INTERVISTE Cortellesi, Gallo Di Mauro, Me contro Te
TRAVEL Carnevali d’Italia neve delle Alpi e del Sud Lago di Garda
INTERVISTE Cortellesi, Gallo Di Mauro, Me contro Te
TRAVEL Carnevali d’Italia neve delle Alpi e del Sud Lago di Garda
Sono trascorsi tre anni da quel 21 febbraio 2020 quando, dopo il caso dei due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani di Roma, l’identificazione di un primo paziente italiano colpito dal Covid-19 ci ha fatto precipitare per mesi e mesi nell’incubo della pandemia. E un anno fa, il 24 febbraio 2022, i media hanno iniziato a sbatterci in faccia gli orrori della guerra in Ucraina, trafiggendo le nostre coscienze con immagini di morte, distruzione, sofferenza fisica e psicologica, abbrutimento morale. Verrebbe da dire, come il titolo della poesia di Salvatore Quasimodo Thanatos Athanatos, morte immortale. Che sia per mano di un’ignota malattia e del destino, o per mano dell’irredimibile Caino. «Hai ucciso ancora / come sempre, come uccisero i padri […] / E questo sangue odora come nel giorno / quando il fratello disse all’altro fratello: / “Andiamo ai campi”». Ma, sempre prendendo in prestito le parole di Quasimodo, non dobbiamo «consentire alla morte» di scrivere su ogni tomba questa «sola nostra certezza», perché «la vita non è sogno». È tutt’altro, è sostanza, seppure finita, effimera. E insieme all’abiezione e alla violenza, che può rendere afona persino la voce dei poeti («E come potevamo noi cantare […] fra i morti abbandonati nelle piazze […] al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero / della madre che andava incontro al figlio / crocifisso sul palo del telegrafo?»), convivono la solidarietà, l’altruismo, la ricerca del bene e del bello. E, perché no, del piacevole e del divertente. E a chi scrive e racconta compete tenerne conto. Narrare l’alternarsi e integrarsi di leggerezza e gravità, coraggio e codardia, sacralità e depravazione, sublime e orrido. Su questo numero della Freccia abbiamo voluto ricordare i 12 mesi di combattimenti in Ucraina, la resilienza della sua popolazione, il sostegno e il conforto recato dalle organizzazioni umanitarie a chi fugge e a chi convive con la guerra. Ma, nelle stesse pagine, raccontiamo il carnevale e il suo spensierato impazzire, la bellezza delle cime innevate del nostro Paese, a nord e nel sud Italia, i piaceri della gola, il godimento culturale ed estetico di fronte a opere dell’umano ingegno, riscoperte dopo duemila anni in un bagno termale, com’è accaduto a San Casciano dei Bagni, o create da artisti contemporanei ed esposte in musei modello, come quello di Termoli, o da artisti poliedrici come Bob Dylan, i cui dipinti sono in mostra al MAXXI di Roma.
E poi la bellezza urbanistica, la storia e la civiltà antica dei nostri borghi spopolati, fotografati e raccontati alla Galleria civica di Trento oppure da visitare, raggiungendo Vico del Gargano in Puglia o Longobardi in Calabria. Ecco, raccontiamo tutto questo e altro ancora non solo perché è il nostro lavoro, ma perché viaggiare e conoscere, ascoltare musica, assistere a uno spettacolo, incontrarsi e scoprire sono tutti antidoti a un pessimismo che a niente e a nessuno giova. Soprattutto quando pandemie e tragedie belliche ci invitano a far nostra l’antica sapienza del carpe diem. «Chi vuol esser lieto sia»… e di persone, luoghi e cose da amare, apprezzare e di cui godere ne abbiamo. Come se ne abbiamo!
31
UN TRENO DI LIBRI Nell’Invito alla lettura di questo mese La Freccia propone il romanzo autobiografico di Joseph Ponthus, Alla linea
50 INVITO A FESTA
Maschere, riti, giostre e cortei. Le tradizioni del carnevale tra sfilate di colori e usanze dal sapore antico
80
IL TEMPO SOSPESO
In bilico tra sofferenza e speranza, macerie e voglia di ricostruzione. Un operatore umanitario racconta l’Ucraina a un anno dalla guerra
150
gli anni del carnevale di Viareggio [pag. 53] 48
PER CHI AMA VIAGGIARE
MENSILE GRATUITO PER I VIAGGIATORI DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE
ANNO XV - NUMERO 2 - FEBBRAIO 2023
REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA
N° 284/97 DEL 16/5/1997
CHIUSO IN REDAZIONE IL 25/01/2023
Foto e illustrazioni
Archivio FS Italiane
AdobeStock Copertina © Riccardo Ghilardi
Tutti i diritti riservati
Da marzo 2017 è direttore editoriale di Exibart.com ed Exibart on pape r. Manager culturale per diverse fondazioni italiane, svolge anche un’intensa attività di consulenza di comunicazione strategica d’impresa e per l’internazionalizzazione del made in Italy
i partecipanti alla prima edizione della Mera’s cup nel 1998 [pag. 56] 51
i chilometri di piste della Calabria [pag. 60]
Ha pubblicato 24 volumi tra saggistica, narrativa, aforismi e comica, oltre ad aver scritto quattro libretti di opera contemporanea per il maestro Vittorio Montalti. Vive a Roma, da dove in genere parte e ritorna
FSNews.it, la testata online del Gruppo FS Italiane, pubblica ogni giorno notizie, approfondimenti e interviste, accompagnati da podcast, video e immagini, per seguire l’attualità e raccontare al meglio il quotidiano. Con uno sguardo particolare ai temi della mobilità, della sostenibilità e dell’innovazione nel settore dei trasporti e del turismo quali linee guida nelle scelte strategiche di un grande Gruppo industriale
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Marco Mancini
Davide Falcetelli
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Sandra Gesualdi, Cecilia Morrico, Francesca Ventre
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Francesca Ventre
Giovanna Di Napoli
Claudio Romussi
Osvaldo Bevilacqua, Cesare Biasini Selvaggi, Francesco Bovio, Peppone Calabrese, Claudia Cichetti, Giuliano Compagno, Fondazione FS Italiane, Enzo Fortunato, Marco Gemelli, Alessio Giobbi, Sandra Jacopucci, Silvia Lanzano, Valentina Lo Surdo, Filippo Mancini, Greta Olivo, Enrico Procentese, Andrea Radic, Gabriele Romani, Davide Rondoni, Flavio Scheggi, Mario Tozzi
REALIZZAZIONE E STAMPA
Via A. Gramsci, 19 | 81031 Aversa (CE) Tel. 081 8906734 | info@graficanappa.com Coordinamento Tecnico Antonio Nappa
SILVIA LANZANO
Giornalista e archeologa medievista. Attiva nel terzo settore con progetti di accoglienza per donne rifugiate e migranti. È impegnata nella comunicazione sul tema delle allergie alimentari in età pediatrica
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Team creativo Antonio Russo, Annarita Lecce, Giovanni Aiello, Manfredi Paterniti, Massimiliano Santoli
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I numeri di questo numero
Flessuosi e nodosi, ramificati come capelli al vento, avvolti da foglie perenni. Sono le radici, gli steli e i tralci che abitano le opere di Anna Corcione. Residenze armoniose e ancestrali che diventano composizioni plastiche di rara bellezza, in cui gli elementi naturali si accompagnano a pigmenti, polveri d’oro, gessi e stucchi, gloss e cotoni. Tele contemporanee che respirano, odorano di terra, trattengono il vento che per secoli ha battuto quelle fronde, sono sapide di sali marini, diventano reminiscenza di paesi d’adozione. «Di volta in volta, scoprendo luoghi diversi o nei quali ritorno, ho la necessità di portare via qualcosa che appartiene alla radice profonda del territorio visitato», spiega l’artista, «qualcosa di vivo e che rappresenta un luogo immaginario». Così, piccoli frammenti di vita si trasformano. Si fanno
creazione su tele immacolate o pulsanti di azzurro sfumato e blu intenso. Legno, fogliame, bulbi diventano altro, travolti e stravolti dall’atto artistico: tracce di passaggi, epifanie del creato, manifestazioni di un consapevole cammino, ardentemente attese, cercate e selezionate con cura da Corcione. Naturalia et Mirabilia è la mostra che, fino al 16 dicembre prossimo, ospita una ricca serie di opere inedite che l’artista napoletana ha realizzato per il Museo archeologico della Sibaritide (Cosenza), diretto da Filippo Demma, con frantumi naturali raccolti proprio nei dintorni. Il mondo antico e i linguaggi contemporanei hanno le stesse, tenaci, radici. parcosibari.it
Capitreno Regionale
a cura di Enrico Procentese enry_pro
Utilizza l’hashtag #railwayheart oppure invia il tuo scatto a railwayheart@fsitaliane.it. L’immagine inviata, e classificata secondo una delle quattro categorie rappresentate (Luoghi, People, In viaggio, At Work), deve essere di proprietà del mittente e priva di watermark. Le foto più emozionanti tra quelle ricevute saranno selezionate per la pubblicazione nei numeri futuri della rubrica.
LE PERSONE, I LUOGHI, LE STORIE DELL’UNIVERSO FERROVIARIO IN UN CLICK. UN VIAGGIO DA FARE INSIEME
Cesidio Colantonio, dipendente della Direzione Business Regionale Abruzzo di Trenitalia e da un anno uno dei cento ambassador del Gruppo FS, racconta la sua esperienza lavorativa e la passione per il mondo dei treni e quello dei libri.
Di cosa ti occupi?
Sono uno specialista tecnico amministrativo e gestisco alcune attività di segreteria. Mi sono avvicinato a questo mondo grazie al periodo trascorso nel Genio ferrovieri, reparto specializzato dell’esercito, che per me è stata un’esperienza formativa e di vita impareggiabile. Nel Gruppo FS sono entrato prima come manovratore poi come capotreno a Roma, ad Avezzano e, successivamente, a Sulmona.
Da poco più di un anno sei uno dei cento ambassador del Gruppo FS. Cosa significa per te?
Vuol dire contribuire insieme a tanti colleghi e colleghe alla realizzazione di un vero e proprio manifesto di identità aziendale, nutrendo e coltivando la propria professionalità in un network di valori condivisi. Cerco di comunicare agli altri cosa significhi essere parte integrante delle fondamenta che ispirano il Piano industriale di FS Italiane.
In che modo?
Essere ambassador rappresenta la chiave per far conoscere, attraverso una rete di persone che raccontano i propri mestieri, ciò che ha sempre accomunato i dipendenti di Ferrovie dello Stato, ovvero il senso di appartenenza a una storia legata ai cambiamenti di questo Paese e dell’intera società. Ma vuol dire anche sapersi appassionare, fare tesoro delle esperienze passate e crearne di nuove, anche per accompagnare e realizzare insieme il ricambio generazionale del Gruppo, ciascuno con le proprie competenze e ricchezze.
Il racconto, dunque, è un elemento essenziale dell’iniziativa. Quello dei cento ambassador è un progetto di comunicazione che ben si concilia con la mia passione per la scrittura: la coltivo sin da giovanissimo insieme all’amore per la letteratura che mi è stato trasmesso da un professore. Scrivere è sinonimo di libertà, descrizione di emozioni ma anche confronto con se stessi. È come aprire una finestra che, pur affacciando sullo stesso panorama, suscita nel lettore sensazioni nuove. Che cosa significa per te questa passione?
«Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto», diceva Italo Calvino. Ma per me è anche accorgersi di un’idea o di un pensiero che attendeva di germogliare una volta individuata la giusta formula. Me ne sono accorto realizzando i miei libri, come Storie di calcio o Da qualche parte vicino al mare. Ogni volta ho intrapreso con la mente un viaggio capace di evidenziare i legami che esistono dietro i fatti, le cose, le persone e la collettività. E far parte di una realtà lavorativa legata al mondo dei treni rappresenta un osservatorio privilegiato anche per coltivare la scrittura.
Umberto Montano è un imprenditore della ristorazione e fondatore del Mercato Centrale, il brand che concentra botteghe a km zero e artigiani della buona cucina in location particolari, con sedi a Roma, Firenze, Milano e Torino. Quasi ogni giorno viaggia in Frecciarossa per lavoro.
Come nasce la tua avventura professionale?
Ho cominciato il mio percorso nell’imprenditoria culinaria, con la nascita e la gestione di diversi locali di successo, dopo aver insegnato alla scuola alberghiera. La realtà del Mercato Centrale segna un po’ la sintesi e la tappa finale di tutto questo. La ricerca e la valorizzazione della cucina italiana sono stati gli elementi fondanti di un progetto cominciato nel 2014 a Firenze, dove abbiamo aperto la prima sede, e proseguito poi a Roma, Torino e Milano, rendendo progressivamente questo luogo un punto di riferimento in ogni città.
Viaggi molto per lavoro?
Si, gestisco tanti progetti e, quasi ogni giorno, faccio su e giù per l’Italia. Soprattutto con il Frecciarossa, a cui devo moltissimo perché senza il privilegio di spostarmi con l’Alta Velocità avrei avuto mille difficoltà. La CartaFRECCIA Platino mi consente di viaggiare in comodità tra una destinazione e l’altra, facendomi sentire all’interno di un’unica grande metropoli. Apprezzo tanto la qualità generale del servizio quanto la gentilezza sempre rassicurante del personale.
Qual è la caratteristica che contraddistingue la tua attività?
Rendere protagonisti gli artigiani della cucina: dal panettiere al pastaio, dal pescivendolo al macellaio fino al pasticcere. Vogliamo mostrare professionisti che lavorano all’insegna della selezione accurata delle materie prime. Puntiamo sulla qualità che genera sempre valore. L’intento di ogni Mercato Centrale è rappresentare un luogo di convivialità caratterizzato dalla bontà e dalla qualità del cibo, da far scoprire ai viaggiatori e ai cittadini. Ma anche uno spazio per condividere iniziative ed eventi culturali di grande impatto e visibilità.
Qual è il legame tra cibo e stazioni ferroviarie?
A Roma Termini e Milano Centrale il binomio mercato-stazione segna un completamento reciproco in termini di riqualificazione del tessuto urbano ma anche di relazioni e attenzione all’organizzazione del lavoro. Un connubio che mira a promuovere creatività culinaria, sostenibilità del viaggio e innovazione dei servizi. Con l’obiettivo di migliorare sempre più il legame tra la città, le stazioni, il tempo libero e quello lavorativo.
Cosa ami di più del treno?
La versatilità e la flessibilità. Durante i trasferimenti diurni, soprattutto dalla sede centrale di Firenze a Milano o in occasione di eventi, mi capita di utilizzare il tempo del viaggio per confrontarmi o scambiare opinioni con il mio team di collaboratori. La sera invece, durante i viaggi di ritorno, ho la possibilità di rilassarmi e dedicare un po’ di tempo a me stesso. Sono un assiduo frequentatore anche dei FRECCIALounge, soprattutto quando arrivo in stazione con largo anticipo: mi fermo lì per un caffè o la lettura di un giornale.
NATA NEL 1928 IN VAL DI FIEMME, LA
SPORTIVA ESPORTA I SUOI PRODOTTI PER ALPINISMO, ARRAMPICATA E MOUNTAIN
RUNNING IN 75 PAESI. E DOPO 95 ANNI
MANTIENE ANCORA UNA CONDUZIONE
FAMILIARE di Flavio Scheggi mescoupsdecoeur
A19 anni, nel 1974, ho fatto il primo viaggio con mio padre per andare alla fiera internazionale di Colonia. Siamo partiti con un furgone Fiat 238 portandoci dietro il campionario delle nostre scarpe e il materiale per allestire lo stand. Guidavo io che avevo appena preso la patente e il furgone non superava i 90 chilometri orari: abbiamo impiegato dieci ore per fare i mille chilometri che separano la Val di Fiemme, in Trentino, da Colonia. Avevamo pochi soldi, parlavamo pochissimo il tedesco. Il primo anno non entrò nessuno nel nostro stand. Dodici mesi dopo tornammo alla fiera e anche quella volta i compratori preferirono girare negli altri spazi. Ma mio padre non volle darsi per vinto. Abbiamo continuato a investire e, un passo dopo l’altro, siamo entrati in questo mondo».
Così racconta Lorenzo Delladio, amministratore delegato e presidente dell’azienda La Sportiva, leader nella produzione di calzature e abbigliamento per le discipline outdoor, che tra poche settimane compie 95 anni. «Nel 1928 mio nonno Narciso iniziò a costruire zoccoli per i boscaioli e a riparare le scarpe dei paesani. Poi il testimone è passato a mio padre
Francesco e oggi sono io a guidare l’azienda, dove sono entrati anche i miei figli Giulia e Francesco». Un percorso che ha consentito a La Sportiva di continuare a essere un’impresa familiare, fedele alle radici del paese ai piedi delle Dolomiti in cui è nata. Oggi è un’azienda con quasi 500 collaboratori che esporta i suoi prodotti in 75 Paesi del mondo e che continua a voler scalare sempre nuove montagne. Gli inizi non sono stati facili. Quando è avvenuto il primo grande cambiamento?
Negli anni ‘80 facevo parte del soccorso alpino di Moena. Il mio istruttore di roccia era l’unico a non usare i classici scarponi, si arrampicava con un paio di Superga in cotone leggere e confortevoli ma anche molto delicate. Una cosa incredibile per l’epoca. La sua scelta di usare quelle scarpe mi ha incoraggiato a realizzare dei prototipi simili ma in pelle, perché il cotone si rompeva a contatto con la roccia, e con una suola in gomma più resistente. Quella è stata la svolta. Abbiamo cambiato il modo di andare in montagna ad arrampicare. L’alpinismo ha fatto un passo in avanti grazie al nostro prodotto.
Oltre all’aspetto tecnico, siete intervenuti anche su quello estetico?
Le scarpe da arrampicata erano marroni, grigie o nere, non si usciva da queste tre nuance. Noi siamo stati i primi ad avere il coraggio di introdurre il colore: abbiamo abbinato persino il giallo al viola. I nostri articoli sono stati rivoluzionari sia per l’aspetto tecnico sia per quello estetico. In quegli anni, i consumatori avevano voglia di cambiare e noi imprenditori abbiamo proposto, anzi imposto, prodotti colorati. E poi avete modificato anche il classico scarpone da alpinismo in pelle. Il cambiamento è avvenuto nel 1996, quando si diffuse il morbo della mucca pazza. In quel periodo i bovini venivano abbattuti e non macellati e sul mercato era difficile reperire il pellame per gli scarponi. Così abbiamo iniziato a usare materie alternative come la microfibra e i materiali sintetici. Senza volerlo, abbiamo realizzato prodotti molto più leggeri, performanti e confortevoli.
Esportate i vostri articoli in 75 Paesi, cos’è per lei il made in Italy?
L’artigianato italiano è molto apprezzato nel mondo. Significa essere riconosciuti come un’azienda che realizza un prodotto di qualità, innovativo e sostenibile. A questo concetto mi piace aggiungere anche il made in Trentino, un ulteriore elemento che ci contraddistingue. Creiamo i nostri articoli per la montagna in montagna, visto che la Val di Fiemme è a mille metri di altezza, e questo viene molto apprezzato dai nostri clienti.
Cosa le hanno insegnato suo padre Francesco e, ancora prima, suo nonno Narciso?
La costanza nell’andare avanti verso un obiettivo anche quando le cose non vanno bene. Senza questa qualità, dopo i primi risultati negativi negli
anni ‘70 non saremmo tornati alla fiera di Colonia. E poi il rispetto per gli altri: dobbiamo ricordarci che le aziende sono fatte di persone e bisogna avere riguardo di loro e del loro lavoro. Siete una realtà molto attenta all’ambiente.
È imprescindibile perché la nostra fabbrica si trova in mezzo a una abetaia, ai piedi delle Dolomiti. Cerchiamo di essere sostenibili sia nel prodotto finale sia nel processo industriale. I nostri capi d’abbigliamento sono composti per il 98% di materiali riciclati o riciclabili. Con la risuolatura delle scarpe da arrampicata diamo a questi prodotti una seconda o addirittura una terza vita.
A 67 anni lei va ancora in montagna, le
serve per rilassarsi o anche per testare i suoi prodotti?
Mi piace stare all’aria aperta per passione e per tenermi in forma. Pratico ancora tutti gli sport da montagna e mi ritengo il primo, e il più esigente, tra i collaboratori del reparto ricerca e sviluppo. Sono un utente medio e se un paio di scarpe va bene a me è molto probabile che vada bene anche a buona parte del mercato.
Quanto è difficile, nel 2023, continuare a mantenere la conduzione familiare e l’intera proprietà di un’azienda?
Per questi due aspetti siamo una mosca bianca. Molte imprese con i nostri numeri fanno parte di gruppi o hanno all’interno dei fondi di investimento. Anche se non abbiamo problemi patrimoniali, mi rendo conto che sarà sempre più difficile rimanere al di fuori da queste dinamiche, tuttavia continueremo a investire sul futuro della nostra realtà e supportare gli amanti delle discipline outdoor con la passione e la dedizione che ci hanno sempre contraddistinto. Tra poche settimane La Sportiva compie 95 anni, come celebrerete questo anniversario?
È sicuramente un traguardo importante ma per me è già passato. Sto già pensando a quando raggiungeremo i cento anni di vita nel 2028, un obiettivo che vedo molto vicino. Ci stiamo già preparando con alcuni prodotti in versione speciale che rappresenteranno un secolo di vita de La Sportiva.
lasportiva.com
lasportivagram
Arianna, 24 anni
Corso magistrale in Hospitality and Tourism Management
open day triennali 11 febbraio magistrali 13-16 febbraio iulm.it/openday
Valorizzare i prodotti della mia terra e imparare a raccontarli.
Il mito di Enea, raccontato da Virgilio nel suo poema epico, ha pervaso la cultura europea. Fuggito da Troia, l’eroe intraprende un viaggio che lo porta a toccare diverse sponde del Mediterraneo fino a raggiungere le coste del Lazio, dove dà vita a una stirpe da cui nascerà Romolo, fondatore di Roma e suo primo re. Questa storia di migrazione, emblema dell’incontro possibile fra diverse civiltà, ha ispirato la mostra allestita al Tempio di Romolo al Foro Romano e curata da Alfonsina Russo, Roberta Alteri, Nicoletta Cassieri, Daniele Fortuna e Sandra Gatti. Il progetto espositivo, organizzato dal Parco archeologico del Colosseo in collaborazione con l’Associazione Rotta di Enea, ricostruisce la storia dell’eroe troiano attraverso 24 opere di grande interesse, databili fra il VII secolo a.C. e la piena età imperiale, prestate da 12 diverse istituzioni nazionali. Un percorso che mira a promuovere e diffondere la conoscenza del mito e dell’itinerario culturale Rotta di Enea, certificato dal Consiglio d’Europa nel 2021 e traccia di una storia millenaria di scambio e contaminazione. Oltre a ospitare la mostra, il Parco archeologico del Colosseo custodisce un patrimonio immenso, reso più accessibile da una Membership Card che offre, a chi la sottoscrive, l’ingresso illimitato per 12 mesi nell’Anfiteatro Flavio e nell’area archeologica del Foro Romano-Palatino. La tessera consente anche di scoprire in anteprima le mostre
THE GREAT COMMUNICATOR: BANKSY TRIESTE FINO AL 10 APRILE
Proteste pacifiche e critiche silenziose alla società capitalista e individualista condensate in pochi tratti sui muri delle città del mondo, da New Orleans a Budapest, passando per Betlemme. L’arte di Banksy, il writer britannico la cui identità è ignota, è ormai riconosciuta come un potente mezzo espressivo, in grado di veicolare messaggi articolati su questioni spesso controverse. Per questo l’esposizione ospitata dal Salone degli incanti di Trieste mette in mostra circa 60 opere dello street artist, analizzandone stile comunicativo e linguaggio. Alle riproduzioni si associano oggetti, fotografie, video e memorabilia che integrano la mostra spiegando mezzi e finalità di un artista dibattuto.
salonedeglincanti.comune.trieste.it
Uno degli allestimenti
e partecipare a eventi esclusivi, inaugurazioni e progetti speciali. Un modo per prendersi cura di un bene comune non solo monumentale ma anche paesaggistico. parcocolosseo.it
Il fascino del Sol levante approda nella capitale piemontese. La Società promotrice delle Belle arti ospita oltre 300 capolavori, alcuni mai presentati in Italia. La realtà nipponica è rappresentata dalle creazioni dei grandi maestri dell’Ukiyo-e, antico stile pittorico che si esprime per immagini “fluttuanti”. In mostra bozzetti preparatori, stampe di paesaggio, fiori e uccelli, ritratti di attori kabuki, guerrieri ed eroi, disegni di carattere erotico. L’ultima sala ospita l’iconica Grande onda di Kanagawa di Katsushika Hokusai e un’installazione immersiva. Le opere artistiche, insieme ad armature di samurai, kimono e altri oggetti, si possono ammirare in mostra, grazie a prestiti del Musec di Lugano, del Museo arti orientali di Venezia, del Mao di Torino, del Civico museo d’arte orientale di Trieste, della Fondation Baur Musée des Arts d’Extrême-Orient di Ginevra e di privati. hokusaitorino.it
MILANO MUSEOCITY 2023
MILANO 3>5 MARZO
Tre giorni densi di appuntamenti in cui la capitale lombarda diventa un grande museo diffuso. La manifestazione, che si tiene per la sesta volta, vede l’apertura coordinata di istituzioni pubbliche e private di arte, storia, scienza, design, per offrire visite straordinarie, tour guidati, mostre, conferenze e laboratori, adatti a grandi e piccoli. Il tema scelto per il 2023 è la luce dei musei, esplorata da molteplici punti di vista e al centro di un convegno a Palazzo Reale, il 4 marzo, che prevede la partecipazione di ricercatori, umanisti e scienziati. Tra le novità, la sezione Dialoghi che mette in relazione le istituzioni urbane con quelle fuori città. Confermato l’itinerario Museo segreto, per scoprire opere inedite o apprezzabili con modalità innovative. museocity.it
ABANO TERME (PADOVA) FINO ALL’11 GIUGNO
Dai ritratti della diva Marilyn Monroe allo scatto che immortalò il dibattito improvvisato tra l’allora vicepresidente Usa Richard Nixon e il presidente del Consiglio sovietico Nikita Krusciov. Dai frammenti di vita rubati nelle strade di grandi città alle scene domestiche che raccontano la famiglia. E poi le fotografie di cani con il loro inconfondibile taglio ironico. Una produzione ampia e variegata quella di Elliott Erwitt, che rivive in questa mostra a cura di Marco Minuz, al Museo villa Bassi Rathgeb. L’allestimento comprende 54 immagini vintage e 30 scatti iconici del suo lavoro che coprono 60 anni di storia della fotografia. Tanti i temi esplorati lungo il percorso espositivo: l’integrazione razziale nell’America del secondo dopoguerra, i cambiamenti sociali in atto in quel periodo, la pratica del nudismo. Un campionario di storie umane che l’artista creò a partire dal suo originalissimo sguardo sul mondo. museovillabassiabano.it
FATTORI. L’UMANITÀ TRADOTTA IN PITTURA BOLOGNA FINO AL 1° MAGGIO
Insofferente alla pittura accademica e lontano dai suoi temi celebrativi, Giovanni Fattori aderì al movimento dei Macchiaioli divenendone uno dei più validi esponenti. Elemento fondante della sua arte è l’esaltazione dell’umanità del soggetto ritratto. La mostra allestita a Palazzo Fava ruota proprio attorno a questo aspetto e restituisce, attraverso un excursus temporale e tematico, la cifra stilistica dell’autore. Con una selezione di oltre 70 opere il percorso espositivo, a cura di Claudia Fulgheri, Elisabetta Matteucci e Francesca Panconi, riporta a Bologna il maestro livornese a 50 anni dalla sua ultima retrospettiva. Omaggio più che meritato a un eccezionale precursore del XX secolo. genusbononiae.it
I BRONZI DI RIACE, UN PERCORSO PER IMMAGINI FIRENZE FINO AL 12 MARZO
Le fotografie degli eroi più belli dell’arte antica vengono affiancate alla statua del David nella mostra allestita alla Galleria dell’Accademia. L’occasione sono due anniversari: i 50 anni dalla scoperta dei Bronzi di Riace e i 140 dalla collocazione del capolavoro di Michelangelo nella tribuna del museo. Nelle sale espositive si possono ammirare 16 immagini di grande formato scattate da Luigi Spina, professionista specializzato nel ritrarre opere antiche. In questo caso, al centro del suo obiettivo ci sono le due statue bronzee risalenti a circa 2500 anni fa e scoperte il 16 agosto 1972 nel mare davanti alla cittadina calabra. La coppia di guerrieri, detti il Giovane e il Vecchio, sono stati restaurati ed esposti per la prima volta in assoluto proprio a Firenze, di fronte a un pubblico incredulo e affascinato. galleriaaccademiafirenze.it
VIVIAN MAIER. THE SELF-PORTRAIT AND ITS DOUBLE SIENA FINO AL 16 MARZO
È il 2007 quando il giovane statunitense John Maloof compra all’asta il contenuto di un box espropriato a un’anziana signora, entrando in possesso di un tesoro composto da centinaia di fotografie, negativi e rullini che da decenni attendevano di essere sviluppati. L’autrice delle immagini, scoperta e portata al successo solo dopo la sua morte, era Vivian Maier, bambinaia di mestiere e fotografa per passione, oggi conosciuta come una pioniera della street photography. Nel complesso museale di Santa Maria della Scala sono esposti 93 suoi autoritratti, in bianco e nero e a colori, che testimoniano la ricerca di sé in un mondo complesso ma anche l’affermazione di un’individualità sfaccettata, seppur silenziosa. santamariadellascala.com
Il complesso monumentale di San Domenico Maggiore, a pochi passi dal palazzo in cui Edgar Degas soggiornò nel 1856, ospita la mostra che celebra l’arte del maestro impressionista, il suo rapporto con l’Italia e la città partenopea. L’esposizione, a cura di Vincenzo Sanfo, raccoglie quasi 200 opere dell’artista francese: oltre alle due serie di monotipi Maison Tellier e Famille Cardinal, disegni, studi preparatori, litografie, rare fotografie scattate da Degas ed esempi dei suoi lavori in bronzo. Il percorso si sviluppa attraverso tre aree tematiche. La prima è dedicata alla produzione degli anni giovanili con i dipinti realizzati a Napoli, la seconda si concentra sui soggetti che ispirarono la sua arte, la terza riguarda gli aspetti più interessanti della sua vita sociale, caratterizzata dalla frequentazione di altri artisti attivi in quel periodo storico. navigaresrl.com
PALERMO FINO AL 17 OTTOBRE
Per l’oratorio di San Lorenzo, a Palermo, nel 1600 Caravaggio dipinse la pala d’altare Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, una delle sue più celebri e misteriose opere. Nel 1969 la tela scomparve, trafugata, e non fu mai più trovata. Ormai da 13 anni la rassegna
Next si occupa di colmare il vuoto lasciato dall’opera rubata, chiamando gli artisti italiani a comporre una loro versione della Natività. Dopo Emilio Isgrò, quest’anno è Vanessa Beecroft a prendere il testimone, modellando il suo stile personale per omaggiare il tratto caravaggesco, in una suggestione di ombre e luci che, emanate dal divino, si riflettono solo debolmente sull’umano. amicimuseisiciliani.it vanessabeecroft.com
MATERA FINO AL 26 MAGGIO
La fragilità dell’animo umano e l’incapacità di sfuggire al proprio destino sono i grandi temi intorno a cui ruotano i lavori raccolti nelle stanze di Palazzo Pomarici, sede del Museo di scultura contemporanea di Matera, unico in Italia ricavato nella pietra. Le opere realizzate da 20 artisti internazionali celebrano, in diverse modalità, la drammatica figura di Edipo, simbolo controverso della lotta tra predestinazione e responsabilità individuale. Dai dipinti di Hermann Nitsch fino alle foto digitali di Matteo Basilé, passando per le sculture di Mimmo Paladino e Arnaldo Pomodoro, ogni opera crea un legame empatico con la sofferenza di Edipo, entrando allo stesso tempo in dialogo con le sculture installate in permanenza nel palazzo. musma.it
Ogni inclinazione deve essere nutrita dalla determinazione e dalla passione, dalla fantasia e dalla forza. Così Carlo Andrea Pantaleo, classe 1992, è riuscito a portare avanti il suo sogno di diventare chef. Un percorso vissuto con entusiasmo in cui le diverse esperien-
Sella&Mosca è un’esplosione di natura. Nasce nel 1899 ad Alghero, angolo incantato di Sardegna, per mano di due intraprendenti piemontesi: l’ingegner Erminio Sella, nipote del famoso statista Quintino, e l’avvocato Edgardo Mosca.
Nel 2016 viene acquisita dal Gruppo Terra Moretti che infonde all’azienda un nuovo slancio verso l’innovazione e il rispetto del territorio. «Come famiglia credo ci sia una responsabilità sociale nel promuovere e nel raccontare il territorio. Un circolo virtuoso del quale beneficiamo tutti noi», spiega Francesca Moretti, enologa e amministratrice delegata del Gruppo. Nei vini Sella&Mosca si declina una qualità sempre eccellente dove l’identità dei diversi vitigni rispecchia il contesto in cui nascono: il sole, il vento, il mare, i terreni generosi e forti, la macchia e i suoi mille profumi.
Oscarì, dalle rare uve Torbato, è un metodo classico impreziosito dalla rifermentazione in bottiglia. Vendemmiato in prima epoca settembrina porta con sé una preziosa nervatura acida. Al naso regala un panorama olfattivo elegante e pieno, dove i sentori floreali vivaci e agrumati si bilanciano con quelli della crosta di pane. Il sorso è brioso, fresco e diretto. La bollicina fine e ampia preserva un lungo piacevole finale. Oscarì
ze di cucina sono diventate elementi fondamentali per una crescita qualitativa costante. Il suo ristorante è a Gorgonzola, in provincia di Milano, e vale il viaggio. Una cucina dove la materia prima, terrestre o marina, è protagonista e viene valorizzata da diverse tecniche e cotture. Particolare attenzione è data alla brace, da sempre passione di Pantaleo, e all’utilizzo perfetto delle erbe aromatiche, coltivate direttamente nell’orto accanto al ristorante. Una concezione gastronomica in cui l’apparente semplicità si dimostra vera eleganza. Come nel piatto Zucca e cozze, in cui sono presenti diverse consistenze con la polpa cotta alla brace, un brodo di semi di zucca e le cozze aperte sulla legna. Da provare la spinta e la delicatezza del Risotto con sedano rapa, nocciole, aglio nero e liquirizia. Ottimo e originale il Petto d’anatra alla brace, salsa al prezzemolo iodata, mele in osmosi e more fermentate. Una bella squadra a Milano 37 grazie al servizio attento e professionale del maître Enrico Rizzo, a Nicolò Miceli e alla bella accoglienza del proprietario Luigi Pantaleo e del direttore creativo Gennaro Vitto. La carta dei vini esprime una piacevole geografia enologica. Bella l’idea di proporre il menù “C di Conviviale” con cinque portate alla cieca da condividere al centro del tavolo. In cucina con Carlo Andrea Pantaleo troviamo una brigata giovane e di gran talento con Niccolò Recalcati, Roberta Levati e Alex Galazzo. milano37.com
è uno dei quattro vini della linea Marras, le cui bottiglie sono arricchite dalle etichette disegnate dallo stilista sardo Antonio Marras che si è ispirato alla notte magica di San Giovanni. sellaemosca.com
Alessandro Cellai centra l’obiettivo. L’enologo di Vallepicciola, figlio professionale del famoso Giacomo Tachis, che lui ha definito «un secondo pa-
dre», ha presentato la linea Grandi Cru. Tre vini che hanno superato l’asticella posta molto in alto dall’azienda di Castelnuovo Berardenga, nella parte sud del Chianti Classico, nata dalla passione della famiglia Bolfo.
Con Cellai anche Erasmo Mazzone, che guida la produzione nei seimila m2 della cantina – progettata dall’architetto Margherita Gozzi con forte attenzione alla sostenibilità – e Francesco Beni, agronomo e responsabile dei 107 ettari vitati. Una realtà in costante crescita qualitativa capace di innovare rispettando appieno il territorio e l’identità enologica. Tra queste colline trova piena espressività il Vallepicciola bianco Toscana Igt 2021, un naso prezioso declinato con forza e gentilezza dallo Chardonnay. Al palato esprime subito un carattere che amplia ancor di più lo spettro sensoriale ed emozionale, con tratti balsamici che si rincorrono. Un vino che trova nel tempo grande valore.
Per quanto riguarda il Vallepicciola Toscana Rosso Igt 2020, basta guardare gli acini d’uva per capire la potenzialità del Sangiovese dalla vigna Fontanelle. Al naso ha una complessità morbida e vellutata, senza eccessi alcolici. Il sorso colpisce per freschezza e concretezza. Infine, Migliorè Toscana Igt 2019, blend di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot in parti similari, è un vino il cui stile disegna vera emozione. Un sorso che affascina e si distende con chiarezza restituendo appieno il panorama olfattivo. Un prodotto di grande versatilità, qualche grado in meno per carni saporite alla griglia. E Alberto Colombo, amministratore delegato di Vallepicciola, segna un canestro da tre punti.
vallepicciola.com
Una ventata di novità è arrivata ad Avellino grazie alla bravura di Marco Contrada, chef di Petró osteria d’autore, indirizzo gourmet nel cuore del centro storico della città campana. Una cucina attenta e concreta, fatta di classe e spinta dei sapori. Ingredienti identitari di una terra che ha molto da offrire, cucinati con tecnica e contemporaneità e un tocco d’autore. Il tutto diventa piacere per il palato e bellezza per gli occhi, tanto nella semplicità quanto nella declinazione più ricercata.
Dal menù ecco l’anticipazione di alcuni nuovi piatti tutti da provare. Come antipasto è da provare il Carciofo in brodo di maiale, ripieno di gelato al caciocavallo stagionato per 11 mesi: creativo e perfettamente equilibrato. Carne di maiale con i peperoni, invece, è ispirato a un simbolico piatto irpino. Contrada ha poi trasformato un secondo in un primo, creando il Plin di maiale con papaccelle e patate. Fantasia e mano ferma in un panorama di piatti che spazia dall’evoluzione dello street food alla costruzione di proposte più elaborate. Le sale del ristorante, dagli arredi essenziali ed eleganti, sono accoglienti e ben illuminate con una panoramica vetrata sulla cucina. Se ne occupa, con professionale capacità e quel sorriso in più, il maître e sommelier Elia Casale. La carta dei vini è una sintesi intelligente dei prodotti irpini, originali scelte italiane e alcune etichette francesi ricercate con originalità enologica. osteriapetro.it
Il Carciofo ripieno dello chef Marco Contrada
CON LA PICCANTEZZA DELLA CUCINA CALABRA di Gaspare Baglio gasparebaglio
Amate il cibo, l’ottima compagnia e i viaggi? Dal 17 febbraio su Prime Video non dovete perdere la seconda stagione di Dinner Club, format di successo in cui Carlo Cracco cerca di riscoprire la cucina più autentica, su e giù per l’Italia, con quattro attori famosi che devono poi preparare una cena perfetta per le altre star del grande schermo nel cast dello show. Quest’anno, lo chef stellato è accompagnato da Antonio Albanese, Luca Zingaretti, Marco Giallini e Paola Cortellesi, protagonista del primo episodio ambientato nella Sila calabrese. A bordo di una Panda, scopre luoghi magici e poco battuti. Tra cibi afrodisiaci, piatti introvabili e antiche confraternite.
Com’è andata?
Un viaggio bellissimo: mi sono parecchio divertita. Siamo andati in posti poco conosciuti, la Sila non è gettonatissima. Ma è stata dura, non si fanno sconti per le telecamere. La prova più grande è stata assaggiare alcuni cibi non esattamente leggeris-
simi, vista la piccantezza dei prodotti locali. Io ho partecipato da smargiassa perché, amando il piccante, pensavo di fare un figurone. Invece, appena varcato il confine regionale, mi sono resa conto di essere una dilettante: pure un bambino calabrese di sei anni era più resistente di me. Come hai affrontato queste prove?
A un certo punto mi sono fermata, mentre quel capoccione di Carlone è competitivo e vuole arrivare fino alla fine. Avrà un palato e uno stomaco che glielo consentono. Sono stati pure messi a confronto peperoncini messicani e calabresi e non vi dico il risultato. Quando sono andata in Messico ho rischiato di perdere mio marito per questo motivo. Evidentemente non è morto, ma – ahimè – ha riportato segni indelebili.
La cosa più strana che hai mangiato in Sila?
La frittola, un paiolo in cui vengono bolliti tutti i pezzi del maiale, compresi naso e orecchie. L’odore che si leva da quella pentola richiede coraggio e resistenza fuori dal comune.
Com’è andata con Cracco?
È favoloso, ma ha un problema: prova sempre a fare battute. Gli ho spiegato che deve lasciar stare, perché non fanno ridere.
Il tuo piatto forte?
Preparo ricette semplici imparate da mamma e nonna come pasta al pomodoro, lasagna, stracotto. Quindi mi sono sentita intimidita pure a fare un semplice ovetto al cospetto di Cracco. Durante il programma abbiamo visitato ristoranti stellati e locali che stanno avendo un exploit importante. Proprietari e chef erano terrorizzati dalla presenza di Carlo, senza sapere che in realtà è un orsacchiottone. Stai lavorando al tuo primo film da regista. Qualche anticipazione? Ma scherzi? Se parlo mi incappucciano e mi portano a Guantanamo. Qualcosa che ti manca e vorresti fare?
Vincere le Olimpiadi, in qualunque categoria. Sai quelle cose tipo “non smettere mai di sognare”? Ecco.
di Francesca Ventre – f.ventre@fsitaliane.it
Per Michele Di Mauro essere attore è «ospitare il personaggio dentro di sé». E di ospiti ne ha avuti molti nella sua lunga carriera, soprattutto teatrale ma anche cinematografica e televisiva. Nella serie I delitti del BarLume, andata in onda su Sky e ora on demand su Now, interpreta il ministro Gianluigi Maria Tassone. Mentre in Call my agent, remake della serie francese Dix pour cent visibile sempre su Now, è Vittorio, agente di spettacolo. Il 2 febbraio arriva nelle sale con il film Non morirò di fame, diretto da Umberto Spinazzola, che tratta temi attuali come il disagio sociale e lo spreco alimentare. Che ruolo interpreti questa volta?
Sono Pier, uno chef che lavora in un ristorante di lusso ed è in attesa del riconoscimento molto ambito della seconda stella. Vive in un mondo borderline che ho voluto studiare nelle sue abitudini e ossessioni. A un certo punto, la situazione professionale del protagonista cambia improvvisamente, lui fugge all’estero, diventa un senza tetto e non lascia traccia di sé.
La sua vita riparte comunque dal cibo. In che modo?
Ricomincia recuperando i prodotti alimentari per evitare gli sprechi. E così ritrova anche gli affetti familiari.
La serie Call my agent , invece, racconta le vicissitudini di una potente agenzia di spettacolo alle prese con i capricci di alcuni attori. Tu chi sei in questo caso?
Vittorio, il più maturo e scaltro dei quattro agenti che prendono in mano la situazione quando il grande capo decide di lasciare. In ogni puntata è protagonista una star del cinema italiano che interpreta se stessa. Ci sono Paola Cortellesi, Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi, Matilda De Angelis, Corrado Guzzanti e il regista Paolo Sorrentino. Sono stati tutti molto attenti nel recitare il loro ruolo secondo la descrizione tracciata dalla sceneggiatrice Lisa Nur Sultan.
Un’altra serie di successo è I delitti del BarLume , tratta dai romanzi gialli di Marco Malvaldi. Ha dieci anni di vita e, anche in questo caso, ospita tanti attori noti…
Ha un cast importante che si è arric -
chito in maniera esponenziale. A Filippo Timi e Lucia Mascino nel quinto anno mi sono aggiunto io, seguito da Corrado Guzzanti e Stefano Fresi. Che differenza c’è tra recitare per il teatro, il cinema o la tv?
Lavorare per le nuove piattaforme è un’opportunità professionale che affronto con gioia. Quando giro un film per il piccolo o il grande schermo ho l’impressione di essere veramente qualcun altro. Anche i luoghi sono reali: una casa, una strada… In teatro, invece, si parte sempre da un presupposto di rappresentazione. Ma, in ogni caso, quando reciti ci metti sempre del tuo. Io la definisco appropriazione debita del personaggio.
Viaggi spesso per le tue tournée. Come ti sposti?
Amo prendere il treno e cerco di non usare altri mezzi. Di recente ho viaggiato fino a Milano, per partecipare alle prove dello spettacolo Romeo e Giulietta, diretto da Mario Martone e prodotto dal Piccolo Teatro Strehler. micheledimauro michele_di_mauro
L’11 FEBBRAIO DA ANCONA,
ME CONTRO TE CONTINUANO A MACINARE SUCCESSI. IN ATTESA
DI ORGANIZZARE UN MATRIMONIO DA SOGNO di Gaspare Baglio gasparebaglio
Sono amatissimi dai bambini ma anche dalle loro famiglie. Macinano milioni di follower sui social e di visite sul canale YouTube, dove dal 2014 condividono la loro vita. I Me contro Te sono un vero fenomeno capace di realizzare progetti sempre nuovi: dal serial Me contro Te: la famiglia reale su Prime Video al nuovo film Me contro Te: Missione giungla (ora nei cinema) fino al tour dello show che parte l’11 febbraio da Ancona. I fidanzatini Sofì e Luì – al secolo Sofia Scalia e Luigi Calagna – sono i beniamini dei giovanissimi e usano la popolarità per lanciare messaggi positivi come il valore dell’amicizia, la salvaguardia del pianeta e l’emancipazione femminile.
Vi siete mai chiesti perché proprio voi?
[S] È una domanda che ci siamo posti più volte. Noi cerchiamo di essere sempre noi stessi, divertirci e trasmettere serenità e allegria. Forse al pubblico piace questo. Dopo il cinema vi aspetta un tour?
[L] Visto il grande successo delle prime date, abbiamo deciso di continuare i concerti nei palazzetti e aggiungere nuove città. Siamo live da febbraio fino ad aprile in città come Milano, Torino, Padova, Ancona, Firenze, Roma, Bari e Catania.
[S] Cantiamo e balliamo, tra effetti speciali, fuochi d’artificio e tanti colpi di scena. A questo si aggiungono anche le canzoni del film Missione Giungla
L’allegria è assicurata.
La più grande soddisfazione nella vostra carriera?
[L] Siamo grati ogni giorno per gli importantissimi traguardi raggiunti, come il riconoscimento ricevuto dal Moige (Movimento italiano genitori, ndr) per il carattere educativo del nostro canale e il Premio del pubblico ai David di Donatello 2022 per il film Me contro Te - Il mistero della scuola incantata che ha ottenuto anche il Biglietto d’oro per il numero di spettatori in sala. La difficoltà maggiore di lavorare con la persona che si ama?
[S] Per fortuna abbiamo caratteri molto compatibili e, stando insieme da dieci anni, facciamo tesoro della nostra diversità senza litigi ma con confronti costruttivi. È la nostra più grande forza. Il vostro rapporto col treno?
[L] Amiamo utilizzarlo: è comodo e veloce. Percorriamo molto
spesso la tratta Milano-Roma ed è incredibile quante cose riusciamo a fare seduti comodamente in carrozza: lavoriamo al computer ma ci dedichiamo anche al relax.
Il viaggio più bello che avete fatto?
[S] Ai Caraibi, in Repubblica Dominicana, per i nostri dieci anni di fidanzamento. Oltre al mare e ai paesaggi stupendi abbiamo conosciuto nuove culture: è stato bellissimo. Chi siete oggi?
[L] Due ragazzi che con le loro forze hanno costruito un mondo che prima non esisteva. Siamo molto fieri e speriamo che la nostra storia sia d’ispirazione per le nuove generazioni.
Ma è vero che siete in procinto di sposarvi?
[S] Sì. Dopo la proposta super romantica di Luì sul Lago di Como stiamo pensando al matrimonio. Ci impegneremo al massimo perché sia un evento capace di far sognare. Non vediamo l’ora, ma l’organizzazione richiederà qualche anno. mecontrote.it
UN EDUCATORE DIVENTA OPERAIO IN UN’AZIENDA DEL SETTORE AGROALIMENTARE. LA STORIA AUTOBIOGRAFICA
DI JOSEPH PONTHUS, CHE HA LASCIATO UN UNICO ROMANZO MULTIPREMIATO
Da quando si è trasferito in Bretagna per amore, Joseph Ponthus non è più riuscito a trovare lavoro nel suo settore. Un modo per campare deve pur trovarlo, però, così si iscrive a un’agenzia interinale che lo indirizza verso una fabbrica del settore agroalimentare. Da un giorno all’altro, lui che a Parigi faceva l’educatore si ritrova in fabbrica a sgusciare gamberetti e maneggiare bastoncini di pesce e poi a spingere carcasse al mattatoio per molte ore al giorno, in un ritmo che non lascia scampo.
Anzi, forse un po’ di scampo ne lascia, perché se è vero che la linea della catena di montaggio richiede attenzione, velocità e prestazione incessanti, riducendo la vita fuori ad agognate parentesi d’amore, è proprio durante le brevi pause tra un carico di merluzzi e l’altro che il tempo pare in qualche modo dilatarsi, concedendo spazio per la riflessione. Così, quando torna a casa dopo il turno, Ponthus ruba minuti e ore preziose di sonno per appuntare le sue giornate, restituire in letteratura ciò che sarebbe impossibile descrivere a parole. Come potrebbe infatti, se non con la scrittura, spiegare la ripetitività oscena di scolare il tofu per ore o il tempo passato a scrostare il sangue delle mucche dal pavimento del macello?
Il risultato è Alla linea, il suo libro d’esordio redatto in versi liberi e senza punteggiatura, uscito in Francia nel 2020 e ripubblicato in Italia da Bompiani alla fine del 2022. La scrittura ricalca l’andatura della fabbrica, che non è martellante ma anzi scorre dolce, una catena in cui ogni elemento è inanellato al successivo.
L’autore cita Marcel Proust, legge Alexandre Dumas, ascolta Charles Trenet ma non indossa le vesti dell’intellettuale che giudica e denuncia. Anzi, è profondo il senso di solidarietà con i suoi colleghi, a cui è legato dalla stanchezza intraducibile che sopraggiunge alla fine del turno. Che siano aragoste o mucche, si tratta in fondo di maneggiare la morte per tutto il giorno, strappare, sezionare e sgusciare corpi che un tempo erano vivi. La letteratura compie il percorso inverso: ricompone ciò che prima era in pezzi, restituisce la vita. La fabbrica è così totalizzante che consente di concentrarsi solo su ciò che è tangibile. Cessano in maniera inaspettata, quindi, le ansie e i dolori che accompagnavano il protagonista nella vita di prima. Niente più attacchi di panico, niente timori. Resta solo la fatica, il lavoro che continua tra gli spostamenti da uno stabilimento all’altro, il cambio degli orari, l’incertezza continua, la speranza che
l’industria finisca ma anche il sospetto che possa trattarsi dell’unico lavoro possibile.
Per Ponthus il destino è stato diverso: Alla linea ha vinto numerosi premi e ottenuto un incredibile successo di critica e pubblico, di cui purtroppo l’autore non ha potuto godere appieno. È morto infatti nel febbraio del 2021, lasciando in eredità questo romanzo magnifico che si legge d’un fiato.
La fabbrica
Entrando in fabbrica/ Naturalmente immaginavo/ L’odore/ Il freddo /Il trasporto di carichi pesanti/ Il disagio/Le condizioni di lavoro/ La catena/ La schiavitù moderna Non ci andavo per fare un reportage/ Men che meno per preparare la rivoluzione/No/ La fabbrica è per i soldi/ Un lavoro per campare /Come si dice/ Perché mia moglie è stufa di vedermi buttato sul divano in attesa di un lavoro nel mio settore/ E quindi sarà/ L’agroalimentare/ L’agro/ Come dicono/ Una ditta bretone di produzione e trasformazione e cottura e tutto il resto di pesci e gamberetti/ Non ci vado per scrivere/ Ma per i soldi […]
Cosa sognano
Continui incubi martellanti/ Ripetitivi/ Quotidiani/ Non una pennichella non una notte senza questi brutti sogni di carcasse/ Di animali morti/ Che mi cadono addosso/ Che mi aggrediscono/ Atrocemente/ Che assumono il volto dei miei cari o delle mie paure più profonde/ Incubi senza fine senza vita senza notte/ Svegliarsi di soprassalto/ Lenzuola fradice di sudore/ Quasi ogni notte
A volte urlo/ Tutte le notti so che porterò il mattatoio nei miei brutti sogni/ Eppure/ A spingere i miei quarti di
carne da cento chili/ Non credo di essere quello da compatire di più
Cosa sognano / Tutte le pennichelle/ Tutte le notti/Quelli che sono alle frattaglie/ E quelli che/Tutti i giorni che il mattatoio fa/ Vedono cadere le teste di vacca dal piano di sopra/ Prendono una testa alla volta/ E la fissano tra le zanne d’acciaio dell’apposito macchinario/ Tagliano le guance le labbra poi buttano via le mascelle e il resto del cranio/ Otto ore al giorno faccia a faccia
Cosa sognano/ Quelli che sono alle cuoia/ È così che chiamano quelli che strappano le pelli degli animali/ Subito dopo che sono stati macellati/ Le pelli saranno poi vendute ai conciatori o a non so chi/ Pare che questo lavoro sia estenuante/Che gli interinali ruotino come pale di mulini a vento nei giorni di tempesta/ Tanto è duro/ Fisicamente/ Moralmente/ Strappare pelli di vacca tutti il giorno
Cosa sognano quelli che sono ai ferri/ Dato che ogni quarto di animale è marchiato con un numero di macellazione/ Identificatore unico/ Tracciabilità/ Marchiano la carne dell’animale dopo che quelli delle cuoia hanno fatto il loro lavoro/ Cambiano numero a ogni animale/ E sì/ È uno degli incarichi di fabbrica/ Persone che per lavoro passano ore a marchiar gli animali con un ferro rovente e a cambiare le targhette del numero tra una macellazione e l’altra
La prossima settimana / Ho un appunta-
mento con il fisioterapista/ Il mio corpo comincia pian piano a essere devastato da questo mese e passa di carcasse/ Tutto il mio corpo/ I muscoli le articolazioni i lombi la cervicale/ E il resto del mio corpo di cui non so il nome
“Il corpo è una tomba per l’anima”/ Diceva una massima degli antichi greci/ E mi rendo conto che/ Anche l’anima è una tomba per i corpi
I miei incubi sono soltanto all’altezza/ Di ciò che il mio corpo sopporta […]
Operaio e intellettuale
Mia madre che è venuta a trovarmi poco tempo fa mi ha detto che prima/ Avevo mani da intellettuale/ Prima/ Che le mie dita sono diventate più forti/ Ricordo la stupida battuta/ “Qual è la differenza tra un operaio e un intellettuale/ L’operaio si lava le mani prima di andare a pisciare/ L’intellettuale dopo”/ Io non mi lavo più le mani/ Non voglio diventare schizofrenico […]
La passeggiata
Cane mio Pok Pok/ Se solo sapessi quando torno a casa ogni giorno/ Quanto mi costa portarti a spasso
Sono sull’orlo dello sfinimento/ Nemmeno sull’orlo in realtà/ Completamente sfinito/ Sopraffatto dalla fatica/ Quasi mi addormento in piedi appena arrivo Ma ogni volta rincasando/ La gioia e
anche più della gioia di saperti dietro la porta/ Vivo
Ad agitare la coda e il culetto/ A farmi le feste
Deve piacerti l’odore di mattatoio che sprigiono/ Le mani che mi lecchi come caramelle/ I vestiti che annusi
A malapena il tempo di riprendermi/ Far calare la tensione/ Bere una birra e mi tocca la passeggiata/ Anche se non ce la faccio più/ Anche se a volte piango letteralmente di stanchezza […]
Il tempo di cantare
L’altro giorno in pausa sento un’operaia dire a un collega/ “Ti rendi conto oggi è così stressante che non ho nemmeno il tempo di cantare”/ Penso che sia una delle frasi più belle più vere e più dure che siano mai state dette sulla condizione operaia/ Quei momenti in cui è così indicibile che non hai neanche il tempo di cantare/ Solo di vedere la catena che avanza senza fine l’angoscia che sale l’ineluttabile della macchina e dover continuare a tutti i costi la produzione comunque/ Nemmeno il tempo di cantare/ E diosanto se ce ne sono di giorni che no […]
Scolare tofu
È iniziata così/ Io non avevo chiesto nulla ma/ Quando mi piazzo alla mia postazione un capo mi chiese se ho mai scolato tofu/ Quando vedo il numero di pallet e pallet e pallet che dovrò scolare da solo e so già che mi ci vorrà tutta la notte
Scolare tofu
Mi ripeto le parole senza crederci veramente/ Stanotte scolerò tofu/ Per tutta la notte sarò uno scolatore di tofu
Mi dico che sto per vivere un’esperienza parallela/ In questo mondo già parallelo che è la fabbrica
La scena è questa/ Sono le due e mezza del pomeriggio/ Ho appena finito la mia notte essendo andato a dormire verso le otto devo attaccare alle otto e mezza di sera e staccare alle cinque/ L’agenzia interinale mia chiama cambiamento di
programma e di orario/ Dalle sette di sera fino alle quattro e mezza che se includo la mezz’ora di pausa quotidiana fanno nove ore e passa di lavoro/ Non sarò ai bastoncini di pesce ma ai piatti pronti che sono un’altra produzione della fabbrica
Inizio a lavorare/ Scolo tofu
Mi ripeto questa frase/ Come un mantra/ Quasi/ Come una formula magica/ Rituale
Una parola d’ordine/ Una sorta di riassunto della vanità dell’esistenza del lavoro di tutto il mondo della fabbrica/ Rido proprio
Cerco di canticchiare tra me Y’a d’la joie del buon Trenet per motivarmi/ Penso a Shakespeare quando dice che il mondo è un palcoscenico e noi siamo solo pessimi attori/ Mi sembra di essere in una parodia di un quiz televisivo/ “Canto Trenet mentre scolo tofu”/ “Peccato no tor- na in- die- tro di tre ba- ston- cini di pe- sce”
Penso che il tofu fa schifo e che se non ci fossero i vegetariani non mi toccherebbe questo lavoro assurdo del tofu/ Invento giochi di parole che mi sembrano suonare bene/ Scolato -
E tu lator di schifo/ I gesti cominciano a diventare meccanici/ Cutter/ Aprire la scatola da venti chili di tofu/ Mettere i sacchetti da tre chili circa ciascuno sul mio tavolo da lavoro/ Cutter/ Aprire la scatola da venti chili di tofu/ Mettere i sacchetti da tre chili circa ciascuno sul mio tavolo da lavoro/ Cutter/ Aprire i sacchetti/ Mettere il tofu in verticale su una specie di setaccio orizzontale di acciaio dal quale cola il siero/ Lasciar scolare il tofu per un po’ di tempo
[…]
Su questa barca
Mia adorata moglie
Quando leggerai queste parole/ Sarò senza dubbio a letto/ Crollato/ Sognando chissà quale avventura
Tornerai a casa e troverai la casa come/ So metterla in ordine io
Il computer con la tastiera oggi un po’ devastata dalle zampe del cucciolo che mi hai regalato a Natale e che siamo andati a prendere al canile
Mi sento come D’Artagnan/ Non ricordo se è all’inizio di Vent’anni dopo
o di Bragelonne/ In attesa di una nuova missione/ Che rimugina/ E morde il freno nei corridoi del Louvre/ Come me qui nella nostra casa di Lorient/ Niente lavoro/ Che aspetto un posto e mi arrabbio/ Come un cane
E piango/ Per questi giorni di merda/ Senza lavoro/ Senza fabbrica
Oggi/ Ho visto sul sito dell’ufficio di collocamento
Un annuncio per un educatore su una barca
Ho risposto naturalmente
Ho vantato la mia esperienza con i gamberetti e il pesce
Anche se non serve a niente
Spero di lavorare/ Su questa barca o in fabbrica/ Si portare un po’ di soldi
Aspetto il lavoro / Aspetto la partenza o l’arrivo della barca
Ti aspetto
Ognuno nella sua notte
La mattina è notte/ Il pomeriggio è notte/ La notte è ancora peggio
Appena si entra in fabbrica è notte/ I neon/ L’assenza di finestre in tutti gli enormi cubi di laboratori/ Una notte che durerà minimo le nostre otto ore di lavoro
Usciamo dal sonno ancora col marchio di sogni della fabbrica/ Per immergerci di nuovo in un’altra notte/ Artificiale fredda e illuminata a neon
Da allora in poi/ È come se/ Continuassimo la nostra notte
Tra la notte di casa e la notte del lavoro/ Il risveglio/ Due ore di transizione / Occhi appannati e caffè ristretti/ Questo sarebbe la mattina/ Tutte le mattine del mondo
Nello spogliatoio prima di attaccare / Ancora cinque minuti prima di immergersi di nuovo nella notte/ Ammiro sinceramente tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici che hanno fatto la doccia e si sono profumati/ Io non posso/ La
doccia si fa di sera/ O quando rientri dal lavoro
Alcuni si agghindano per bene/ Devono essersi impegnati davanti allo specchio
Gli specchi in fabbrica/ Ci sono agli incroci e alle curve ad angolo retto nei corridoi infiniti in modo da vedere arrivare i transpallet e non farsi tirare sotto/ Non ci guardiamo allo specchio/ Tanto lo sappiamo che aspetto abbiamo/ Un camice bianco macchiato di sangue come quello di tutti/ Corpi stanchi/ Occhi che tirano dritto
Io no/ La fabbrica è un camice che tengo per tutta la settimana e che diventa sempre più sporco e puzzolente con il passare dei giorni/ Lavatrice il venerdì o il sabato
Immagino che per tutti e tutte loro/ Deve essere una questione di dignità o di una qualche forma di nobiltà/ Arrivare puliti e profumati al mattatoio/ Nonostante quello che ci sarà da fare
La mattina/ Tra le mie due notti/ Sono lì senza essere lì/ Come se/ Fossi di passaggio/ La vera vita sarà una volta che avrò staccato
Voglio credere che la fabbrica/ Ci sono di passaggio/ Finché non trovo qualcosa di meglio/ Anche se è passato un anno e mezzo e non lo trovo/ Voglio credere/ Che sono lì senza esserci
Così/ In questo mondo della notte/ Non c’è mattina sera e neanche notte/ Ci sono i neon che illuminano i laboratori dove lavorano camici macchiati di sangue/ Alcuni hanno fatto la doccia prima/Altri no
Ci sono soprattutto/ Tutte queste mattine del mondo/ In cui ognuno nella sua notte/ Sogna/ Un mondo senza fabbrica/ Una mattina senza notte [...]
La nostra rubrica Un treno di libri è a cura di Molly Bloom, l’accademia fondata a Roma da Leonardo Colombati ed Emanuele Trevi, che riunisce alcuni dei migliori scrittori, registi, sceneggiatori, musicisti e giornalisti del Paese. Con un unico fine: insegnare la scrittura creativa per applicarla ai campi della letteratura, della musica, dello spettacolo, dei media e del business. mollybloom.it
Giovanni De Stefano
Istituto culturale del Mezzogiorno, pp. 194 € 14,90
Un romanzo che si dipana intorno al personaggio di Norma, una pianista e artista sensibile, legata ai propri sogni di gioventù, donna innamorata e mamma di tre figli che adora e che l’adorano.
La vita le riserva presto il doloroso abbandono da parte del marito e lei, rimasta il solo punto di riferimento per suoi bambini, deve rimpostare la vita tra mille fatiche e difficoltà quotidiane. Nonostante le ristrettezze economiche che la portano a vivere con una vecchia zia e i momenti impegnativi nella gestione e crescita quotidiana dei figli, Norma riesce a reinventarsi senza perdere la sua tenace dolcezza. Trasformando il dolore in risorsa, e la fragilità in forza per guardare al futuro suo e della sua famiglia. Una narrazione delicata, dai toni autobiografici, sul ruolo di madre, figura importantissima nella vita dell’autore. Ma anche sulla capacità di rinascere e ripartire dopo un abbandono. Il volume è disponibile su comprovendolibri.it, ebay.it e wallapop.com.
PIOGGIA SOTTILE
Luis Landero
Fazi editore, pp. 240 € 18,50
Alla vigilia degli 80 anni della madre vedova, l’unico figlio maschio decide di organizzare un pranzo di famiglia con le sorelle. Questo il plot del commovente romanzo ambientato a Madrid e firmato da uno dei principali scrittori contemporanei. I protagonisti, in un vortice di rancori, gelosie, tormenti e incomprensioni, ruotano attorno alla figura di Aurora, irreprensibile nuora e cognata che, suo malgrado, diventa la confidente di tutti. Best seller iberico vincitore, tra gli altri, del prestigioso Premio de la Crítica de Madrid.
CAMERA 1057
Ulisse Spinnato Vega Cooper, pp. 152 € 16
Nella camera 1057 di un anonimo hotel, Orlando incontra Sara, psicologa con un approccio legato alla spiritualità dell’Est, con cui ha una relazione. Da oltre 15 anni, però, l’uomo vive con Prisca. Il protagonista dovrà prendere una decisione e scegliere tra due donne che ama e che rappresentano due metà della sua stessa natura. Un romanzo che indaga il mondo delle relazioni sentimentali, spesso piene di dolore, e a tratti si intreccia con quello della politica.
ANT-MAN. ANT-NIVERSARIO
Tom Reilly, Al Ewing Panini, pp. 120 € 18
In concomitanza con l’uscita del cinecomic Ant-Man and the Wasp: Quantumania, il 15 febbraio, un libro celebra il supereroe Marvel. Tra le pagine si ritrovano tutti i personaggi che hanno indossato il famigerato casco dell’uomo formica: un viaggio nel passato che parte da Hank Pym (il primissimo Ant-Man) e passa per il popolarissimo e attuale Scott Lang, fino alla versione malvagia del componente degli Avengers. Un interessante escamotage per conoscere meglio il piccolissimo vendicatore.
tante? Il piccolo decide di cimentarsi nell’impresa con convinzione, trova una scatola confortevole in cui riporlo, lo nutre di parole quando si accorge che è affamato e, infine, lo circonda di idee nuove, vecchie e strane, rappresentate in forma di animale, che gli tengano compagnia cosicché non si annoi.
In un tempo e uno spazio non definito, il piccolo Nimrod vive insieme a sua madre e a suo fratello Ilai in un appartamento color pastello. Possiamo immaginare la loro quotidianità simile a quella di altre famiglie in cui si condivide lo spazio domestico: la mamma lavora al computer, Nimrod e Ilai giocano lasciandosi andare alla fantasia. Talvolta un pensiero li cattura e la voglia di comunicarlo a qualcuno, magari a un adulto, diventa irrefrenabile. Comincia proprio così questa storia, breve nel numero di pagine ma densa di significato. Nimrod deve parlare con la mamma che però è impegnata in una chiamata di lavoro e non può dedicargli attenzioni. «Tieni con te il tuo pensiero», gli dice, invitandolo a pazientare. Potrebbe sembrare un’operazione semplice ma non è affatto così. Come si conserva un pensiero, soprattutto se è impor- Salani, pp. 32 € 13,90
Non dovrà aspettare molto per ricevere le attenzioni desiderate e dare voce a tutto quello che ha nella testa ma è in questa attesa che il racconto si condensa introducendo diversi temi: l’importanza di condividere il proprio mondo interiore, l’esercizio della cura di sé a partire dall’immaginazione, l’impossibilità di recintare il flusso delle idee e, ancora, il rapporto complementare tra riflessione e parola. La comunicazione come bisogno umano, d’altronde, è spesso al centro dell’indagine letteraria dello
scrittore israeliano Eshkol Nevo. Qui è tutto a misura di bambino, comprese le illustrazioni vaporose di Emma Lidia Squillari, eppure i concetti possono ispirare il lettore a prescindere dall’età anagrafica. Un libro prezioso, per piccole e grandi persone.
Lilith Moscon
Topipittori, pp. 128 € 10 (da 8 anni)
I bestiari erano libri medievali in cui gli animali venivano descritti e rappresentati con intenti moralizzanti e riferimenti tratti dalla Bibbia. In questo libro, invece, gli animali sono personaggi che richiamano figure familiari: galline, faraone e gatti hanno nomi di nonni, parenti, amici. C’è poi la piccola Lilith, protagonista della storia, costretta a districarsi in un mondo strambo, metafora dell’esistenza, e pieno di sorprese.
Carlo Marconi, illustrazioni Serena Viola Lapis, pp. 64 € 15 (per tutti)
Il tema del camminare come allegoria della vita raccontato in 28 poesie da leggere ai più piccoli per far apprezzare loro questo genere letterario. Tra le pagine ci sono tutte le esperienze del cammino, dalla fiaba di Cappuccetto rosso fino alle esperienze familiari dei bambini: i passi sulla sabbia, lo sguardo dietro un aquilone, le orme dei genitori che affiancano le loro, i sentieri nel bosco. Un libro dalla grande forza evocativa, con testi poetici illustrati adatti a ogni età.
Jacqueline Woodson
Fandango, pp. 352 € 20 (da 10 anni)
Un romanzo in versi, un esperimento ben riuscito in cui l’autrice racconta la sua vita di bambina afroamericana cresciuta negli Stati Uniti tra gli anni ‘60 e ‘70. In questo percorso attraverso la memoria la città natale rappresenta l’Eden dell’infanzia, sfiorato dai problemi storici come la lotta per i diritti dei neri e la segregazione razziale, mentre il trasferimento a New York simboleggia la libertà, l’amore per i libri e la natura.
YAHHO NIPPON! Éva Offredo
L’ippocampo, pp. 56 € 15,90 (da 5 anni)
Un album documentario che invita alla scoperta del Giappone raccontandone i mestieri tradizionali. Tsuyu fa la mugnaia e Chawan regala una seconda vita agli oggetti rotti utilizzando la tecnica kintsugi. Insieme a loro ci sono Uchimizu, studiosa di muschio, e Wan Wan, pittrice di aquiloni. Un viaggio accompagnato da immagini, dal tratto minimalista e i colori decisi, che guida il lettore attraverso l’arcipelago giapponese rivelando il volto autentico di una cultura affascinante.
A.A.D.
LA NOTTE DELLE SPAZZATURE VIVENTI
Beppe Tosco Francesco Tosco
illustrazioni Alessandro Sanna
Gallucci Bros, pp. 224 € 13,50 (da 9 anni) Geppi si diverte a creare personaggi assemblando frammenti di plastica, vetro e carta trovati lungo il fiume. Un giorno la ragazza deve fare i conti con un evento straordinario: una stella cadente ha trasformato in creature viventi tutti i rifiuti sparsi sulla terra. Così la spazzatura, arrabbiata per essere stata abbandonata, vuole ribellarsi e prendere il comando del Pianeta. Letture per riflettere sul valore degli oggetti e l’importanza del riuso.
A.A.D.
CARLOTTA CONTRO IL MONDO
Andrea Barzini
Giunti pp. 128 € 12 (da 7 anni)
Carlotta è dispettosa come Pippi Calzelunghe e vive in una famiglia tutta al femminile, con una nonna austera e una distratta zia artista. Sempre in mezzo ai guai, fa dannare per le sue rispostacce, i brutti voti a scuola e i suoi modi da monella. Fino a quando arriva Marie Jeanne, una strana governante un po’ magica, e tutto cambia. Una storia delicata che racconta quanto dietro a un bambino o a una bambina scontrosa ci sia spesso una richiesta di attenzione. S.G.
È IL VOLTO FEMMINILE DELLA SERIE DOC - NELLE TUE MANI, CONDUCE UN REALITY E SBARCA AL CINEMA NEL NUOVO FILM DI ALESSANDRO SIANI. MA MATILDE GIOLI SENTE DI AVER ANCORA TANTA STRADA DA PERCORRERE
di Gaspare Baglio gasparebaglioÈdiventata attrice per colpa delle multe. Oltre dieci anni fa, infatti, Matilde Gioli ha partecipato al provino per le comparse del film Il capitale umano, di Paolo Virzì, per saldare alcune contravvenzioni. Da quel casting, però, è uscita con un copione in mano e il ruolo da protagonista. Poi ha vissuto un susseguirsi di successi tra cinema e tv: è stata la dottoressa Giulia Giordano nella fiction dei record Doc - Nelle tue mani, uno dei fiori all’occhiello di Rai1. E dal 14 febbraio torna sul grande schermo con Tramite amicizia (prodotto da IIF e distribuito da 01 Distribution), pellicola scritta, diretta e interpretata da Alessandro Siani. La storia ruota attorno a Lorenzo, proprietario di un’agenzia speciale che noleggia amici per conforto o compagnia. A chiedere questo tipo di servizio, un giorno, arrivano anche i suoi familiari, dipendenti di una fabbrica di dolciumi che rischia di essere venduta per una profonda crisi personale del padrone. Tra gag e colpi di scena l’obiettivo è uno solo: salvare l’azienda e i suoi lavoratori anche con l’aiuto di un’amica speciale, Maya, che ha il volto di Gioli.
Chi è Maya?
Una tipa molto particolare, con un carattere che non ho mai interpretato. Grazie a questo ruolo, ho tirato fuori lati comici e inediti per me. Vedrete una milanesità imbruttita, con accenti ed espressioni tipiche che, da meneghina, ho esasperato. Un aspetto che, solitamente, mi chiedono di togliere. Maya sembra una furbetta, una ladruncola, ma poi, a mano a mano, ci si rende conto che è così perché abbandonata a se stessa. Una ragazza fragile, sola, che nessuno ha incoraggiato.
Caratteristiche in comune?
È un animaletto selvatico come me. La cosa più figa nella pellicola è la sua incredibile trasformazione di look: da rasta punkettona diventa una sorta di Audrey Hepburn. Viene fuori un
movimento dialettico interessante: si plasma una figura a metà strada tra quella che era prima e quella in cui la vorrebbero trasformare. In questo modo, trova se stessa. Recitando cos’hai capito di te?
Un sacco di cose. E non è sempre stato piacevole. Recitare ti mette in un confronto forzato con alcune caratteristiche che a volte non si vogliono vedere o si tengono nascoste. Ma ci si rende conto anche di quali particolarità si possiedono e di come possano tornare utili. Personalmente ho compreso la mia fragilità e superato la paura del giudizio altrui, mostrando appieno chi sono. La recitazione tira fuori tutto. Com’è andata con Siani in veste di regista?
Lo avevo incrociato qualche volta, in questi anni, e mi era risultato molto simpatico. Lavorarci insieme è stato meraviglioso, mi ha stupito sotto tanti punti di vista. È un regi -
sta attento agli attori quanto alla troupe. Sa comunicare molto bene e crea un clima sereno sul set. E poi è brillante: siamo abituati a vederlo nei momenti comici, ma ha un lato intellettuale e saggio stupefacente.
E con il Siani attore?
È stato fantastico. Ci siamo divertiti tantissimo: ha capito il mio modo di recitare e mi ha seguita. Con Ale è stato proprio un incontro felice. Sei anche la conduttrice di Summer Job, il primo reality italiano di Netflix con protagonisti ragazzi viziati alle prese col duro mondo del lavoro. Com’è andata questa esperienza?
Molto positivamente. Mi sono un po’ buttata: era una cosa che non avevo mai fatto prima e mi sono lasciata trascinare dalla curiosità. Ho lavorato con autori che si occupano di televisione come mestiere e si è creato un bellissimo rapporto. Rispetto a cinema e fiction hai avu -
to difficoltà?
Non conoscevo le tempistiche televisive, ma mi è piaciuto molto lavorare in presa diretta: essendo un reality, volevano le reazioni vere dei ragazzi. Hanno spinto molto perché fosse buona la prima. È stata una sfida per le mie capacità mnemoniche e di improvvisazione. Ma posso dire che la conduzione è un bel lavoro.
Cos’hai capito della generazione Z?
Non esprimo un giudizio perché ci sono troppe cose da comprendere. Il mio sarebbe un parere confutabile, anche alla luce del fatto che prima o poi avremo a che fare con la generazione successiva, cresciuta durante la pandemia e la guerra. Sicuramente il bombardamento dei social provoca una bulimia generale di contenuti in cui manca il momento in cui ci si ferma, si respira e si gode il qui e ora. I ragazzi sono
così sommersi da non riuscire a fare un piccolo stop. Non hanno tempo per pensare, sarebbe interessante vedere il loro comportamento con tutti i dispositivi spenti. Di positivo c’è che, alla fine, i protagonisti dello show sono riusciti a tirare fuori sogni, desideri e buona volontà, perché dentro hanno tutto. Bisognerebbe farli pensare liberamente. Quindi sarai una futura presentatrice?
Al primo posto c’è il mio lavoro da attrice. Ho fatto Summer Job perché il progetto mi piaceva tantissimo: volevo vedere i ragazzi crescere in un percorso e mi piaceva questo ruolo da sorella maggiore, quasi una figura maieutica. Quindi, se in futuro ci sarà qualcosa di interessante, perché no?
Cosa ti piacerebbe condurre?
Tutto ciò che è itinerante come Pechino Express : non sono attratta dall’idea dello studio, mi piace accompagnare i concorrenti.
Restiamo in tema viaggio, allora. Che cos’è per te il treno?
È casa, oltre che una costante della mia vita da dieci anni. Ormai cono -
sco tanti capitreno, oltre ai ragazzi che lavorano al bar: viaggiando tanto sulla Milano-Roma incontro gli stessi più volte. Sono carini perché mi danno sempre il bentornato. Che viaggiatrice sei?
Una rompiscatole. Quando scelgo l’area del silenzio, se qualcuno parla glielo vado a dire. Quando c’era l’obbligo delle mascherine, poi, non ti dico. Quindi, se mi incontrate sul treno e parlate ad alta voce dove non potete sicuro non vi lascio stare (ride, ndr ).
Il ricordo più bello legato al treno? Quando prendevo i regionali con gli scout: con i nostri zaini pesantissimi cantavamo e parlavamo di tutto, è un momento a cui ripenso con grande affetto.
Cosa ti porti dietro in viaggio? Sono attrezzatissima, tra libri, cruciverba e il mio cagnolino Kal-El. E poi sul treno mi piace guardare video di filosofi moderni, visto che sono laureata in questo campo. Ma Kal-El non è il nome kryptoniano di Superman? Esattamente. Sono appassionata di fumetti.
Personaggio preferito?
Batman, per tutte le ombre che ha. E per essere diventato la sua paura. Che superpotere vorresti?
Mi piacerebbe volare, lo desidero da quando sono piccola. Ero talmente fissata con questa cosa che per una vita ho giocato al parco sbattendo le ali, facevo finta di essere un’aquila. Amo l’idea di spostarmi attraverso il volo e vedere il mondo dall’alto. Una sensazione che ho vissuto solo quando mi sono lanciata col paracadute.
Cosa ti aspetta dopo Tramite amicizia?
Sono in procinto di accettare un progetto ed è possibile che presto sia di nuovo sul set. Fra poco dovrebbe uscire pure il film Cattiva coscienza di Davide Minnella, persona deliziosa che stimo tantissimo. La pellicola è davvero bella e sono la protagonista insieme a Filippo Scicchitano e Francesco Scianna. Poi ricomincio con le puntate di Doc - Nelle tue mani
Cosa ti ha regalato la fiction?
Mi ha permesso di incontrare il grande pubblico. Avendo fatto sempre cinema ero conosciuta da amatori e appassionati. Con una serie così seguita e apprezzata il mio seguito è cambiato e si è ampliato. Mi piace che le persone mi fermino per strada e mi identifichino con la dottoressa Giulia.
Qualche anticipazione?
Ho cercato di scucire qualcosa a Luca Argentero (protagonista della serie, ndr ) ma non c’è stato verso. Cosa faresti oggi se avessi pagato quelle multe senza passare per il provino con Virzì?
Avrei continuato la carriera universitaria. Ero determinata e pensavo di approdare nel mondo della ricerca con il mio professore di Filosofia della scienza, facendo anche viaggi all’estero. Mi affascina lo studio del cervello attraverso un approccio filosofico. Forse adesso sarei in America.
Forse ci andrai lo stesso, ma a Hollywood…
Non prendo tanto in considerazione questa possibilità: hanno interpreti completi, competitivi e ambiziosi. E con una tale quantità di talenti in giro la cosa mi sembra inarrivabile. Un personaggio che vorresti interpretare?
Il ruolo di una combattente in un’ambientazione medioevale. Mi viene in mente Xena - Principessa guerriera : mi piace l’idea di una donna che vive isolata nelle foreste, col suo cavallo e un esercito al suo cospetto per salvare i più deboli.
Quest’anno compi dieci anni di carriera. Chi sei oggi?
Una ragazza che ha ancora tantissima strada da fare. Ogni progetto mi apre infiniti mondi da approfondire. Ho compiuto un bel percorso, ma sono ancora una persona curiosa e in itinere, sono una donna in viaggio.
Isuoi personaggi sono la declinazione del suo essere. Intensi, caratteriali, unici e soprattutto dotati di una particolare leggerezza che viene dalla felicità che prova nel fare il suo mestiere: l’attore. «Mi sento un privilegiato, ho potuto trasformare la mia passione in professione», dice Massimiliano Gallo, guardandomi diritto negli occhi con quel suo sorriso sincero e un po’ sornione.
«Lavorare mi dà grande gioia e non mi stresso mai», confessa. Tra i suoi recenti successi, ci sono la superba interpretazione di un profondo Domenico Soriano in Filumena Marturano e del caleidoscopico protagonista di Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso, entrambi andati in onda su Rai1 e ora disponibili su RaiPlay.
Chi vuole apprezzarlo sul palco può andare a vedere Amanti, scritto e diretto da Ivan Cotroneo, dove recita in coppia con Fabrizia Sacchi: fino al 12 febbraio al teatro Diana di Napoli e dal 14 al 26 al Manzoni di Milano. Quando interpreti un personaggio si capisce chiaramente che sei naturale e “leggero”.
È la mia natura: cerco sempre di sdrammatizzare, lavorare con grande armonia e soprattutto provo una grande felicità di fondo. Ancor più quando sto sul palcoscenico e vivo l’incontro con il pubblico. Sento il bisogno del teatro, mi ricarica lo scambio umano che puoi avere solo lì. Stare esclusivamente sul set può inaridire, è artisticamente pericoloso, per questo ogni anno mi ritaglio almeno tre mesi sul palco.
Sei cresciuto a pane e teatro: i tuoi genitori recitavano entrambi. Cosa ti è rimasto di quello che ti hanno trasmesso?
Un’enorme disciplina che mi ha aiutato a essere preciso sul lavoro, non mi piace l’approssimazione. Ho imparato che servono gli strumenti giusti. Come il falegname utilizza martello e chiodi, così l’attore usa l’impostazione vocale e la postura del corpo: chi non sa occupare uno spazio scenico non può dare la colpa alla sfortuna o crearsi alibi se non raggiunge il successo. Una volta questo mestiere si faceva frequentando l’accademia o entrando nella compagnia di un capocomico, dove ci si formava assumendo pian piano ruoli più importanti. Oggi i giovani pensano che non serva l’impegno, che la meritocrazia non esista. Un po’
è anche colpa della disillusione che gli abbiamo causato ma quando tengo i laboratori teatrali mi rendo conto che i ragazzi e le ragazze non leggono i testi, non aprono i libri, non conoscono il linguaggio cinematografico perché non guardano film.
Quando sei arrivato sul grande schermo?
Da attore di teatro, nel 2008 sono stato catapultato nel modo del cinema dalla porta principale con Fortapàsc di Marco Risi, dove interpreto lo spietato boss Valentino Gionta. Un ruolo che mi ha dato grande visibilità tra gli addetti ai lavori. Poco dopo mi ha chiamato Ferzan Özpetek per Mine vaganti. Da allora, ho girato 35 film e 15 serie televisive. Sei stato alla Mostra del cinema di Venezia con nove pellicole negli ultimi sette anni ma ti sei tenuto sempre a distanza dal gossip. Come hai fatto?
Credo che ciò a cui si tiene vada tutelato e protetto e lo farò ancora di più. Oggi tutto viene consumato troppo velocemente, per un like si fa qualsiasi cosa. Ma l’atmosfera alla Mostra del cinema mi piace molto, è un grande circo e se ci vai con lo spirito giusto ti diverti. Nel nostro settore tutto è molto effimero, bisogna dare il giusto peso alle cose. Oggi mi fermano per strada, ma fra sei mesi potrebbe essere diverso: mai prendersi troppo sul serio.
Cosa detesti nelle persone e cosa invece apprezzi di più? Non sopporto l’ipocrisia, la formalità e tutto quello che sta intorno a questo mondo di cui non mi sento parte. Odio la falsità di certi incontri e certi salotti ma serve diplomazia, sapere quando si può dire una cosa oppure no. Con molti colleghi c’è grande stima e apprezzo molto chi fa le cose con passione e si risolve la vita in maniera onesta. Troppo spesso diamo la colpa agli altri invece di fare un esame di coscienza.
Sei cresciuto a Napoli. Che rapporto hai con questa città?
Abitavamo molto vicino allo stadio ed eravamo capaci di riconoscere dalle grida una punizione, un rigore o un gol.
Era la Napoli di Massimo Troisi, Pino Daniele, Maradona. Oggi è una città straordinaria e unica perché ha un’identità così potente che riesce, in un mondo globalizzato, a contaminare chi la contamina. Come la musica di Pino, con-
di Andrea Radic Andrea_Radic andrearadic2019 Foto di Azzurra Primaveratagiata dal blues e dal jazz, ma la più napoletana di tutte. Un altro esempio divertente sono i kebabbari vicino alla stazione che usano lo sfilatino e non il pane arabo. Il kebab napoletano: un mix mai visto al mondo. Infine, il vulcano, un magma sotterraneo che sprigiona energia anche a livello artistico visti i tanti talenti nel teatro, nella musica e nella drammaturgia. Per me arriva tutto da lì.
Qual è il profumo della tua infanzia?
Il sugo alla genovese che mangiavamo di domenica: mi svegliavo e il suo profumo si spargeva per la casa. Che emozioni ti suscita il treno?
Mi piace molto, lo prendo spesso per lavoro, è comodissimo. Posso venire a Roma per un appuntamento e tornare a casa la sera. Nello spettacolo che ho scritto, Stasera, punto e a capo, racconto il fascino romantico dei viaggi sui vagoni letto negli anni ‘80. Da piccolo dovevo anche recitare nel film Café Express con Nino Manfredi, girato su un treno, ma scelsero un altro bambino.
Nei personaggi che interpreti c’è sempre un differente tratteggio del tuo carattere.
Quando vesto un ruolo faccio sempre un ragionamento su me stesso.
Nella serie Imma Tataranni - Sostituto procuratore, mi sono chiesto quale marito sarebbe stato Massimiliano Gallo in quella vita, negli episodi de I Bastardi di Pizzofalcone cercavo di capire invece che tipo di questore sarebbe stato. Insomma, metto me stesso in quel vestito. Leggo testo e sottotesto, lo immagino e decido che via prendere. Poi, dopo la prova costumi, quel personaggio acquista una sua cammi-
nata, postura e gestualità.
Sullo schermo è più efficace uno sguardo o una battuta?
Parlare è più semplice, lo sguardo è più efficace ma più complicato. Quando ti riprendono in primo piano devi far capire a cosa pensi solo con piccoli movimenti degli occhi. È impegnativo ma è la magia del cinema.
E quella del teatro?
Nasce e muore in una sera ed è irripetibile, è come una convenzione tra l’attore e gli spettatori. La sera successiva ci sarà uno spettacolo nuovo, con pubblico diverso e reazioni differenti. È la potenza del teatro.
Il tuo luogo del cuore?
Sorrento. Un’isola felice di straordinaria bellezza, un miracolo. Mi piacerebbe passarci più tempo. Stai più a tuo agio a tavola o in cucina?
In entrambi i luoghi, mi piace mangiare bene e pure cucinare, in particolare i primi piatti.
Durante le tournée c’è ancora l’abitudine di cenare insieme dopo lo spettacolo?
È meno frequente di un tempo. Spesso gli attori sono diventati impiegati (ride, ndr). Sapevo che Marcello Mastroianni faceva includere nel contratto l’obbligo di cenare con lui dopo lo spettacolo.
La tua cucina preferita?
Provo tutto e sono curioso di sperimentare, ma senza dubbio quella italiana.
E a Napoli dove mangi? Due nomi in particolare: Terrazza Calabritto e Cicciotto a Marechiaro. Ma si mangia benissimo ovunque.
MASCHERE, RITI, GIOSTRE E CORTEI. LE TRADIZIONI DEL CARNEVALE TRA SFILATE DI COLORI E USANZE DAL
SAPORE ANTICO
Balze, sbuffi e stoffe colorate, maschere lignee e di cartapesta. Cortei, giostre, lanci di arance e di aringhe. E ancora coriandoli, lanterne e fiaccolate. È il carnevale 2023. «Ogni tristo pensier caschi: facciam festa tuttavia», così scriveva nel 1490 Lorenzo de’ Medici nei suoi Canti carnascialeschi, ormai alle soglie del Rinascimento. Un invito alla gioia che ancora oggi unisce tradizione e riti, storia e cultura dei territori.
LE LANTERNE DI SAURIS
Tra le montagne della Carnia ai confini con l’Austria, immerso nella neve e nel profumo di camino, sabato 18 – quello prima del martedì grasso, che quest’anno cade il 21 febbra-
io – prende vita il carnevale di Sauris, in provincia di Udine. È considerato uno dei più antichi e tradizionali dell’arco alpino, celebre per le maschere intagliate nel legno, che si possono ammirare nel vicino Museo carnico delle arti popolari di Tolmezzo.
Uno dei protagonisti qui è il Rölar, personaggio che deve il suo nome ai röln, che in lingua saurana – dialetto tedesco originario della Baviera meridionale e diffuso in Tirolo e Carinzia – sono i sonagli di bronzo attaccati alla cintura della maschera.
La tradizione lo vuole in abiti scuri e laceri, con il viso ricoperto di fuliggine, e lo squillare del suo campanaccio ancora oggi segna il raduno delle maschere e l’inizio della festa. Il re del carnevale saurano è però il Kheirar, “quello che spazza”, protagonista di un rituale antichissimo: con la scopa di saggina in mano bussa alle porte di tutte le case del paese, portando via simbolicamente le negatività della vita, accompagnato dalle danze di coppie vestite a festa che si alternano alle maschere in abiti malridotti. Sempre il 18 è prevista La Notte delle Lanterne, una suggestiva passeggiata notturna con luminarie tra i boschi innevati e le maschere che a sor-
presa compaiono durante il percorso.
VENEZIA E IVREA, SFILATE E ARANCE
Il carnevale della Serenissima quest’anno va in scena dal 4 al 21 di febbraio, accompagnato da performance acrobatiche, clownerie, circo-teatro, burattini e spettacoli musicali del Carnival Street Show. Domenica 5 febbraio sul rio di Cannaregio centinaia di vogatori mascherati sfilano su imbarcazioni colorate, mentre le maschere più belle in concorso si danno appuntamento il 6 febbraio in piazza San Marco.
Sabato 11 febbraio, la festa delle Marie rievoca la tradizione del doge che dona ricchi abiti e gioielli a 12 ragazze in età di
matrimonio. Lo stesso giorno, e fino a domenica 19 febbraio, nella sede storica di Ca’ Giustinian a Venezia e nel Centro civico del Parco Alfredo Albanese di Mestre è aperto a scuole e famiglie il carnevale internazionale dei ragazzi con laboratori, giochi e una nuova sezione dedicata alla musica sperimentale. In Piemonte, la Battaglia delle arance è il culmine del carnevale storico d’Ivrea, fuori Torino. Dal 19 al 21 febbraio si fronteggiano nove squadre di aranceri a piedi – che rappresentano la popolazione – e i soldati del tiranno, attrezzati con protezioni installate su 50 carri da getto e trainati da cavalli.
CORTEI A VIAREGGIO E RONCIGLIONE
È il triplice colpo di cannone sparato dal mare della Versilia a dare il via, mercoledì 4 febbraio, ai festeggiamenti per i 150 anni del carnevale di Viareggio, in provincia di Lucca. Fino a sabato 25 ritornano gli spazi attrezzati con laboratori per
bimbi, le iniziative per nonni e nipoti e i corsi per la creazione delle maschere. Il carnevale di Ronciglione, nella zona di Viterbo, si apre invece il 5 febbraio con la parata storica che rievoca la difesa dello Stato pontificio da parte degli ussari.
Suggestivi il tradizionale ballo del Saltarello e la Pilatata dei nasi rossi, in cui maschere che rappresentano i devoti a Bacco intonano canti legati al vino.
AL SUD GIOSTRE E ANTICHI RITI
Sono le figure di mucche e tori, simbolo della mandria in transumanza, a caratterizzare la festa di Tricarico, in provincia di Matera. Mentre nella vicina Montescaglioso i protagonisti sono Carnevalone, maschera tradizionale legata al mondo contadino, e la moglie Quaremma che, con il neonato Carnevalicchio in braccio, chiede offerte per preparare la cena di addio alle trasgressioni del martedì grasso prima dell’inizio della Quaresima.
Scendendo nel leccese, il borgo di Martignano ospita la sartoria popolare, vero cuore del carnevale nella Grecìa Salentina. Le famiglie, insieme alle scuole del posto, preparano maschere e costumi che sfilano l’ultima domenica di carnevale (19 febbraio) e vengono poi esposti nel cinquecentesco palazzo Palmieri, sede dell’omonimo Parco turistico culturale. Le sfilate si concludono il martedì grasso con la Morte te lu Paulinu, immagine simbolica di un popolano che per un giorno inverte i ruoli sociali e può dir male dei padroni, incarnando il mondo alla rovescia tipico di questa festa. Unicum nel panorama culturale del Salento, canti e danze a Martignano culminano con la rilettura in chiave di farsa dell’antico rito funebre dei morolòja (da moîra, destino, e logos, discorso, “discorso sul destino”). Il pianto rituale delle antiche civiltà mediterranee viene qui trasformato in un addio scherzoso al carnevale, seguito dal rogo di Paulinu e da lu cunsulu, il pranzo che veniva un tempo offerto alle famiglie nel lutto, trasfigurato per l’occasione in un vero banchetto che coinvolge tutta la comunità ancora in festa ma ormai alle soglie della Quaresima.
A Oristano il carnevale si chiama Sartiglia, una giostra equestre tra le più antiche e coreografiche d’Europa che si svolge tra l’ultima domenica di carnevale e il martedì grasso. Una tradizione di origini medievali, carica di folclore e rituali per invocare prosperità e buona sorte.
UN PICCOLO VILLAGGIO A 1.500 METRI DI QUOTA, INCORNICIATO DAL MONTE ROSA. ALPE DI MERA È UNA
LOCALITÀ DELLA VALSESIA A TRAFFICO ZERO, PER IMMERGERSI
NEL SILENZIO A CONTATTO CON LA NATURA
di Valentina Lo Surdo valentina.losurdo.3 ValuLoSurdo ilmondodiabha ilmondodiabha.it
Alpe di Mera è una località tutta da scoprire. Siamo nel comune di Scopello, in Alto Piemonte, a pochi chilometri dalle grandi città del nord-ovest, appena 140 chilometri da Milano e 150 da Torino, nel cuore della Valsesia. È qui che sorge un piccolo villaggio a 1.500 metri di quota, incorniciato dalla veduta mozzafiato del Monte Rosa. D’inverno per arrivare a Mera ci sono solo due possibilità: la seggiovia o, a impianti chiusi, la motoslitta a cura dei ristoratori. Quindi, chi vuole trascorrere una vacanza quassù deve prepararsi a dimenticare l’auto per immergersi nel-
la totalità del silenzio bianco, dando un taglio netto a tutto ciò che troppo spesso inquina la pace delle vacanze invernali.
L’Alpe di Mera, infatti, è una località appartata ma nello stesso tempo accessibile e sicura. Nonostante il caldo record di questi ultimi mesi, l'ottimale esposizione a nord garantisce comunque il mantenimento della neve, facendo di queste alture il luogo ideale per una vacanza intima in coppia, per una rigenerante settimana bianca a dimensione familiare o per far muovere ai bambini i primi passi sul manto candido, lontano dai pericoli della città.
Un luogo che storicamente nasce come uno dei più vasti alpeggi estivi della Valsesia, divenuto poi stazione sciistica e di villeggiatura, punteggiato da un rado abitato di seconde case. D’inverno, si esce con gli sci direttamente dalle abitazioni, affacciate sulle piste, oppure soggiornando presso il mitico Rifugio Camparient, l’unica struttura adibita al pernottamento, ideale per chi è alla ricerca di una proposta lontana dal turismo di massa. Gli sciatori possono ristorarsi con un gustoso piatto tipico anche in baita, a La Capanna o a Il Campo, mentre per piatti che sposano tradizione e inno-
vazione c’è il Bar Piero, aperto tutto l’anno. L’après-ski più festaiolo è al Boschetto e, per godere i prodotti genuini del territorio, immancabile è la tappa all’agriturismo La Casera bianca. A Mera ci sono inoltre tre scuole di sci, tre sci-club e un attrezzato punto di noleggio, quanto basta per potersi dedicare alla neve e a una vacanza unica nel suo genere.
La storia sciistica della località racconta di una delle prime stazioni invernali realizzate in Italia, che ha cominciato ad affermarsi a livello turistico negli anni ‘50, grazie all’inaugurazione della seggiovia Scopello-Mera che rese accessibile l'alpeggio non solo a piedi.
La più importante opera di modernizzazione del comprensorio si deve ai fondi messi a disposizione per le Olimpiadi invernali di Torino 2006, che consentirono di implementare gli impianti di innevamento e realizzarne nuovi di risalita. Dal 2018, inoltre, fa parte delle stazioni satellite del Comprensorio Monterosa Ski. Oggi la località sciistica è in continua evoluzione, con l’ampliamento e la differenziazione dell’offerta e una particolare atten-
zione alla sicurezza.
Dai 659 metri d’altezza dell’abitato di Scopello sino ai 1.742 metri del Monte Camparient, la ski-area di Mera si sviluppa su 30 chilometri di piste, con percorsi morbidi e piacevoli, ideali per principianti e appassionati di sciate in tranquillità. Il claim di questo gioiello incastonato nelle Alpi Pennine, meta ideale per le famiglie, è infatti “la montagna che ti accoglie”. E se ai bambini sono dedicati due grandi parchi giochi in legno fruibili sia d’inverno che d’estate, agli adulti si consigliano anche rigeneranti passeggiate con le ciaspole sui numerosi percorsi, in solitudine o accompagnati da una guida.
E poi c’è il bob, divenuto il simbolo di questo luogo, grazie alla celebre gara che si tiene annualmente dal 1998: la Mera’s Cup. Nata per gioco grazie a un gruppo di amici, assidui frequentatori dell'Alpe, che dai primi anni ‘90 si divertivano a scendere in bob fino a Scopello dopo una giornata di sciate, il 14 febbraio 1998 ottenne una veste più ufficiale.
E così, dopo quella prima edizione con 48 partecipanti, i concorrenti della Mera’s Cup sono aumentati di anno
in anno fino ai 200 di oggi, rendendola tra le gare di bob amatoriale più frequentate a livello internazionale, che il 4 marzo si svolge per la 22esima volta. Nella stagione estiva, invece, dall’Alpe partono numerosi itinerari escursionistici da percorrere a piedi o in mountain bike. Una delle gite più classiche è la salita alla Cima d’Ometto, raggiungibile in un’ora circa di cammino, che offre un magnifico panorama a 360 gradi. Anche d’estate il villaggio preserva le sue caratteristiche a profondo contatto con la natura: le piste si trasformano in verdeggianti pascoli per il bestiame e le automobili restano fuori dell’abitato. Per questo a Mera si respira ancora oggi l’aria di un tempo, come testimoniato dai toccanti diari di fine anni ‘40 raccolti dalla Pro Loco: «Si arrivava a Varallo con il primo treno da Novara. Qui ci caricava un simpatico personaggio, Francesco Carpo, detto Cicot, il quale ci portava su un’automobile Itala sei cilindri, anche in sei o sette, con sacchi da montagna e attrezzatura sciistica fino a Scopello. Salivamo a piedi in due ore a Mera e ci installavamo nel rifugio annesso alla chiesa.
Con pelli di foca e tanta gioventù, salivamo al Talamone (così si chiamava allora la punta Camparient) e all’Ometto per cinque o sei giorni, poi... fine delle vacanze e ritorno agli studi, pensando già alle future vacanze pasquali ed eventualmente a qualche ponte». Memorabile anche il racconto della costruzione della seggiovia di collegamento tra Scopello e l’Alpe: «L’episodio più eroico fu quello che si verificò quando si dovette stendere la fune e portare il capo fino a Mera... aveva una lunghezza di circa 5.000 metri, un diametro di 26 mm e un peso di circa 200 quintali. Percorsi tutta la Valsesia per trovare uomini. Ne racimolai un centinaio. Si sparpagliarono lungo i 2.400 metri circa di linea e cominciarono a tirare risalendo la china... dopo il primo giorno tutti gli uomini avevano le mani sanguinanti ed escoriate. Il 9 agosto 1949 l'impianto cominciò a girare per servizio da Scopello a Mera. L'inaugurazione con folta partecipazione di pubblico ebbe la presenza dell'onorevole Giulio Pastore e la madrina, la signorina Sandra Botto, tagliò il fatidico nastro».
Ne è passata di storia dai pionieri dello sci del 1949, ma a Mera l’atmosfera è rimasta la stessa. Qui sciare è senza tempo.
alpedimera.it merascup.it
Faggete e pini loricati si tingono di bianco sulle vette della Basilicata, terra selvaggia bagnata da due mari
– Ionio e Tirreno – e meta dove rallentare per scoprire itinerari invernali inediti che si spingono fino in Calabria. Luoghi magici fuori dai tracciati più battuti offrono sport, divertimento e cultura, che insieme ai sapori della tradizione rendono l’Appennino lucano e quello calabro tra i protagonisti dell’inverno 2023.
SCI E BORGHI ARROCCATI NEL POLLINO
Sciare accanto al lago e ciaspolare nei boschi innevati seguendo le rotte delle aquile reali che conducono al Giardino degli Dei: è il Parco nazionale del Pollino, a cavallo tra la Basilicata e la Calabria. Dal 2015 Patrimonio mondiale, è il più ampio parco d’Italia con quasi duemila chilometri quadrati di superficie. Il comprensorio sciistico, che si spinge fino a 2.267 metri con la sua vetta più alta, offre pi -
DAI SAPORI DELLA CUCINA TRADIZIONALE. UNA VACANZA
INVERNALE INEDITA TRA BASILICATA E CALABRIA
di Francesco Bovio e Silvia Lanzano
ste per sci di fondo, nordic walking e ciaspolate ma anche aree attrezzate per divertirsi con slittini e bob. Qui montagne aspre e foreste abitate da lupi si alternano ai suggestivi Rotonda, Viggianello e Terranova del Pollino, borghi arroccati in provincia di Potenza ricchi di antiche memorie e regno della locale gastronomia a base di funghi, melanzane rosse e piccanti, croccanti peperoni cruschi.
NORDIC WALKING E CIASPOLATE SUL SIRINO
Le sponde del Laudemio, il lago di origine glaciale più a sud d’Italia, ai piedi del monte Papa che supera i duemila di altezza, sono l’ideale per sci di fondo e passeggiate con le racchette da neve, mentre per trekking e ciaspolate bisogna spostarsi lungo i sentieri dei vicini boschi. Sul massiccio del Sirino gli impianti sciistici scorrono tra i paesi di Lagonegro e Lauria, meta per i cultori di sci alpino
e nordic walking. La pista più suggestiva è la Forcella monte Papa: lunga più di due chilometri, percorre un sentiero boschivo con scorci naturali mozzafiato. Perfetta per gli sciatori più esperti, mentre altre piste a disposizione – come Principianti e Monte Sirino – sono dedicate ai più piccoli e a chi muove i primi passi sulla neve.
PASSEGGIATE E SNOWBOARD IN VAL D’AGRI
Il Parco nazionale dell’Appennino lucano Val d’Agri Lagonegrese incanta con le antiche faggete che ammantano i pendii dei monti Pierfaone, Arioso e Maruggio. Armati di sci o racchette ai piedi, si procede lenti, lungo la pista di fondo di Pietra del Tasso, tra gli alberi innevati. Anche gli amanti dello snowboard trovano piste adatte come la Fossa Neviera: lunga 1.600 metri, offre un dislivello di circa 300 metri per le acrobazie. La stazione sciistica di Sellata Pierfaone Arioso si estende per sette chilometri di piste collegate tra loro da impianti di risalita e tappeti trasportatori. Per le escursioni ci sono i 22 chilometri del sentiero Frassati, con cammini che dal borgo di Sasso Castalda salgono fino alla cima del monte Arioso. Lungo il percorso si intravedono Castelmezzano e Pietrapertosa, tra i borghi più suggestivi d’Italia che, arroccati tra le sagome delle Dolomiti lucane e illuminati di sera, paiono presepi.
Viggiano, invece, è il paese delle arpe e delle zampogne, vere opere d’arte realizzate da secoli ed esportate in tutta Europa. Il Sacro monte di Viggiano, celebre per il santuario trecentesco dedicato alla Madonna nera, è meta ambita per il trekking invernale e le escursioni naturalistiche. La stazione sciistica di Montagna grande di Viggiano, a oltre 1.400 metri di altitudine, ospita piste alla portata di tutti, con attrattive speciali: un’area dedicata allo snow tubing per i bam-
bini, che possono lanciarsi nella neve utilizzando ciambelle come slittini, e una pista illuminata per lo sci alpino serale. Il territorio si lascia scoprire anche a tavola, con i piatti tipici della cucina regionale come gli strangolapreti lucani, i cutturiddi, spezzatino di agnello insaporito da cipolline, pomodori e alloro, e l’acquasale dei pastori con uova, olio, peperone crusco e cipolla, pane tostato e ricotta grattugiata.
ESCURSIONI E BIRDWATCHING IN ALTURA
Il Monte Volturino, vetta di origine vulcanica che con i suoi 1.835 metri di altezza domina la Val d’Agri, è perfetto per gli sport invernali grazie alle sue piste sciistiche. Sono tre i tracciati del comprensorio – con un dislivello che supera i 400 metri – collegati da una comoda seggiovia e da un moderno skilift. I luoghi del Parco nazionale dell’Appennino lucano sono attrazione anche per gli appassionati dell’hiking, le camminate in montagna, e per i birdwatcher, che qui possono ammirare specie protette come il nibbio reale e il falco pecchiaiolo. Adagiato sul monte Volturino è il borgo di Marsicovetere, conosciuto come il “balcone della valle” per i panorami unici sui pianori della valle del fiume Agri. Anche qui non mancano le specialità della cucina lucana: salumi, tartufo, funghi porcini e la pasta fatta a mano.
SULLE NEVE TRA SILA E ASPROMONTE Sempre lungo le montagne, si può andare dalla Basilicata alla vicina Calabria, che vanta località invernali mozzafiato appena sotto i duemila metri, 13 impianti di risalita e 51 chilometri di piste. Quelle di Camigliatello Silano, in provincia di Cosenza, sono tra le più ricercate. Per chi sceglie lo sci alpino il monte Curcio è la destinazione ideale, con due tracciati che si estendono per più di quattro chilometri. Agli appassionati di fondo il comprensorio offre un lungo itinerario tra boschi e pinete che arriva fino alle più alte vette della Sila.
A pochi chilometri da Camigliatello Silano si trova la stazione sciistica di Pagliara, nella località di Fago del Soldato, unico comprensorio della regione con un percorso illuminato per sciare in notturna. Qui una seggiovia biposto permette di raggiungere la vetta per poi scendere con due percorsi, il primo da slalom, il secondo più semplice.
Lorica, la “perla della Sila” con i suoi paesaggi naturali e incontaminati, dista invece due chilometri dalla cestovia di Botte Donato. Per un’escursione notturna sul gatto delle nevi bisogna spostarsi sul vicino monte Gariglio -
ne, attrezzato con un impianto di risalita che permette di lanciarsi lungo 20 chilometri di percorsi con diversi gradi di difficoltà. E se si vuole proseguire verso sud, oltre il Pollino, nella zona del Parco nazionale dell’Aspromonte, Gambarie è una delle stazioni sciistiche più suggestive con una vista panoramica sul mare che si spinge fino alle isole Eolie. aptbasilicata.it pollinosci.it skisellata.it montesirinosci.it
UN TOUR LUNGO LE SPONDE DEL GARDA PER SCOPRIRNE LA BELLEZZA INEDITA. TRA STORIA, LEGGENDE E PROGETTI CHE VALORIZZANO ANTICHE TRADIZIONI DEL TERRITORIO di Giuliano Compagno
Sono parecchi i camminatori che hanno girato il lago di Garda, percorrendo uno o più tratti dei suoi oltre 190 chilometri di riva. Anche se non è un sito facile da attraversare in tondo, perché del Garda, sin da bambini, sappiamo una cosa: che è il più grande.
Da ragazzi invece il lago sembra tornare utile, soprattutto quando ci si innamora. Allora si chiede aiuto a Sirmione, considerata la perla del lago in
provincia di Brescia, e a Gaio Valerio Catullo, che verseggiava per Lesbia non risparmiandosi in lodi e richieste d’attenzione.
In una poesia le domandò 3.300 baci e, non ricevendo risposta, ne pretese ancora proponendole “una perpetua notte senza fine”. Una prospettiva mortifera che non funzionò: lei scomparve. Si saprà dopo che il suo vero nome era Clodia e che Catullo, in quella sontuosa villa di Sirmione a lui erroneamente attribuita per secoli, non aveva mai dimorato. E però i ragazzi, con il primo vero amore, a Sirmione ci andavano lo stesso. I baci magari erano molti meno ma a passeggiare in quella coda di terra – il nome della città deriva probabilmente dalla parola syrma che in greco significa “coda” – ci si emozionava.
Il fatto che vi fosse molto turismo si doveva anche a una circostanza storica. Nel 1954 Sirmione divenne una meta vip: presero a frequentarla industriali come i Marzotto, la famiglia Motta e gli Alemagna e poi la cantante Maria Callas con l’imprenditore Giovanni Battista Meneghini. Ira von Fürstenberg, nobile, attrice e designer, trascorse qui la prima notte di nozze, Mina e il suo compagno, l’attore Corrado Pani, vi si rifugiarono per seminare i fotografi. Insomma, i vip di un tempo si ritrovavano a Sirmione. Sulla sponda orientale del lago, già in provincia di Verona, si trova Lazise, ai cui abitanti Ottone II concesse con diploma imperiale, nel 983 d.C., diritti di commercio, l'uso della riva, l'attracco dei natanti e la pesca. Una completa autonomia civica che la rese a tutti gli effetti il primo Comune d’Italia e, insieme a Bingen, in Germania, d’Europa. Il momento migliore per visitarla è a fine inverno o all’inizio della primavera, quando sui suoi vicoli, sul lungolago e sulle stupende pavimentazioni del centro batte una nuova luce.
Scendendo di nuovo in provincia di Brescia, ci si sposta verso il comune più popoloso del lago: Desenzano, città dove transitano e si fermano ogni anno milioni di persone. Nel 2022 le cifre sono state impressionanti: quasi 8 milioni di
presenze sul Garda, un milione solo a Desenzano. A riferirmelo è Daniela Plodari, assessora al turismo che mira ad allargare gli orizzonti della cittadina e la immagina «aperta al mondo, come merita». Un’idea condivisa con Esterino Caleffi, per 16 anni segretario comunale e saggia memoria storica di Desenzano, convinto del fatto che
il futuro porterà con sé molti cambiamenti per gli abitanti del luogo. D’altronde, girare la cittadina riserva già ora molte sorprese. In rada galleggiano due bellissime imbarcazioni d’epoca: un dragamine del 1907 e la motonave Zanardelli Italia del 1903. Alla biblioteca comunale Angelo Anelli, che ha sede in Villa Bruna-
ti, incontro il vicedirettore Roberto Roccuzzo, pronto ad accogliermi con gentilezza tra i libri. Qui scopro che il lago gelò una volta sola, nel 1709, durante un’ondata di freddo che colpì tutta l’Europa. Leggo delle tragiche pestilenze, e storie di figure caratteristiche e romantiche come il Bianca, uomo di porto che conosceva tutti e
che un mattino di febbraio del 1970 disse a un amico: «Oggi mi succede qualcosa di buffo, mi manca il respiro…». E morì poco dopo.
Finché la mia attenzione non viene catturata da una tela di Edgar Degas.
S’intitola La famiglia Bellelli. In posa ci sono il barone napoletano Gennaro Bellelli, sua moglie Laurie Degas e le due figliolette, ritratti a Firenze durante un soggiorno del giovane artista.
Laurie, infatti, è la zia diretta del pittore e io incontro due suoi discendenti:
Armando e Maria Cristina Bellelli. Fratello e sorella originari di Desenzano, lui è un noto storico del territorio, lei una chef. Ci sediamo sulla Pietra dei falliti, eretta a luogo di pena nel 1555 per i falliti dolosi: Armando mi racconta la storia della statua di Sant’Angela Merici in piazza Malvezzi, patrona della cittadina, e del famoso Reparto alta velocità, istituito per l’addestramento dei piloti velocisti dell’aeronautica, tra cui il maresciallo Francesco Agello che il 23 ottobre 1934 raggiunse i 709 chilometri all'ora su un idrovolante aggiudicandosi un primato mondiale.
Nel chiostro di Santa Maria de Senioribus, i due fratelli raccontano dei catari, eretici che invocavano la semplicità spirituale (catharus in latino significava puro) e avversavano le ricchezze ecclesiastiche. Nel ‘200 giunsero dalla Francia e dimorarono proprio a Desenzano. Maria Cristina è stata intervistata più volte perché ha avuto da poco l’idea di riscoprire e preparare le pietanze catare. Il 16 marzo, in coincidenza con la caduta della Montségur, castello cataro assediato nel 1244, al Caffè città avrà inizio il format Cene eretiche, che prevede un evento al mese. Maria Cristina preparerà il risotto al cavolo rosso e il Sisàm, ricetta a base di minutaglie di pesce lacustre trattate in olio e aceto con un tocco di cipolla. E tanto pane ad accompagnare, come il rito cataro pretende. «Unire la storia alla gastronomia era il mio grande desiderio. Proporre un piatto tanti secoli dopo la sua creazione mi fa sentire ancora di più figlia di Desenzano». Il lago e la sua brezza. Quanti misteri, come le luci ambrate, sulle acque del Garda.
UN ITINERARIO AROMATICO LUNGO LA PENISOLA ALLA SCOPERTA
DI PIANTE SPONTANEE, RADICI E BACCHE. USATE PER REALIZZARE
INFUSI CHE OGGI ACCOMPAGNANO I PIATTI SALATI CON LA STESSA
DIGNITÀ DI UN CALICE DI VINO
di Marco Gemelli - a cura di vdgmagazine.it
Si sa che uno dei motivi principali per mettersi in viaggio alla scoperta dell’Italia è assaggiarne le specialità tipiche. Il Paese conta quasi 320 prodotti a denominazione protetta, tra Dop, Igp e Stg (Specialità tradizionale garantita) ma oltre a verdure, legumi, insaccati e formaggi esiste una nicchia tutta da scoprire. Nell’ampio panorama della biodiversità italiana, infatti, si considera poco il mondo delle piante erbacee e aromatiche utilizzate per la preparazione dei cibi ma anche per produrre tè, tisane e infusi.
Sono molte quelle che crescono spontaneamente nel nostro Paese caratterizzando diverse realtà territoriali. Dal finocchietto al prugnolo selvatico,
dalla maggiorana alla camomilla, alcune sono comuni quasi dovunque: è facile trovarle nelle campagne e vengono regolarmente usate in cucina. Altre, invece, sono legate ad alcuni territori specifici e possono diventare protagoniste di un itinerario aromatico lungo la Penisola. Basti pensare al pregiato ginepro della Toscana, alla base di circa la metà dei migliori gin mondiali, che si può raccogliere in autunno dalla costa fino a un’altitudine di 1.500 metri. Le bacche si trovano nella provincia di Arezzo, Siena e Firenze, sulla costa maremmana e perfino nell’arcipelago toscano: nelle isole di Giannutri, Pianosa e all'Elba. Le si può trovare nel Chianti, in un tragitto che porta da una cantina all’altra, tra le
colline punteggiate a vigneti, oppure lungo un itinerario che da Sansepolcro – patria del pittore Piero della Francesca – guarda a Cortona e al suo retaggio etrusco. Discorso analogo per il mirto sardo, che cresce lungo le zone litoranee dell'isola: dalle grotte di Nettuno ad Alghero fino alla spiaggia del Poetto a Cagliari, è facile imbattersi nelle tipiche bacche blu usate per aromatizzare i piatti e produrre il noto liquore.
Il pino mugo che punteggia i paesaggi montani è tipico di diverse regioni settentrionali: lo si può trovare tra i boschi di Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia e Trentino, solitamente a un’altitudine compresa tra i mille e i 2.700 metri.
Allo stesso modo, i più famosi campi di lavanda dell'arco alpino e appenninico sono protagonisti di vari itinerari tra nord e centro Italia. Le distese viola si possono ammirare intorno a fine giugno soprattutto in provincia di Cuneo, nel tratto da Sale San Giovanni a Valle Stura di Demonte: chi volesse fare un salto nella zona può mettere in programma anche una visita all'antico acquedotto in pietra di Aisone e alla torre civica medievale di Borgo San Dalmazzo. I campi di lavanda si trovano anche sul percorso dell’antica Via del Sale, che dalla Lombardia porta fino alla Liguria, in particolare nell'Oltrepò Pavese, nei dintorni di Godiasco Salice Terme, borgo caratterizzato dall’elegante Palazzo Malaspina. Ma anche in Veneto, vicino a Porto Tolle, nella provincia di Rovigo, non lontano dal delta del fiume Po. Questa specie è protagonista anche in Emilia-Romagna a Casola Valsenio, località del Ravennate nota anche come il paese delle erbe per la grande varietà di piante aromatiche e officinali coltivate nel suo Giardino botanico. Nella zona, valgono la visita la Rocca di Monte Battaglia, con i ruderi di un’antica torre di vedetta, e l’abbazia di Valsenio, fondata dai monaci benedettini attorno all'anno Mille. Infine, d’estate la lavanda circonda anche Assisi, in Umbria, contribuendo all'atmosfera mistica della cittadina
di San Francesco, mentre a Tuscania, nel Lazio, punteggia le necropoli etrusche sul colle di San Pietro.
Un itinerario aromatico può far tappa anche in Abruzzo, alla scoperta dello zafferano che tra ottobre e novembre fiorisce sull’altopiano di Navelli, nella provincia dell'Aquila, inserito nella lista dei Borghi più belli d'Italia per il suo centro storico che racchiude angoli di storia contadina.
L’origano tipico delle regioni meridionali si trova invece praticamente ovun-
que durante tutto l'anno, ma le zone più suggestive da visitare – spesso lontane dal turismo di massa – comprendono l'area cosentina (dove è consigliabile una sosta tra i vicoli della città vecchia), il paese di Aragona nell'agrigentino e il piccolo comune di Prizzi nel palermitano. Sempre al sud, si può andare alla scoperta della liquirizia calabrese, caratteristica delle zone di Corigliano e Rossano, in provincia di Cosenza, dove a questa pianta è dedicato anche un museo.
La nuova frontiera del mondo gourmet è usare le erbe per realizzare bevande rilassanti o depurative da abbinare non solo con piatti dolci ma anche con specialità salate. A guidarci alla scoperta delle accoppiate più particolari è Gabriele Bianchi, uno dei pochi sommelier del tè italiani, eletto da Forbes tra i giovani under 35 più influenti nel campo del food. «Se ci ispiriamo all'India, possiamo portare in tavola un mix di spezie chiamato karha e realizzato con zenzero, cardamomo, anice stellato, chiodi di garofano, cannella, finocchio e pepe. Perfetto per una merenda pomeridiana con dolcetti e biscotti secchi», spiega il professionista e influencer toscano. Il pomeriggio è anche il momento migliore per assaggiare il tè matcha giapponese, in abbinamento al cioccolato.
Ma la tendenza sempre più in voga è abbinare tè, tisane, infusi e succhi di frutta ai piatti salati. «Se il tè rosa Kashmiri Chai del Pakistan si lega a un piatto di gnocchi alle rape rosse, cercando tra le erbe made in Italy possiamo azzardare un infuso al prugnolo selvatico dell'Appennino modenese preparato in sei minuti d’infusione a 80°, in abbinamento a un piccione cotto a bassa temperatura, anche perché entrambi hanno un sentore di ferro nella parte di retrogusto olfattiva».
Ma sono tanti gli esempi gourmet che vedono gli infusi protagonisti a tavola. «È
il caso dei bottoni ai grani antichi ripieni alle sarde e il loro brodetto, con polvere di sfincione, preparati da Giuseppe Germanà. L’executive chef del relais Villa San Martino, a Martina Franca, li abbina a una tisana con liquirizia e finocchio che ripulisce il palato spingendo ancor di più il gusto delle sarde. In alternativa, si può provare il fagotto di barbabietola con tartare di scottona, zabaione salato, caviale beluga e mayo al wasabi abbinato a un tè nero Assam». Questo pairing, conclude Bianchi, può essere valorizzato anche servendo infusi o tè in un calice, perché il cliente possa più facilmente essere portato a comportarsi come se avesse davanti un bicchiere di vino.
di Osvaldo Bevilacqua [Direttore editoriale Vdgmagazine.it e ambasciatore dei Borghi più belli d’Italia]
A VICO DEL GARGANO, BORGO MILLENARIO IN PROVINCIA DI FOGGIA. TRA VICOLI SCOLPITI, RITI D’AMORE E SAPORI AUTENTICI
Tra le città dove il 14 febbraio si festeggia San Valentino c’è un gioiellino della stupenda costa pugliese. Il suo nome è Vico del Gargano, si trova in provincia di Foggia e rientra nell’elenco dei Borghi più belli d’Italia. Definita “città dell’amore”, è una meta privilegiata anche in questo periodo dell’anno, soprattutto dagli ospiti stranieri che amano il mare d’inverno e vogliono godersi la rinomata costa del Gargano e i suoi fantastici tesori. Tra questi spicca San Menaio, un piccolo villaggio di pescatori a pochi chilometri da Vico, famoso per il suo splendido scenario marino, le accoglienti spiagge e una vegetazione ricca di pinete e aranceti.
Singolare è la tradizione che ha reso Vico del Gargano la destinazione degli innamorati: nel giorno di San Valentino, le coppie assaggiano il succo delle arance benedette come rito propiziatorio e si scambiano promesse d’amore nel suggestivo vicolo del Bacio, viuzza di soli 50 centimetri di larghezza. Dal 1618 le reliquie di San Valentino, patrono della città e dei suoi giardini d’aranci i cui frutti hanno ottenuto la certificazione Igp, si trovano nella Collegiata dell’Assunta e vengono portate in processione per le vie del paese in occasione della ricorrenza.
Vico del Gargano sorge in un punto strategico, a sei chilometri dal mare e a circa dieci dalla spettacolare Foresta Umbra, riserva naturale tutelata dall’Unesco come Patrimonio dell’umanità. La posizione ha contribuito allo sviluppo di una storia millenaria le cui origini oscillano fra storia e leggenda. Secondo alcuni sarebbe l’antica Gargano fondata da Diomede, di certo i primi insediamenti si datano al periodo preromanico (V-IV sec. a.C.). Nasce storicamente quando il capo dei mercenari slavi, che si erano insediati nel paese cacciando i saraceni per conto dei bizantini, ottiene di rimanere nelle terre liberate e di diventarne proprietario. Riunisce così le genti sparse all’interno delle mura provvisorie, dando origine alla primitiva civitas che sarà chiamata Vicus e quindi Vico. Nel secolo XI il Gargano viene conquistato dai normanni che
costruiscono nella città una prima fortezza, un castello che sarà in seguito ampliato dall’imperatore Federico II di Svevia nel 1240.
Scolpita nella pietra di Monte Sant’Angelo, la stessa con cui sono edificate le sue case, Vico è come un’apparizione in grado di stupire il visitatore tra colline coperte di ulivi, agrumeti e pini d’Aleppo. La prima cosa da fare per godere del territorio è una passeggiata tra i suggestivi vicoli dominati da archetti. Il caratteristico centro storico si snoda lungo tre nuclei, Civita, Terra e Casale, con un pittoresco dedalo di
stradine e antiche abitazioni abbellite con i comignoli che ancora le distinguono. Le più aristocratiche hanno lo stemma di famiglia in pietra sui portali.
Molte le chiese da scoprire: la già citata Collegiata dell’Assunta, con il suo portale in pietra e gli altari interni, fondata su un’altura ai cui fianchi si assiepano le case dei rioni Civita e Casale, quella di San Giuseppe nel quartiere Terra che custodisce la statua lignea del Cristo morto e la chiesa di San Marco situata fuori le mura risalente alla metà del 1300.
Da non perdere i caratteristici trappéti: ricavati sotto le abitazioni come luoghi di molitura delle olive, sono i testimoni muti delle fatiche della scomparsa civiltà contadina. Al Museo trappeto Maratea, che ha sede in un frantoio risalente al XIV secolo, è possibile approfondire questo aspetto della cultura locale. Fuori le mura, meritano una visita la chiesa di Santa Maria degli Angeli con il Convento dei cappuccini, ricca di opere d'arte, e quella di San Pietro sul Monte Tabor, dalla lunga storia.
Numerose le tradizioni locali. Sicuramente la più sentita e partecipata è quella relativa ai riti della Settimana santa, il momento religioso più coinvolgente della liturgia cristiana: le confraternite sfilano già dal primo mattino, visitano le chiese e, in processione, sono accompagnate dal melodioso canto del Miserere. Nel pomeriggio del Venerdì santo si celebrano le tre ore di agonia nella chiesa del Purgatorio, al termine delle quali le confraternite raggiungono la zona che simboleggia il Golgota, il rione Carmine, dove sono posizionate le Cinque croci che rappresentano le cinque piaghe sofferte da Gesù durante la crocifissione.
Dal sacro al profano, è d’obbligo assaggiare i piatti della cucina tradizionale come d’acquasel p d’ov, l’insalata di agrumi e finocchi, gli strascinati ricotta, noci e borragine. Tra tutti occupa un posto d’onore la secolare Paposcia di Vico del Gargano, che ha ottenuto il riconoscimento di Denominazione comunale (De.Co). Si tratta di un prodotto da forno senza mollica le cui prime testimonianze risalgono al XVI secolo. Di forma allungata, ri-
corda la classica calzatura orientale, la paposcia, dall’arabo “babusc”, babbuccia, cioè ciabatta. Chiamata anche pizza schett o pizza a vamp, perché
viene cotta con la fiamma del forno a legna. Può essere farcita anche se anticamente veniva condita solo con formaggio locale grattugiato e olio evo.
Un piatto che nasce dalla terra, tramandato per generazioni con l’orgoglio di chi è sopravvissuto alla povertà in tempi lontanissimi. La colazione dei pastori e dei contadini garganici viene interpretata dal giovane chef Leonardo Del Viscio, di Vico del Gargano, che l’ha riproposta senza filtri, esattamente come la faceva suo nonno quando, già all’alba, inondava la casa di un invitante profumo del cibo che avrebbe portato sui campi.
Si fa un leggero soffritto di olio extravergine, aglio con il suo velo e sponsali, cioè i cipollotti, come li chiamano in Puglia, patate a tocchetti con la buccia, pomodorini interi, acqua e sale. Si aggiungono cime di rapa o altre verdure solo nella versione elitaria. A fine cottura unire le uova in camicia e disporre il composto fumante sul pane raffermo abbrustolito. Non può mancare un giro di olio locale a crudo e il piatto in terracotta, di antica manifattura pugliese.
di Peppone Calabrese PepponeCalabrese peppone_calabrese [Conduttore Rai1, oste e gastronomo]
Ho una puntata di Lineverde in programma vicino a Reggio Calabria. Voglio prendermela con calma, arrivare un giorno prima per godermi il paesaggio e, magari, fermarmi a pranzo da qualche parte.
Decido quindi di non imboccare l’autostrada ma la Statale
18 Tirrena inferiore, che percorre la costa tirrenica lungo la direttrice Napoli-Reggio Calabria.
Resto affascinato dai paesaggi e dai cartelli che si susseguono a indicare i vari Paesi: è come se ognuno di loro volesse comunicarmi qualcosa. Sento forte la responsabilità di dare una speranza a queste piccole comunità.
Sotto un’indicazione stradale vedo il cartello: terra di violetta.
Metto la freccia a destra e lascio la statale. Noto subito una serie di attività commerciali e, dinnanzi a me, il palazzo della stazione ferroviaria di questa cittadina in provincia di Cosenza. Ho necessità di sgranchirmi un po’ le ossa e così deciso di fermarmi proprio qui, circondato dall’effetto sonoro di un treno in corsa. Poi chiedo informazioni sul centro
storico e mi rimetto in macchina per raggiungere la parte alta del paese.
Percorro una strada in salita, a tornanti degradanti verso il mare, tra una folta vegetazione e, finalmente, intravedo il cuore di Longobardi, con vie strette e scalini. La storia di questo paese è segnata appunto dall’arrivo dei longobardi, una stirpe di origine nordica composta da guerrieri e uomini dalle lunghe barbe o alabarde, nelle ultime propaggini dell’Italia peninsulare.
Ho bisogno di fare colazione, entro in un bar e, mentre mi godo cappuccino e cornetto, vengo colpito da un poster con un’immagine del centro storico e una frase attribuita a monsignore Francesco Miceli: «Poche case abbarbicate come gramigna, su di un contrafforte di Monte Cocuzzo, con la strada principale, la via Indipendenza, di vecchio sa-
pore carbonaro, posta a tale dislivello per cui quando nevica ai “cavi”, il quartiere più alto, spesso fa buon tempo ai “pioppi”, il rione più basso». Esco dal bar e, vicino al monumento dedicato ai caduti nelle guerre, vedo un gruppo di persone che discute animatamente. Divento curioso, anche perché non mi sembra che si parli di calcio, e mi imbatto in una discussione importante: si organizza la ruzzola del formaggio e si sta ricordando quando, il 12 aprile 2015, nel territorio longobardese si svolse il campionato italiano individuale di questo antico gioco carnascialesco che prevede il lancio di un disco di legno attaccato a uno spago.
Il gruppo è talmente impegnato che non si accorge neppure della presenza di uno “straniero”. Io penso a quanto sia bello e importante preservare
i nostri paesi e le nostre tradizioni, le chiacchiere davanti al bar e l’incontro con l’altro come fonte inesauribile di felicità. A un certo punto vengo chiamato in causa. Così mi presento e chiedo a tutti cosa devo assolutamente assaggiare a Longobardi. La risposta è secca: «A milingiana violetta». E uno di loro aggiunge: «Guarda lì, c’è Francesco, chiedi a lui». Vado incontro a questo ragazzo e chiedo informazioni sulla “milingiana”. Iniziamo a percorrere via Indipendenza e capisco subito che non vede l’ora di portarmi da qualche parte. Ma appena cito la violetta di Longobardi gli brillano gli occhi: «È la melanzana più buona del mondo. Viene coltivata solo in questo territorio e il suo sapore è unico. È dolcissima, ha tanta polpa e pochi semi. Ha una pelle lucidissima, è l’unica melanzana al mondo che
può essere utilizzata con la buccia e non va mai messa sotto sale. Insomma, si può usare integralmente per una commovente parmigiana o una preparazione sott’olio, fino all’essiccazione, al patè, alla confettura o addirittura al candito». Da come ne parla sembra davvero una specialità e io sono sempre più curioso. Chiedo allora a Francesco come si stanno organizzando per la vendita e lui mi spiega che, a supporto delle piccole produzioni domestiche, è nata una cooperativa formata da ragazze e ragazzi – alcuni tornati a vivere qui dopo esperienze lavorative al Nord o all’estero – che hanno deciso di mettersi insieme per produrre questa melanzana e diffonderne la bontà. Per ora viene coltivata in campo e, quindi, il periodo del raccolto va da maggio o giugno fino a ottobre ma
si arriva addirittura a dicembre. La passeggiata è piacevole, tra palazzi storici con torri, la casa natale di San Nicola da Longobardi e la chiesa barocca di Santa Domenica, dove si possono contemplare un magnifico portale e la pala d’altare del pittore napoletano Nicola Menzele che ritrae l’Ultima cena, datata 1777. Ci fermiamo un attimo perché Francesco ci tiene a mostrarmi il teatro comunale e io sono felice di constatare che un luogo culturale simbolo dell’evoluzione sociale e umana sia attivo anche in un paese così piccolo.
Poi gli chiedo se è felice. «Faccio un lavoro che mi piace e non mi sento mai stanco», risponde. E mi racconta che 13 anni fa decise di rilevare uno dei due bar del centro storico, una di quelle attività che, nei piccoli centri, è un vero e proprio servizio pubblico per i cittadini: «Da una costola del bar dello sport ho fatto nascere quello che mi stava più a cuore, una degu-
steria dove offriamo dei percorsi pensati seguendo rigorosamente l’ordine delle stagioni. Nelle proposte c’è tantissima calabresità, ma la nostra curiosità va oltre quindi offriamo prodotti tipici da tutta Italia. Perché io sono un fautore del chilometro giusto più che del chilometro zero».
Gli chiedo se cucina anche lui e mi precisa che a farlo è sua moglie Giovanna, anche se nasce da un altro tipo di formazione: «È laureata in Lettere, lavorava come correttrice di bozze per una casa editrice e collaborava con l’Università della Calabria. Poi, a un certo punto, ha lasciato tutto per tuffarsi in quello che, quando ha iniziato, era un nuovo mondo e ora è un pilastro della nostra attività».
So quanti sacrifici si fanno in questo lavoro per far quadrare i conti e allora gli chiedo perché ha scelto di aprire la degusteria Magnatum nel centro storico di Longobardi e non a Cosenza, per esempio. «Perché io sono nato
qui e in questa città mi sento al centro del mondo. Riuscire a fare impresa in una zona simile vale almeno il doppio. Longobardi ha 2.300 abitanti sulla carta e solo 1.600 reali ed è stato vittima dello spopolamento. Il centro storico, che un tempo era il cuore pulsante del comune, oggi è il meno abitato: ci vivono solo 50 abitanti», risponde. Aprire un locale altrove, probabilmente, sarebbe stato più facile. «Ma noi riusciamo comunque a lavorare 12 mesi all’anno, attraendo visitatori da tutta Italia, e il passaparola degli ospiti ci ha aiutati tanto. Insomma, da un luogo che conta solo 16 sedie riusciamo a parlare al mondo. E con orgoglio ti dico che da quando abbiamo aperto, lavorando con testa e braccia insieme ai miei collaboratori, siamo diventati il cuore pulsante del centro». È arrivato il momento di assaggiare qualcosa. Partiamo da una pasta alla calabrisella per poi assaggiare l’arancina rivisitata e una crostata buonissima. Comincia ad arrivare gente, prima un ragazzo che produce una bibita, poi il titolare di un’azienda che lavora il tonno. Iniziamo a parlare e mi dicono che in paese ci sono panifici, ristoranti, pizzerie, un caseificio, un laboratorio per lavorare il ferro battuto e sta per nascere una nuova cantina. Insomma, un corposo comitato di accoglienza. Francesco mi guarda felice e mi dice: «Te l’ho detto, basta crederci e metterci impegno e senza andare via da questi luoghi ci si ritrova al centro del mondo. Un giorno lo capiranno tutti».
di Padre Enzo Fortunato padre.enzo.fortunato padrenzo padreenzofortunato [Giornalista e scrittore]
A SAN DAMIANO, NELLA CAMPAGNA DI ASSISI, DOVE FRANCESCO
UDÌ LA VOCE DI CRISTO E COMPOSE IL CANTICO DELLE CREATURE
Da un po’ di tempo Roberto Benigni mancava dalla televisione. Dopo la declamazione, negli anni scorsi, della Divina commedia e della Costituzione italiana è stato il turno, a gennaio, del Cantico delle creature di San Francesco. E l’attore non si è fermato qui: ha incontrato Bergoglio per presentargli la nuova lettura scelta. Perché Francesco è anche il papa dell’enciclica Laudato si’, che prende in prestito le prime battute del Cantico pensato dal santo da cui ha preso il nome. È questa l’occasione per offrire ancora una volta a chi legge le parole dell’assisiate e far conoscere il luogo dove Francesco scrisse la sua invocazione: il convento di San Damiano, in cui Chiara e le consorelle vissero poi in clausura. In questo luogo Francesco sperimentò, nei primi tempi della sua conversione, una forte esperienza interiore. Fermatosi a pregare davanti all’immagine del crocifisso, udì una voce che gli parlava nell’intimo e gli chiedeva di riparare la sua casa. Così esortato, il santo si dedicò al restauro della chiesa. «La prima opera cui Francesco pose mano, appena libero dal giogo del padre terreno, fu di riedificare un tempio al Signore. Non pensa di costruirne uno nuovo, ma restaura una chiesa antica e diroccata; non scalza le fondamenta, ma edifica su di esse, lasciandone così, senza saperlo il primato a Cristo», raccontano i biografi.
In questo luogo di forte ispirazione compose anche il Cantico delle creature, un testo che – contrariamente a quanto si possa immaginare – nacque in circostanze umanamente non facili. Intorno al 1225, verso la fine della propria esistenza, Francesco si fermò a San Damiano circa 50 giorni, in preda ad atroci sofferenze. Una notte, ormai allo stremo, invocò il soccorso del Signore e si sentì rispondere: «Fratello, rallegrati e gioisci di cuore nelle tue infermità». Il mattino seguente cominciò a comporre il Cantico San Damiano fu anche una delle tappe che i compagni di Francesco toccarono in seguito alla sua morte, nel percorso verso la cappella della Porziuncola: «Quando giunsero al luogo dove egli aveva fondato l'ordine religioso delle Sacre vergini e Donne povere, deposero il sacro corpo nella chiesa di San Damiano […]. Ed ecco, donna Chiara, che era veramente chiara per ricchezza di meriti, prima madre di tutte le altre, perché era stata la prima pianticella di quella religiosa famiglia, viene con le figlie a vedere il Padre che più non parla con loro e non ritornerà più tra loro, perché se ne va altrove».
Il convento, inoltre, è un luogo adatto per riconciliarsi con la natura e anche per questo vale una visita. Sorge appena fuori Assisi, a un paio di chilometri dalle mura urbiche, in un locus amoenus dominato da campi, oliveti e alcune case. L’architettura si apre con un portico che precede la chiesa; alla sua destra la Cappella di San Girolamo, con affreschi di Tiberio d’Assisi risalenti al ‘500. All’interno, si trova un’unica navata decorata con pitture dell’inizio del XIV secolo e sull’altare maggiore spicca il crocifisso, che però è una copia dell’originale conservato a Santa Chiara. Sul lato destro, attraverso un vestibolo con la Crocifissione di Pier Antonio Mezzastris del 1482, si passa nel giardino di Santa Chiara e in altri ambienti. Nel chiostro sono visibili affreschi di Eusebio da San Giorgio risalenti al 1507: San Francesco riceve le stimmate e Annunciazione. Il refettorio presenta dipinti, purtroppo mal conservati, di Dono Doni: l’episodio del crocifisso parlante e Santa Chiara che benedice il pane su esortazione di Papa Gregorio IX, tracciandovi sopra il segno della croce.
La cornice naturale di San Damia-
no suggerisce anche una riflessione su quanto Francesco fosse attento all’ambiente, un tema caldo e molto attuale. Giovanni Paolo II proclamò il Poverello patrono dei cultori dell’ecologia, poiché spiccava tra i santi e altre grandi personalità che avevano «percepito gli elementi della natura come uno splendido dono di Dio agli uomini» e contemplato «in modo singolare le opere del Creatore». Tutto iniziò dal momento della sua conversione quando, dopo un travaglio durato anni, giunse alla decisione di abbandonare i valori perseguiti dal mondo – che fino all’età di 24 anni erano stati anche i suoi – per riscoprire la bontà e la paternità di Dio. La realtà acquistò così un senso diverso. I poveri gli manifestarono il volto di Cristo, i nemici si trasformarono in uomini da amare. Ma, soprattutto, gli animali divennero i suoi fratelli più piccoli e il creato si rivelò ai suoi occhi come l’orma del Creatore. E allora si convinse che non solo gli uomini e le donne fossero chiamati alla lode di Dio, ma tutta la creazione: persone, animali, piante, vento, acqua, fuoco, astri celesti e ogni altra creatura inanimata.
IN BILICO TRA SOFFERENZA E SPERANZA, MACERIE E VOGLIA
DI RICOSTRUZIONE. UN OPERATORE UMANITARIO RACCONTA
L’UCRAINA A UN ANNO DALLA GUERRA Testo e
Interi quartieri sventrati, edifici distrutti, scuole abbandonate, ponti e strade bombardate. Tutto intorno, nei campi che una volta venivano coltivati, le mine disseminate a migliaia sono una incognita che non permette passi falsi.
Oltre alla devastazione materiale, negli occhi delle persone si leggono riflessi, ancora vivi, i traumi vissuti e le perdite sofferte. Da Kharkiv a Lviv, viaggiando da est a ovest del Paese, sono evidenti gli effetti di una guerra che è cominciata il 24 febbraio di un anno fa e la cui fine sembra ancora lontana. Quando saranno cessate le bombe, al Paese serviranno comunque molti anni e soldi per tornare a una situazione di normalità. E ancor di più servirà alla popolazione ucraina per rimarginare le cicatrici più intime e profonde. Forse i due popoli una volta fratelli, quello
russo e quello ucraino, non si riconosceranno più come simili e intere generazioni si dovranno alternare perché il tempo possa curare i danni provocati dal conflitto.
Ma la guerra è ancora in corso e in questo scenario è ancora più incredibile vedere la forza e i sorrisi di donne, bambini, anziani: famiglie intere che una vita, nonostante tutto, la stanno costruendo. Gli effetti catastrofici di una guerra, infatti, possono far tirar fuori alle persone una capacità di resilienza e di resistenza mai conosciuta prima.
È anche su queste capacità che si basa il lavoro svolto dalle organizzazioni umanitarie che operano nel Paese. Dall’inizio della guerra, in Ucraina si è attivato un movimento generale di aiuto e sostegno alle popolazioni colpite dal conflitto. Sia nei confronti di chi fug-
giva per cercare riparo e salvezza all’estero sia verso chi restava, affrontando difficoltà crescenti. A oggi sono quasi un centinaio le organizzazioni umanitarie internazionali impegnate in progetti d'emergenza in Ucraina. Fra queste 15 italiane tra cui WeWorld, organizzazione indipendente impegnata da 50 anni a garantire i diritti di donne e bambini in 27 Paesi. L’Ong opera in quattro regioni – Lviv, Kyiv, Kharkiv e Odessa – portando aiuti alle popolazioni sfollate nel sud e nell’ovest, alle famiglie colpite dal conflitto a nord della capitale e alle popolazioni liberate nelle aree rurali dell’est. Oltre ai beni di prima necessità e ai kit per l’inverno, WeWorld offre sostegno economico e supporto psicosociale a donne e bambini, accompagnandoli in un percorso di ricostruzione materiale ed emozionale. weworld.it
Il mercato all’esterno della metropolitana di Kharkiv è stato completamente distrutto dai bombardamenti e dall’assedio, durato fino a metà settembre del 2022
Una famiglia gioca a dama all’interno di uno studentato adibito a centro di accoglienza a Drohobyč, nelle campagne di Leopoli
Prima dell’inizio della guerra il distretto di Saltivka, a est di Kharkiv, era il piu popoloso: ospitava circa 400mila persone. È stato il primo a essere colpito dalle cannonate dell’esercito russo
Un allievo della sezione di taekwondo del liceo #3 di Irpin. Insieme al maestro Oleh, lui e i compagni hanno riabilitato uno spazio tra le macerie della scuola e continuano ad allenarsi perseguendo il sogno olimpico
* Filippo Mancini è un operatore umanitario che da oltre dieci anni lavora in aree di conflitto o di crisi umanitarie. Fa base a Kyiv e oggi è Rappresentante Paese di WeWorld in Ucraina.
INAUGURATO NEL 2019, IL MUSEO DI ARTE CONTEMPORANEA DI TERMOLI È GIÀ UNO DEI PIÙ VIRTUOSI MODELLI NAZIONALI DI COLLABORAZIONE PUBBLICO-PRIVATO PER INCLUSIVITÀ, RIGENERAZIONE SOCIALE E QUALITÀ ARTISTICA di Cesare Biasini Selvaggi - cesarebiasini@gmail.com
Il Museo di arte contemporanea di Termoli (Macte) è un segno tangibile di un Molise (e forse di un Paese) che vuole voltare pagina a partire da fatti concreti. Un’occasione per trasformare, in un cantiere di innovazione sociale ed economica a base culturale, una regione che da troppo tempo si sta spopolando di giovani e che, per le sue caratteristiche morfologiche, si presenta inadatta a ospitare le tradizionali infrastrutture necessarie allo sviluppo industriale e occupazionale.
È la dimostrazione che, se non tutto, molto si può fare attraverso la passione autentica e la bellezza. Con l’aggiunta di una buona dose di coraggio, olio di gomito e sano ottimismo. Sono gli ingredienti che permettono ai sogni di diventare realtà. Come nel caso di Paolo De Matteis Larivera, imprenditore self-made man innamorato della propria regione e in particolare del suo paese, Termoli. È qui che, verso la fine del 2018, l’amministrazione locale pubblica una manifestazione di interesse per individuare un partner che costituisca una fondazione mista "a trazione privata" a cui affidare la gestione e la valorizzazione del futuro museo di arte contemporanea. Un luogo che avrebbe conservato la collezione della città: circa 500 opere, per la maggior parte derivanti dalle acquisizioni avvenute negli anni attraverso il Premio Termoli, uno dei più longevi d’Italia con le sue 62 edizioni a partire dalla metà degli anni ‘50. Un patrimonio sorprendente, in gran parte dipinti su tela, ma anche sculture, scelti da una giuria composta da critici del calibro di Giulio Carlo Argan, Filiberto Menna,
Palma Bucarelli, e realizzati da artisti come Carla Accardi, Mirella Bentivoglio, Dadamaino, Tomaso Binga (pseudonimo maschile di Bianca Pucciarelli Menna), Tano Festa, Achille Perilli, Gastone Novelli, Mario Schifano, Giulio Turcato, Giuseppe Uncini.
De Matteis Larivera decide di manifestare l'interesse all’iniziativa, che prevede essenzialmente un apporto di capitale necessario alla gestione. Il giovane imprenditore, infatti, crede fermamente che l’evidente sperequazione tra le risorse economiche disponibili e i bisogni sociali candidi il Molise a rappresentare il laboratorio ideale per la pratica di nuovi e alternativi modelli di sviluppo socio-economi-
co. Così, a inizio 2019, in via Giappone, una zona nuova importante per lo sviluppo della città, vede la luce il Macte nella sua configurazione “a trazione privata”, dove cioè gli indirizzi di gestione provengono dall'investitore che partecipa alla sostenibilità finanziaria dell’istituzione. «È stata per me l’occasione di contribuire, nel mio piccolo e a livello locale, a sviluppare un modello di gestione del bene culturale e del servizio pubblico che ambisce a produrre ricadute positive sul territorio rispettando il paradigma del “secondo welfare”. Avrei potuto sostenere altre iniziative, ma il Macte ha rappresentato per me il luogo ideale nel quale riuscire a dimostrare come l’investimento socio-economi-
co che avviene al di fuori del finanziamento pubblico non solo possa essere protetto ma sia sicuramente foriero di vantaggi per la collettività se accompagnato da logiche aziendali e imprenditoriali», mi confida Paolo nella sua qualità di orgoglioso co-fondatore e presidente del museo. E ne ha ben donde. Con il suo contributo personale di circa 250mila euro su base annua, un organico di soli tre dipendenti, un concorso pubblico (nonostante la natura privata dell’istituzione non lo richiedesse) realmente trasparente che ha portato Caterina Riva alla direzione artistica, in poco meno di quattro anni il Macte ha conquistato una meritata visibilità e autorevolezza nazionale. Un plauso va attribuito anche all’amministrazione comunale che, al di là dei colori politici che si sono succeduti, sostiene il progetto con il comodato d’uso della collezione di opere d’arte del Premio Termoli e del fabbricato nel quale l’attività si svolge. Uno dei modelli di sostenibilità economica per la cultura pubblica più avanzati ed efficienti d’Italia. «Ciò dimostra
che si può fare cultura anche nella provincia più svantaggiata e che un ritorno al policentrismo culturale, che ha contribuito ad affermare nei secoli la vera ossatura identitaria del nostro Paese, sia effettivamente possibile», prosegue De Matteis Larivera. «Un museo rappresenta sempre il punto apicale di un sistema dell’arte contemporanea sul quale insistono gallerie, artisti, accademie. A oggi, il Macte si colloca in un territorio in cui tutto questo “indotto” non si è ancora sviluppato. Il mio auspicio è che invece tutto ciò possa strutturarsi, radicarsi e, soprattutto, ispirarsi con coerenza alla nostra esperienza».
Se il Macte riesce a soffiare forte il vento del cambiamento a Termoli lo si deve anche alla sua direttrice artistica, giunta nel borgo marinaro dopo una lunga esperienza internazionale tra Londra, Nuova Zelanda e Singapore.
«Bisogna pensare al territorio non come a un’entità astratta, ma fatta di persone, luoghi specifici, associazioni che si impegnano a far vi -
vere queste terre. Il museo offre laboratori per bimbi e famiglie, per le scuole e per gruppi di adulti: esempi di una relazione che si rafforza con un’utenza che sta imparando a conoscere cosa fa un museo di arte contemporanea. Il progetto sviluppato a Termoli con l’artista Nico Angiuli, con cui abbiamo vinto il bando PacPiano per l'arte contemporanea promosso dal ministero della Cultura, ha avvicinato tanti talenti locali che hanno collaborato alla costruzione di un’opera collettiva, ora nella nostra collezione ma che può essere anche adottata altrove», mi spiega Caterina mentre la intervisto visitando la sala dedicata alla raffinata mostra personale di Renato Leotta, vero maestro siculo-sabaudo del contemporaneo. Le chiedo cosa l’abbia sorpresa più favorevolmente o sfavorevolmente di questa esperienza a Termoli. «Qui si percepiscono una certa fame e un grande interesse del pubblico: mi sembrano buoni segnali per proseguire. Mentre è triste rendersi conto
di quante persone abbiano dovuto lasciare il Molise in cerca di lavoro. Ma il risvolto positivo è che i giovani di qua, che ora sono a Berlino o a Parma, consigliano ai loro parenti rimasti in zona di visitare il museo». Tanti i progetti in cantiere: il 18 febbraio inaugura, dopo più di due anni di ricerca, la mostra collettiva sub a cura di Michele D’Aurizio, dottorando all’Università della California a Berkeley, che propone una rilettura dell’arte italiana del secondo dopoguerra, includendo le figure che si sono stabilite nel nostro Paese dall’Asia e dal Sud America. Quest’estate, invece, sarà ospitato il 63esimo Premio Termoli, a cura di Cristiana Perrella, che si articolerà nella tradizionale sezione arti visive, su invito, e in una sezione di architettura e design che, con un’open call, aiuterà a immaginare una biblioteca in un’ala del museo. E, ancora, la produzione di nuove opere dell’artista Salvatore Arancio con cui abbiamo vinto di nuovo il bando Pac. Riparto da Termoli pensando a quan -
to il “modello Macte”, in una manciata di anni, sia stato in grado di avviare la trasformazione di mindset e luoghi, produrre conoscenza e competenze, attirare visioni e talenti: il senso di quell’“utopia sostenibile” ritenuta da molti l’unica strada possibile per un domani migliore.
fondazionemacte.com
ALLE TERME DI SAN CASCIANO DEI BAGNI, NEL SENESE, SONO
STATE RITROVATE 20 STATUE DI BRONZO RISALENTI A 2.300
ANNI FA. CHE A MAGGIO SARANNO PROTAGONISTE DI UNA
GRANDE MOSTRA AL QUIRINALE di Francesca Ventre – f.ventre@fsitaliane.it
La notizia è rimbalzata su tutti i media, italiani ed esteri, alla fine del 2022. Ma continua a tenere alta l’attenzione, anche in vista di una mostra annunciata per maggio a Roma, al Quirinale. Si tratta del ritrovamento di oltre 20 statue in bronzo alte decine di centimetri, risalenti a 2.300 anni fa, nelle vasche del complesso termale Bagno Grande, ancora oggi in funzione, vicinissimo a San Casciano dei Bagni, nel Senese. Raffigurano offerenti, anche bambini, e alcune divinità collegate alla medicina che venivano venerate nelle zone termali, di cui gli etruschi e i romani conoscevano i benefici, come la dea della sanità fisica e spirituale Igea e il dio delle arti mediche Apollo.
L’archeologo Jacopo Tabolli dell’Università per stranieri di Siena, direttore del progetto scientifico, ci aiuta a capire la singolarità del ritrovamento, ponendo l’attenzione non solo sull’importanza storica della scoperta e su quanto riesca a raccontare riguardo alla società dell’epoca ma anche sulla sua rilevanza scientifica.
Le statue testimoniano pratiche di devozione che vanno dal III sec. a.C. al IV d.C. Tabolli le definisce come «frammenti che si sono conservati nel fango caldo e scandiscono nel tempo un rito lungo otto secoli. Le terme facevano parte di un santuario probabilmente non dedicato a un dio in particolare ma che vede la presenza di Apollo, Igea e forse Asclepio, il dio della medicina. I veri protagonisti del culto, però, sono i fedeli e i gruppi sociali che qui si recavano. Questo luogo sacro, denominato il Santuario Ritrovato, era motivo, come
in altri casi, di incontri, scambi, contatti e anche sede di una scuola medica. La vera divinità comunque rimane l’acqua, la fonte stessa».
Elemento essenziale per il ritrovamento, visto che proprio l'acqua della sorgente termale, che raggiunge la temperatura di 42 gradi, ha consentito sì la conservazione delle statue, ma è anche causa di alcune difficoltà negli scavi: «L’equilibrio è stato mantenuto dalla terra inzuppata da un flusso di acqua che scorre veloce e inonda l’area. Ma, mentre si lavora, è importante che lo scavo si mantenga asciutto. Gli archeologi devono sempre essere consapevoli delle difficoltà di operare nei singoli casi, visto che qualsiasi contesto si altera appena viene toccato». E basti pensare che ancora oggi si scava vicino alle vasche termali del Bagno Grande, dove le persone si immergono. San Casciano dei Bagni, infatti, si affaccia sulla Val D'Orcia, pa-
trimonio Unesco, con ben 42 sorgenti termali.
Ma quali erano le malattie da cui gli antichi speravano di guarire frequentando le terme? Risponde Tabolli: «L’acqua è un antisettico e un antibatterico utile nel trattamento chirurgico e nelle cure ginecologiche. Le patologie, infatti, riguardano soprattutto gli organi legati alla capacità di generare, come l’utero. Ma tanti altri organi sono rappresentati con gli ex voto. Per esempio, l’orecchio, che indica la preghiera e l’ascolto della divinità, ma è anche oggetto di cura per piccoli fastidi, come i tappi di cerume. E poi non mancano riproduzioni di braccia o gambe che si collegano alle artriti».
E poi lo studioso aggiunge: «Grazie a un’attenta documentazione, si è compreso che non era il singolo fedele a deporre la statua nell’acqua, ma che i bronzi venivano deposti dagli addetti al culto. Il metallo con cui sono costruite, invece, dimostra che si tratta di offerte da parte di persone abbienti, tra l’altro provenienti da città diverse. Il clima culturale è quello di un piccolo santuario di provincia nel territorio di Chiusi, ma profondamente inserito in dinamiche sociali e politiche». Ma i dettagli e le informazioni non finiscono qui. Dentro gli
strati archeologici sono state trovate migliaia di monete e anche tracce organiche, di vegetali, tra cui frutta e viti. «Tanti rami tagliati venivano gettati nell’acqua per un rito, ancora in fase di studio, che aveva l’obiettivo di propiziare il buon ciclo delle stagioni», racconta l’archeologo. Sulle statue in bronzo, inoltre, sono incise alcune scritte sia in etrusco sia in latino: dediche alle divinità per implorare la guarigione o ringraziamento per malattie che sono state curate. Tabolli precisa che queste iscrizioni potranno aggiungere alla conoscenza dell’etrusco i nomi di alcune divinità.
Il ritrovamento che ha avuto un’ampia eco nei mesi scorsi ha meritato, il 25 e 26 gennaio scorso, l’organizzazione, da parte dell'Università per stranieri di Siena, del convegno Dentro il sacro. Multiculturalismo e plurilinguismo. «L’incontro internazionale, nato a due mesi dalla conclusione di questa significativa fase di scavo e, quindi, per forza non esaustivo, ha illustrato un viaggio che è partito dall’interno della vasca sacra, dalle offerte, dallo studio del bronzo e degli altri materiali e, via via, si è allargato fino alle strutture dell’intero complesso e al suo rapporto con il paesaggio».
Un lavoro cominciato diversi anni fa, grazie a una squadra numerosa com-
posta da Tabolli, la funzionaria della Soprintendenza di Siena, Grosseto e Arezzo, Ada Salvi, e il direttore dello scavo Emanuele Mariotti. «Abbiamo coinvolto nel progetto anche circa 50 studenti provenienti da 11 università italiane e internazionali. Ci sono poi oltre 60 studiosi di diversi atenei e discipline che stanno studiando la chimica delle acque, la medicina, gli intonaci, i resti organici». La tappa futura è una mostra programmata per maggio, al Quirinale, con una
possibile prosecuzione in altre città, come Napoli e Milano. «Molto dipende dalle condizioni dei materiali, molto fragili, che sono già sottoposti a restauro. La destinazione finale sarà il Museo archeologico nazionale di San Casciano
rinvenuta
dei Bagni, in un palazzo cinquecentesco in via d’acquisizione». La cittadina toscana attende già da adesso i visitatori, grazie all’ospitalità e all’entusiasmo di Agnese Carletti, la giovane sindaca che ha sempre sostenuto le attività di
Alcune strutture del Santuario Ritrovato del Bagno Grande
del Santuario Ritrovato
scavo. La stessa area delle scoperte è visitabile ogni sabato, grazie alla collaborazione dell’associazione di Eutyche Avidiena, che offre anche passeggiate archeologiche nel territorio. E il viaggio, nel tempo, continua.
L’archeologo Jacopo Tabolli esamina l’iscrizione su una statua di bronzo appena nello scavo © Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo © Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Siena, Grosseto e ArezzoEUROPEA SULLE OPERE VISUALI DEL MENESTRELLO DEL ROCK.
di Irene Marrapodi
Il racconto della schietta quotidianità è il suo mestiere da oltre 60 anni, fin dal suo album di debutto nel 1962. Gli sterminati paesaggi nordame-
ricani e le iconiche, interminabili strade, la vita lenta e difficile degli emarginati, l’amore: immagini che il menestrello del rock ha descritto accuratamente nelle
sue ballate e dipinto su vere e proprie tele, esposte al MAXXI di Roma fino al 30 aprile. La mostra Bob Dylan: Retrospectrum raccoglie oltre 100 opere di
arte visuale create dal cantautore a partire dagli anni ‘70. Dagli acquerelli alle sculture in metallo, dai video ai disegni composti con inchiostro e grafite, Dylan mette in scena – ancora una volta ma in modo nuovo – la sua visione del mondo. L’obiettivo è lo stesso della sua musica: dare voce e volto alle realtà condivise, a metà tra un’allucinazione collettiva e la nuda realtà. Ma non bisogna tentare di distinguerle. Se infatti il visitatore o la visitatrice osservasse «il luogo in cui quell’immagine è realmente esistita, vedrebbe la stessa cosa», ha sintetizzato il cantautore, «e questo ci unisce tutti».
Le opere visuali dell’artista, proprio come i testi che gli sono valsi il premio Nobel per la letteratura nel 2016, hanno un carattere di ambigua universalità, che porta il visitatore a pensare di aver percorso, magari senza averne memoria, proprio la route 61, la via del blues che attraversa i luoghi d’infanzia del musicista, di aver sostato vicino a quel motel ormai abbandonato o di aver condiviso il tempo di una sigaretta con l’uomo vestito di blu del dipinto Marlboro Man
È la capacità di Dylan di creare immagini che dalle canzoni e dalle tele si trasferiscono nella mente del pubblico, regalando malinconici déjà-vu, fumosi spaesamenti. Esce dall’ottica del
consumo dell’arte, si allontana dall’estetica delle locandine e dei cartelloni pubblicitari, cerca il dettaglio apparentemente insignificante nella realtà visibile – come la baracca a pochi passi dal curato campo da golf o il piccolo chiosco di hot dog di Coney Island a cui fanno da sfondo i grattacieli di New York – e lo offre al pubblico nella speranza che ne possa apprezzare la bellezza.
La retrospettiva sull’artista, che arriva in Europa dopo una tappa al Museo d’arte contemporanea di Shanghai e al Patricia & Phillip Frost Art Museum di Miami, è composta da otto sezioni che ne ripercorrono i cambiamenti di stile e soggetti dagli anni ‘70 a oggi, le sperimentazioni e il legame con la musica e le parole. Il risultato è una rassegna che racconta per immagini oltre mezzo secolo di ricerca artistica. Trascorso nel tentativo di cercare le risposte sussurrate dal vento. maxxi.art museo_maxxi museomaxxi
BACI, ABBRACCI E TENEREZZE. MA ANCHE PROSPETTIVE AUDACI E RAPPRESENTAZIONI INCLUSIVE. UN VIAGGIO TRA LE PUBBLICITÀ CHE CELEBRANO IL PIÙ NOBILE DEI SENTIMENTI IN OCCASIONE DI SAN VALENTINO
Due innamorati che si stringono in un bacio, i loro volti nascosti nell’abbraccio. È questa l’immagine creata dal pubblicitario Federico Seneca per il lancio dei Baci Perugina, nei primi anni ‘20. Una rappresentazione classica dell’amore romantico con cui molti marchi, nel corso del tempo, hanno voluto misurarsi. Alcuni hanno scelto di farlo rimanendo fedeli all’immaginario, come nel caso del cornetto Algida, sinonimo di passioni estive fin dagli anni ‘80. O dell’azienda Barilla, che nel 2013 ha lanciato il claim “Dove c’è pasta, c’è amore”, puntando tutto sul legame metaforico tra cibo e affetto. Altri, invece, hanno preferito raccontare
il sentimento proponendo prospettive audaci: ne è un esempio Benetton, che nel 1991 fece parlare di sé per il ritratto, firmato da Oliviero Toscani, di un sacerdote e una suora uniti in un candido bacio.
Il tema, universale in ogni periodo dell’anno, raggiunge il suo clou nella comunicazione soprattutto a San Valentino. Ikea, leader nella vendita di mobili, si è distinta negli anni per il suo marketing inclusivo, che celebra l’apertura all’altro nel design come nella vita.
Al centro della sua comunicazione c’è spesso il racconto di un modello di affettività non convenzionale. E fuori dagli schemi è anche la pubblicità rea-
lizzata per San Valentino 2014: due sedie in legno che si scambiano effusioni imitando la posa di una coppia in amore. Due anni dopo, l’azienda svedese lancia addirittura un vero e proprio manuale con “soluzioni d’arredo per problemi di coppia”. Sfogliandolo, è possibile raccogliere suggerimenti su come risolvere le tensioni tra partner.
L’ironia è la chiave di lettura anche secondo Taffo, impresa funebre attiva su tutto il territorio italiano, salita alla ribalta per i suoi slogan dissacranti.
Il 14 febbraio è l’occasione giusta per invitare gli innamorati al carpe diem, ricordando loro che “la vita è breve”. Quando si parla di amore, anche il ministero della Cultura scende in campo.
Una rivisitazione de Il bacio del pittore Francesco Hayez è stata l’immagine di punta della comunicazione ideata per la festa degli innamorati nel 2010. Ad accompagnarla un’esortazione a godere dell’arte e delle bellezze del Paese.
Per Dolce&Gabbana, invece, l’amore è amore e non lascia indietro nessuno.
La campagna Love is Love lanciata per San Valentino nel 2021 celebra tutte le coppie: su uno sfondo rosso trionfano le rughe di chi ha condiviso molto nella vita, i baci scambiati tra persone dello stesso genere e i sorrisi complici di uomini e donne. Uno sguardo aperto che incrocia quello di Perugina, a cento anni dalla nascita del Bacio.
A ridosso di questo speciale anniversario, l’azienda ha messo sul mercato, alla fine del 2021, un’edizione limitata dei suoi cioccolatini, “vestiti” proprio dalla casa di moda. Lo spot televisivo che promuove il prodotto non lascia dubbi: l’amore è di tutti, si insinua ovunque e non conosce limiti. Alla pubblicità non resta che raccontarlo.
Che una coppia sia romantica o meno, per tutte febbraio è comunque il mese dell’amore con la A maiuscola. E per questa ricorrenza un pacchettino lo si aspetta quasi sempre, che sia un fiore o un cadeau più importante.
Tra le proposte ad hoc, in prima fila c’è Pandora con i suoi gioielli personalizzati. Una delle novità è un bracciale leggero e flessibile, con un’originale maglia geometrica composta da borchie piramidali e sferiche che catturano e riflettono la luce e una chiusura con il simbolo del cuore e dell’infinito.
Un altro monile in tema è il charms love di Cruciani che per la prima volta vede protagonisti i pendenti in totale sintonia con la tendenza del momento in ambito gioielli: una chiave, un lucchetto, un cuore in due versioni e un quadrifoglio ornano il polso nei colori oro, argento e rosso. E, ancora, gli orecchini ultra shine di Roberto Giannotti e gli orologi: preziosi per lei come quello di Emporio Armani, tecnici e sportivi per lui come le proposte di Tommy Hilfiger. Regali originali e super personali arrivano da Cheerz, app per le stampe delle foto da cellulare, che per San Valentino realizza un pack di idee da donare alla propria metà: calamite a forma di cuore, una little box con lucine e sticker o anche un semplice album o un biglietto d’auguri con l’immagine di un momento davvero speciale per la coppia.
La festa degli innamorati è anche l’occasione perfetta per sfoggiare, o regalare, un capo romantico. In tinta rosa candy oppure shocking, ma sempre con guizzi bling-bling fatti da swarovski o paillette, è il look più consigliato per lei. Sinuosi e sensuali gli outfit di Des Phemmes, uno dei brand più utilizza
ti dalle influencer negli ultimi tempi. La tendenza che unisce borchie e oro atterra anche negli accessori, come per le borse dell’Atelier du Sac con le iconiche iniziali AS a chiusura. Nell’abbigliamento per l’uomo si gioca con il colore dell’anno: Viva Magenta. Un rosso cremisi o carminio che richiama uno spirito ottimista e ben si sposa con la tonalità classica di San Valentino. Grisport, azienda trevigiana sempre attenta agli ultimi trend, propone uno scarponcino di questa tinta nella nuova linea G. Round: la suola Vibram in gomma doppia densità garantisce massimo grip e trazione, è più compatta sul tallone e più duttile sulla punta. Anche MCS - Marlboro Classics propone maglioni scarlatti.
T-shirt unisex ma dal chiaro messaggio d’amore è quella di Alessandro Enriquez, dichiarazione gridata per un valore che non passa mai di moda.
Per l’arredo, Maisons du Monde pensa a tutte le coppie del mondo con le tre Mug Love in gres in cui i due innamorati si abbracciano sussurrando l’uno all’altro: «You are my safe pla-
1// Charms love di Cruciani
2// Orecchini Roberto Giannotti
3// Orologio Emporio Armani
4// Outfit Des Phemmes
5// Borsa L’Atelier du Sac
6// Orologio Tommy Hilfiger
7// T-shirt Alessandro Enriquez
8// Scarponcino Grisport
9// Mug Love di Maisons du Monde
10// Maglione MCS - Malboro Classics
11// Album foto Cheerz
di Irene Marrapodi
Foto di Nino Migliori
Un corpo che non necessita di voce per parlare, mani intente a gesticolare che accompagnano i movimenti come in una danza, rughe d’espressione che si fanno più intense quanto più sono vive le emozioni. Nel 1978, sono bastati pochi scatti a racchiudere l’impeto intellettuale dell’attore e drammaturgo Dario Fo. L’au-
tore, Nino Migliori, sapeva esattamente quando attivare la macchina fotografica per catturare sulla pellicola l’essenza degli artisti che frequentava, presentando al pubblico frammenti della loro anima ricomposti con una nuova prospettiva.
Oggi le sue opere, raccolte e conservate dalla Fondazione a lui intitolata, sono
esposte nella Reggia di Colorno a Parma, nelle stanze dedicate alla mostra Nino Migliori. L’arte di ritrarre gli artisti, aperta fino al 10 aprile.
Oltre a Fo, immortalato nella serie Sequenze Tv, figurano i bizzarri ritratti ambientati del pittore Alberto Sughi e dello scultore Fausto Melotti, l’opera caleidoscopica dedicata alla visual artist Luisa
Valentini e le istantanee su polaroid incastrate nell’immagine Controtempo blu In totale sono 86 le opere inedite, realizzate dagli anni ‘50 a oggi, esposte nella mostra curata da Sandro Parmiggiani. I pittori, gli attori e gli scultori conosciuti dal fotografo abbandonano qui l’immagine stereotipata di sé per essere presentati loro stessi come arte, emergendo da dietro le quinte per mostrarsi schiettamente al pubblico. Accettando di essere rappresentati dallo sguardo amichevole ma estroso di Migliori, i soggetti immortalati rivelano a loro volta l’anima sciamanica del fotografo.
La varietà di stile del maestro emerge dalla necessità di sperimentare, cambiare tecniche, soggetti, mezzi e si manifesta bruciando pellicole e celluloide, imprimendo immagini su carta e su vetro, moltiplicando i volti in scenari nebulosi che somigliano a visioni oniriche. Alla ricerca disperata di immagini nascoste nel reale, della luce nel buio più profondo.
reggiadicolorno.it reggiadicolorno
Nessun uomo è un’isola. Ne era convinto il poeta inglese John Donne che con questa immagine potente, poi entrata a far parte della cultura popolare, riuscì a rappresentare il bisogno di condivisione che accomuna le persone.
Non sempre, però, questa necessità viene soddisfatta: ci sono luoghi in cui la qualità delle relazioni umane si deteriora e le solitudini avanzano. In questi spazi il tessuto sociale si sfilaccia e la comunità scompare. È un fenomeno che interessa molte zone interne del Paese, aree estese, lontane dalle grandi città e dalle principali vie di comunicazione, spesso caratterizzate da problemi di spopolamento. L’impoverimento quantitativo e qualitativo di questi territori viene indagato nella mostra Paesi perduti. Appunti per un viaggio nell’Italia dimenticata, alla Galleria civica di Trento fino al 26 febbraio, attraverso le fotografie di Gabriele Basilico, Silvia Camporesi, Flavio Faganello, Paolo Simonazzi, Italo Zannier e i video di Vittorio De Seta, Franco La Cecla e Patrizia Giancotti.
Il percorso espositivo, a cura di Gabriele Lorenzoni, documenta paesaggi abbandonati e aggrega cartoline di un’Italia multiforme fatta di villaggi sospesi nel silenzio, abitazioni desolate, pratiche di resistenza e tentativi di rinascita. Con oltre 200 foto e quattro opere video il progetto offre una visione complessiva del nostro Paese dagli anni ‘50 fino ai nostri giorni e tratteggia un’estetica dell’invisibilità in cui la natura si è impossessata dell’artificiale: strade, mura e oggetti appaiono ricoperti da uno strato di tempo che ne conserva il ricordo. Gli scatti sono anche un invito a riflettere sulle cause del fenomeno e sulle possibili soluzioni, superando quella retorica banalizzante che punta a una rivitalizzazione turistica ma non tiene conto di cosa significhi veramente vivere e abitare un territorio nella sua specificità. mart.tn.it
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La capitale d’Italia e la città meneghina sono sempre più vicine. Per chi vuole spostarsi da Roma a Milano, e vice
versa, Trenitalia mette a disposizione due nuovi Frecciarossa no stop. Partendo alle 5:30 dalla stazione di Roma Tiburtina ora si può arrivare in sole 2h 45’ allo scalo di Milano Rogoredo e compiere il percorso inverso ripartendo da qui alle 20:44. I nuovi collegamenti veloci si aggiungono agli altri sette Frecciarossa no stop che collegano le stazioni di Roma Termini e Milano Centrale in 2h 59’ e agli 81 Frecciarossa Roma-Milano con fermate intermedie. Maggiori informazioni su trenitalia.com
Per chi viaggia con le Frecce noleggiare un’automobile è ancora più sicuro e conveniente. Prenotando entro il 31 marzo 2023, è possibile approfittare di promozioni esclusive pensate per i clienti Trenitalia con Avis, Budget e Maggiore:
Avis consente di noleggiare una vettura con sconti fino al 15%
• Budget offre riduzioni fino al 20%
• Maggiore propone il noleggio a partire da 19 € al giorno
Il servizio include chilometri illimitati, seconda guida, GPS, supplemento Young Driver e la disponibilità di catene da neve. Inoltre, per ogni euro speso, i titolari di Carta FRECCIA guadagnano due punti. L’offerta è prenotabile online o telefonando al numero verde dedicato 800867196, indicando il proprio PNR. Se si è in possesso di Carta FRECCIA, inserire il codice personale per ricevere i doppi punti.
Spostarsi per lavoro dal lunedì al venerdì è super conveniente grazie a Trenitalia. Con l’offerta A/R Frecce in settimana è possibile acquistare un viaggio di andata e ritorno con lo sconto del 50%. Si può partire dal lunedì al giovedì e tornare dal martedì al venerdì, nella stessa settimana lavorativa, anche scegliendo una classe o un livello di servizio differenti.
L’offerta è valida sui treni AV Frecciarossa e Frecciargento e può essere acquistata fino al secondo giorno precedente quello della partenza del treno. Il viaggio di andata e ritorno non può essere effettuato nella stessa giornata.
E se per esigenze di lavoro ci si trova a viaggiare spesso, iscrivendosi al programma Trenitalia for Business si accede a una serie di vantaggi: un consulente a propria disposizione, l’app B2B di Trenitalia, un call center gratuito attivo tutti i giorni dalle 7 alle 20 e l’offerta Carnet Aziende da 10, 30 e 50 viaggi che consente a chi si sposta tra due città di risparmiare fino al 40% sul prezzo Base. Per chi sceglie la tariffa Corporate Top, c’è ancora più flessibilità negli spostamenti con il cambio di prenotazione illimitato e il rimborso totale del biglietto fino alla partenza.
Maggiori informazioni sul sito trenitalia.com
E CAMBI ILLIMITATI
Biglietto acquistabile fino alla partenza del treno. Entro tale limite sono ammessi il rimborso, il cambio del biglietto e il cambio della prenotazione, gratuitamente, un numero illimitato di volte. Dopo la partenza, il cambio della prenotazione e del biglietto sono consentiti una sola volta fino a un’ora successiva.
CONVENIENZA E FLESSIBILITÀ
Offerta a posti limitati e soggetta a restrizioni. Il biglietto può essere acquistato entro la mezzanotte del secondo giorno precedente il viaggio. Il cambio prenotazione, l’accesso ad altro treno e il rimborso non sono consentiti. È possibile, fino alla partenza del treno, esclusivamente il cambio della data e dell’ora per lo stesso tipo di treno, livello o classe, effettuando il cambio rispetto al corrispondente biglietto Base e pagando la relativa differenza di prezzo. Il nuovo ticket segue le regole del biglietto Base.
MASSIMO RISPARMIO
Offerta a posti limitati e soggetta a restrizioni. Il biglietto può essere acquistato entro la mezzanotte del sesto giorno precedente il viaggio. Il cambio, il rimborso e l’accesso ad altro treno non sono consentiti.
Con Trenitalia i bambini viaggiano gratis in Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity in 1^ e 2^ classe e nei livelli Business, Premium e Standard. Gratuità prevista per i minori di 15 anni accompagnati da almeno un maggiorenne, in gruppi composti da 2 a 5 persone. I componenti del gruppo dai 15 anni in poi pagano il biglietto scontato del 40% sul prezzo Base1
I Carnet Trenitalia sono sempre più adatti a tutte le esigenze. Si può scegliere quello da 15 viaggi con la riduzione del 30% sul prezzo Base, da 10 viaggi (-20% sul prezzo Base) oppure il Carnet 5 viaggi (-10% sul prezzo Base). Riservato ai titolari Carta FRECCIA, il Carnet è nominativo e personale. L’offerta è disponibile per i treni Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity 2
L’offerta consente di usufruire di prezzi ridotti per chi utilizza, in un unico viaggio, un treno Notte e un treno Frecciarossa o Frecciargento. La promozione è valida per i viaggiatori provenienti con un treno notte dalla Sicilia, dalla Calabria o dalla Puglia che proseguono sulle Frecce in partenza da Napoli, Roma o Bologna per Torino, Milano, Venezia e tante altre destinazioni, e viceversa 3
Promozione per chi parte e torna nello stesso giorno con le Frecce a prezzi fissi, differenziati in base alle relazioni e alla classe o al livello di servizio. Un modo comodo e conveniente per gli spostamenti di lavoro oppure per visitare le città d’arte senza stress 4
La promozione consente di viaggiare in due tutti i giorni con sconti fino al 50% sul prezzo Base su Frecce, Intercity e Intercity Notte. L’offerta è valida in 1^ e 2^ classe e in tutti i livelli di servizio ad eccezione dell’Executive, del Salottino e i servizi cuccette, VL ed Excelsior 6
Riservate agli under 30 e agli over 60 titolari di Carta FRECCIA, l’ offerta Young consente di risparmiare fino al 70% sul prezzo Base mentre la Senior fino al 50% su tutti i treni nazionali e in tutti i livelli di servizio, ad eccezione dell’Executive, del Salottino e delle vetture Excelsior 5
Offerta dedicata ai gruppi da 3 a 5 persone per viaggiare con uno sconto fino al 60% sul prezzo Base di Frecce, Intercity e Intercity Notte. La promozione è valida in 1^ e 2^ classe e in tutti i livelli di servizio ad eccezione dell’Executive, del Salottino e delle vetture Excelsior 7
1. I componenti del gruppo dai 15 anni in poi pagano il biglietto scontato del 40% sul prezzo Base. Offerta a posti limitati e variabili rispetto al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. Cambio prenotazione/biglietto e rimborso soggetti a restrizioni. Acquistabile entro le ore 24 del secondo giorno precedente la partenza.
2. Il Carnet consente di effettuare 15, 10 o 5 viaggi in entrambi i sensi di marcia di una specifica tratta, scelta al momento dell’acquisto e non modificabile per i viaggi successivi. Le prenotazioni dei biglietti devono essere effettuate entro 180 giorni dalla data di emissione del Carnet entro i limiti di prenotabilità dei treni. L’offerta non è cumulabile con altre promozioni. Il cambio della singola prenotazione ha tempi e condizioni uguali a quelli del biglietto Base. Cambio biglietto non consentito e rimborso soggetto a restrizioni.
3. L’offerta Notte&AV è disponibile per i posti a sedere e le sistemazioni in cuccetta e vagoni letto (ad eccezione delle vetture Excelsior) sui treni Notte e per la seconda classe, o livello di servizio Standard, sui treni Frecciarossa o Frecciargento.
L’offerta non è soggetta a limitazione dei posti. Il biglietto è nominativo e personale.
4. Il numero dei posti è limitato e variabile, a seconda del treno e della classe/livello di servizio. Acquistabile fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno. Il cambio prenotazione/biglietto è soggetto a restrizioni. Si può scegliere di effettuare il viaggio di andata in una classe o livello di servizio differente rispetto a quella del viaggio di ritorno. Il rimborso non è consentito. Offerta non cumulabile con altre riduzioni, compresa quella prevista a favore dei ragazzi.
5. L’offerta Young è acquistabile entro le ore 24 del sesto giorno precedente la partenza per le Frecce e fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno per i treni Intercity e Intercity Notte. La percentuale di sconto varia rispetto al prezzo Base dal 40% al 70% per le Frecce e dal 20% al 70% per gli Intercity e Intercity Notte. L’offerta Senior è acquistabile entro le ore 24 del sesto giorno precedente la partenza per le Frecce e fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno per i treni Intercity e Intercity Notte. La percentuale di sconto varia rispetto al prezzo Base dal 40% al 50% per le Frecce e dal 20% al 50% per gli Intercity e Intercity Notte. Per le offerte Young e Senior il numero dei posti disponibili è limitato e varia in base al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. È possibile cambiare esclusivamente la data o l’ora di partenza, una sola volta e fino alla partenza del treno, scegliendo un viaggio con la stessa categoria di treno o tipologia di servizio e pagando la differenza rispetto al corrispondente prezzo Base intero. Il Rimborso e accesso ad altro treno non sono ammessi. Al momento dell’acquisto il sistema propone sempre il prezzo più vantaggioso. A bordo è necessario esibire la CartaFRECCIA insieme a un documento d’identità.
6. Offerta a posti limitati e variabili in base al treno e alla classe/livello di servizio scelto ed è acquistabile entro le ore 24 del sesto giorno precedente la partenza per le Frecce e fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la partenza per i treni Intercity e Intercity Notte. La percentuale di sconto varia dal 40% al 50% per le Frecce e dal 20% al 50% per gli Intercity e Intercity Notte. Cambio biglietto/prenotazione e rimborso non sono consentiti.
7. Offerta a posti limitati e variabili rispetto al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. La percentuale di sconto varia rispetto al prezzo Base dal 40% al 60% per le Frecce e dal 20% al 60% per gli Intercity e Intercity Notte. Lo sconto non è cumulabile con altre riduzioni fatta eccezione per quella prevista in favore dei ragazzi fino a 15 anni. La promozione è acquistabile entro le ore 24 del sesto giorno precedente la partenza per le Frecce e fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno per i treni Intercity e Intercity Notte. Il cambio e il rimborso non sono consentiti.
Il FRECCIABistrò ti aspetta per una pausa di gusto. Nel servizio bar, presente su tutti i Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca, si possono acquistare deliziosi prodotti e menù pensati per ogni momento della giornata. Un’ampia selezione che comprende snack dolci e salati, panini e tramezzini, primi piatti caldi e freddi, insalate e taglieri, bevande alcoliche e analcoliche. L’offerta prevede anche opzioni vegetariane e gluten free ed è arricchita dalle note di gusto del caffè espresso Illy. Il servizio è previsto anche per i clienti dei treni Eurocity.
PORTALE FRECCE
Il portale FRECCE rende più piacevole il viaggio grazie ai numerosi servizi gratuiti disponibili a bordo dei treni Frecciarossa e Frecciargento e nelle sale FRECCIAClub e FRECCIALounge. Per accedere basta collegarsi alla rete WiFi, digitare www.portalefrecce.it o scaricare l’app Portale FRECCE da App Store e Google Play. Ulteriori dettagli, info e condizioni su trenitalia.com
SCELTI PER VOI
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GIOCHI Azione, sport, logica e tanto altro a disposizione di grandi e piccoli viaggiatori
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Innovativa tecnologia audio che aiuta a ridurre lo stress e ritrovare il buonumore
GLI ALTRI SERVIZI DISPONIBILI
EDICOLA DIGITALE Quotidiani e riviste nazionali e internazionali
NEWS Notizie Ansa sui principali fatti quotidiani aggiornate ogni ora
INTERNET WIFI
SERIE E PROGRAMMI TV
Una selezione di serie e programmi tv
BAMBINI Cartoni e programmi per i piccoli viaggiatori
MUSICA
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AUDIOLIBRI
Audiolibri di vario genere anche per bambini
LIBRI E GUIDE
Circa 200 contenuti tra libri ed estratti di guide turistiche
INFO DI VIAGGIO
Informazioni in tempo reale su puntualità, fermate, coincidenze
Cinderella Cruella Encanto Ghostbusters Legacy Queen of KatweCon il Cashback Trenitalia è possibile utilizzare i punti Carta FRECCIA per ottenere sconti immediati sull’acquisto di biglietti e carnet per le Frecce.
Con 300 punti si ha diritto a una riduzione di 10 euro su un ticket, per se stessi o per un’altra persona, che ne costi almeno 20. Con 600 punti, invece, si risparmiano 20 euro sull’acquisto di un biglietto che abbia un importo minimo di 40 euro.
Convertire i punti è semplicissimo: basta selezionare la voce Cashback Carta FRECCIA nella fase di acquisto del biglietto su trenitalia.com o sull’App Trenitalia. È possibile utilizzare il cashback anche nelle biglietterie delle stazioni, nei FRECCIAClub e nei FRECCIALounge.
Il servizio CashBack Carta FRECCIA è soggetto a condizioni. Il regolamento completo del Programma Carta FRECCIA, che ha validità fino al 31 dicembre 2023, è disponibile sul sito Trenitalia o alle emettitrici self-service della rete nazionale o le biglietterie Trenitalia. I premi potranno essere richiesti fino al 29 febbraio 2024.
Lo splendido Palazzo Franchetti di Venezia ospita centinaia di fotografie, oggetti d’arte e contributi video che hanno come protagonista un’icona del ‘900. La mostra Lee Miller - Man Ray. Fashion, love, war vuole rendere omaggio a una donna di grande talento, fotografa e reporter di guerra, ma anche modella e musa. Miller è stata tutto questo e molto di più, grazie alle tante esperienze vissute durante un’esistenza ricca di passione. Il racconto espositivo parte dagli anni ‘20 del secolo scorso, quando incontra l’editore Condé Nast che la immortala sulle pagine di Vogue, e passa per gli anni parigini in cui viene ritratta dal celebre fotografo di moda George Hoyningen-Huene. Ma il focus della rassegna è incentrato sul rapporto professionale e d’amore tra Miller e Man Ray, vissuto nel clima eccezionale di un’avanguardia artistica che comprendeva nomi come Max Ernst, Pablo Picasso, Salvador Dalí e Jean Cocteau.
Tante le tipologie di sconto per chi arriva a Venezia in treno. Ingresso 2x1 dedicato ai clienti Trenitalia muniti di biglietto Frecce o Intercity con data viaggio antecedente al massimo tre giorni da quella in cui si visita la mostra. Sconto del 50% sul biglietto open per l’esposizione, ovvero quello senza indicazione della data di accesso, riservato a chi possiede un ticket delle Frecce per lo stesso giorno in cui si visita la rassegna. Tariffa ridotta sull’ingresso singolo per chi è in possesso di un biglietto Intercity con data di viaggio antecedente massimo tre giorni, per chi mostra un abbonamento regionale, anche a tariffa sovraregionale, o un biglietto di corsa semplice validi per viaggiare sui treni del Regionale per Venezia lo stesso giorno di ingresso alla mostra. leemillermanray.it
Fino al 16 aprile al Museo Revoltella, Trieste museorevoltella.it
MUSEO NAZIONALE DELLA SCIENZA E DELLA TECNOLOGIA DI MILANO museoscienza.org
MAX ERNST
Fino al 26 febbraio a Palazzo Reale, Milano maxernstmilano.it
JAGO, BANKSY, TVBOY
A Palazzo Albergati di Bologna, fino al 7 maggio, una tripla monografica sugli street artist più discussi e amati degli ultimi anni. Ingresso a metà prezzo riservato ai possessori di un biglietto delle Frecce con destinazione Bologna in una data antecedente al massimo di tre giorni da quella della visita. palazzoalbergati.com
TvBoy
Love in the time of Covid (2020) Pop House Gallery
ESCHER
Fino al 26 marzo al Museo degli Innocenti, Firenze museodeglinnocenti.it
FONDAZIONE FRANCO ZEFFIRELLI DI FIRENZE fondazionefrancozeffirelli.com
VAN GOGH
Fino al 26 marzo a Palazzo Bonaparte, Roma mostrapalazzobonaparte.it
MUSEO CIVICO GAETANO FILANGIERI DI NAPOLI filangierimuseo.it
Per schematicità e facilità di lettura la cartina riporta soltanto alcune città esemplificative dei percorsi delle diverse tipologie di Frecce. Maggiori dettagli per tutte le soluzioni di viaggio su trenitalia.com Alcuni collegamenti qui rappresentati sono disponibili solo in alcuni periodi dell’anno e/o in alcuni giorni della settimana. Verifica le disponibilità della tratta di tuo interesse su trenitalia.com.
Cartina aggiornata al 25 gennaio 2023
Velocità max 400 km/h | Velocità comm.le 300 km/h
Composizione 8 carrozze
Livelli di servizio Executive, Business, Premium, Standard Posti 457 | WiFi Fast | Presa elettrica e USB al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio
Velocità max 360 km/h | Velocità comm.le 300 km/h | Composizione 11 carrozze 4 livelli di servizio Executive, Business, Premium, Standard | Posti 574 WiFi | Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio
Velocità max 250km/h | Velocità comm.le 250km/h | Composizione 8 carrozze 3 livelli di Servizio Business, Premium, Standard | Posti 497 WiFi Fast | Presa elettrica e USB al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio
FRECCIARGENTO ETR 600
Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h
Composizione 7 carrozze | Classi 1^ e 2^ | Posti 432 WiFi | Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio
FRECCIARGENTO ETR 485
Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h
Composizione 9 carrozze | Classi 1^ e 2^ | Posti 489 WiFi | Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio
FRECCIABIANCA ETR 460
Velocità max 250 km/h | Velocità comm.le 250 km/h
Composizione 9 carrozze
Classi 1^ e 2^ | Posti 479 | Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio
1
Febbraio è il mese delle maschere, delle sfilate, dei carri allegorici. Sono tante le colorate celebrazioni che richiamano i visitatori da ogni parte d’Italia ma il protagonista d’eccezione è sempre il carnevale di Venezia.
Quest’anno l’Associazione rotabili storici Milano Smistamento, convenzionata con Fondazione FS Italiane, organizza un servizio turistico ad hoc per accompagnare i viaggiatori dalla Lombardia in Laguna, percorrendo la linea storica concepita nella prima metà dell’800 come collegamento
veloce tra le due capitali del Regno Lombardo-Veneto.
Attivata a tratte a partire dal 1842, prese il nome di Ferrovia Ferdinandea in omaggio all’imperatore Ferdinando I d’Austria. Nel gennaio 1846, il primo treno raggiunse Venezia attraversando il nuovo e monumentale Gran ponte sulla Laguna veneta, che nel dopoguerra divenne il Ponte della libertà. Nel 1908, due anni dopo l’apertura del traforo del Sempione, anche il leggendario Orient Express percorse quei binari. Il servizio di lusso della Compagnie Internationale
des Wagons-Lits garantì un collegamento veloce quotidiano tra Ginevra, Losanna, Genova, Milano e Venezia, contribuendo anche alla nascita del tradizionale viaggio di nozze nella città dei Dogi.
Il 19 febbraio, ultima domenica del carnevale 2023, si può partire in treno storico alle 7:30 da Milano Centrale, con stop a Brescia alle 8:15 e arrivo a Venezia Santa Lucia alle 11. Si rientra alle 17:30, con tappa a Brescia alle 20:15, per raggiungere Milano alle 21. fondazionefs.it
fondazionefsitaliane
[Geologo Cnr, conduttore tv e saggista]
Godetevi pure l’Aida nell’Arena e cenate in uno dei ristoranti famosi per il monumentale carrello dei bolliti, passeggiate davanti alle Arche scaligere, ma se visitate Verona non dimenticate di andare sotto al balcone più famoso del mondo, quello di Giulietta Capuleti.
Accanto all’antico foro romano, dove oggi c’è piazza delle Erbe, sorgeva un’insula, un insediamento popolare
ristrutturato più volte. Qui la tradizione colloca la casa di Giulietta (e poco distante, in via delle Arche scaligere, quella di Romeo), anche se il celebre balcone è frutto di un restauro del 1935. Ma anche la tomba di Giulietta esiste veramente: si tratta di un sarcofago scoperchiato in marmo rosso che è conservato nell’ex convento di San Francesco al corso (al Museo degli affreschi). Secondo la leggenda alla giovane fu concessa, pur essen-
do una suicida, la sepoltura in terreno consacrato, a patto che nessuna iscrizione ne permettesse il riconoscimento. Il sarcofago, come già il balcone, fu preso d’assalto e ad ammirarlo accorsero, tra gli altri, il politico inglese Lord Byron e varie regine europee. Il fascino di Giulietta resiste ancora oggi, offuscando spesso le altre meraviglie del centro storico che sono valse a Verona il suo inserimento nella lista del Patrimonio mondiale Unesco.
Se un giorno mi diranno “scegli ti puoi trasformare in una cosa solamente, fra tutto ciò che hai visto a questo mondo” io sceglierò il sorriso di mio padre e starò sulle sue labbra notte e giorno e non avrò più freddo e non avrò più fame.
Ogni giorno finché campo non smetterò di provare e riprovare ad assomigliare a quel sorriso che sa di legno e di azzurro e di mimosa vorrò fare quella luce che torna sempre ad aggiustare e a dire (se gli chiedi come sta): “non c’è male non c’è male”
Se sorridi non c’è il male
Se la Puglia è qualcosa è una radice. È mare, è vento, è sole. A volte può essere anche siccità, ulivi ammalati, persino neve. Ma se la terra di provenienza è tante cose è però di certo una radice. In questa poesia di Matteo Greco, validissimo autore di Gagliano del Capo, uno dei mille paesi del Salento, si vede che tale radice ha una caratteristica: è sobria, è un sorriso. È tratta dal libro in uscita Cielo dinamite
edito da CartaCanta. Il figlio che vuole essere “quel” sorriso sta lottando contro “il male”. Perché la Puglia è terra sospesa tra il cielo e la vita dura, tra il sole e certe oscurità indecifrabili. E allora il poeta sceglie la parte a cui attaccarsi, la radice. Lo fa con decisione, con una volontà epica ma di eroismo quotidiano. C’è una volontà di attaccamento, di affetto (dal latino afficio). Legno, azzurro e mimosa sono elementi diversi che indicano for-
za, orizzonte e luce fiorente. Il miracolo indescrivibile di un sorriso di padre, a difesa dal male, che il poeta Greco –divenuto padre da poco – conosce e si trova addosso. Nel libro dedicato alla sua nuova paternità, questa poesia sta in un certo senso al centro. Non si è padri senza esser figli. Senza senso della paternità si avrà solo sterilità. Ma la radice può fiorire sempre. Se ciò che si passa non è l’ira, ma uno strano sobrio sorriso.
Il tepore confortevole di un piccolo negozio dai toni vivaci contrasta con lo strato di neve scivolato sui tetti spioventi e poggiato ai lati delle strade. Come un caminetto acceso nel freddo pungente, l’immagine catturata dallo scrittore Fabio Volo durante un viaggio in Islanda scalda e rasserena l’anima. Esposti dal 22 al 26 febbraio alla Fabbrica Eos Gallery di Milano, gli scatti di Volo – qui nella veste inedita di fotografo – portano i visitatori dal nord Europa fino agli Stati Uniti, per osservare da lontano lo skyline di New York o ammirare una caratteristica bottega di Los Angeles. Consentono di sbirciare con candida curiosità l’abitudinario affaccendarsi di luoghi lontani, alla scoperta di scampoli di vita quotidiana o di paesaggi straordinari catturati dall’occhio affascinato del turista.
La mostra Fabio Volo. Fotografie vuole sostenere le attività della cooperativa sociale Il volo di Monticello Brianza, in provincia di Lecco, che si occupa di giovani con disturbo borderline di personalità. Il ricavato dalla vendita delle fotografie, stampate in fine art e autografate dall’autore, sarà interamente devoluto alle attività riabilitative dell’associazione, al supporto per l’inserimento dei pazienti nel tessuto sociale e alla ricerca scientifica. ilvolo.com fabbricaeos.it fabbricaeos
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