. Donato entrò nella vita di Giacomo nel 2012, come racconta ancora: «Non appena lo conobbi, mi invitò a fare la mia prima escursione al Monte Cauraruso, affrontando un dislivello di mille metri tutti d’un fiato. Con mia grande sorpresa fu un autentico colpo di fulmine e da allora non ho più passato una domenica senza un sentiero sotto i

Panorama visto attraverso le mura della chiesa di San Nicola di Bari, presso le rovine di Sacco Vecchia (SA) 103


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piedi», spiega. Nel 2018 scoccò infine la scintilla creatrice di A piedi nel Cilento: «Grazie a un’intuizione di Francesco, che avevo conosciuto nel 2015, partecipammo tutti e tre a un corso per accompagnatori escursionistici organizzato dalla Fie (Federazione italiana escursionismo). Così, per la tesi del nostro diploma, decidemmo di presentare un nuovo itinerario cilentano: quello che, con alcuni ritocchi, mi si palesò improvvisamente sotto il naso contemplando il panorama dal balcone della casa di Giovannella. La vista comprendeva Corleto Monforte, con il Monte Pruno a sinistra, dietro al quale si nasconde Roscigno, e a destra il colle dove sorge Bellosguardo che invece nasconde Felitto. Tutti questi luoghi disegnavano un semicerchio, che decidemmo di far diventare un anello con il ritorno proprio a Sant’Angelo, passando per Castel San Lorenzo, Aquara e Ottati», prosegue Giacomo. E così, sospinto dall’entusiasmo dei tre amici, il progetto A piedi nel Cilento sta risvegliando un territorio rigoglioso, messo a sonnecchiare da un turismo imperdonabilmente dimentico. Oggi sono già tanti gli ospitalieri e i ristoratori coinvolti dai tre autori per curare l’accoglienza dei camminatori che, a partire dal-

la primavera 2021, accorreranno su questi sentieri. Le tappe da affrontare sono sei, con un epilogo sul Monte Panormo, e il premio per i chilometri compiuti si riscuote a tavola, recuperando calorie con i fusilli felittesi, i cavatelli maglianesi, le zuppe povere come i ciccimmaretati, le melanzane ‘mbuttunate, la caponata ciauredda, il caciocavallo podolico, gli asparagi selvatici, le polpette di ricotta e gli immancabili prodotti a base di bufala. La sera del primo giorno si arriva a Roscigno, passando per Corleto Monforte dov’è imperdibile la visita al Museo naturalistico degli Alburni che, grazie alla passione del direttore Camillo Pignataro, è divenuto uno dei musei più ricchi di fauna avicola di tutta Europa. La tappa tocca anche il sito archeologico di Monte Pruno con il suo vasto insediamento enotrio e lucano, per poi approdare alla meravigliosa Roscigno Vecchia. Abbandonata a inizio ‘900 a causa di fenomeni franosi, il nucleo urbano è stato ricostruito più a monte, mentre la città fantasma oggi conta in Giuseppe Spagnuolo il suo unico abitante: irresistibile cantastorie che baratta antiche leggende con un fiasco di vino rosso. Si prosegue poi, nella seconda tappa, in un crescendo di meraviglia che raggiunge il

Il più impegnativo dei tre sentieri per raggiungere le rovine di Sacco Vecchia (SA)

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culmine arrampicandosi fino a Sacco Vecchia, alle falde del massiccio del Monte Motola, e la fotografia più impressionante la si può scattare dai resti della chiesa di San Nicola di Bari, da cui si gode uno scorcio da capogiro. Lungo il percorso meritano un’approfondita sosta anche le Sorgenti del Sammaro, con le suggestive cavità carsiche, la poco distante Grotta di Jacopo e la stessa città nuova di Sacco, con la luminosa chiesa barocca di San Silvestro e i palazzi gentilizi adornati da portali in pietra. Il terzo giorno si giunge a Magliano (Vetere e Nuovo) dopo aver percorso un sentiero che, raggiunto uno dei numerosi ponti medievali che punteggiano tutto il cammino, si apre sulle splendide Gole del Calore. Magliano Vetere è caratterizzata da un pregiato Museo paleontologico, che fa parte del Geoparco nazionale del Cilento, nominato Patrimonio dell'Umanità dall’Unesco, mentre Magliano Nuovo offre il meglio di sé con il gioiello architettonico della parrocchia di Santa Maria Assunta. In città non può mancare l’incontro con Pietro Breglia, l’uomo che cammina scalzo, uno dei massimi conoscitori dei sentieri che solcano il Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, dove è ambientata la nostra


Paesaggi lunari lungo il sentiero che porta in vetta al Monte Panormo

avventura a piedi. Con lui si potranno raggiungere anche le spettacolari chiese rupestri, arrampicate sulla montagna. Verso la meta successiva, l’indomani ci aspetta un tracciato romantico sin dal titolo, la Via dell’Amore, che fiancheggia le incantevoli Gole del Calore fino a Felitto. Imperdibile la sosta al ponte di Pietratetta e la breve deviazione per visitare la grotta dell’eremita Bernardo. Anche l’arrivo a Felitto sa regalare sorprese: con le sue 13 porte e le quattro torri che incorniciano l’antico borgo, è testimone di una posizione privilegiata a dominio di tutta la Valle del Calore. La penultima tappa ci porta ad Aquara, ma prima di incamminarsi vale la pena affacciarsi sul ponte medievale che simbolicamente rappresentava per i felittesi, costretti a emigrare nel Dopoguerra, l’ultimo saluto prima di lasciare per sempre la propria terra. Durante un percorso cinto dalle acque del fiume Calore, dove merita una pausa la grande Pietra di San Lucido, il sasso che accoglieva i momenti di preghiera del Santo Patrono di Aquara, si apre improvvisa alla vista l’emozione dell’affaccio definitivo sui Monti Alburni. Aquara è vicina e rivelerà la sua antichissima storia e i passaggi di Longobardi, Normanni, Svevi, Angioini e Borbone nel ricco lascito di chiese, monumenti e nel castello

medioevale. E si è pronti per il ritorno a Sant’Angelo a Fasanella, dove ci sarà il tempo per ricevere gli ultimi doni di questo sorprendente itinerario, con la visita di due siti Unesco: la stupefacente Grotta di San Michele, una delle più imponenti al mondo, e l’Antece, divinità guerriera dell’Alburno

scolpita nella pietra tra il VI e il II secolo a.C. Infine il Monte Panormo, che ci aspetta per l’epilogo: prima di tornare a casa non può mancare un’escursione sulla cima più alta degli Alburni: 1.742 metri per ammirare la meravigliosa faggeta, le sue doline carsiche, le vertiginose grave e, dalla vetta, il mare fino a Capri.

Valentina Lo Surdo con Francesco Coppola, Giacomo Cacchione e Donato D’Ambrosio sulla vetta del Monte Panormo (SA) 105


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IL MONDO CHE VEDREMO COMUNITÀ, DIVERSITÀ, SOSTENIBILITÀ. QUESTI I VALORI DA INSEGUIRE PER I VIAGGI DEL FUTURO SECONDO LONELY PLANET. NELLA CLASSIFICA BEST IN TRAVEL 2021 I CAMMINI DI DANTE E UNA FIRENZE INEDITA di Angelo Pittro [Direttore Lonely Planet Italia]

V © Chiara Salvadori

ien da chiedersi se abbia ancora senso parlare di viaggi in un momento in cui il mondo sembra essersi fermato, con gli aerei che restano a terra, gli alberghi che chiudono e lo spettro del virus che impedisce di sognare un altrove. Ogni anno, noi di Lonely Planet cerchiamo di rispondere a una semplice domanda: qual è il posto migliore da visitare,

Le Vie di Dante, Brisighella (RA)

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adesso? La risposta sono i suggerimenti raccolti in Best in Travel e suddivisi nelle ormai tradizionali tre classifiche di Paesi, Regioni e Città. Questa volta, però, abbiamo deciso di fare qualcosa di diverso rispetto al passato. Ci siamo guardati allo specchio e ci siamo detti che parlare di viaggi ha senso solo se si pensa e si agisce in modo diverso dal passato, perché il cambiamento nel nostro modo di viaggiare parte dal cambiamento di noi stessi. Per questo, nel Best in Travel 2021 abbiamo segnalato luoghi e persone che dimostrano un autentico impegno a favore della comunità, della diversità e della sostenibilità. Abbiamo dato spazio a chi rappresenta un esempio da seguire, senza distinzione tra luoghi, istituzioni, associazioni o privati cittadini. Nella categoria sostenibilità, abbiamo premiato dieci realtà che stanno trasformando il mondo rendendolo un posto migliore, per noi e per le generazioni future. Come il Ruanda che è riuscito a scongiurare l’estinzione dei gorilla di montagna attraverso un piano di tutela ambientale che può essere adottato da altre nazioni.


© givaga/Shutterstock

Piazza del Duomo e la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze

Anche in Italia ci sono esperienze capaci di rappresentare un modello in termini di sostenibilità come Le Vie di Dante, iniziativa che raccoglie i percorsi tra Emilia-Romagna e Toscana sulle orme del Sommo Poeta nell’anno in cui si celebrano i 700 anni della sua morte. Fiore all’occhiello di questo patrimonio fatto di borghi, castelli e pievi romaniche è il Cammino di Dante, un itinerario che unisce Ravenna, dove il poeta fu sepolto, a Firenze, l’amata città che gli diede i natali. Nella categoria diversità, ci sono luoghi che raccontano una storia differente o personalità che danno voce a fasce di viaggiatori che spesso non trovano modo di farsi sentire. Il mosaico di esperienze si compone di città come Amman, in Giordania, o l’arcipelago delle Sea Islands, negli Usa, fino alla minuscola isola di El Hierro, in Spagna, premiata per la sua anima ambientalista: prima isola al mondo a essersi posta l’obiettivo di produrre il 100% della propria energia da fonti rinnovabili. Tra coloro che raccontano storie di inclusività c’è Jeff Jenkins, creatore di Chubby Diaries, sito web che fornisce informazioni pratiche ai viaggiatori oversize; oppure Wheel the World, agenzia di viaggi che consente a persone con disabilità di esplorare il mondo senza limiti, offrendo esperienze di viaggio accessibili in giro per il mondo. Nella sezione comunità, abbiamo voluto evidenziare le iniziative di quelle persone che lavorano per offrire ai visitatori esperienze autentiche e promuovono un turismo che è insieme fonte di ricchezza e valorizzazione delle comunità locali. In Italia, la texana Georgette Jupe racconta

Firenze attraverso gli occhi di artigiani locali e residenti stranieri, mostrando un volto inedito della città nel suo blog Girl in Florence. In Kazakistan si promuove l’ospitalità dei viaggiatori nei villaggi rurali, proponendo soggiorni in case private che consentono agli abitanti di accedere a nuove opportunità economiche. Mentre la città di Medellín, in Colombia, è stata capace di trasformarsi da capitale dei grandi trafficanti di droga a metropoli più cool di questo Paese sudamericano. Un risultato impressionante è anche quello che sta cercando di raggiungere l’Australia, investendo 200 milioni di dollari per salvare specie autoctone come il koala e il dasiuro di Kangaroo Island, vittime degli incendi più disastrosi mai registrati nella storia del Paese. Secondo le stime, infatti, tre miliardi di animali sono rimasti uccisi o feriti in conseguenza di questa catastrofe. Anche il turismo sembra destinato a svolgere un ruolo nella ricostruzione grazie a operatori che offrono ai visitatori la possibilità di piantare nuovi alberi. A tutti i viaggiatori che si offrono volontari per il lavoro di ripristino delle aree danneggiate è consentito rimanere nel Paese per 12 mesi, invece dei consueti sei, abbinando volontariato a visite esplorative. Lasciarsi alle spalle il 2020 ci impone di cambiare sguardo sul mondo che ci circonda. Best in Travel 2021 è il nostro contributo per incoraggiare i lettori a viaggiare nella giusta direzione. lonelyplanetitalia.it lonelyplanetitalia lonelyplanet_it lonelyplanet_it 107


GENIUS LOCI

di Peppone Calabrese PepponeCalabrese [Conduttore Rai1, oste e gastronomo]

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SOGNANDO IL

TÖRGGELEN

© laion

NEL BORGO DI LAION, ALLE PORTE DELLE DOLOMITI, PER RICORDARE UNA TRADIZIONE CONVIVIALE TIPICA DELL’ALTO ADIGE

Foliage a Laion (BZ), sullo sfondo il Sassolungo e il Gruppo del Sella (Dolomiti)

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mmaginate una porta nel bel mezzo di un prato circondato dalle più belle montagne del mondo, malghe e soleggiati vigneti. Apritela e, senza fretta, lentamente, entrate nel paesino dal nome Laion in Alto Adige, borgo alle porte delle Dolomiti. A me è andata così, quando tutto questo era possibile: passeggiando in un prato verde, assorto nei miei pensieri, quelli che solo la montagna riesce a scatenare, rifletto su quanto possa essere importante per l’animo godere

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della bellezza della natura. Per quanto si sia voluto bonificare, costruire strade e palazzi, noi esseri umani siamo sempre ospiti di Madre Natura. Sono totalmente rapito dal meraviglioso paesaggio alpino delle Dolomiti, quello che Le Corbusier definì «la più bella architettura naturale del mondo», e probabilmente aveva ragione perché, con le loro pareti bizzarre che si stagliano imponenti in cielo, queste montagne nominate Patrimonio Naturale dell’Umanità dall’U-

nesco sono uniche. Entro in paese, la posta, il fornaio, alberghi e case bianche con i fiori ben curati sui balconi, tetti di legno spioventi, la piazzetta con la chiesa; chiedo informazioni a un vecchietto in merito al sentiero Walther von der Vogelweide, il poeta-cantore medievale che si presume originario del posto, lui mi indica la via ma prima di proseguire, da curioso quale sono, chiedo il suo nome e cosa avesse fatto nella vita. Con grande sorpresa capisco che Al-


consiglia di fare il Törggelen: tutti in questo periodo lo fanno, è una sorta di quinta stagione. Mentre cammino, sono emozionato perché sto facendo il Törggelen anche se non ho ben capito cosa sia esattamente, ma se lo fanno tutti avrà pure qualche significato. Con le scarpe bagnate dall’erba umida, sento il belare di capre e incuriosito mi avvicino. Sono camosciate alpine cornute, una razza affascinante, docili e simpatiche, poco lontano un uomo distinto. Saluto dicendo «bon dii», come mi ha insegnato Christine, una mia amica altoatesina, e la risposta è – come mi aspettavo – cordiale. La prossemica invece un poco diversa dalla mia, forse troppo prossima all’altro, ma so che presto questa distanza si ridurrà. Gli altoatesini, ho imparato a conoscerli, sono genuinamente ospitali. Il proprietario delle capre si chiama David ed è il titolare di una di quelle storie fantastiche che si sentono raccontare come fossero una fiaba. David ha sentito il bisogno di cambiare radicalmente vita, da un ufficio con contratto a tempo indeterminato a una quotidianità a stretto contatto con la natura. Aveva fin da piccino il sogno di possedere delle capre tutte per sé,

le aveva sempre viste belle e felici quando ci giocava con i cuginetti. Ora ne ha più di 100 e produce latte fresco, yogurt, panne cotte e formaggi. L’orgoglio di David, però, è raccontare tutta la filiera, come si svolge la sua giornata, e sprigiona un’energia così coinvolgente che magicamente ti ritrovi a seguirlo nella stalla dove subito ti accorgi che l’attenzione alla salute degli animali è massima. Ora però da amante dei formaggi devo fare la domanda fatidica, la più importante per me e la più imbarazzante per gli allevatori: vorrei sapere cosa mangiano le capre, elemento fondamentale per un ottimo latte. È in quel momento, dai suoi occhi felici, che capisco perfettamente lo spessore di quell’uomo e quanto veramente ami i suoi animali. Mi mostra con fierezza, allargando le mani in un grande abbraccio al suo pascolo, di cosa si nutrono: erba e arbusti dalla primavera all’autunno e fieno di alta montagna in inverno. Sono felice e soddisfatto per aver incontrato un altro custode di tradizioni così antiche a tutela del territorio e della comunità, e proseguo il mio Törggelen. Il cielo è blu brillante, le foglie colorate scrocchiano sotto i piedi, abbraccio un albero e sono di nuovo feli-

© IDM Südtirol/trickytine

bert Fill, così si chiama, lavora ed è un artigiano. Ha iniziato a 14 anni e ancora oggi, a 80, realizza zaini. Entro in bottega e mi sento a casa: vista mozzafiato sulla montagna, grandi tavoli di legno di tiglio, macchine da cucire sparse, scaffali con utensili, stampi da taglio e gabbia con due canarini che Albert dice essere una tradizione per ciabattini e sarti. Lo vedo all’opera, mani ossute con evidenti segni di chi ha sempre lavorato, grande dimestichezza nell’uso degli utensili da lavoro e occhi vispi e attenti a ogni cucitura. Si percepisce nell’aria che in questa bottega si creano meraviglie. La luce della montagna che si riflette sulle pareti, il suono della macchina da cucire, il canto dei canarini e il respiro del nonnino al lavoro. Tutto in armonia per la realizzazione di un’opera d’arte. Ogni zaino racconta la sua esperienza, la cura e la passione per questo mestiere. L’attenzione al dettaglio è maniacale, tutto deve essere perfetto per la comodità dei viaggiatori che lo indossano. Chiedo ad Albert a quale fosse più affezionato e la risposta è commovente: «Al prossimo zaino da scuola per un bambino». È il momento di andare e Albert mi

Törggelen in Alto Adige 109


ce. Nel cammino incrocio diversi gruppi di ragazzi di ritorno dalla montagna, alcuni mi augurano buon Törggelen e io educatamente ringrazio con un sorriso non convintissimo ma fiducioso: mia madre è orgogliosa quando sono così educato. Dopo circa 20 minuti di cammino arrivo in un maso, proprietà fondiaria tipica del Tirolo caratterizzato dall’indivisibilità della proprietà, l’aria è frizzante, la gente è felice e molto ben disposta. Un gruppo di signori mi fa accomodare con loro e un po’ imbarazzato chiedo cosa sia questo Törggelen. Si tratta di un’usanza dei contadini che, per ringraziare parenti e amici venuti in soccorso per la raccolta dell’uva, offrivano loro da mangiare per rigenerarsi, ma anche per condividere la gioia e ringraziare Madre Natura per il raccolto. Questa tradizione nel tempo si è trasformata e oggi tutti gli abitanti di Laion, i loro ospiti e i turisti, dopo una bella passeggiata nella natura, si fermano nei masi e nelle osterie contadine per condividere questo rito ancestrale che a me sa molto di comunità. Mi sembra tutto chiaro, si fa anche dalle mie parti, si fa nelle dignitose civiltà contadine. E allora non c’è altro da fare che assaggiare quello che ci mettono in tavola, dallo speck ai Canederli fino alle castagne, con un bel bicchiere di vino. Missione compiuta. Törggelen fatto!

© laion_goashof

David con le capre del Goashof

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© IDM Alto Adige/Alex Filz

GENIUS LOCI

Chiesetta di Laion (BZ)



© Massimo Listri

ARTE

SULLE ORME DI HERA Paestum, il tempio dedicato alla dea Atena (cosiddetto Tempio di Cerere) datato al 510 a.C.

IN RETE IL PATRIMONIO DELL’INTERO PARCO ARCHEOLOGICO DI PAESTUM. IL DIRETTORE GABRIEL ZUCHTRIEGEL CI RACCONTA COME FUNZIONA IL SISTEMA CHE RENDE REPERTI E COLLEZIONI ACCESSIBILI A TUTTI

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di Francesco Bovio - f.bovio@fsitaliane.it

n archivio digitale che al momento vanta circa 27mila schede tra indagini, reperti, collezioni e monumenti e 18.700 elementi geolocalizzati sulla mappa archeologica. Si chiama Sistema Hera. Un database georeferenziato che deve il suo nome alla divinità greca sposa di Zeus, in grado di rintracciare ogni reperto presente nel Parco Archeologico di Paestum e Velia, specificando il luogo di rinvenimento ma anche indicando se è in restauro, in prestito o oggetto di studio. I numeri sono destinati a crescere con le nuove indagini in corso nel sito, come lo scavo nella Casa dei sacerdoti, un edificio nel cuore del santuario urbano, a pochi metri dal Tempio di Nettuno. Istituto del Mibact diretto dal 2015 da Gabriel Zuchtriegel, il Parco archeologico di Paestum e Velia ha presentato il suo

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database in rete lo scorso 20 ottobre. Gratuito e accessibile a tutti, il Sistema Hera ricostruisce in un ambiente digitale con fotografie, documenti e supporti video l’intero sito archeologico, Patrimonio Mondiale dal 1998. Direttore Zuchtriegel, con il Sistema Hera il viaggio a Paestum da fisico può diventare anche virtuale, quindi. Hera è molto di più di un catalogo digitale. È un sistema che consente di condividere e rendere accessibile una mole elevata di dati in una modalità più ampia, rapida e diretta. In questo ambiente diventa tutto più dinamico. Si può parlare di archeologia pubblica? Non è più solo l’oggetto nel museo che viene presentato, ma tutto il processo è condiviso e accessibile. Oggi lo scavo non si svolge più come una volta dietro recinzioni schermate ma, nel rispetto della sicurezza, accompagniamo le persone a visitarlo attraverso visite guidate. Certo, è un’operazione complessa, ma esistono tante possibilità di condividere qualcosa con il pubblico, anche per mezzo del digitale con filmati e foto sui social. Quale connessione ricostruisce l’archeologia con il territorio? L’archeologia ha il compito di ricollegare il territorio al suo passato, che non è solo quello scritto nelle fonti ufficiali. Perché racconta un altro pezzo della storia, l’agricoltura, l’insediamento, la gestione delle acque, insieme a tutto quello che era la vita quotidiana della gente comune. Attraverso l’archeologia possiamo scoprire che anche un pic-


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anche capire che il nostro presente è solo una transizione da una fase storica all’altra. C’è la possibilità di cambiare. E Paestum è un esempio, come molti altri siti, delle grandi trasformazioni e del loro significato nella vita delle persone. museopaestum.beniculturali.it parcoarcheologicopaestum paestumparco parcoarcheologicopaestum Parco Archeologico di Paestum e Velia

Anfora a figure rosse attribuita al pittore di Afrodite

© Parco Archeologico di Paestum e Velia

colo borgo in mezzo al Cilento ha una lunghissima storia: non è scritta da nessuna parte ma conservata nel sottosuolo. Qual è il futuro del Parco? Il messaggio è che a Paestum si può sempre venire. La migliore mostra permanente sono le attività che si svolgono nel sito, come gli scavi e le ricerche. Adesso è in corso il monitoraggio sismico sul Tempio di Nettuno e presto condivideremo i dati online. Molte volte facciamo il restauro in vetrina, nel museo, sotto gli occhi dei visitatori. E poi riportiamo i pezzi nei depositi, anch’essi aperti al pubblico. L’idea è quella di far vivere il sito, con una ricerca continua, facendo partecipare le persone alle attività. Non solo l’oggetto a scavo finito, ma tutto il processo. Il futuro dei musei e dei parchi è valorizzare quello che c’è sul posto, la località, il territorio. Il frammento di ceramica che esce dallo scavo e tutto ciò che gli ruota intorno, non tanto la grande mostra. In un certo senso la mostra siamo noi, una squadra all’altezza di questo patrimonio: restauratori, archeologi, consegnatari, custodi e tutto quello che si svolge anche dietro le quinte. Questa è l’essenza di Paestum. Philippe Daverio sosteneva che l’archeologia è il passato che guarda al futuro… L’archeologia è l’antropologia rivolta al passato. “Un altro mondo è possibile” è infatti uno degli slogan che abbiamo usato per il nostro sito. Guardando al passato possiamo renderci conto dell’infinita varietà della vita economica, sociale, culturale e religiosa. E quindi comprendere come siamo cambiati – parlo delle grandi ma anche delle piccole trasformazioni che forse non sono registrate nei libri di storia – e come possiamo ancora trasformarci nel futuro. Ma

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ARTE

GRAND (VIRTUAL) TOUR UN VIAGGIO DIGITALE PER SCOPRIRE LE COLLEZIONI DEI PRINCIPALI MUSEI ITALIANI. E PERDERSI ALL’INFINITO NELL’ARTE, TRA CAPOLAVORI, SCATTI D’AUTORE E INSTALLAZIONI a cura di Sandra Gesualdi

sandragesu

sandragesu

e Francesca Ventre - f.ventre@fsitaliane.it

© Gabriele Maltinti/AdobeStock

FIRENZE Ipervisioni è il progetto online delle Gallerie degli Uffizi dove incontrare da vicino i capolavori della collezione: dettagli, storia e spunti grazie alle immagini ad alta definizione delle mostre virtuali. Tra queste Rinascenza, la passeggiata tra le statue antiche delle Gallerie, Nella luce degli angeli, un itinerario che richiama l’umano e il divino attraverso 12 dipinti tra cui l’Angelo musicante, e Imperatrici, Matrone, Liberte. Volti e segreti delle donne romane. Con il progetto Uffizi On Air, invece, l’appuntamento è con il direttore Eike Schmidt, curatori e specialisti su Facebook, per scoprire e approfondire i tesori del museo. uffizi.it TORINO Si entra online nel Museo Egizio, che custodisce misteri veri o presunti ancora da svelare riguardo una delle più grandi civiltà del mondo antico. A divulgare un patrimonio eccezionale tanti contenuti per curiosi ed esperti, adulti e bambini. Provare per credere con il tour in 3D della mostra Archeologia invisibile e le conferenze in diretta streaming su Facebook e YouTube. museoegizio.it MILANO È Giandomenico Tiepolo ad accompagnarci sulle orme del padre Giambattista. Nella visita virtuale della mostra Tiepolo. Venezia, Milano, l'Europa, in programma alle Gallerie d’Italia, si sente anche il 114


quadri e disegni riuniti nel Complesso di San Gaetano. L’itinerario conduce nei luoghi che lo hanno visto sbocciare come pittore e hanno influito sulla sua visione dell’arte. La mostra è visitabile sul sito e sulla pagina Facebook di Linea d’ombra. lineadombra.it REGGIO EMILIA Alla Fondazione Magnani la visita guidata diventa telefonica. Un esperto risponde al numero 0522 444446, pronto a spiegare una delle oltre 100 opere della mostra True fiction. Fotografia visionaria dagli anni ‘70 ad oggi. Un’esposizione che dimostra come gli scatti d’autore abbiano raggiunto livelli di fantasia e invenzione pari al cinema e alla pittura. Ogni mercoledì dalle 17 alle 19, fino al 23 dicembre, il progetto Opere al telefono offre la possibilità di porre domande su verità e finzione che ogni immagine nasconde. palazzomagnani.it © Paci contemporary gallery (Brescia – Porto Cervo, IT)

PADOVA Genio e tormento nella mostra Van Gogh. I colori della vita allestita a Padova, fino alll’11 aprile 2021. Curata da Marco Goldin, ripercorre la vita e la parabola creativa del maestro olandese attraverso oltre 80

© 2020. Foto Scala, Firenze/bpk, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin

suono dei passi che accompagnano la voce narrante del figlio di un artista tra i migliori e più invidiati del suo tempo. È facile rimanere rapiti dalla descrizione, opera per opera, viaggiando in un’Europa di fine ‘700. tiepolo.gallerieditalia.it

ROMA Palazzo Barberini e la Galleria Corsini si svelano sui canali social con appuntamenti fissi durante la settimana. Le opere di maestri come Raffaello, Lorenzo Lotto, Caravaggio e Luca Giordano sono descritte ogni sabato nella rubrica #lacollezione. Il martedì è il giorno dedicato agli #AnimaliFantastici, mentre il mercoledì con #SeicentoaBarberini si può entrare virtualmente nelle nuove sale dedicate al XVII secolo. barberinicorsini.it 115


© MusacchioIanniello

ARTE

© Luigi Spina

Al MAXXI continuano gli appuntamenti con le audiodescrizioni della collezione permanente, raccontata da alcuni attori e una scrittrice. Un modo per approfondire contenuti su artisti e opere, a distanza o con gli occhi chiusi. Il 6 dicembre Luigi Lo Cascio racconta Inventory. The Fountains of Za’atari di Margherita Moscardini, la scultura in resina, terra e sabbia che rappresenta una delle fontane del campo profughi di Za’atari, in Giordania. Il 13, Michela Murgia illustra i nodi e le cuciture di Senza titolo di Maria Lai, una grande tela di cotone ruvido

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dove pezzi di stoffa sono cuciti come pagine di libri. maxxi.art NAPOLI Il MANN a Napoli è come una cornucopia, da cui escono iniziative, mostre e campagne social. La versione online soddisfa tutti grazie a un virtual tour composto da 12 storie e sette itinerari tra centinaia di magnifici reperti, ori e affreschi provenienti da Pompei ed Ercolano, disposti lungo una linea temporale. museoarcheologiconapoli.it

TARANTO Quarantamila reperti del Museo Archeologico Nazionale di Taranto, conservati nelle sale e nei depositi, sono stati di recente messi a disposizione in modalità Open. A queste testimonianze, che narrano storie di donne e uomini, ci si può appassionare anche grazie a un nuovissimo tour virtuale, alla scoperta del più importante museo della Magna Grecia. Non mancano, infine, molte iniziative social e un laboratorio pensato per ricostruire, per esempio, uno dei preziosi antichi gioielli in oro. museotaranto.beniculturali.it


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BASE

ECONOMY

LIBERTÀ DI VIAGGIO E CAMBI ILLIMITATI Biglietto acquistabile fino alla partenza del treno. Entro tale limite sono ammessi il rimborso, il cambio del biglietto e il cambio della prenotazione, gratuitamente, un numero illimitato di volte. Dopo la partenza, il cambio della prenotazione e del biglietto sono consentiti una sola volta fino a un’ora successiva.

CONVENIENZA E FLESSIBILITÀ Offerta a posti limitati e soggetta a restrizioni. Il biglietto può essere acquistato entro la mezzanotte del secondo giorno precedente il viaggio. Il cambio prenotazione, l’accesso ad altro treno e il rimborso non sono consentiti. È possibile, fino alla partenza del treno, esclusivamente il cambio della data e dell’ora per lo stesso tipo di treno, livello o classe, effettuando il cambio rispetto al corrispondente biglietto Base e pagando la relativa differenza di prezzo. Il nuovo ticket segue le regole del biglietto Base.

SUPER ECONOMY MASSIMO RISPARMIO Offerta a posti limitati e soggetta a restrizioni. Il biglietto può essere acquistato entro la mezzanotte del decimo giorno precedente il viaggio. Il rimborso e l’accesso ad altro treno non sono consentiti.

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Con Trenitalia i bambini viaggiano gratis in Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity nei livelli Business, Premium e Standard e in 1^ e 2^ classe. Gratuità prevista per i minori di 15 anni accompagnati da almeno un maggiorenne, in gruppi composti da 2 a 5 persone 2.


PROMOZIONI

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I Carnet Trenitalia sono sempre più adatti a tutte le esigenze. Si può scegliere quello da 15 viaggi con la riduzione del 30% sul prezzo Base, da 10 viaggi (-20% sul prezzo Base) oppure il Carnet 5 viaggi (-10% sul prezzo Base). Riservato ai titolari CartaFRECCIA, il Carnet è nominativo e personale. L’offerta è disponibile per i treni Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity 3.

L’offerta consente di usufruire di prezzi ridotti per chi utilizza, in un unico viaggio, un treno Notte e un treno Frecciarossa o Frecciargento. La promozione è valida per i viaggiatori provenienti con un treno notte dalla Sicilia, dalla Calabria o dalla Puglia che proseguono sulle Frecce in partenza da Napoli, Roma o Bologna per Torino, Milano, Venezia e tante altre destinazioni, e viceversa 4 .

NOTE LEGALI 1. Il numero dei posti è limitato e variabile, a seconda del treno e della classe/livello di servizio. Acquistabile entro le ore 24 del terzo giorno precedente la partenza del treno. Il cambio prenotazione/biglietto è soggetto a restrizioni. Il rimborso non è consentito. Offerta non cumulabile con altre riduzioni, compresa quella prevista a favore dei ragazzi. 2. I componenti del gruppo che non siano bambini/ragazzi pagano il biglietto al prezzo Base. Offerta a posti limitati e variabili rispetto al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. Cambio prenotazione/biglietto e rimborso soggetti a restrizioni. Acquistabile entro le ore 24 del secondo giorno precedente la partenza. 3. Il Carnet consente di effettuare 15, 10 o 5 viaggi in entrambi i sensi di marcia di una specifica tratta, scelta al momento dell’acquisto e non modificabile per i viaggi successivi. Le prenotazioni dei biglietti devono essere effettuate entro 180 giorni dalla data di emissione del Carnet entro i limiti di prenotabilità dei treni. L’offerta non è cumulabile con altre promozioni. Il cambio della singola prenotazione ha tempi e condizioni uguali a quelli del biglietto Base. Cambio biglietto non consentito e rimborso soggetto a restrizioni. 4. L’offerta Notte&AV è disponibile per i posti a sedere e le sistemazioni in cuccetta e vagoni letto (ad eccezione delle vetture Excelsior) sui treni Notte e per la seconda classe, o livello di servizio Standard, sui treni Frecciarossa o Frecciargento. L’offerta non è soggetta a limitazione dei posti. Il biglietto è nominativo e personale.

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FOOD ON BOARD

© DGTL Graphics sro/AdobeStock

Il viaggio nel viaggio

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Informazioni in tempo reale su puntualità, fermate, coincidenze

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FRECCIARGENTO ETR 700

Velocità max 250km/h | Velocità comm.le 250km/h | Composizione 8 carrozze | 3 livelli di Servizio Business, Premium, Standard | Posti 500 | WiFi Fast | Presa elettrica e USB al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIARGENTO ETR 600

Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 7 carrozze | Classi 1^ e 2^ | Posti 432 | WiFi Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIAROSSA ETR 1000

Velocità max 400 km/h | Velocità comm.le 300 km/h | Composizione 8 carrozze 124


FRECCIARGENTO ETR 485

Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 9 carrozze | Classi 1^ e 2^ | Posti 489 | WiFi Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

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Velocità max 200 km/h | Velocità comm.le 200 km/h | Composizione 9 carrozze | Classi 1^ e 2^ | Posti 603 Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIABIANCA ETR 460

Velocità max 250 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 9 carrozze | Classi 1^ e 2^ | Posti 479 Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

Livelli di servizio Executive, Business, Premium, Standard | Posti 457 | WiFi Fast | Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio 125


PRIMA DI SCENDERE FOTO DEL MESE

a cura di Silvia Del Vecchio

È un viaggio fotografico dal cielo quello realizzato da Alex Persico, che celebra i suoi 30 anni di carriera con il volume Insolite visioni. La passione per il volo. Bergamo dall’alto (Grafica & Arte, pp. 120 € 25), frutto di un lungo lavoro iniziato nel 2010 e scandito da assonanze e contrapposizioni. Alto e basso, ieri e oggi, bianco e nero. Diverse angolazioni per proporre una città dalle mille sfaccettature, più che mai desiderosa di rinascere lasciandosi alle spalle la dura sfida contro il Covid-19. E che infatti, ripresa con l’uso di droni, si mostra in tutta la sua autenticità, inneggiando alla vita dietro ogni tetto e ogni facciata. L’autore alterna edifici storici, immobili nel tempo, a quartieri in rapida trasformazione, protesi verso il futuro. Dalla periferia al centro città, dalla stazione ferroviaria ai borghi storici, il racconto per immagini è arricchito anche da una selezione di scatti tratti dal libro Bergamo dal cielo realizzati tra il 1981 e l’85 grazie alle vertiginose riprese aeree di Piero Orlandi, quando i droni non esistevano ancora. «Volevo dedicare a Bergamo un ricordo che, in un certo senso, fosse immortale, come solo la fotografia sa essere. Ho scelto così di intraprendere un viaggio ad altitudini elevate in cui, grazie alla tecnologia, la città potesse mostrarsi con uno sguardo diverso. Ed è proprio dall’alto che si è saputa rivelare molto di più di quanto non faccia nella prospettiva orizzontale cui siamo solitamente abituati», spiega Persico. Le sue fotografie saranno al centro di una mostra in programma per la primavera 2021. apfotografia.it persicoalex

La stazione ferroviaria di Bergamo © Alex Persico

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PRIMA DI SCENDERE FONDAZIONE FS

LA STORIA SOTTO I BINARI

© Archivio Fondazione FS Italiane

IL LATO SEGRETO DELLA STAZIONE TERMINI: L’ANTICA CABINA DI CONTROLLO E IL SUO CLONE SOTTERRANEO VOLUTO DA MUSSOLINI

Il banco di manovra della cabina Ace (Apparato centrale elettrico) nel bunker di Roma Termini

N

ella stazione Termini di Roma, all’altezza della chiesa di Santa Bibiana e dei resti del Tempio di Minerva Medica, si trova un gioiello nascosto: la cabina Ace (Apparato centrale elettrico), la torre di controllo che un tempo regolava la circolazione ferroviaria nello scalo. La struttura, ben visibile grazie all’attigua svettante torre rivestita di travertino, è un chiaro esempio di opera razionalista. Progettata dall’architetto Angiolo Mazzoni, fu inaugurata nel 1938 e ora viene aperta al pubblico solo in particolari occasioni. Nella cabina erano sistemate tutte le apparecchiature e i dispositivi elettrici per il comando automatico degli scambi e dei segnali. I grandi banchi di manovra con 730 leve e i quadri per la segnalazione luminosa degli itinerari occupano un’intera sala, lunga 47 metri, al terzo piano. Mentre una serie di banchi identici sono ospitati ancora oggi in uno spazio interrato al livello -2. Questa sala, un vero e proprio bunker, era stata pensata da Mussolini alla vigilia della Seconda guerra mondiale per garantire il funziona-

mento dell’intera stazione anche durante un bombardamento. Cosa che avvenne la mattina del 19 luglio 1943, quando le sirene antiaeree avvertirono la popolazione romana dell’imminente attacco che avrebbe distrutto il vicino quartiere di San Lorenzo. Il personale ferroviario fu allertato e il bunker preparato per il suo primo utilizzo, ma non fu necessario: Termini fu risparmiata dall’incursione degli alleati. Alla fine del 2019, grazie alla collaborazione tra Fondazione FS Italiane, Rete Ferroviaria Italiana e Ferrovie dello Stato, è stato avviato un cantiere per garantire la messa in sicurezza della struttura, adeguare gli impianti e abbattere le barriere architettoniche. Il progetto completo prevede di trasformare in un museo i due locali che accolgono i banchi di manovra, realizzare una biblioteca e un archivio storico. Un modo per recuperare un edificio un tempo fondamentale alla quotidianità e donare alla stazione Termini una connotazione culturale che possa unirsi all’attuale funzione ferroviaria, commerciale e conviviale. fondazionefs.it FondazioneFsItaliane FondazioneFsItaliane 127


PRIMA DI SCENDERE FUORI LUOGO

di Mario Tozzi mariotozziofficial mariotozziofficial [Geologo Cnr, conduttore tv e saggista]

OfficialTozzi

RADICI ITALIANE T utto il mondo conosce e apprezza a ragione l’Italia dell’arte e dei monumenti: si tratta di uno dei territori più densi di testimonianze storiche, la patria di quella che è stata chiamata la grande bellezza. Ci piace, però, gettare luce su un’altra Italia, ingiustamente trascurata, che resta lontana dai riflettori internazionali. E qualche volta pure nazionali. Eppure è l’Italia di contesto, quella su cui tutto il resto si regge, quella per cui hanno senso anche le grandi città d’arte note in tutto il pianeta. È l’Italia appenninica delle antiche civiltà transumanti e del commercio della lana, come Matera e Gravina di Puglia, dei borghi marchigiani in provincia di Pesaro e Urbino, della

© Paolo/Adobestock

Trevi (PG)

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spiritualità umbra (non solo di Assisi), dei paesaggi toscani dalla Valle del Chianti alla Maremma, delle malghe alpine e delle piccole isole come Pianosa (LI) e Ustica (PA). Un’Italia marginale forse, ma non minore, che, anzi, ha trovato nelle riserve naturali e nei parchi una nuova ragione culturale ed economica. Che ha saputo coniugare i percorsi tradizionali del cibo e del vino con quelli culturali, naturalistici e ambientali. Conferendo un bollino blu di qualità al territorio di appartenenza e portando benessere a popolazioni un tempo dimenticate. Quell’Italia è la nostra Italia, ne rappresenta le radici più profonde e antiche. Quelle da cui tutti gli italiani derivano.




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