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RINASCEREI DONNA
RAGAZZA DI PROVINCIA, ATTRICE INTENSA E SCRITTRICE ISPIRATA. CHIARA FRANCINI, IN TEATRO CON UNA STORIA AL FEMMINILE, SI RACCONTA NEL SUO QUINTO LIBRO FORTE E CHIARA di Sandra Gesualdi sandragesu
Sciorina un fiume di parole che scivolano musicali e melodiose. Con quel tono colloquiale, familiare e un po’ melodrammatico tipico della parlata fiorentina con le vocali allungate. Chiara Francini, attrice e scrittrice, alterna risate roboanti a silenzi pieni mentre racconta questo suo periodo colmo di impegni professionali, progetti e scintille di gioia. Dopo la co-conduzione di Sanremo – «ora mi riconoscono anche i tassisti» – non si è fermata un attimo. Oltre ad aver ripreso la tournée con la commedia Coppia aperta quasi spalancata, nei teatri di tutta Italia fino al 20 maggio, il prossimo mese esce per Rizzoli il suo quinto libro, Forte e Chiara
«A volte in 24 ore debutto a Roma, parto per Torino e, nel mezzo, faccio tappa a Milano. Mi capita di non sapere dove mi trovo, ma sto facendo il lavoro che ho sempre desiderato e sono piena di energia». Una e mille Francini, quindi, una donna che le scale preferisce salirle più che scenderle, all’Ariston come nella vita. Con ironia, riflessione ma anche un accenno di malinconia sa essere, tutte in una, ragazza di provincia, diva fasciata da velluti, intensa attrice e scrittrice ispirata.
Sei in teatro con un’opera dell ‘83 firmata da Dario Fo e Franca Rame.
Ci sono dentro da tre anni, adoro questo testo. Può essere una sempiterna favola o un martirio tragicomico, perché affronta l’amore quando si è in coppia. Una storia coniugale in pieno ‘68 che racconta anche il mutamento della coscienza civile nel nostro Paese. Attualissima, descrive l’evoluzione della condizione femminile. La protagonista, Antonia, è convinta di essere felice solo se ha accanto un uomo. Prima è assoggettata ai cliché imposti, poi reagisce. Alla fine, capisce che la sua felicità dipende solo da se stessa, ma prima deve fare faticosi compromessi e subire anche violenze dal marito.
Cosa ci racconta questa commedia?
Parla ancora all’oggi. La grande rivoluzione per le donne avviene quando cominciano ad ascoltarsi, a seguire solo la propria voce. E, se questo accade, sono capaci di cambiare il mondo. Antonia comincia a rinascere proprio nel momento in cui pensava che tutto fosse immutabile. C’è un finale di libertà, in fondo c’è sempre la libertà.
Cosa accade quando si spengono le luci ed entri su un palcoscenico?
Non ho mai paura. Come la maggior parte degli attori, ho anche io una dose di egocentrismo per cui mi piace stare sul palco, ma faccio questo lavoro soprattutto per essere amata. La tv e il cinema sono come delle telefonate d’amore, mentre la scrittura e il teatro li considero degli abbracci. Grazie a loro riesco a dialogare. A teatro si instaura una conversazione vivifica tra i presenti, cosa che avviene anche durante la lettura di un buon libro.
Che genere preferisci?
Sia teatro sia scrittura. Hanno più presenza carnale e creano una sorta di osmosi e condivisione di sen - timenti che fanno sentire meno soli. Anche se voglio bene a tutti i progetti che faccio, in televisione o al cinema.
A Sanremo non sei passata inosservata. Il tuo monologo sulla maternità mancata ha colpito molto per i contenuti e l’intensità con cui lo hai proposto.
Sono stata molto sincera e questa cosa è arrivata al pubblico. Ho parlato della condizione delle donne, sempre in continua oscillazione tra vari ruoli e doveri e con un atavico senso di inadeguatezza da portare addosso. Noi donne siamo sempre su un’altalena: anche quando raggiungiamo un obiettivo sentiamo comunque di aver perso qualcosa nel frattempo e questo ci provoca dolore ma ci rende speciali. Riflettevo su questo e, anche dalla mia posizione di successo, c’è sempre del disagio di sottofondo per non aver ottemperato a un disegno previsto dalla società: quello di essere madre. Quando poi sei pronta, ormai non lo è più il tuo corpo. Ecco, fin da piccole siamo allenate a convivere con un costante senso di colpa, ci sentiamo spesso sbagliate. A Sanremo è stata una rappresentazione autentica e volevo arrivasse a tanti e tante senza patetismi e, ne sono certa, se dovessi rinascere, vorrei rinascere donna. «Esserlo è un’avventura affascinante», diceva Oriana Fallaci.
A metà maggio esce anche il tuo nuovo libro, cosa c’è dentro?
È il racconto umano di Chiara, non di Francini attrice e personaggio, scritto con grande verità. Una narrazione biografica con cui voglio comunicare me stessa, tutti i miei colori, di cui il monologo è stato solo un assaggio. Mi scavo dentro e ripercorro la mia vita partendo da quando ero una bambina di Campi Bisenzio, alle porte di Firenze, fino ad arrivare alla donna che sono oggi.
Cosa è cambiato dopo l’Ariston?
Ho ricominciato subito la tournée, ma ho trovato nelle persone un maggior senso di gratitudine e accoglienza nei miei confronti. Mi fermano e mi ringraziano per le cose che ho detto e per come le ho dette. Lo fanno anche gli uomini. È bellissimo, la riconoscenza è un sentimento cardine per le relazioni umane. Come nascono i tuoi libri?
Sono creativa, non ho riti: mi piace scrivere quando ne sento l’esigenza, nei posti più disparati, anche seduta su un marciapiede. Ma deve essere un atto di felicità perché la scrittura mi offre la possibilità di tirar fuo - ri quello che sono e di esprimermi, nel bene e nel male. Tutto ciò che dà voce rende liberi e non c’è gioia più grande della libertà. Cosa leggi per avere ispirazione?
Sono una grande amante della letteratura, ma in fase di stesura tendo a non aprire libri, voglio essere una tabula rasa e non farmi influenzare, per restituire alla lettera me stessa. È chiaro, il vissuto e ciò che hai studiato sono memorie fertili, ma voglio che arrivino in maniera spontanea. Colgo qualsiasi suggerimento che il quotidiano mi rimanda, una perso - na incontrata, una telefonata, tutto diventa fonte d’ispirazione. Scrivere è come respirare, mi nutro del circostante e di quello che affiora dal ricordo.
Quand’è che ti sentirai arrivata e appagata del tuo percorso e della tua carriera?
Mai e poi mai, perché vengo dalla provincia e sono figlia di mia mamma. La meta è il viaggio ed è così bello non essere ancora arrivati. Il mio obiettivo è continuare, in maniera sempre più profonda, a raccontare temi che mi stanno a cuore, che smuovono la mia sensibilità e mi stimolino a progredire, come il mondo delle donne e la loro emancipazione. Dopo Sanremo le persone mi fermano per condividere una riflessione e non solo farsi un selfie, questi sono piccoli approdi. Si vive per essere aperti, con le antenne sempre alzate. Ci racconti di tua nonna, l’Orlanda furiosa? La citi spesso…
Era una donna di grande cuore e grandissima cultura, nonostante avesse la terza elementare. Da lei ho preso le “pesche sotto gli occhi”, cioè le occhiaie. E quella che sono oggi dipende anche da come lei mi ha nutrito. Sono cresciuta con la sua furia quotidiana, questa vitalità e consapevolezza del dovere e della bellezza. Era affamata di vita, caratteristica tipica della provincia e del paese e questa fame me l’ha trasmessa tutta. Sophia Loren doveva tutto agli spaghetti, io alla schiacciata di Campi Bisenzio e a quello di cui mi ha imboccata l’Orlanda furiosa. E, quando s’arrabbiava, mi dava gli schiaffi con la mano dell’anello, così mi faceva ancora più male. Quando ti senti felice, Chiara? Molto spesso: quando faccio il mio lavoro, quando vado in scena, quando ceno sul divano con una mia amica. Penso che la vita sia davvero straordinaria, mi sento molto fortunata e ho sempre fame di vita. Traggo gioia dalle piccole cose, come una cenetta, il ritorno a casa dove ritrovo i miei gatti o l’idea di vedere i miei alberi di Natale addobbati di lucine. Ho una vita piena di lucine e, durante la giornata, sono felice molto spesso. chiarafrancini
PER MICHELE LAMARO, CAPITANO DELLA NAZIONALE ITALIANA DI RUGBY, LA LEALTÀ È LA FORZA DEL GRUPPO.
E La Cultura Sportiva Aiuta A Crescere Anche Nella Vita
di Andrea Radic Andrea_Radic andrearadic2019
Sguardo aperto e occhi sinceri, crede nel rispetto verso gli altri e nel valore della forza del gruppo. Compie 24 anni il 25 giugno e, dopo la Scuola germanica, ha conseguito una laurea in Management dello sport. Insomma, ha tutte le carte in regola per essere l’orgoglio di mamma e papà. Ma non solo. Perché Michele Lamaro, romano, è il capitano della Nazionale italiana di rugby e questo lo rende davvero speciale.
Quello scudetto tricolore che hai cucito sulla maglia è sempre un’emozione o ci si fa l’abitudine?
Non è mai scontato, ogni volta che si entra in campo e si canta l’inno nazionale con questo scudetto attaccato al petto è un’emozione forte. Faccio fatica a immaginare di non provarla, è sempre qualcosa di speciale e così deve essere. Sei il capitano, il riferimento della squadra: provi più orgoglio o senso di responsabilità?
Chi rappresenta l’intero gruppo ha sicuramente una responsabilità in più dal punto di vista tecnico e umano. A prescindere dal fatto che io sia, innanzitutto, un giocatore e che in campo debba fare prima di ogni cosa il mio dovere e dare l’esempio. Sono fortunato, il gruppo è eccezionale, competitivo, con una grande voglia di arrivare e portare a casa risultati importanti. Stiamo andando nella direzione giusta e il mio ruolo di capitano è quello di spingere il team verso i migliori risultati. Quando hai preso in mano per la prima volta una palla ovale?
Avevo cinque o sei anni. Un giorno mia mamma portò me e i miei fratelli a provare questo sport che praticavano alcuni nostri amici. È piaciuto subito a tutti noi, poi qualcuno ha smesso ma io sono ancora qui.
Che momento stai vivendo?
Sono una persona che guarda alla vita come a un’opportunità, soprattutto dopo aver subito la frattura del ginocchio. Pronto ad accogliere sia ciò che arriva perché l’ho costruito con tanto lavoro e con le mie forze, sia ciò che accade a prescindere. Sto vivendo un momento molto positivo e sono contento del percorso che sto facendo sia individualmente sia insieme ai ragazzi. Penso che possiamo andare molto lontano e io continuo a lavorare per questo.
Ti piace il rapporto con i tifosi?