PER CHI AMA VIAGGIARE
BICI E BACI
VIAGGI PER DUE RUOTE E DUE CUORI
CARNEVALE AD ARTE DA VENEZIA A PUTIGNANO, DA ARLECCHINO A MIRÒ
TRA TEATRO E TV
ANNO XII | NUMERO 2 | FEBBRAIO 2020 | www.fsitaliane.it
TIMI, DELLA GHERARDESCA, MONTRUCCHIO, ZEFFIRELLI, BARBERIO CORSETTI, BRUNO, MICHIELETTO, ESCOBAR
DI VERDONE CE N’È UNO
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EDITORIALE
AGIRE SOSTENIBILE È
© scabrn/Adobestock
il 1938. Sandro Penna, uno dei più grandi poeti italiani del ‘900, ci regala questi versi: «Di febbraio a Milano/non c’erano le nebbie./Ma numerosi sciami di ciclisti/andavano nel sole silenziosi./E li fermava come in una gara/sospesa il suonatore siciliano». Apriamo così questo numero della Freccia. Con il sole, i ciclisti, tanti, in un’epoca ignara di quella motorizzazione di massa che avrebbe soffocato decenni dopo le nostre città, e poi con i musicisti di strada, e l’incanto delle loro note che invitano a fermarsi. Sono alcuni degli ingredienti che troverete tra le pagine della rivista. Anche noi proviamo a scacciare la nebbia, parlando di impegno civile e di sostenibilità. Leggerete che quest’ultima non è una semplice parola di moda o un orpello, ma può fare rima persino con produttività e miglioramento delle performance di un’impresa. E poi racconteremo di treni e bici, e turismo dolce nell’anno del treno turistico, di canzoni che evocano viaggi ferroviari, della magia del Carnevale e del teatro, di un’arte che innamora e degli spettacoli che ci invitano a sorridere e ridere, e comunque a sospendere la gara quotidiana, fermarsi, come i ciclisti di Penna, e in-
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terrogarsi. Per chiedersi, soprattutto, dove ci porta questo nostro andare. Lo scorso gennaio il Gruppo FS ha aderito al Manifesto di Assisi per «un'economia a misura d'uomo contro la crisi climatica». FS Italiane, pur avendo la sostenibilità nel suo stesso Dna, ha deciso di sostenere sfide ancora più impegnative, come quella di abbattere tutte le sue emissioni di CO2 per diventare carbon neutral entro il 2050 e mettere la persona al centro di ogni suo agire. L’amore e il rispetto per la persona, e per l’ambiente in cui vive insieme a tutti gli altri esseri, è il messaggio ancora vivo di San Francesco a credenti e non. Per FS Italiane è una mission che permea ogni attività, è l’etica che si fa economia, perché l’agire sostenibile è, e lo sarà ogni giorno di più, un vero volano di sviluppo e di creazione di valore per il sistema Paese. E anche perché, come ha detto l’amministratore delegato, Gianfranco Battisti, «FS Italiane, quale grande Gruppo industriale nel settore dei trasporti, ha la responsabilità e la consapevolezza di quanto le proprie scelte possano incidere sulla qualità della vita delle persone e sugli equilibri naturali».
MEDIALOGANDO
L’INFORMAZIONE COME PRESIDIO DI DEMOCRAZIA NUOVI LINGUAGGI PER RAGGIUNGERE I PIÙ GIOVANI. LA FRECCIA INCONTRA GIUSEPPINA PATERNITI, DIRETTRICE DEL TG3 di Marco Mancini
marmanug
Giuseppina Paterniti, direttrice del Tg3, nel nuovo studio
L
a Freccia è tornata nella cittadella Rai di Saxa Rubra per incontrare la direttrice del Tg3, Giuseppina Paterniti. Ho conosciuto Giuseppina quasi 20 anni fa, quando, abbandonata la quieta dimensione della provincia, ho iniziato a lavorare nella Capitale. Professionista tosta e rigorosa, è stata una delle prime giornaliste con cui, dall’Ufficio stampa di
Ferrovie dello Stato, ho intrattenuto frequenti contatti di lavoro incardinati sempre sulla massima correttezza e trasparenza e presto facilitati da una reciproca stima. Anche allora era al Tg3, nella redazione economica. Poi ci siamo persi di vista. La ritrovo oggi, affabile nei toni e nei modi quanto coriacea e rigorosa nella difesa dei principi e dei fini della professione e, nel
contempo, appassionata e dinamica nel voler valorizzare le potenzialità dei nuovi strumenti di comunicazione. Il giornalismo cambia, ma i fondamentali restano, sei d’accordo? Certo, io reputo tra le cose più importanti che mi siano capitate nella vita quella di aver trascorso circa 13 anni nella redazione economica del Tg3. Perché mi ha dato la possibilità di 3
MEDIALOGANDO strutturarmi mentalmente sapendo che non si può rimanere sulla superficie delle notizie. Che occorre essere rigorosi, perché spostare una virgola o un punto cambia il significato del tuo racconto. E meticolosi. Ho seguito ben 12 Leggi Finanziarie concentrata a leggere riga per riga tutti i fogli e gli emendamenti perché niente mi sfuggisse. E poi ho imparato a guardare con occhio attento i vari fenomeni sociali, il rapporto tra le istituzioni dello Stato e tra le varie componenti della società. Anche tra quelle che oggi qualcuno reputa marginali, come il mondo sindacale, ma che di fatto coinvolgono milioni di persone. Poi sei stata a Bruxelles, e hai avuto modo di acquisire un diverso punto di vista. È stata una fase di grande impegno e studio, rispetto a istituzioni e a valori in cui ho sempre creduto. Sono arrivata quando l’attività di Bruxelles stava languendo, era l’epoca della prima commissione Barroso. A risvegliarla è stata la drammatica crisi finanziaria del 2008, scoppiata oltre Atlantico e poi arrivata anche da noi, in tutta la sua virulenza. Costringendoci a prendere atto della profonda trasformazione in corso, che non riguardava solo la finanza e includeva la crisi del debito sovrano, quello della Grecia in particolare. Ecco, lì l’Europa è tornata a essere centrale, per molti punti di vista, ma è anche emersa con chiarezza la necessità di una maggiore integrazione politica senza la quale sarà impossibile che l’Unione muova concreti passi in avanti. Cos’altro ti ha insegnato l’esperienza in Europa? Ha confermato l’assoluta convinzione della centralità del nostro ruolo di giornalisti come presidio di democrazia, soprattutto in questa fase di evoluzione della comunicazione e del linguaggio. Quando ero a Bruxelles, il problema di riuscire a porre domande ai nostri interlocutori era serissimo. Perché c’era chi, ad esempio gli esponenti della Cina, le rifiutavano, limitandosi a rilasciare dichiarazioni. Altri no, come la cancelliera Merkel, che quando finiva un incontro, fosse stata anche notte fonda, era lì, pronta ad ascoltarci e a risponderci. Insomma, l’informazione non può 4
limitarsi a fare da megafono alle dichiarazioni dei politici, che tra l’altro ormai con i social si rivolgono direttamente al loro pubblico. No, la stampa dovrebbe lavorare e lavora per garantire ai cittadini informazioni corrette, in modo che possano avere un controllo quanto più diretto sull’operato della politica. Abbiamo una grande tradizione su cui fare perno. Non possiamo rinunciare, con l’avvento dei social e delle varie piattaforme digitali, al nostro compito, alla mediazione giornalistica, a essere uno dei pilastri della nostra democrazia. Questo implica un’evoluzione della professione, capace di adottare linguaggi e usare strumenti nuovi. Quando sono tornata da Bruxelles, dopo otto anni, accettando il ruolo di vice direttore del Tgr, l’ho fatto, se vuoi, anche per completare la mia formazione professionale, affrontando l’informazione locale. Ma la vera sfida è stata un’altra: impegnarmi su un fronte che oggi considero fondamentale, quello del web e delle informazioni che si confrontano con i social. In quel periodo abbiamo siglato 12 accordi con il sindacato per aprire altrettante pagine social del Tgr, al momento ne sono aperte 11, abbiamo formato e qualificato giornalisti al linguaggio digitale, inaugurato profili Facebook, Twitter e Instagram, offrendo un’informazione pubblica in modalità multimediale e crossmediale. Abbiamo chiesto ai nostri giornalisti di usare lo smartphone come strumento per scattare la prima foto o filmare il primo video, di mandarlo direttamente al sito web per poi diffonderlo sulle varie piattaforme digitali. La sfida oggi è questa… È una sfida anche più ampia, più generale, quella di riqualificarci come giornalisti non solo nel linguaggio ma nella capacità di comprendere e raccontare una società complessa, plurale, multietnica, fatta di città e paesi, che vive la grande difficoltà di comunicare, soprattutto tra vecchie e giovani generazioni. Allora il compito, della Rai in particolare, come servizio pubblico, credo sia quello di allargare il proprio orizzonte iniziando a occuparsi sempre di più dei giovani, dei loro interessi, della loro sensibilità.
Noi, tanto per fare un esempio, qualche tempo fa abbiamo seguito il dialogo tra Nicola Lagioia, direttore del Salone del libro di Torino, e una rapper, nella sede della cultura italiana che è la Treccani. Contaminazioni al limite del sacrilego… Ma positive. Come giornalisti dobbiamo rifletterci e ridisegnare il nostro ambito di movimento. Quello di cui sono più soddisfatta in quest’anno passato al Tg3 (è direttrice dal novembre 2018, ndr) è che siamo riusciti a crescere in termini di audience sulle fasce più giovanili. Perché abbiamo puntato molto sulle scuole, sulle associazioni, sui movimenti, abbiamo seguito Greta e tutti i Fridays for Future fin dall’inizio. Abbiamo condiviso i nostri contenuti sui social, ottenendo ottimi riscontri come quando abbiamo pubblicato video su Instagram sottotitolati e scelti accuratamente per quel tipo di pubblico. Anche pezzi non propriamente leggeri. Con un occhio attento alle diverse caratteristiche di ogni piattaforma, sapendo della disaffezione dei più giovani verso Facebook e Twitter. E i risultati arrivano? Certo, lo constatiamo dalle visite, dalle interazioni con la nostra redazione di media management. La stessa Greta ha interagito con i nostri profili, con due like su Twitter. Ecco, il nostro interesse, almeno come Tg3, è riuscire a raggiungere un pubblico sempre più ampio, in particolare quello che non guarda più, o quasi più, la televisione. Sui social vi muovete su un terreno minato, tra fake news, haters, superficialità imperante, strategie di persuasione di massa. È vero, il mondo dell’informazione sta attraversando un momento delicatissimo. Sappiamo come da una fake news possano nascere conseguenze durissime persino per le democrazie, è quindi estremamente importante offrire, proprio su queste piattaforme, un marchio e un’informazione qualificata e certificata che i Tg della Rai, come tanti grandi giornali, possono garantire. Serve restare centrali. C’è però chi questa autorevolezza e terzietà l’ha messa in discussione, immaginando di trovare nel “libero” web un’informazione indipendente,
senza un editore con i propri interessi da difendere. Che le diverse testate abbiano un proprio orientamento è del tutto legittimo, quello che occorre sempre è raccontare e scavare bene nei fatti, cercando di andare un po’ al di là della cronaca spicciola e del commento immediato. Invece sui social i pareri vengono facilmente assimilati alle verità storiche. E rispetto a un fatto, che oggettivamente ha una sua consistenza, la contrapposizione di due o tre pareri rende relativo perfino il fatto. La nostra presenza su quelle piattaforme può fare la differenza. Perché se ci sei, come Tg Rai, qualcuno può cercarti e chiedersi: «Vediamo cosa dice la Rai». C’è chi mette in discussione anche l’obiettività e terzietà dell’informazione Rai… Guarda, a volte le scelte possono essere difficili e più complesse, ma in quest’anno trascorso alla direzione del Tg3 non mi sento di dire di essere stata condizionata mai nelle mie decisioni. Forse si sa che sono una con cui non è facile discutere, per carattere (ride, ndr). E comunque basta esigere il rispetto dell’articolo 6 del nostro contratto nazionale, che conferisce al direttore il potere di lavorare in piena libertà e autonomia e ti difende da ingerenze esterne. Qual è il tratto caratteristico del Tg3? Nel nostro mondo c’è chi per conquistare audience o lettori costruisce titoli a effetto, chi dà grande spazio alla cronaca nera o rosa, a notizie curiose, a immagini pruriginose o spiritose…
Noi la cronaca nera, se possibile, la evitiamo con grande accuratezza, non è la nostra vena. Piuttosto raccontiamo molto il sociale, cercando di cogliere le spinte verso il cambiamento, l’innovazione, le startup. Ce ne sono, e ne abbiamo parlato, nate in Italia che hanno conquistato notorietà mondiale. Ecco, raccontiamo quel che emerge di buono nella società, le storie di resistenza rispetto al crimine organizzato e alle mafie. A metà gennaio, mentre la cronaca riferiva della maxi retata contro la mafia dei Nebrodi, abbiamo mostrato l’esempio virtuoso di Troina, un paese che in quel territorio ha costruito un suo modello cooperativo per opporsi alle infiltrazioni mafiose. Insomma, informazione e impegno civile. Com’è nella tradizione del Tg3. La squadra con cui lavoro è eccezionale, fatta di colleghi capaci e impegnati. Un grande lavoro corale in cui nessuno si risparmia. Del resto, noi facciamo un giornale di servizio pubblico e compiamo scelte diverse rispetto a testate che hanno altre identità e logiche. Sono convinta che con la notizia morbosa di cronaca nera o rosa puoi ottenere un picco di visite su un sito, ma la credibilità è qualcosa che conquisti poco a poco, la formi nel telespettatore e nel lettore fornendo con continuità un certo tipo di notizie di qualità fino a diventare per loro un punto di riferimento. Spesso mi chiedo se non ci sia anche un problema di qualità dei lettori, un immiserimento culturale, indotto in parte da una scuola che non forma
più come una volta. Non sono d’accordo, nel raffronto con le scuole e le università del resto d’Europa credo che l’Italia vanti un ottimo livello di preparazione dei docenti e dia una buona formazione che poi consente ai nostri giovani di emergere all’estero. È che i docenti sono chiamati spesso a sopperire ad altri vuoti sociali. Fino a qualche anno fa c’era una rete di corpi intermedi che potevano dare risposte a problemi che la famiglia, oggi più di un tempo, con genitori molto occupati o assenti, non riesce più a risolvere, demandando questo ruolo alla scuola. Chi informa può anche educare? Se c’è un problema di crisi educativa, più che nella scuola, è nell’assenza di una connessione credibile tra i corpi intermedi rimasti attivi in questo Paese, ossia di quei luoghi dove si affermano temi e valori intorno ai quali un ragazzo può spendersi e dare un senso alla propria vita. L’informazione può e deve lavorare per meglio connettere le generazioni e indurre una reale comunicazione tra loro. Ma io, che guardo al mondo giovanile con grandissima attenzione, sono ottimista, sono sicura che i giovani faranno meglio di noi. Del resto i Fridays for future ne sono una testimonianza formidabile. In Germania il loro movimento ha già spinto i Lander ad accelerare l’abbandono delle produzioni a carbone. C’è soltanto da augurarsi che crescendo non diventino cinici e poco lungimiranti come tanti, troppi adulti.
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SOMMARIO FEBBRAIO 2020
IN COPERTINA CARLO VERDONE
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100
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111
BIKE TOUR Da un romantico giro su due ruote per Verona agli itinerari bici+treno pag.
30
lungo le ferrovie in disuso
10
77
RAILWAY HEART
UN TRENO DI LIBRI Invito alla lettura di Alberto Brandani,
15
che questo mese propone ai lettori
L’ITALIA CHE FA IMPRESA
della Freccia il nuovo romanzo di
18 SAVE THE DATE
92
24
Non solo Raffaello e Michelangelo,
ANIMA MUNDI WHAT’S UP
34
47
Valérie Perrin, Cambiare l’acqua ai fiori
MADE IN NAPLES
50
LEZIONI DI STORIA FESTIVAL
52
ITALIA IN MASCHERA
61
ai Musei Vaticani nasce il nuovo allestimento d’arte di papa Francesco
DIPINGERE IL CARNEVALE
64
92
NEL NOME DI ZEFFIRELLI
74
ESCOBAR E IL PICCOLO TEATRO
84
TRENI&CANZONI
100
GIOCO A DUE
104
PHOTO
128
FUORI LUOGO
LE FRECCE NEWS//OFFERTE E INFO VIAGGIO
115 CON FRECCIAROSSA LE GIORNATE SI ALLUNGANO Le giornate si allungano grazie a nuove possibilità di rientro serale con Frecciarossa tra Torino e Milano e da Milano a Bologna Scopri tra le pagine l’offerta Trenitalia. Oltre 300 Frecce e FRECCIALink al giorno, più di 100 città servite 6
I numeri di questo numero
Tra le firme del mese
PER CHI AMA VIAGGIARE
MENSILE GRATUITO PER I VIAGGIATORI DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE ANNO XII - NUMERO 2 - FEBBRAIO 2020 REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA N° 284/97 DEL 16/5/1997 CHIUSO IN REDAZIONE IL 23/01/2020
500
le bottiglie in assaggio al VinNatur di Genova [pag. 22]
Foto e illustrazioni Archivio Fotografico FS Italiane FS Italiane | PHOTO AdobeStock Copertina © Claudio Porcarelli Tutti i diritti riservati Se non diversamente indicato, nessuna parte della rivista può essere riprodotta, rielaborata o diffusa senza il consenso espresso dell’editore
MASSIMO BILIORSI Giornalista e sceneggiatore. Lavora all’Accademia Siena Jazz. Ha collaborato con il musicista Mauro Pagani per il festival La città aromatica di Siena, due volte premiato come migliore rassegna dell’anno in Italia
1.200
i chilometri di linee ferroviarie da trasformare in greenways [pag. 40]
ALCUNI CONTENUTI DELLA RIVISTA SONO RESI DISPONIBILI MEDIANTE LICENZA CREATIVE COMMONS BY-NC-ND 3.0 IT
Info su creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/it/deed.it
EDITORE
10
le collaboratrici del sarto Alfredo Rifugio [pag. 48]
TITTI GIULIANI FOTI Giornalista professionista, entra nel quotidiano La Nazione nel 1984, da anni referente per Cultura e Spettacoli. Critica teatrale, allieva di Eduardo De Filippo, ha frequentato anche la prima Bottega Teatrale di Gassman e Albertazzi. Tra i suoi maestri Franco Zeffirelli e Maurizio Scaparro
Direzione Centrale Comunicazione Esterna Piazza della Croce Rossa, 1 | 00161 Roma fsitaliane.it Contatti di redazione Tel. 06 44105298 | lafreccia@fsitaliane.it Direttore Responsabile Caporedattrice Coordinamento Editoriale
80MILA
e oltre gli oggetti della collezione del nuovo Museo Anima Mundi [pag. 92]
Caposervizio In redazione
Segreteria di redazione Ricerca immagini e photo editing Traduzioni Hanno collaborato a questo numero
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La Freccia Junior, il mensile di giochi, fumetti e curiosità per i più piccoli, in distribuzione al FRECCIABistrò di Frecciarossa e Frecciargento, nei FRECCIAClub e FRECCIALounge e nelle SalaFRECCIA
GIUSEPPE LATERZA Si laurea in Economia e commercio nel 1980 con Federico Caffè e nel 1981 entra nella casa editrice fondata nel 1901 da Giovanni Laterza e ispirata dal filosofo Benedetto Croce, affiancando il padre Vito e diventandone poi presidente nel 1997. Dal 2006 ha ideato e promosso il Festival di Economia di Trento e le Lezioni di Storia a Roma e nel 2019 ha avviato il Festival della Salute Globale a Padova e Lezioni di storia Festival a Napoli
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LEGGI
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il fumetto di
ALBERTO OLIVETTI Professore ordinario di Estetica all’Università degli Studi di Siena, ha diretto la Scuola di dottorato Logos e rappresentazione, dedicata a temi di arte e filosofia. Cura per Il manifesto la rubrica settimanale Divano
Marco Mancini Claudia Frattini Cecilia Morrico, Francesca Ventre Silvia Del Vecchio Gaspare Baglio, Serena Berardi, Michela Gentili, Sandra Gesualdi, Luca Mattei, Cristiana Meo Bizzari Francesca Ventre Michele Pittalis, Claudio Romussi Verto Group Cesare Biasini Selvaggi, Massimo Biliorsi, Alberto Brandani, Carlo Cracco, Marzia Dal Piai, Alessandra Delle Fave, Alessio Giobbi, Titti Giuliani Foti, Peppe Iannicelli, Itinere, Giuseppe Laterza, Valentina Lo Surdo, Alberto Olivetti, Giuliano Papalini, Ernesto Petrucci, Bruno Ployer, Enrico Procentese, Andrea Radic, Elisabetta Reale, Flavio Scheggi, Mario Tozzi
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di Flavio Scheggi
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METROPOLI Il giro del mondo attraverso le più grandi città del Pianeta immortalate dall’obiettivo di Gabriele Basilico. Fino al 13 aprile a Palazzo delle Esposizioni di Roma, in mostra oltre 250 immagini del noto fotografo milanese, scattate dagli anni ’60 al primo decennio del Duemila. Il percorso espositivo si articola in cinque grandi capitoli: Milano, Ritratti di fabbriche 1978-1980, Sezioni del paesaggio italiano e Beirut, che comprende due campagne fotografiche, una realizzata nel 1991 in bianco e nero e l’altra nel 2011 a colori, la prima alla fine di una lunga guerra durata
oltre 15 anni, la seconda per raccontarne la ricostruzione. Completano l’affresco urbano Le città del mondo, un viaggio nel tempo e nei luoghi, da Palermo, Bari, Napoli, Genova e Milano a Istanbul, Gerusalemme, Shanghai, Mosca, New York e Rio de Janeiro. Infine, la sezione dedicata a Roma, città nella quale Basilico ha lavorato a più riprese fino al 2010. palazzoesposizioni.it PalazzoEsposizioni palazzoesposizioni
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PHOTOSTORIES PEOPLE #Frecciaview © Letizia Marchionni letimarchio
IN VIAGGIO Verso Ancona © Stefania Romani
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LE PERSONE, I LUOGHI, LE STORIE DELL’UNIVERSO FERROVIARIO IN UN CLICK. UN VIAGGIO DA FARE INSIEME A cura di Enrico Procentese
Utilizza l’hashtag #railwayheart oppure invia il tuo scatto a railwayheart@fsitaliane.it. L’immagine inviata, e classificata secondo una delle quattro categorie rappresentate (Luoghi, People, In viaggio, At Work), deve essere di proprietà del mittente, priva di watermark, non superiore ai 15Mb. Le foto più emozionanti tra quelle ricevute saranno selezionate per la pubblicazione nei numeri futuri della rubrica. Railway heArt è un progetto di Digital Communication, Direzione Centrale Comunicazione Esterna, FS Italiane.
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LUOGHI Treno storico della Fondazione FS Italiane Pinzano al Tagliamento (PN) © Matteo Casola manovraedintorni
AT WORK Lorenzo, capotreno Frecciarossa © Antonio Li Piani ermetico.op
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RAILWAY heART
A TU PER TU a cura di Alessio Giobbi - a.giobbi@fsitaliane.it
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laudio, 59 anni, dipendente della Divisione Passeggeri Regionale di Trenitalia in Valle d’Aosta: l’impegno nel sociale e nel volontariato, la capacità di ascoltare e stare vicino alle persone. Di cosa ti occupi in Trenitalia? Mi occupo di post vendita in Valle d’Aosta, mi trovo quindi spesso a soddisfare richieste di rimborso, vertenze, reclami. Un lavoro dinamico e a stretto contatto con la clientela, che mi porta a un confronto continuo con viaggiatori di ogni tipo, professione e situazione sociale. Da quanto tempo sei nel Gruppo FS? Dai primi anni ’80, ne ho vissuto le trasformazioni da ente a società per azioni, fino alla divisione tra Trenitalia e Rete Ferroviaria Italiana. Da circa 20 anni sono alla Divisione Passeggeri Regionale e trovo il mio lavoro al servizio della clientela appagante, qualificante e molto vario. L’elemento più importante per chi si occupa di post vendita? Senz’altro l’empatia nei confronti di chi, per esempio, raggiunge il mio ufficio dopo aver riscontrato una criticità in viaggio. Negli ultimi tempi il sistema di gestione dei reclami si è evoluto in termini di approfondimento delle richieste; al di là delle procedure ben definite, infatti, l’obiettivo è andare più a fondo, entrare nello specifico del singolo episodio, puntare a soddisfare le esigenze di ogni persona. Una professione che ben si concilia anche con il recente riconoscimento che il presidente Mattarella ti ha conferito quale Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Quando, poco prima di Natale, la presidenza della Repubblica mi ha contatto per rendere omaggio al mio impegno e alla mia dedizione ai valori del volontariato, quasi non volevo crederci. Confesso che la cosa, oltre a commuovermi, mi ha anche imbarazzato: non sono abituato a tanta visibilità, come non lo è, in genere, alcun volontario, né chi si spende nel sociale. Come nasce questo tuo impegno e quanto ha influito nel tuo lavoro? L’impegno civile e il lavoro sono due mondi che s’incontrano spesso, anche grazie alla sensibilità dei miei responsabili che hanno saputo cogliere il valore aggiunto di questa mia passione. Attualmente sono presidente del Centro di Servizio per il Volontariato, che raggruppa le associazioni valdostane del settore, e tra le attività che seguo c’è anche il Dopolavoro ferroviario, dove ho ricoperto anche il ruolo di presidente nella mia regione per ben 12 anni, un’altra realtà in cui è possibile introdurre elementi di socialità, senso di appartenenza e cultura. Un consiglio che vorresti dare ai tuoi colleghi? Mai abbassare il livello di attenzione verso le persone. Se un cliente inizialmente insoddisfatto comprende che dietro un disagio c’è un’attenta macchina organizzativa che si muove per risolverlo, vuol dire che abbiamo fatto bene il nostro lavoro.
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LE STORIE E LE VOCI DI CHI, PER LAVORO, STUDIO O PIACERE, VIAGGIA SUI TRENI. E DI CHI I TRENI LI FA VIAGGIARE
V
ito, 31 anni, assistente alla cattedra di Organizzazione del lavoro e Risorse umane alla Bicocca e docente di Economia e Diritto in alcuni licei di Milano, racconta la sua esperienza di viaggio in Frecciarossa. Che tipo di viaggiatore sei e di cosa ti occupi? Il Frecciarossa mi consente di conciliare al meglio i miei impegni familiari, affettivi e universitari tra nord, centro e sud del Paese, muovendomi praticamente su tutto l’asse verticale da Milano a Napoli e viceversa. Oltre all’attività di assistente universitario e docente nel capoluogo lombardo, ho avuto modo di realizzare diverse pubblicazioni scientifiche sul tema delle relazioni industriali e del mercato del lavoro. A tal proposito è in uscita il mio libro sulla condizione degli operai della Fiat dopo l’era Marchionne. Mi sono inoltre dilettato a scrivere un format televisivo sul genere society show, che punta a creare un ponte tra ricerca accademica e comunicazione televisiva. Dunque, un’attività lavorativa molto intensa a Milano. E per quanto riguarda gli affetti? Dal 2014 torno periodicamente a Napoli in treno, per poi raggiungere la famiglia in provincia di Caserta, e avendo da un anno a questa parte un fidanzato a Roma, gli spostamenti si sono intensificati. Mi fermo spesso nella Capitale, sempre percorrendo la Milano-Napoli, tendenzialmente nei fine settimana, su e giù dal Frecciarossa. Come vi siete conosciuti? Mi capita spesso di dover viaggiare per partecipare a eventi di lavoro e conferenze, ed è in una di queste che ho incontrato Peppino. Dopo esserci scritti su Instagram, siamo usciti per una pizza e da lì è nato tutto. Quel giorno avevo prenotato un viaggio di ritorno a Napoli, che mi sono immediatamente affrettato a spostare per rimanere con lui, poiché si è trattato di un vero e proprio colpo di fulmine. Dodici o 15 anni fa, senza il treno ad Alta Velocità, non sarebbe stato possibile vivere così un amore a distanza, o lo sarebbe stato a prezzi molto alti, utilizzando l’aereo. Che cos’altro ti piace del treno? Sicuramente i periodi degli esodi, specialmente quelli di Natale e Pasqua. Nella vita di tutti i giorni il treno è per natura un luogo dove vivere un’osmosi tra culture che porta alla conoscenza e al confronto fra persone di diversa natura sociale. Ma a ridosso delle Feste tutto si accentua ancora di più: capita di vedere masse di persone che, come nel mio caso, tornano al Sud per riabbracciare i propri cari. Oppure mamme e papà che portano i bambini dai nonni, perché si sono trasferiti a Nord per lavoro. Sono momenti di ricongiunzione unici, che in treno e nelle stazioni vivo con passione, divertimento e, ogni volta, con stupore.
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L’ITALIA che fa IMPRESA
ANIMA GREEN PROFESSIONALITÀ ITALIANA, RESPIRO E RIGORE INTERNAZIONALI. LA BEE INCORPORATIONS LAVORA ALLA CERTIFICAZIONE LEED DI IMMOBILI E NEGOZI CHE CONIUGANO SOSTENIBILITÀ CON PRODUTTIVITÀ E BENESSERE di Marco Mancini
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© Elena Foresto
i chiama LEED, acronimo di Leadership in Energy and Environmental Design. È un sistema di certificazione in ambito edilizio tra i più utilizzati al mondo, sviluppato negli anni ’90 negli Stati Uniti dal Green Building Council. Una patente di sostenibilità che attesta la qualità e l’efficienza di immobili, negozi, uffici. E descrive con criteri oggettivi e parametri in continua evoluzione quel tasso di virtuosità capace di conciliare etica ed economia, quando efficienza e qualità si traducono in maggiore produttività di chi in quegli spazi ci lavora. A parlarcene, con lucida passione, è Francesca Galati, architetto e ingegnere ligure, LEED Accredited Professional. Energica, rigorosa, ironica, formazione all’estero, una breve esperienza politica, come consigliere e presidente di commissione nella sua Loano, Francesca è figlia di un costruttore, prematuramente scomparso, e di un’insegnante. Il suo è stato un percorso di studi obbligato quanto congeniale alle sue attitudini, refrattaria quale si proclama alle materie umanistiche. «Finito il liceo la domanda non è stata “a quale facoltà vuoi iscriverti”, ma “a quale ramo di ingegneria”. Avrei preferito aerospaziale, ma alla fine sono dovuta restare con i piedi per terra, ingegneria edile. Però mi sto rifacendo, a breve conseguirò il brevetto di pilota».
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Francesca ha affiancato da qualche mese sulla tolda di comando della Bee Incorporations, come managing director e socia, il suo fondatore, nel 2009, e presidente: Alessandro Bisagni, anch’egli ligure, di base tra Hong Kong e Shanghai. Undici le loro sedi, sparse tra Asia ed Europa, un’altra di prossima apertura negli States, 50 i dipendenti. Cosa fa la Bee Incorporations? Il nostro unico obiettivo è il supporto alla sostenibilità. Forniamo la consulenza e tutto quello che serve per ottenere le principali certificazioni internazionali, in particolare la LEED e la WELL. La certificazione è l’atto finale di un percorso che inizierà, immagino, quando si progetta la costruzione o ristrutturazione di un immobile? È così, infatti affianchiamo da subito il team di progettazione e poi controlliamo l’esecuzione dei lavori, perché vengano rispettati i parametri richiesti per la certificazione. Tra l’altro la definizione della strategia, delle soluzioni da adottare e dei materiali da usare rappresenta la fase più appassionante e divertente del processo. In Italia, nota a tutti, è soltanto la certificazione energetica… Che si ferma però alla sola parte consumi. Per la LEED sono 110 i punti presi in considerazione dal protocollo. Ne occorrono 40 per ottenere la certificazione base, che poi a salire diventa argento, oro e, dagli 80 in su, platino.
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L’ITALIA che fa IMPRESA
E quei punti a cosa si riferiscono? Al raggiungimento di parametri ben definiti rispetto alla localizzazione dell’immobile, con la presenza e la densità di aree verdi, di uffici e di negozi, alla connessione con i mezzi pubblici, alla gestione dei rifiuti, all’utilizzo di materiali privi di componenti tossiche, meglio se riciclati e riciclabili, alla qualità dell’aria con adeguati impianti di areazione, all’efficienza idrica che si può ottenere con l’adozione di sanitari e rubinetterie a basso consumo, come con il riutilizzo delle acque piovane, per esempio per l’irrigazione e il convogliamento dei liquami. Cosa, quest’ultima, che avrei voluto fare anche per il nuovo stadio della Roma, e il Comune non ha accettato… Quindi avete seguito anche le fasi di progettazione del nuovo stadio della Capitale? Certo (lo dice sottovoce, ndr), l’Italia non è stata per anni il nostro primo mercato, ma ci lavoriamo molto. Ci siamo occupati della certificazione della Roastery di Starbucks a Milano, dopo Tokyo e Shanghai, del Museo del ‘900 di Mestre, del Comune di Savona, il primo in Italia a conseguire la LEED for Cities. Ma tra i nostri maggiori clienti ci sono i marchi della moda e del lusso, come Prada e Ferragamo, certifichiamo i loro negozi, uffici, i centri produttivi e logistici. Perché se un ambiente è certificato LEED ci si lavora meglio e si è anche più produttivi. Dico bene? Sì, perché ha caratteristiche positive tali da incidere su salute, serenità, rendimento di chi vi opera. In più ha consumi ridotti, quindi più ricavi e meno costi. Se oggi è utilizzato in oltre 167 Paesi nel mondo è perché produce un ritorno economico. E se, ammortizzate le spese, il ritorno arriva entro 10 anni, il gioco vale la candela.
Il mondo della moda quindi è tra i più sensibili… Si è già mosso anche sul fronte WELL, certificazione che ha appena quattro o cinque anni e punta il faro proprio sul benessere delle persone. Stiamo certificando già svariati progetti. Se oggi siamo al top a livello internazionale, con all’attivo 380 progetti LEED solo in questo settore, di cui 280 già certificati, lo dobbiamo proprio al settore retail, per il quale abbiamo firmato contratti globali con brand che hanno fino a 600-700 negozi in tutto il mondo. Certo, Starbucks resta il numero uno, intende arrivare a diecimila punti vendita green, sono partiti per primi, hanno un ufficio dedicato e noi siamo i loro consulenti. Professionalità italiana, criteri e rigore internazionali. Sì, tutto finisce a un ente terzo, a Washington, che revisiona i progetti provenienti da tutto mondo. Un team definito da un numero, di cui non conosciamo la composizione, materiali inviati in formato digitale, più terzietà di così. Vera mentalità anglosassone, che a me piace, è quella della mia formazione. Però serve anche la nostra inventiva, se c'è un problema noi italiani lo sappiamo risolvere, nessuno ci batte, e infatti nel mondo del retail, qualunque sia la posizione di un negozio, dall’America all’Asia, alla fine le imprese edili che ci lavorano sono italiane: sono brave, veloci, efficienti. E ora so che lavorate anche con le nostre Ferrovie. Sì, ho appena incontrato gli ingegneri di RFI per un progetto LEED che riguarda la stazione di Frosinone. Il focus è sempre sugli ambienti di lavoro, ma alla fine, i benefici sono per tutti. Anche perché, nella strategia complessiva, un ruolo importante lo rivestono le percentuali di aree verdi, di posti per le auto elettriche, di rastrelliere per le biciclette, e la raccolta differenziata dei rifiuti.
© Progetto Archea
Edificio M Centro produttivo e archivio storico Salvatore Ferragamo - Firenze (in fase di certificazione LEED Platinum)
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Promotori
Progettazione
Partner
AGENDA
A cura di Luca Mattei
ellemme1 – l.mattei@fsitaliane.it
save FEBBRAIO the date 2020 L’EUROPA DELLA LUCE MILANO//7 FEBBRAIO>7 GIUGNO Non tutti gli artisti riescono a raggiungere la giusta fama in vita. È il caso di Georges de La Tour, uno dei più celebri pittori del ’600, rimasto quasi del tutto dimenticato per due secoli e poi risco-
perto e rivalutato dallo storico dell’arte tedesco Herman Voss, che a partire dal 1915 dà il via a una serie di ricerche preliminari alla mostra consacratoria di Parigi del 1934. A distanza di decenni Palazzo Reale
© andrix/AdobeStock
Georges de La Tour, La lotta dei musici (1625-1630 circa) The J. Paul Getty Museum palazzorealemilano
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di Milano dedica al maestro francese la prima antologica in Italia, per riflettere, attraverso un confronto tra i suoi lavori e quelli di colleghi europei coevi, come Gerrit van Honthorst e Paulus Bor, sulla pittura di genere e sulle sperimentazioni luministiche. Lo stile di De La Tour è caratterizzato, infatti, da un profondo contrasto fra i ritratti diurni, che non lasciano trasparire compassione e mostrano un’esistenza senza filtri, con volti segnati dalla povertà e dallo scorrere del tempo, e le tele con figure notturne, illuminate da una candela, commiserevoli, assorte, silenziose e commoventi. Tra i capolavori esposti spicca La lotta dei musici, proveniente dal J. Paul Getty Museum di Los Angeles, che esprime con crudo realismo uno dei temi più cari al genio transalpino, le scene di gruppo raffiguranti frammenti di vita popolare. palazzorealemilano.it
UNA MONTAGNA DI LIBRI CORTINA D’AMPEZZO//FINO AL 12 APRILE Entra nel pieno l’edizione invernale di Una montagna di libri, il festival che porta scrittori e lettori sulle Dolomiti fino ad aprile. L’8 febbraio Paolo Mieli presenta Le verità nascoste, 30 casi in cui la storia è stata manipolata. Il 14 Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone narrano Peccati immortali, giallo in una Roma tra politica e malaffare. Sabato 15 si passa alle massime filosofiche condensate da Marcello Veneziani in Dispera bene. Il 20 la regista Flavia Gentili e l’attore Tommaso Ragno riflettono su Audiolibri, che passione. Gli incontri del 22 e 25 commemorano due figure legate al territorio ampezzano scomparse nel 2019: nel primo lo scrittore Marco Berti ricorda l’alpinista Tom Ballard con Il figlio della montagna; nel secondo i giornalisti Giovanni Porzio e Gabriella Simoni celebrano il fotoreporter cortinese Stefano Zardini. Il 28 spazio al ricordo familiare di Enrico Vanzina con Mio fratello Carlo. Febbraio si conclude con Vittorio Feltri e la sua biografia, L’irriverente. unamontagnadilibri.it
NexoDigital
Pierre-Auguste Renoir, Bougival (1888) Collezione Pérez Simón, Messico Nexo_Digital palazzo.mazzetti palazzomazzetti
CAPOLAVORI IMPRESSIONISTI ROMA//FINO ALL’8 MARZO ASTI//FINO AL 16 FEBBRAIO L’Impressionismo è protagonista di progetti che spaziano dai musei al cinema. Palazzo Bonaparte di Roma ospita Impressionisti segreti, un’occasione unica per ammirare tele che ritraggono affascinanti fermoimmagine di una Parigi di fine ’800 e seducenti ritratti di donne d’élite. Capolavori di maestri come Renoir, Degas, Cézanne, noti al grande pubblico ma nascosti in collezioni private sparse nel globo. Il percorso espositivo si può ammirare anche in un documentario omonimo prodotto da Ballandi Arts e Nexo Digital e diretto da Daniele Pini, in sala dal 10 al 12 febbraio. Le curatrici della mostra, Claire Durand-Ruel e Marianne Mathieu, portano gli spettatori a scoprire la visione del mondo degli impressionisti e l’accoglienza delle loro opere, dall’iniziale rifiuto di critica e pubblico al successo planetario. Se si preferisce un contatto con l’arte non filtrato da uno schermo, a Palazzo Mazzetti di Asti c’è Monet e gli impressionisti in Normandia, corpus di 75 opere che si sofferma sullo stretto legame tra pittori come Monet, Delacroix e Courbet e la regione francese, il cui paesaggio vitale è stato fondamentale nel loro stile. mostrepalazzobonaparte.it | nexodigital.it | astimonet.it
STARDUST: BOWIE BY SUKITA SALERNO//FINO AL 27 FEBBRAIO Una delle più importanti icone della cultura popolare contemporanea, David Bowie, arriva a Palazzo Fruscione di Salerno attraverso oltre 100 scatti, alcuni dei quali esposti in anteprima nazionale, di Masayoshi Sukita, maestro nipponico dell’obiettivo. È nel 1972 che nasce il loro sodalizio artistico: in quel periodo Sukita è a Londra per immortalare i T.Rex e il frontman Marc Bolan, finché un giorno decide di andare a un concerto di Bowie, a lui sconosciuto, perché attratto dal manifesto dello show. I due riescono a incontrarsi grazie a conoscenze comuni e danno il via a una relazione professionale proficua, nonostante la lontananza: lavorano insieme quasi ogni volta in cui il cantautore si trova in Giappone e il fotografo negli Stati Uniti. Tra loro si crea anche uno stretto rapporto privato, e i posati in studio lasciano il passo a sessioni più intime. Da queste occasioni nascono alcune delle immagini più note del britannico e altre che ne mostrano la natura più vera. bowiebysukitasalerno.it Masayoshi Sukita, Watch that man II (1972) © Sukita 2020 tempimoderniassociazione tempi_moderni_idee
Giovanni Bortolotti, Bonifica pontina. Abbattimento delle strutture di Cancello di Quadrato per costruirvi Littoria (1932). Archivio del XX secolo, Latina PALPpontedera palp_pontedera
ARCADIA E APOCALISSE PONTEDERA (PI)//FINO AL 26 APRILE Quadri, sculture, foto, video e installazioni sono forme di espressione tanto diverse tra loro quanto accumunate dall’aver scelto spesso come soggetto il paesaggio, un genere ereditato dal ’700 che pone al centro la natura, in antitesi al mito e alla storia. Indagare il modo in cui tale tema è stato percepito e riprodotto dal 1850 a oggi è l’obiettivo della mostra a Palazzo Pretorio, che mette in luce i cambiamenti dell’estetica nel tempo. Le opere proposte si presentano come visioni coinvolgenti, ma anche come documenti che evidenziano la cultura di un’epoca. Ogni raffigurazione è infatti frutto di un’interpretazione dell’ambiente influenzata sia dal momento storico sia dalla formazione artistica e dal vissuto individuale dell’autore. Nel percorso espositivo si passa dalla scoperta di un paesaggio inserito in una cornice d’inalterata bellezza, l’Arcadia, alla testimonianza delle azioni anche violente inflitte al territorio, l’Apocalisse, con le devastazioni belliche e gli sconvolgimenti della ricostruzione. palp-pontedera.it 19
AGENDA ellemme1 – l.mattei@fsitaliane.it
Freccia Weekend febbraio 2020
A cura di Luca Mattei
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1 Milano Tattoo Convention © Alessandro Fornasetti
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2 Mirko Ranù e Giulia Sol, protagonisti di Ghost. Il Musical © Attilio Marasco
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Weekend a Fiera Milano City per la XXV edizione di Milano Tattoo Convention, festa della creatività dove incontrare oltre 450 artisti di tutto il mondo in rappresentanza di ogni stile di tatuaggio. [1] milanotattooconvention.it
Al Sistina di Roma fino al 9 febbraio e agli Arcimboldi di Milano dall’11 al 1° marzo, Ghost. Il Musical, trasposizione del cult movie anni ’90 adattato per il palco dallo sceneggiatore originale, Bruce Joel Rubin. [2] ghostilmusical.it
L’arte nipponica è a Palazzo Reale di Napoli fino al 10 marzo con Sotto il cielo e sopra la terra, retrospettiva di Hidetoshi Nagasawa, scultore giapponese che ha fatto dialogare la cultura occidentale e orientale. polomusealecampania. beniculturali.it
Amanti, amici di lunga data, artisti. Pittrice l’una, fotografo l’altro. Sono i protagonisti dell’esposizione Frida Kahlo through the lens of Nickolas Muray, alla Palazzina di caccia di Stupinigi (TO) fino al 3 maggio. ordinemauriziano.it
Costruzioni ironiche e paradossali riempiono fino al 16 il bookstore di Palazzo delle Esposizioni a Roma con Case nei libri, Case fra i libri, mostra di Antonella Abbatiello, tra le più note autrici per l’infanzia. palazzoesposizioni.it Da sabato al 30 aprile al Museo Marca di Catanzaro Looking Forward to the Past, personale dello scultore Massimiliano Pelletti, nella cui poetica c’è sempre l’idea di classicità a fare da fil rouge. museomarca.info
Grazie all’amore per la musica gli Ex-Otago hanno vissuto un anno straordinario che li ha consacrati al grande pubblico. Un traguardo da festeggiare con un concerto-evento sabato all’RDS Stadium di Genova. ex-otago.it La mostra Sogno e magia racconta attraverso 150 opere, tra dipinti, disegni e acquerelli, il sentimento del pittore Marc Chagall per la sua amatissima moglie Bella. A Palazzo Albergati di Bologna fino al 1° marzo. palazzoalbergati.com
3 Steven Meisel, Ritratto di Audrey (1991) © Steven Meisel
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4 Una scena dello spettacolo Dio arriverà all’alba (2019) dioarriveraallalba
5 Joan Miró, Quelques Fleurs pour des Amis. Dedica a Nina Kandinsky (1964) © Pierluigi Siena
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Intimate Audrey, alla Fondazione Carispezia di La Spezia fino al 1° marzo, è la mostra creata da Sean Hepburn Ferrer, figlio dell’attrice icona di stile ed eleganza, figura leggendaria nella storia del cinema. [3] fondazionecarispezia.it
In giro per l’Italia fino a maggio, venerdì e sabato fa tappa al Teatro Vertigo di Livorno Dio arriverà all’alba, lo spettacolo diretto da Antonio Nobili che omaggia la poetessa, aforista e scrittrice Alda Merini. [4] dioarriveraallalba.com
Make it possibile è lo slogan della XV edizione di Danzainfiera, kermesse internazionale che fa incontrare operatori commerciali, ballerini e appassionati di danza. Dal 20 al 23 a Fortezza da Basso di Firenze. danzainfiera.it
Al Museo Davia Bargellini di Bologna fino al 1° marzo Via libera per volare, le installazioni del duo composto da Nadia Antonello e Paolo Ghezzi, ispirate alla favola Il semaforo blu di Gianni Rodari. museibologna.it
Dal 20 al 22 Lecce ospita Business Tourism Management, incontri e workshop con tour operator e startup per rafforzare il confronto tra domanda e offerta turistica e il legame tra territorio pugliese e destinazioni internazionali. btmpuglia.it
Last days all’Ambra Jovinelli di Roma per Mine vaganti, spettacolo che, dopo il successo nella versione filmica, arriva per la prima volta sul palco. A dirigerlo lo stesso Ferzan Ozpetek, al suo debutto teatrale. ambrajovinelli.org
La piccola città di Anterselva (BZ) ospita per la sesta volta i campionati mondiali di biathlon. Tutte le gare, dal 13 al 23, sono valide anche per la Coppa del Mondo che si concluderà a marzo in Norvegia. biathlonworld.com
Il T Fondaco dei Tedeschi di Venezia ospita fino a domenica Myth and Mastery, le creazioni Serpenti della maison Bulgari, dai modelli realizzati con la tecnica Tubogas a quelli rivestiti di smalti policromi. dfs.com
L’ARTE DI MIRÓ NEL SUD ITALIA La creatività di Joan Miró è protagonista di due interessanti progetti in Campania e in Puglia. Il Pan di Napoli propone fino al 23 febbraio Il linguaggio dei segni, un percorso cronologico che ripercorre lo sviluppo del suo stile. Si parte dalle prime opere degli anni ’20, in cui linee e forme geometriche avviano un processo di riduzione e semplificazione della figura, e si conclude con i lavori degli anni ’80, dove sfondo, segno, superficie e supporto sono in perfetto equilibrio. Per l’iniziativa è prevista la promo 2x1 per i soci CartaFRECCIA con biglietto delle Frecce per Napoli. Nei pressi di Bari, condividono alcune ispirazioni del genio spagnolo Palazzo Monacelle di Casamassima, Palazzo San Domenico di Gioia del Colle e la Chiesa di Sant’Oronzo di Turi. Fino al 26 aprile ospitano Quelques Fleurs pour des Amis, mostra che prende il titolo dal libro illustrato dell’artista, una sequenza di litografie in cui si avvicendano un fiore e una dedica e dove tratti marcati dei tipici colori mironiani – giallo, rosso, blu e verde – si alternano a segni neri più leggeri. L’esposizione diffusa è un viaggio nella poeticità surrealista di Miró, rivelando una visione dell’arte vissuta con curiosità. comune.napoli.it ecomuseopeucetia.it
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AGENDA
FrecciaGourmet febbraio 2020
a cura di Marzia Dal Piai
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Se siete amanti del cioccolato, non prendete impegni dal 7 al 9 febbraio. Ad Asiago, in piazza Carli, appuntamento goloso con Il tour dei cioccolatieri Art & Ciocc. All’interno di una grande struttura coperta, prelibatezze di tutte le forme e per tutti i gusti: maestri artigiani provenienti da ogni regione tentano il pubblico con le specialità del territorio, ma anche con nuove delizie e gusti inediti, oltre che con stupefacenti sculture di cioccolato, vere e proprie opere d’arte da ammirare e assaporare. asiago.it/it/eventi Per chi vuole sperimentare nuovi comportamenti di consumo, dal free from al vegetariano fino all’etnico, la fiera giusta è FoodNova, a Rimini dal 15 al 18 febbraio. Qui, infatti, si trovano le risposte alle molteplici esigenze salutistiche ed etiche che seguono e orientano il cambiamento delle abitudini alimentari degli ultimi anni. Il ricco programma della manifestazione va da temi come gluten free, lactose free, veg ed ethnic food a lanci di prodotti innovativi, show cooking e conferenze dedicate alle novità del settore. foodnova.eu
Sempre a Rimini, da sabato 15 a martedì 18, Beer&Food Attraction riunisce in un solo appuntamento la più completa offerta italiana e internazionale di birre, bevande, food e tendenze per l’out of home. Le birre sono al centro dell’attenzione, per attrarre nuovi stili di consumo, integrandosi con il beverage e il food più creativo. Un’esperienza sensoriale ma anche un momento d’incontro. beerandfoodattraction.it
Riflettori puntati su Golositalia e Aliment & Attrezzature, al Centro Fiera del Garda di Montichiari (BS) dal 22 al 26 febbraio. Con 550 espositori e l’ambizione di raggiungere tutti gli attori del settore agroalimentare, dagli operatori ai buyer della filiera distributiva fino al consumatore, in uno spazio espositivo di cinque padiglioni. Nella parte retail i visitatori possono conoscere, degustare e acquistare prodotti enogastronomici. golositalia.it Doppio appuntamento per wine lover domenica 23 e lunedì 24. A Firenze c’è ViNoi 2020, quinta edizione del Salone di vini artigianali, biologici, biodinamici e naturali. La manifestazione è dedicata a viticultori e operatori, ma è anche occasione di conoscenza e approfondimento per il pubblico e gli appassionati. I Magazzini del cotone, al Porto Antico di Genova, ospitano invece VinNatur: 500 bottiglie in assaggio e 100 vignaioli europei, ognuno con una sua storia e un sogno in comune, quello di produrre vino naturalmente buono per le persone e per l’ambiente. vinoi.it | vinnatur.org
Nel veronese, a Cerea, terza edizione per Pianura Golosa. Oltre 100 aziende presentano centinaia di prodotti di eccellenza, presidi e ricercatezze, tutti selezionati dalla Condotta Slow Food Valli Grandi Veronesi. Sabato 22 dalle 10 alle 22 e domenica 23 dalle 9 alle 18 nell’Area Expo. pianuragolosa.it Pronti a competere tra i vigneti di Borgo San Felice, il 29 febbraio a Castelnuovo Berardenga (SI)? Il Festival del Potatore della vite prevede, infatti, il Pruning contest, una combattuta e appassionante gara di potatura aperta a tutti coloro che vorranno mostrare le proprie abilità per tagli accurati e veloci. Per poi degustare le prelibatezze della tradizione gastronomica toscana e le etichette più pregiate del Chianti Classico. festivaldelpotatore.it
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WHAT’S UP
UNA TV DA
SKIANTO FILIPPO TIMI DEBUTTA SU RAI3 CON UN OMAGGIO D’AMORE E D’IRONIA AL PICCOLO SCHERMO di Francesca Ventre f.ventre@fsitaliane.it
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er la prima volta Filippo Timi si esibisce in tv. Per due serate, giovedì 13 e 20 febbraio, su Rai3, l’attore si cimenta in un revival affettuoso, ma nello stesso tempo ironico e imprevedibile. Skianto è il programma in omaggio alla televisione di cui, confessa, fin da piccolo non ha mai potuto fare a meno.
La tv è per te una novità. Come mai questa trasmissione che la celebra? L’idea è nata dal mio omonimo spettacolo teatrale, Skianto, e dal mio desiderio di raccontare due grandi appuntamenti tv, il Festival di Sanremo e lo show del sabato sera, in modo ironico e divertente, senza un ordine cronologico, ma regalando
contemporaneità ed emozioni. In quella magica scatola che è la televisione trasferisco il mio personaggio teatrale. È nato con la scatola cranica sigillata, però sul piccolo schermo, come per miracolo, riesce a esprimersi. Perché la tv arriva davvero dappertutto e si accende in ogni casa italiana, è una di famiglia. E per me, cresciuto negli anni ’80, è un’enciclopedia. I miei pomeriggi, una volta finiti i compiti, li passavo in compagnia di questa finestra sul mondo. Chi appare in tv è spesso vicino alle nostre foto del matrimonio o di altri bei momenti. I suoi personaggi stanno in salotto con noi. Quali altre trasmissioni preferivi o preferisci? Sono un onnivoro della tv. Vedo volentieri Blob su Rai3, perché racconta in modo speciale i fatti del giorno, con montaggi d’eccezione. Ho passato tante sere d’estate a seguire spassose televendite. Tra i miei programmi storici preferiti ci sono Indietro tutta e Maurizio Costanzo
Una scena del film La mia banda suona il pop
Show, ai tempi di Carmelo Bene, pagine di televisione pura. Poi guardavo anche Mork & Mindy e Casa Vianello. Ho rivisto Franco Franchi e Ciccio Ingrassia su RaiPlay: due geni straordinari. Quali sono le differenze rispetto allo spettacolo teatrale? I mezzi espressivi, che si amplificano: si aggiungono scenografie, tanti ospiti, un corpo di ballo e molti musicisti. Alla base di tutto l’emozione. Sarai affiancato anche da altri artisti. Quali? Senza anticipare troppo, posso dire che Raphael Gualazzi è direttore musicale della puntata su Sanremo, ha arrangiato i brani con i suoi musicisti. Nell’altra puntata c’è Fabio Frizzi, che ha fatto lo stesso. Dalla tv a Internet fino ai social. Che ne pensi? Il web e, soprattutto, Youtube sono banche dati incredibili per le mie ricerche. La tv è invece tutt’altro: uno sguardo editoriale sul mondo che a volte attira un grande pubblico.
Penso di nuovo a Sanremo, che riunisce tutti per commentare e discutere, oppure agli ascolti incredibili di Alberto Angela con le sue presentazioni dei tesori artistici italiani. A febbraio esce anche il tuo primo disco, in cui interpreti i successi di Fred Buscaglione. Hai quindi una passione per il canto? E perché proprio Buscaglione? Avrei voluto fare il cantante, altro che l’attore. Uno dei miei primi costumi di Carnevale fu quello di Fred Buscaglione. Era un cantante dall’incredibile ironia, prendeva in giro con distacco il mondo dei gangster degli anni ’40, con testi irresistibili. Ho accettato l’dea perché me l’ha proposta Massimo Martellotta, altrimenti non mi sarebbe mai saltato in mente di interpretarlo. Ho trovato il coraggio anche perché Fred aveva un alto grado di attorialità nell’esibirsi e perché le sue canzoni raccontano sempre una storia.
SUL PICCOLO E GRANDE SCHERMO Febbraio ricco di uscite in tv e al cinema. L’amica geniale torna su Rai1, da lunedì 10 in prima serata, con il secondo capitolo, Storia del nuovo cognome. Gli eventi vissuti da Lila ed Elena riprendono dal punto in cui è finita la seguitissima prima stagione. Dal 6, invece, è al cinema Il ladro di giorni, un film di Guido Lombardi, con Riccardo Scamarcio e Massimo Popolizio: il viaggio di un padre che, appena uscito di prigione, parte insieme al figlio undicenne conosciuto da poco. Da giovedì 20 tocca a La mia banda suona il pop, la nuova commedia di Fausto Brizzi con Christian De Sica, Diego Abatantuono e Angela Finocchiaro. Elio Germano, infine, nelle sale dal 27, è Antonio Ligabue in Volevo nascondermi, la biografia del pittore di belve dai colori accesi, ritenuto pazzo. 25
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WHAT’S UP
UNA GARA FEROCE RIPARTE IL REALITY GAME DI RAI2, PECHINO EXPRESS. AL TIMONE CONFERMATISSIMO COSTANTINO DELLA GHERARDESCA gasparebaglio
© Roger Lo Guarro
di Gaspare Baglio
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hi ha paura di Pechino Express? Il reality game firmato Rai2 torna da martedì 11 febbraio con un’edizione zeppa di difficoltà e un cast ruggente: Max Giusti e Marco Mazzocchi (i gladiatori), Marco e Ludovica Berry (padre e figlia), Asia Argento e Vera Gemma (le figlie d’arte), Enzo Miccio e Carolina Gianuzzi (i wedding planner), Nicole Rossi e Jennifer Poni (le collegiali), Valerio e Fabrizio Salvatori (gli inseparabili), Ema Kovac e Dayane Mello (le top), Soleil Sorge e Wendy Kay (mamma e figlia), Annandrea Vitrano e Claudio Casisa (i palermitani), Gennaro Lillio e Luciano Punzo (i guaglioni). A condurre il sempre amatissimo Costantino della Gherardesca, che svela qualche anticipazione alla Freccia.
Anche quest’anno il programma è un bel tour de force. Che meraviglia chiamarlo tour! Mi ricorda Goethe e il suo Viaggio in Italia, nel XVIII secolo. La parola turismo deriva proprio dai lunghi tour di aristocratici e letterati in Italia e Francia, durante gli anni dell’Illuminismo. Il nostro programma, però, sarà una gara feroce: si vedranno luoghi meravigliosi, ma i concorrenti non avranno tempo per fermarsi a scrivere poesie. Cosa li aspetta? Partiranno dal sud della Thailandia, per arrivare a Bangkok. Attraversando il sud della Cina, l’intrigante e affascinante Yunnan, la spettacolare provincia di Guangxi, fino alla capitale tecnologica Shenzen. Poi la gara si trasferirà in Corea del Sud, da Busan alla modernissima Seoul.
Il cast è tosto. Chi spiccherà? Ci sono personalità fortissime: Enzo Miccio è particolarmente prepotente, ma anche Asia Argento non scherza. Sono curioso di vedere come uscirà Soleil Sorge, che si è recentemente lasciata con Jeremias Rodriguez e viaggerà con sua madre, la californiana Wendy Kay: una bellissima donna abituata al lusso più sfrenato. Anche tu, Costa, torni a essere concorrente… Ho fatto Celebrity Hunted, reality game a cui partecipano anche Totti, Fedez e Claudio Santamaria, peraltro molto simpatico. Uscirà tra qualche mese su Amazon Prime Video. raiplay.it PechinoExpress 27
WHAT’S UP
LOVE SHOW FLAVIO MONTRUCCHIO CONDUCE SU REAL TIME IL PROGRAMMA PRIMO APPUNTAMENTO, UN SUCCESSO CHE NON ACCENNA A FERMARSI
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senza dubbio uno dei volti di punta di Real Time. Flavio Montrucchio, occhi azzurri, battuta pronta e un passato attoriale diviso tra la soap opera CentoVetrine, le fiction Donna Detective e La nuova squadra e musical del calibro di Grease. Poi è arrivata la conduzione di eventi come Una notte per Caruso e Lo Zecchino d’oro. Due occasioni e una certezza: era nata una stella. Il gruppo Discovery ha fiutato il talento di Montrucchio e lo ha voluto già nella scorsa stagione al timone di Primo appuntamento, in onda ogni martedì alle 21:10. Il format ha subito segnato un +8% rispetto all’anno scorso. Un debutto coi fiocchi e una scommessa vinta. Primo appuntamento continua a macinare ascolti. Ormai sei il volto di punta di Real Time. Sono contento che la rete abbia creduto in me, riconfermandomi alla conduzione di questo dating show. E affidandomi anche Bake Off Italia - All-Stars Battle, una pietra miliare. È un attestato di stima. Come mai Primo appuntamento funziona così bene? È un’equazione difficile da analizzare. In effetti è andato sempre in crescendo, sicuramente il fascino dell’appuntamento al
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buio permane. Un ingrediente vincente, per me, è il coraggio di mostrare l’amore e le sue diverse sfaccettature. Senza alcun tipo di censura. Hai un passato nella recitazione, vorresti tornare a fare l’attore? Non ragiono a compartimenti stagni. In tanti anni di lavoro sono cresciuto grazie alle cose che ho fatto e alle persone che ho incontrato. Non mi sentivo più adatto ai ruoli che mi proponevano, ma ci ha messo lo zampino anche il destino: come nel film Sliding doors, mi sono trovato nell’intrattenimento. La veste che, a oggi, sento calzarmi meglio. C’è qualche programma che ti piacerebbe fare? Sono un creativo. Quando facevo il musical non riuscivo a rimanere ancorato a certi paletti. In tv cercano una visione e una verve diversa. Non mi dispiacerebbe fare il game, potrei scherzare con la gente comune, interagire col pubblico. Avendo, ogni giorno, persone diverse davanti. Sanremo è nei tuoi pensieri? Farei sicuramente felice la mia mamma. Se arrivassi all’Ariston, come Rocky urlerei, anziché «Adriana!», «Mamma, ce l’ho fatta!». Qual è stato il momento di svolta da interprete a presentatore? Tale e quale show mi ha fatto innamorare nuovamente dell’entertainment. Da lì è partito un po’ tutto. E sono arrivato fino a Discovery, dove un conduttore come me può sperimentare cose nuove al passo coi tempi. Un’ultima cosa: viaggi spesso in treno? Lo amo! Le mie tratte abituali sono la Roma-Torino e la Roma-Milano. La mia famiglia d’origine è a Torino, il lavoro a Milano, mentre vivo a Roma. In treno mi piace rilassarmi, spegnere lo smartphone e godermi un buon libro. G.B.
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
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Š Giuseppe Di Viesto
INCONTRO
Carlo Verdone sul set del film Si vive una volta sola
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DI VERDONE CE N’È UNO IL CELEBRE ATTORE E REGISTA ROMANO RACCONTA LA SUA NUOVA COMMEDIA, SI VIVE UNA VOLTA SOLA, TRA ANEDDOTI, ANTEPRIME E CURIOSITÀ di Gaspare Baglio
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ono felice di fare questa intervista. Vado spesso a Milano, Firenze, Torino e Napoli. E non conviene prendere l’aereo, il treno non si batte. A bordo riesco pure a lavorare. È una passione che ho sempre avuto, collezionavo addirittura i trenini Marklin». Carlo Verdone si lascia andare a un ricordo personale prima di raccontare alla Freccia il nuovo film da lui diretto e interpretato, Si vive una volta sola, nelle sale dal 26 febbraio. Attore e regista amatissimo dal pubblico, con le sue commedie agrodolci fa sorridere a denti stretti, mostrando tic e manie degli italiani. Chi non ricorda l’ossessivo Furio di Bianco, rosso e Verdone, il coatto Ivano di Viaggi di nozze, il timido Sergio di Borotalco e lo spavaldo Gepy Fuxas di Perdiamoci di vista? Ogni personaggio è legato a un sorriso velato di malinconia. Caratteristica che ha reso Verdone un regista unico e inimitabile. Di Verdone ce n’è uno. Così come inimitabili sono le sue pellicole, che non hanno mai avuto sequel, ai quali si dichiara contrarissimo.
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Come mai questa avversione? C’è il rischio enorme di deludere il pubblico. Il film vero è uno e basta, poi si deve cambiare pagina. I numeri due mi sembrano una furbizia. Cosa ci dice di Si vive una volta sola? È arrivato dopo un anno di riunioni che non riuscivano a centrare molto bene l’obiettivo. Il produttore De Laurentiis dimostrava delle perplessità, capivo che c’era qualcosa che riteneva troppo azzardato. Poi ho incontrato Giovanni Veronesi, gli ho parlato dell’idea che avevo e dei dubbi a livello produttivo. Veronesi che le ha detto? Mi ha dato uno spunto, molto interessante, che ha portato allo sviluppo del soggetto e della sceneggiatura in tempi rapidi. Quale storia è uscita fuori? È un film corale su un’équipe medica formata da Rocco Papaleo, Anna Foglietta, Max Tortora e me. I personaggi sono professionisti di alto livello nel lavoro, ma di bassissimo livello nella vita privata, con solitudini e problemi sentimentali. Si frequentano anche fuori dalla sala operatoria, ma il tempo ha usurato l’amicizia: quasi
non si sopportano più, però non possono fare a meno l’uno dell’altro. Poi un fatto traumatico, tra i tanti colpi di scena, permette di ridisegnare l’amicizia e l’affetto con maturità. Come ha scelto il cast? Non avevo mai lavorato con nessuno di questi attori. Anna Foglietta mi aveva colpito molto a teatro e nel film drammatico Un giorno all’improvviso. Trovo sia un’attrice meravigliosa, sa destreggiarsi nella commedia come nelle parti drammatiche. È stata perfetta. E Rocco Papaleo? È l’anestesista. Il personaggio doveva avere una sua fisionomia e quel ruolo gli calza a pennello. Manca solo Max Tortora… Lui mi è sempre piaciuto. Tra le altre cose, prima di iniziare a girare, ho pensato che questo film potesse dare agli interpreti qualcosa di importante dal punto di vista recitativo. La scrittura è stata modificata sulla base delle caratteristiche degli attori. Sono rimasto molto contento, è uno dei migliori cast che ho mai avuto e, dopo le riprese, siamo diventati molto amici.
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INCONTRO
Da sinistra: in prima fila Max Tortora e Carlo Verdone, in seconda Anna Foglietta e Rocco Papaleo
Protagonista è anche il viaggio. Che valore assume? Viene utilizzato come distrazione da un problema importante, che riguarda Papaleo. È necessario, perché si crea una situazione particolare che deve essere risolta in un ambiente diverso da quello di vita e di lavoro, e dalle rispettive famiglie. Dove porta questo viaggio, geograficamente parlando? Ho optato per la costa della Puglia, la percorriamo da Monopoli in giù, fino a Otranto e Castro. Ci sono location molto belle. Ha fatto molti film che sono entrati nell’immaginario collettivo italiano, ma bisogna menzionare anche Sono pazzo di Iris Blond, che ha un respiro internazionale. Infatti è uscito in America, dove ha ricevuto buone critiche. Fu proiettato all’Angelica Theatre di New York. È difficile piazzare i prodotti nostrani, in genere vengono relegati nelle sale d’essai. Noi, al contrario, abbiamo un altro atteggiamento verso le pellicole estere: il coreano Parasite, 32
per esempio, esce in circuiti di prima visione. Forse dipende dal fatto che, sotto sotto, non riusciamo a fare lungometraggi totalmente cosmopoliti come le opere di Fellini o La grande bellezza di Sorrentino. È colpa delle idee e dei soggetti, che forse sono troppo provinciali. A proposito del film di Sorrentino. Dopo l’Oscar come miglior film straniero, le sono arrivate richieste per interpretare pellicole all’estero? Sì, negli Usa, ma francamente non erano progetti che mi interessavano. Che film erano? Mi hanno pregato di non dirlo, andremmo a toccare sul vivo l’attore che mi ha sostituito. Mai pensato di fare solo il regista? Dovrei trovare una storia giusta per attori giovani, dove non ci sia bisogno della mia presenza, ma fino a quando ho l’amore del pubblico continuerò così. È comunque nei miei pensieri. Dopo questo film ne ho in serbo un altro, poi ci sarà il
serial Vita da Carlo. Lo dovrebbe distribuire Amazon, ma ancora nulla è definito. Abbiamo presentato il progetto e le prime due puntate, sono molto piaciute. Con quale attrice vorrebbe lavorare? Meryl Streep. Per me è un sogno, la stimo tantissimo. Magari un giorno avrò una grande idea in grado di sedurre questa immensa interprete. Se non ricordo male, l’ha pure baciata… Veramente mi ha baciato lei! Quando alla Festa del Cinema di Roma sono andato a complimentarmi per la sua carriera, le ho detto che la considero come Jimi Hendrix. Lei si è fatta una risata, mi ha fatto capire che voleva darmi un bacio e io me lo sono preso. Streep a parte? Scarlett Johansson. È bravissima, fantastica. Il comico Ricky Gervais, durante la premiazione dei Golden Globe, ha fatto un monologo politicamente scorretto con l’obiettivo di denun-
ciare la difficoltà di far ridere oggi. Che ne pensa? Bisogna stare attenti a come si dicono certe cose, anche se mi sembra un pensiero a metà strada tra il radical chic e il falso moralismo. L’artista deve avere libertà e la gente dovrebbe mettere meno paletti. Le faccio un esempio: se c’è solo una donna protagonista allora siamo maschilisti. Sarà una moda, ma è anche un po’ stupida. Sicuramente si sta esagerando. Un film che ha nel cassetto, che le piacerebbe dirigere? Tempo fa sono andato a salutare la sorella di una persona che conosco, del mio quartiere, che stava morendo. È stato molto toccante. Ci sono anche ritornato, sono stati due giorni meravigliosi. Ho capito che il
mio ruolo, come artista, ha una funzione importante, se a ringraziarti è qualcuno che sta lasciando questo mondo. Ci si sente utili, come un antidepressivo senza effetti collaterali. Quindi potrei fare un film sulla malattia, perché no. Interessante, anche se un po’ rischioso… Vede, dopo quell’episodio, nel quartiere tutti mi invitavano a casa per farmi salutare la moglie paralizzata o il figlio colpito da ictus. Una volta arrivai a un contradditorio molto acceso con un signore che era arrabbiato per la scena di un mio film. È stato molto bello, perché, dopo la sfuriata, siamo scoppiati a ridere. E lui mi fa: «Tu te sei dimenticato che sto pe’ mori’ e io t’ho dato del tu invece che del lei».
Potrebbe uscirne una cosa un po’ comica e un po’ drammatica. Lei è anche una star di Facebook e Instagram. Ci sono dovuto entrare per forza e malvolentieri: c’era un usurpatore che scriveva come se fosse me e mi hanno consigliato di ufficializzare i miei social. Però funziona, le mie pagine sono pacate e serene, e tutti possono partecipare. Scrivo i miei post di getto, mentre aspetto un piatto al ristorante, quando faccio colazione o quando mi viene in mente qualcosa. Non ci penso più di tanto e i follower sentono che quello che dico è vero e sincero. carloverdone.com carloverdoneofficial carloverdone
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Una scena del film Si vive una volta sola
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TRAVEL
ROMEO AND JULIET
BIKE TOUR
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Ponte Castelvecchio, Verona
UN ROMANTICO ITINERARIO STORICO-GASTRONOMICO PER COPPIE (SU DUE RUOTE) NELLA CITTÀ DEGLI INNAMORATI
A ROMANTIC HISTORIC AND GASTRONOMIC ITINERARY FOR COUPLES (ON TWO WHEELS) IN THE CITY FOR LOVERS
di Marzia Dal Piai - a cura di vdgmagazine.it 35
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h Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo?». Una delle frasi più celebri della tragedia shakespeariana celebra l’amore assoluto di Romeo e Giulietta che si è consumato nella città di Verona. E nel mese dell’amore, febbraio, in cui si festeggia San Valentino, proprio nella città scaligera un importante evento coinvolge un particolare tipo di amanti, quelli delle due ruote: è Cosmobike Show. E, allora, ci piace immaginare dei moderni Romeo e Giulietta in un tour che li veda percorrere i luoghi più belli, romantici e gustosi di Verona, perché no, in sella a una bici. Un itinerario che fa bene all’ambiente e all’amore, fatto di degustazioni e conoscenza del territorio, per immergersi nelle vie e nei locali della città della celebre e sventurata coppia. Come tutti sanno, la storia d’amore tra Romeo e Giulietta è leggenda, frutto della penna di William Shakespeare, che a sua volta si ispirò a una novella. Ma Verona conserva alcuni luoghi storici reali che fanno da ambientazione alla tragedia del drammaturgo inglese, poiché un fondo di verità esiste. La famiglia Montecchi, quella di Romeo, fu infatti una delle più importanti dinastie ghibelline veronesi, e la lotta con i guelfi insanguinò veramente la città nel 1200. Allo stesso modo, il cognome Capuleti, quello di Giulietta, sarebbe una storpiatura di Cappelletti, mercenari al soldo di Venezia. Si parte, dunque, dall’edificio del XIII secolo al civico 23 di via Cappello, a pochi passi dalla centralissima piazza delle Erbe, dove sul grande arco del cortile campeggia ancora lo stemma della casata e sulla cui facciata in mattoni a vista spunta il famoso balcone dove la giovane attendeva Romeo. A casa di Giulietta sicuramente si mangiava pasta e fasoi (fagioli), piatto medievale tipico della cucina popolare, spesso insaporito aggiungendo le cotiche di maiale. A
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omeo, Romeo, wherefore art thou?". One of the most celebrated phrases from Shakespeare's tragedy celebrates the all-encompassing love between Romeo and Juliet, which unfolded in the city of Verona. And in the month of love, February, when Valentine's Day is celebrated, it is precisely in the city of the Scala family that an important event involves a particular kind of lover, those on two wheels: it's the Cosmobike Show. And then we like to imagine present-day Romeo and Juliets in a tour which sees them in the most beautiful, romantic and tasty parts of Verona on a bike, and why not? It is an itinerary that is good for the environment and for love, which encompasses tastings and discovering the local area, so you can immerse yourself in the streets and places of the city of the celebrated and ill-fated couple. As everybody knows, the love story between Romeo and Juliet is fiction, created by William Shakespeare who was in turn inspired by a short tale. But Verona boasts historic sites that serve as settings for the work by the great English dramatist, as the play has some basis in truth. The Montecchi family - Romeo's - was indeed one of the most important Ghibelline dynasties in Verona, and the struggle with the Guelphs did indeed cause bloodshed in the city in the 1200s. And equally Juliet's surname Capulet is a distortion of the name of the Cappelletti, who were mercenaries in the pay of Venice. So, the itinerary starts from the thirteenth-century building at number 23 Via Cappello, very close to the centrally-located Piazza delle Erbe, where the great arch of the courtyard still sports the emblem of the house and the famous balcony where the young girl awaited Romeo projects from the bare-
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Balcone di Romeo e Giulietta/Romeo & Juliet’s balcony
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Malcesine (Verona), Lago di Garda
breve distanza, in via delle Arche Scaligere, la dimora dei Montecchi è un imponente edificio con portici decorati di tufo e cotto. La casa non è visitabile, ma si può entrare nella parte in cui sorge l’Osteria del Duca, un locale di cucina tradizionale veneta. Da provare i bigoli con le sarde (da bigat, bruco), una pasta simile agli spaghetti ma più spessa. Altra tappa obbligata la tomba di Giulietta, dove un tempo sorgeva un ex convento di frati appena fuori le mura cittadine, in via Pontiere 35. Una ventina di chilometri facili da percorrere in sella, magari accompagnati da una guida come Fabio Boeti, di Bike Experience, che sa raccontarne i tanti aspetti nascosti. E dopo una tappa così amara bisogna concedersi le cose buone della vita, come il risotto all’Amarone, preparato mantecando il riso con l’Amarone della Valpolicella e il formaggio Monte Veronese. La Città degli innamorati regala scorci suggestivi anche non legati al mito di Romeo e Giulietta, come quelli architettonici che ne fanno un gioiello da visitare in ogni stagione. In bicicletta, del resto, si raggiungono angoli per lo più sconosciuti, dove di solito si scoprono locali di prodotti tipici e prelibatezze. Prima di ripartire pedalando, per guadagnare un po’ di energia in più, c’è il bollito con la pearà, preparato con carne e verdure e servito con un purè di pane grattugiato e pepe abbondante (la pearà, appunto). E poi via lungo il fiume Adige, con deviazione in via Barbaranni verso la famosa chiesa di San Zeno, protettore di Verona, che conserva uno splendido dipinto del Mantegna. Ritornando verso il fiume e attraversando il Ponte Risorgimento, sulla riva opposta si prosegue su Lungadige Cangrande in direzione dell’Arsenale, dove si staglia il ponte medievale di Castelvecchio. Il Lungadige è una via particolarmente adatta ai ciclisti fino alla
brick façade. At Juliet's house they certainly ate pasta and fasoi (beans), a typical medieval peasant food, which was often flavoured by adding pork rind. Not far away, in Via delle Arche Scaligere, the home of the Montecchi is an imposing building with porticoes decorated with tuff stone and terracotta. The house cannot be visited, but you can see the part occupied by Osteria del Duca, a restaurant with traditional Veneto cuisine. You should try the bigoli con le sarde (from bigat, caterpillar), which is a pasta similar to spaghetti, but thicker. Another obligatory stop is at Juliet's tomb outside the walls in Via Pontiere 35, where a monastery once stood. Twenty kilometres that are easy to cover by bike, perhaps accompanied by a guide like Fabio Boeti from Bike Experience, who can point out many details you might not notice. And after such a sad interlude, you will have to indulge in some of the good things, like risotto all’Amarone, which is made by coating rice with Amarone della Valpolicella and Monte Veronese cheese. The city of lovers also offers fascinating sights that are not associated with the legend of Romeo and Juliet. Such as the architecture that makes it a jewel to visit in every season. And by bike you can access areas that are generally unknown, and often discover venues offering local products and delights. Before cycling on, to boost one’s energy, there is bollito con la pearà, which is prepared with meat and vegetables and served with a pure purée of breadcrumbs and lots of pepper (the pearà). You then ride along the River Adige, with a detour in Via Barbaranni towards the famous church of San Zeno, the patron saint of Verona, which has a 37
splendida veduta di Castel San Pietro (detto anche di Re Teodorico). Per arrivare alla Reggia bisogna affrontare la salita delle Torricelle, ma in sella a una e-bike nulla è impossibile e, per chi non se la sente, c’è la funicolare. Scendendo, non resta che attraversare il Ponte Pietra, il più antico della città, e pedalare fino a via Sottoriva, una delle strade più ricche di ristoranti e osterie. Un buon bicchiere di vino della Valpolicella, di Soave o Custoza, è l’ideale per rinfrancarsi dopo le fatiche su due ruote. Al ritorno, verso piazza dei Signori, si arriva facilmente in piazza delle Erbe, dove è d’obbligo sedersi in un caffè ad ammirare gli affreschi che decorano gli edifici, e magari assaggiare anche i dolcetti fatti con l’impasto del pandoro, le sfogliatelle di Villafranca o le frolline. Per un buon caffè c’è anche Liston, in piazza Brà, cuore della città assieme a via Mazzini (la via dello shopping, dove la bici va tenuta a mano). Tornati in sella, si pedala in direzione dell’Arena per via dei Pellicciai, assaporando i profumi della cucina veronese che si incontrano tra le viuzze del centro. Un’altra specialità è il riso al tastasal, con carne macinata, salata e pepata, ricetta nata per controllare la salatura della carne prima di utilizzarla nella preparazione dei salumi. Da qui il nome, che significa proprio tastare il sale. A due passi dall’Arena, poi, si può fare un salto alla Botteghetta per assaggiare gli affettati lessini e i prodotti dell’entroterra, o alla storica osteria Il carro armato, nelle cui vicinanze si trova la chiesa dove sono seppelliti i Signori di Verona, gli Scala. Insomma, sono tante e gustose le tappe nella Città dell’amore, che tra l’altro, nella settimana di San Valentino, ospita la XVI edizione di Verona in Love Dolcemente in Love, iniziativa che propone ingressi museali a tariffa ridotta, caccia al tesoro, visite guidate, mercatini di prodotti tipici e musica. Torna anche la proposta Due cuori a tavola, per degustare menù speciali pensati proprio per celebrare gli innamorati. Difficile immaginare un San Valentino più dolce di quello veronese. citta.di.verona.it visitverona.net casadigiulietta.comune.verona.it bikeexperience.net dolcementeinlove.com 38
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Risotto all'Amarone
splendid painting by Mantegna. Going back to the river and over the Ponte Risorgimento, on the opposite bank you continue on the Lungadige Cangrande towards the Arsenale, with the medieval bridge of Castelvecchio. The Lungadige is a road that is especially suitable for cyclists, leading up to the splendid view of Castel San Pietro (also known as the Castle of King Teodorico). To get to the royal residence you have to brave the Torricelle climb, but with e-bikes nothing is impossible, and for people who do not feel up to it there is a funicular railway. On the way back down, just cross Ponte Pietra, the oldest bridge in the city, and pedal up to Via Sottoriva, one of the streets with most restaurants and eateries. A nice glass of Valpolicella, Soave or Custoza is the perfect way to refresh yourself after exertions on two wheels. Returning, going towards Piazza dei Signori, you easily reach Piazza delle Erbe, where you must sit down in a café and admire the frescoes that decorate the buildings, and perhaps also try some sweets made with almond dough, Villafranca sfogliatella or frolline biscuits. Another place for a good cup of coffee is Liston, in Piazza Brà, which together with Via Mazzini (the shopping street, where you have to wheel your bike)
forms the heart of the city. Getting back on the saddle, you pedal towards the Arena through Via dei Pellicciai, savouring the smells of Veronese cooking that drift through the alleyways in the city centre. Another speciality is tastasal rice, with ground, salted and peppered meat. This recipe was created to check if meat was sufficiently salted before being used in cold cuts, and indeed its name means “tasting for salt”. Very close to the Arena you can go to the Botteghetta to sample local cold cuts and other products, or to the historic inn Al Carro Armato, close to the church where the lords of Verona, the Scala family, are buried. So, there are many tasty stops to make in the city of love, which during the week of Valentine’s Day also hosts the 16th edition of Verona in Love - Dolcemente in Love. This initiative offers reducedprice museum tickets, treasure hunts, guided tours, markets with traditional products and music. Due cuori a tavola is also back, offering special menus created especially to celebrate people in love. It is difficult to imagine a Valentine’s Day that is sweeter than the one in Verona.
VERONA 66 FRECCE AL GIORNO/A DAY
COSMOBIKESHOW
TURISMO SOSTENIBILE E GREEN ATTITUDE PROTAGONISTI DEL FESTIVAL DELLA BICI, ALLA FIERA DI VERONA IL 15 E 16 FEBBRAIO
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e di amore ne avete uno su tutti, quello per la bicicletta, allora non perdete CosmoBikeShow il 15 e 16 febbraio alla Fiera di Verona. Performance acrobatiche, incontri con i campioni e test ride su circuiti mozzafiato attendono gli appassionati insieme ai big player, ai loro ultimi modelli e alle tecnologie più all’avanguardia. Proprio nel weekend di San Valentino la storia d’amore tra la città, la sua fiera e il mondo del ciclismo viene confermata. L'obiettivo di CosmoBike è promuovere la bici come protagonista della mobilità di tutti i giorni, in un’ottica di sostenibilità e di rispetto per l’ambiente. Obiettivi che ben si
coniugano con una delle mission di Ferrovie dello Stato Italiane, quella di dare impulso a un turismo sostenibile e dolce, che faccia dell’integrazione fra treno e bici un volano per la riscoperta dei territori e delle ricchezze paesaggistiche, storico-culturali ed enogastronomiche del nostro Paese. Non solo mondo racing on e off-road ma anche iniziative mirate al turismo in sella come l’area CosmoBike Tourism, con le migliori proposte e attrezzature per gli appassionati di questa forma di vacanza slow. A Verona torna anche la quinta edizione dell'Italian Green Road Award, il premio ideato dalla rivista online di cicloturismo Viagginbici.com, con
l'intento di mettere in luce percorsi e territori che sono riusciti a valorizzare al meglio le vie verdi attraverso servizi in grado di consentire lo sviluppo del cicloturismo. L’edizione 2020 vede anche confermata la partnership con La Gazzetta dello Sport, con oltre 40 eventi e talk show assieme ai grandi campioni del passato e del presente. Il 15 febbraio, inoltre, dalle 15 alle 16 appuntamento con Bicicucina, tante ricette, improvvisate o quasi, assieme a Tessa Gelisio, conduttrice di Cotto e mangiato e Cotto e mangiato in bici, e al giornalista-ciclista Maurizio Guagnetti. M.D.P. cosmobikeshow.com viagginbici.com 39
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Ferrovia Pedemontana del Friuli
DAL BINARIO ALLE DUE RUOTE IL GRUPPO FS ITALIANE PRESENTA A COSMOBIKE L’OFFERTA LEGATA ALLA MOBILITÀ DOLCE, CON L’INTEGRAZIONE BICI+TRENO di Luca Mattei
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l.mattei@fsitaliane.it
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utti in sella alla propria bicicletta, lo scorrere delle lancette dell’orologio non interessa, ciò che conta è solo immergersi nella bellezza panoramica e culturale del Belpaese. La mobilità dolce, basata sull’attività fisica, ma senza puntare al raggiungimento della meta nel più breve tempo possibile, è
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sempre più diffusa in Europa. Da compiere programmando anche lunghi spostamenti, grazie alla possibilità di trasportare comodamente in treno la propria due ruote. Non sorprende così la partecipazione di FS Italiane a Cosmobike, il festival dedicato al mondo della bicicletta che nel 2019 ha attratto oltre 30mila visitatori. Mission del Gruppo, infatti, è da sempre la promozione di un viaggio sostenibile e integrato, con un occhio di riguardo nei confronti dell’ambiente e di quei mezzi che consentono di ridurre le emissioni di anidride carbonica. Un impegno sempre più cospicuo, illustrato durante i talk della kermesse veronese. Sabato 15 febbraio alle 15 si parte con Treni antichi, sapori e bici, a cura della Fondazione FS Italiane, grande protagonista di un 2020 scelto dal ministro Dario Franceschini come Anno del treno turistico. Con la Fondazione, il Gruppo FS ha avviato nel
2014 il progetto Binari senza tempo, per raggiungere mete meno note ma dalla straordinaria ricchezza artistica, paesaggistica ed enogastronomica. Tra il 2014 e il 2018 sono stati riaperti all’esercizio 600 chilometri di linee ferroviarie, nel 2019 i treni d’antan hanno trasportato circa 100mila persone, mentre nei prossimi mesi tornerà sui binari anche l’elettrotreno di lusso Arlecchino e si inizierà il restauro del Settebello. Interessante l’offerta per gli appassionati biker: si può viaggiare sulle affascinanti carrozze d’epoca degli anni ’30 anche caricando la propria due ruote a bordo di antichi bagagliai, un tempo riservati al trasporto merci. Terminato il primo incontro, alle 16:30 tocca a Rete Ferroviaria Italiana presentare Ferrovie dismesse: un riuso ciclabile. Il gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale ha un patrimonio di circa 1.200 km di linee non più in esercizio da preservare per scopi
turistici e sociali e cedere alle amministrazioni locali per la trasformazione in greenways, sentieri riservati a spostamenti non motorizzati. Fra i tracciati più idonei ce ne sono alcuni in prossimità di siti di pregio naturalistico-culturale: in Friuli-Venezia Giulia, per esempio, si potrebbe partire da San Giorgio di Nogaro e arrivare a Palmanova (UD), città fortificata con pianta a stella e sito Unesco; in Veneto, nel tratto da Susegana a Giavera (TV), ci si avvicinerebbe alle celebri colline del Prosecco e del Valdobbiadene. I progetti portati a termine sono molteplici, con circa 400 chilometri di linee già trasformate. Fra Torino e Cuneo si può percorrere l’Airasca-Moretta, detta via delle Risorgive per la presenza di sorgenti naturali. C’è invece il mare a fare da sfondo in alcuni tratti dell’Arenzano-Albisola Capo, in Liguria, dove si può anche raggiungere la casa di Cristoforo Colombo a Cogoleto (GE), e dell’Ortona-Vasto, in Abruzzo, verso la riserva Punta Acquabella e Palazzo d’Avalos, in provincia di Chieti. Il tragitto più lungo (73,7 km) è la Godrano-Burgio, nel palermitano, per arrivare agli scavi archeologici Adranone e alla cascata delle Due Rocche. Rfi ha mappato i percorsi in una trilogia di Atlanti, l’ultimo dei quali, stampato a dicembre 2019, viene presentato proprio a Cosmobike.
Nell’ultimo giorno del festival, alle 11, si parla di Turismi possibili: treno e bici. Per Trenitalia, infatti, una maggiore integrazione tra questi due mezzi è un obiettivo perseguito e raggiunto da diversi anni. A bordo dei Regionali, per le due ruote elettriche o montate il ticket è gratuito (sempre per le pieghevoli) oppure si paga un semplice supplemento. A costo zero anche l’assicurazione per danni accidentali e il bracciale catarifrangente, offerti agli abbonati Regionali e InterCity e ai soci CartaFRECCIA che acquistano una pieghevole da Decathlon, grazie
alla partnership firmata a ottobre 2019. Inoltre, nei nuovi Regionali c’è più spazio per le bici, fino a 18 nei Rock, fino a otto nei Pop, ed è possibile caricare quelle elettriche. Entro fine anno, su ogni convoglio InterCity saranno presenti sei postazioni. CosmoBike è per la Divisione Passeggeri Regionale di Trenitalia anche l’occasione per presentare il travel book dedicato alle ciclovie in prossimità delle stazioni ferroviarie in esercizio. Un’opportunità per i viaggiatori di stabilire un contatto diretto con la natura, la storia e la cultura di un Paese meraviglioso.
VIAGGIARE SOSTENIBILE FS ITALIANE ADERISCE AL MANIFESTO DI ASSISI «Un approccio realmente sostenibile è quello in cui vengono prese decisioni avendo ben chiaro il senso della prospettiva, non preoccupandosi solo degli effetti di breve periodo ma proiettandosi in un orizzonte di più ampio respiro», ha sottolineato Gianfranco Battisti, amministratore delegato e direttore generale del Gruppo, nell’aderire al Manifesto di Assisi lo scorso 15 gennaio. Promosso da Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, Mauro Gambetti, padre custode del Sacro Convento di Assisi, ed Enzo Fortunato, direttore della rivista San Francesco, il Manifesto nasce per sostenere lo sviluppo di un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica. Per dare concretezza al proprio impegno a tutela dell’ambiente, FS Italiane ha definito anche gli obiettivi di lungo periodo (2030-2050): incremento dello shift modale per passeggeri e merci verso la mobilità sostenibile, aumento ai massimi livelli della sicurezza sulle reti ferroviarie e stradali, riduzione delle emissioni di CO2 per diventare carbon neutral entro il 2050. Azzerare il contributo netto di emissione dei gas serra in 30 anni si può e si deve. Chiunque può aderire al Manifesto di Assisi, firmando il documento sul sito symbola.it, e sono già in programma alcuni incontri tra i firmatari promotori per mantenere aperto il dialogo.
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LO SPRINT DEL
BIKE SHARING IN ITALIA LE BICI CONDIVISE AUMENTANO E OFFRONO NUOVE PROSPETTIVE ALLA MOBILITÀ URBANA
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di Serena Berardi - s.berardi@fsitaliane.it
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arà l’effetto Greta che ripudia i motori, sarà la capacità di sgusciare nel tetris urbano, ma in città girano sempre più biciclette. Lontanissimi i tempi in cui la macchina era l’attestazione reboante del proprio benessere sociale, oggi il suo possesso è vissuto da molti come un peso, e la mobilità è sempre più percepita come un servizio, che deve essere flessibile e adattarsi ai bisogni quotidiani. I veicoli in sharing — che siano macchine, scooter o bici — rispondono alle esigenze mutevoli ed estemporanee dei viaggiatori: si paga solo l’utilizzo effettivo, eliminando tutti i costi manutentivi e quelli legati alla proprietà. E la bici è leggera, silenziosa, adatta a piccoli spostamenti urbani, perfetta per raggiungere fermate e stazioni. I numeri della mobilità condivisa crescono, ma inquadrare le dimensioni del bike sharing italiano è piuttosto complesso: «Stimarle è difficile perchè esistono tanti piccoli servizi, alcuni con un numero esiguo di bici. Pensiamo, per esempio, a tutte le località turistiche», spiega Luca Refrigeri dell’Osservatorio nazionale sulla Sharing Mobility. Tuttavia un dato significativo per capire la portata del settore è il numero di biciclette disponibili: si è passati da poco più di 14mila nel 2015 alle quasi 36mila del 2018, con cui sono stati effettuati 15 milioni di spostamenti. L’impennata si è registrata nel 2017 con l’avvento del free floating: mentre con il sistema station based le dueruote sono collocate nelle rastrellerie, con questa modalità sono individuabili tramite app grazie alla geolocalizzazione e possono essere lasciate all’interno di aree predefinite. Le città con un servizio a flusso libero sono Milano, Torino, Bergamo, Mantova, Padova, Ferrara, Bologna, Reggio Emilia, Firenze, Pesaro e Roma, per un totale di circa 22mila bici con cui circolare. Le file dei rider urbani si sono ingrandite anche grazie alla diffusione dell’e-bike a pedalata assistita che vanno incontro ai meno allenati, permettendo loro di affrontare facilmente le pendenze
e i tragitti più lunghi. «Negli ultimi due-tre anni è cresciuta molto la cultura della bici e della mobilità condivisa. Gli episodi di vandalismo sono piuttosto isolati. Le biciclette in sharing sono diventate familiari e incontrano sempre di più i bisogni degli utenti: comode, sicure, ben illuminate, dotate di cestino o portapacchi», prosegue Refrigeri. Aumenta anche la sensibilità delle amministrazioni locali, impegnate a redigere e approvare i Piani urbani di mobilità sostenibile (Pums), pro-
mossi dalla Commissione Europea che ha diffuso le relative linee guida puntando su accessibilità, sostenibilità, sicurezza e condivisione. Piste ciclabili, ciclostazioni e bike sharing sono centrali in questa pianificazione, considerando i benefici di muoversi pedalando, soprattutto in termini di riduzione dell’inquinamento ambientale, acustico e di decongestionamento. Tra le grandi realtà, è Milano quella più avanti sul fronte della sharing mobility ed è stata tra le prime a mettere in pie-
Nel Meridione per le bici condivise la strada è ancora in salita: secondo l’ultimo Rapporto nazionale sulla sharing mobility manca il sistema di free floating, mentre quello station based ha servizi con meno di 100 mezzi
Fonte: Osservatorio nazionale sulla Sharing Mobility
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di il servizio con BikeMi nel 2008, arrivando nel 2018 a offrire 12mila bici tra free floating e station based. Bolzano, lo scorso ottobre, ha inaugurato la sua ciclopolitana, costituita da una rete interconnessa di piste ciclabili servita dal bike sharing con un parco di 100 bici a pedalata assistita e tre tricicli per persone con difficoltà motorie (con l’intenzione di aggiungere anche cargo bike attrezzate con un carrello anteriore per trasportare valigie). Bene l’Emilia-Romagna, contraddistinta da una storica vocazione per i velocipedi soprattutto nei Comuni di Ferrara, Reggio Emilia, Modena e Bologna. Quest'ultima, lo scorso settembre, è stata scelta da Mobike per sperimentare, per la prima volta in Italia e in Europa, le sue e-bike a pedalata assistita a flusso libero con spazi di parcheggio dedicati. A Verona, prima della prossima estate, è previsto il raddoppio delle postazioni per il bike sharing gestito da Clear Channel, dove si potranno noleggiare 170 nuove bici e 150 e-bike, 50 delle quali dotate di seggiolino. Firenze è uno dei centri con la più alta densità di bici free floating: nel 2018 ce n’erano 10,5 ogni 1.000 abitanti. A Roma, dopo l’uscita di scena di oBike, in ottobre Uber ha lanciato Jump, che in poco più di
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un mese ha raggiunto il traguardo delle 100mila corse, affiancato da Helbiz cha ha debuttato a novembre con alcune decine di e-bikes. Nel Meridione, invece, per le bici condivise la strada è ancora in salita: secondo l’ultimo Rapporto nazionale sulla sharing mobility manca il sistema di free floating, mentre quello station based ha servizi con meno di 100 mezzi. Fa eccezione Palermo, caso singolare nel panorama italiano: BiciPa ha una flotta di 400 unità ed è controllato da Amat, azienda del trasporto pubblico che vede il Comune di Palermo come socio unico. Mentre i servizi di sharing mobility vengono solitamente affidati a società private tramite bando pubblico, nel capoluogo siciliano vengono gestiti direttamente dall’amministrazione comunale. Ma il divario tra Nord e Sud non è l’unica questione sollevata dal bike sharing: i pagamenti digitali escludono una consistente fascia di popolazione che ha poca confidenza con la tecnologia e le zone periferiche rimangono tagliate fuori. «È molto importante che il soggetto pubblico fornisca indirizzi chiari. Per esempio, all’interno dei contratti con gli operatori, può inserire determinati requisiti di copertura e accessibilità del servizio». Gli am-
ministratori locali non solo possono orientare il bike sharing verso una maggiore equità, ma possono sfruttarlo per migliorare la mobilità urbana: «La digitalizzazione permette di ottenere dati rilevanti dagli utenti, come le aree più frequentate o gli orari di maggior concentrazione. Tali informazioni, che costituiscono parte di un sistema complesso, possono essere studiate e integrate per conoscere gli spostamenti dei cittadini e calibrare con criterio, per esempio, il trasporto pubblico locale o la viabilità». La direzione da seguire, insomma, è quella che va verso smart city a zero emissioni, capaci di migliorare la qualità della vita degli abitanti. E nel progressivo avanzamento di una mobilità a misura d’uomo, il bike sharing è pronto alla volata. osservatoriosharingmobility.it SharingMob
TRENITALIA E BICINCITTÀ Per i soci CartaFRECCIA, gli abbonati regionali/sovraregionali e i titolari di Carta Unica sconti e agevolazioni sui servizi Bicincittà, il bike sharing più diffuso in Italia: accesso alle velostazioni a condizioni vantaggiose, noleggio bici tradizionali, e-bike e folding bike, servizi di ricarica elettrica. bicincitta.com
Una storia centenaria, e piena di colori che continuano vivi nella nostra maestosa architettura, cultura vibrante e spirito unico e inestinguibile. CosÏ e l’autentica Cuba. Scoprila. www.autenticacuba.com
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MADE IN NAPLES IS BETTER di Peppe Iannicelli morricocecili e Cecilia Morrico
Atelier Magnifique
NON SOLO MILANO E FIRENZE, PER ASSAPORARE L’ARTE SARTORIALE DEL FATTO A MANO BISOGNA Maison Cilento & F.llo ANDARE A NAPOLI. UN GIRO TRA LE VIE DEL CAPOLUOGO PARTENOPEO TRA CRAVATTE, PANTALONI, GIACCHE E ACCESSORI DALL’ALTA QUALITÀ E SAPIENZA ARTIGIANALE
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e si pensa che il Quadrilatero della moda si trovi solo a Milano si sbaglia di grosso. Napoli e la Campania sono il regno del fatto a mano e dell’alta sartorialità per lui. Di Borbonica memoria, i re dell’artigianalità in grande stile si trovano tra i vicoli del capoluogo partenopeo. Chi sceglie di trascorrere un weekend di shopping non può esimersi da un giro in via Chiaia, proprio dietro piazza del Plebiscito, scendendo poi verso piazza dei Martiri, quindi per via Filangieri e via dei Mille e
proseguendo lungo la Riviera di Chiaia. Qui le boutique e botteghe artigianali deliziano ogni palato fine, e infatti al civico 203/204, nello splendido Palazzo Ludolf, ha sede una delle case storiche della città: Maison Cilento & F.llo. Fondata nel 1780, è oggi guidata da Ugo Cilento, ottava generazione della storica famiglia che, con passione, impegno, creatività e grande serietà, è riuscita a far conoscere e apprezzare lo stile napoletano nel mondo. Un’eleganza legata al territorio, che si ritrova anche nella col-
lezione di cravatte e foulard realizzata per la Fondazione FS Italiane e ispirata alla carrozza reale custodita nel Museo ferroviario di Pietrarsa. La cravatta è un modello sette pieghe fatto interamente a mano con tre ore di lavoro e il doppio della stoffa abitualmente utilizzata per accessori analoghi. Le quattro pieghe da un lato e le tre dall’altro, dall’esterno verso l’interno della seta jacquard, garantiscono un risultato perfetto senza triplure, molto apprezzato dagli intenditori. Il modello richiama le decorazioni in oro 47
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zecchino della carrozza reale e riporta nel codino il logo FS, il modello della carrozza e la data di produzione. Molto richiesti sia l'appuntamento in atelier con Maurizio Marinella che gli open day organizzati periodicamente nella sua maison alla Riviera di Chiaia. Oltre alle celebri cravatte, con l’occasione i gentiluomini possono apprezzare e scegliere stoffe pregiate per abiti e camicie, pelli per scarpe su misura, prodotti per la barba e la cura del viso, delizie gastronomiche e sigari raffinati. Sempre a Chiaia si può fare un salto da Officine, negozio specializzato in abbigliamento e accessori per uomo, dove poter trovare il pantalone napoletano con quell’estro in più. Tra i brand in esposizione Biagio Santaniello, marchio nato nel 1968 a Salerno e oggi guidato dal figlio Antonio: tessuti, forme, accostamenti sono sempre originali e coinvolgenti, ogni collezione è un vero e proprio mondo di ispirazioni con particolare attenzione all’ecosostenibilità dei prodotti e all’evoluzione tecnologica delle lavorazioni artigianali. Se invece si vuole proprio il classico partenopeo la scelta giusta è la collezione O’Sart della maison Entre Amis. Il modello ha infatti in vita il tradizionale nasello blocca bottone e la cintura precostruita sartoriale e si può trovare, sempre in zona centro, da Milord oppure da De Matteo, antiche boutique locali. In via Filangieri, l’appuntamento è da Magnifique, maison fondata nel 1964 da Mario Esposito. Un atelier con stoffe, drapperie e camicie raffinatissime e una produzione di nicchia molto ambita, in particolare le scarpe realizzate con vitelli francesi e camosci inglesi, coccodrillo e cordovan per i clienti più esigenti. 48
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La lavorazione è Goodyear, le tomaie e le suole interamente dipinte a mano. Per scegliere un accessorio prezioso come i gemelli da polso, vale una sosta Barbarulo 1894 a piazza Amedeo. Il design, le decorazioni, la chiusura a bottoncino (marchio originale, registrato) o a coda di balena impreziosita da una lamina d’oro trasformano questo accessorio in un gioiello contemporaneo completamente realizzato artigianalmente in house.
Calabrese 1924
Su appuntamento e vicino alla stazione Centrale il laboratorio di Eugenio Calabrese, fondatore nel 1924 dell’omonimo marchio di cravatte e tessuti. Sartoria alla quarta generazione familiare con Annalisa, nei suoi locali, oltre alla produzione, è possibile trovare anche un archivio quasi centenario, maglioni in cashmere, pochette e cinture. Per finire il tour bisogna spostarsi a Pompei dove, all’interno di una prestigiosa villa di proprietà di un fioraio, c’è l’officina di Alfredo Rifugio. Una storia d’eccellenza da oltre 50 anni, conosciuto come il sarto che fa le giacche di pelle a mano. In villa si riceve per appuntamento e ad accogliere gli ospiti Rifugio in persona e il suo team di dieci collaboratrici con ago e ditale. cilento1780.it emarinella.com biagiosantaniello.com entreamis.it magnifiquenapoli.com gemellidapolso.it calabrese1924.com alfredorifugio.it
NAPOLI 109 FRECCE AL GIORNO
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LEZIONI DI STORIA
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DAL 27 FEBBRAIO AL 1º MARZO, A NAPOLI, UNA SERIE DI INCONTRI PER RIFLETTERE SULL’IDENTITÀ COLLETTIVA
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di Giuseppe Laterza
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ella nostra epoca di grande incertezza sul futuro c’è un gran bisogno di conoscenza storica. Come possiamo, infatti, scegliere e perseguire le soluzioni giuste per garantirci una vita migliore se non impariamo dagli errori e dalle conquiste del passato? Molti italiani lo sanno. È per questo che da molti anni affollano le nostre Lezioni di Storia nei teatri di tutta Italia, da Roma a Milano, da Bari a Padova, da Trieste a Genova. E per questo ha avuto grande successo la prima edizione del Festival delle Lezioni di Storia che si è tenuta lo scorso anno a Napoli. Migliaia
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di persone sono venute ad ascoltare le parole degli storici, che ci hanno trasportato in una dimensione apparentemente lontana ma che, per differenza, ci aiuta a riflettere su noi stessi. Val bene un lungo e intenso fine settimana a Napoli, dunque, dal 27 febbraio al 1° marzo per non perdere Lezioni di Storia Festival 2020. Questa seconda edizione, resa possibile grazie al contributo essenziale della Regione Campania, affronta il tema Noi e loro, cioè come uomini e donne nel corso della storia si siano messi insieme, cercando un’identità comune, nel modo di pensare e di agire. Nel corso della storia, infatti, ci siamo definiti per appartenenza a un gruppo: una famiglia, una città, una nazione, ma anche una chiesa, un partito politico, una squadra di calcio. Questa identità collettiva si è costruita quasi sempre per differenza o contrapposizione con un altro gruppo: come dire, siamo “noi” perché non siamo “loro”. Ma quanto degli “altri” è invece entrato, senza che ce ne accorgessimo, a definire la nostra identità? Comprendere le ragioni e i modi in cui l’umanità fin dalle sue origini si è costituita
e divisa in noi e loro ci consente forse di immaginare un noi universale e un mondo meno frammentato e conflittuale, in cui a cadere sono quei muri fisici e culturali che dividono i tanti noi. Un tema affascinante e complesso che, durante il Festival, sarà sviluppato da alcuni tra i migliori storici italiani e stranieri nelle forme più diverse, attraversando letteratura, arte, cinema e fumetti. Relatori che uniscono alla qualità del pensiero storico la capacità di rendere la storia attraente per chi li ascolta. Ma il successo del Festival sta anche nella bellezza della città che lo ospita. Una bellezza carica di storia che si esprime con tutta la sua forza nei palazzi del centro storico, sedi delle prestigiose istituzioni culturali in cui si svolgono gli incontri. Quattro giorni per raccontare la nostra storia, per divertirci e stupirci, per riflettere sul nostro presente. Un invito a mettervi tutti in viaggio verso Napoli. lezionidistoriafestival storiafestival editorilaterza editorilaterza editorilaterza
© Francesco Pierantoni
Spettatori al Teatro Bellini di Napoli, Lezioni di Storia Festival 2019
TEMI Per aiutare il pubblico a scegliere tra lezioni, dialoghi, performance teatrali e incontri in libreria, Lezioni di Storia Festival 2020 è stato suddiviso in una serie di percorsi tematici. • Grandi racconti: la narrazione di eventi particolari che fanno luce su temi più generali, dal Risorgimento ai Mondiali di calcio, dall’Africa all’America. • I maestri: il ritratto di chi ha fatto la storia di questa disciplina, da Croce a Mann, da De Felice a Mack Smith. • I volti del potere: gli uomini che con il loro potere hanno cambiato la storia, da Serse all’imperatore Claudio, da Mussolini a Hitler. • In questione: le grandi questioni del nostro tempo viste attraverso la lente della storia, come élite e popolo, migrazioni, sessualità, conflitto tra generazioni. • Il mondo a Napoli: per raccontare Napoli e la sua fortissima identità multiculturale, da Goethe a Stendhal, da Billy Wilder a Fassbinder. • Il tempo della musica: la storia attraverso la musica, da Beethoven al blues. • La storia nell’arte: vivere la storia attraverso l’arte, da Picasso a Banksy. • Noi e gli antichi: la nostra relazione con il mondo antico, dagli dei greci a Pompei e gli antichi romani. • Orizzonti: le proposte dei partner sul territorio.
LUOGHI
RELATORI
Teatro Bellini Mann - Museo Archeologico Nazionale di Napoli Madre - Museo d’arte contemporanea Donnaregina Accademia di Belle Arti Conservatorio San Pietro a Majella Liceo Vittorio Emanuele II Librerie (UBIK, IoCiSto, Megastore Feltrinelli, The Spark Creative Hub)
David Abulafia, Alessandro Barbero, Alberto Mario Banti, Luciano Canfora, Eva Cantarella, Simona Colarizi, Ivano Dionigi, Amedeo Feniello, John Foot, Emilio Gentile, Andrea Giardina, Christian Goeschel, Luigi Mascilli Migliorini, Massimo Montanari, Gianni Mura, Alessandro Portelli, Francesco Remotti, Silvia Ronchey, Vanessa Roghi, Beppe Smorto, Vincenzo Trione, Alessandro Vanoli, Elisabetta Vezzosi, Maurizio Viroli e molti altri.
PARTNER Il Festival è progettato e ideato da Editori Laterza con la Regione Campania ed è organizzato dall’Associazione A voce alta e dalla Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini, con la partnership di Mann, Madre - Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Accademia di Belle Arti, Conservatorio San Pietro a Majella e Liceo Vittorio Emanuele II. Promozione e Comunicazione sono a cura della Scabec, società in-house della Regione Campania.
PROGRAMMA Il programma completo di Lezioni di Storia Festival è consultabile sul sito lezionidistoriafestival.it. L’ingresso a tutti gli eventi è libero, fino a esaurimento posti: è consigliata la prenotazione online, a partire dal 13 febbraio fino al 23 febbraio alle 13. Per informazioni: info@lezionidistoriafestival.it 51
CARNEVALE
LA MASCHERA È GREEN TUTELIAMO IL MONDO È L’APPELLO CHE SI RIPETE NELLE FESTE TRADIZIONALI ITALIANE. NELLE CITTÀ PICCOLE E MEDIE, DA CANTÙ A SCIACCA, SFILATE DI CARRI, SPETTACOLI E DOLCI PORTANO ALLEGRIA E GUARDANO AL FUTURO di Francesca Ventre - f.ventre@fsitaliane.it
Cantù
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l Carnevale 2020 vuole respirare aria nuova e abbracciare la Terra. Carri, colori, strade in festa, dolci e risate aiutano a sdrammatizzare il tema dell’ambiente e della difesa della Terra, su cui ci sarebbe altrimenti poco da scherzare. Cantù è la prima
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proposta di un tour tricolore fra i paesi del Carnevale. Il trambusto e l’allegria sono di casa alla 94esima edizione nella cittadina in provincia di Como, dove, grazie al calendario ambrosiano, il diritto allo scherzo si prolunga fino a quattro giorni dopo il martedì
grasso. L’ultima sfilata è infatti sabato 29 febbraio, dopo quelle domenicali del 2, 16 e 23. Orgoglio dei cittadini, che lavorano tutto l’anno alla sua realizzazione, è lo show con otto carri, uno per ogni gruppo storico. Davanti a tutti c’è il Truciolo, riempito da tan-
© Wilson Santinelli
Fano Cento
© Ianunzio Alessandro/AdobeStock
ti bambini, che prende il nome dalla maschera ufficiale di Cantù. Apre la gara, come da tradizione, il gruppo vincitore dell’anno prima: Buscait, che propone Giro giro tondo… Non fate cadere il mondo! con un invito a Donald Trump, Vladimir Putin e Xi Jinping a tornare bambini e rispettare la meraviglia del Creato. E ancora, Se il mare vuoi salvare, aiutaci a riciclare è il titolo del gruppo La Maschera, che utilizza con coerenza cartapesta e bottiglie di plastica riciclate. Il Coriandolo, attentissimo all’attualità, sfila con Australia, un carro dalle fattezze di un volto umano che rende persona il Paese devastato dalle fiamme all’inizio dell’anno. Dà sfogo alla satira politica, invece, Il can-can lo facciamo noi, carro realizzato dal gruppo Lisandrin. Trent’anni li compie il Carnevale di Cento (FE), in Emilia-Romagna. Ma dei numeri non bisogna fidarsi, perché di questa manifestazione già si hanno notizie nel 1600, grazie addirittu-
ra a Gian Francesco Barbieri, detto il Guercino, che raffigurò nei suoi affreschi la tradizionale festa. Negli anni ’90 del secolo scorso, il patron Ivano Manservisi gli ha ridato entusiasmo, ottenendo il prestigioso gemellaggio con Rio de Janeiro. Gli appuntamenti sono tanti, dal 9 febbraio con il concerto di J-Ax, passando per domenica 16 e 23, fino al 1° e 8 marzo, giorno del gran finale con la proclamazione del carro vincitore. Tutto finisce nel fuoco con il tradizionale rogo della maschera centese, Tasi. A ogni città o paese la sua caratteristica. Nelle Marche, a Fano (PU), l’appuntamento è con il Carnevale più dolce e antico d’Italia. Qui i giorni di festa sono il 9, 16 e 23 febbraio, quando avviene il caratteristico Getto, un lancio di dolciumi da carri alti fino a 18 metri: 200 quintali tra caramelle, cioccolatini e altre leccornie distribuiti alla folla. Se dolce vuol dire anche tenerezza e infanzia, non è casuale la partecipazione di Nicola Ielapi, giovanissimo attore che ha interpretato Pinocchio nell’ultimo film di Matteo Garrone. Torna, infine, il tema green a partire dal titolo dell’evento: Le vie dell’eco, casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra. Non si va via da Fano 53
CARNEVALE
senza ricordare che il Carnevale nasce nel 1347, in occasione della pace tra le due famiglie rivali della città. E che tutto finisce in fumo il martedì grasso con il rogo del Pupo, detto El Vulon, quando le fiamme portano via anche i peccati commessi nell’unico periodo in cui è lecito “insanire”. Inoltrandosi per il Belpaese è certo difficile scegliere tra tante iniziative carnascialesche in città piccole e medie e non far torto a nessuno. Non si dovrebbe trascurare Ivrea, con la tipica battaglia delle arance, o il Carnevale in Basilicata, una regione che ha avuto molta visibilità lo scorso anno grazie a Matera 2019. Inoltre c'è la Campania con Montemarano (AV) mentre in Puglia la scelta cade su Putignano (BA), privilegiata meta turistica anche in questo periodo. Il Carnevale 2020, arrivato alla 626esima edizione, vanta qualche secolo di storia. Tra satira, goliardia, creatività e tradizione, il tema è riassunto nel titolo della manifestazione, La Terra vista dal Carnevale, e in quello dei carri: dal primo, che si chiama Codice rosso, all’ultimo, L’Apocalisse. Chiude il tour del periodo più allegro dell’anno, Sciacca (AG), in Sicilia. Risate e momenti di allegria non possono
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mancare dal 20 al 25 febbraio nella terra millenaria dove già i commediografi greci si burlavano dei potenti e dei politici di turno, e luogo natale di Luigi Pirandello, teorizzatore dell’assoluta doppiezza e inaffidabilità della maschera. Il Carnevale del paese agrigentino è il più antico della regioSciacca
ne. I documenti storici già ne ricordano le prime tracce nel lontano 1626, quando era definito appuntamento “di panza”. Dal 1882, invece, viene accettata la composizione di testi dialettali che accompagnano gruppi e carri. Allegorie, balli in maschera e recite di un copione satirico caratterizzano la festa che inizia, come da canone, il giovedì grasso. Il sabato il carro di Peppe ‘Nnappa, maschera simbolo che in quel periodo detiene le chiavi della città, inaugura la sfilata con la distribuzione di salsicce, vino e caramelle. Nelle sere d’allegria tutti ballano in piazza, ma la notte del martedì il rogo del ‘Nnappa riporta alla triste realtà dell’imminente Quaresima. Ormai, né carne, né scherzo vale. carnevalecanturino.it
© Stefano Siracusa
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© Archivio Fondazione Carnevale
In questa pagina, immagini del Carnevale di Viareggio 2019
VIAREGGIO E VENEZIA
FABBRICHE DEL DIVERTIMENTO di Cristiana Meo Bizzari - c.meobizzari@fsitaliane.it
© Archivio Fondazione Carnevale
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enerazioni che si confrontano, si scambiano idee, tra tradizioni e cambiamenti, ma che continuano a crescere insieme. Generazioni che si rigenerano, assimilando i saperi dei padri, dei nonni, che condividono il destino del proprio tempo recuperando il passato e proiettandosi nel futuro. "Generazioni" è dunque la parola chiave del Carnevale di Viareggio, alla 147esima edizione, tema ispirato anche dall’arte dei carri dei maestri locali: artigiani marittimi che si esprimono creativamente attraverso ingredienti poveri e semplici come la cartapesta ma che hanno dato vita a una lunga tradizione di artisti, oggi in grado di competere ai massimi livelli di abilità con l'incedere del tempo e della tecnologia.
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Veneziana sull’acqua e lo show a Rio di Cannaregio, per la regia di Alessandro Martello, sabato 8 alle 19 e alle 21. Domenica 9 si rinnova invece il corteo acqueo delle Associazioni Remiere di Voga, da Punta della Dogana a Rio di Cannaregio, con stand enogastronomici e prelibatezze tipiche veneziane. Gran finale con l’arrivo della Pantegana. Piazza San Marco è come sempre il teatro principale di eventi e spettacoli: sabato 15 accoglie il corteo delle Marie del Carnevale, poi il Volo dell’Angelo il 16 e quello dell’Aquila il 23 febbraio. Il clou martedì 25 con il tradizionale Svolo del grande gonfalone del Leone di San Marco, per celebrare la chiusura del Carnevale 2020 e lanciare l’arrivederci al 2021. viareggio.ilcarnevale.com carnevale.venezia.it carnevaleveneziaofficialpage ilCarnevalediViareggio Venice_Carnival carnevalevg venice_carnival_official carnevaleviareggio
© Vela Spa
A Viareggio, quest’anno la società contemporanea è interpretata guardando alla social mania, all’avanzata economica della Cina e ai disastri ambientali contro cui si è schierata Greta Thunberg. Tra i temi delle opere di prima categoria: il no alle corride, l’ispirazione a una frase di Luciano De Crescenzo per lanciare un abbraccio collettivo, l’impegno per un amore senza discriminazione, la cultura minacciata dal centauro dell’ignoranza e i nuovi idoli del momento, come Cristiano Ronaldo. Sei gli appuntamenti di febbraio con i Grandi corsi mascherati, le sfilate di carri allegorici: sabato 1°, domenica 9, sabato 15, giovedì 20, domenica 23 e martedì 25. A Venezia, invece, i protagonisti dell’edizione 2020 sono l’amore, il gioco e la follia. Dall’8 al 25 febbraio è fitto il calendario di appuntamenti, rassegne culturali e performance che, con oltre 300 artisti, animano il centro storico della Serenissima. Si parte con la Festa
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IL LUNGO VIAGGIO DI
ARLECCHINO
© Dea Picture Library/Gettyimages
di Alberto Olivetti
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rlecchino viene da lontano. Viene davvero da molto lontano. Si racconta, infatti, che giungesse a noi provenendo addirittura dall’aldilà. È quanto accadeva tanti secoli orsono, quando Arlecchino non aveva ancora deciso di stabilirsi definitivamente tra noi, di farsi a suo modo cittadino e ritagliarsi un’occupazione di servitore. Al contrario. In quei tempi lontani, tra i comuni mortali, le sue erano incursioni rapide e tumultuose nelle quali si gettava con un grande clamore di tuoni, e di improvvisi lampi che squarciavano il cielo nel cuore della notte. Erano le tempeste notturne che lo richiamavano irresistibilmente sulla terra, e lo attraevano specialmente le campagne sconvolte sotto la furia degli elementi. Allora Arlecchino guidava sarabande infernali tra le nubi nere, lungo i crinali e nelle lande desolate, scatenando i suoi accoliti in cavalcate frenetiche che solo con le prime luci dell’alba si esaurivano, vaporando tra le nebbie mattutine oltre le gole dei monti. Questo almeno raccontavano quanti, serrati nelle case, rannicchiati sotto le coltri, sentivano la sua masnada attraversare, avanti e indietro, su e giù, i campi e le colline. E non erano forse, trascinate dietro a lui, dicevano, le anime inquiete dei defunti che facevano ressa, agitate e impalpabili come il soffiar dei venti? Il primo non confutabile indizio di questa provenienza di Arlecchino sta nel nome. Come scrive Fausto Nicolini, sappiamo che origina, fin dall’anno Mille, con varie e diverse inflessioni prima di fissarsi definitivamente, da quell’Herlequin che
designava il capo della tumultuante processione diavolesca. Del resto, se osserviamo bene la nera maschera di Arlecchino, non sarà difficile riconoscervi i connotati della sua ascendenza demoniaca. I suoi tratti conservano alcunché di cagnesco: poco pronunciato, camuso il naso; profonde le pieghe delle guance, come contratte da un ringhio che rimpicciolisce l’orbita degli occhi. E poi, soprattutto, la protuberanza d’un corno diabolico che spunta appena, ma che è tuttavia visibile sulla fronte corrugata. Arlecchino è immediatamente e universalmente riconoscibile per il suo vestito a losanghe multicolori. Ebbene, anche quel suo costume vistoso, sgargiante, è il risultato finale di una lunga, ma lineare, trasformazione. Alcune tra le prime, e rare, illustrazioni cinquecentesche ci rappresentano non per caso Arlecchino rivestito d’un abito sul quale, come altrettante toppe, sono cucite foglie di varia forma e colore. Le foglie verdi del rigoglio estivo, e le foglie gialle dell’autunno. Perché Arlecchino giunge in città, a Bergamo, dal fitto dei boschi, coperto come può e male in arnese. Del diavolo scatenato d’un tempo conserva la prestanza fisica, l’atletica vitalità che mostra in quel suo spiccar salti acrobatici e, all’occorrenza, nel dar di bastone con vistosa energia. Ma ha perduto la più parte delle antiche doti di astuzia e di imperiosa sicurezza, certo per esser stato relegato nel fondo delle campagne, quasi che quell’esser stato trascurato per gran tempo e senza contatti con l’uman genere, l’abbia ristretto in una sorta di innocenza sprovveduta che, tuttavia, può, in certe
circostanze, con grande sorpresa accendersi delle malizie antiche. Quel suo primo abbiglio, che rimandava a un mondo rurale e alludeva al ciclo delle stagioni, si fece a sua volta urbano, e le foglie divennero pezze e cascami di stoffe diverse e poi toppe, prima irregolari e poi ritagliate nell’ordine geometrico di rombi multicolori. Un “costume folle” dirà Paul Verlaine nelle sestine di Colombina, uno dei 22 componimenti di Feste galanti, la raccolta di poesie che pubblica nel 1869, dove Arlecchino, in Pantomima, «combina/il rapimento di Colombina/e fa quattro piroette». Quarant’anni dopo i riquadri di quel folle costume attrarranno Pablo Picasso che avrà buon gioco a inserirli nel codice cubista della sua pittura. Si diceva che Arlecchino appare nella commedia dell’arte come figura del servo, e non c’è servo se non in stretta relazione con il suo padrone, la figura del vecchio Pantalone, veneziano. Ha scritto in proposito Mario Apollonio: «Chi serve è in una condizione di inferiorità, mentre (e la contraddizione è profonda e sapiente) il padrone non può fare a meno di lui, per lo meno quanto egli non può fare a meno del padrone. L’uno e l’altro si dibattono in questa contraddizione e non ne sanno uscire, perché manca loro quell’agilità di adattamento che è necessaria alla vita sociale. Il vecchio è irrigidito in poche sentenze e in una costante regola di vita: avaro, brontolone, indurito nelle idee come nelle membra; il servo avrebbe dalla sua una naturalità più pronta perché irriflessiva, l’astuzia elementare ma efficace della gente primitiva, la mancanza di scrupoli; ma è menomato dal-
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© Bildagentur-online/Gettyimages
la grossezza e dalla poca pratica dell’ambiente cittadinesco». Composto dunque, fra il ’600 e l’800, in un suo carattere che si fa costante, non mancano testimonianze di sue avventure fantastiche, specie se andiamo agli esordi di Arlecchino quale lo troviamo, ad esempio, nei canovacci di Flaminio Scala, ossia ne Il teatro delle favole rappresentative, overo la Ricreatione comica, boschereccia e tragica divisa in cinquanta giornate, stampata a Venezia nel 1611. Mi limito a richiamare lo scenario della pastorale L’arbore incantato. Arlecchino, in Arcadia, è il servo del pastore Corinto. Non v’è perso-
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naggio che entri in scena che non prenda parte al gioco degli intrecci amorosi che si ingarbugliano uno sull’altro, uno dentro l’altro. Una ridda di equivoci, di travestimenti, di uscite di senno per eccesso di passione e di agnizioni a sorpresa e che si scioglie in fine dopo alcuni colpi di teatro di grande effetto. C’è un Sabino Mago che opera incantesimi. Arlecchino è innamorato della ninfa Clori, ma non è corrisposto perché lei ama Corinto, il suo padrone. Dopo innumerevoli garbugli, dal Mago la bella ninfa viene trasformata in albero. Appoggiato al tronco, Arlecchino piange amare lacrime e ingiuria Amore. Ed ecco
che, per punirlo, il Mago trasforma Arlecchino «in gru selvatica». È così che Arlecchino, con mille smorfie «slonga il collo più volte», fa mille capriole e contorsioni e danze slogate finché torna «nella sua forma». Il Mago muta l’albero di nuovo in Clori che sposa Corinto e lascia il suo servo afflitto e sconsolato. Conosciamo oggi un altro Arlecchino che, dimentico del suo passato, servo di nessun padrone, si muove con passo leggero, figurina allegra e spensierata, per le strade tra le maschere del carnevale. Un Arlecchino che primeggia nei veglioni con indosso il costume dai colori vivaci acquistato nei grandi magazzini.
DIPINGERE IL CARNEVALE COME LA FESTA DEI FOLLI HA ISPIRATO ARTISTI DI TUTTE LE EPOCHE di Giuliano Papalini - paepa2010@libero.it
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iù che una festa è una tradizione e le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Se molto spesso infatti, soprattutto in epoca recente, il Carnevale è stato associato a costumi colorati, sfilate di carri allegorici, coriandoli e feste in maschera, le sue radici sono in realtà molto più complesse e antiche, e spaziano tra il sacro e il profano. Prima di entrare nella Quaresima, che nella narrazione cattolica rappresenta il momento della penitenza e delle privazioni precedente alla Pasqua, era concesso e tollerato un periodo di gioia sfrenata, con riti e cerimoniali incentrati sulla parodia e sullo sberleffo che, generalmente, avevano come bersaglio la cultura ufficiale e il potere costituito. Il Carnevale diventa così la festa dei folli, in cui l’ordine viene sovvertito e chiunque, per qualche giorno, può diventare quello che non è (e probabilmente non diventerà mai). Questa sorta di rovesciamento dell’ordine è da sempre, fino ai nostri giorni, fonte di ispirazione di artisti: sono molte, infatti, le opere che illustrano scene, giochi e simboli legati al Carnevale, a volte anche nell’ottica cristiana della sua contrapposizione alla Quaresima, come nella celebre Lotta tra Carnevale e Quaresima, di Peter Bruegel il Vecchio (1559). È tuttavia nell’arte del ’900, dall’Impressionismo al Surrealismo, dal Dadaismo al Futurismo fino alla contemporaneità, che è possibile rintracciare profonde analogie tra il senso della festa carnevalesca e l’essenza della ricerca artistica. E sono le maschere della commedia dell’arte italiana, tradizionalmente associate a questa festività, i soggetti preferiti dai grandi maestri internazionali per la realizzazione dei loro dipinti.
Emilio Vedova …Cosiddetti Carnevali… (1977-83) Tecnica mista su legno Courtesy Fondazione Vedova 61
CARNEVALE
Pieter Bruegel il Vecchio La lotta tra Carnevale e Quaresima, particolare (1559 circa) Olio su tavola Kunsthistorisches Museum di Vienna
Pablo Picasso Paulo vestito da Arlecchino (1924) Olio su tela Musée National Picasso di Parigi
GLI IMPRESSIONISTI Martedì grasso di Paul Cézanne (1888), conservato al Museo Puškin di Mosca, ritrae il figlio Paul con un amico, vestiti da Pierrot e Arlecchino, due maschere carnevalesche per eccellenza. Pierrot blanc, realizzato nel 1902 dall’impressionista Pierre-Auguste Renoir ed esposto nel Detroit Institute of Art, è un bambino con la celebre maschera di fine ’500; il piccolo ritratto è Jean, figlio del pittore e futuro regista. È invece del cubista José Victoriano González, in arte Juan Gris, Arlecchino con chitarra, dai colori caldi e armoniosi, che oggi si ammira al Centre Georges Pompidou di Parigi. Anche Pablo Picasso ritrae nel 1924 il figlio Paulo con un grazioso costume carnevalesco, Paulo vestito da Arlecchino, al Musée National Picasso di Parigi. L’artista spagnolo aveva già rappresentato maschere nelle tele Pierrot (1918) e Arlecchino allo specchio (1923). La tecnica surrealista dell’automatismo psichico, che spinge l’immaginazione a perdersi in visioni fantastiche utilizzando sogni e incubi in continui passaggi dalla realtà alla fantasia, è usata da Joan Miró in Carnevale di Arlecchino, opera realizzata nel 1925 ed esposta all’Albright-Knox Art Gallery di Buffalo (NY), mentre il Museo di arte contemporanea di Caracas ospita il Carnevale notturno di Marc Chagall, che nel 1963 rende, con la straordinaria forza del colore, atmosfere oniriche e scenari fiabeschi in bilico tra sogno e realtà. 62
DE CHIRICO E VEDOVA Anche in epoca recente molti artisti contemporanei si sono ispirati ai riti e alla simbologia del Carnevale. Basti pensare a Andy Warhol e alla Pop Art. Per rimanere in Italia, due casi esemplari sintetizzano senz’altro l’essenza di questa tendenza: le maschere e i manichini metafisici di Giorgio de Chirico, espressione muta dell’uomo moderno. Opere surrealiste che giocano sulla forma ribaltando reale e irreale, proprio come avviene nel Carnevale. I …Cosiddetti Carnevali…, serie di dipinti realizzati da Emilio Vedova tra il 1977 e il ’91, testimoniano l’intensa relazione del maestro veneziano con lo spirito più autentico di questa festa. Attraverso la tecnica dell’assemblage, l'artista provoca uno spostamento su altri piani poetici fino al ritorno a una pittura di grande impatto gestuale e cromatico, dove appare evidente l’interessante connessione tra un fare nuovamente e direttamente espressionista e la sospensione quasi metafisica provocata dalla maschera. Un primo rapporto tra Vedova e il Carnevale risale al 1954, quando, premiato alla Biennale di San Paolo, rimase per tre mesi in Brasile e, in occasione della grande festa carioca a Rio de Janeiro, realizzò una serie di disegni e di pastelli. Joan Miró Il Carnevale di Arlecchino (1924-25) Olio su tela Albright-Knox Art Gallery Buffalo
Giorgio de Chirico Le due maschere (1959-71) Olio su tela Collezione privata
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TEATRO
NEL NOME DI
FRANCO
A TU PER TU CON PIPPO ZEFFIRELLI, FIGLIO ADOTTIVO DEL MAESTRO E PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE A LUI INTITOLATA. PER CHI VIAGGIA IN TRENO INGRESSO SCONTATO ALLA MOSTRA PERMANENTE
© Gianluca Moggi/Newpressphoto
di Titti Giuliani Foti
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o non ho fatto niente di particolare, solo ampliare un’idea e dare un senso di solidità forte pur nella diversità, che è sempre esistita tra me e il mio padre adottivo, che anche chiamavo Maestro: un genio assoluto davanti a cui chinare la testa. Oggi la Fondazione Franco Zeffirelli Onlus è carburante dialettico per intellettuali, studiosi e gente dello spettacolo». Pippo Zeffirelli, presidente della Fon-
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La sala dedicata all’Inferno dantesco
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dazione fiorentina intitolata al grande Franco, ha ereditato la responsabilità e l’organizzazione dell’ultimo sogno del Maestro: poter trasmettere la sua arte ai giovani. È un uomo bello, con gli occhi limpidi, leggermente tristi, un signore d’altri tempi con una galanteria umile, innata e non scontata. La sua avventura nel cinema lo ha unito alle visioni artistiche del genio paterno. Regista a sua volta, scelto da Francis Ford Coppola come aiuto per un film mitico come Cotton Club e poi da James Ivory per Camera con vista, Pippo Zeffirelli è un riferimento per la capacità tecnica, il gusto, il saper vedere di chi oggi fa cinema. Che non abbia «fatto niente» è una sua opinione: in realtà, basta varcare la Fondazione fiorentina, per rendersi conto del lavoro enorme e di qualità che qualunque anima, anche pigra e sprecona, non potrebbe che ammirare. Un luogo amato soprattutto dagli studenti, e non è il solo record che possa vantare. Qual è la prima cosa che le viene in mente pensando al Maestro? Che la vita non è che un continuo passaggio di esperienze, da una generazione all’altra: prima imparare, poi insegnare a chi viene dopo di noi. Così mi diceva, così viveva. Oltre alla sua fama e alla sua genialità indiscussa, con il suo essere anche sempre un po’ bambino riusciva a creare infinite manifestazioni della bellezza:
per questo era osannato nel mondo e amato. Pippo, lei che gli è stato vicino per 50 anni, cosa può dire di aver imparato da lui? Tantissime cose: la mia vita è stata un continuo insegnamento. E sono stato fortunato e privilegiato, perché Franco Zeffirelli mi ha insegnato anche il gusto che oggi non si sa quasi più dove sia. E anche la tolleranza, perché la diversità di vedute non è, né deve essere mai, qualcosa di separatista, anzi. Firenze si è arricchita di un percorso museale unico al mondo, che racconta 70 anni di vita di un’artista. È dedicato alle arti dello spettacolo per capire come un professionista serio possa anche oggi affrontare il proprio lavoro. Non in maniera superficiale, ma in un modo completo e totale, attraverso la cura dei dettagli che fanno capo a chi ha creato un soggetto. Io sono contro quelli che traggono vantaggio dall’ignoranza, dalla solitudine dei social, dall’isolamento. Il nostro museo è contro il formarsi di un nucleo di resistenza alla disperazione culturale e alla precarietà, e i giovani lo hanno capito. Chi visita la Fondazione dedicata al Maestro? Gente che si incontra per parlare, ascoltare, pensare insieme, condividere un’idea non solo estetica ma etica. E quando ci vengono a trovare studen65
© Gianluca Moggi/Newpressphoto
TEATRO
Sala musica Oratorio San Filippo Neri
ti di ogni età, spiego loro che la visita deve diventare un punto di riferimento preciso per tutte le professioni, a prescindere dall’arte. È possibile studiare per diventare scenografi, ma anche avvocati o medici, senza approfondire il sapere? È impossibile: e l’esempio di Zeffirelli è lampante e sotto gli occhi di tutti. I bambini sono i primi a capirlo. I ragazzi che entrano alla Fondazione Zeffirelli da cosa sono attratti? Con mia grande meraviglia, sono curiosi di tutto, di come si costruisce una scenografia, dei disegni preparatori e soprattutto dell’archivio segreto. Vedo in chi varca la nostra soglia, in piazza San Firenze, la voglia di costruire un proprio privilegio anche minimo, cercando di includere pure chi è lontano da questo pensiero. I bambini e i ragazzi, grazie anche ai loro insegnanti, parlano tra loro, si raccontano, si scambiano idee. Si arricchiscono, e arricchiscono anche me. Hanno quasi un desiderio inconfessabile di consegnarsi a un uomo che non c’è più, ma 66
ancora forte e vitale nelle tracce che ha lasciato. Entrare nel mondo Zeffirelli è egemonia culturale per pochi? Tutti i grandi del passato, da Botticelli a Leonardo a Caravaggio, o autori come Verdi, Puccini, Bach, hanno scritto per il piacere popolare. È un concetto da tenere ben presente. Numericamente, siamo sotto l’egemonia culturale di un qualcosa che ci vuole appiattiti e con un pensiero comune. Con Zeffirelli questo è letteralmente impossibile. E i più piccoli, che non hanno sovrastrutture mentali e ideali, lo sentono subito, considerandolo istintivamente uno di loro. Il percorso narrativo del museo? È stupefacente sempre, anche per me: si va dai primi elaborati fino al progetto definitivo attraverso le stanze della Fondazione e si ammira quel che è nato attraverso lo studio. È un percorso lontano dalla miseria umana, dalle seduzioni populiste: noi siamo qui. A far vedere, nel nome di Franco Zeffirelli,
che esiste un’Italia virtuosa e che il ricordo del Maestro non si intorpidisce come un’estate verso la fine.
SCONTI TRENITALIA Ingresso 2x1 (o a metà prezzo per viaggiatori singoli) alla mostra permanente della Fondazione Franco Zeffirelli per i titolari CartaFRECCIA in possesso di biglietto delle Frecce con destinazione Firenze. Inoltre, ingresso ridotto per i clienti InterCity/InterCity Notte muniti della fidelity card e di ticket per Firenze e per i viaggiatori della Toscana con abbonamento regionale o biglietto di corsa semplice per la Città del Giglio.
FIRENZE 108 FRECCE AL GIORNO
10 febbraio 2020
la solidarieta si propaga #liberalaricerca
Informati su: www.fondazionelice.it www.facebook.com/FondazioneEpilessiaLICE
TEATRO
UN TEATRO SULLA CITTÀ IL SOGNO DEL DIRETTORE DEL TEATRO DI ROMA, GIORGIO BARBERIO CORSETTI, PER UN’ARTE VIVA E ATTENTA AL PRESENTE di Elisabetta Reale
© Claudia Pajewski
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Un teatro aperto, inclusivo, un bene comune. Perché aprirsi è l’unico modo per poter avere una funzione attuale all’interno di una città, uno spazio dove ci troviamo a vivere uno accanto all’altro in una dimensione di collettività. Proprio il teatro permette di riflettere su questo rapporto, in silenzio, producendo poesia. Elemento fondamentale del percorso da fare è un’idea di partecipazione del pubblico alla vita
Un momento dello spettacolo La Gaia Scienza, andato in scena lo scorso ottobre al Teatro India 68
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n teatro aperto, desideroso di contemporaneità, che dialoghi con la città». Questo il sogno di Giorgio Barberio Corsetti, dallo scorso febbraio alla direzione del Teatro di Roma per il triennio 2019-2021, affiancato da Francesca Corona, consulente artistica per la sala India. «La stagione che ho immaginato interamente è quella del 2020-2021 – precisa Corsetti – ma anche quella attualmente in corso accoglie segni che mi affascinano, mi riempiono di desiderio e voglia di fare. Mi riferisco alle molte potenzialità del Teatro che dirigo e all’opportunità di esplorare, intraprendendo un viaggio attraverso la città». Tra le più importanti personalità della regia teatrale degli ultimi decenni, da sempre attento all’evoluzione dei linguaggi e all’interazione tra teatro e video, alfiere della sperimentazione dagli anni ’70 e ’80, Corsetti, nato a Roma, dopo il diploma in Regia alla Silvio D’Amico nel 1975, fonda il celebre gruppo La Gaia Scienza insieme ad Alessandra Vanzi e Marco Solari. Lo spettacolo d’esordio del sodalizio, La rivolta degli oggetti, torna in scena al Teatro India a ottobre 2019 in una rivisitazione che ha preso in carico le vicende trascorse dal 1976 a oggi. Un percorso che riparte quindi, per «cominciare a capire che rapporto ci può essere tra una città così vasta e il teatro. La programmazione che ci resta offre una serie di segni molto forti che saranno una sorta di annuncio di quello che potremo fare in futuro negli spazi di Argentina, India e Torlonia». Cosa immagina per il Teatro di Roma?
© Marcell Rév
Una scena dello spettacolo Imitation of Life di Kornél Mundruczó
del teatro, non solo luogo dove si vengono a vedere degli spettacoli, ma in cui si vive un’esperienza. Seduti in poltrona si guarda, si ascolta, vi è un denso sistema di comunicazione fra spettatori e attori che si arricchisce di altre possibilità. Abbiamo in cantiere una serie di esplorazioni con gli artisti nelle periferie, nell’ottica di diventare un ecosistema diffuso e capillare sul territorio, poi una scuola serale di arti e mestieri.
La voglia di sperimentare nuove forme di conversazione col pubblico si concretizza anche attraverso gli atelier condotti da alcuni dei protagonisti della stagione… Ho chiesto a tutti i registi che producono con noi o vengono con il loro spettacolo di fare degli atelier per condividere il pensiero portante con chi tra il pubblico desidera partecipare a questa attività, utilizzando tutti gli spazi, dal palcoscenico alle quinte, per sperimentare, provare, attraversa-
re la scena. Recentemente l’ho fatto anche con gli artisti residenti all’India, il gruppo Oceano indiano. Una proposta artistica eterogenea, puntellata da risonanze dall’estero e dalla necessità del Teatro di inserirsi nel tempo presente. Cosa vedremo nei prossimi mesi? Vorrei soffermarmi sul lavoro di Kornél Mundruczó, nome di punta della cinematografia internazionale, che sul palcoscenico dell’Argentina porterà a marzo il suo pluripremiato
© ZimmerFrei i
Un fotogramma del documentario Family affair del collettivo ZimmerFrei
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TEATRO
Imitation of Life. Un’opera di eccezionale intensità che indaga, con sguardo lucido, le motivazioni e i paradossi di una società in cui dilagano violenza e discriminazione, proposta da un regista colpito in Ungheria dalla censura. Sono molto felice di averlo in scena all’Argentina mentre, sino al 2 febbraio, all’India c'è Vortex con Phia Ménard che racconta la sua metamorfosi personale traslata attraverso una performance di grande impatto. Spazio anche a un viaggio attorno alla nuova idea di famiglia grazie al progetto di teatro-documentario partecipativo Family affair di ZimmerFrei, che approda a Roma l’8 e 9 febbraio, e di nuovo il 29, per catturare il ritratto della Capitale in relazione alle mappature affettive dei suoi abitanti. Vi sono poi lavori che attendo con grande entusiasmo: a febbraio La commedia delle vanità, testo di Elias Canetti con cui si è confrontato Claudio Longhi, Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni, per la regia di Valerio Binasco; a marzo Dolore sotto chiave/ SIK-SIK l’artefice magico con Carlo Cecchi, uno degli ultimi grandi Mae-
stri. Messe in scena di grande forza e attualità che manifestano quell’eterno presente del teatro, per guardarci e riguardarci. Questo il senso del fare teatro? Creare comunità negli spettatori che si fanno catturare dall’arte, dalla bellezza, dalla possibilità di lavorare sulle parti segrete, nascoste, sugli enigmi del nostro vivere in questo mondo. C’è bisogno di scandagliare, andare in profondità, confrontarsi, sentendo il corpo e sollecitando tutti i sensi, non solo attaccandosi alle immagini. Cultura, bellezza e partecipazione sono i cardini del Manifesto presentato per Matera, come nasce? La scorsa estate Matera ha accolto un’esperienza molto bella di creazione per il prologo I sette peccati capitalisti e Cavalleria Rusticana. Vi è stata una forte partecipazione dei cittadini che, insieme a un gruppo di performer e guidati dal maestro Massimo Sigillò Massara, hanno cantato musiche dalla forte impronta popolare. È nato il desiderio di far diventare la città un centro culturale per tutto il Sud. Da qui il Manifesto, presentato nei giorni
Prologo I sette peccati capitalisti, opera sui Sassi di Matera
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di chiusura di Matera Capitale della Cultura 2019 e la voglia di creare ogni anno una festa contemporanea e laica con gli artisti che abbia come centro la partecipazione di tutti. Un percorso condiviso col danzatore e coreografo Virgilio Sieni e con Ermanna Montanari e Marco Martinelli della Compagnia delle Albe. La sua esperienza artistica è una storia fatta di incontri, progetti e di viaggi. Qual è il suo rapporto con il viaggio in treno? È il viaggiare che preferisco. Un tempo sospeso in cui si osserva il paesaggio dal finestrino, al sicuro, in un luogo in cui si può riflettere, pensare, scrivere, arrivando direttamente nel cuore della città. Unisce l’azione esterna dell’attraversamento dei luoghi a uno spazio interiore di calma e tranquillità. teatroargentinaroma teatroindiaroma teatrodiroma
ROMA 207 FRECCE AL GIORNO
TALENTO MASSIMO L’ATTORE, SCENEGGIATORE E REGISTA MASSIMILIANO BRUNO È IL MATTATORE DELLO SPETTACOLO ZERO. MA NEL SUO FUTURO TORNA ANCHE IL CINEMA di Gaspare Baglio
È
uno dei più talentuosi attori e autori italiani di teatro e cinema. Molti lo ricordano come il Nando Martellone della serie tv Boris o l’ispettore Borromini della fiction L’ispettore Coliandro, ma Massimiliano Bruno è molto di più: ha scritto e diretto film sbanca box office come Nessuno mi può giudicare, Viva l’Italia! e Non ci resta che il crimine, il cui sequel, Ritorno al crimine, uscirà nelle sale il 12 marzo. Nel frattempo, prosegue il successo dello spettacolo Zero, diretto da Furio Andreotti: dopo i trionfi all’Eliseo di Roma, sarà al Teatro Gioiello di Torino dal 20 al 22 marzo. Com’è nato Zero? Volevo fare un thriller teatrale, interpretando tutti i personaggi. Ho raccontato l’idea al regista, Furio Andreotti, ed è uscito questo spettacolo di solitudini, tristezze, sopraffazioni e vendette, ma dal tono sarcastico e divertente. È sanguigno, con un retro-
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Photo Maria Marin
gusto amaro e drammatico. A distanza di anni continua a essere attuale. Perché parla dell’animo umano, di come la solitudine può farci marcire. E di come, ogni tanto, si reagisca in maniera sbagliata. Il racconto parte da un brutto fatto di sangue avvenuto in Calabria 20 anni prima. Nello spettacolo interpreti tutti i personaggi, una grande prova d’attore. Ho avuto la fortuna di avere un regista che ha lavorato su di me in maniera quasi marziale, come un soldato. Abbiamo fatto tante prove ed esercizi sui dialetti, ogni personaggio parla con una sua inflessione. Un bell’esercizio di concentrazione. C’è un personaggio che ha note autobiografiche? Sì, quello che viene chiamato Cacasotto. Rappresenta me da bambino, da ragazzo, prima di riuscire a tirare fuori me stesso. In qualche modo ho
raccontato, metaforicamente, il rapporto con mio padre, a cui è stato difficile e doloroso ribellarsi. Però il fatto di sangue del monologo non appartiene alla mia storia (ride, ndr). Noi attori trasliamo sempre le nostre vite nei personaggi che interpretiamo. Arriviamo al cinema con Ritorno al crimine. Riconfermati i protagonisti: Alessandro Gassmann, Marco Giallini, Edoardo Leo e Gianmarco Tognazzi. A loro si aggiungono i bravissimi Carlo Buccirosso, Giulia Bevilacqua e Loretta Goggi che è Sabrina, ora di 75 anni, nel primo film interpretata da Ilenia Pastorelli. Questa volta ce la vedremo con i camorristi di Gomorra, dai giorni nostri alla Napoli del 1982. Divertimento puro con attori in stato di grazia. massimilianobruno.it massimilianobruno2019 71
TEATRO
OPERA VIVA IL REGISTA DAMIANO MICHIELETTO CI PARLA DELL’INCANTESIMO TEATRALE, PERCHÉ TUTTI HANNO BISOGNO DI STUPIRSI. CON MADAMA BUTTERFLY AL COMUNALE DI BOLOGNA
© Ramella&Giannese
di Bruno Ployer
Madama Butterfly Teatro Regio, Torino
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a con sé due quotidiani e un settimanale. È appassionato di politica e si tiene informato leggendo: è questo il suo passatempo preferito in treno, ma oggi Damiano Michieletto deve rimandare per un po’ le sue letture. Intervistiamo questo re-
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gista teatrale di grande successo internazionale mentre è in viaggio. Le spettacolari e sorprendenti regie liriche di Michieletto sono state anche contestate, ma il pubblico le segue con attenzione per la loro originalità: spesso costituiscono un accordo dissonante, ma attraente,
con la tradizione dell’opera. «Tutti sono curiosi di sapere cosa c’è dietro il sipario. È come un regalo da scartare, fa parte dell’incantesimo teatrale, perché tutti hanno bisogno di stupirsi», afferma. «E laddove questo manca vuol dire che qualcosa di noioso ti sta
© Yasuko Kageyama
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allontanando. Sorpresa, stupore ed emozione sono gli ingredienti vitali per fare in modo che chi è seduto in platea sia proiettato verso la scena». Dal 20 al 27 febbraio il Teatro Comunale di Bologna mette in scena Madama Butterfly di Giacomo Puccini, con la direzione d’orchestra di Pinchas Steinberg e la regia di Michieletto. «Ogni volta che si riprende una regia è l’occasione per rimettersi in discussione e ricalibrare la produzione rispetto al cast», spiega il regista, che ci parla di come vede la tragedia della ragazzina giapponese disperata e suicida dopo essere stata sposata con scandalo e poi abbandonata da un marinaio americano. «È una donna che viene comprata da un militare, che poi l’abbandona per tornare alla sua vita e ai suoi progetti. Pinkerton, infatti, lo dice subito: “Io adesso sposo questa donna, poi lo rifarò con una vera sposa americana”, ed è quello che fa alla fine, tornando a prendersi il figlio. Cercavo qualcosa che parlasse contemporaneo e questa storia somiglia molto a una vicenda di colonialismo: chi ha il potere di dominare un territorio detta legge, lo vediamo anche oggi», continua Michieletto. Il compito del regista è fare in modo che l’opera resti un evento teatrale vivo e appassionante per il pubblico e non qualcosa di semplicemente legato al passato. Bisogna comprendere queste opere e portarle sul palcoscenico in maniera onesta rispetto a quella che è oggi la nostra vita. La filologia porterebbe questo repertorio a diventare uno scheletro». Pensa di aver dato un contributo significativo in questo rinnovamento dello stile, il cosiddetto teatro di regia? Sicuramente, anche se non ci penso. Del resto, ogni volta che un sovrintendente chiede una nuova produzione, mette il regista nelle condizioni di realizzare qualcosa che abbia la presunzione di essere nuovo. Si possono fare spettacoli belli o brutti, ma ormai in tutta Europa questo è il modo di intendere il teatro musicale. Innovare è stato probabilmente anche l’obiettivo di grandi maestri
Il regi
del passato, come Zeffirelli e Visconti. Che giudizio dà di quell’epoca? Penso che l’obiettivo sia stato esattamente lo stesso. Con La bohème Zeffirelli ha fatto qualcosa di rivoluzionario rispetto a quel tempo, per esempio, ha reso la scenografia tridimensionale creando grande profondità degli spazi, rendendo cinematografici la recitazione e i movimenti di scena. La sorpresa e l’emozione muovono l’azione di un regista. Come Visconti, che prendeva Maria Callas e le diceva di cantare distesa per terra. Era una cosa mai vista prima, mentre adesso è normalissima. Si prosegue un percorso che loro hanno fatto prima di noi. Lei è anche un regista di prosa, ma con il cinema e la tv che rapporto ha? Da fruitore, nel senso che ho fatto delle piccole cose per la televisione, ma sono molto incuriosito. Se avessi l’opportunità di mettere la mia creatività al servizio di questi media, penso che mi divertirei molto. A proposito di cinema, quest’anno è il centenario di Federico Fellini. Come le piace ricordare questo grande regista?
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Con un aneddoto, perché avevo letto che Fellini arrivò a Roma da ragazzino. Io ho fatto una cosa simile a 14 anni: ho preso il treno e sono arrivato a Cinecittà, avevo il mito di questo luogo dentro il quale si lavorava con l’immaginazione e la fantasia. Penso ai film di Fellini, come Lo sceicco bianco, E la nave va, creazioni di mondi che sono dichiaratamente finti, frutto di immaginazione, quindi teatralissimi. Mi spiace che non abbia mai diretto un’opera lirica, perché i suoi film erano già opere di per sé. C’è una nuova produzione per il 2020 che la stimola particolarmente? Questo per me è un anno ricchissimo di lavoro: sto per cominciare le prove di Salomè alla Scala, poi andrò a Londra, in Belgio e in Francia. Tengo molto a questo ritorno scaligero e sono contento di lavorare con il maestro Chailly. tcbo.it TeatroComunaleBologna comunalebologna
BOLOGNA 169 FRECCE AL GIORNO 73
IN VIAGGIO CON
MUOVERSI SENZA PAURA «IL VIAGGIO È TUTTO, CI PONE IN RELAZIONE CON IL TEMPO, I LUOGHI E LE PERSONE». PARLA SERGIO ESCOBAR, DIRETTORE DEL PICCOLO TEATRO DI MILANO Andrea_Radic
© Luigi Laselva
di Andrea Radic
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l treno gli evoca Hitchcock, e in modo particolare Delitto per delitto, nel quale lo scambio di piani criminosi avviene in treno, ma anche il meraviglioso e meno conosciuto La signora scompare, che racconta di un’anziana scomparsa proprio su un treno. Ma è il viaggio in quanto tale, con ogni mezzo, ad affascinare un uomo che con il suo lavoro e il suo talento affascina a sua volta migliaia di persone che frequentano i teatri.
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«Al Festival di Avignone mi domandarono come fossi arrivato. In moto, risposi. E lo stupore generale mi fece sorridere». Il viaggio sul Frecciarossa con Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro di Milano, inizia nel FRECCIALounge della stazione Centrale di Milano. Cosa rappresenta per te il viaggio? È tutto, è la vita, che è essa stessa un viaggio. È il percorso che dà senso all’identità e alla consistenza del nostro
essere in relazione con il tempo, lo spazio, i luoghi, le persone. Cerco di essere io il viaggio, insieme agli altri. La poesia di Konstantinos Kavafis riferita a Ulisse è perfetta, dove il poeta invoca un viaggio lungo, fatto di incroci – più che di incontri – con le vite e le tentazioni del mondo, sapendo che l’imprevedibilità di questi incontri, che apparentemente allontana dalla meta, in realtà consente di capire perché si sta viaggiando. E tutto diventa esperienza personale.
scena il meraviglioso Misericordia, un testo pensato, realizzato e diretto da Emma Dante, una storia drammatica con al centro tre donne umiliate dalla vita che decidono di diventare madri e crescere, ripartorendolo, un bimbo nato dalla violenza. Penso al filo d’erba che buca l’asfalto per trovare luce e vita, cocciuto di vitalismo. Come un gioco che facevo da bambino e faccio ancora adesso, guardo la lancetta dei minuti dell’orologio: appare ferma, in realtà sta bucando il tempo e tu, con lei, prosegui nella vita. Poi, con Antonio Latella stiamo preparando un su-
per classico, Hamlet, interamente ritradotto nel testo integrale, suddiviso in due serate. Un viaggio profondo tra le parole e nella parola. Una sfida che Shakespeare affrontò e vinse, ma proporla oggi è più complesso, perché le parole sono state sostituite dalla narrazione. Il racconto è una cosa diversa, è muoversi e non aver paura di ciò che non conosci. Qual è il segreto del Piccolo Teatro rispetto ad altri luoghi dove il teatro sta morendo? Il teatro non sta morendo, ma alcune realtà si chiedono troppo spesso se
© Margherita Busacca
Tu quanto viaggi? Moltissimo, direi più volte dalla Terra alla Luna (scherza, ndr). Viaggio in tutto il mondo per lavoro, viaggio nel teatro, fra le differenze, per accorgermi che esiste una strada comune verso un’identità provvisoria, non opportunistica, viva. E poi una confessione... Prego… Viaggio molto in moto, anche per lunghe distanze, mi affascina. Ma il mio percorso segreto è di 20 chilometri, lo compio quando sono triste o felice, scelgo una delle mie moto e parto. Lo avrò fatto centinaia di volte, fra le stradine dei Navigli, mi gusto centimetro per centimetro e mi sembra di essere stato in giro per il mondo. Il gusto privato del viaggio. E in treno, invece? La macchina veloce! La sua rapidità mi conquista, a bordo attendo il momento in cui raggiunge i 300 km/h. Prima di tutto il finestrino, perché, sotto sotto, vorrei essere al posto del conducente. Provo una certa impazienza, che è parente stretta dell’enorme pazienza di gustare ciò che sto vivendo. E non c’è contraddizione, detto da uno, come me, che ricorda i sedili in legno della terza classe e la carrozza panoramica del Settebello. A bordo ascolto, rubo storie, ho imparato da ragazzino dal grande Pietro Bianchi, ero suo discepolo e amico. Una volta, mentre parlavamo, si accorse della mia perplessità vedendo il suo sguardo altrove, e mi spiegò: «Sto scrivendo una novella e ascolto ciò che stanno dicendo le due persone accanto a noi». Anche io ascolto frammenti, catturo sguardi. Osservi fuori e vedi il mondo che si sposta, nel frattempo ti accorgi che anche tu stai cambiando, ogni cosa ti avvicina o ti allontana da dove sei partito, ti cambia. Il treno è un luogo che si muove, ti contiene e ti accompagna verso qualcosa dove, magari, la testa è già arrivata. Come si presenta il 2020 per il Piccolo Teatro di Milano? Il teatro anticipa i tempi. Nella stagione 20/21 sono in arrivo spettacoli molto importanti, 900 rappresentazioni all’anno. Al Grassi, una delle nostre tre sale, insieme allo Strehler e allo Studio, fino al 16 febbraio è in
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IN VIAGGIO CON
abbia senso fare teatro. Mi ricordano le assemblee del ’68, con la retorica del chi siamo e dove andiamo... Il Piccolo ha la peculiarità di essere un’istituzione con la responsabilità del servizio pubblico, 300mila spettatori di cui molti sotto i 26 anni, ma anche quella di affrontare il rischio, come quando abbiamo aperto al Mediterraneo e qualcuno mi disse: «Ma a Milano non c’è il mare». Abbiamo aperto alla Cina perché il teatro è irrequietezza, da affrontare con professionalità e, soprattutto, con grande rispetto per il pubblico, formandolo ad avere un rapporto di fiducia con l’indeterminatezza del risultato. Usciti da teatro è bene darsi il tempo di dimenticare lo spettacolo per consentire di far riemergere, più tardi, quei tasselli dell’identità che ci ha colpito. Da bambino non mi piacevano gli spinaci, adesso li adoro. Qual è il modello economico di un teatro? Ho assistito a centinaia di dibattiti e
convegni sull’economia dello spettacolo, direi che è giunto il momento di farne un paio sulla cultura dell’economia, forse ci troveremmo meglio. Gli attori di teatro sono migliori al cinema? Prendo in prestito le parole di Toni Servillo, grande amico, il quale dice che se non facesse tanto teatro non potrebbe fare il cinema. Truffaut unisce il suo cinema di Effetto notte alla rappresentante più eccelsa del teatro, Valentina Cortese, ed è il punto che li unisce. Uso un termine che va usato con il contagocce: questa è poesia. Che animali sono gli attori? Rispondo con il titolo di un lavoro fatto con Emma Dante: Bestie di scena. Non è offensivo, sono debolissimi e fortissimi, sul loro mascherarsi assumono la realtà e sono più reali del reale. Se sul palcoscenico facciamo entrare un cavallo vero, crediamo che sia finto. Se sale un cavallo finto, abbiamo la sensazione che sia vero. Il pubblico ha bisogno degli attori e
Sergio Escobar in Frecciarossa con il giornalista Andrea Radic
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gli attori del pubblico? Sono complici, in modo laico. Lo spettacolo, in effetti, non avviene né in palcoscenico né in platea, bensì sul proscenio. Luogo indefinito in cui occhi, corpi e parole si incrociano, e lì accade lo spettacolo. Un momento di sospensione in cui entrambi, attore e spettatore, dicono: «Ho capito». L’attore in qualche modo chiama gli spettatori per nome, uno per uno, senza conoscerli. Come quando giocavo con mio figlio mettendomi per terra, e non mi chiamava più con il nome della mia funzione, papà, ma con il mio, Sergio. piccoloteatro.org PiccoloTeatro Piccolo_Teatro piccoloteatromilano
MILANO 192 FRECCE AL GIORNO
UN TRENO DI LIBRI
Invito alla lettura di Alberto Brandani [Presidente giuria letteraria Premio Internazionale Elba-Brignetti]
In viaggio con il Prof
CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI L’AMORE IN TUTTE LE SUE FORME IN UN MAGNIFICO LABIRINTO DI EMOZIONI. E LA VITA, QUELLA VERA, CHE NASCE DOVE MENO CI SI ASPETTEREBBE
A
Livorno, in via dell’Ardenza, c’è il Cimitero della Purificazione. L’ingresso è un viale odoroso, sulla destra cappelle di famiglie livornesi della buona borghesia, a sinistra i marmisti che lavorano tranquilli. Il cielo è sempre terso e il salmastro arriva prepotente. Ovunque un senso di pace. Attraversando la strada, al numero 2 c’è il negozio di fiori gestito dalla signora Graziella e dalla figlia Laura e, prima di loro, dalla ottuagenaria Silvia. Ricordano i nomi di tutti, le dimensioni dei vasi, i fiori preferiti. Consigliano sempre orchidee e margherite e hanno sulle labbra parole di composta allegria. È proprio tutto vero, allora, mi son detto leggendo l’incipit del bel libro di Valérie Perrin. Nel romanzo Violette Toussaint è la guardiana di un piccolo cimitero. Gentile, solare e dal cuore grande. Durante le visite ai loro cari, tante persone la vanno a salutare. Un giorno si presenta un poliziotto con una strana richiesta: sua madre, recentemente scomparsa, ha espresso la volontà di essere sepolta in quel lontano paesino, nella tomba di uno sconosciuto signore del posto. Da qui si dipana una ragnatela di intrecci e sussulti che tengono avvinghiato il lettore fino all’ultima riga, lasciando però a ogni capitolo una sua peculiarità di sentimenti; ogni pagina fa commuovere e piangere, ma anche lievitare di passione e di speranza. Una speranza alimentata dallo stesso amore che pervade l’intero libro.
Cambiare l’acqua ai fiori è una storia d’amore, anzi una storia dell’Amore in tutte le sue forme, da ogni prospettiva. Amore per un uomo, per una figlia, a volte amore proibito o non ricambiato, amore che resiste anche alla morte. Un sentimento che ci fa gioire, certo, ma anche soffrire, di un dolore che s’insinua più in profondità di qualsiasi altra cosa. Violette è la protagonista assoluta attorno alla quale ruotano tutti gli altri personaggi, una ragazza sbattuta dal destino, ma che non ha paura d’amare. Si butta a capofitto e resiste, anche quando fa male. Philippe Toussaint è suo marito. Bello e dannato, rovinato dall’amore morboso dei suoi genitori, donnaiolo incallito, innamorato da sempre della giovane moglie dello zio, che però non insidia proprio per amore (dello zio), inconsapevolmente innamorato di Violette, nonostante le sofferenze che le infligge. E poi il sesso. Tanto sesso. Raccontato in modo così naturale, da farlo apparire e scomparire, eppur tuttavia un balsamo della vita. La struttura della storia è basata su piani temporali differenti e sull’intreccio di vite diverse, una legata all’altra, magnificamente raccontate. Sarà bene, però, non svelare altro per non rovinare il perfetto incastro costruito dall’autrice e non indicare la via d’uscita di questo labirinto di emozioni. Leggere il romanzo è come bere amore a lunghi sorsi, assaporando i sentimen-
ti attraverso l’impronta fotografica di Valérie Perrin. Merito, forse, anche del rapporto strettissimo, di vita e di lavoro, con Claude Lelouch, uno dei menestrelli d’amore della cinematografia mondiale. Immergiamoci, allora, completamente nell’atmosfera di una piccola comunità, paradossalmente allegra, che quasi riesce a formare una famiglia in un luogo di morte: un piccolo cimitero di provincia che ospita la Vita, quella vera, autentica, che sopravvive a ogni dolore. Pronta, come Violette, a meravigliarsi per una goccia di rugiada sulla corolla di un fiore.
VALÉRIE PERRIN
CAMBIARE
L’ACQUA AI FIORI
Valérie Perrin, Edizioni e/o, pp. 480 € 11,99 77
UN TRENO DI LIBRI
Un assaggio di lettura BRANI TRATTI DA CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI
I
miei vicini non temono niente. Non hanno preoccupazioni, non si innamorano, non si mangiano le unghie, non credono al caso, non fanno promesse né rumore, non hanno l’assistenza sanitaria, non piangono, non cercano le chiavi né gli occhiali né il telecomando né i figli né la felicità. Non leggono, non pagano tasse, non fanno diete, non hanno preferenze, non cambiano idea, non si rifanno il letto, non fumano, non stilano liste, non contano fino a dieci prima di parlare, non si fanno sostituire. Non sono leccaculo né ambiziosi, rancorosi, carini, meschini, generosi, gelosi, trascurati, puliti, sublimi, divertenti, drogati, spilorci, sorridenti, furbi, violenti, innamorati, brontoloni, ipocriti, dolci, duri, molli, cattivi, bugiardi, ladri, giocatori d’azzardo, coraggiosi, fannulloni, credenti, viziosi, ottimisti. I miei vicini sono morti. L’unica differenza che c’è fra loro è il legno della bara: quercia, pino o mogano. [...]
I primi mesi della nostra convivenza a Charleville-Mezières ho scritto all’interno di ogni giorno “AMORE FOLLE” a pennarello rosso. Questo fino al 31 dicembre 1985. La mia ombra era sempre in quella di Philippe Toussaint, tranne quando andavo al lavoro. Mi risucchiava, mi beveva, mi avviluppava. Era di una sensualità pazzesca. Mi si squagliava in bocca come caramello, come zucchero filato. Ero perennemente in festa. Se ripenso a quel periodo mi vedo come al luna park. Sapeva sempre dove mettere le mani, la bocca, i baci. Non si smarriva mai. Aveva una carta stradale del mio corpo, itinerari che conosceva a memoria e di cui io ignoravo addirittura l’esistenza. [...] Vivevamo l’una nelle vampate dell’altro. Diceva sempre: «[...] non avevo mai provato niente di simile! Sei una strega, sono sicuro che sei una strega!». Credo che mi facesse le corna già dal primo anno. Credo che mi abbia sempre tradito e mentito, che appena voltavo le spalle si fiondasse su qualcun’altra.
Philippe Toussaint era come quei cigni che sono maestosi in acqua e traballano quando camminano sulla terra. Trasformava il nostro letto nel paradiso, era aggraziato e sensuale in amore, ma appena si alzava, appena si metteva in verticale abbandonando l’orizzontalità del nostro amore, perdeva parecchi punti. Era incapace di qualsiasi conversazione, gli interessavano solo la motocicletta e i videogiochi. Non voleva più che facessi la barista al Tibourin, era troppo geloso degli uomini che mi avvicinavano. Sono stata costretta a dare le dimissioni subito dopo essermi messa con lui. Avevo trovato lavoro come cameriera in una trattoria, attaccavo alle dieci, quando si cominciava a preparare per il pranzo, e staccavo alle sei del pomeriggio. La mattina, quando uscivo di casa, Philippe Toussaint dormiva ancora. Mi costava tantissimo lasciare il nostro confortevole nido e affrontare il freddo della strada. Diceva che durante il giorno andava in giro con la moto. La sera, tornando, lo trovavo sbracato
© Bertrand LAFORET/Gamma-Rapho via Getty Images
Anouk Aimé e Jean-Louis Trintignant durante le riprese del film Un uomo, una donna oggi di Claude Lelouch (titolo originale Un homme et une femme, 20 ans déjà, 1986, Francia)
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© Laurent MAOUS/Gamma-Rapho via Getty Images
Un assaggio di lettura
Robert Hossein e Nicole Garcia durante le riprese del film Bolero di Claude Lelouch (titolo originale Les uns et les autres, 1981, Francia)
davanti alla televisione. Aprivo la porta e mi stendevo su di lui, come se dopo il lavoro mi tuffassi in un’immensa piscina calda imbevuta di sole. Desideravo del blu nella mia vita? Eccomi servita. Avrei fatto qualunque cosa perché mi toccasse. Solo questo, toccarmi. Avevo la sensazione di appartenergli corpo e anima, e mi piaceva un sacco appartenergli corpo e anima. All’epoca avevo diciassette anni e, nella mia testa, molta felicità da recuperare. Se mi avesse lasciato non credo che il mio corpo avrebbe retto allo shock di un’altra separazione, dopo quella da mia madre. [...] Niente “Cara Violette” o “Signora”, la lettera di Julien Seul cominciava senza formule di cortesia. [...] Sono arrivato a Brancion-en-Chalon alle due del mattino. Ho parcheggiato davanti al cancello chiuso del cimitero e mi sono addormentato. Ho fatto brutti sogni, ho avuto freddo, ho acceso il motore per riscaldarmi e mi sono riaddormentato. Verso le sette ho riaperto gli occhi e ho visto la luce dentro casa sua. Sono venuto a bussarle. Non mi aspettavo affatto
di trovare una come lei. Bussando alla porta del guardiano del cimitero uno si aspetta di trovarsi davanti un vecchio panciuto e rubicondo. Lo so, sono cliché stupidi, ma certo non mi attendevo lei né i suoi occhi acuti, spaventati, dolci e diffidenti. Lei mi ha fatto entrare e mi ha offerto un caffè. C’era una bella atmosfera a casa sua, un buon odore, e anche lei aveva un buon odore. Aveva addosso una vestaglia grigia da vecchia, eppure emanava qualcosa che sapeva di giovinezza, non so come dire, una certa energia, qualcosa che il tempo non aveva sciupato. Sembrava che quella vestaglia fosse una maschera, ecco, come una bambina che avesse preso in prestito il vestito di un’adulta. Aveva i capelli raccolti in uno chignon. Non so se fosse colpa dello shock che avevo avuto dal notaio, della guidata notturna o della stanchezza che mi confondeva la vista, ma l’ho trovata incredibilmente irreale, un po’ come un fantasma, un’apparizione. Vedendo lei ho sentito per la prima volta che mia madre stava condividendo con me la sua strana vita parallela, che mi aveva portato là dove veramente era. Poi ha tirato fuori i registri delle sepolture, e in
quel momento ho capito che era una persona singolare, che esistono donne che non somigliano a nessun’altra. Lei era qualcuno, non la copia di qualcuno. Mentre si preparava sono tornato in macchina, ho acceso il motore e chiuso gli occhi, ma non sono riuscito a dormire, continuavo a vederla dietro quella porta, ha continuato ad aprirmela per un’ora, come uno spezzone di film che riguardavo a ciclo continuo per riascoltare la musica della scena che avevo appena vissuto. Quando l’ho vista aspettarmi dietro il cancello col lungo cappotto blu scuro sono sceso dalla macchina pensando: “Devo scoprire da dove viene e che ci fa qui”. Poi mi ha condotto alla tomba di Gabriel Prudent. Camminava eretta, aveva un bel profilo, e a ogni suo passo intuivo del rosso sotto il cappotto, come se nascondesse un segreto, e di nuovo ho pensato: “Devo scoprire da dove viene e che ci fa qui”. Avrei dovuto essere triste in quella gelida mattina d’ottobre nel suo lugubre cimitero, invece mi sentivo esattamente il contrario. Davanti alla tomba di Gabriel Prudent mi sono sentito come uno che nel giorno del matrimonio si innamora di un’invitata [...]. 79
UN TRENO DI LIBRI
Un assaggio di lettura È la prima lettera d’amore che ricevo in vita mia. Strana, ma pur sempre una lettera d’amore. Per ricordare la madre ha scritto poche parole, quattro frasi per tirare fuori le quali sembra aver sudato sette camicie, mentre a me ha mandato intere pagine. È decisamente più facile vuotare il sacco con un perfetto sconosciuto che non in una riunione di famiglia. Guardo la busta chiusa con l’indirizzo di Philippe Toussaint dentro. La infilo tra le pagine di un numero di Roses Magazine. Non so ancora che ne farò, se la lascerò chiusa nella rivista, la butterò o la aprirò. Philippe Toussaint vive a cento chilometri dal cimitero, non ci posso credere, lo credevo all’estero, all’altro capo del mondo. Un mondo che da un pezzo non è più il mio. [...] Diario di Irène Fayolle 22 ottobre 1992 Ieri sera ho sentito la voce di Gabriel in televisione. Parlava di “difendere una donna che mi ha lasciato”. Naturalmente non ha detto così, è la mia mente a distorcere le parole. Paul mi stava aiutando a preparare la cena in cucina, nella stanza accanto c’era la televisione accesa. Risentendo quel
tono di voce legato ai miei ricordi più belli sono stata talmente sorpresa da far cadere la pentola d’acqua bollente che avevo in mano. Si è schiantata sul pavimento ustionandomi le caviglie. Ha fatto un fracasso del diavolo, Paul è andato nel panico, ha creduto che tremassi per le bruciature. Mi ha trascinato in salotto e mi ha fatto sedere sul divano davanti alla televisione, davanti a Gabriel. Lui era lì, dentro quel rettangolo che non guardo mai. Mentre Paul si dava da fare per applicarmi garze imbevute d’acqua sulla pelle martoriata ho visto alcune immagini di Gabriel in tribunale. Un giornalista ha riferito che durante la settimana aveva patrocinato a Marsiglia facendo assolvere tre dei cinque uomini accusati di complicità in un’evasione. Il processo si era concluso il giorno prima. Gabriel era a Marsiglia, vicinissimo a me, e io non lo sapevo. Se anche l’avessi saputo che avrei fatto, sarei andata a trovarlo? Per dirgli cosa? “Cinque anni fa sono scappata perché non ho voluto abbandonare la famiglia. Cinque anni fa ho avuto paura di lei e paura di me, ma sappia che non ho mai smesso di pensarla”? Julien è uscito da camera
sua e ha detto al padre che dovevano portarmi al pronto soccorso. Mi sono rifiutata. Mentre marito e figlio si affannavano fino a trovare un tubetto di Biafine nell’armadietto della farmacia ho guardato Gabriel in toga nera muovere le sue belle mani parlando con i giornalisti, ho visto la passione che metteva nel difendere gli altri. Avrei voluto che uscisse dallo schermo, avrei voluto essere Mia Farrow nel film di Woody Allen La rosa purpurea del Cairo. E a me? Mi avrebbe difeso? Mi avrebbe trovato circostanze attenuanti per il giorno in cui l’avevo mollato? Quanto tempo mi aveva aspettato al volante della sua macchina? Quand’è che aveva deciso di ripartire? In che momento aveva capito che non sarei tornata? Le lacrime hanno cominciato a rigarmi le guance. Colavano mio malgrado. Paul ha spento la televisione. Sono crollata davanti allo schermo nero. Mio marito e mio figlio hanno pensato che fosse colpa del dolore. Il medico di famiglia, chiamato da loro, ha ispezionato le ustioni e detto che erano superficiali. La notte non ho dormito. Rivedendo Gabriel, risentendo il suono della sua voce, ho capito quanto mi sia mancato.
© Movie Poster Image Art/Getty Images
Poster del film Un uomo, una donna di Claude Lelouch, con Anouk Aimée e Jean-Louis Trintignant (titolo originale Un homme et une femme, 1966, Francia)
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Lo scaffale della Freccia ASSEDIO ALL’OCCIDENTE Maurizio Molinari La nave di Teseo, pp. 238 € 18 Sulle rovine della globalizzazione, la seconda Guerra Fredda ha colto di sorpresa l’Occidente. Gli attori principali non sono più due ma molteplici, le armi non più nucleari ma digitali e in palio c’è la sopravvivenza delle democrazie. La seconda Guerra Fredda non ha ancora una data di inizio ufficiale, ma in pochi dubitano oramai che sia in pieno svolgimento e stia già cambiando il mondo.
CADRÒ, SOGNANDO DI VOLARE Fabio Genovesi Mondadori, pp. 312 € 19 Questa è la storia di un uomo, anzi di due, o anche di cinque, in realtà è la storia di tutti noi. Uomini che inseguono un sogno, che cercano non di diventare ricchi bensì liberi. Fabio Genovesi torna a farci sognare con la sua scrittura unica, ci travolge, ci emoziona come un’onda impetuosa, ci fa commuovere, sorridere e ridere fino alle lacrime. E ci racconta cosa vuol dire credere in qualcosa.
L’ANGELO DI MONACO Fabiano Massimi Longanesi, pp. 496 € 18 Un romanzo in perfetto equilibrio tra documentata realtà e avvincente finzione, un’indagine che si snoda attorno all’unico, vero amore di Hitler: Angela Raubal, sua nipote. Sullo sfondo di una Repubblica di Weimar moribonda, un thriller all’inseguimento di uno scampolo di verità in grado, forse, di restituire dignità alla prima, vera vittima della propaganda nazista l’innocente Geli Raubal.
IL GIRO DEL MONDO IN 80 ESPERIMENTI Lorenzo Monaco, Matteo Pompili Editoriale Scienza, pp. 90 € 19,90 Il classico della letteratura di Jules Verne è l’espediente per conoscere curiosità scientifiche e tecnologiche sulle diverse aree del mondo. Dal Big Ben di Londra per scoprire il funzionamento del pendolo fino al Vesuvio di Napoli per comprendere la differenza tra vulcani esplosivi ed effusivi. Venti tappe e quattro esperimenti che avvicinano i giovanissimi alla scienza. G.B.
BOWIE Steve Horton, Michael Allred, Laura Allread Panini Comics, pp. 160 € 24 Graphic novel magnificamente illustrata sulla scalata al successo di David Bowie: dall’anonimato alla fama mondiale, compresa la caduta del suo alter ego Ziggy Stardust. La biografia a fumetti del Duca Bianco è un modo per ripercorrere la vita dell’artista che ha lasciato un’impronta indelebile nell’universo musicale. L’unico e solo supereroe del rock ‘n’roll. G.B.
SECONDO JOSH Lorenzo Fusoni Golem Edizioni, pp. 140 € 14 Due bambini dall’inquietante ingegno e senza limiti morali si scontrano in una lotta ricca di accadimenti, incuranti di poter rovinare la vita a quelli che li circondano, dagli amichetti ai genitori. Thriller paradossale che vede da una parte Josh, genio della speculazione e della manipolazione, e dall’altra Marius, che combatte senza sosta soprusi e ingiustizie del mondo. G.B.
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UN TRENO DI LIBRI
LA FRECCIA E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO UN CONVEGNO, A SIENA, ISPIRATO DAL ROMANZO FRANCESCO E IL SULTANO DI ERNESTO FERRERO
Da sinistra, Andrea Monda, monsignor Lojudice, Alberto Brandani e l’autore, Ernesto Ferrero Sotto, il sindaco di Siena, Luigi De Mossi
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n convegno sul dialogo interreligioso. Lo ha promosso La Freccia, lo scorso 15 gennaio, a Siena, nella suggestiva cornice del Santa Maria della Scala, un tempo ospedale, attivo già all’alba dell’anno Mille, oggi prestigioso polo museale. E lo ha concepito Alberto
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Brandani, il nostro prof che cura ogni mese questa rubrica con sensibilità e competenza e che, nel numero di ottobre scorso, ha presentato il bel romanzo di Ernesto Ferrero Francesco e il sultano, ispiratore dell’iniziativa, organizzata dalla Fondazione Formiche, con il sostegno di Civita e il patrocinio del Comune di Siena. Ed è stato proprio il sindaco Luigi De Mossi a fare gli onori di casa, davanti a una platea numerosa, attenta e partecipe al dibattito. Il convegno, moderato dallo stesso Brandani, ha fatto emergere in effetti vari spunti di riflessione, disseminati negli interventi di Ernesto Ferrero, Andrea Monda, direttore dell’Osservatore Romano, e monsignor Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena, Colle di Val d’Elsa e Montalcino. L’avventuroso viaggio di Francesco nel 1219 in Terra Santa, fino a Damietta, sotto assedio da parte dei Crociati, e il suo coraggioso incontro con il sultano, costituiscono le radici ideali di un confronto tra Cristianesimo e Islam che, sette secoli dopo, ha condotto papa Francesco ad Abu Dhabi a firmare con Ahmad Al-Tayyib, il grande imam di Al-Azhar, il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Non a caso proprio fratellan-
za è stata una delle parole chiave del dibattito, insieme a dialogo, che sottende però il rifiuto delle discussioni inutili, a ponti, per unire e non dividere, e a viaggio, nel senso di movimento fisico e ideale verso l’altro. Movimento che non deve arrestarsi, perché, sono le parole di papa Francesco, «o costruiremo insieme l’avvenire, o non ci sarà futuro». M.M.
Ernesto Ferrero, Einaudi, pp. 208 € 18,50
MUSICA
SANREMO È SANREMO
F
di Gaspare Baglio
ebbraio non è solo il mese dell’amore, è anche quello della musica. Come ogni anno, in questo periodo, l’attenzione è puntata su Sanremo, centro nevralgico della gara canora più appassionante e discussa del Belpaese: il Festival della Canzone Italiana. Parafrasando una hit di Bennato, quelle della manifestazione non sono solo canzonette, ma per conoscere come ha cambiato pelle la kermesse della Città dei Fiori non si può prescindere da Eddy Anselmi, critico musicale, autore tv e memoria storica dell’evento ligure. Il suo ultimo libro, Il Festival di Sanremo, è un viaggio nel tempo e nella musica. Come lui stesso ammette, l’evento dell’Ariston è cambiato moltissimo: «Rischiava di diventare uno spettaco-
gasparebaglio
lo totalmente televisivo, dove la gara era sullo sfondo. Negli anni ’10 le canzoni sono tornate centrali alla narrazione del Festival. Poi, grazie al ritorno dell’Italia all’Eurovision Song Contest si è rinnovato un certo interesse da parte del pubblico internazionale. L’ultima svolta è stata di Claudio Baglioni: 20 e poi 24 campioni, nessun eliminato, nomi contemporanei, le ultime tendenze della scena italiana. Amadeus è stato bravissimo: ha scelto un suo cast, senza disperdere quanto di positivo aveva lasciato il direttore artistico uscente». La certezza è solo una, da sempre: «La canzone vincitrice acquisterà i superpoteri, come Peter Parker che dopo la puntura del ragnetto radioattivo diventa Spider-Man».
La copertina del libro Il Festival di Sanremo DeAgostini, pp. 720 € 19,90
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MUSICA
IL TRENO
NEL MESE DEL FESTIVAL DI SANREMO, UN VIAGGIO NELLA CANZONE D’AUTORE NOSTRANA SUI BINARI DI UN’ITALIA UNITA DALLA MUSICA E DAL TRENO Massimo Biliorsi
L
a canzone è da sempre affascinata dal treno: qui si ritrovano i temi non solo del viaggio, ma quelli degli addii e anche degli incontri, delle riflessioni durante i tragitti, con i suoi personaggi che cambiano a ogni stazione. E così la canzone d’autore italiana ha un suo percorso, possiamo dire dalla sta-
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zione degli anni ‘60 a oggi, itinerario quanto mai evocativo che possiamo far iniziare dai versi del 1961 di Giorgio Gaber: «Una stazione in riva al mar, con pochi treni ma molti fior», immagine idilliaca che contrasta con «il treno che viene dal sud, sudore e mille valigie, occhi neri di gelosia» (1967) di Sergio Endrigo.
Il senso dell’incontro, di un mezzo di trasporto che unisce un’Italia che poco si conosce, viene fuori con il grande Piero Ciampi, che in una canzone del 1963 offre nuove parole al sentimento: «Lungo treno del Sud, dove hai portato quella dolce fanciulla che tanto amai?». Da qui possiamo dilagare in storie
DEI DESIDERI
ambientate nei vagoni, a volte senza tempo. Claudio Baglioni ci offre l’idea del treno come speranza, «un treno per dove il giorno non finisce e il sole è un grido in mezzo al viso» (1985), mentre Lucio Dalla nel 1993 dedica una canzone al nostro soggetto visto come inarrestabile destino: «Ma il treno non si ferma, anzi, a vedere come corre va sempre più lontano, passa le foreste dell’Europa, i ponti, le case fino alle linee della mano». Un Lucio Dalla che già nel 1975 aveva musicato la poesia di Roberto Roversi Tu parlavi una lingua meravigliosa, che descri-
veva come «i sassi della stazione sono di ruggine nera, sto sotto la pensilina dove sventola adagio una bandiera». Un modo anche per ricordare i giorni trascorsi, in fondo la vita è un treno che attraversa il tempo. Lo fa benissimo il paroliere Marco Luberti per Riccardo Cocciante: «Ma il treno corre forte e il treno adesso vola, sulle distese immense di ciclamini viola, sulle colline dolci coperte da lenzuola… ma il treno corre forte su tutta la mia vita, che passa via veloce e sfugge dalle dita» (1979). Magari urlato, come fa Gianni Morandi in Io sono
un treno» (1997), che ci dice: «Anna, io sono un treno, ho passato una vita a viaggiare anche senza freno, non ho più veleno, ho sospinto vagoni d’amore senza ritegno, quante stazioni, quante città». Treno inteso anche come mezzo per rompere la monotonia di una estate afosa: «Io quasi quasi prendo il treno e vengo, vengo da te, il treno dei desideri nei miei pensieri all’incontrario va”, canta Celentano in Azzurro di Paolo Conte nel 1968. Si evoca il passato in Mamma maremma (1979) di Umberto Tozzi, con il paroliere Bigazzi che ricorda i tempi estivi di «e va il 85
MUSICA
treno sulla spiaggia va, ma dove sei estate del ‘56?», mentre la speranza si riaccende in Generale di Francesco De Gregori (1978): «Generale dietro la stazione lo vedi il treno che portava al sole». Speranza che riaffiora anche in Simone Cristicchi, per il quale «corre questo treno, corre fra la terra e il cielo e non si ferma mai, verso una stazione e mi batte forte il cuore, so che ci sarai». C’è sempre un treno del giorno dopo, come canta Vinicio Capossela nel 2016: «Il treno è arrivato una mattina col fumo nero della notte prima…». Magari, invece, al «binario tre un rapido con destinazione andar via per quelli che ci credono che spostarsi li salvi comunque sia» (1993), come ci ricorda Ligabue in Dove fermano i treni. C’è modo di accompagnare la storia, che proprio come i treni non si ferma, ed ecco Francesco Guccini che nel 1972 ci lascia un affresco epico in La locomotiva, cantando: «E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano». Un senso di riscatto che ritroviamo in I treni per Reggio Calabria (1975) di Giovanna Marini: «Andavano col treno giù nel meridione per fare una grande manifestazione il 22 d’ottobre del ‘72, in curva il treno che
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pareva un balcone». Mentre meno immediato ma sempre con rara efficacia ecco che Antonello Venditti (1973) ci rammenta come «tra le fabbriche bruciate passa il treno delle sette». E poi una lunga schiera di figure, di persone che animano questo scenario. Si comincia da Gianmaria Testa, cantautore e capostazione, che un po’ alla francese ci racconta: «Le donne nelle stazioni c’è sempre uno che l’aspetta e quando arriva il treno è già lì che sventola le mani». È l’occasione per «conoscere gente sul treno, può essere meglio che stringer la mano a chi non si perde con facilità nei vicoli stretti di un quartiere che sta dentro me» (2005), canta Amari, magari si trova Isabella sul treno (1980) di Ivan Graziani, dove «il treno cigolava sui binari dello Stato urlando nella notte come un disperato». Personaggi davvero strani: ecco che Enzo Jannacci nel 1964 ci descrive la già grande periferia milanese con un tizio che «prendeva il treno per non essere da meno, per sembrare in gran signor!». E poi c’è Michele e il treno (1981): «Fammi salire un po’ e Michele parlava al treno e così gli parlò e gli sembrò quasi vero», nel racconto del Banco del Mutuo Soccorso. Con perso-
naggi coloriti come quelli dei Modena City Ramblers che ne Il treno dei folli (2006) ci dicono che «tra i vagoni passa Vilmo il controllore a regalar frammenti di poesia». Oppure c’è tutto un mondo stralunato, come ci insegnava Rino Gaetano nel 1974 con Agapito Molteni il ferroviere, che «faceva quel mestiere forse per l’amore di viaggiare sul locomotore». Personaggi che si rincorrono nelle canzoni sui treni: «Cenerentola stringi il biglietto Palermo-Milano, i tuoi occhi che cosa hanno fatto per esser veleno», canta nel 1976 Umberto Tozzi, mentre Ornella Vanoni è la protagonista di un viaggio Milano Roma (1974): «Si sale a Milano stanchezza e giornali alla mano, qualcosa si sogna prima che sia campagna». Il treno come itinerario mai visto, secondo Alice e Battiato nel 1985 in I treni di Tozeur: «Nei villaggi di frontiera guardano passare i treni, le strade deserte di Tozeur». Per Eugenio Finardi «il treno corre ancora, passa nelle gallerie, e dietro ai vetri cambia il cielo, cambiano le vie» (1989). Poi ci sono cantautori “innamorati” del treno e delle sue più struggenti metafore. Uno è senz’altro Ivano Fossati, che si permette di scrivere: «Questa è l’ora in cui i treni fantasma corrono
al mare e i cani nella notte li stanno ad aspettare» (I treni fantasma, 1975). Ma anche «come i treni a vapore, di stazione in stazione e di porta in porta…» (1991), aggiungendo «una valanga d’amore contro un bicchiere d’aceto, dopo l’ultimo bacio prima del fischio del treno», in Il treno di ferro del 2000. L’altro è Roberto Vecchioni, forte di raccontare in Ninni (1978): «Incontrarvi seduti sopra a quel treno tutti e quattro avevate vent’anni in meno», descrivendoci La stazione di Zima (1997), in cui «c’è un solo vaso di gerani dove si ferma il treno». O trovandosi a dire, in Irene del 1975: «Oh certo che può sembrare inutile una stazione a chi non parte mai». Così come in Vorrei (1979): «Io vorrei fare a pezzi il ricordo di un treno». Edoardo Bennato racconta la voglia di andare in Ma quando arrivi treno del 1974 e Massimo Bubola paragona il modo di viaggiare al sentimento urlando «se questo amore è un treno vorrei portasse al caldo» (2005). Ma il gruppo che si è meglio concentrato sul tema del treno nella canzone è quello dei New Trolls, che nel 1981 offre un intero album dedicato alle storie che s’intrecciano su di un vagone ferroviario. Si apre con il brano Tigre-E633, che preannuncia «ferro su ferro che si logora piano, è un rumore che mi porta lontano, rumore di gente e di gente che parte e c’è già qualcuno che sta chiudendo le porte». E via così, raccontando le diverse storie di quei personaggi dei vagoni, tanto diversi l’uno dall’altro, e la significativa copertina con la foto di Ilvio Gallo. Ma se parliamo di copertine che meglio offrono questo ricercato binomio non possiamo non citare Oscar Prudente con il suo Infinite fortune (1974), un’istantanea di alta classe di Cesare Monti, il fotografo preferito da Lucio Battisti, dove per parlare di viaggi, di andate e ritorni, offre il senso di una valigia solitaria alla stazione di Milano. Semplicità e immediatezza, con i colori sfumati del presente: «Nella notte le stazioni sono grandi più che mai, il mio treno l’ho perduto già da un pezzo oramai». 87
MUSICA
COME NASCE UNA STELLA DALLE PERIFERIE DI MILANO AL TEATRO ALLA SCALA, IL PREMIO ANTONIO MORMONE PROMUOVE GLI ASTRI NASCENTI DELLA SCENA PIANISTICA INTERNAZIONALE ilmondodiabha
© Greta Pasqualat
di Valentina Lo Surdo valentina.losurdo.3 ValuLoSurdo ilmondodiabha.it
George Harliono, semifinalista del Premio Antonio Mormone 2019, Auditorium Gaber, Milano
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uando superavi la porta del suo ufficio, ciò che ti trovavi di fronte era una grande scrivania e un grande pianoforte. Antonio Mormone era così:
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un imprenditore votato alla musica e noto nell’ambiente della classica come uno dei più grandi talent scout del nostro tempo. «Un uomo straordinario di cui, per quasi 30
anni, ho avuto il privilegio di essere amico. Questo Premio è il modo migliore per ricordarlo», sottolinea la star del pianoforte Evgeny Kissin, che debuttò in Italia nel 1988 grazie
all’intuito dell’imprenditore napoletano. Kissin fa riferimento al Premio internazionale Antonio Mormone, creato in sua memoria dalla moglie Enrica Ciccarelli. Pianista anche lei, lanciata proprio da Tony – come lo chiamavano affettuosamente gli amici – ha raccolto il testimone del marito nel 2017, quando Mormone ha concluso la sua vita coraggiosa e visionaria, costellata da incontri straordinari. Nato a Napoli nel 1930 e trasferitosi trentenne a Milano, era laureato in chimica e giurisprudenza, diplomato in pianoforte, appassionato di gemmologia e poesia. Ma gli 88 tasti bianchi e neri sono sempre stati il suo amore più grande. Per questo nel 1983 fondò la Società dei Concerti, grazie alla quale ha organizzato migliaia di esibizioni e lanciato centinaia di talenti. Giganti come Stanislav Bunin, Maxim Vengerov, Vadim Repin e, soprattutto, Grigory Sokolov e lo stesso Kissin, che hanno suonato per la prima volta in Occidente grazie all’infallibile fiuto di Mormone. E ancora, il direttore Daniele Gatti, i pianisti Fazil Say e Beatrice Rana,
i violinisti Sergej Krylov e Lorenza Borrani. Oggi Enrica Ciccarelli non soltanto porta avanti l’attività della Società dei Concerti, ma ha creato una manifestazione all’altezza della sua memoria. Già, perché il Premio internazionale Antonio Mormone si rivolge al grande pubblico in visita a Milano da febbraio a luglio, proprio come sarebbe piaciuto al marito che si prodigava per portare la musica classica a tutti, creando un inedito trait d’union fra le periferie della Città del Duomo e il palco più prestigioso al mondo. Infatti, il 5 luglio prossimo i tre finalisti scelti tra 94 candidati coroneranno il sogno di suonare al Teatro alla Scala. Ed è proprio Enrica a spiegarci nel dettaglio il progetto, insieme al pianista e direttore d’orchestra Matthieu Mantanus, co-direttore artistico del Premio e talento scoperto da Mormone oltre 20 anni fa, da allora impegnato nella divulgazione televisiva e dal vivo della musica. Enrica, ci può raccontare il suo primo incontro con Mormone? Era il 1989, avevo 24 anni, e come
tanti altri giovani lo chiamai in ufficio per chiedergli un’audizione. Non potevo immaginare che in quei giorni Tony fosse alle prese con un concerto di Katia Ricciarelli, così, quando telefonai, la sua segretaria intese Ricciarelli anziché Ciccarelli. Fu grazie a questo malinteso che mi passò immediatamente Tony. Capì subito che si trattava di un equivoco, ma rimase colpito dalla sicurezza con cui mi presentai. Il giorno dopo ero da lui per farmi ascoltare, e da allora non ci siamo più lasciati. Com’è nata l’idea di un premio alla sua memoria? A mio marito i concorsi non sono mai piaciuti, non gli interessava l’aspetto punitivo, la perfezione di chi suona senza sbagliare una nota. Per questo ho pensato a un premio che fosse vicino al suo modo di sostenere i giovani, con alcuni elementi di novità. Per esempio, in questi mesi in cui stiamo scegliendo tre finalisti tra i dieci candidati che hanno superato le preselezioni, abbiamo mandato una giuria in incognito in giro per il mondo per seguire i semifinalisti in tre loro esecuzio-
© Dort Pilh
Enrica Ciccarelli e Antonio Mormone
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© Marco Ayala
MUSICA
Il pianista Evgeny Kissin, presidente onorario del Premio Antonio Mormone, con gli studenti del Conservatorio di Milano
ni pubbliche. Ci interessa monitorare come rendono in concerto, più che in gara. Maestro Mantanus, lei è impegnato da anni in progetti musicali in cui l’aspetto sociale e divulgativo sono a stretto contatto. Ci può spiegare il perché di queste semifinali in periferia? Oltre alla giuria itinerante che monitora i candidati in incognito, ne abbiamo un’altra che ascolta i ragazzi in due spazi emblematici: Mare culturale urbano in zona San Siro, luogo d’incontro e scambio tra le arti, e il Teatro Edi Barrio’s, nel quartiere Barona, da anni impegnato in progetti di rivalutazione sociale, frequentato soprattutto da famiglie di extracomunitari. I semifinalisti si esibiscono in questi luoghi per un pubblico non avvezzo alla musica classica, raccontandosi agli spettatori prima del concerto. Sapranno interessare un pubblico meno formale e più istintivo? È questa la domanda importante che la musica classica deve porsi. 90
E per portare al successo questi talenti, occorre una grande squadra… Per questo nel progetto si sono unite le istituzioni più rappresentative: il Conservatorio, il Teatro alla Scala, il Comune di Milano e la Regione, che mette a disposizione l’Auditorium Gaber nel Pirellone per il secondo programma da concerto dei semifinalisti. Poi, oltre agli sponsor tecnici, è fondamentale il supporto della gente
e la campagna di crowdfunding, che prosegue tuttora e permette di sostenere direttamente i dieci prescelti. Ragazzi tra i 18 e i 28 anni, provenienti da Corea, Cina, Stati Uniti, Polonia, Italia e Inghilterra. Il primo classificato riceverà 30mila euro, ingaggi per numerosi concerti in tutto il mondo e un contratto discografico con la Universal, mentre gli altri due finalisti cinquemila euro ciascuno. Tutta Milano tifa per loro.
MILANO LIVE//PREMIO ANTONIO MORMONE 23-24 febbraio e 22-23 marzo: semifinali in periferia e all’Auditorium Gaber 8 maggio: concerto e annuncio dei tre finalisti in Sala Verdi al Conservatorio 30 giugno-2 luglio: incontri aperti al pubblico alla Centrale dell’Acqua con i tre candidati e i giurati della finale 2-3 luglio: finale solistica e di musica da camera in Sala Verdi al Conservatorio 5 luglio: finale con orchestra al Teatro alla Scala antoniomormone.org | teatroallascala.org antoniomormoneprize AMormone_Prize antonio_mormone_prize teatro.alla.scala teatroallascala
MUSICA, MAESTRO! I GRANDI SPETTACOLI PER PICCOLI ALLA SCALA, LA FABBRICA DELL’OPERA DI ROMA, LE VISITE PER I BAMBINI A SANTA CECILIA, LE BANDE MUSICALI DI NAPOLI E UN’ORCHESTRA CHE SUONA MATERIALI RICICLATI. COSÌ NASCE IL TALENTO CREATIVO DI GIOVANI E GIOVANISSIMI di Peppe Iannicelli
È
dal divertimento e da una buona educazione che nascono le stelle del palcoscenico e gli spettatori di domani. Una relazione dinamica che punta a diffondere i valori universali dell’arte e della cultura come empatica forma di relazione umana, di educazione ecologica, di prevenzione del disagio sociale. E la musica punta a migliorare la vita delle persone e delle città. Il programma di Grandi spettacoli per i Piccoli alla Scala di Milano mette in scena i capolavori della lirica adattati per i bambini. Fino ad aprile il baby titolo in cartellone è La Cenerentola di Gioachino Rossini. L’Accademia scaligera è anche protagonista di Una classe di suoni, progetto di alfabetizzazione musicale dedicato ai lin-
guaggi, alle arti e ai mestieri degli spettacoli, dal canto corale alla scenografica, dal trucco alla fotografica di scena. Il Teatro dell’Opera di Roma propone il ciclo di rappresentazioni pomeridiane Vietato ai maggiori di 26 anni, a un costo ridottissimo. La Turandot di Puccini, la Carmen di Bizet e il balletto Notre-Dame de Paris di Jarre diventano così alla portata di tutti. La Fabbrica Young Artist Program offre invece la ribalta a giovani virtuosi italiani e stranieri che, completata la formazione in conservatorio e accademia, hanno l’opportunità di esibirsi nel teatro più importante della Capitale. Mentre il progetto Tutti a Santa Cecilia consente ai bambini di entrare nel mondo magico dell’Accademia che custodisce il patrimonio musicale italiano nella bibliomediateca e nel museo. All’ombra del Vesuvio, la musica sgorga dai palazzi e invade le strade coinvolgendo anche il visitatore più distratto. Canta, suona e cammina. Musica nei luoghi sacri è il progetto realizzato da Scabec in collaborazione con la Curia di Napoli. Migliaia di under 14, selezionati dalle parrocchie dei quartieri periferici, danno vita a vivacissime bande musicali capaci di animare le feste popolari, di esibirsi allo stadio San Paolo prima delle gare del Napoli Calcio, di commuovere gli spettatori con un concerto nella Basilica di Santa Chiara. Ottanta studenti dell’Istituto Francesco Di Capua di Castellamare di Stabia sono invece i protagonisti del progetto Suoniamo la città: formano un’orchestra che suona i rifiuti: lattine, bidoni e scarti ferrosi prelevati dalle discariche si trasformano in ritmo e armonia, contribuendo anche a salvare il futuro del Pianeta. teatroallascala.org | santacecilia.it | operaroma.it | scabec.it facebook.com/suoniamola
© Musacchio & Ianniello
La JuniOrchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia a Roma
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ARTE
NON SOLO RAFFAELLO E MICHELANGELO
ECCO IL “NUOVO” MUSEO D’ARTE DI
PAPA FRANCESCO
SI CHIAMA ANIMA MUNDI IL NUOVO ALLESTIMENTO DEL MUSEO ETNOLOGICO VATICANO, CON UNA COLLEZIONE DI OLTRE 80MILA OGGETTI CHE RACCONTANO LE TRADIZIONI CULTURALI, ARTISTICHE E SPIRITUALI DI TUTTI I POPOLI DELLA TERRA. DAI REPERTI PREISTORICI AI DONI RICEVUTI DALL’ATTUALE PONTEFICE di Cesare Biasini Selvaggi - cesarebiasini@gmail.com Photo Governatorato SCV – Direzione dei Musei
Cappella Sistina, rievocazione degli arazzi (2010)/The Sistine Chapel, reenactment of the tapestries (2010) © Alessandro Bracchetti
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ta definendo gli ultimi dettagli del fitto calendario 2020 di iniziative per celebrare Raffaello, quando incontro Barbara Jatta, la prima direttrice donna dei Musei Vaticani. Romana, classe 1962, piglio fermo e deciso, al terzo anno del suo mandato alla guida di un polo di musei unico al mondo per qualità e quantità di capolavori custoditi, con numeri da record: solo per citarne alcuni, quasi sette milioni di visitatori nel 2019, quattro chilometri di percorso espositivo, oltre 20mila opere esposte, circa un migliaio di dipendenti. «Sono veramente tanti i progetti delle celebrazioni raffaellesche che i Musei Vaticani si apprestano a svolgere nei prossimi mesi, a 500 anni dalla morte del geniale maestro del Rinascimento. Dal 17 al 23 febbraio, per esempio, il pubblico vedrà la Cappella Sistina proprio come la immaginava Raffaello: cioè con tutti i suoi dieci grandi arazzi di cinque metri per quattro ciascuno, secondo il progetto da lui ideato per papa Leone X. Questa rievocazione – è il termine più corretto perché non si tratta di una ricostruzione, in quanto ci sono notizie contrastanti riguardo la loro esatta collocazione in Sistina – aveva già avuto luogo nel 1983, in occasione dei 500 anni dalla nascita di Raffaello, e nel 2010, ma non tutti gli arazzi erano presenti e l’esposizione si è protratta solo per poche ore, prima di inviarli a Londra, per una mostra al Victoria and Albert Museum», mi spiega Barbara Jatta con lo sguardo lucido e penetrante, che ti squadra e ti studia senza metterti in imbarazzo. «Si tratta di opere molto delicate che necessitano di ambienti con un microclima particolare. Per questo motivo non si sa se, e quando, in futuro, sarà possibile rivedere ancora questi arazzi affissi in Sistina tutti insieme sotto gli affreschi di Michelangelo». Raffaello, Michelangelo, la Sistina, abbiamo cominciato la nostra intervista con i pezzi da novanta, quelli che abitano il cosiddetto Miglio delle Meraviglie, il chilometro che va dall’ingresso dei Musei Vaticani fino alla Cappella. La direttrice lo definisce in questo modo perché, percorrendolo, è possibile ammirare nell’ordine: il Museo Pio-Clementino (con il Laocoonte, l’Apollo del Belvedere, il Perseo trionfante di Canova, il Torso del Belve-
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NOT JUST RAPHAEL AND MICHELANGELO HERE IS THE “NEW” ART MUSEUM OF POPE FRANCIS THE NEW LAYOUT OF THE ETHNOLOGICAL MUSEUM OF THE VATICAN MUSEUMS IS CALLED ANIMA MUNDI, WITH A COLLECTION OF OVER 80,000 OBJECTS THAT ILLUSTRATE THE CULTURAL, ARTISTIC AND SPIRITUAL TRADITIONS OF ALL CIVILISATIONS ON EARTH. FROM PREHISTORIC ARTEFACTS TO GIFTS GIVEN TO THE CURRENT PONTIFF
W
hen I meet Barbara Jatta, the first female director of the Vatican Museums, she is busy working on the final details of the packed 2020 calendar of events to celebrate Raphael. Born in Rome in 1962, with a firm and decisive manner, at the third year of her mandate leading a cluster of museums that is unique worldwide in the quality and quantity of the masterpieces it holds, with recordbreaking numbers: to list just a handful, nearly seven million visitors in 2019, four kilometres of exhibition, over 20,000 artefacts on display, nearly a thousand employees. “The Vatican Museums are preparing to hold a very large number of projects to celebrate Raphael over the coming months, 500 years after the death of the brilliant Renaissance master. From 17 to 23 February, for example, the public will admire the Sistine Chapel as Raphael envisaged it: with its 10 large tapestries, each four by five metres, in the project he designed for Pope Leo X. This reenactment - this is the most accurate term as it is not a reconstruction as there is conflicting evidence on their precise placement within the Chapel - had already taken place in 1983 to mark the 500th anniversary of the birth of Raphael, as well as in 2010, but not all the tapestries were present and the exhibition only lasted a few hours before being sent to London for an exhibition at the Victoria and Albert Museum,” Barbara Jatta explains with her clear and penetrating gaze that 93
ARTE dere, solo per citare i più conosciuti), poi le gallerie dei Candelabri, degli Arazzi, delle Carte Geografiche, le Stanze di Raffaello e la Cappella Sistina. «Si tratta del percorso più battuto dai visitatori, in particolar modo da quelli che arrivano attraverso le agenzie turistiche esterne. Per questo motivo, sto cercando di valorizzare quelle sezioni dei Musei ingiustamente un po’ dimenticate, forse anche perché, come ripeteva spesso il mio predecessore Antonio Paolucci, Raffaello e Michelangelo sono come due calamite che attirano verso di loro i cuori e le anime di chi varca la soglia dei Vaticani. Quando parlo di settori meno affollati mi riferisco alla Pinacoteca di Giotto, Perugino, Raffaello con la Trasfigurazione, Guido Reni, Poussin e al Caravaggio della Deposizione; al padiglione delle Carrozze, dove portantine, carrozze e automobili ricostruiscono la storia della mobilità papale nel corso dei secoli; alla Galleria di Arte Moderna e Contemporanea, con opere di Van Gogh, Dalí, Bacon, Morandi, Fontana, che in buona parte si dispiega attraverso le stanze di quello che era l’appartamento Borgia affrescato dal Pinturicchio. E, ancora, al Museo Egizio e al Museo Etrusco, al Museo Gregoriano Profano e al Museo Pio Cristiano, fino al Museo Anima Mundi», prosegue nel racconto la direttrice. Quest’ultimo nome, tuttavia, non mi
dice nulla. Ma l’arcano è presto svelato. Si tratta del Museo Etnologico, recentemente ribattezzato da papa Francesco Anima Mundi, in occasione del suo nuovo allestimento con i depositi delle opere a vista. La collezione, mi spiega, comprende oltre 80mila oggetti e opere d’arte donati nei secoli ai pontefici per il tramite soprattutto dei missionari sparsi in ogni parte del mondo. A partire da reperti preistorici fino a manufatti dei nostri giorni, si spazia dalle testimonianze delle grandi tradizioni spirituali asiatiche a quelle delle civiltà precolombiane e dell’Islam, dalle produzioni dei popoli africani a quelle degli abitanti dell’Oceania e dell’Australia, passando per quelle delle popolazioni indigene d’America. Tra le curiosità, c’è anche un porta messale che era su una delle caravelle di Cristoforo Colombo. Incuriosito dalle parole di Barbara Jatta, dopo essermi congedato da lei, varco la soglia di Anima Mundi. Lo spettacolo che si apre ai miei occhi è davvero straordinario. Mi imbatto per caso nel direttore di questo museo, padre Nicola Mapelli, che avvicinandosi a una vetrina con alcuni variopinti pali funerari provenienti dall’Australia mi spiega il suo impegno in quelle che chiama “riconnessioni”. «Attraverso la nostra attività di studio e ricerca rintracciamo i villaggi e i discendenti degli autori di molti degli
Nuovo allestimento dei pali funerari Pukumani/New layout Pukumani grave posts Museo Anima Mundi
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oggetti in collezione, li andiamo a visitare, mostriamo loro le immagini dei manufatti in nostro possesso, ascoltiamo le loro storie e le portiamo poi all’interno dei Musei Vaticani. Per esempio, abbiamo rintracciato in un villaggio delle Isole Tiwi, nel Northern Territory dell’Australia, una ottantenne che si ricordava quando da piccola suo nonno scolpì questi pali funerari per inviarli a un uomo importante oltreoceano, cioè al papa dell’epoca». Papa Francesco è venuto di persona a inaugurare il nuovo allestimento della prima sezione di Anima Mundi, dedicato alle popolazioni native dell’Oceania e dell’Australia. Un gesto semplice, ma carico di significato. Al Pontefice piace pensare a quello che ha chiamato Museo Anima Mundi come a un’altra Cappella Sistina, che innalza a capolavori gli oggetti e le opere d’arte rappresentativi delle diverse culture del mondo, e delle loro anime. Di tutti i popoli che ai Musei Vaticani hanno così casa per sentirsi a casa. museivaticani.va vaticanmuseums
ROMA 207 FRECCE AL GIORNO/A DAY
© Alessandro Bracchetti
gauges and studies you without being embarrassing. “They are extremely delicate pieces that require rooms with a specific microclimate. For this reason, we do not know if and when it will be possible to see these tapestries hanging in the Sistine Chapel all together again under the frescoes by Michelangelo.” Raphael, Michelangelo, the Sistine Chapel; we have started our interview with the big guns, those found in the socalled Mile of Wonders, the kilometre that connects the entrance of the museums to the Chapel. The director calls it this way because walking down it one sees, in order: the Pio Clementino Museum (with Laocoön, Belvedere Apollo, Canova’s Perseus Triumphant, the Belvedere Torso, just to mention the most famous), and the Galleries of the Candelabra, of the Tapestries, of Maps, the Raphael Rooms and the Sistine Chapel. “It is the most popular itinerary with visitors, especially those brought by external tourism agencies. For this reason, I am trying to improve the areas of the Museums that have unfairly been rather forgotten, perhaps because, as my predecessor Antonio Paolucci often said, Raphael and Michelangelo are like two magnets drawing towards them the hearts and minds of whoever steps over the threshold of the Vatican Museums. When I mention less-crowded itineraries, I am referring to the Pinacoteca with its paintings by Giotto, Perugino, Raphael and his Transfiguration, Guido Reni, Poussin and Caravaggio with his Deposition; to the Carriage Pavilion, where sedan chairs, carriages and automobiles illustrate papal mobility throughout the centuries; to the Collection of Contemporary Art, with works by Van Gogh, Dalí, Bacon, Morandi, Fontana, a large part of which is housed in the rooms of the Borgia Apartment frescoed by Pinturicchio. And also, to the Egyptian Museum, the Etruscan Museum, the Gregorian Profano Museum, and the Pius-Christian Museum, including the Anima Mundi Museum,” Jatta continues. This last name, however, is new to me. But the enigma is soon solved. It is the Ethnological Museum that Pope Francis has recently renamed Anima Mundi on the occasion of its new layout with its visible stores. The collection, the director tells me, holds over 80,000 objects and works of art that have been donated to various popes through missionaries.
Copricato Pega attribuito al popolo Mekeo Papua Nuova Guinea, inizio XX secolo.Piume di uccelli, fibra vegetale, legno, conchiglia, osso/Pega headdress attributed to the Mekeo people Papua Nuova Guinea, early 20th century Birds plumes, plant fibre, wood, seashell, bone Museo Anima Mundi 273x102x93 cm Inv. 100627
Starting from prehistoric artefacts to modern day objects, the collection ranges from expressions of the great Asian spiritual traditions to those of preColumbian civilisations and of Islam, from the creations of African populations to those of the inhabitants of Oceania and Australia, including the indigenous populations of America. The curiosities include a missal stand that travelled on one of Christopher Columbus’s ships. Intrigued by Barbara Jatta’s description, I went to visit Anima Mundi after I left her. The sight before my eyes is truly spectacular. By chance I encounter the director of this museum, Father Nicola Mapelli, who explains his work in what he calls “reconnections” as he walks up to a display with colourful grave posts. “Through our studies and research, we trace the villages and descendants of the people who created many of the objects in the collection, we go to visit them, we show them pictures of their
artefacts that we hold, we listen to their stories and then take them back to the Vatican Museums. For example, in a village in the Kimberley, in north west Australia, we located an eightyyear-old woman who remembered her grandfather sculpting these grave posts when she was a child to send them to an important man overseas, in other words, to the pope of the day.” Pope Francis in person inaugurated the new layout of the first section of Anima Mundi dedicated to Aboriginal and Australian populations. A simple gesture, but also a meaningful one. The pontiff likes to think of the Anima Mundi Museum, as he has named it, as another Sistine Chapel that elevates to the status of masterpieces the artefacts and works of art representing the world’s different cultures and their souls. Of all populations, who thus have a home in the Vatican Museums where they can feel at home. 95
ARTE
LA GRANDEZZA DELL’ UMILTÀ
DOPO IL RESTAURO ARRIVA AL MUSEO DELL’OPERA DEL DUOMO DI FIRENZE LA PORTA SUD DI ANDREA PISANO di Sandra Gesualdi
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sandragesu
Photo Antonio Quattrone - Courtesy Opera di Santa Maria del Fiore, Firenze
tto tonnellate di bronzo e quasi 700 anni carichi di storia, narrazioni, stili e aneddoti. Quella Sud, tra le tre Porte del Battistero di Firenze, è forse la meno nota, dopo la più famosa e aurea del Paradiso del Ghiberti e la Nord che dette avvio alla stagione del Rinascimento. Eppure a leggerla bene nasconde un microcosmo capace di tenere insieme Giotto alla Parigi del tempo, le geometrie dei grandi cicli d’affreschi alle moderne forme del Gotico. Un gigante di bronzo e oro alto quasi cinque metri, tornato a splendere dopo tre anni di restauro e andato ad affiancare le altre due Porte al Museo fiorentino dell’Opera del Duomo. Un unicum ammirarle l’una accanto all’altra nella sala del Paradiso, con le dorature originali riemerse grazie ai restauri eseguiti dall’Opificio delle Pietre Dure, dal ’78 a oggi.
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THE GREATNESS
OF HUMILITY
AFTER RESTORATION, ANDREA PISANO’S SOUTH DOOR ARRIVES AT THE MUSEO DELL’OPERA DEL DUOMO IN FLORENCE
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© vvoe/Adobestock
ight tons of bronze and almost 700 years full of history, narratives, styles and anecdotes. The South Door, of the three doors of the Florentine Baptistery, is perhaps the least known, after the most famous and golden one of Ghiberti’s Paradiso and the North which opened the Renaissance. Yet on close inspection it hides a microcosm capable of linking Giotto to the Paris of the time, the geometries of the great fresco cycles to modern Gothic forms. After three years of restoration, this bronze and gold giant, almost five metres high, has returned to shine after three years of restoration and has gone to flank the other two doors at the Florentine Museum of the Opera del Duomo. Admiring them next to each other in the Hall of Paradise, with the original gilding thanks to the restoration work carried out by the Opificio delle Pietre Dure from 1978 to the present day, is a unique experience. As often happens in Florence, the oldest Door was created in an atmosphere of competition. “After gold
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ARTE Come spesso accade a Firenze, la più antica delle Porte nacque in un clima di competizione. «Dopo l’oro e l’argento, il bronzo era la materia più nobile e costosa con cui realizzare elementi monumentali», racconta Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore. «In Sicilia, in Italia meridionale, a Venezia e Verona c’erano opere del genere, ma l’unica chiesa ad averne una era la cattedrale di Pisa, dove si ammira ancora quella di Bonanno Pisano del XII secolo». Fu commissionata dall’Arte di Calimala, la corporazione del commercio internazionale di stoffe pregiate per sfidare l’antica rivale pisana e primeggiare sugli altri mestieri fiorentini. Doveva essere un’impresa all’avanguardia e i ricchi mercanti per la complessa fusione dell’intelaiatura si rivolsero a esperti fonditori veneziani. Nel 1300 l’incarico dell’esecuzione toccò ad Andrea Pisano, che si firmava “de Pisis” ma veniva da Pontedera, nella provincia. Non era la prima scelta dei committenti, che gli preferivano Tino da Camaino, ma il giovane scultore, con doti di orafo e architetto, fu raccomandato proprio da Giotto di Bondone in persona, con il quale gli anni successivi avrebbe collaborato nel cantiere del Campanile. L’influenza di Giotto avviluppa e caratterizza tutta la Porta del Pisano, «nell’impostazione narrativa, nelle composizioni, nel-
La Porta Sud di Andrea Pisano, dopo il restauro The South Door by Andrea Pisano, after the restoration.
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la costruzione delle figure e nei drappeggi», sostiene Verdon. Andrea la scolpisce come se fosse un libro, raccontando, in 20 episodi, la vita di Giovanni Battista, patrono della città, dalla predicazione al martirio fino alla morte. E, come un libro, la si legge dall’alto al basso, da sinistra a destra, in un susseguirsi di figure, paesaggi, profili plasmati nel metallo con la perizia del dettaglio. Ogni scena, e qui la grande novità, è racchiusa in una complessa forma che si ripete nelle ante, il quadrilobo. Una cifra geometrica che sovrappone quattro cerchi a un quadrato e che, in prima assoluta, fece il suo debutto nella scultura fiorentina, importata in Italia, come nel resto d’Europa, dalla Francia. Quella caratteristica arte conosciuta come gotica che trae vocazione, almeno in queste linee, dall’esperienza compositiva islamica scoperta durante le Crociate e importata dai francesi entusiasti degli antichi intarsi orientali su legno e marmo. All’inizio del 1300 questo era segno di modernità, avanguardia pura, contemporaneità d’espressione. I committenti ben conoscevano le nuove tendenze d’Oltralpe e volevano con quest’opera simboleggiare la loro forza e internazionalità. La Porta Sud inconsapevolmente racchiude un centenario dialogo fra antico e coevo, Occidente e Oriente, scultura e pittura. Andrea, quando progetta e costruisce, ha davanti agli occhi i cicli pittorici giotteschi alla Cappella Peruzzi in Santa Croce, e in un primo momento fatica ad assecondare le nuove forme curvilinee, preferendo ancora i registri quadrati e rettangolari tipici degli affreschi. Il suo è uno stile solenne, quasi liturgico, in cui le figure appaiono spesso prive di movimenti fluidi e male si adattano alla nuova forma tonda. Nella formella in cui Salomè porge la testa del Battista alla madre, per esempio, il Pisano deve inserire un edificio rettilineo per appoggiarci le figure, proprio alla maniera di Giotto. Ma come in tutte le lunghe creazioni, l’estro si scioglie con la pratica e, nelle cornici finali, riesce a spingersi anche negli spazi sinuosi del quadrilobo con drappeggi voluminosi o, nella Sepoltura, con cupolette e pinnacoli gotici a lambire la volta. Nonostante le iniziali difficoltà, conclude l’impresa in sei anni (Ghiberti ce ne impiegherà 27 per terminare quella del Paradiso) e da allora è ricordato come il maestro delle porte. Nal frattempo tanta storia si è abbattuta sulle tre giganti del Battistero. Durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale furono staccate e nascoste nel Valdarno, in una galleria ferroviaria dismessa. Nulla invece si poté contro la furia dell’acqua e del fango che nel ’66 le travolse in pieno. La Porta Sud subì una ferita profonda ancora visibile sul retro e una delle 48 teste di leone decorative saltò via, perduta per sempre. I restauratori raccontano di aver svelato, durante la pulitura, innumerevoli micro dettagli non visibili a occhio nudo: una piccola farfalla, una lucertola, un ricamo sulle vesti. Come se l’artista avesse avuto l’idea di realizzare qualcosa di magnificente e accurato al di là del terreno, del proprio io o di quello della committenza. Come se fosse stato spronato soprattutto da una visione più grande e sacra, dove l’uomo e l’esecutore scompaiono in onore della bellezza e della fede, proprio come accade nelle preghiere. ll registro narrativo si chiude con le sette virtù teologali e cardinali e, per completare la simmetria delle formelle, disposte in numero pari, il Pisano ci aggiunge l’Umiltà. Forse per ricordare a Firenze, ai fiorentini e a ogni visitatore che per realizzare un capolavoro, al servizio della città quale bene comune o in onore di un dogma, occorre proprio quella virtù. Humana humilitas. operaduomo.firenze.it OperadiSantaMariadelFiore OperaDuomoFi
and silver, bronze was the noblest and most expensive material with which to make monumental elements,” says Timothy Verdon, director of the Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore. “There were works of this kind in Sicily, in southern Italy, in Venice and Verona, but the only church to have one was the cathedral of Pisa, where one can still admire that of Bonanno Pisano from the 12th century.” It was commissioned by the Arte di Calimala guild, an international trader of fine fabrics, to challenge the ancient rival of Pisa and excel over other Florentine guilds. It was supposed to be an avant-garde enterprise, and for the complex frame casting the rich merchants turned to expert Venetian casters. In 1300 the commission was given to Andrea Pisano, who signed himself “de Pisis” but was born in Pontedera (in the province of Pisa). It was not the first choice of the clients, who preferred Tino da Camaino, but the young sculptor, with goldsmith and architect skills, was recommended by Giotto di Bondone himself, with whom he collaborated in the Campanile construction site in the following years. Giotto’s influence permeates and characterises the entire South Door, “in the narrative setting, in the compositions, in the construction of the figures and in the drapes,” argues Verdon. Andrea
Porta Sud, particolare anta destra, formella con la sepoltura del Battista, dopo il restauro South Door, detail of the right door, panel with the burial of the Baptist, after the restoration
sculpted it like a book, recounting, in 20 episodes, the life of John the Baptist, patron saint of the city, from preaching to martyrdom until death. And, like a book, you can read it from top to bottom from left to right, in a succession of figures, landscapes, profiles shaped in metal with the skill of detail. Each scene, and this is the great innovation here, is enclosed in a complex form that repeats itself in the doors: the quadrilobo. A geometrical figure that superimposes four circles on a square and that made its debut in Florentine sculpture, imported in Italy and the rest of Europe from France. That characteristic art known as Gothic art that derives its vocation, at least in these lines, from the Islamic compositional experience discovered during the Crusades and imported by the French enthusiastic about the ancient oriental inlays on wood and marble. At the beginning of the 1300s this was a sign of modernity, pure avant-garde, contemporary expression. Clients were well aware of the new trends beyond the Alps and wanted with this work to symbolise their importance and internationality. The South Door unconsciously encloses a centenary dialogue between ancient and contemporary, West and East, sculpture and painting. While designing and building, Andrea has Giotto’s pictorial cycles at the Peruzzi Chapel in Santa Croce before his eyes, and at first he struggles to follow the new curvilinear forms, still preferring the square and rectangular registers typical of frescoes. His is a solemn, almost liturgical style, in which the figures often appear devoid of fluid movements and badly adapted to the new round shape. In the panel of Salome that hands the head of the Baptist to his mother, for example, the Pisan must insert a straight building to support the figures, just like Giotto. But like in all long projects, inspiration expands with practice and, in the last panels, manages to penetrate the sinuous spaces of the quadrilobo with voluminous draperies or, in the Sepulchre, reach as far as to caress the vault with small domes and gothic pinnacle. Despite the initial difficulties, he completed the enterprise in six years (it took Ghiberti 27 years to finish the Paradise) and since then
Porta Sud, particolare, la virtù dell’Umiltà South Door, detail, the virtue of Humility
he is remembered as the master of doors. Ever since, the three giants of the Baptistery have been the focus of a great deal of history. During the bombardments of the Second World War they were detached and hidden in a disused railway tunnel in Valdarno. Nothing could be done against the fury of water and mud that swept them away in 1966. The South Door suffered severe damage still visible at the back and one of the 48 decorative lion heads was lost forever. The restorers say that during cleaning they revealed countless micro details not visible to the naked eye: a small butterfly, a lizard, an embroidery on the clothes. As if the artist had had the idea of creating something magnificent and accurate beyond the ground, beyond his own self or that of the client. As if he was spurred above all by a larger and more sacred vision, where the man and the performer disappear in honour of beauty and faith, just as happens in prayers. The story ends with the seven theological and cardinal virtues, and to complete the symmetry of the panels arranged in even numbers, il Pisano added Humility. Perhaps to remind Florence, the Florentines and every visitor that in order to create a masterpiece, at the service of the city as a common good or in honour of a dogma, one needs precisely that virtue. Humana humilitas.
FIRENZE 108 FRECCE AL GIORNO/A DAY 99
SAN VALENTINO
GIOCO A DUE LA FRECCIA HA CHIESTO A DUE COPPIE FAMOSE COME TRASCORRERE IL WEEKEND E IL MESE DEGLI INNAMORATI (E QUALI REGALI EVITARE) di Cecilia Morrico
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© Fabio Lovino
NDREA DELOGU E FRANCESCO MONTANARI Giovani, belli e innamorati. Sempre più affiatata la coppia Delogu-Montanari, a febbraio insieme anche sul palcoscenico con Il giocattolaio di Gardner McKay per la regia di Enrico Zaccheo, in scena il 21 ad Atri (TE), il 22 a Coriano (RN), il 29 a Viterbo e il 15 marzo a Camaiore (LU), per poi partire in tournée a novembre. Andrea e Francesco raccontano lo spettacolo e suggeriscono posti magici dove riconnettersi in due. Come nasce questo progetto? [A] Abbiamo avuto anche in passato molte proposte per lavorare insieme, però non ne sentivamo la necessità. Invece in questi ultimi tempi, in cui ci si vedeva pochissimo, perché lui era sul set della serie tv Il cacciatore e io a Milano, è arrivata la produttrice dello spettacolo e ci ha richiesti entrambi. All’inizio ero dubbiosa, poi leggendo la pièce sono impazzita perché è una storia di amore, passionalità, violenza, ma soprattutto di lotta psicologica tra i due protagonisti. [F] E poi Andrea ha passato il testo a me e ha detto: «Lo facciamo». Quindi io l’ho fatto (ride, ndr). Scherzi a parte, è stata una sfida interessante.
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Una fuga romantica per San Valentino? [A] Per Natale ho regalato a Francesco un viaggio per vedere l’aurora boreale, dobbiamo ancora spacchettarlo insieme. Ma in Italia ci sono dei piccoli borghi meravigliosi che visitarli è pura poesia. Quando dobbiamo staccare, vivendo a Roma, andiamo a Sulmona, Terni, Viterbo… [F] …Castiglion Fiorentino, per arrivare a destinazione rapidamente, rilassarci e tornare. [A] Queste sono le fughe che ci fanno anche riunire con le tradizioni italiane, come il cibo locale C’è una lentezza capace di donare delle pause ristoratrici. Il viaggio del cuore? [In coro] Tuglie! [A] In Puglia, vicino a Gallipoli. Lì c’è la casa dei miei nonni materni, è un luogo dove io vado sempre. Se d’estate non scendo giù almeno cinque giorni non sono io. L’ho fatta conoscere a Francesco sette anni fa e da allora è un appuntamento fisso. [F] Il classico paesino dove tutti si conoscono, con una strada principale su cui passa una macchina ogni 20 minuti. Tu cammini e vedi un papà che guarda i figli giocare e porta loro la merenda. Un luogo accogliente e riposante.
© TTLmedia/Adobestock
Sulmona (AQ)
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IMMA BATTAGLIA ED EVA GRIMALDI Un febbraio in treno per Imma Battaglia ed Eva Grimaldi. Dopo il giorno del sì, il 19 maggio scorso, continuano ad alimentare la loro passione per i viaggi, che siano culturali, a lume di candela o adrenalinici.
© Azzurra Primavera
Come festeggerete il giorno degli innamorati? [A] È un venerdì e saremo a Milano, lui al momento sta girando un film lì e io lo raggiungo. Passeremo il weekend insieme e andremo a mangiare… [F] ...da Mandarin 2, il nostro ristorante milanese preferito, che tra l’altro è cinese, ma usa solo prodotti italiani. Cambiando argomento, il regalo più brutto ricevuto? [A] Potrei farti un bell’elenco… [F] Io mi dissocio da ciò che dice! [A] Diciamo che nella coppia ci si conosce piano piano. Francesco ci ha messo un po’ per capire i miei gusti, all’inizio si era impuntato con abiti dal gusto rétro, un po’ anni ’20. [F] Ma non è vero! Erano meravigliosi, e ci tengo a dire che con le gonne ci ho sempre preso. [A] Immettibili! Quindi li chiudevo nell’armadio, tanto è vero che poi lui mi diceva: «Ma non ti piace? Vuoi che lo cambiamo?». Poi, con gli anni... [F] Li ha cambiati tutti. Mentre per Francesco? [F] Obiettivamente non ce l’ho. Devo ammettere che Andrea mi fa dei regali incredibili, come due orologi vintage bellissimi nell’arco di sette anni, che porto nel cuore e indosso sempre. [A] Sì, a lui piacciono cose crepuscolari, sono andata a cercarli in negozi che trattavano solo quel tipo di accessori, per uno dei due ho dovuto aspettare addirittura sei mesi. Sembrerebbe da collezionismo, ma in realtà Francesco lo indossa e, anche se lo hanno calibrato, va comunque avanti… almeno adesso arriva puntuale (ride, ndr). Andrea, invece il regalo più bello? [A] Devo ammettere che alla fine quelli brutti me li ricordo di più, perché mi hanno fatto ridere. Poi, naturalmente, ci sono quelli speciali, come l’anello di fidanzamento e il ciondolo del primo anno… [F] …che però hai trasformato in anello! [A] Perché non mi piaceva e l’ho migliorato, ma è sempre lui. Ecco, come dicevo: alla fine resto affezionata a quelli brutti.
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SAN VALENTINO
In treno per? [E] Verona, dove sono nata e dove vivono i miei fratelli. Poi è la città dell’amore, come insegna Shakespeare, e da lì in Frecciarossa si va in giro per il Piemonte, ora si può andare anche a sciare con il treno, arrivando in poco tempo e facendo del bene all’ambiente. Imma è amante delle racchette, vuole passare qualche giorno in montagna. Comunque il treno io l’ho sempre adorato fin da piccola, e da giovane mi dava un senso di libertà. [I] Mi ricordo ancora di quando bisognava passare la notte in cuccetta per andare sulla neve, mentre adesso è molto più veloce. Mi manca il Piemonte come meta invernale e sono molto contenta di andarci a febbraio, proprio per San Valentino. Quindi come festeggerete il giorno degli innamorati? [E] Io preferisco Verona, sono una romanticona, Imma è più sportiva… [I] La sera di San Valentino saremo a Verona. [E] Me lo confermi? [I] Sì, ma se fosse per me sarei dalla mattina alla sera sulle piste! [E] Allora faremo una bella cena in una trattoria del centro, con del buon vino. Anche se tra noi ogni giorno è San Valentino, il 14 febbraio è più che altro un’occasione per avere vicino chi amiamo, per esempio i miei fratelli. Anche in viaggio di nozze non eravamo sole, c’erano amici e parenti. [I] Poi il 15 mattina, molto presto, si parte per la montagna, in treno. Abbiamo fatto così a Capodanno, in Val Pusteria c’è una rete di pullman e regionali che arrivano ovunque, anche dentro la funivia di Perca-Plan de Corones. Sono treni comodissimi quelli dell’Alta Badia, che ti fanno scoprire città bellissime come Brunico, una rivelazione, una green strategy eccezionale. Un’altra fuga romantica in Italia? [I] Oltre alla montagna, siamo appassionate del Sud, il
mare d’inverno è un’opzione meravigliosa. Napoli, Salerno, la Calabria ionica. Il nostro Paese non ha niente da invidiare a nessuno, bisogna rispettarlo e occorrono investimenti. Lo dico alle Regioni, ci vorrebbe anche al Sud un’organizzazione come in Val Pusteria. [E] Andiamo poi continuamente a Napoli e ci allunghiamo spesso a Portici, sulla primissima ferrovia, dove c’è il Museo ferroviario di Pietrarsa, stupendo. Poi è bello fare tutto il Miglio d’oro e scendere verso il Cilento. Il viaggio del cuore? [E] Non è in Italia, ma nel Nord Europa: Breslavia. [I] In Polonia, un posto meraviglioso vicino Cracovia. Abbiamo visitato i luoghi dell’Olocausto, il Santuario della Madonna Nera e la miniera di sale. Breslavia è una città di studenti lì vicino che venne distrutta durante la guerra e poi ricostruita. La sua particolarità sono gli gnomi disseminati in vari luoghi del centro, ognuno rappresenta un pezzo della ricostruzione. Affascinante. [E] E poi il primo viaggio insieme, a Berlino. Cambiando argomento, il regalo più brutto ricevuto? [E] L’ho fatto io a Imma, stavamo insieme da pochissimo e non sapevo cosa regalarle, poi ho visto un maglioncino blu di cashmere, ma di taglia piccola, molto aderente… [I] L’ho odiata, le dissi: «Ma che non mi guardi? Non vedi che stile ho?». [E] Una litigata feroce, ero mortificata. Imma invece li ha azzeccati tutti, è molto attenta ed elegante. E quello più bello? [E] Io come sempre, romanticona, dico l’anello di fidanzamento. Quando l’ho visto ho pensato: «Allora siamo davvero fidanzate!». [I] Per me, più sportiva, senz’altro la bicicletta pieghevole! [E] Vedi com’è! (Ridono, ndr). immacolata.battaglia evagrimaldireal unvotoperimma EvaGrimaldi1
© Giuseppe Senese/FS Italiane | PHOTO
Museo ferroviario di Pietrarsa (NA)
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FRECCIAROSSA PER A M O R E G
iorgia, 21 anni, studentessa di relazioni internazionali alla Luiss di Roma. Viaggiatrice per amore, fra un treno e l’altro, insieme a Giovanni, il suo fidanzato. Giorgia, che tipo di viaggiatrice sei? Sono originaria di Napoli, ma vivo e studio a Roma. Sia per ragioni familiari che sentimentali, per me è stato sempre un su è giù tra le due città. Da diverso tempo i miei genitori si sono trasferiti nella Capitale, ma molti parenti sono in Campania. Il treno è un po’ la mia seconda casa. Febbraio è il mese di San Valentino, dicevi che hai viaggiato anche per questioni di cuore. Da circa un anno sono fidanzata con Giovanni, un ragazzo della mia stessa età della Costiera Amalfitana, e l’Alta Velocità ha reso possibile frequentarci, arginando la distanza. Avevamo 12 anni quando ci siamo conosciuti, ci siamo piaciuti fin da bambini. Un piccolo amore d’infanzia che si è trasformato in qualcosa di importante. Il treno alleato di una storia d’amore che ha origini lontane e che vi ha accompagnati fino alla recente unione. Possiamo dire così? Sì, possiamo dirlo! Il Frecciarossa ci ha permesso di ricongiungerci, è stato un ponte tra me e Giovanni. Trovo importante sottolineare la diversità tra un viaggio che fai per ritrovare la tua famiglia, fondamentale dal punto di vista affettivo, e quello per cui parti di volta in volta per ritrovare la persona che ami. In questo ultimo caso il tempo a bordo treno trascorre in maniera differente. Perché? Quando arrivavo a Napoli, da Roma, per andare a trovare Giovanni, il mio treno faceva una lunga sosta prima di ripartire per Salerno. Comprendo le esigenze di servizio, ma per me si trattava di un tempo infinito. Un tempo che, invece, quando viaggiamo insieme, assume connotati totalmente diversi, di serenità. Dove andresti per una fuga d’amore? Senza dubbio a Venezia, ci sono stata quando ero molto piccola e ci ritornerò con Giovanni, ne sono certa. Nel frattempo, per San Valentino abbiamo programmato una settimana a New York, altra città che avrei voluto visitare da sempre, in quel periodo non abbiamo esami in programma e ne abbiamo approfittato. Il regalo più bello che hai ricevuto per la festa degli innamorati? Come dicevo, io e Giovanni ci siamo conosciuti quando eravamo molto piccoli, motivo per cui non abbiamo mai avuto un vero primo appuntamento, tipo il classico in-
Giorgia e Giovanni, sempre in Frecciarossa per amore
vito a cena, l’imbarazzo della conoscenza e del primo bacio. Così, lui ha pensato di scrivere le tappe di un ipotetico primo incontro, consegnandomi una “pergamena con istruzioni” una sera che siamo usciti insieme. È stato un dono straordinario, divertente e intimo, che ha raccontato molto di noi. Un consiglio o una curiosità da condividere? Negli anni le coppie si lasciano e si riprendono, ma quando si sale sul treno giusto la distanza non conta. I chilometri non possono separare due cuori. Il prossimo anno andrò a studiare a Pechino, vorrei che la nostra relazione proseguisse anche dall’altra parte del mondo. A.G.
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SICILIA SOTTOSOPRA di Luca Mattei
ellemme1 – l.mattei@fsitaliane.it
Photo Gianfranco Ayala
E
normi miniere di zolfo fanno da sfondo a una piccola rivoluzione democratica in evoluzione. Siamo a Caltanissetta, negli anni ’40, con il fascismo alle spalle e la ricostruzione post-bellica all’orizzonte. Quei luoghi di lavoro rappresentano una piramide sociale: al vertice i proprietari, al centro i ga-
Donne a Caltanissetta (fine anni ‘40)/(late 1940s)
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bellotti, prede o complici della mafia, e in fondo i minatori, che aspirano a essere considerati operai, con annessi diritti e garanzie. Partecipe di questo clima è il fotografo Gianfranco Ayala. La sua famiglia possiede la miniera Giumentarello, dove si reca per fare amicizia con i lavoratori, osservare le loro attività e girare il do-
cumentario Solfara. Ma con la sua macchina fotografica volge lo sguardo anche altrove: verso la città e le campagne intorno, le persone di ogni età e status, immortalate nel quotidiano o durante cerimonie religiose e politiche. I suoi scatti e l’opera filmica sono protagonisti della mostra Sicilia sottosopra, al Teatro dei Dioscuri al
Quirinale di Roma fino al 1° marzo. Un’esposizione dallo straordinario valore storico e artistico, che evidenzia l’unico obiettivo di Ayala: catturare la verità di un’emozione. archivioluce.com/teatro-dei-dioscuri TeatrodeiDioscurialQuirinale
Ritratto di bambina (inizio anni ‘50)/(early 1950s)
SICILY UPSIDE DOWN
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uge sulphur mines backdrop a small, evolving democratic revolution. We are in 1940s Caltanissetta, with fascism behind us and post-war reconstruction on the horizon. Such workplaces represent a social pyramid—at its peak are the owners, at the centre the gabellotti as the prey of or accomplices to the mafia, and the miners at the bottom, from where they aspire to be considered as labourers, with relative rights and guarantees. It is within this climate that photographer Gianfranco Ayala operated. His family owned the Giumentarello mine, where he would go to make friends with the wor-
kers, observe their activities and shoot the documentary Solfara. Yet he also turned his lens elsewhere—towards the city and the surrounding countryside, to people of all ages and statuses, immortalised in everyday life or during religious ceremonies and political formalities. His shots and film work are the protagonists of the exhibition Sicilia Sottosopra (Sicily Upside Down), at the Teatro dei Dioscuri at the Quirinale in Rome until 1 March. It is an exhibition of extraordinary historical and artistic value, highlighting Ayala’s only objective: to capture the truth behind an emotion. 105
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MEN & ANIMALS A TORINO, MILANO E FORTE DI BARD UN VIAGGIO ATTRAVERSO LE IMMAGINI DEI MIGLIORI FOTOGRAFI DEL PIANETA
A JOURNEY THROUGH THE IMAGES OF THE BEST PHOTOGRAPHERS ON THE PLANET IN TURIN, MILAN AND FORTE DI BARD (AOSTA)
di Silvia Del Vecchio - s.delvecchio@fsitaliane.it
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elano storie e racconti del nostro passato e del nostro presente le oltre 200 immagini della Collezione Bertero realizzate da una cinquantina di autori provenienti da tutto il mondo e selezionate da Walter Guadagnini, Barbara Bergaglio e Monica Poggi, curatori della mostra Memoria e passione. Da Capa a Ghirri. Così a
Mario De Biasi, Gli italiani si voltano. Moira Orfei (1954) © Archivio Mario De Biasi distribuito da Mondadori Portfolio
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ver 200 images from the Bertero Collection, taken by about fifty photographers from all over the world and selected by Walter Guadagnini, Barbara Bergaglio and Monica Poggi, curators of the exhibition, conceal stories and tales of our past and present. From Capa to Ghirri. And so Turin,
Luigi Ghirri, Alpe di Siusi (1979) © eredi di Luigi Ghirri
Torino, dal 20 febbraio al 10 maggio nelle sale di Camera Centro Italiano per la Fotografia, spiccano i nomi di Bruno Barbey, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Robert Capa, Lisetta Carmi, Henri Cartier-Bresson, Mario De Biasi, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Ferdinando Scianna e Michele Zaza, solo per citarne alcuni. Protagonisti degli scatti sono contadini, preti, nobildonne, militari, bambini ma, soprattutto, i fotografi che hanno impresso su pellicola il ricordo di tante vicende. Maestri dell’obiettivo che compongono un racconto dell’Italia appena liberata dal fascismo, dove, nonostante macerie e povertà, è forte la voglia di vivere e di amarsi. Capolavori che hanno fatto la storia della fotografia internazionale come La strada per Palermo di Robert Capa (1943), il reportage dedicato al nostro Paese da Henri Cartier-Bresson nel 1952 e Gli italiani si voltano di Mario De Biasi (1954), dove un gruppo di uomini ammira la bellezza di Moira Orfei mentre passeggia per le strade di Milano. La raccolta abbraccia anche i decenni successivi, quando si afferma un nuovo modo di intendere l’immagine, meno documentaria e più concettuale. «Una mostra che rivela la lungimiranza di Guido Bertero non solo nella sensibilità dell’acquisizione di grandi autori per la sua collezione, ma anche nella lettura del secolo scorso», precisa Guadagnini. camera.to CameraTorino Camera_Torino camera_torino
from February 20 to May 10 in the rooms of Camera - Centro Italiano per la Fotografia, will be hosting renowned photographers such as Bruno Barbey, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Robert Capa, Lisetta Carmi, Henri Cartier-Bresson, Mario De Biasi, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Ferdinando Scianna and Michele Zaza, just to name a few. The protagonists of the shots are farmers, priests, noblewomen, soldiers, and children, but above all, the photographers who have immortalised the memory of so many events on film. Masters of the lens composing the story of an Italy just freed from fascism, one where the desire to live and love one another stands out amongst the rubble and poverty. Masterpieces that have made the history of international photography such as La strada per Palermo by Robert Capa (1943), the 1952 Italian reportage by Henri Cartier-Bresson and Gli italiani si voltano by Mario De Biasi (1954), where a group of men admire the beauty of Moira Orfei as she walks the streets of Milan. The collection also embraces the following decades, when a new, less documentary and more conceptual way of understanding the image took hold. As Guadagnini explains, it is “an exhibition that reveals Guido Bertero’s far-sightedness not only in his sensitivity to acquire the work of great artists for his collection, but also in his reading of the last century.”
TORINO 60 FRECCE AL GIORNO/A DAY 107
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Gianni Viviani, Fish lady in Anakao Madagascar (2005) 108
I colori del Madagascar catturati da Gianni Viviani contrapposti alle suggestive atmosfere occidentali di Ludovica Sagramoso Sacchetti. Sono gli Appunti di viaggio di due fotografi italiani, alla Galleria Francesco Zanuso di Milano dal 6 al 27 febbraio (ingresso libero). Un peregrinaggio con la macchina al collo, ma anche un percorso interiore che sa emozionare, in 40 scatti inediti che, partendo da momenti di vita quotidiana,
The colours of Madagascar captured by Gianni Viviani contrast with the suggestive Western atmospheres of Ludovica Sagramoso Sacchetti. These are the Travel notes of two Italian photographers, at the Francesco Zanuso Gallery in Milan from 6 to 27 February (free admission). A pilgrimage with the camera around his neck, but also an exciting inner journey, in 40 unpublished shots in which each, starting from moments of daily life, communicates its own message and a different feeling and perception of the world. In the smile of a child, in the seductive gaze of a woman and in the humility of the fatigue sketched on a man’s face explodes all “the dignity of a humanity made of hardships and little things, enriched by my attention with light and shadow, with delicacy and respect”, explains Gianni Viviani. His work is counterbalanced by the atmospheres of Ludovica Sagramoso Sacchetti, driven by the desire for change and contact with new spaces, people and places. The result places individuals in relation through images, immersed in the contradictions of our routine, from Milan to the whole of Italy. Because, the photographer points out, “creative thinking is
comunicano ciascuno un proprio messaggio e un differente sentire e percepire il mondo. Nel sorriso di un bambino, nello sguardo seducente di una donna e nell’umiltà della fatica tratteggiata sul viso di un uomo esplode tutta «la dignità di un’umanità fatta di stenti e piccole cose, che la mia attenzione arricchiva di luci e ombre, con delicatezza e rispetto», spiega Gianni Viviani. A fargli da controcanto le atmosfere di Ludovica
Sagramoso Sacchetti, mossa dalla voglia di cambiamento e di contatto con nuovi spazi, persone e luoghi. Mettendo, così, in relazione gli individui attraverso le immagini, immersa nelle contraddizioni della nostra routine, da Milano all’Italia intera. Perché, puntualizza la fotografa, «il pensiero creativo non si accontenta della quotidianità, ma attraverso esperienze inedite cerca nuove risposte». galleriafrancescozanuso.com
Ludovica Sagramoso Sacchetti Riflessi in Galleria, Milano (2019)
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Yongqing Bao, The moment, China Joint Winner 2019/Behaviour: Mammals Grand title winner-Wildlife Photographer of the Year 2019
Quando l’uomo incontra la natura e ne riconosce la sua potenza e verità negli animali, ecco apparire i più bei ritratti dal pianeta Terra. E a mostrarceli, ogni anno, è Wildlife Photographer of the Year, il più importante riconoscimento dedicato alla fotografia naturalistica promosso dal Natural History Museum di Londra. C’è tempo fino al 2 giugno per ammirare al Forte di Bard (AO) le oltre 100 immagini vincitrici nelle 19 categorie del premio selezionate tra ben 48mila scatti provenienti da 100 Paesi. A vincere il prestigioso titolo 2019 è il cinese Bao Yongqin con The Moment, l’incontro-scontro tra una volpe e una marmotta uscita dalla tana dopo il letargo, sull’altopiano del Qinghai, in Tibet. Uno scatto che cattura insieme il potere del predatore e il terrore della sua preda. Il premio 110
per lo Young Wildlife Photographer of the Year va invece al quattordicenne neozelandese Cruz Erdmann, per Night glow by, che riprende un calamaro durante un corteggiamento notturno al largo di Sulawesi, in Indonesia. Per le categorie 15-17 anni e Behaviour: Amphibians and Reptiles sul podio due italiani, rispettivamente il giovane Riccardo Marchegiani, con Early riser e l’altoatesino Manuel Plaickner, con Pondworld. Una femmina di babbuino con il suo cucciolo ritratta all’alba nel Parco Nazionale del Simien, in Etiopia, per il primo, e delle rane in uno stagno, durante il periodo dell’accoppiamento in Alto Adige, seguite invece dal secondo ogni primavera, durante la migrazione, per oltre un decennio. fortedibard.it
not satisfied with everyday life, but seeks new answers through new experiences”. The most beautiful portraits from planet Earth appear when man meets nature and recognises its power and truth in animals. Each year, they are shown to us by Wildlife Photographer of the Year, the most important award dedicated to nature photography promoted by the Natural History Museum in London. You have until 2 June to admire the over 100 winning images in the 19 award categories selected from 48,000 shots from 100 countries at Forte di Bard (Aosta). The prestigious 2019 award went to China’s Bao Yongqin with The Moment, the encounterclash between a fox and a marmot that came out of its den after
Manuel Plaickner, Pondworld, Italy Winner 2019/Behaviour: Amphibians and Reptiles
hibernation on the Qinghai plateau in Tibet. A shot that captures together the power of the predator and the terror of its prey. The award for Young Wildlife Photographer of the Year went to 14-year-old New Zealander Cruz Erdmann, for Night glow by, who filmed a squid during
a night-time courtship off Sulawesi, Indonesia. For the 15-17 years old and Behaviour: Amphibians and Reptiles categories, two Italians reached the podium, respectively the young Riccardo Marchegiani, with Early riser and the South Tyrolean Manuel Plaickner, with
Pondworld. The first portrayed a female baboon with her baby at dawn in the Simien National Park, Ethiopia, while the second followed the migration of frogs in a pond during the mating period in South Tyrol every spring for more than a decade, to capture his winning shot.
Riccardo Marchegiani, Early riser, Italy Winner 2019/15-17 years old
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La verità è che non gli piaci abbastanza
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La buca
Gli uomini d’oro
NOTIZIE ANSA SUI PRINCIPALI FATTI QUOTIDIANI AGGIORNATE OGNI ORA
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A/R WEEKEND
I Carnet Trenitalia sono sempre più adatti a tutte le esigenze. Si può scegliere quello da 10 viaggi al prezzo di 8 euro (-20% sul prezzo Base) oppure il Carnet 5 viaggi con la riduzione del 10% sul prezzo Base. Riservato ai titolari CartaFRECCIA, il Carnet è nominativo e personale. L’offerta è disponibile per i treni Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity 3.
Offerta dedicata ai gruppi da 2 a 5 persone per viaggiare con uno sconto del 30% sul prezzo Base di Frecce, Intercity e Intercity Notte. La promozione è valida in 1^ e 2^ classe e nei livelli di servizio Business, Premium e Standard. Sono esclusi il livello Executive, il Salottino e le vetture Excelsior 4 .
Promozione per chi parte il sabato e torna la domenica con le Frecce a prezzi fissi, differenziati in base alle relazioni e alla classe o al livello di servizio. La giusta soluzione per visitare le città d’arte nel fine settimana senza stress e lasciando l’auto a casa 1 .
BIMBI GRATIS Con Trenitalia i bambini viaggiano gratis in Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity nei livelli Business, Premium e Standard e in 1^ e 2^ classe. Gratuità prevista per i minori di 15 anni accompagnati da almeno un maggiorenne, in gruppi composti da 2 a 5 persone 2.
TUTTE LE ALTRE OFFERTE E LA GAMMA DEI PREZZI SU TRENITALIA.COM 1. Il numero dei posti è limitato e variabile, a seconda del treno e della classe/livello di servizio. Acquistabile entro le ore 24 del terzo giorno precedente la partenza del treno. Il cambio prenotazione/biglietto è soggetto a restrizioni. Il rimborso non è consentito. Offerta non cumulabile con altre riduzioni, compresa quella prevista a favore dei ragazzi. 2. I componenti del gruppo che non siano bambini/ragazzi pagano il biglietto al prezzo Base. Offerta a posti limitati e variabili rispetto al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. Cambio prenotazione/biglietto e rimborso soggetti a restrizioni. Acquistabile entro le ore 24 del secondo giorno precedente la partenza. 3. Il Carnet consente di effettuare 10 o 5 viaggi in entrambi i sensi di marcia di una specifica tratta, scelta al momento dell’acquisto e non modificabile per i viaggi successivi. Le prenotazioni dei biglietti devono essere effettuate entro 180 giorni dalla data di emissione del Carnet entro i limiti di prenotabilità dei treni. L’off erta non è cumulabile con altre promozioni. Il cambio della singola prenotazione ha tempi e condizioni uguali a quelli del biglietto Base. Cambio biglietto non consentito e rimborso soggetto a restrizioni. 4. Il numero dei posti è limitato e variabile, a seconda del treno, della classe/livello di servizio e del numero dei componenti del gruppo. Acquistabile entro le ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno. Cambio prenotazione/biglietto e rimborso non consentiti. Offerta non cumulabile con altre riduzioni a eccezione di quella prevista a favore dei ragazzi.
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FOOD ON BOARD
Il viaggio nel viaggio
GUSTALI A BORDO Che cosa possono avere in comune una stella della cucina mediterranea e una star di Hollywood? Nel 1947 una giovanissima e sconosciuta Marilyn Monroe vince un concorso di bellezza e viene eletta Miss Carciofo. Il titolo fa un po’ ridere, ma sappiamo per certo due cose: Marilyn era uno schianto e il carciofo è una bontà. E non solo, è anche salutare, perché il gustoso ortaggio contiene sali minerali utili al nostro organismo e un principio attivo, la cinarina, che favorisce la digestione. A febbraio Itinere propone a bordo delle Frecce i carciofi spadellati, un piatto semplice, saporito e con un delizioso retrogusto amarognolo, perfetto per accompagnare la scaloppa di maiale al marsala. Scopri tutti i menù a bordo treno su itinere.it 120
© Lorenzo Rui
FRECCIAROSSA GOURMET by
Carlo Cracco
STRACOTTO DI MANZO AL VINO ROSSO CON PURÈ DI PATATE Lista della spesa (per 4 persone) 600 gr di spezzatino di manzo, 500 ml di vino rosso, 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro, 1 cipolla, 1 spicchio d’aglio, 3 cucchiai di jus di manzo, 3 cucchiai di olio extravergine d’oliva, qualche rametto di rosmarino, 650 gr di patate, 220 ml di latte, 50 gr di burro, 2 cucchiai di Grana Padano grattugiato, noce moscata, sale marino iodato e pepe nero q.b. Preparazione Condire la carne con sale e pepe e metterla a marinare nel vino con il rosmarino per almeno 6 ore. Trascorso il tempo necessario, scolare lo spezzatino dalla marinatura. Lavare le patate e lessarle con la buccia per circa 30 minuti. Scaldare 3 cucchiai di extravergine d’oliva in una casseruola e cuocere la carne a fiamma alta, girandola di tanto in tanto. Non appena sarà ben brunito, togliere lo spezzatino dalla casseruola e tenerlo in caldo. Nella stessa pentola, fare appassire la cipolla a fette insieme al concentrato di pomodoro. Sfumare con un bicchiere di marinatura e completare la salsa con lo jus di manzo. Rimettere la carne nella casseruola, abbassare la fiamma e cuocere per circa 2 ore, aggiungendo via via la marinatura fino a esaurimento. Nel frattempo, sbucciare le patate e passarle con lo schiacciapatate direttamente in pentola. Unire il burro e amalgamare bene, poi portare a bollore il latte e aggiungerlo un po’ alla volta. Mescolare, regolare di sale e pepe e, infine, amalgamare la purea con il Grana Padano grattugiato e la noce moscata. Una volta cotto lo spezzatino, regolare di sale e pepe e servire con la sua salsa e il purè come contorno. Vino consigliato Principe Nero d’Avola Dop, Sicilia Un rosso corposo e morbido, dal colore violaceo. Al naso è caratteristico con sentori di sottobosco. Perfetto l’abbinamento con secondi di carne, arrosti alla griglia e formaggi stagionati.
Menù Frecciarossa by Carlo Cracco
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CARTAFRECCIA
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MOSTRE IN TRENO E PAGO MENO PER I SOCI CARTAFRECCIA SCONTI E AGEVOLAZIONI NELLE PRINCIPALI SEDI MUSEALI E DI EVENTI IN ITALIA I grandi maestri impressionisti, post-impressionisti e delle avanguardie del XX secolo, tra cui Cézanne, Degas, Gauguin, Manet, Monet, Renoir, Van Gogh e Picasso, tutti riuniti nella Città del Duomo. Guggenheim. La Collezione Thannhauser. Da Van Gogh a Picasso a Palazzo Reale, fino al 1° marzo, espone per la prima volta in Italia la raccolta di opere che il commerciante d’arte Justin K. Thannhauser ha donato nel 1963 alla Solomon R. Guggenheim Foundation. La tappa meneghina è infatti l’ultima di un tour inedito per l’Europa, iniziato al Guggenheim di Bilbao, in Spagna, e proseguito nel 2019 all’Hotel de Caumont di Aix-en-Provence, in Francia. Poi i dipinti torneranno negli Stati Uniti. In mostra a Milano, oltre a 13 capolavori di Pablo Picasso, le opere di Manet, Degas, Gauguin e anche: Gli artiglieri (c. 1893-1895) e I giocatori di football (1908) di Henri Rousseau, Nudo, paesaggio soleggiato (c. 1909-1912) di Henri Matisse e Montagna blu (1908-1909) di Vassily Kandinsky, quadro fondamentale nel percorso dell’artista, molto amato da Solomon R. Guggenheim. Promozione 2x1 per i soci CartaFRECCIA in possesso di biglietto delle Frecce con destinazione Milano. palazzorealemilano.it
IN CONVENZIONE ANCHE TORINO • Hokusai Hiroshige Hasui. Viaggio nel Giappone che cambia, fino al 16 febbraio alla Pinacoteca Agnelli • Andrea Mantegna fino al 4 maggio a Palazzo Madama VENEZIA • Collezione Peggy Guggenheim MILANO • Museo della Scienza • De Pisis, fino al 1° marzo al Museo del Novecento • Elliot Erwitt. Family, fino al 15 marzo al Mudec GENOVA • Museo di Genova FERRARA • De Nittis e la rivoluzione dello sguardo fino al 13 aprile a Palazzo Diamanti BOLOGNA • Etruschi. Viaggio nella terra dei Rasna fino al 24 maggio al Museo Civico Archeologico Bologna FIRENZE • Inside Magritte, fino al 1° marzo alla chiesa di Santo Stefano al Ponte • Fondazione Franco Zeffirelli ROMA • Gabriele Basilico fino al 13 aprile a Palazzo delle Esposizioni • Jim Dine dal 4 febbraio al 31 maggio a Palazzo delle Esposizioni NAPOLI • National Geographic Climate Change, fino al 31 maggio al Museo Archeologico Nazionale • Napoli Napoli, fino al 21 giugno al Museo di Capodimonte • Joan Miró. Il linguaggio dei segni fino al 23 febbraio al Pan Info su trenitalia.com
Vassily Kandinsky Montagna blu, (1908-09) Olio su tela, 106 x 96,6 cm Solomon R. Guggenheim Museum, New York Solomon R. Guggenheim Founding Collection, Donazione
Joan Miró Ballerina (1924) Portuguese State Collection in deposit in Fundação Serralves Courtesy Succesió Miró by SIAE 2019 © Filipe Braga/Fundação Serralves, Porto
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NETWORK // ROUTES // FLOTTA
Val Gardena
Bolzano
Val di Fassa-Val di Fiemme
Madonna di Campiglio Ora Bergamo Courmayeur Milano Aosta
Trento Verona
Cortina d’Ampezzo Udine
Vicenza
Treviso
Brescia
Oulx-Bardonecchia
Trieste
Venezia Padova
Mantova
Torino
OLTRE 300 FRECCE E FRECCIALINK AL G I O R N O
Reggio Emilia AV Modena Bologna
Genova
La Spezia
Ravenna Rimini
Firenze
Assisi
Pisa
Perugia
NO STOP
Ancona
Siena Pescara Roma Fiumicino Aeroporto
Foggia
Caserta Napoli
Matera
Bari Lecce
Potenza
Salerno Sapri
Taranto
Sibari
Paola Lamezia Terme
LEGENDA:
Reggio di Calabria
I collegamenti da/per Bardonecchia sono attivi nei fine settimana fino al 29 marzo 2020 I collegamenti Freccialink per la montagna sono attivi nei fine settimana fino al 29 marzo 2020 Maggiori dettagli su destinazioni e giorni di circolazione su trenitalia.com Per schematicità e facilità di lettura la cartina riporta soltanto alcune città esemplificative dei percorsi delle diverse tipologie di Frecce Maggiori dettagli per tutte le soluzioni di viaggio su trenitalia.com
FRECCIAROSSA ETR 1000 Velocità max 400 km/h Velocità comm.le 300 km/h Composizione 8 carrozze 124
Livelli di servizio Executive, Business, Premium, Standard Posti 457 WiFi
Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità Fasciatoio
NETWORK DI OLTRE 100 CITTÀ UN
FRECCIAROSSA
FRECCIAROSSA ETR 500
Velocità max 360 km/h | Velocità comm.le 300 km/h | Composizione 11 carrozze 4 livelli di servizio Executive, Business, Premium, Standard | Posti 574 WiFi | Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio
COLLEGAMENTI GIORNALIERI E DURATA MINIMA DEL VIAGGIO FRECCIARGENTO ETR 700
104 Frecciarossa
Velocità max 250km/h | Velocità comm.le 250km/h | Composizione 8 carrozze 3 livelli di Servizio Business, Premium, Standard | Posti 500 WiFi | Presa elettrica e USB al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio
Milano-Roma 3h 10’
1a
40 Frecciarossa e
Frecciargento
FRECCIARGENTO ETR 600
Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 7 carrozze Classi 1^ e 2^ | Posti 432 WiFi | Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio
Roma-Venezia1 3h 15’
16 Frecciarossa e
Frecciargento Roma-Verona 3h 18’
FRECCIARGENTO ETR 485
Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 9 carrozze Classi 1^ e 2^ | Posti 489 WiFi | Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio
48 Frecciarossa
Milano-Venezia2 2h 15’
FRECCIABIANCA
Velocità max 200 km/h | Velocità comm.le 200 km/h | Composizione 9 carrozze Classi 1^ e 2^ | Posti 603 Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio I tempi minimi indicati si riferiscono alla soluzione di viaggio più veloce con una delle tre Frecce, dalle stazioni centrali dove non specificato. I collegamenti comprendono sia i servizi di andata che di ritorno. Sono previste variazioni nel fine settimana e in alcuni periodi dell’anno. Maggiori dettagli per tutte le soluzioni su trenitalia.com 1 Durata riferita al collegamento tra Roma Tiburtina e Venezia Mestre 2 Durata riferita al collegamento tra Milano Centrale e
Venezia Mestre
FRECCIABIANCA ETR 460
Velocità max 250 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 9 carrozze Classi 1^ e 2^ | Posti 479 Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio 125
PRIMA DI SCENDERE FOTO DEL MESE
Al Mudec - Museo delle Culture di Milano fino al 15 marzo, 60 scatti del celebre fotografo Elliot Erwitt interpretano le sfaccettature di un concetto così inesprimibile e totalizzante come quello della famiglia. «Elliot Erwitt Family è un piccolo campionario di storie umane. Il suo racconto per immagini ci ricorda che possiamo essere la famiglia che scegliamo. Da quella americana, ingessata e rigida, che posa sul sofà negli anni ’60 a quella che infrange la barriera della solitudine eleggendo a membro l’animale prediletto», spiega la curatrice Biba Giacchetti. Così l’amore, tema universale, è interpretato dal fotografo statunitense con il suo stile potente e leggero, romantico e gentilmente ironico. Lui e lei, soli, in casa, vestiti con abiti dimessi, ballano stretti stretti. Lei cinge il braccio attorno al collo del suo uomo, lui la bacia; la loro pista da ballo è la cucina di un appartamento di poche pretese. Da questa istantanea rubata, presa dalla stanza accanto – segno della grande familiarità tra il fotografo e la coppia – si diffondono intimità e tenerezza. I due innamorati sono il fotografo svizzero Robert Frank e sua moglie, l’artista inglese Mary Lockspeiser. Erwitt e Frank si conobbero nel 1947, sulla nave che li portava in America dalla Francia, e condivisero un appartamento a New York nel 1950. mudec.it mudec.museodelleculture mudecmi mudec_official elliotterwitt
Sconti Trenitalia
Valencia, Spagna (1952) © Elliot Erwitt
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PRIMA DI SCENDERE FONDAZIONE FS
VIAGGIO A RITROSO NEL TEMPO DA NAPOLI A CASERTA CON IL REGGIA EXPRESS DELLA FONDAZIONE FS ITALIANE
© G. Di Salvia - Archivio Fondazione FS Italiane
di Ernesto Petrucci
Il treno d’epoca Reggia Express
«La posizione è di eccezionale bellezza, nella più lussureggiante piana del mondo, ma con estesi giardini che si prolungano fin sulle colline» [Johan Wolfgang Goethe, Viaggio in Italia, 1816-17]
I
l treno alla Reggia di Caserta arrivò presto. A volerlo e a realizzare la strada ferrata da Napoli a Caserta nel 1843 fu lo stesso Ferdinando II di Borbone, il sovrano che, nel 1839, aveva inaugurato la prima ferrovia sul suolo italiano da Napoli a Portici. A Caserta i Borboni possedevano una delle regge più belle del mondo, fatta costruire nella seconda metà del XVIII secolo dal grande architetto Luigi Vanvitelli. L’edificio, ultimo capolavoro del Barocco italiano, era uno scrigno di arte
SAVE THE DATE TRENI STORICI 9 e 23 16 1
FEBBRAIO Transiberiana d’Italia e Pietrarsa Express Transiberiana d’Italia e Reggia Express MARZO Transiberiana d’Italia e Archeotreno Campania
alla cui realizzazione furono chiamati i maggiori artisti del tempo, circondato da un immenso parco lungo più di tre chilometri, con fontane, sculture, opere idrauliche, sfondi scenografici, giardini all’italiana e all’inglese. La famiglia reale vi si recava per ristorarsi nella stagione estiva e, per questo, il re volle che il treno, da poco introdotto nel Regno, vi arrivasse con comodità. Diede perciò ordine di costruire una stazione adeguata allo scopo che fu realizzata, con due piccoli ed eleganti padiglioni ottagonali, proprio di fronte al grande viale di accesso al palazzo. Oggi quella stazione reale non c’è più, ma è possibile comunque raggiungere la Reggia di Caserta con un treno che ci fa rivivere il sapore della storia: il Reggia Express, il convoglio storico della Fondazione FS Italiane, composto con materiale d’epoca, che parte dalla stazione di Napoli Centrale e, in circa mezz’ora, ci conduce nello splendore di uno dei monumenti più belli d’Italia. 127
PRIMA DI SCENDERE FUORI LUOGO
di Mario Tozzi mariotozziofficial OfficialTozzi [Geologo Cnr, conduttore tv e saggista]
GHIACCIAI CHE CEDONO
I
n passato l’arco alpino era la barriera naturale più impervia d’Europa ma, nello stesso tempo, la più affrontata. Tito Livio narra che nel 218 a.C. Annibale varcò le Alpi non solo con 90mila uomini e 12mila cavalli, ma, addirittura, con 37 elefanti. Faceva forse caldo allora, per cause naturali, ma oggi la situazione sembra peggiorata. Il ghiacciaio più importante d’Italia, la Vedretta del Mandrone all’Adamello (TN), nel XIX secolo misurava circa tremila ettari ed era sostanzialmente intatto. Poi siamo passati ai 1.800 ettari del 2003 fino ai 1.500 del 2007 e ai 1.000 attuali. Un tasso di arretramento fra cinque e 20 metri all’anno, un dato terribile. La temperatura dell’atmosfera si sta surriscaldando e, se si ritira il ghiacciaio più vasto delle Alpi italiane, anche gli altri non possono stare tanto meglio. Inoltre, la Vedretta sta diventando nera per via dei detriti, che diventano predominanti rispetto al ghiaccio, ma anche a causa delle polveri inquinanti sparse nell’atmosfera. I ghiacciai sono parte fondamentale della grande bellezza italiana, permettono riflessione e solitudine, attirano turisti: conviene a tutti difenderli, prima che sia troppo tardi.
© Giacomo Meneghello/AdobeStock
Il ghiacciaio dell’Adamello
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SAPIENS - UN SOLO PIANETA La divulgazione scientifica con il volto di Mario Tozzi torna con otto puntate su Rai3 in prima serata, ogni sabato dal 15 febbraio. Sapiens - Un solo pianeta pone domande - e prova a dare risposte - sull’uomo, la natura, lo Spazio e il futuro dei sapiens. Il noto geologo romano si chiede se l’attuale cambiamento climatico dipenda da noi, se siamo animali uguali agli altri, se oggi serva ancora la georafia, se la tecnologia moderna migliori davvero la vita oppure sia un colossale abbaglio. E, ancora, è possibile nutrire 7,5 miliardi di sapiens senza distruggere la Terra? La sconfitta di Napoleone a Waterloo, i tramonti di Turner, la bicicletta e le migrazioni dipendono da un vulcano? Svariate domande a cui Tozzi prova a dare risposte semplici, seguendo un percorso d’indagine originale e rigoroso. raiplay.it/dirette/rai3
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Carnet 5 viaggi: risparmi il 10% Carnet 10 viaggi: risparmi il 20% Offerte Carnet riservate ai titolari di CartaFRECCIA. Lo sconto indicato si applica al prezzo del biglietto Base. I Carnet sono nominativi e consentono di prenotare viaggi sulla relazione, tipologia di treno e classe/livello di servizio prescelte entro 180 giorni dall’emissione. Sono disponibili nelle tre versioni per viaggi in Frecciarossa/Frecciargento, Frecciabianca e Intercity. Non sono utilizzabili per soluzioni di viaggio composte da piÚ treni. Le operazioni di cambio o rimborso del Carnet e delle singole prenotazioni sono soggette a restrizioni. Info e dettagli su trenitalia.com.