L’ ARTE DI
Ci siamo lasciati il mese scorso con un invito all’ot timismo. Doveroso sempre, ma in particolar modo quando il cielo si addensa di nubi. Lo replichiamo a ottobre. Parliamo di un ottimismo non ingenuo o velleitario, ma realistico e inteso come netta antitesi alla ras segnazione. L’ottimismo della volon tà e dell’impegno uniti alla capacità di leggere e interpretare (ma anche rappresentare) il caleidoscopio della realtà dai suoi innumerevoli punti di vista e nelle sue altrettanto innume
revoli sfaccettature. Riconoscendo e accettando quindi la complessità, e rifuggendo dalle facili seppur accat tivanti e persuasorie semplificazioni. Le “visioni d’artista” strillate in co pertina ci invitano a essere e a com portarci così. Analoghe riflessioni, se adotterete questa chiave di lettura, ve le potranno suggerire molti dei servizi che leggerete su questo nu mero della Freccia, dedicato in ampia parte alla Festa del cinema di Roma alla quale il Gruppo FS partecipa come sponsor e assegnando anche il
Premio del pubblico. Pittura, musica, fotografia e cinema, quando si traducono in autentica espressione del genio artistico, sono infatti capaci di spingerci oltre la su perficie dei fenomeni umani, ci invita no o spesso ci costringono a guardare e soprattutto a vedere oltre, a scan dagliare, a interrogarci, a emozionar ci, ma anche a turbarci fino ad arrivare allo sgomento. Sebbene nessuno di noi possa astrarsi dalla cronaca, dalle vicende quotidiane e dal loro portato di ansie e difficoltà oggettive, ci con
VIAGGIARE
ducono in una dimensione diversa. E diventano utili e financo salutari (ca tegorie che sembrerebbero lontane dal mondo dell’arte) quando ci fanno superare il confine tra l’intrattenimen to e l’approfondimento e, soprattutto, tra il bello e il sublime. Ci mettono temporaneamente alla mercé di chi è capace di sparigliare le carte, la sciarci spiazzati, intimoriti, increduli di fronte al miracolo della creazione ar tistica. O, molto più banalmente, ma neppure troppo, possono provocarci uno spiazzante straniamento indotto
dal rivivere il passato, immaginare il futuro e percepire il presente con gli occhi, il cuore e la testa altrui. Opera zione che, condotta all’estremo, non deve ma può portare a mettere in di scussione le nostre convinzioni fino al punto da indurci a ritenere la depre cata incoerenza una potenziale virtù. Viaggiare è, in questo senso, un’e sperienza artistica. Sempre che ci si ponga in cammino con un’adeguata predisposizione a mettersi in discus sione. La Freccia d’ottobre, ma direi ogni numero di questo magazine,
vuole essere proprio una sorta di viaggio, con annesso un piccolo ma intenso campionario di stimoli. Per ché viaggiare non deve mai esse re un semplice trasferimento da un luogo a un altro, ma l’occasione per conoscere e misurarsi con la diversi tà che ci circonda. Ecco, il prossimo mese vi chiederemo di raccontar ci il vostro viaggio. Vero o sognato, reale o metaforico. E di cercare ed esprimere la vostra vena artistica. Di smuovere qualcosa, dentro di voi e dentro di noi.
Tra le firme del mese
I numeri di questo numero
le foto d’archivio nella mostra La memoria delle stazioni [pag. 15]
1961
CESARE BIASINI SELVAGGI
Da marzo 2017 è direttore editoriale di Exibart.com ed Exibart on pape r. Manager culturale per diverse fondazioni italiane, svolge anche un’intensa attività di consulenza di comunicazione strategica d’impresa e per l’internazionalizzazione del made in Italy
l’anno di fondazione dell’azienda La Via del tè [pag. 22]
350
gli eventi previsti al Festival dello sviluppo sostenibile [pag. 92]
READ ALSO
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MENSILE GRATUITO PER I VIAGGIATORI
DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE
ANNO XIV - NUMERO 10 - OTTOBRE 2022
REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA N° 284/97 DEL 16/5/1997
CHIUSO IN REDAZIONE IL 23/09/2022
Foto e illustrazioni
Archivio FS Italiane
Adobestock
Copertina: © Matteo Leonetti
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può essere riprodotta, rielaborata o diffusa senza il consenso espresso dell’editore
ALCUNI CONTENUTI DELLA RIVISTA SONO
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GIULIANO COMPAGNO
Ha pubblicato 24 volumi tra saggistica, narrativa, aforismi e comica, oltre ad aver scritto quattro libretti di opera contemporanea per il maestro Vittorio Montalti. Vive a Roma, da dove in genere parte e ritorna
FS Italiane, pubblica ogni giorno notizie, approfondimenti e interviste, accompagnati da podcast, video e immagini, per seguire l’attualità e raccontare al meglio il quotidiano. Con uno sguardo particolare ai temi della mobilità, della sostenibilità e dell’innovazione nel settore dei trasporti e del turismo quali linee guida nelle scelte strategiche di un grande Gruppo industriale
Direttore Responsabile
Responsabile Prodotti Editoriali
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In redazione
Segreteria di redazione Coordinamento creativo
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Hanno collaborato a questo numero
Marco Mancini
Davide Falcetelli
Michela Gentili
Sandra Gesualdi, Cecilia Morrico, Francesca Ventre Gaspare Baglio, Angela Alexandra D’Orso, Irene Marrapodi Francesca Ventre Giovanna Di Napoli Claudio Romussi Osvaldo Bevilacqua, Cesare Biasini Selvaggi, Peppone Calabrese, Claudia Cichetti, Giuliano Compagno, Francesca Fabiana Ferrandi, Fondazione FS Italiane, Enzo Fortunato, Alessio Giobbi, Peppe Iannicelli, Sandra Jacopucci, Valentina Lo Surdo, Michela Passarin, Enrico Procentese, Andrea Radic, Gabriele Romani, Davide Rondoni, Flavio Scheggi, Mario Tozzi
REALIZZAZIONE E STAMPA
FRANCESCA FABIANA FERRANDI
Nata a Roma nel 1994, si è laureata in Lettere con indirizzo italianistica. Dal 2017 è caporedattrice della rivista letteraria Nuovi argomenti. Collabora con l’Accademia Molly Bloom, con Mondadori e con quotidiani e riviste culturali
VALENTINA LO SURDO
Conduttrice radiotelevisiva Rai, pianista classica con anima rock, presentatrice, speaker, attrice. Trainer di comunicazione, da 20 anni è reporter di viaggi all’ascolto del mondo. Le sue destinazioni preferite? Ovunque ci sia da mettersi in cammino
ERRATA CORRIGE
La
PROGETTO CREATIVO
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On web
Da oltre 100 anni proteggiamo gli interessi degli italiani
Ci sono donne e uomini che ogni giorno assicurano la serenità degli Italiani.
Ci sono professionisti che da oltre 100 anni difendono la propria autonomia e la tua libertà.
Queste donne e questi uomini sono gli AGENTI iscritti al Sindacato Nazionale Agenti di Assicurazione.
FRECCIA
LIBERO ARBITRIO
Un colosso latteo di quasi sei metri sembra sorreggere la Basilica di San Lorenzo dal suo lato sinistro, con sforzo pla stico, muscoli tesi, viso contratto. Si chiama Mr. Arbitrium, la scultura monumentale di Emanuele Giannelli, realizzata con una complessa tecnica in resina, stuccata e dipinta a mano con effetto marmoreo e in residenza a Firenze fino al 31 otto bre. Proprio là dove pare che Michelangelo avesse previsto una colonna nella sua facciata mai realizzata.
E nel nome, il gigante pelato con occhialini da saldatore, porta il messaggio della scelta autonoma, della personale interpretazione concettuale del sorreggere o dello spingere: la religione, le tradizioni, il passato o i simboli dell’Occidente. Secondo l’artista romano – che ha preferito vivere e lavorare a Seravezza (LU), dalle cui cave i Medici estraevano il marmo
per chiese, statue e fontane – nel futuro prossimo saremo chiamati a scegliere che tipo di umanesimo vivere, tra scien za, tecnologia ed etica. Incerti su quale direzione percorre re, filosofica e culturale, tutti potranno ascoltare l’intimo “io”, agendo secondo le proprie capacità e la propria coscien za. Seguendo il libero arbitrio, appunto, con uno sforzo di discernimento capace di spostare anche i sassi antichi di una basilica centenaria, scrigno di arte senza tempo. E sic come l’arte è la scienza del discutibile, è possibile che tra sorreggere e spingere il gigante di Giannelli si stia riparando dall’incontenibile terremoto che solo la libertà di decidere può provocare.
emanuele.giannelli emanuele.giannelliscultore
PHOTO STORIES
A TU PER TU
di Alessio Giobbi - a.giobbi@fsitaliane.itNiccolò Proietti Savina è addetto al marketing nella società del Gruppo FS Sistemi Urbani, a cui è affi data la rigenerazione delle città grazie al recupero di aree non più funzionali al servizio ferroviario. In cosa consiste il tuo lavoro?
Mi occupo di politiche commerciali. Nello specifico eseguo ricerche di mercato, gestisco l’organizzazione di eventi, le attività di comunicazione e le relazioni con gli stakeholder. Il rapporto con gli attori esterni coinvolti nei progetti è una parte fondamentale della mia attività. Che tipo di attività svolge FS Sistemi Urbani?
L’obiettivo principale della nostra società è la valorizzazione del patrimonio immobiliare e di quelle aree non più funzionali all’esercizio, come per esempio gli ex scali merci, i magazzini o le strutture dismesse. Queste, una volta trasformate e rige nerate, vengono destinate a nuova vita e restituite alla citta dinanza sotto forma di spazi di aggregazione pubblici e priva ti. Con un occhio di riguardo al collegamento tra le varie zone cittadine, alla mobilità e all’interscambio tra differenti mezzi di trasporto, dove hanno un ruolo importante le stazioni.
Quando sei entrato nel Gruppo?
Sono stato assunto alla fine del 2020, dopo la laurea in Eco nomia e marketing e alcune esperienze professionali che mi hanno consentito di muovere i primi passi nelle pubbliche relazioni e nel mondo della comunicazione. Sono stato sem pre attratto anche dalle materie umanistiche, una passione cominciata con il liceo classico e proseguita con la scrittura, che coltivo anche nel tempo libero attraverso la mia attività di blogger per un sito sulle nuove tecnologie.
Le caratteristiche importanti per svolgere al meglio il tuo lavoro?
Fondamentali sono l’ascolto e la visione di insieme. Nel mo mento in cui un’area dismessa viene destinata ad altre fun zioni è importante intraprendere un confronto con enti, isti tuzioni e rappresentanti delle comunità locali. Spesso anche attraverso concorsi di progettazione o lavorando su bandi di gara che seguiamo in tutto il loro iter giuridico e amministra tivo. Poniamo molta attenzione alle esigenze di tutti i soggetti coinvolti e alla sostenibilità ambientale, sociale ed economi ca, tema su cui sono concentrati tutti i nostri interventi.
Cosa ti aspetti per il futuro?
La recente riorganizzazione del Gruppo FS ha affidato alla no stra società il ruolo di capofila del Polo Urbano, realtà che si promette di modificare il volto delle città toccate da Ferrovie dello Stato in chiave di rigenerazione sostenibile. Una sfida impegnativa ed esaltante allo stesso tempo, che amplia ul teriormente il ruolo di FS Sistemi Urbani nel connettere per sone e servizi in chiave green, contribuendo a migliorare la qualità della vita dei cittadini e a rendere le città a misura di persona.
LE STORIE E LE VOCI DI CHI, PER LAVORO, STUDIO O PIACERE, VIAGGIA SUI TRENI. E DI CHI I TRENI LI FA VIAGGIARE
Attila Capo, insegnante privato, tutor e ideatore di per corsi scolastici che vanno oltre i metodi tradizionali, racconta la sua esperienza di viaggio tra Roma, Mi
lano e Verbania, sulla sponda occidentale del Lago Maggiore. Come ti sei avvicinato all’insegnamento?
Ho seguito la tradizione della mia famiglia che si è sempre de dicata alla formazione. Ma ho deciso di lavorare come libero professionista, per poter gestire il mio tempo in totale autono mia. Questo mi ha consentito di sviluppare un’esperienza a tut to tondo con gli studenti con cui mi rapporto, che vanno dalle scuole medie all’università.
In che modo?
Lavorando su un metodo di studio personalizzato, più che sulle materie da imparare. Cerco di aiutare ragazze e ragazzi a svi luppare al meglio gli strumenti conoscitivi già in loro posses so, attraverso un’attività trasversale che si basa sugli interessi della persona. Provo ad avviare un percorso di apprendimento laddove si manifestino lacune, mancanza di interesse per al cuni temi, incapacità di far emergere talento e intuizioni. Ma mi rivolgo anche a studenti già capaci che vogliono ottenere maggiori risultati. Li accompagno fino alla conclusione dell’u niversità come un allenatore, cercando di conoscere in profon dità pregi e difetti di ciascuno e fornendo un supporto costante via via che la complessità dello studio aumenta.
Dove svolgi il tuo lavoro?
Mi sposto tra i miei due studi, a Verbania e a Milano, dove rice vo e seguo i miei studenti per cercare di individuare con loro, o anche insieme alle famiglie, un itinerario formativo e indivi duale valido, progettato per risolvere problemi pratici. Cerco di sostenere la motivazione, ragionando su come raggiungere gli obiettivi scolastici e delineando di volta in volta il modo mi gliore per arrivarci, partendo dalle abilità e dalle intuizioni dello studente.
Il ruolo del treno nella tua vita? È il mio mezzo di trasporto prediletto. Mi ha accompagnato sin da giovanissimo per tutta l’Italia, sono praticamente cresciuto con lui. Negli anni, mentre viaggiavo, ho osservato il mutamen to delle stazioni, divenute sempre di più centri di aggregazione. Oggi utilizzo il Frecciarossa soprattutto per gli spostamenti tra Roma e Milano, potendo conciliare al meglio gli impegni per sonali e professionali.
Prossima destinazione?
Dopo la laurea magistrale in Storia e un’esperienza nella coo perazione internazionale, ho conseguito una triennale in Psico logia. Questo mi ha consentito di ampliare ulteriormente la mia preparazione e proporre un nuovo approccio all’insegnamen to. Nonostante i 12 anni di esperienza, in cui ho seguito e aiu tato oltre 200 alunni, per me la formazione e l’aggiornamento sono ancora fondamentali per centrare nuove sfide. Confidan do anche nell’aiuto logistico del treno.
RIACCENDERE LA PREVENZIONE
TORNA SUI TRENI L’INIZIATIVA FRECCIAROSA PROMOSSA DA FS ITALIANE E LA FONDAZIONE INCONTRADONNA PER COMBATTERE I TUMORI FEMMINILI
di Cecilia Morrico MorriCecili morricoceciliUn’iniziativa partita nel 2010 che torna ogni anno, a ot tobre, per sostenere la prevenzione del tumore al seno. È il progetto Frecciarosa, promosso dal la Fondazione IncontraDonna con FS Italiane, in collaborazione con il Mi nistero della Salute, che per il tutto il mese propone visite e consulenze su Frecce, Intercity, treni regionali e nei FRECCIALounge di Roma Termini e Milano Centrale.
«È sufficiente analizzare i numeri degli screening regionali gratuiti per comprendere che dobbiamo riprendere rapidamente la strada del
la prevenzione, interrotta involontaria mente a causa della pandemia», af ferma Adriana Bonifacino, presidente di IncontraDonna. «Quattro milioni di inviti agli esami di controllo non sono partiti e questo ha ridotto del 28% gli screening per il tumore del seno, del 35% quelli al collo dell’utero e del 34% quelli al colon-retto. Numeri che si possono trasformare in migliaia di diagnosi mancate. L’obiettivo di Frec ciarosa è essere “prossimi” ai cittadini e sensibilizzare con empatia e profes sionalità coloro che per distrazione, timore, paura o mancanza di tempo non si occupano della propria salute, così da rindirizzarli al Servizio Sanita rio Nazionale per ogni necessità». Negli anni l’impegno è cresciuto: sono aumentati i partner e le società scientifiche aderenti, i volontari di In contraDonna hanno distribuito oltre 600mila copie del Vademecum del la Salute e le visite, inizialmente solo sulle Frecce, ora avvengono anche a bordo di Intercity e treni regionali. In più, la presenza del personale medico nei FRECCIALounge, la di vulgazione del Vademecum attra verso media e social network e la nascita della piattaforma digitale frecciarosa.it hanno fatto crescere in modo esponenziale l’iniziativa su tutto il territorio nazionale. «Anche
quest’anno contribuiremo al rilancio della prevenzione oncologica in Ita lia», commenta Carolyn Smith, balle rina e coreografa testimonial ufficiale del progetto. Se il Covid-19 ha rallen tato le visite, la crescita del tumore al seno non si è interrotta. Per questo, conclude Smith, «ogni occasione e luogo disponibili vanno utilizzati per rimarcare l’importanza di adottare stili di vita corretti e convincere le donne a sottoporsi regolarmente ai controlli di routine, primo fra tutte la mammo grafia». frecciarosa.it
B aci scambiati, ultimi saluti e arrivi frettolosi: questi i ri cordi della scrittrice Valeria Parrella sulla stazione di Napoli, simili a quelli di intere generazioni di italia ni sui non luoghi che, per decenni, li hanno visti transitare.
Il racconto è parte di una raccolta creata appositamente per la mostra La memoria delle stazioni, che celebra le sensazioni fugaci di cui sono intrise attraverso i testi di alcuni autori italiani e una serie di immagini storiche e mo derne. Organizzata da Archivio Luce e Fondazione FS, l’esposizione è visita bile all’Auditorium Parco della musica di Roma fino al 1° novembre, sarà a Pa rigi a gennaio e poi continuerà a girare il mondo. In mostra gli scatti d’archivio dei fotografi che, nel corso dell’ultimo
secolo, sono riusciti a immortalare la quotidiana frenesia di otto scali ferro viari italiani: Trieste Centrale, Milano Centrale, Venezia Santa Lucia, Firenze Santa Maria Novella, Roma Termini, Napoli Centrale e Messina Centrale. Alle foto in bianco e nero del secolo scorso si contrappongono le immagi ni vivaci firmate da Anna Di Prospero, giovane artista contemporanea che porta uno sguardo femminile all’in terno della mostra. Non esistevano, infatti, foto d’epoca che ritraessero le stazioni dal punto di vista delle don ne: le 92 stampe d’archivio esposte all’Auditorium sono state tutte pro dotte da uomini. Per questo motivo la curatrice Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà, ha deciso di inserire nel progetto anche 20 scatti moderni rea-
lizzati appositamente per l’evento da una donna, giovane e affermata. Passato e presente si trovano così a dialogare e, tra nostalgia e dinami smo, invitano alla riflessione su temi complessi. Come lo scorrere del tempo e il modificarsi della società, la memoria collettiva e tutte le parti colarissime emozioni che si provano negli scali ferroviari: il nodo alla gola salutando una persona amata, l’alle gria pura e sincera nel vederla scen dere dal treno.
Allo stesso tempo, la mostra offre il ritratto di un Paese in continuo muta mento, dalle abitudini alle tecnologie, dagli abiti allo stile di vita, passando per i grandi personaggi che ne hanno attraversato cultura e territorio. Come Mahatma Gandhi, immortalato nel
1931 mentre viene accolto da una folla di persone al suo arrivo nella stazio ne di Roma Termini, o il regista Alfred Hitchcock, nello stesso luogo 29 anni più tardi, in posa sulla tradizionale carrozza romana, la botticella, traina ta dai cavalli.
Oltre alle foto, fanno parte del proget to otto racconti originali di noti scrittori
italiani che ricordano le stazioni delle loro città di origine, come Valeria Par rella per Napoli, Mauro Covacich per Trieste e Nadia Terranova per Messi na. Ma anche documenti storici e un filmato che racchiude alcune immagi ni audiovisive mai utilizzate finora. Scopo della mostra è donare nuova vita alla realtà ferroviaria, dando visi
Gandhi, seguito da una folla di persone, attraversa la stazione Termini al suo arrivo a Roma Courtesy Archivio Luce Cinecittà
bilità a un passato senza dubbio ro mantico, ma offrendo una prospettiva parimenti poetica e allettante sul fu turo. Per rispondere a tutti coloro che si chiedono se le stazioni – che hanno visto intere generazioni ridere, pian gere, ritrovarsi e dirsi addio – abbiano memoria del loro passaggio. archivioluce.com
È
un uomo del Sud che vive a Mi lano da 40 anni. Negli anni ‘80, il treno lo trasportò da una ter ra aspra, la Basilicata, verso l’Università Cattolica dove, entrato da studente, oggi insegna Letteratura italiana. Giuseppe Lupo, docente, scrittore e saggista, ha un rapporto stretto con questo mezzo di trasporto, spesso presente nei suoi romanzi, che l’ha allontanato dagli affetti proiettandolo nel cuore della moderni tà, in una città dove si è affermato come solo nei sogni può accadere.
Cosa metteva in valigia per quei viaggi? Oltre ai maglioni e alle camicie, tipico corredo di uno studente fuori sede, por tavo con me un misto di buio e di luce, quel sentimento che i milanesi chiama no “magone”, ma anche tanta fiducia, speranza, utopia. Più sogni che sicurez za, insomma. Il treno filava dritto nella pianura lombarda, ma i pensieri che mi giravano in testa non erano così lineari. E, tuttavia, lo scorrere delle ruote sui binari mi aiutava a mettere ordine.
La Treccani ha pubblicato online uno speciale, curato da Cristiana De Santis, che indaga questo mezzo dal punto di vista letterario, filosofico e linguistico. Nell’articolo Sui treni della modernità mancata lei nota un’assenza del treno nella letteratura contemporanea: come se lo spiega?
Perché quasi sempre i treni sono rac contati soltanto come mezzi di trasporto, come strumenti di comunicazione men tre avrebbero potuto essere raccontati come luoghi che presuppongono un vivere insieme. In fondo, per il tempo in cui si rimane a bordo, si crea una specie di comunità con chi siede di fronte o di fianco. Ma il motivo di questa assenza risiede anche nel fatto che, da sempre, il treno rappresenta un elemento che è stato letto come la rovina della quiete e della natura. Siamo una nazione con una cultura spesso più antimoderna che mo derna.
Diversa, invece, è la situazione nella cinematografia e nella musica italiana, dove è molto presente. Come mai que sta differenza?
Film e canzoni hanno saputo cogliere meglio il passaggio della nostra nazione alla modernità. Probabilmente, la lette ratura ha camminato un passo indietro, forse non volendo comprendere quanto di importante ci fosse nella tecnologia,
anzi temendo i suoi effetti. C’è molto al tro al di là dell’immagine del treno che rompe il silenzio e l’incanto della natura.
Il problema non è mai stato essere pro o contro, ma semplicemente mettersi nella condizione di comprenderne il si gnificato e le trasformazioni.
A Roma è in corso La memoria delle stazioni, una mostra in cui si racconta no otto scali ferroviari italiani attraverso foto storiche e racconti letterari. Qual è il suo preferito?
Ne direi due, che sono l’alfa e l’omega del mio paradigma di viaggiatore: una piccola stazioncina di una linea locale, la Potenza-Foggia, quella da cui sono par tito per andare a studiare nel capoluogo lombardo e dove transitava un minusco lo treno a cherosene. E poi la Centrale di Milano, imponente, monumentale: con le sue scale e i suoi atrii, mi sembra va un’enorme macchina da scrivere. In tempi e in momenti diversi, entrambe hanno significato molto sul tema dell’ad dio e del ritorno. Piaga e delizia. Esce in questo mese il suo ultimo ro manzo, Tabacco Clan, edito da Marsilio: c’è un treno anche qui?
Il libro racconta di una comunità di stu denti fuorisede che si incontrano in un collegio a Milano agli inizi degli anni ‘80, quando l’Italia stravinse i Mondiali di Spagna. Quei ragazzi, come tanti al tri, si muovevano in treno. E anche per loro, com’era stato per me, ogni carrozza conteneva buio e luce, magone e utopia.
treccani.it treccani treccanigram
UNA BEVANDA
GENTILE
Amaggio abbiamo prodot to il primo tè verde. Una primizia che si ottiene dai germogli cresciuti dopo la pausa in vernale. Si parla di un centinaio di chili: tenga presente che per fare un chilo di prodotto finale ne servono cinque di fo glie. A settembre, invece, ci siamo dedi cati alla raccolta per produrre il tè nero. Queste due tipologie vengono usate per realizzare quattro specialità: Assolo, Aria, Notturno e Sinfonia, un tè verde e uno nero in purezza e due miscele dove aggiungiamo olii essenziali, aromi natu rali, scorze di agrumi e fiori».
A parlare è Regina Carrai, figlia di Al fredo, l’imprenditore visionario fioren tino che negli anni ‘60 ha introdotto in Italia il tè in foglia intera. L’eccezionalità della notizia è che per la prima volta la raccolta è avvenuta nel nostro Paese, nella piantagione piemontese di Pre mosello (VB), in Val d’Ossola. Un luogo magico vicino al Lago Maggiore e a pochi chilometri dalla Svizzera, dove in due ettari di terreno si trovano cir ca 20mila piante di Camellia sinensis
Qui il sogno di creare e distribuire un
prodotto tutto italiano è diventato realtà dopo anni di studi, prove e tentativi. Un successo made in Italy nato dall’incontro tra La Via del tè, azienda fiorentina gui data dalla famiglia Carrai, con oltre mez zo secolo di esperienza in questo setto re, e la Compagnia del Lago Maggiore, coltivatori di camelie da fiore che diversi anni fa hanno iniziato a riprodurre anche le camelie da tè. Abbiamo raggiunto telefonicamente Regina che, appena ri entrata dalla piantagione di Premosello, ci ha parlato di questo “piccolo miracolo italiano”.
La vostra storia ci insegna che i sogni possono ancora diventare realtà. Come azienda contribuiamo da ormai 60 anni a diffondere nel Paese il tè di qualità. Abbiamo pensato molto all’i dea di realizzare un prodotto nostrano. Ci sembrava una cosa lontana, ma non abbiamo mai smesso di sognare e, so prattutto, di cercare il modo giusto per farlo. Dopo tanto impegno, viaggi e spe rimentazioni, lo scorso maggio abbiamo raccolto e messo in commercio il primo tè coltivato in Italia.
Come si è realizzato il progetto?
Qualche anno fa abbiamo incontrato la Compagnia del Lago Maggiore, una fa miglia di esperti florovivaisti guidata da Paolo Zacchera, che commerciano ca melie, azalee, rododendri. Già nel 2008 avevano cominciato a coltivare piante del tè in vaso e successivamente in pie no campo con l’idea di dare vita in futuro ad una produzione.
È nata quindi una partnership, in cui loro hanno messo la piantagione e noi la parte tecnica e la nostra esperienza per produrre in modo stabile un tè italiano.
Così, abbiamo cominciato un percorso lungo e complesso che si è articolato in vari anni di lavoro. Le foglie, infatti, van no raccolte solamente quando le piante hanno tra i tre e i cinque anni di età. Ci racconta di questa piantagione?
Si trova a circa 200 metri di altitudine, protetta e circondata da montagne che arrivano fino a duemila metri. In lonta nanza si riesce a vedere il Monte Rosa. Questa posizione crea un microclima dove in inverno la temperatura raramen te scende sotto lo zero. L’area dell’Osso la e del Lago Maggiore è perfetta per la coltivazione di piante acidofile, come rododendri, azalee e ovviamente anche camelie da fiore e da tè, che necessitano di un terreno acido. Inoltre, il fiume Toce che confina con il vivaio rende il suolo fertile, poroso e drenante e questo per mette di non far ristagnare l’acqua nelle radici e di non farle marcire. La pianta del te è molto resistente, cresce in varie parti del mondo, ma teme l’umidità. Come avviene la raccolta?
Abbiamo optato per quella manua le, che nel mondo del tè si fa sempre meno, essendo molto dispendiosa. A mano possiamo selezionare solo una parte specifica della pianta, cosa che non avviene quando si usano le macchi ne. Prendiamo solamente le prime due foglie che si trovano sotto la gemma ancora chiusa e questo garantisce un prodotto d’eccellenza.
Pensate di aprire al pubblico la pianta
gione in futuro?
La prossima primavera vorremmo pro porre un’esperienza che coinvolga il vi sitatore nella raccolta. A Premosello si può arrivare anche in treno. E il luogo cir costante offre specialità gastronomiche, borghi da visitare e una pista ciclabile che entra nella Riserva naturale specia le di Fondotoce.
La vostra è una tipica azienda familia re?
La Via del tè è nata nel 1961 da un’in tuizione di mio padre Alfredo. Era un commerciante di caffè, ma fu rapito dal fascino di questa pianta. Così iniziò a im portare in Italia alcuni tè di qualità che in quegli anni erano quasi sconosciuti, come quelli giapponesi e cinesi. Oggi siamo sei figli e lavoriamo tutti nell’azien da. Paolo è l’amministratore delegato, io seguo la parte creativa, Anna crea le miscele, Leonardo segue i clienti, Valen tino si occupa della produzione e Giulia cura i nostri negozi, che al momento sono tre a Firenze, due a Torino e uno a Milano. In totale, l’azienda è composta da un gruppo di circa 50 persone. Cos’è per lei il tè?
Una bevanda gentile. È difficile rimanere arrabbiati se si condivide una tazza di tè: mi ha aiutato negli incontri più importanti della mia vita. E poi è un prodotto diffu so a livello mondiale, per tutti: bevuto dal popolo ma anche da re, imperatori e regine.
Quanto conta per voi la sostenibilità?
Molto e ci siamo trovati in sintonia su questo con la Compagnia del Lago Maggiore. La piantagione di Premosello è strutturata per rispettare al massimo l’ambiente. Per esempio, il diserbo vie ne fatto a mano come una volta. Con la tecnica della pacciamatura copriamo le piante creando uno strato di paglia intor no alla base. Non usiamo la chimica per proteggerle dagli insetti e dagli acari. Abbiamo intenzione di avviare le prati che per avere la certificazione biologica: ci vorrà un po’ di tempo ma è un nostro obiettivo. Questo rispetto per la terra in fluisce positivamente sul prodotto finale. È un modo etico di lavorare che appli cate anche alla parte commerciale? Ormai da tempo abbiamo fatto la scelta di eliminare la plastica dai nostri imbal laggi. Per le spedizioni utilizziamo solo carta riciclata e certificata FSC. Molti filtri dei nostri tè sono realizzati in muffola di cotone oppure in una fibra trasparente che si ricava dal mais. Sono entrambi biodegradabili, così come il filo in coto ne e il talloncino. L’obiettivo è quello di eliminare totalmente l’uso della plastica. Progetti per il futuro?
Puntiamo ad andare avanti, a migliorarci ancora. E magari a produrre un tè bian co. Questa piantagione deve durare nel tempo, va tramandata alle prossime ge nerazioni, un po’ come avviene nel mon do del vino con una vigna.
save the date OTTOBRE 2022
PAESTUM 27>30 OTTOBRE
Soddisfa le curiosità di appassionati e professionisti della storia antica, promuovendo destinazioni ad hoc. È in programma dal 27 al 30 ottobre la 24esima edizione della Borsa di Paestum, diffusa tra il Tabacchificio Cafasso, l’area archeologica, il Mu seo nazionale e la Basilica. Previste cento conferenze, con 500 modera tori e relatori, e 150 espositori che provengono da 12 regioni italiane e 20 Paesi esteri. Presenti soprattutto parchi archeologici e istituti autono mi, dal Colosseo a Ostia antica, da Sibari al museo nazionale di Reggio Calabria.
L’attenzione è puntata sulla candi datura della Via Appia Antica per l’iscrizione nella lista del Patrimonio
Mondiale dell’Unesco. L’itinerario, che va da Roma a Brindisi, coinvolge quattro regioni, 73 comuni, 15 parchi, 12 città metropolitane e province. Si tiene per la prima volta anche l’In contro nazionale delle città ipogee, focalizzato sull’archeologia sotter ranea – cripte, catacombe, gallerie, grotte e labirinti – che diventa ogget to di interessanti percorsi emozionali. Presenti tra gli ospiti internazionali: Ahmed Farouk Ghoneim, diretto re del Museo nazionale della civiltà egiziana, Fatma Naït Yghil, direttrice del Bardo di Tunisi e Zahi Hawass, che ha coordinato gli scavi a Giza, Saqqara e nella Valle dei Re.
La Borsa si distingue anche per due consueti premi: l’International Archaeological Discovery Award
Khaled al-Asaad, intitolato al diret tore del sito di Palmira, e il Premio internazionale di archeologia subac quea Sebastiano Tusa. Non manca no alcune sezioni speciali: ArcheoVirtual, workshop internazionale delle applicazioni digitali e dei pro getti virtuali, e ArcheoExperience, dedicata ai laboratori di archeologia sperimentale.
La manifestazione è anche un’occasione per visitare il Parco archeo logico di Paestum, con la Basilica di Hera, il Tempio di Nettuno e quello di Cerere, il vicinissimo museo di re cente rinnovato, il Parco di Velia con la Porta Rosa e la Certosa di San Lo renzo a Padula, il più vasto comples so monastico del Meridione. bmta.it
APRITIMODA ITALIA 22-23 OTTOBRE
Per un fine settimana all’insegna del fa shion, le aziende specializzate del setto re aprono le porte di laboratori e atelier. Un’occasione per svelare i retroscena dell’intramontabile moda italiana, accen dendo un faro sulla sapienza artigiana che rende possibile la creazione di abiti e accessori meravigliosi. Come gli ombrelli di Francesco Maglia, amati dalla fami glia reale inglese, i tradizionali copricapo degli alpini prodotti dall’ultracentenario cappellificio Cervo o gli abiti sostenibili della moderna Rifò, che riutilizza tessu ti di scarto. È possibile visitare anche le sartorie teatrali, per comprendere il pro cesso creativo che si cela dietro gli abiti indossati in scena. apritimoda.it
GLOCAL
VARESE 10>12 NOVEMBRE
I limiti entro cui si sviluppano le possibilità del racconto sono protagonisti dell’11esima edizione di Glocal. Quest’anno, il festival del giornalismo digitale si concentra infatti sui con fini che delimitano il lavoro di chi opera nell’informazione: i vincoli economici, che ne frenano le opportunità, e quelli re lativi alla disponibilità di tempo, sia nella scrittura sia nell’at tenzione del lettore. L’argomento sarà approfondito durante tre giornate di panel e workshop, che si chiuderanno con la proclamazione dei vincitori del premio Angelo Agostini per i videomaker più meritevoli e di quello dedicato ai reporter che si occupano di data journalism. festivalglocal.it
MAX ERNST
MILANO 4 OTTOBRE>26 FEBBRAIO 2023
Umanista neorinascimentale: così viene presentato Max Ernst nella prima retro spettiva italiana a lui dedicata. A Palazzo Reale sono esposte oltre 400 opere – tra dipinti, sculture, collage, gioielli e libri –alcune non visibili da decenni. Il percorso narra la vita dell’artista tedesco, naturaliz zato americano e francese, in quattro pe riodi che attraversano 70 anni di storia del 1900. Si va dall’infanzia alla Grande guer ra, combattuta in prima persona, fino alle mostre da esordiente. E poi gli anni del Surrealismo, il secondo conflitto mondia le e l’esilio negli Stati Uniti. In alcune sale è messo in evidenza il ruolo che la natu ra ha avuto nella creazione del filone del fantastico, con capolavori come L’angelo del focolare (1937). palazzorealemilano.it
RUBENS A GENOVA
GENOVA 6 OTTOBRE>22 GENNAIO 2023
La mostra a Palazzo Ducale racconta il rapporto dell’artista con la città ligure, a 400 anni di distanza dall’uscita del suo volume Palazzi di Genova Pietro Paolo Rubens, infatti, soggiornò qui diverse volte tra il 1600 e il 1607, in quanto pittore di corte del Duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga. In esposizione oltre 150 opere a sua firma o realizzate da autori che lui studiò o incontrò in Italia. Non mancano disegni, incisioni, arazzi, arredi, abiti e gioielli per celebrare la Superba in un periodo di piena vivacità economica e culturale. Da ammirare in particolare il ritratto Violante Ma ria Spinola Serra del Faringdon Collection Trust, per l’occasione staccato dalle pareti della dimora inglese di Buscot Park. palazzoducale.genova.it
PARMAJAZZ FRONTIERE FESTIVAL
PARMA FINO AL 6 NOVEMBRE Movimenti, declinazione all’Occidente. È questo il titolo della ras segna musicale, alla 27esima edizione, che prevede esecuzioni in luoghi classici e inconsueti della città. Il 16 ottobre torna l’ap puntamento con la Chironomic Orchestra, in cui il direttore ar tistico del festival, Roberto Bonati, usa gesti e segni particolari per stimolare i musicisti e offrire al pubblico un’improvvisazione irripetibile. Il 23, lo stesso Bonati presenta un progetto a sua firma, eseguito in prima assoluta dalla ParmaFrontiere Orchestra. Sa bato 29 ottobre, invece, è la giornata dei bambini con Cartoons! che presenta brani di famosi film d’animazione. La chiusura del 6 novembre è affidata al concerto Intertwined Roots degli NRG Bridges, tre artisti accomunati dall’amore per il clarinetto e il sax. parmafrontiere.it
SEGNI NEW GENERATIONS FESTIVAL
MANTOVA 29 OTTOBRE>6 NOVEMBRE
Laboratori, spettacoli, parate in bicicletta, eventi per le scuo le e per le famiglie. Tutti pensati per avvicinare le nuove ge nerazioni – dai 18 mesi in poi – all’arte e al teatro. Organizzata dall’associazione Segni d’infanzia, la rassegna prevede oltre 200 appuntamenti, di cui molti spettacoli internazionali, come il francese Click! e l’olandese Lucky Luuk. Simbolo della 17esima edizione è la formica, piccolo animale in grado di insegnare ad adulti e bambini la forza della cooperazione, un superpotere che le permette di compiere imprese incredibili. Non manca uno sguardo all’ecologia, per sensibilizzare anche i più piccoli sul tema del rispetto ambientale. segnidinfanzia.org segninonda.org
ROMAEUROPA FESTIVAL
ROMA FINO AL 20 NOVEMBRE
Ha raggiunto la 37esima edizione il festival delle arti contemporanee diffuso in oltre 20 spazi della capitale. Tra teatri, ville, gallerie d’arte e auditorium, per 74 gior nate celebra l’eterogeneità del mondo, accogliendo artisti dai cinque continenti e rendendo omaggio alle più diverse culture. Si alternano spettacoli musicali e teatrali, ma anche performance di danza, eventi d’arte digitale e le magiche esibizioni del nuovo circo, in una commistione di generi che affascina adulti e bambi ni. La manifestazione, che vede la partecipazione di 400 artisti per una delle edizioni più ricche di sempre, rincorre suggestioni nel nome del dialogo e del con fronto culturale costruttivo. romaeuropa.net
ARTE SENESE. DAL TARDO MEDIOEVO AL NOVECENTO SIENA 15 OTTOBRE>8 GENNAIO
Sin dall’epoca medievale la cittadina toscana ha visto na scere e formarsi celebri artisti, i cui dipinti sono stati conser vati in gran numero dalla Banca Monte dei Paschi di Siena. Una selezione delle opere è oggi esposta nel complesso museale di Santa Maria della Scala, in piazza del Duomo. Le sculture di Tino di Camaino si affiancano alle tele di Pietro Lorenzetti e Stefano di Giovanni detto il Sassetta, di Giovan ni Antonio Bazzi detto il Sodoma, e alle opere di Domenico Beccafumi, Bernardino Mei, Cesare Maccari e Fulvio Corsini. In un percorso che accompagna il visitatore alla scoperta della storia e della sensibilità artistica di un intero popolo. santamariadellascala.com
BILL VIOLA. RITORNO ALLA VITA NAPOLI FINO ALL’8 GENNAIO
La Chiesa del Carminiello a Toledo, nei quartieri spagnoli di Napoli, riapre finalmente le porte dopo anni di chiusura. L’occasione è l’esposizione di cinque opere dell’italo-statu nitense Bill Viola, uno dei maggiori esponenti della video arte internazionale. Le suggestioni dell’artista si sommano così al fascino di una seicentesca chiesetta dai pavimenti maiolicati incastonata in un palazzo moderno. Quattro opere sono tratte dall’installazione permanente Martyrs, mentre Three Women proviene dalle riflessioni sullo scor rere del tempo presenti nella serie Trasfigurazioni. vanitasclub.org
IL SENTIERO DEL VIANDANTE INNAMORATO
FOGGIA 7 OTTOBRE>27 NOVEMBRE
Il viaggio come atto di amore verso gli altri e se stessi. È la vi sione di Tarshito, eclettico artista barese autore di una mostra itinerante che, in autunno, fa tappa al Museo del territorio. L’opera madre è una mappa di tela grezza lunga 1008 cm, numero sacro, su cui è dipinta una geografia ideale, senza confini. L’espo sizione è il risultato di cento lavori corali che rappresentano tra dizioni e riti locali di tutto il mondo, creati da Tarshito in sintonia con sette artisti, applicando tecniche come il disegno, l’acquarello o il ricamo. Sono usanze ispiratrici di fratellanza e pace, scoperte dall’autore nei suoi pellegrinaggi in Messico, India, Nepal, Perù, Bangladesh, Marocco e Corea del Sud. specialetarshito.eu
La mappa esposta nel Museo Castromediano di Lecce, precedente tappa della mostra
I MAESTRI DEL NOVECENTO: DA GUTTUSO A VEDOVA CENTURIPE (EN) FINO ALL’8 GENNAIO
I capolavori di alcuni dei più grandi artisti italiani ar rivano per la prima volta in Sicilia. Le opere sono state selezionate dalla collezione del mecenate Alberto del la Ragione, donata al Comune di Firenze in seguito all’alluvione del 1966 e oggi conservata nel Museo del Novecento. A rendere omaggio alla terra siciliana, che li ospiterà fino all’8 gennaio, sono soprattutto i capolavori del pittore Renato Guttuso, originario di Bagheria (PA). Ma sono presenti anche tele del veneziano Emilio Vedova, dell’esponente romano della Scuola di via Cavour Mario Mafai e dell’emiliano Filippo de Pisis. centuripecittaimperiale.com
Italo Valenti, I pazzi dell’isola (1941)
PHEST
MONOPOLI (BA) FINO AL 1° NOVEMBRE
See beyond the sea è il sottotitolo del Festi val internazionale di fotografia e arte che ogni anno accende Monopoli, cittadina in provincia di Bari affacciata sul mar Adriatico. L’invito della rassegna è di spostare lo sguardo al di là del mare che segna il confine naturale con gli altri Paesi. Le opere non sono chiuse in un museo ma vengono esposte in chiese e palazzi storici e, per la prima volta, nella Casa Santa, un con vento carmelitano del ‘500. Gli artisti sono gio vani di provenienza internazionale ma anche pugliesi come il ceramista Giorgio Di Palma e il fotografo Dario Miale, il duo di Grottaglie che ha ideato il progetto Sano/sano. Per spingersi oltre il mare con ironia e leggerezza. phest.info
CA’ DEL BOSCO: INTUIZIONE, EVOLUZIONE, FASCINO ED ELEGANZA
E
rano gli anni ‘60 quando Maurizio Zanella intuì il po tenziale della Franciacorta e, partendo da una casa nel bosco acquistata dalla mamma Anna Maria Cle
menti a Erbusco (BS), con ostinata determinazione nel 1976 giunse a produrre i primi metodo classico.
Oggi è lui a guidare la più importante e innovativa azienda vi nicola del territorio, le cui bollicine, in Italia e nel mondo, sono sinonimo di fascino ed eleganza. La pionieristica e continua ricerca del meglio ha portato Ca’ del Bosco a livelli qualitativi altissimi. Dal monitoraggio dei singoli acini fino al processo di lavaggio dell’uva, introdotto nel 2008 per pulirla da ogni re siduo. Un percorso di tre vasche di ammollo, che prevede il movimento e il galleggiamento dei grappoli per borbottaggio d’aria e, infine, l’asciugatura. Un vero e proprio idromassaggio del grappolo.
Da pochi giorni è disponibile la nuova Cuvée Prestige Edizione 45, l’ultima interpretazione del metodo multivintage per eccel lenza, espressione dei diversi terroir della Franciacorta, di quei vigneti che Ca’ del Bosco ha saputo costruire negli anni. L’Edi zione 45 è uno spumante originale, dalla fragrante freschezza e complessità, che rivela al meglio il carattere degli oltre 130 vini di cui si compone, provenienti da diverse annate della collezio ne riserva. Il vino è sfida, ricerca, a volte azzardo e nella Edizio ne 45 tutto ciò è chiaramente e meravigliosamente percepibile. cadelbosco.com
CARICO: ESPERIENZA UNICA FATTA DI SAPORI, COCKTAIL, CIBO E VITA
AMilano c’è un luogo semplicemente unico, dove val gono regole diverse dal solito. Atmosfera e confron to, mixology e pietanze, creatività e ingegno. Dom Carella, Lorenzo Ferraboschi e Andrea Bassi sono le anime che hanno scatenato questo progetto “carico” (nomen omen) di energia e bellezza. La bellezza di degustare piatti come Allet terato (saporito pesce azzurro) il suo fondo, insalata pressata, dragoncello francese, Pasta mista, fondo di midollo, beurre blanc all’aceto di gelso, cuore di pollo trifolato, polvere di alloro o Diaframma, fagiolini bruciati, colatura di funghi, composta di porro.
Ogni piatto è un viaggio di grande intensità grazie al talen to dello chef Leonardo D’Ingeo. L’energia e la sapienza della mixology di Carico è la parallela ragione per frequentarlo. Tra i signature Estragon Cha Cha a base tequila o il Capsicum Fun ky, rotondo, speziato ed elegante. I grandi classici, dal Rob Roy al Daiquiri, sono interpretati con passione dalla squadra di bar tender e dal team di sala: Christian Teducci, Alberto Baruchello, Giacomo Scotti e Francesco Polo. Da non perdere, abbinati ai
menù degustazione, le variazioni di grandi classici in porzio ne compact, tra vini, sake, fermentati e spiriti. A Carico hanno aperto da poco anche la Martini Room, per vivere una serata dedicata al cocktail più famoso del mondo. Nella sala le uniche luci sono sulle mani del barman e sulla tavola degli ospiti. carico.io
CUCINA DI STILE DAL GUSTOSO PROFILO
Piro Bistrot è alle spalle del lungomare di Reggio Calabria, a pochi passi dal Piro Piro restaurant, il fratello maggiore adagiato sulla spiaggia dello Stretto dove si può gustare la deliziosa cucina dello chef Marco Maltese di fronte a un panorama davvero unico.
Ma il Piro Piro apre le sue porte solo nella stagione estiva, quindi ecco il Bistrot dove sperimentare per tutto l’anno il talento del cuoco, ma non solo.
La proposta gastronomica, infatti, presenta le pizze gour met con lievito madre e farine antiche di Rosario Bellè e le specialità giapponese del sushi chef Mark Domingo Lawrence. Alla guida del locale ci sono Domenico Bellan tonio e Laura Saraceno. Completano il team il barman Ser gio Nucera e il pastry chef Fabio Belmonte. L’atmosfera e l’ospitalità sono punti forti al Piro Bistrot, così come la cura dei dettagli e la qualità delle materie prime. I piatti di Mal tese possiedono gusto, creatività e sostanza, il pesce dello Stretto valorizza le preparazioni giapponesi e le eccellenze locali accompagnano le pizze di ottimo impasto. Interes
L’
azienda Sartori è una delle realtà vinicole più an tiche della Valpolicella. Risale al 1898 ed è l’uni ca a portare nel marchio la statua di Cangrande della Scala, simbolo di Verona. Guidata oggi da Andrea e Luca Sartori, conta 25 ettari di proprietà sulle morbide col line della Valpolicella Classica, un vero spettacolo naturale. Inoltre gestisce conferitori di uva, di altissimo livello, nelle zone vinicole della Valpolicella doc, Soave, Lugana, Custoza e Bardolino.
Tutta la produzione è caratterizzata da una grande elegan za enologica, da bilanciati e affascinanti sentori olfattivi e da un carattere concreto, a volte suadente, a volte potente, che dona al palato vere emozioni. Uno stile sobrio ed elegante, quasi senza tempo.
La gemma della famiglia è l’Amarone Corte Brà. Vengono usati solo i migliori grappoli, raccolti a mano dopo una rigo rosa selezione in vigneto e riposti in cassette di piccole di mensioni, all’interno di arieggiati fruttai, per l’appassimento di circa tre mesi. Seguono sei anni in botte e ulteriori sei mesi in bottiglia. Un Amarone figlio del tempo, lento e misurato, che diviene un eccezionale protagonista nel bouquet olfat tivo, ampio e complesso, e nel sorso dona al palato potenza ed eleganza.
«Crediamo che il buon vino non sia un lusso», spiega Andrea Sartori, «ma un diritto per un consumo di qualità che sentia mo come preciso dovere aziendale». sartorinet.com
santi e da provare le birre artigianali di Funky Drop, azienda reggina in grande crescita. piropiroreggiocalabria.it
LA DOMATRICE
DI BELVE
DAL 1° NOVEMBRE LA GIORNALISTA FRANCESCA FAGNANI TORNA AL TIMONE DEL PROGRAMMA CULT DI RAI2. CHE ORA VA IN ONDA TRE VOLTE ALLA SETTIMANA
Non fa sconti a nessuno e nel suo programma, Bel ve, riesce a “domare” gli intervistati con le domande che tutti vorrebbero porre. Francesca Fagna ni, a dispetto del viso angelico e ras sicurante, picchia duro e mette alla berlina anche l’ospite più ostico. Il risultato? La trasmissione è diventa ta un cult e torna su Rai2 dal 1° no vembre passando da una a tre sere alla settimana: martedì, mercoledì e giovedì. Ne parliamo con la condut trice e ideatrice, che sta lavorando ora alle nuove puntate.
Quest’anno ti devi fare in tre, quindi. È uno sforzo produttivo enorme. Me lo ha chiesto la rete e io ho risposto favorevolmente.
La nuova collocazione ha richiesto cambiamenti?
Pochi, è solo tutto concentrato in un mese. Il criterio di scelta degli inter vistati è stato lo stesso, identitario rispetto al titolo: persone determina te, agguerrite, coraggiose, originali, divisive e controcorrente. Il format
funziona nella sua essenzialità, con interviste secche.
Giochiamo con la fantasia: le belve che vorresti?
La premier finlandese Sanna Ma rin, l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel e, usando l’immaginazione, mi piacerebbe intervistare la catti vissima Crudelia De Mon.
Chi metterai sulla graticola in que sta edizione?
Non posso anticipare nulla, ma col go l’occasione per invitare ufficial mente Francesca Pascale.
Che emozioni ti suscita il viaggio in treno?
L’ho usato molto per anni quando facevo l’inviata per Michele Santoro.
Era il mezzo di spostamento princi pale perché il più immediato. Mi ha consentito di raccontare situazioni drammatiche e di rinascita. Ecco, il viaggio per me è racconto.
I tuoi luoghi del cuore?
La California. Ci sono stata un mese dopo la maturità e me la ricordo con grande tenerezza. I 18 anni sono un
momento magico, ricco di aspettati ve, certezze e paure. E poi New York: ho vissuto lì durante l’11 settembre. Viaggiare non era più così rilassan te, perché negli occhi mi tornavano quelle immagini fortissime. È una città che mi ha aperto la mente, dove ho frequentato persone diver sissime da me, che mi hanno fatta crescere parecchio.
Il tuo buen retiro da raggiungere in treno?
San Vito di Cadore, sulle Dolomiti. Il contatto con quel tipo di natura mi rilassa, rigenera e ridimensiona. Cammino e faccio trekking, com battendo contro le vertigini. È molto sfidante.
Dopo Belve che farai?
Sto scrivendo un libro per Rai Eri sul la criminalità organizzata, argomen to a me caro. E poi mi piacerebbe raccontare una periferia dall’interno, per lungo tempo, con il linguaggio del reportage.
frafagni
CROCODILE
ROCK
PARTITO DA AMICI, IL CANTAUTORE LUIGI STRANGIS CONQUISTA LE CLASSIFICHE ARRIVANDO AL CINEMA COME DOPPIATORE. IN ATTESA DEI LIVE DI NOVEMBRE A ROMA E A MILANO
Dopo la vittoria al talent Amici di Maria De Filippi ha passato l’estate in tour. Tut ta quell’energia l’ha poi riversata sul nuovo singolo Stai bene su tutto, pri mo estratto del nuovo album Voglio la gonna in uscita il 14 ottobre. Il can tautore calabrese Luigi Strangis non si ferma un attimo e, mentre pensa ai live del 16 novembre all’Alcatraz di Milano e del 20 all’Atlantico di Roma, ha pure il tempo di doppiare il protagonista del film Il talento di Mr. Crocodile, dal 27 ot tobre sul grande schermo. Partiamo dal singolo. Che pezzo è? È una canzone rock divertente e leg gera che ha ritmo e forza. È un’apertura a quello che verrà. E cioè?
Un disco con vari brani, collegati tra loro, da sonorità ricercate. Ci ho mes so dentro tutta la mia personalità per trovare qualcosa di differente. Andare in giro durante il tour è stata una fonte d’ispirazione, ho cercato così le giuste chiavi della musica. Come mai l’album si intitola Voglio la gonna?
Non ho problemi a indossare una gon na. È un invito a essere sé stessi, senza pensare che ci sono vestiti da femmine o da maschi. Nel 2022 posso fare quel lo che fa una donna e una donna può fare quello che fa un uomo. C’è ancora chi si scandalizza, secondo te?
La nostra generazione ha raggiunto di verse libertà. Ma magari chi è di un’al tra epoca la pensa diversamente. Inve ce è giusto tutti sappiano che bisogna essere liberi. Un anno fa, quando ti sei presentato ai provini di Amici, avresti mai pensato che la tua vita sarebbe cambiata così? Sono andato lì con la voglia di fare musica e lanciare messaggi, ma senza pretese. Ci ho messo un po’ a realizza re che ce l’avevo fatta. Quel program ma mi ha dato tantissimo. Sei anche doppiatore di Lyle, il cocco drillo del film Il talento di Mr. Crocodi le. Che tipo è? Molto simpatico. È stata un’esperien za particolare e interessante. Canto le canzoni della versione italiana. In quella originale sono interpretate dal
canadese Shawn Mendes, che spero di incontrare presto.
La difficoltà maggiore?
Far capire le movenze del personag gio con la voce. E seguire il labiale alla perfezione, soprattutto in alcuni pezzi. In cosa ti assomiglia Lyle? È sorridente come me. Siamo molto simili.
A novembre parte il tour invernale. Come sarà? Molto “suonato”, con tantissima musi ca in più. Non so se ci saranno cover, vorrei puntare sulle mie composizioni. Se ti dico Sanremo cosa rispondi? Che non lo so, ma col pezzo giusto ci andrei.
Duetto dei sogni? Brunori Sas, un artista che adoro. Ed è pure calabrese come me. Come ti senti oggi? Un po’ più consapevole, con qualche chitarra in più. E con la stessa voglia di chiudermi nella mia cameretta a suo nare.
StrangisLuigi luigi_strangis
UN PREMIO SOSTENIBILE
Il Prix Italia dedica la 74esi ma edizione alla sostenibilità come tema estremamente articolato e fecondo, che comprende non solo il cambiamento climatico, ma anche diritti e inclusione, povertà e istruzione. Non parlerei solo di tv sostenibile ma di servizio pubblico sostenibile, che ha un impatto sulla società e contribuisce al benessere degli individui».
Con queste parole la presidente della Rai, Marinella Soldi, racconta il claim Sustainable me legato al concorso che premia i migliori prodotti interna zionali per radio, tv e web, a Bari dal 4 al 7 ottobre.
Perché avete scelto questa location? La Puglia è un territorio in sintonia con il tema dell’edizione 2022. Il nostro logo è la sagoma di un ulivo, simbolo della regione. Tra le sue foglie, spicca no gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu per il 2030 e le parole chiave del servizio pubblico: inclu sione, trasparenza, educazione. Bari, aspirante smart city del Mediterraneo, è una città in continuo cambiamento, coinvolgente, vitale, dallo spirito gio vane. Protagonisti del Prix sono anche
gli studenti pugliesi con le loro idee e progetti di sostenibilità. Il festival pas sa dal maestoso Teatro Petruzzelli al Kursaal Santalucia, fresco di restauro, fino a piazza del Ferrarese, porta d’in gresso alla città antica.
Cosa rappresenta, oggi, il Prix Italia? È considerato un riconoscimento di grande prestigio, tra i più longevi e partecipati del mondo con oltre due mila professionisti dei media e più di 130 broadcaster, tra partecipanti sto rici come la BBC, che a ottobre com pie 100 anni, e nuovi membri tipo la tv del Camerun. Le opere selezionate hanno standard elevatissimi: l’eccel lenza, nella varietà di stili e contenuti, è il comune denominatore del Prix da sempre. A cosa tende la tv del futuro?
Da un lato punta a una visione sempre più personalizzata, attraverso dati e algoritmi, e dall’altro a creare momen ti di fortissima condivisione con gran di eventi come il Festival di Sanremo, l’Eurovision Song Contest, i Mondiali, le Olimpiadi. In ogni caso, con il passaggio all’e ra digitale, resta
forte l’esigenza di garantire a tutti con tenuti affidabili e di qualità. Bisogna anche orientarsi su comportamenti responsabili. La Rai ha appena lancia to una campagna per sensibilizzare il pubblico sulla tutela ambientale e sullo straordinario potere che ognuno di noi ha di fare la differenza con pic coli gesti quotidiani. Come sarà, domani, il Prix Italia? Ancora più social, coinvolgente, spe rimentale e rivolto ai giovani. rai.it/prixitalia
RACCONTI IN BARCA
DAL 13 OTTOBRE, SU RAI2 E RAI SPORT, IL CRONISTA GIULIO GUAZZINI TORNA A SEGUIRE IL MONDO DELLA VELA CON UNA NUOVA EDIZIONE DEL PROGRAMMA L’UOMO E IL MARE di Flavio Scheggi mescoupsdecoeur
Le notti insonni davanti alla tv per seguire le regate di Coppa America e tifare il team italiano di Luna Rossa. Le me daglie d’oro nel windsurf di Alessan dra Sensini ai Giochi di Sydney 2000 e della coppia Ruggero Tita e Cate rina Banti con il catamarano sporti vo Nacra 17 alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Ma anche il salvataggio della velista francese Isabelle Autissier in mezzo all’oceano Pacifico, da parte di Giovanni Soldini, nel 1999. Tutte queste avventure sono state raccontate dalla voce di Giulio Guaz zini, il giornalista Rai che dagli anni ‘80 segue come cronista il mondo del mare, con particolare attenzione
alla vela. Da giovedì 13 ottobre, su Rai2 e Rai Sport in seconda serata, torna per l’ottavo anno con la tra smissione L’uomo e il mare La prima puntata si apre con il rac conto della Barcolana, di cui Tre nitalia è partner, che si svolge il 9 ottobre nel golfo di Trieste: «È una regata unica al mondo, con una linea di partenza lunga un miglio e circa duemila barche partecipanti. Numeri che hanno fatto entrare l’evento nel Guinness dei primati. Per la compe tizione sono passati da Trieste i più importanti velisti internazionali, tra vincitori di Coppa America, medaglie olimpiche e sportivi che hanno com piuto il giro del mondo», racconta
Guazzini. E aggiunge: «Mi piace ri cordare che la vela si può praticare a qualsiasi età perché ci sono tante tipologie di barche adatte a ogni per sona».
Nel programma non mancano ap profondimenti su argomenti legati al mare, come la sostenibilità e la tu tela del territorio. «D’altronde, il ve lista è una delle persone più attente all’ambiente. In barca stai attento a non sprecare l’acqua anche quando ti lavi i denti. E ai bambini, fin dalle prime uscite, viene detto di non but tare niente in mare», ricorda il gior nalista televisivo.
Anche la stessa barca, mossa solo dalla forza del vento, è tra i mezzi di trasporto più ecologici. «Il nostro Pa ese, con ottomila chilometri di coste, potrebbe sfruttare molto di più le vie marittime per il trasporto e la mobili tà. Il mare e la vela vanno visti come una grande risorsa e non solo come un’evasione o uno sport da ricchi». lioguazzini giulio_raisport | luomo_e-il_mare
UN TRENO DI LIBRI
TRUST
L’ULTIMO ROMANZO DI HERNAN DIAZ È LA STORIA DI UN MAGNATE DI SUCCESSO DURANTE IL CROLLO DELLA BORSA DEL 1929. CON UN DOPPIO SIGNIFICATO DEL TITOLO
Che l’ultimo romanzo di Hernan Diaz – autore che non ha bisogno di pre sentazioni ma, per chi avesse perso qualche pezzo, stiamo parlando del finalista al Premio Pulitzer 2018 e al PEN/Faulkner Award 2018 con Il fal co – sia un libro ambiguo, polifonico, sfaccettato, lo si evince già dal titolo.
Trust è una parola che in inglese ha molteplici accezioni. Due tra tutte, poste a emblema delle diverse ani me del romanzo.
C’è, da una parte, il significato finan ziario: quando parliamo di trust, in gergo economico, ci riferiamo a una coalizione di imprese, a un’unione volta all’aumento dei profitti e al con trollo di una fetta di un determinato mercato.
A un primo sguardo, scopriamo che è questo il filo conduttore del libro di Diaz: il mondo finanziario, i magnati di Wall Street, il crollo della Borsa nel 1929. Il denaro e la ricchezza, le due entità che, con la loro aurea qua si mitica, governano gli Stati Uniti (e non solo). Trust è, in effetti, la storia di un magnate di successo, Andrew Bevel, che non solo è sopravvissuto al terribile martedì nero, ma ne ha fatto il trampolino per il proprio suc cesso.
La parola trust, però, ha anche un’al tra accezione: quella di fiducia.
Ed è su questa parola che si fonda l’altra anima del libro, la sua caratte ristica distintiva. La particolarità del romanzo di Diaz è quella di non es sere solo un romanzo.
La vicenda di Bevel è infatti raccon tata da quattro punti di vista diversi, a ognuno dei quali corrisponde una differente forma narrativa.
Trust si apre con un classico romanzo statunitense – scritto deliziosamente – in cui viene riportata la storia del magnate e della sua moglie defunta, Mildred.
Segue un memoir, un’autobiografia incompiuta dello stesso Bevel che, mosso dall’indignazione per quanto è stato scritto sul suo conto nel ro manzo, è impaziente di raccontare la sua verità. E ancora: nella terza par te a parlare è Ida Partenza, la gho stwriter a cui il magnate ha affidato la propria autobiografia, decisa a svela re ancora un’altra versione dei fatti.
Infine, a chiudere il libro di Diaz, è la voce di Mildred Bevel che si fa strada in una delicatissima forma diaristica. Quattro punti di vista, quattro fi nestre aperte sulla stessa vicenda pronte a smentirsi reciprocamente, a complicare il giudizio del lettore, ad assommare dettagli. È metaletteratura, è un gioco di stile, certo, ma è anche la resa letteraria di un dato incontrovertibile: come
narratori della nostra personale ve rità siamo tutti inaffidabili. Senza esclusioni. Un consiglio spassionato: il modo migliore per godere di que sto romanzo è tuffarcisi in uno stato di verginità, senza aver letto la quar ta di copertina, manuali di istruzioni o recensioni. Ma, se siete arrivati fin qui, è ormai troppo tardi. Leggetelo ugualmente o, tutt’al più, regalatelo a un amico ancora ignaro.
Il procacciatore di sigari […] Avendo fin dalla nascita goduto quasi di ogni vantaggio, uno dei po chi privilegi negati a Benjamin Rask fu quello di un’ascesa eroica: la sua non fu una storia di tenacia e perse veranza, o l’epopea di una volontà inscalfibile capace di forgiare per sé un destino aureo pur partendo da una manciata di scorie. Secondo il risguar do posteriore della Bibbia della fami glia Rask, nel 1662 gli antenati di suo padre erano emigrati da Copenaghen a Glasgow, dove avevano iniziato a commerciare nel tabacco provenien te dalle colonie. Nel corso del secolo successivo, i loro affari prosperarono e si ingrandirono al punto che una par te della famiglia si trasferì in America, in modo da poter sorvegliare meglio i fornitori e controllare ogni aspetto della produzione. Tre generazioni dopo, il padre di Benjamin, Solomon, acquistò tutte le quote di parenti e in vestitori esterni. Sotto la sua direzione l’azienda continuò a fiorire, e non gli ci volle molto per diventare uno dei più rinomati commercianti di tabacco del litorale orientale. Si può affermare con
certezza che la sua merce provenis se dai migliori fornitori del continente, ma più che nella qualità della materia prima, la chiave del successo di Solo mon stava nella sua capacità di trarre vantaggio da un dato scontato: certo, nel tabacco c’era un aspetto di epi cureismo, ma la maggior parte degli uomini fumava per poter parlare con altri uomini. Solomon Rask era quindi un procacciatore non solo dei migliori sigari, cigarillos e miscele di trincia to da pipa, ma anche (e soprattutto) di eccellenti conversazioni e contatti politici. Riuscì a raggiungere il gradino più alto della sua scala professionale e si garantì di restarvi grazie alla sua affabilità e alle amicizie coltivate nei fumoir, dove lo si vedeva spesso con dividere uno dei suoi figurado con al cuni illustri clienti, tra i quali annovera va Grover Cleveland, William Zachary Irving e John Pierpont Morgan […].
La settimana del crollo […] Quasi tutti preferiamo credere di essere i soggetti attivi delle nostre vittorie, ma solo gli oggetti passivi delle nostre sconfitte. Trionfiamo, ma in realtà non siamo noi a fallire – ci ro vinano forze che sfuggono al nostro controllo.
Durante l’ultima settimana di ottobre
del 1929, la maggior parte degli spe culatori – dal potente finanziere nel centro di Manhattan alla casalinga dilettante che vendeva e comprava azioni alla Borsa di San Francisco –impiegarono pochi giorni per trasfor marsi da agenti del loro successo, grazie soltanto ad acume e implaca bile volontà, a vittime di un sistema profondamente difettoso e forse an che corrotto, unico responsabile della loro fine. Un calo degli indici, un’epi demia di paura, una frenesia di vendi te guidata dal pessimismo, una diffu sa incapacità di rispondere ai richiami degli impegni... Quale fosse stata la causa del crollo che, a sua volta, era diventato panico, una cosa era chiara: nessuno di coloro che avevano con tribuito a gonfiare la bolla si sentiva responsabile del suo scoppio. Erano le vittime incolpevoli di un disastro di proporzioni quasi catastrofiche. Proprio come nel Panico del 1907, per tutta la settimana del crollo del 1929 i presidenti delle più grandi banche del paese, insieme al capo della Federal Reserve di New York e ai presidenti e soci anziani delle principali società fiduciarie e case di intermediazione, tennero riunioni segrete per cerca re di individuare la strategia migliore per sostenere il mercato. Ancora una
Un assaggio di lettura
volta, come nel 1907, i colloqui not turni ebbero luogo nella biblioteca di Morgan, in questo caso presieduti dal figlio di Pierpont, Jack. Ancora una volta, Rask fu convocato per portare consigli e aiuto materiale. E, ancora una volta, rifiutò. Nonostante il sostegno organizzato dei banchieri, l’intervento degli indu striali e le rassicurazioni di politici e accademici che ribadivano, per l’en nesima volta, che le condizioni del mercato erano “fondamentalmente sane”, le azioni continuarono a pre cipitare. Lunedì 21 ottobre ne furono vendute circa sei milioni, un record assoluto che fece ritardare di due ore tutti i telegrafi di Borsa del paese. Quel primato storico fu annullato dall’iste ria commerciale dei giorni successi vi. Giovedì 24 furono scambiati quasi tredici milioni di azioni; martedì 29, oltre sedici milioni. Il telegrafo rimase fermo per quasi tre ore. Le folle inva sero Wall Street e si ammassarono alle porte delle banche e delle case di intermediazione di tutto il paese. Mentre i fondi d’investimento naufra gavano e si nutrivano di se stessi, ci fu un’ondata di ordini di vendita ma nes sun compratore. Inevitabilmente l’on da si infranse, lasciandosi dietro una palude oceanica di azioni invendibili e un mercato devastato.
Solo un uomo sembrò essere rimasto immune dalla catastrofe. I colleghi sbigottiti di Rask impiegarono alcuni giorni per rendersi conto di tutta la portata della sua situazione. E altret tanto fece la stampa. Rask non solo aveva attraversato indenne la tem pesta, ma ne aveva tratto un profitto colossale […].
Il denaro è questo […] Circa mezz’ora dopo venne il mio turno.
Avevo visto esempi così grandiosi e austeri di art déco solo nei film – gli uffici tutti uguali dei capitani d’indu stria, dei finanzieri e dei magnati della stampa, in genere rappresentati come despoti senza cuore. Linee parallele si rincorrevano in traiettorie oblique che partivano dai mobili cromati per finire sul pavimento di pietra intarsiata, e ri salivano sulle pareti rivestite in legno, sui telai delle finestre e fuori nella cit
tà, proseguendo sulle facciate degli edifici circostanti e anche oltre, lun go le strade che si intersecavano fino all’orizzonte.
Un uomo calvo, meticoloso e occhia luto, che sembrava una strega – faccia magra, occhi gialli, un neo sul mento all’insù – mi indicò una sedia mentre si accomodava dal suo lato della scriva nia. Accanto a un massiccio accendi no di ottone c’era un cartellino con il suo nome, Shakespear. «Senza e fina le», come gli avrei poi sentito ripetere giorno dopo giorno. Solo in quel mo mento nell’aria refrigerata notai il forte odore di sigarette e menta.
«Prego, si accomodi, signorina...». Sfogliò le sue carte, tracciò un segno di spunta e scrisse qualche parola. «Prentice. La sua prova di dattilografia è davvero notevole».
«Grazie». I martelli pneumatici rico minciarono.
«E la sua stenografia... Sì, davvero no tevole». «Grazie».
«Posso?» Indicò la mia “autobiogra fia” dattiloscritta, che gli consegnai. Gli ci volle un tempo spropositato per leggerla. Una volta finito, l’archiviò insieme alle altre mie prove, annotò qualcosa in un quaderno aperto sulla
scrivania e mi guardò.
«Noi comprendiamo che questi sono tempi piuttosto difficili e la maggior parte di voi ragazze si presenta per quasi ogni posto di lavoro disponibi le, ma vogliamo anche essere sicuri di assumere qualcuno che non solo ab bia bisogno di questo lavoro, ma che lo desideri. Lei lo desidera?» «Sì».
«Perché?»
Non mi sarei mai aspettata di rispon dere come feci. Non fu una cosa stu diata. Non mi ero preparata. Le parole mi uscirono e basta.
«Perché lavorare in un posto che fa una cosa quando posso lavorare in un’azienda che fa tutto? Perché il de naro è questo: tutto. O almeno può diventarlo. È la merce universale con cui misuriamo tutte le altre merci. E se il denaro è il dio tra le merci, que sto», aggiunsi mentre con il palmo rivolto verso l’alto disegnavo un arco che abbracciava l’ufficio e suggeriva l’edificio che lo conteneva, «è la sua cattedrale».
Una lunga pausa. «Vorrei che tornasse lunedì pome riggio per un ultimo colloquio. Si pre senti di sotto alle cinque in punto. Le spiegheranno dove andare» […].
Un assaggio di lettura
Gli anarchici[…] Non ho ancora idea di cosa signi ficasse “azioni”. Di quanto fosse reale quella parola. Di quanto seriamente andasse presa. Certo non seriamente come mio padre avrebbe voluto. Anche se gli sfumati resoconti del suo pas sato contenevano alcuni riferimenti ad atti di violenza, non ho mai creduto del tutto che fosse stato coinvolto in qual cuno degli episodi che aveva descritto in maniera tanto vaga. Non c’è nulla di impreciso e nebuloso nella violenza, e trovavo sospetto che i suoi racconti fossero così fumosi. Eppure lui e i suoi compagni spesso tacevano, come di
comune accordo, ogni volta che la con versazione prendeva una certa piega (specialmente quando ricordavano i loro giorni in Italia). Questo mi faceva pensare che avessero condiviso storie abbastanza terribili o compromettenti da richiedere un silenzio immediato e unanime. Però il ricorrente scherzare sulla “violenza insurrezionale”, l’insi stenza sulla “propaganda del fatto”, il riferimento noncurante alle capsule di fulminato di mercurio, gli ammicca menti grottescamente espliciti a Luigi Galleani e all’attentato di Wall Street del 1920 e in generale l’eccitazione riguar do alla possibilità di uno spargimento
di sangue mi spingevano a credere che fossero tutte spacconerie. Chi poteva lasciarsi coinvolgere in situazioni del genere e poi parlarne a quel modo?
Qualunque fosse la versione data da mio padre in un determinato momento, per me la direttiva rimaneva sempre la stessa. Non dovevo ripetere nulla di ciò che sentivo né menzionare mai, a nes suno, le sue idee politiche. Crescendo, mi ero resa conto che questo era fonte sia di ansia sia di eccitazione. A volte, però, il fardello diventava troppo pe sante. Dopo tutto mio padre parlava quasi esclusivamente di politica, il che mi rendeva difficile rispondere anche alle domande più banali su di lui – sem brava che qualsiasi cosa dicessi potes se tradirne la fiducia. Ma è anche vero che essere depositaria di quel gran se greto spesso mi entusiasmava. Ciò che accomuna tutte le tendenze, le ramificazioni e le schegge dell’anar chismo – e ce ne sono parecchie – è l’opposizione a ogni forma di gerarchia e disuguaglianza. Non dovrebbe sor prendere, quindi, che non esistano do cumentazioni dettagliate del movimen to, poiché l’ordine istituzionale richiesto per ottenerle è in evidente contraddi zione con i principi del movimento stes so. Ecco perché i miei tentativi di deter minare il ruolo di mio padre, sia in Italia sia in America, mi hanno condotto solo in vicoli ciechi. Ma la mancanza di prove non è solo la conseguenza delle carat teristiche del movimento. Gli anarchici furono sistematicamente perseguitati negli Stati Uniti, dove servirono da capri espiatori per sfogare tensioni politiche e, nel caso degli italiani, anche razziali. Durante le mie ricerche sul passato di mio padre ho scoperto che tra il 1870 e il 1940 negli Stati Uniti vennero stampati circa cinquecento periodici anarchici. Il fatto che non sia rimasta praticamente nessuna traccia di quell’enorme nu mero di pubblicazioni e dell’ancor più enorme numero di persone che vi sta vano dietro, dimostra che gli anarchici sono stati completamente cancellati dalla storia americana […].
ACCADEMIA MOLLY BLOOM*
La nostra rubrica Un treno di libri è a cura di Molly Bloom, l’accademia fondata a Roma da Leonardo Colombati ed Emanuele Trevi, che riunisce alcuni dei migliori scrittori, registi, sceneggiatori, musicisti e giornalisti del Paese. Con un unico fine: insegnare la scrittura creativa per applicarla ai campi della letteratura, della musica, dello spettacolo, dei media e del business. mollybloom.it
STORIA DELLA MIA FACCIA
Ruth Ozeki
Edizioni e/o, pp. 144 € 15
Diverte e commuove questo breve memoir poetico che è, al contempo, un saggio sociologico, filosofico, spirituale e sentimentale. Figlia di madre giapponese e padre americano, la scrittrice e sacerdotessa buddhista zen Ruth Ozeki è cresciuta nel Nord America degli anni ‘50 e ‘60. L’osservazione del proprio volto allo specchio diventa una preziosa occasione per raccontare frammenti della sua vita. Intime divagazioni sull’identità tutte da leggere.
ABBANDONO
Elisabeth Åsbrink
Iperborea, pp. 320 € 18,50
Tre generazioni al femminile raccontate con una prospettiva sorprendente, tra la dimensione personale e il grande affresco storico. Katherine ricompone la storia delle donne della sua famiglia, a partire da nonna Rita e dalla sua lunga relazione clandestina con l’ebreo sefardita Vidal. Si passa poi alle inquietudini della madre, Sally, che cerca rifugio in Svezia per paura di ritorsioni antisemite. Ricordi familiari ed eventi storici si intrecciano, seguendo le tormentate vicende del popolo ebraico originario della penisola iberica dal Medioevo al secolo scorso.
LA SFIDA INEVITABILE
Fulvio Rossi
Il Mulino, pp. 272 € 22
La sostenibilità accostata all’attività imprenditoriale può suscitare dubbi anche nei manager più esperti. Il libro fa chiarezza sulle ragioni per cui le aziende dovrebbero seriamente occuparsi di corporate sustainability e sulle sue implicazioni gestionali e strategiche.
Tra tutela dell’ambiente e intervento pubblico, scelte dei consumatori e diritti umani, stakeholder e capitali intangibili, accrescere la consapevolezza è fondamentale per il futuro della stessa impresa.
IL VANGELO DEL NUOVO MONDO Maryse Condé Giunti, pp. 312 € 18
Eulalie e Jean-Pierre, marito e moglie, coltivano fiori insieme. Lei ha la pelle candida e origini vichinghe, lui discendenze africane. Non sono riusciti ad avere figli ma, una domenica di Pasqua, trovano un neonato nel capanno del loro giardino. E lo interpretano come un miracolo. Il ragazzo, Pascal, crescendo attira a sé curiosità, discepoli e misteri. La storia di un messia contemporaneo e del suo viaggio per conoscere le proprie origini e scoprire che solo l’amore salva.
NON È AL MOMENTO RAGGIUNGIBILE
Valentina Farinaccio
Mondadori, pp. 180 € 18
Il lieto fine prima o poi arriva: basta inseguirlo, a costo di faticare, disperare, soffrire. Vittoria ha sempre fame, di pizza, di vita, d’amore. Ha poco meno di 40 anni, una relazione chiusa e un lavoro anomalo cominciato per caso: sponsorizza cibo di bassa qualità su instagram. Un romanzo contemporaneo che racconta il mondo virtuale, capace di fagocitare tutto e tutti, cambiando le relazioni tra sé e gli altri. Fino a capire che la vita vera attraversa il corpo e la sua concretezza.
L’ULTIMA DIVA
Flaminia Marinaro
Fazi, pp. 190 € 18
La piccola Elena si trasferisce da Firenze a Napoli, dove viene notata e avviata all’arte del teatro. Da lì parte un percorso portato avanti con determinata ambizione che, mista a un grande talento, la trasforma in Francesca Bertini, attrice del cinema muto. La biografia romanzata di una carriera sfavillante che ha portato l’artista italiana sugli schermi di tutto il mondo, rendendola un’icona del film in bianco e nero. Una vita guarnita di passioni, intrighi, amicizie e retroscena dentro e fuori dal set.
Lo
ragazzi
CHE MAGNIFICA GIORNATA!
Philip Waechter
Babalibri, pp. 36 € 14 (da 5 anni)
Un procione non ha le uova per fare una torta e le chiede alla volpe che deve riparare il tetto ma non ha la scala. Si rivolgono allora al tasso, occupato a risolvere una domanda sul miele del suo cruciverba. Per la risposta decidono di chiedere consiglio all’orso. Una volta riuniti, inizia una bella storia di amicizia. Un racconto sull’importanza di aiutarsi l’un l’altro per affrontare le piccole difficoltà della vita.
RUGGITI
Daniela Carucci, illustrazioni Giulia TorelliSinnos, pp. 128 € 13 (da 6 anni)
Un’avventura piena di inseguimenti, nascondigli e travestimenti, in nome dell’amicizia e della libertà. La favola riunisce diversi personaggi molto particolari e fantasiosi: il leone di un circo azzoppato dagli anni e abbandonato, una bambina piuttosto intraprendente, un meccanico che è anche un mago, un bassotto sempre arrabbiato e una donna volante. E poi ci sono “i blu”, che sono i cattivi della storia.
TRANSIBERIANA. TUTTI A BORDO!
Alexandra Litvina, illustrazioni Anna DesnitskayaDonzelli, pp. 80 € 27 (da 8 anni)
Si snoda dall’Europa al Pacifico come un filo su cui scorrono come perle megalopoli e paesini. La Trans-Sib, come la chiamano affettuosamente i russi, non è solo la ferrovia più lunga del mondo ma racchiude storie e leggende che hanno ispirato la grande letteratura. Oltre a rappresentare il viaggio per eccellenza, ricco di misteri e di avventure. Un libro per salire a bordo del favoloso treno Mosca-Vladivostok.
DUE SETTIMANE FORSE UN ANNO
Ilaria Iacoviello
Giunti editore, pp. 144 € 14 (da 14 anni)
Matteo, Luca e Federico – i “moschettieri”, come li chiama il barista da cui ogni mattina fanno colazione prima della campanella – sono tre amici in piena adolescenza. La scuola è il loro quotidiano, fatto di amicizie, sfide, conoscenza e crescita, ma viene rivoluzionato quando il Covid-19 mette in discussione ogni certezza, tra didattica a distanza, primi amori e amici lontani. Così, i protagonisti si ritrovano a cercare il loro posto in un mondo diventato all’improvviso più complesso. S.G.
STORIE VERE AL 97%
Alessandro Barbaglia
De Agostini, pp. 223 € 14,90 (da 10 anni)
Dodici fatti celebri, o vicende che riguardano personaggi famosi, tanto incredibili da sembrare completamente inventate.
Ma in questi casi la realtà è l’ingrediente principale, anche se l’immaginazione aggiunge alla narrazione il fascino dello straordinario. Un libro per appassionarsi all’attualità e scoprire che ogni racconto offre infinite possibilità creative. Perché tutte le storie, anche quelle vere, sono un po’ bugiarde.
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Stefano Roccio
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Come può un uccello essere d’aiuto nella progettazione dei treni ad alta velocità? Perché un seme riesce a incrementare la resa delle turbine a vento? E come fa uno scarafaggio a consentirci di coltivare verdure nel deserto? Un viaggio straordinario in un futuro sostenibile in cui l’uomo trova soluzioni ai problemi del proprio tempo osservando e imitando la natura. Capace di suggerire innovazioni in ogni settore, dalla medicina all’architettura fino alla robotica. G.B.
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CARAVAGGIO IN CHIAROSCURO
RICCARDO SCAMARCIO INTERPRETA MICHELANGELO MERISI, ARTISTA LIBERO E FUORI DAL CORO, NEL NUOVO FILM DI MICHELE PLACIDO IN ANTEPRIMA ALLA FESTA DEL CINEMA DI ROMA
di Francesca Ventre – f.ventre@fsitaliane.it Foto di Luisa Carcavale
Genio al di sopra dell’im maginazione, creatore di opere piene di fascino, ma anche oggetto di invidia, ran core e odio. Credente e blasfemo, perverso e sensibile. A suo agio tra i pennelli e i colori ma anche per le strade putride, nelle carceri o nei bordelli stracolmi di prostitute e ipocriti signori, ambienti miserabi li capaci di ispirarlo nel suo lavoro di artista. Infine, accolto nei palazzi papali e idolatrato, di nascosto, da cardinali ed ecclesiastici. È Michelangelo Merisi, dai suoi contemporanei chiamato Michele, detto Caravaggio, nato a Milano nel 1571 e morto a Porto Ercole (GR) nel 1610. Così lo ritrae sul grande scher mo Michele Placido, regista e sce neggiatore del film L’ombra di Ca ravaggio, in cui è anche attore nel ruolo del cardinale Del Monte, pelli cola che viene presentata alla Festa
del cinema di Roma il 18 ottobre e arriva nelle sale italiane il 3 novem bre. A indossare i costumi seicen teschi del pittore è Riccardo Sca marcio, affiancato da un cast di alto livello: Isabelle Huppert, nelle vesti di Costanza Colonna, nobildonna che si prese cura di Michelangelo fin da bambino; Louis Garrel, l’unica figura inventata nel racconto visivo; Micaela Ramazzotti che interpreta Lena, una delle modelle tanto care all’artista. E poi Alessandro Haber, Vinicio Marchioni, Moni Ovadia, Gianfranco Gallo.
Le ambientazioni sontuose, ricche di particolari, sono volutamente si mili a un set. Come quelli che Ca ravaggio pensava, simulava e poi realizzava – quasi come un regista – rendendo sulla tela una visione forte e, in alcuni casi, violenta, sen za mediazioni. Anche di se stesso, come nel caso del dipinto David
con la testa di Golia, conservato alla Galleria Borghese di Roma, in cui il suo viso ferito è ritratto due volte, come quello del giovane assassino e della sua vittima, il gigante.
Nel film, prodotto da Federica Luca Vincenti per Goldenart Production con Rai Cinema, non mancano ri chiami ad altre figure storiche e controcorrente, come Filippo Neri (Moni Ovadia), fondatore della Con fraternita dei pellegrini e dei con valescenti nella chiesa romana di Santa Maria alla Navicella, consi derato un luogo di raduno per sov versivi. Nella trama emerge anche il filosofo Giordano Bruno (Gianfranco Gallo), condannato a morte dal pa pato, o la pittrice Artemisia Gentile schi, eccezione femminile tra gli ar tisti uomini seguaci del Caravaggio. È un mondo di chiaroscuri e ambi guità, dove il confine tra il bene e il male è sottile, in cui chi va con
trocorrente rischia tutto, anche la vita. «Ma diventa anche immortale, come Caravaggio», sottolinea Sca marcio, soddisfatto per aver potuto interpretare un genio (dopo il ruolo del designer nel film Quasi orfano, al cinema dal 6 ottobre).
Come sei stato scelto per la parte? Diversi anni fa Placido mi confidò il forte desiderio di raccontare la vita di questo artista, non dal punto di vista del pittore ma come uomo. Voleva narrare il suo modo di esse re. Era entusiasta anche pensando alle analogie che ci potevano esse re tra questa personalità e alcune figure del presente. Ho colto nei suoi occhi vivaci una motivazione forte, come se volesse rappresen tare la biografia di una pop star, tipo Elvis Presley e Freddie Mercury, o –
aggiungerei io – un Maradona del le arti figurative. Bisogna ricordarsi che all’epoca di Caravaggio non c’erano certo la radio, la televisione, la fotografia o il cinema: a quei tem pi, la pittura era lo show business di oggi, portava fama e successo. E Merisi aveva un talento pazze sco, ma nello stesso tempo era un animale non addomesticabile. Tal mente eccezionale e non gestibile che i suoi committenti hanno dovu to farlo fuori. E per secoli gli è stata negata anche l’attribuzione di molte opere, riconosciute a sua firma solo nel ‘900, cioè 300 anni dopo. Qual è stata la sua straordinarietà secondo te? Prendeva dalla strada uomini co muni, usava frequentatori di bagor di per farne soggetti delle sue tele
o poveri per rappresentare santi, come nel caso della Crocifissione di San Pietro, opera conservata nella chiesa di Santa Maria del Popolo, a Roma. Scelse anche una prostituta annegata nel Tevere come modella per La morte della Vergine, esposta al Museo del Louvre di Parigi. Quali analogie vedi con il presen te?
I tempi sono maturi per un film come questo. Anche oggi c’è una repressione ogni volta che qual cuno esprime opinioni diverse dal pensiero unico. In questo periodo, per esempio, non è sempre ben accetto chi afferma di essere paci fista. È una vecchia storia, comun que, quella di incasellare i com portamenti e mettere regole per controllarli. Viviamo in tempi difficili
per la sensibilità umana, l’approfon dimento non è considerato, esisto no i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, come nel ‘600. Caravag gio era una voce fuori dal coro, con un talento incontenibile, un fuori classe non omologato, da fermare in tutti i modi. La sua pittura, però, è ancora viva, la sua arte ha prevalso e lui è passato alla storia. Il potere, invece, è rimasto, e rimane sempre, cronaca.
Un personaggio realmente esistito, non facile da interpretare. Come ti sei preparato?
Ho studiato, letto documenti dell’e
poca, mi sono confrontato con Michele, ho parlato con artisti, in particolare con Enzo Cucchi. Era importante che mi facessi un’idea del temperamento di Merisi, un tipo che non si faceva intimorire. Gli pia ceva la vita, l’amore, il sesso e, nel lo stesso tempo, viveva per trovare un’ispirazione in ogni occasione, senza retorica. E affrontava i rivali, come Ranuccio Tomassoni, in modo diretto.
Spesso lo faceva con la spada, uno status symbol riservato solo a chi contava. A questo proposito, come mai hai scelto di girare le scene dei
duelli senza stuntman?
So tirare un po’ di scherma. E in passato ho recitato per la serie tv La freccia nera e a teatro con I tre moschettieri. È stato un modo utile per immedesimarmi. E dopo, come si dice in gergo, “vomitare il perso naggio”.
Caravaggio era un uomo senza regole, passionale e violento, ma anche un cristiano, convinto che occorresse ritornare al messaggio semplice dei Vangeli.
Era un grandissimo conoscitore dei testi religiosi. Voleva far entrare la carne e la vita terrena nel sacro, per
normalizzarlo. Un esempio su tut ti è la Decollazione di San Giovanni Battista, l’opera conservata a Malta.
Qui la testa tagliata è raffigurata in modo tanto forte da trasmette re con intensità la violenza contro i deboli.
Era anche un uomo compassione vole verso le prostitute e i poveret ti, li difendeva e li curava… Provava una forte umanità ed em patia. La sua pittura era pregna di tragedia, perché riteneva che l’arte non dovesse essere consolatoria,
tutt’altro. E l’uso eccezionale della luce fuori campo, con cui sapeva giocare solo lui, rafforzava questo messaggio e il suo desiderio di raf figurare il vero e perseguire la ve rità.
Michele Placido con Riccardo Scamarcio nel film L’ombra di CaravaggioLa poesia del grande scher mo, un lungo red carpet ad accogliere gli ospiti e la Cit tà Eterna sullo sfondo. È la Festa del cinema di Roma che, dal 13 al 23 ot tobre, trasforma l’Auditorium Parco della Musica nel tempio della setti ma arte. Appuntamento imperdibile per appassionati e addetti ai lavori,
la 17esima edizione della kermesse inaugura una nuova fase nella storia della manifestazione, con la direzione artistica di Paola Malanga e la presi denza di Gian Luca Farinelli, da marzo al timone della Fondazione Cinema per Roma. Rinnovata è anche l’iden tità visiva con un logo che evoca la lupa capitolina, simbolo femminile
che attraversa la storia, a cui è stata data una declinazione giocosa. La pa rola d’ordine è pluralità. «Ci saranno più film, una retrospettiva importante, pellicole restaurate, sezioni che van no in direzioni diverse e un concorso», afferma Farinelli, riferendosi all’intro duzione di Progressive cinema - Vi sioni per il mondo di domani, la com
petizione internazionale che prevede l’assegnazione di vari riconoscimenti: Miglior film, Gran premio della giuria, Miglior regia, Miglior sceneggiatura, Premio alla miglior attrice, Premio al miglior attore, Premio speciale della giuria e Premio del pubblico FS. «Quel le in gara sono pellicole sorprendenti, capaci di offrire chiavi di lettura a un presente opaco e difficile da decifrare». Ma il grande protagonista del festival è il cinema italiano, con la sua capacità di raccontare il variegato territorio nazio nale. Una caratteristica programmatica che ne definisce l’identità in maniera netta. «Il nostro compito è quello di in dagare il settore e rimanere in dialogo con l’industria cinematografica italiana, che sta vivendo un momento di gran de sviluppo. In questo senso, la Festa di Roma rappresenta un luogo in cui dare spazio alla riflessione», aggiunge Farinelli. In virtù di questa centralità è proprio un film italiano ad aprire la ma nifestazione. Il Colibrì di Francesca Ar chibugi, tratto dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi, dà il via alle danze
con un cast straordinario composto da attori come Pierfrancesco Favino, Ka sia Smutniak, Laura Morante e Nanni Moretti. Un racconto liquido che, trai nato dai ricordi, attraversa decenni di storia, a partire dagli anni ‘70. L’opera, presentata a settembre in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival, arriva a Roma per la sua prima europea e nazionale. In sintonia con i grandi festival europei, anche quello capitolino punta a diventare una ker messe d’estensione capillare. Attraver so un accordo con diverse sale cittadi ne, la Festa del cinema supera i confini dell’Auditorium e raggiunge molti luo ghi e realtà culturali, proprio come ac cade a Berlino e a Lione. Ad affiancare il programma delle proiezioni, due sezio ni dedicate agli incontri con il pubblico: Absolute Beginners, in cui un autore affermato rievoca la storia del proprio esordio e Paso Doble, che prevede un dialogo tra due autori. Quest’ultimo format, tra le novità del 2022, punta a offrire al pubblico una conversazione intima, lontana dalla rigidità delle in
GianLucaFarinelli
terviste canoniche. Atteso l’incontro tra Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino, pronte a confrontarsi anche sul cinema prodotto e interpretato da donne, par tendo dalla loro esperienza di attrici e registe. Bruni Tedeschi partecipa alla manifestazione anche con il suo film Les Amandiers, presentato a Cannes lo scorso maggio, che trova spazio a Roma nella sezione Best of 2022, dedi cata alle migliori opere dei grandi festi val stranieri. Tra i premi alla carriera di quest’anno è meritatissimo quello de
stinato a James Ivory, regista, sceneg giatore e produttore statunitense attivo fin dagli anni ’60, che porta a Roma il suo ultimo film, A Cooler Climate, un documentario girato in Afghanistan da ragazzo e mai montato finora. La plu ralità di questa edizione non riguarda solo temi, visioni e luoghi. I linguaggi sperimentali e i codici del contempo raneo si mischiano con quelli classici del cinema hollywoodiano grazie a una retrospettiva di 15 titoli curata da Ma rio Sesti e dedicata a Paul Newman e Joanne Woodward, icone dell’immagi ne ufficiale della Festa di Roma, legati a doppio filo al nome di Ivory per via della pellicola Mr. & Mrs. Bridge, di cui furono protagonisti. L’ispirazione per il manifesto, come spiega il presidente
della Fondazione, è venuta dalla docuserie in sei puntate targata HBO The last movie stars. L'omaggio che il regi sta Ethan Hawke ha dedicato alla ce lebre coppia di attori viene presentato alla Festa del cinema prima di appro dare su Sky. «Il fatto che autori di oggi si voltino indietro e parlino del passato mi sembra sia la chiave del festival», prosegue Farinelli, da sempre convinto che il cinema non abbia età e viva in un continuo scambio intergenerazionale da coltivare e incoraggiare: «È sempre stata un’ambizione, un desiderio. Il ci nema è tutto, il passato, il presente e il futuro».
romacinemafest.it romacinemafest
FS ITALIANE ALLA FESTA DEL CINEMA
Il Gruppo FS è sponsor ufficiale della Festa del cinema di Roma. Una partnership che conferma l’impegno di Ferrovie dello Stato Italiane a favore dell’arte e della cultura in ogni sua forma. La collaborazione è rafforzata dalla presenza alla kermesse con un’area dedicata che accoglie le testate giornalistiche del Gruppo, uno spazio social e un corner per le interviste, oltre che dal Premio del pubblico FS che verrà assegnato al miglior film della selezione ufficiale votato dagli spettatori. Chi esprime la propria preferenza all’interno del concorso organizzato da Fondazione Cinema per Roma potrà aggiudicarsi una delle Carte regalo messe in palio da FS Italiane. Ogni card consente di ottenere biglietti di corsa semplice, abbonamenti e carnet dei treni regionali e nazionali di Trenitalia. Inoltre, i titolari Carta FRECCIA e i possessori di un abbonamento regionale per Lazio, Campania e Toscana hanno diritto al 20% di sconto sull’acquisto dei biglietti per le proiezioni in sala.
fsitaliane.it | trenitalia.com
UNA VITA ALL’OPERA
GIRA IL MONDO PER PORTARE IN SCENA UN GENERE MUSICALE TUTTO
CHE PIACE
FILTRI.
Ha impegni fissati per i pros simi tre anni, con scrittu re per la regia operistica, nei principali teatri di tutto il mondo.
Un’agenda senza tregua, che a otto bre lo vede impegnato anche in Italia, al Teatro del maggio musicale fioren tino e poi al Carlo Felice di Genova.
Cresciuto a Scorzè, in provincia di Ve nezia, dove ha fatto anche il pizzaiolo per avere un po’ di indipendenza eco nomica, il regista Damiano Michielet to gira il mondo mettendo in scena grandi opere. Ma per vivere ha scelto Treviso: «Qui ho i miei affetti, la mia di mensione, i miei trascorsi personali, è
un po’ il mio rifugio», racconta.
Un ottobre impegnativo, per te. A Genova, dal 28 al 6 novembre, porti per la prima volta in scena Béatrice et Bénédict di Hector Berlioz.
La mia professione è internazionale, vado spesso all’estero perché l’ope ra lirica ha un linguaggio che va oltre
ancora sono impegnato con un ca polavoro barocco, Alcina di Georg Friedrich Händel, che ho già portato a Salisburgo, con la quale dal 18 al 26 ottobre sono a Firenze. La protagoni sta è Cecilia Bartoli. Sono due lavori molto diversi, per me è una soddisfa zione portarli in Italia dove non sono mai stati eseguiti.
La regia operistica è diversa da al tre forme di direzione, consente di mettere insieme diverse espressioni dell’arte. È così?
Un po’ sì. Diversi registi cinematografi ci amano l’opera e vi si cimentano, da Luca Guadagnino, Leone d’argento a Venezia, a Ferzan Özpetek. È un ge nere che unisce la storia e una bellis sima musica a una grande orchestra con grandi voci. Una torta con molti ingredienti. Può sembrare una nicchia perché in parte rimane legata al pas sato, o almeno così a volte la intende il pubblico, oggi abituato a forme di comunicazione più accattivanti. Rimane però un evento forte, perché tutto è eseguito dal vivo, immediato, unplugged direbbero gli anglosasso ni. Tutto vero, senza effetti, microfoni, filtri. Le voci sono quelle dei cantan ti sul palcoscenico con i costumi, le coreografie, il coro, le luci: un’enorme ricchezza. Per questo mi piace molto, è diretta, onesta e quando è fatta in maniera potente riesce veramente a coinvolgere il pubblico.
Quando prepari la regia di un’ope ra, che di fatto già esiste, come fai a renderla “tua”, a infondere una linea creativa originale?
facendole esplodere con la fantasia, uscendo da certi canoni tradizionali che poco mi appartengono. Hai frequentato la Scuola di teatro Paolo Grassi, volevi fare l’attore?
No. Mai pensato. Quando hai capito che la tua strada sarebbe stata principalmente la re gia operistica?
Non ho mai frequentato i teatri dell’o pera, né pensavo che mi sarei occu pato di questo in maniera così intensa. La scintilla è scattata proprio durante la Paolo Grassi. Il direttore Mario Rai mondo cercava un giovane regista per un piccolo lavoro con l’Orchestra Verdi dell’Auditorium di Milano, dove mettevano in scena Histoire du Soldat di Igor Stravinskij e scelse me. Seguii quel progetto con grande entusiasmo e passione, una cosa semplice, ov viamente senza un soldo. Era la pri ma volta che lavoravo con i cantanti, un’orchestra e un direttore. La musica di Stravinskij era meravigliosa e mi af fascinò. Cominciai così, anche se l’o pera poteva sembrare qualcosa di an tico per un pubblico borghese poco sensibile alla novità. Ma, in realtà, cela una grande carica di vitalità che me rita ogni volta di essere scoperta e proposta.
Nel metterla in scena conta di più la musica, le voci o la scenografia?
i confini. Cerco di bilanciare i progetti che faccio fuori con quelli che met to in scena in Italia, ma è bello poter incontrare pubblici diversi fra loro. Sono molto contento di tornare nel capoluogo ligure, dove ho iniziato con una delle mie primissime regie, con un’opera del tutto nuova. Prima
Il primo obiettivo che mi pongo è proprio quello di riuscire a trovare un linguaggio teatrale efficace e coinvol gente per la storia. È sempre una sfida perché il teatro ti chiede una nuova produzione, con l’aspettativa di una lettura inedita che possa sorprendere e far riflettere, rimanendo capace di conservare la natura dell’opera che è, in ogni caso, un grande classico. Ecco, per muovere la mia fantasia, parto proprio da qui.
Esiste uno “stile Michieletto”?
Non lo so, ma spesso il pubblico lo riconosce. Forse è il mio tentativo di partire sempre dall’umanità dei per sonaggi e dalle loro relazioni, mi pia ce analizzare le costellazioni familiari,
L’ideale sarebbe una costruzione ar tistica dove non capisci quando inizia una cosa e finisce l’altra. Ma, dovendo scegliere, la differenza la fanno sem pre gli interpreti: l’opera lirica nasce per loro. Per questa ragione, lavoro sempre a stretto contatto con i can tanti, per spingerli, provocarli. Mi pia ce dire che non faccio le prove di uno spettacolo ma cerco di “metterli alla prova”, per portare sul palcoscenico il massimo delle loro capacità fisiche e vocali.
Dove sei cresciuto?
A Scorzè, un piccolo paese in provin cia di Venezia. Ero un bambino irre quieto e molto curioso, giocavo nei campi con gli amici, in famiglia non c’era nessuna velleità o influenza ar tistica.
Il profumo della tua infanzia?
Quello dell’erba e del grano nei cam pi, sono nato in campagna e stavo sempre all’aperto.
Giri il mondo, ma vivi in una piccola bellissima città di provincia. Sì, a Treviso, a venti minuti da Scorzè, dove ho i miei riferimenti affettivi. La vorando spesso fuori, in grandi città e capitali, desidero tornare a una situa zione intima e protetta, legata alle mie origini. Mi fa stare bene e mi trasmette un senso di casa.
Porti all’estero l’opera lirica, un gran de patrimonio italiano. Come viene accolta?
Il pubblico straniero ha una enorme passione per questo genere, em blema del nostro Paese e della sua creatività. Il termine “opera” è italia no, come lo sono “allegro” o “lento” le parole che indicano i tempi della musica, e le figure del canto, dal te nore al baritono. Un patrimonio che è bello condividere con tutto il mondo, esportando questa bellezza.
Quali emozioni ti suscita prendere il treno?
Mi ricordo bene un viaggio verso Roma fatto a 14 anni: ho ancora chiaro l’odore della Stazione Termini. Ma an che diversi spostamenti verso Milano, quando i treni erano diversi, e i viaggi in cuccetta. Un mondo poetico e sug gestivo che mi ha sempre affascinato. E poi questo mezzo consente di usare il tempo in maniera utile: non devi oc cuparti della strada ma puoi osservar la e tutto diviene più leggero. Ti godi il panorama e a volte fai incontri che possono essere curiosi e interessanti.
Poco tempo fa ho diretto un Barbie re di Siviglia dove la storia inizia con i personaggi che salgono su un treno che li porterà a Siviglia. Prima che si apra il sipario che senti mento provi? Paura, ansia o sicurez za?
Ansia e paura sono emozioni che non ho mai sperimentato, neanche all’i nizio. Prima di un debutto sono piut tosto rilassato perché confido nella preparazione svolta durante il mese precedente. Ho voglia di partecipare in mezzo al pubblico e godermi le loro reazioni. Hai mai pensato di dirigere una mac china da presa?
Alcune volte ho utilizzato tecniche cinematografiche, come nel Rigoletto andato in scena al Circo Massimo di Roma, dove tutto lo spettacolo gira intorno all’uso della macchina da pre sa. L’anno scorso ho realizzato un film vero e proprio tratto dal Gianni Schic chi di Giacomo Puccini. Una bella av ventura sul set, in cui i cantanti intona vano le arie sentendo la musica solo dall’auricolare, una situazione curiosa. Cosa apprezzi nelle persone e cosa detesti?
Detesto la menzogna e chi se ne ap profitta. Ammiro la spontaneità e l’em patia.
SOSPESI SULBLU
UN VIAGGIO NELL’ITALIA CENTRO-SETTENTRIONALE IN CERCA DI PASSERELLE E PONTI CICLOPEDONALI. PER MUOVERSI A MEZZ’ARIA SULLE ACQUE, TRA MARE, LAGHI, TORRENTI E LAGUNE di Irene Marrapodi
Camminare a fior d’acqua, così vicini da percepirne l’umidità sulla pelle. Con i cinguettii che a ritmo irregolare inter
rompono il silenzio, il fruscio del vento tra gli alberi o sulle onde e lo sguardo che affonda nel verde e nel blu. L’Italia centro-settentrionale offre
moltissime esperienze suggestive da vivere con la famiglia, gli amici o in solitudine. Paesaggi naturali di cui l’acqua è indiscussa protagonista e in
cui l’opera dell’uomo si è inserita con sapienza e discrezione, amalgaman dosi con l’ambiente per permettere a quante più persone di viverne la bel lezza.
LAGHI E CANYON DELLA LOMBARDIA
Un esempio è l’Orrido di Bellano, in provincia di Lecco, una profonda gola naturale che si è formata 15 milioni di anni fa probabilmente con l’erosione
causata dallo scorrere del torrente Pioverna. Sul piccolo canyon nei pres si del lago di Como è stato attrezzato un sistema di passerelle: percorren dole è possibile attraversare la gola e immergersi in un sorprendente am biente naturale. A ridosso delle acque del torrente, si può provare la sen sazione di camminare all’interno di un’ampolla naturale in cui è rinchiuso
un piccolo oceano, protetti dall’umida roccia e dalla solida passerella, ma soggiogati dal fascino della potenza dell’acqua e del suo frastuono. In cantati da questa meraviglia naturale come il pittore svizzero Johann Jakob Wetzel che la definì «un teatro di bel lezza e spaventi».
Spostandosi leggermente più a sud, ma restando in Lombardia, è pos
sibile percorrere un altro cammino sull’acqua: è la ciclabile di Limone sul Garda, una larga strada a picco sul lago. Lunga circa due chilometri, par te dal centro storico della cittadina in provincia di Brescia per collegarsi al Corno di Reamol, dove inizia il tratto
più suggestivo. Da qui in poi, infatti, il percorso si trova completamente so speso sul lago, fino a raggiungere il confine tra Lombardia e Trentino-Alto Adige. Il tragitto offre un’ambientazio ne molto evocativa per una pedalata, ma non richiede uno spirito avventu
roso: è privo di salite o discese ripide e di gradini. Un percorso semplice da poter affrontare anche con i bambini. SCOPRIRE LA LAGUNA VENETA
Ancora in cerca di passeggiate sul pelo dell’acqua, viaggiando verso est, in direzione Veneto, è d’obbligo una
tappa a Cavallino Treporti, in provin cia di Venezia. Il piccolo comune af faccia sulla laguna ed è dotato di una pista ciclopedonale dalla lunghezza complessiva di sette chilometri, di cui cinque a sbalzo sull’acqua. La pista è percorribile anche nelle ore nottur ne grazie ai punti luce, ed è dotata di aree di sosta che permettono di fer marsi a riprendere fiato o semplice mente ad ammirare il panorama. Per concedersi una lenta passeggiata in bicicletta o per sfrecciare tra le acque che precedono l’Adriatico.
Se dopo la corsa su due ruote si ha voglia di una passeggiata romantica, non serve andare lontano. Poco di stante, a sud della laguna di Venezia, si trova Porto Caleri, un lembo di ter ra che affaccia sul litorale di Rosolina Mare, in provincia di Rovigo. In questa zona, che fa parte del Parco naturale regionale veneto del delta del Po, è stata costruita una passerella in legno
che, inserita nel giardino botanico li toraneo, consente di immergersi nella flora e nella fauna lagunare. Anatre, aironi, testuggini e falchi di palude ac compagnano per quasi tre chilometri chi decide di percorrerla, attraversan do ambienti diversi: dalla pineta alla zona salmastra, dalle dune interne al litorale. Per osservare da un punto di vista privilegiato la complessità degli ecosistemi mediterranei.
SULLE ACQUE ADRIATICHE
Procedendo verso sud, lungo le coste abruzzesi, si trova Pescara, la città più popolosa della regione in cui, più di dieci anni fa, è stato costruito un per corso ciclopedonale chiamato Ponte del mare. Si tratta di un’opera archi tettonica imponente che si affaccia sulla costa e, curvando su se stessa, regala la sensazione di spiccare il volo sul mare per poi planare lentamente, proprio come un gabbiano sorvola il territorio. È il ponte ciclopedonale più
lungo del Paese e si è affermato negli anni come simbolo della città. Collega la riviera settentrionale e quella meri dionale del fiume Pescara e si inseri sce in una visione ancora più ampia: è infatti parte del progetto chiamato Corridoio verde adriatico, che mira a creare un’unica strada green da per correre in bicicletta, da Santa Maria di Leuca (LE), nel Salento, a Ravenna, in Romagna. E, trovandosi in Abruzzo, non si può evitare di fare un giro nella zona me ridionale della regione, per ammirare i trabocchi. Antiche costruzioni a pa lafitta utilizzate dai pescatori locali, sono oggi riservate quasi esclusiva mente alla ristorazione. Continuano a rappresentare, però, delle meraviglio se passerelle che culminano in affacci panoramici e consentono di immer gersi completamente nell’atmosfera del mare Adriatico, per un pomeriggio all’insegna del relax.
LA VIA DELL’ACQUA
NEL SUD-EST DELLA
Un percorso principale di sconcertante bellezza e due varianti secondarie a innervare la ricca esplorazione del mito e della storia normanna a ritmo
lento, lasciando impronte nella cuspi de orientale della Sicilia.
La Fabaria, la via dell’acqua e della lava, è un tragitto di 300 chilometri da percorrere in 14 giorni, che attraversa cinque province (Agrigento, Caltanis
APRIRE AL PUBBLICO
setta, Ragusa, Siracusa e Catania) e 20 comuni, dalle spiagge del Mediterra neo fino alle pendici della “Muntagna”, l’Etna, che domina il paesaggio per 250 chilometri.
La strada, che sarà ufficialmente aperta al grande pubblico nel 2023, collega l'antica Girgenti (Agrigento)
con Catania e l’alta valle del Simeto, su sentieri bianchi, battigia, trazzere pubbliche e strade a basso scorri mento di traffico che si integrano an che con la mobilità dolce del treno, in caso di eventuali difficoltà a piedi.
Le origini risalgono all’Anno Domini 1105, quando l’isola era ormai da una ventina d’anni normanna e nel cen tro di Bizini – l’odierna Vizzini, in pro vincia di Catania – il barone Achinus concesse un terreno in dono all’abate Ambrogio, vescovo della diocesi di Li pari-Patti. E nel testo del lascito in lati no emerse la testimonianza di una Via Francigena: «Questa terra appartiene nominalmente a Licodia e in questo modo inizia il suo percorso e va lungo la via francigena Fabaria. Dopodiché, prosegue per una cresta montuosa tagliata da un fico selvatico». Una ci tazione, dunque, che parla di un terri torio ricco d’acqua che motiva il topo nimo “favara”, dall’arabo fawar, fonte, sorgente, pozza d’acqua.
Il cammino, dunque, basato come tutte le vie francigene siciliane su un intricato sistema di percorsi, da Agrigento si dirige a Oriente, com pendiando le componenti latina, gre co-bizantina, musulmana, normanna, lombarda e levantina. Unisce strade di epoche diverse: dalla via selinuntina del III secolo d. C., che da Agrigentum procedeva verso il porto di Terranova, l’odierna Gela (CL), alla via normanna che collegava la costa con l’interno fino a Lentini (SR). Una via che sin da subito sa offrire assaggi di storia per mettendo di scegliere tra una variante di costa, che collega i punti delle sta tiones di sosta romane come Dedalio o Plintis, e una variante di monte che passa per i castelli di Naro e Ravanu sa, in provincia di Agrigento, e Butera, la ribelle, nel comune di Caltanissetta. Le distese di campi e cicogne portano poi il viandante a Niscemi (CL), quin di nella provincia catanese, a Calta girone, terra di San Giacomo e delle
famose ceramiche, per poi superare Grammichele, Mineo e Militello, giun gere alla bizantina Leontini e final mente a Catania.
Da segnalare la magnifica variante verso i Monti Iblei e le barocche Ibla e Modica (SR).
La via principale, invece, segue il Si meto, lungo il versante ovest dell’E tna, nel catanese. I castelli normanni di Paternò, Santa Maria di Licodia, Adrano e Bronte testimoniano un con trollo del territorio capillare, costella to da testimonianze architettoniche di valore come l’abbazia di Santa Maria di Maniace, con il suo pregiato portale altomedievale, destinazione finale del tragitto.
Si deve all’associazione Amici dei Cammini Francigeni di Sicilia il re cupero di questa via, con la pub blicazione di una guida per Terre di Mezzo editore. E se il trend mondia le dei viaggiatori a piedi continua ad aumentare, da dieci anni a questa
parte anche camminare in Sicilia sta diventando un fenomeno importante con circa 2000-2200 presenze annue. «La via Fabaria è un viaggio che con duce in un territorio ricco di sapori e tradizioni di un Oriente qui sentito più vicino», racconta Irene Marraffa, la creatrice del cammino insieme a Davide Comunale e Salvatore Balsa mo. «Quando l’abbiamo percorsa per la prima volta l’abbiamo denominata “la bellezza violata”, per sottolineare come il suo incredibile splendore sia stato abusato da opere umane invasi ve, come il polo petrolchimico di Gela, il Muos di Niscemi, la base aerea di Si gonella. Oltre ai danni dell’alluvione di Licata e la presenza di discariche in
prossimità della piana di Lentini-Cata nia», continua. «Ma per fortuna il ter ritorio sta facendo molto per restituire ciò che l’uomo ha sottratto ai paesaggi. Per esempio, Gela ospita an che il più grande museo archeologi co di Sicilia dopo Siracusa e Palermo. Una parte fondamentale di questo lavoro nasce dalla consapevolezza degli abitanti, che si sono organizzati anche in comitati di accoglienza per supportare il Cammino: verificano i percorsi, ci aiutano con le ricognizioni, organizzano eventi per far conoscere l'itinerario. Sono loro il motore della rinascita».
Da archeologo, Davide Comunale suggerisce di percorrere l’itinerario
in due moduli da sette giorni ciascu no: «Il primo tratto è sul solco di an tichi tracciati del periodo romano e di quello bizantino, il secondo segmento ricalca invece trazzere alto-medievali che collegavano la costa meridiona le con i feudi dell’interno». Dall’alto si può ammirare un magnifico tracciato: «Lasciata Agrigento con la Valle dei templi, si raggiunge la costa in dire zione di Punta Bianca, da cui parte il sentiero fino al castello di Palma di Montechiaro, la città del Gattopar do. La pietra arenaria del convento delle Benedettine ci riporta ai colori dell’entroterra contadino fino a Lica ta, piccolo borgo marinaro, tra fiumi e castelli».
Così prosegue ancora Comunale: «Seguono due tappe lungo la costa, fino al castello di Falconara e alla Tor re di Manfria, per un emozionante per corso sulla battigia fino a Gela. L’antica colonia greca, rifondata da Federico II di Svevia, appare oggi come una città in cambiamento, tra desiderio di ri scatto e bellezza violata da industrie e noncuranza».
Il percorso continua risalendo la piana di Gela, in direzione di Niscemi (CL), «tra campi di carciofi e nidi di cicogne della colonia più grande d’Europa».
Lasciata la costa si arriva nel Catane se, a Caltagirone, patria delle cera miche di Sicilia, e Grammichele, città dalla pianta esagonale, fondata dopo il terremoto del 1693, che diede vita al barocco siciliano. Seguono le rocche di Mineo e Militello e da lì si comincia a vedere la pietra lavica come colore preponderante: «L’Etna è sempre più vicino e, sulla riva sinistra del Simeto, l’antica Lentini segna un limite dal quale il viandante dovrà usare il treno per raggiungere Catania, la seconda città di Sicilia».
Subito dopo, un nuovo ambiente at tende i passi del viaggiatore che, se guendo il fiume, costeggia il vulcano a ovest toccando le roccaforti di Pa ternò, Biancavilla e Adrano (CT). «Qui
Notte stellata alla Torre di Manfria (CL), sec. XVI
la via si affianca ai sentieri di San Ni colò Politi e all’omonimo trekking che ci porta sui costoni lavici fino a Bronte, nel Parco regionale dell’Etna. Un ul timo sforzo guida il pellegrino fino a
Santa Maria di Maniace, l’abbazia bi zantino-normanna che chiude il per corso alle porte della vicina Randaz zo. Terra di castelli e chiese, di boschi e bellezza».
DELLA
Colta da un pizzico di malin conia, Rebecca si affacciò al balcone e prese a contem plare il piccolo golfo della sua città.
Ancora una volta il paesaggio le par ve uscire dall’anima. In quello storico appartamento di via Statuti Marittimi, Rebecca Ragno ci era vissuta sin dai
primi del ‘900. Di origine ebraica, il suo nome significa rete, in senso figurato “colei che avvince con la sua bellez za”. Era una donna libera, eccentrica
e moderna, i cui vestiti e cappellini suscitavano molta curiosità tra i ba gnanti.
Un secolo dopo, da quel medesimo balcone, ospite nella Residenza Re becca di Giovanna e Stefano Fuzio, vengo sopraffatto dallo sgargiante biancore di Trani e dal suo mare. In questo contrasto si percepisce una memoria storica importante: la stu penda cattedrale duecentesca che sembra emergere dalla marina adia cente, le altre chiese tardo medievali e romaniche, l’assedio di Roberto il Guiscardo, i privilegi alla città ricono sciuti da Federico II, la ricchezza dei commerci cinquecenteschi e l’olio, che viaggiava di porto in porto.
Sono le vere origini di una popolazio ne a cui non è mancata la forza di su bire e soffrire: le uccisioni, i saccheg gi e gli incendi del 1799 a opera dei soldati francesi e del turpe generale Jean-Baptiste Broussier; la spaval deria di carbonari e risorgimentali
che nella pubblica piazza bruciarono uno stemma austriaco; le bombe e i rastrellamenti nazisti nella primavera del 1943.
Eppure, dopo quelle tragedie, i trane si rialzarono la testa: lo hanno sempre fatto, per il mare, per le piccole case del centro e per loro stessi. Perché Trani fa eccezione, un punto dell’Ita lia dove non attecchiscono i luoghi comuni e dove la bellezza e la civiltà del Mediterraneo albergano assieme. Fosse soltanto l’impressione del turi sta già basterebbe, ma è bene arric chirla di una testimonianza straordi naria.
Il 29 gennaio 1883, nel teatro cittadino di San Ferdinando (distrutto durante il bombardamento del 1943), il grande letterato Francesco De Sanctis tenne un discorso elettorale e pronunciò queste parole: «Mi piace che Trani sia stata chiamata l’Atene delle Puglie, perché tra Atene e i miei studi e la mia vita c’è pure qualche simpatia. Io farò
sì che Atene non resti un titulus sine re, un conte senza contea». In questa sfida si impegnarono gli abi tanti, di generazione in generazione, rendendo sempre più unica la loro cit tà. Ci si va e ci si torna, in attesa che il tramonto vada a cadere tra i vicoli e si rifranga sulle facciate dei palazzetti. È puro incanto. È l’eleganza della pietra che racconta storie, è l’armonia delle forme che disegnano un’architettura di terra e di mare. È il miracolo di aver difeso per secoli tutto questo. Eppure, il piacere di contemplarla non è solo estetico. Ci vogliono i fat ti per vivere bene. E in pace. Eccone qualcuno: oltre il 74% di raccolta dif ferenziata, le strade pulite persino in agosto, non una carta buttata via. «E, soprattutto, una città conviviale che è il frutto buono di una lunga esperien za», spiega il sindaco Amedeo Bot taro. «È stata sede di un’importante comunità ebraica ma la “sorpresa” è che qui, vicina alla più antica sinagoga
Panoramaattiva d’Europa, ci sono una moschea con la sua vivace comunità islamica, una chiesa cristiano-ortodossa e quel la Curia arcivescovile che vanta una tradizione di dialogo interreligioso».
È anche una città in ascolto che non per caso ogni settembre, da 21 anni, propone con I dialoghi di Trani una kermesse di libri, autori e idee. Una località che ha dato i suoi natali a personaggi eccellenti come Andrea Gusmai, longevo artista novecente sco e maestro intarsiatore di caratu ra internazionale, di cui resta celebre un’opera che ritrae Giovanni XXIII, per la quale utilizzò 72mila pezzi di legni policromi montati in un collage
miracoloso. Tranese era anche Gio vanni Macchia, francesista di livello mondiale che ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Prix Médic is essai nel 1988 e la Legion d’onore nel 1990, ed è stimatissimo oltralpe per la sua monumentale Storia della letteratura francese. Due giganti di una piccola grande città.
In una giornata avvolta dal sole, poi, nel maggio del 1985, tutta Trani sce se in strada per guardare da vicino la principessa Diana Spencer e «per ammirare in lei, con silenzioso stupo re, il raro dono per una giovane don na di fare tenerezza e insieme essere sexy, quel saper mescolare autentici rossori ottocenteschi a studiate ci vetterie malandrine». In viaggio con il “suo” Carlo d’Inghilterra, Diana mostrò intera la sua principesca timidezza di nanzi a una folla che sembrava amarla tanto – come si amano angeli scono sciuti – e pronunciò una frase dolce e semplice: «È il posto più bello che ab biamo visto sinora». Trani, la più bella di tutte.
Tre anni dopo, piazza del Duomo ospitò altri due visitatori, Lucio Dal la e Gianni Morandi, per un concerto che sarà memorabile. Una magnifica coppia di musicisti, cantanti e amba sciatori della Bologna creativa che si fondeva nell’arte senza tempo di una città ospitale. A Trani, Morandi tornò
30 anni dopo: sebbene sorridesse come d’abitudine, dal suo volto dinan zi alla cattedrale trapelava il rimpianto di una notte stupenda, di un geniale amico perduto e di un pubblico entu siasta.
Trani fa parte anche del Movimento città slow, che unisce i comuni del buon vivere, ed è un luogo dove si mangia benissimo. Nella centralis sima via Lionelli, sono incuriosito da Quintessenza: mi attrae il significato della parola, ossia quelle cinque di stillazioni successive grazie a cui un corpo ritorna alla sua essenza origina ria, alla sua più intima purezza. E men tre accedo alla sostanza del gusto do mando al maître il perché della scelta. «Nostro padre era un contadino e noi quattro i suoi figli», racconta. «Ciascu no di noi ha risposto ai suoi stimoli: Sa verio nelle storie e nelle fantasie dei vini migliori; Alessandro si è laureato in Scienze agrarie, per cui si occupa di orto e panificazione; io mi chiamo Domenico e ho lavorato per anni nelle sale di quattro Paesi europei; e poi c’e Stefano, che inventa e difende i sapo ri della nostra terra». Sono i fratelli Di Gennaro e se la sono meritata la loro prima stella Michelin. Ormai la notte mi accoglie e lo fa con le parole di An tonio Tabucchi: «Quel luogo ce lo por tavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati». Quel luogo è Trani.
DOLCI DIVINI
Ora, labora e inventa. Nei conventi e nei monasteri, una volta, le cucine erano un servizio essenziale. Bisognava pre parare i pasti per i religiosi, i lavoratori laici e i poveri che spesso bussavano alle porte. Le materie prime erano di ottima qualità e disponibili in abbon danza. C’era anche tanto tempo a disposizione per scatenare la fanta
sia culinaria delle suore più brave tra pentole e fornelli. Talvolta era la necessità ad aguzzare l’ingegno. Le monache della chie sa della Martorana, nel cuore anti co di Palermo, avevano un cruccio: nei mesi più freddi dell’anno il loro magnifico giardino non produceva frutta da offrire agli ospiti illustri. Per sopperire a questa mancanza, ebbe
ro l’idea geniale di creare dolcetti di farina di mandorle e miele modellati proprio come mele, arance, susine e via dicendo. Nacque così la frutta Martorana. Le suore erano bravis sime a trovare il giusto equilibrio di sapori e a realizzare le specialità con estremo realismo. L’idea ebbe subito un successo immediato sia tra le fa miglie nobili, che fino al 1900 hanno continuato ad acquistare i tipici dolci direttamente nel convento, sia tra il popolo che cominciò a farli in casa. In particolare, queste leccornie così speciali si preparano in occasione della commemorazione dei defun ti per auspicarne la rinascita alla vita eterna. Oggi la frutta Martorana è uno dei simboli della pasticceria siciliana come le cassate o i cannoli farciti di ricotta.
Tra i compiti che venivano assegnati alle religiose dei conventi femmi nili c’era anche quello di preparare le ostie per la messa. Sia quelle più grandi per il celebrante, sia quelle più piccole destinate ai fedeli duran te la distribuzione dell’eucarestia. Le clarisse del santuario di San Michele Arcangelo che si trova sul Gargano, in Puglia, proprio mentre erano im pegnate in questa delicatissima lavo razione inventarono un dolce che di venne tipico. Un attimo di distrazione fece finire le ostie appena preparate in
una scodella piena di mandorle cara mellate. Le suore provarono a ripulirle cercando di staccare la frutta secca attaccata alla sfoglia, ma nulla da fare. Così, assaggiarono l’involontaria delizia insaporendola con il miele e la cannella creando l’ostia chiena (ostia ripiena). Una specialità che non sareb be mai assurta alla gloria degli altari ma sarebbe ugualmente stata adora ta nei secoli a venire dai buongustai più golosi disposti ad arrampicarsi fino al convento per assaggiarla.
Rimanendo su preparazioni malriu scite, un incidente analogo successe nell’antico convento delle suore di Santa Brigida a Lamporecchio, in pro vincia di Pistoia. Una défaillance culi naria provocò infatti la creazione dei celeberrimi brigidini, che lo scrittore e gastronomo di fine ‘800 Pellegrino Artusi definì come «un dolce o meglio un trastullo speciale alla Toscana ove trovasi a tutte le fiere e feste di cam pagna e lo si vede cuocere in pubbli co nelle forme da cialde». Questo tra
stullo nacque durante la lavorazione delle ostie: nell’impasto di zucchero e farina cadde una goccia d’anice, per caso o forse per una tentazione golosa di una monaca desiderosa d’e vasione alcolica. La risposta resta av volta nel mistero, ma il risultato sono queste cialde dorate da acquistare in generose porzioni per poterle consu mare in allegra compagnia. E che a tavola non manchi mai il vin santo per rendere ancora più mistica la gustosa imbandigione.
Nel 1600 le suore del monastero di Santa Rosa a Conca dei Marini, in Co stiera Amalfitana, avevano fatto male i conti per il pranzo del giorno prece dente. Era avanzato tantissimo semo lino in cucina e, per non gettare nella spazzatura tutto quel ben di Dio, vi aggiunsero uova, zucchero e ricotta, avvolgendo l’impasto in una sottilissi ma sfoglia ricavata dalla lavorazione del pane. La forma del nuovo dolce era quella del cappuccio di un frate o della sporta dei mendicanti che furo no i primi ad assaggiare l’esperimento culinario delle sorelle. La fama della sfogliatella Santa Rosa si sparse rapi
damente. Alla ricetta iniziale del ‘600 si aggiunse un’irresistibile farcitura di crema pasticciera e il tocco finale dell’amarena sciroppata. Il monastero è oggi un resort di lusso, la sfogliatella Santa Rosa una superstar della gastro nomia campana richiestissima dai turi sti di tutto il mondo.
Ma non erano solo le suore a combi nare pasticci divini nelle loro cucine conventuali. L’offerta di cibo a pellegri ni, mendicanti e devoti era un gesto di carità cristiana e al tempo stesso uno strumento per accrescere la devozio ne dei credenti. In occasione delle ri correnze religiose, i frati della Basilica
di Sant’Antonio di Padova offrivano ai devoti delle pagnotte di pane la cui for ma riproduceva il profilo della cupola.
Con il trascorrere dei secoli quel pane semplicissimo è diventato il Dolce del santo, farcito con marmellata, uvetta, mandorle tritate e ogni specialità sta gionale a seconda della disponibilità.
Era nata così un’altra delizia divina per la quale bisogna ringraziare il cielo e la creatività dei religiosi. E, come ammo niva Suor Germana, autrice di numero si libri di cucina, «lo stomaco è vicino al cuore». Per questo, mangiar bene e sano avvicina a Dio e favorisce la pace con il prossimo.
Il resort ricavato dal monastero di Santa Rosa a Conca dei Marini (SA) Sfogliatelle Santa RosaCALICI D’ECCELLENZA
È
il 1992 quando Helmuth Köcher, profondo conosci tore del vino, dopo lunghe esperienze in Francia tra il Bordeaux e la Borgogna, decide di organizzare un evento per valorizzare le canti ne italiane. Un festival, non una fiera, dove possono accedere su invito solo i produttori che hanno superato rigide selezioni.
Dopo 30 anni il Merano WineFestival, quest’anno in programma dal 4 all’8 novembre, conferma la sua formula e il premio di eccellenza The WineHun ter Award, obiettivo prestigioso per le aziende di vino in tutta Italia.
Qual è lo spirito della 31esima edizio ne e quali le principali novità?
Da 30 anni più uno, avendo saltato un’edizione durante la pandemia, cer chiamo di adeguarci ai nuovi trend che animano il mondo del vino e i suoi mercati. Tra gli aspetti più importanti ci sono senza dubbio la storia di que sto prodotto e la sua sostenibilità. Il vino ha 8000 anni di storia: secondo alcuni è nato in Georgia e si è poi dif fuso nell’età romana, in particolare in Campania. Entrambi i territori saranno ospiti al Merano WineFestival. È in vece la Regione Abruzzo a portare la bandiera della sostenibilità, concet
to al centro di importanti momenti di confronto e approfondimento durante la manifestazione.
Cosa ti ha portato a pensare, nel 1992, che ci fosse bisogno di un evento basato sul vino di qualità?
All’inizio degli anni ’90, un buon ca lice era ancora solo un elemento di accompagnamento al pranzo o alla cena. Ma nello stesso tempo, soprat tutto in Francia, si è cominciato a per cepire la magia della spinta emotiva che riusciva a creare. Il vino di alta gamma ha una sua personalità, un suo carattere, una sua vita e porta con sé la tradizione, la cultura e la storia
di un territorio. Anche in Italia nume rose aziende avevano scelto di intra prendere un percorso di eccellenza e così è nata la voglia di valorizzarle. Il Merano WineFestival è stata la prima manifestazione a mettere al centro la qualità e non la quantità, e lo è tutt’og gi. Un modello differente che basa la partecipazione su un’attenta selezio ne.
I produttori ti hanno dato fiducia fin dall’inizio?
Già allora ero affascinato dalla varietà e dalla biodiversità del mondo del vino in Italia: moltissime aziende, da Nord a Sud, sceglievano di puntare in alto e il criterio di selezione ha riscon trato fin dall’inizio un grande succes so. È stata senza dubbio una sfida, ma oggi, contando che le presenze sono più che decuplicate, possiamo dire di averla vinta. I produttori sono molto orgogliosi di essere tra quelli scelti per rappresentare il meglio del pro prio territorio.
Come vedi oggi questo settore e quali sono le prospettive a breve ter mine?
In 30 anni il mondo del vino è cambiato completamente, a partire dal capovolgimento del concetto di quantità e qualità. Oggi è la prima a dettare legge: si valorizza il territorio con la ricerca sui vitigni autoctoni e si ripercorre la storia con le lavorazioni in anfora. Ci sono segnali positivi di
HelmuthKöcher
grande fermento. A risultare vincenti sul medio periodo saranno i prodotti capaci di esprimere il proprio territo rio. C’è voglia di identità e riconosci bilità, di vini che abbiano carattere e personalità e che sappiano emozio nare, con eleganza e finezza. Quali zone vinicole apprezzi mag giormente?
Mi piace molto scoprire ciò che anco ra non conosco, viaggiare tra i diversi vitigni e le zone vinicole per appren dere sempre qualcosa in più. È que sta la formula giusta per diventare un wine hunter. Quindi non solo Toscana o Piemonte ma anche Molise e Sarde gna, per esempio. Inoltre, mi ispirano le vecchie annate. È bellissimo, poi, scoprire vini di altri Paesi, dalla Geor gia al Libano, fino a Cipro. Sto lavoran do per averli al MeranoWine Festival. meranowinefestival.com
LA CITTÀ
Una trentina di anni fa, mentre mi trovavo in Ba silicata per uno speciale del programma Sereno variabile su Matera, alcuni amici mi informarono del ritrovamento di alcune strane orme ad Altamura, nella vicina Pu glia. Secondo diversi studiosi, le im pronte sarebbero appartenute a una comunità di dinosauri. Da giornalista curioso raggiunsi velocemente il luo go in provincia di Bari e, nonostante l’iniziale scetticismo, mi appassionai alla vicenda.
Nel corso del tempo la ricerca andò avanti e le tracce ritrovate aumenta rono. Oggi sono circa 20mila e, per gli esperti, a lasciarle furono proprio alcuni dinosauri di specie diverse, lunghi circa cinque metri e alti uno e mezzo. Risalgono a 80 milioni di anni fa, quando il clima in Puglia era di tipo tropicale e la cava dove sono state scoperte assomigliava presumibil mente a una laguna. Oggi questo luogo magico è considerato uno dei giacimenti più grandi al mondo che presenta orme di dinosauro ed è vi sitabile con orari e modalità stabilite dal Comune di Altamura.
zionale ritrovamento, nella grotta di Lamalunga, dell’Uomo di Altamura, unico esempio di scheletro intero della specie Neanderthal risalente al Paleolitico. Scoperto nel 1993 e an cora incastrato nella roccia, è stato ricostruito a grandezza naturale dai paleo-artisti olandesi Adrie e Alfons Kennis, fra i più qualificati al mondo in questo tipo di lavoro.
Oltre che per il patrimonio archeolo gico, esposto nella rete museale sta tale, Altamura conquista il visitatore per le bellezze del suo centro storico e le peculiarità del territorio.
Intorno alla metà del 1200 l’impera tore Federico II di Svevia, che per il nome della città si ispirò ai resti delle “alte mura” erette tra il VI e il III secolo a.C., in parte ancora visibili, diede il via alla rinascita della zona, che si po polò di genti arabe, greche ed ebree e si dotò della splendida Cattedrale di Santa Maria Assunta.
rappresentano l'aggregarsi sponta neo di gruppi familiari ed etnici come latini, mori, giudei. Fra i più caratte ristici c’è quello della Giudecca, che accoglieva la comunità ebraica, e i claustri Inferno e Tradimento. Oltre alla funzione sociale, la loro confor mazione aveva soprattutto uno sco po difensivo: il claustro, con un’unica entrata, costituiva una trappola per i nemici che, se si fossero avventurati fin lì, sarebbero rimasti imprigionati e subissati da lanci di pietre o acqua. La città visse poi un’epoca particolar mente florida tra il ‘500 e il ‘700, arric chendosi di chiese e palazzi – tra cui l’Università degli Studi, fondata nel 1748 – che ancora oggi la rendono un piccolo scrigno di bellezza.
Ma la zona attira giornalisti, fotore porter e scienziati anche per l’ecce
In questo periodo Altamura assun se il suo aspetto caratteristico con i claustri, in dialetto locale detti gno stre : piccole piazzette circondate da viuzze che si aprono sulle vie principali del centro storico e sono un esempio unico nell'architettura popolare. Se ne contano circa 80 e
La zona di Altamura, inoltre, appartie ne in parte al Parco nazionale dell’Al ta Murgia, dove crescono piante rare e uccelli in via d’estinzione costrui scono il loro nido. Il suo paesaggio incontaminato sorprende con grotte naturali e terrazze di pietra affaccia te su valli carsiche chiamate “lame”. Imponenti le masserie, alcune fortifi cate come veri e propri castelli, cen tri vitali dell’economia agricola locale nate principalmente per garantire la difesa del territorio circostante al Strada di pietra in un claustro, Altamura
punto che alcune venivano dotate di torri e fossati anche successivamen te alla loro costruzione, a causa del susseguirsi di attacchi da parte dei briganti.
Tutto l’altopiano è ricco di funghi, lampascioni, asparagi selvatici e car
doncelli. Tra i piatti tipici apprezzati dagli amanti della cucina locale ci sono la cialledda, specialità contadi na invernale realizzata con pane raf fermo, i tagliolini con cicerchia e fun ghi cardoncelli, ideali da mangiare nei mesi freddi, la pecora alla rizzola, preparazione che richiede una cottu ra lentissima, la cui origine si perde nel tempo, gli gnummareddi prepa rati con frattaglie miste di agnello o capretto, e il pasticcio, focaccia ripie na di cipolle sponsali e baccalà tipica della vigilia dell'Immacolata. Ma il re della tavola, ad Altamura, è il pane, il primo prodotto da forno in Europa
Ricostruzionedell’Uomo
©Kennis&&Kennis Reconstructions
diAltamura
ad avere ottenuto il marchio Dop nel 2003. A base di semola rimacinata, rigorosamente raccolta nelle cam pagne limitrofe, viene preparato se condo tecniche risalenti al Medioevo.
lavorato con acqua, sale marino e lievito madre viene cotto nei forni a legna e resta morbido fino
6-10 giorni: è talmente buono da essere servito come pietanza unica o solo con un filo di olio extravergine
oliva.
LA CIALDA DI ALTAMURA
di Sandra JacopucciLa cialda dei contadini pugliesi, cialledd in dialetto, ha il profumo invernale della campagna e il sapore rassicurante dei piatti poveri della tradizione. Oggi è spesso riproposta nei ristoranti locali come pietanza o, in quantità moderate, come aperitivo. Su un letto di pane raffermo, meglio se di Altamura Dop, bisogna schiacciare alcuni pomodorini. Nel frattempo, si fa bollire mezzo litro d’acqua con una cipolla tagliata sottile, uno spicchio d’aglio, un gambo e foglie tenere di sedano tagliate, altri pomodorini, patate affettate, cime di rapa, sale. A cottura completata delle verdure, si versa il brodo ancora fumante sul pane. Infine, si aggiungono olive nere, peperoncino facoltativo, un po’ di origano e un filo di olio extravergine d’oliva, possibilmente pugliese, lasciato cadere a croce. In estate va servita fredda.
Il tragitto concordato è da Vero na a Padova. La sfida è di quelle davvero importanti: 88 chilome tri, tempo stimato in bicicletta quattro ore e 13 minuti, meglio cinque per me. Batteria del mezzo a pedalata assisti ta caricata correttamente, sono pron to. Ma non posso partire da Verona senza aver fatto colazione con un risi no, dolce di pasticceria molto diffuso nel territorio che consiste in un picco lo cestino di pasta frolla con un ripie no di riso lessato e mescolato a una crema pasticcera. Lo abbino al caffè di Gianni Frasi, del laboratorio di tor refazione Giamaica caffè, i cui chicchi vengono tostati con il fuoco diretto come in un piccolo vulcano fino a rag giungere l’inconfondibile colore “to naca di frate”.
Soddisfatto, salgo in bicicletta e co mincio il mio percorso. Esco da Ve rona seguendo il fiume Adige e, in un lasso di tempo quasi impercettibile, mi ritrovo nella campagna veronese, proprio quella raccontata da Johann Wolfgang von Goethe nel 1786 nel suo Viaggio in Italia. Scrisse il poe ta tedesco: «L’ampia pianura che si percorre man mano si allarga, e la strada larga, diritta e ben mantenuta attraversa una campagna assai fertile: la vista spazia fra lunghe file di alberi intorno ai quali si avviticchiano verso l’alto i tralci della vite, che poi ricado no in basso come ramoscelli aerei. Tra i filari delle viti il suolo è sfruttato per la coltivazione di ogni sorta di grano, specialmente del granoturco e del sorgo».
Il mio viaggio è ancora lungo, troppo lungo, ho percorso già 40 chilometri e credo che le forze mi stiano abban donando. Decido allora di fermarmi a riposare, vedo un fiume, è il Guà, ap poggio la bicicletta a un albero e mi stendo a guardare le nuvole. Per me sono sempre state magnetiche quan to il fuoco e il mare. Da bambino gio cavo con mio fratello Gaetano e cer cavamo le somiglianze con animali, cose o addirittura visi conosciuti. La mia fantasia sta correndo velo cemente e, mentre i ricordi vanno a mia madre che ci leggeva le favole mentre facevamo i picnic fuori porta, la mia attenzione viene catturata da un uomo, un ragazzo in realtà, che passeggia solo sull’argine del fiume. È alto, portamento austero, un filo di barba e capelli leggermente scom pigliati. È intento a guardare il fiume, quasi volesse pescare, o forse sta ri cordando qualcosa. Mi affascina il suo incedere lento e riflessivo, non dovrei disturbare la sua quiete ma la curiosi tà è davvero tanta: «Buongiorno, pia cere, Giuseppe». Momento di silenzio, si volta verso di me e fa un vago cen no del capo: «Buongiorno». Dopo una pausa silenziosa e un sorriso continua: «Piacere, Massimiliano Alajmo». Sarà proprio lui? È lo chef del ristoran te tre stelle Michelin Le calandre? Non mi va di chiederglielo espressamente, quindi faccio finta di non aver collega to il nome e la professione: «Non mi sembri un pescatore e neanche un cercatore d’oro». E lui: «Sono immer so nella ricerca. A livello concettuale, la fluidità è l’evoluzione naturale della ricerca di leggerezza e profondità che mi ha portato a penetrare ancora di più il grande senso del mistero. La va lenza dell’acqua rigenerante scatena una serie di memorie e sensazioni per cui la diluizione diventa un potenzia mento».
Sono affascinato da questa risposta: è evidente dalla sua prossemica che non mi sta prendendo in giro. Insom ma, sembra una persona seria e così gli chiedo: «Parli di fluidità intesa an che come divenire in opposizione all’essere?». E lui: «Abbiamo coniato questo concetto come se fosse quasi un percorso di fede, molto naturale,
che prende le distanze dal tecnicismo affermatosi negli ultimi anni».
Sono curioso e gli chiedo di farmi un esempio. Massimiliano diventa molto serio e risponde così: «In gastrono mia, la ricerca spasmodica della tec nica ha portato all’aggiunta di sostan ze invece che al potenziamento della materia stessa. Fluidità è il simbolo di questo percorso in cui non esiste più artefice e fruitore, ma tutto scorre e diventa più naturale e digeribile. Noi siamo spettatori di questo percorso liquido e fluire significa arrendersi alla vera bellezza, abbandonarsi alla ricerca dell’essenza. L’acqua è il tra ghettatore, è un ingrediente centrale, legato al ricordo. Ciò che tocca resta indelebile, per quanto sottile. Nella diluizione si trova un potenziamento e un’espansione dei sapori. Nella ricer ca ho sviluppato i temi di leggerezza, profondità e liquidità. Un piatto deve suscitare emozioni profonde, sempli ci, dirette, primarie, riattivando aree della memoria deve evocare qualco sa che non appesantisca ma elevi». Lo invito a prenderci un caffè, lui ac cetta e proseguiamo nella nostra chiacchierata. Gli chiedo quanti ne beve al giorno e mi risponde: «Il gran de Gianni Frasi era solito dire che “non è il quanto che genera il quale”. Il caffè è una preparazione che ci consente di poter leggere noi stessi». Conosce l’imprenditore, la cosa non mi stupi
sce più di tanto, e aggiunge: «È una vera rivelazione se pensiamo che il tutto parte dal nocciolo di un frutto, duro come un sasso e totalmente insapore. La trasformazione che lo riguarda è una vera metamorfosi per arrivare alla sua massima espressione – il caffè espresso per l’appunto – con una crema superiore carica di riflessi dorati. Gli ingredienti, infatti, portano con sé verità nascoste, nutrimento per il corpo ma anche per lo spirito, sta a noi ascoltarle e farne tesoro».
A questo punto della conversazione capisco perché si parla così bene di lui nel mondo della gastronomia e perché in tanti lo definiscono un ge nius loci, uno di quelli che contribui scono alla crescita di una comunità e di un territorio. Così, gli chiedo quanto si senta figlio della sua terra e lui mi ri sponde usando un tono molto affabile ma perentorio: «Il territorio è una con venzione geografica, siamo tutti figli di questo mondo. Amo i miei confini, amo la mia terra e la sua storia. Nel contempo, mi piace la relazione del Veneto con le altre regioni, adoro l’Ita lia. Cerco le relazioni e i contrasti con gli altri Paesi e le differenti culture. La storia dell’uomo e della gastronomia si basa sulle relazioni, sugli scambi, su un filo che ci rende tutti legati dalla stessa tensione». Mentre camminia mo arriviamo finalmente in un bar e casualmente il caffè è quello di Frasi.
LA GEOGRAFIA
DI FRANCESCO
TRA LE CHIESE E LE PIAZZE DI ASSISI, SULLE TRACCE DEL SANTO CHE QUI CONDUSSE UN’ESISTENZA IN UMILTÀ
Il 4 ottobre si celebra San France sco, patrono d’Italia. Proprio nella notte tra il 3 e il 4 del mese, nel 1226, il Poverello di Assisi abbandonò
la vita terrena. È questo il periodo giu sto, quindi, per scoprire la città in pro vincia di Perugia che fu il luogo fonda mentale della sua esistenza. Francesco, nato con il nome di Gio vanni di Pietro Bernardone, ricevet te il battesimo nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Ma è nel santuario di San Damiano, fuori delle mura citta dine, che provò una forte esperienza interiore, inizio significativo della sua conversione, del tutto opposta alle aspirazioni di successo precedenti.
È nota, infatti, la vita spensierata che conduceva da giovane, tra gli agi e il desiderio di diventare Cavaliere.
A San Damiano, Francesco si fermò a pregare davanti al Crocifisso e udì una voce che gli chiese di riparare la casa del Signore. Con questo richia mo si sentì pronto per nuove batta glie. E qui, tra sofferenze, notti insonni e grande rapimento mistico, compose anche il Cantico di Frate Sole
Sulla piazza del Vescovado, alla pre senza del vescovo Guido I, rinunciò all’eredità restituendo al padre anche gli abiti che indossava. Visse allora in solitudine per due anni, rafforzandosi nella sequela di Cristo, fino a quando si unirono a lui alcuni uomini di Assisi.
La loro prima dimora fu il Sacro tugu rio a Rivotorto, ai piedi del monte Su basio, «dove a fatica potevano stare seduti o stesi per terra». Da lì, però, furono cacciati da un uomo che, giun to con il suo asino, reclamava il pos sesso del posto.
In questo viaggio simbolico, poi, si arriva in alto per raggiungere l’Eremo delle carceri, immerso nella natura incontaminata: un luogo adatto alla contemplazione e al silenzio, perfetto per immergersi completamente nei misteri di Dio.
La basilica di Santa Maria degli An geli, invece, è fissata nella memoria collettiva come il luogo dove avven ne il Perdono. Intorno al 1000, la zona era nota con il nome di Cerreto di Porziuncle, per via della presenza di una vasta zona boschiva. Nel XII se colo la cappella venne restaurata dal santo, che vi morì nel 1226: da allora, è identificata con la Porziuncola. Nel 1216, Francesco ricevette una visione nella quale Gesù gli comunicava che chiunque avesse visitato la chiesetta, debitamente confessato e comuni cato, avrebbe ricevuto il perdono dei peccati. Papa Onorio III approvò tale indulgenza e fissò, per l’1 e il 2 agosto, la Festa del Perdono, che anche ai giorni nostri continua a richiamare un gran numero di fedeli.
Durante la Quaresima del 1211 France sco fu colpito dalla febbre quartana, una varietà clinica della malaria, e per far fronte alla malattia mangiò carne. Quando si ristabilì di salute andò nella piazza di San Rufino, convocò tutta la cittadinanza e tenne una predica. Alla fine entrò in chiesa, si tolse la tonaca e si fece trascinare nudo con una corda
al collo davanti alla gente, confessan do di aver mangiato carne durante la sua malattia. Tutti scoppiarono in pianto e avvertirono anche loro l’ur genza di una conversione.
Intanto, Francesco intuì l’aggravarsi del male e si fece riportare alla Por ziuncola, dove dal grembo «l’anima preclara / mover si volle, tornando al suo regno, / e al suo corpo non vol le altra bara» (Dante Alighieri, Divina Commedia, XI canto del Paradiso). E proprio nel momento della sua morte terrena vennero a far festa le allodo
le, che aveva tanto amato.
Fu sepolto provvisoriamente nella chiesa di San Giorgio e poi, nel 1230, le sue spoglie furono traslate nella nuova basilica di San Francesco, co struita in suo onore. Simbolo ancora oggi della città, ha il cuore pulsante nella cripta dove è posta la tomba del santo. In questo grandioso edifi cio, suddiviso in Superiore e Inferiore, tra le pietre e gli affreschi giotteschi, lo sguardo si perde e la mente ine briata dalla bellezza trova una di mensione più alta.
Chiara, seguace appassionata di Francesco, gli sopravvisse per 27 anni: per 42 dimorò a San Damiano, ma alla sua morte, nel 1253, le spo glie furono traslate nella chiesa di San Giorgio, fino a che non fu edifi cata la basilica intitolata al suo nome. Un’esistenza straordinaria, quella del Poverello di Assisi. Ripercorrere i luo ghi nei quali per gran tempo egli ha vissuto vuol dire entrare in dialogo con lui. E comprendere che esiste una vera e propria geografia dello Spirito.
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BELLEZZA UNIVERSALE
CAPI FLUIDI, TESSUTI ELASTICI E MATERIALI IPOALLERGENICI. IULIA BARTON È IL PRIMO BRAND AL MONDO AD AVER CREATO UNA LINEA CAPACE DI SODDISFARE LE ESIGENZE DI PERSONE CON DISABILITÀ
di Cecilia Morrico MorriCecili morricocecili
In tutto il servizio la nuova collezione Adaptive Iulia Barton Foto di Marco Mantovani
La vera bellezza è esse re sicuri di sé. E il nostro progetto nasce proprio per far sentire le persone a proprio agio». Parola di Giulia Bartoccioni, che ha creato il nuovo brand di moda in clusiva Iulia Barton. L’azienda, nata nel
2016 come agenzia per modelli con disabilità, ha lanciato la sua prima col lezione a settembre, durante la setti mana della moda meneghina, in partnership con il Gruppo FS Italiane. Si chiama Adaptive ed è stata concepita e realizzata per persone normodota
te, in carrozzina e con amputazioni. «Lavorando per le fashion week di New York e Milano, mi sono resa conto di ciò che mancava nel mondo della moda, delle necessità e dei de sideri delle stesse modelle nei back stage. Ho capito che bisognava fare
di più e subito, senza aspettare che ci pensasse qualcun altro». E infatti il brand Iulia Barton è la prima realtà, in Italia e all’estero, ad aver creato una linea di vestibilità universale: «I capi possono essere indossati sia su un corpo maschile sia femminile, senza limiti. E sono stati studiati per tutti, non soltanto per le diverse esigenze delle persone disabili». Particolare attenzione è stata data alla scelta dei materiali: «Abbiamo utilizzato molto i cotoni elastici per creare capi fun zionali e comodi. Tessuti quasi tec nici, per non appesantire il corpo. E soprattutto ipoallergenici, perché chi indossa una protesi, per esempio, è particolarmente soggetto a problemi della pelle». Inoltre, sono realizzati tramite il rici clo dei materiali, perché la sosteni bilità oggi è un dovere. «Certo non è facile essere green al 100%, per ora noi abbiamo raggiunto un 96% ed è un ottimo risultato, possiamo sentir ci soddisfatti visto che siamo ancora all’inizio». In più, tutta la collezione è completamente made in Italy: «Iulia Barton è prodotta a Ferrara e a Rimini. Oggi realizziamo solo abiti, magari un domani faremo anche accessori ma
sempre nel nostro Paese».
Con l’obiettivo di tenere sempre la persona al centro del progetto: «Ne gli anni, tra sfilate ed eventi, in molti hanno cominciato a seguirci e intorno al brand si è creata una vera commu nity. Prima di realizzare la collezione, abbiamo chiesto a chi ci segue con quali colori si sentiva di più a suo agio. Le necessità dei clienti, per noi, sono sempre al primo posto», continua la ceo e direttrice creativa del brand.
E questo si vede chiaramente nel vi deo realizzato per presentare Adapti ve durante le sfilate milanesi: «Abbia mo mostrato nel dettaglio le soluzioni modulari adottate, cercando di far capire, per esempio, come una per sona che abbia un’amputazione a una gamba possa sganciare facilmente il nostro pantalone a metà ginocchio per cambiare la protesi». Nel capo luogo lombardo sono stati presentati dieci look streetwear che possono essere mixati tra loro per ottenere 25 outfit diversi. «Capi in grado di ac compagnare una persona nei diversi momenti della giornata, dalla mattina fino alla sera».
In termini di organizzazione, non sa rebbe stato semplice far salire su una
runway chi ha una disabilità. «Prima di tutto logisticamente, dovendo far spostare persone da tutto il mondo. E poi per i tempi: in genere, quelli di una sfilata sono molto rapidi e far cam biare una modella in carrozzina non è banale». Ecco perché Bartoccioni ha scelto la soluzione del video: «Ci è sembrata la più confortevole per chi lavora con noi e, allo stesso tempo, la più utile per mostrare il nostro prodot to».
iuliabarton.com
METTI IN AGENDA
TRANSIZIONE ENERGETICA, CAMBIAMENTO CLIMATICO E RIGENERAZIONE URBANA AL CENTRO DELLA SESTA EDIZIONE DEL FESTIVAL DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE, IN COLLABORAZIONE CON IL GRUPPO FS
Dovrebbe trovare posto ogni giorno, nell’elenco infinito delle cose da fare: un’a zione concreta per rendere il mondo più green, un passo alla volta. Metti lo in agenda. Stiamo agendo è infatti il claim scelto da ASviS per il Festival dello sviluppo sostenibile 2022, che dal 4 al 20 ottobre propone una serie di iniziative su tutto il territorio nazio nale per sensibilizzare cittadini, impre se, associazioni e istituzioni verso uno sviluppo economico e sociale rispet toso dell’ambiente.
In programma oltre 350 eventi tra convegni, workshop e mostre per rac contare in 17 giorni le sfide del cam biamento climatico, le crisi sociali e l’impegno delle comunità per un mon do più vivibile. Mentre per tutto il mese sfreccia sui binari italiani un Freccia rossa personalizzato con la grafica dedicata alla manifestazione. Giunto alla sesta edizione, il festival rappresenta una tappa importante nel raggiungimento degli Obiettivi di svi luppo sostenibile, a soli otto anni dal termine fissato dall’Agenda 2030 delle
Nazioni Unite. Intenti condivisi dalle aziende e dalle istituzioni partner della rassegna, che anche quest’anno vede la collaborazione del Gruppo FS. Nella giornata inaugurale del festival, presso il Palazzo delle esposizioni di Roma, è previsto il Sustainability Day di FS Italiane, un’occasione per riflettere, insieme ai top manager del Gruppo, sulle sfide da fronteggiare nella mobilità e nella progettazione di infrastrutture ecologiche e resilienti, in grado di resistere agli effetti del cam biamento climatico. Sono tanti, infatti,
IL FUTURO
gli spazi limitrofi ad aree ferroviarie e stradali – per una superficie di circa 24 milioni di metri quadrati – che po trebbero essere utilizzati in ottica gre en per produrre energia pulita, creare nuove piste ciclabili e realizzare centri servizi in connessione con le stazioni.
Senza contare che il Gruppo inten de autoprodurre almeno 40% del suo fabbisogno energetico entro il 2031.
È proprio la transizione energetica, infatti, uno dei temi su cui FS Italiane può dare il maggior contributo verso la carbon neutrality, che il Gruppo punta
a raggiungere entro il 2040, in antici po di dieci anni sulla tabella di marcia europea. Sullo stesso argomento è fo calizzato anche l’evento centrale della manifestazione, organizzato da ASviS per il 12 ottobre e trasmesso anche in streaming sui suoi canali social, in cui si parla di energia, cambiamento cli matico e biodiversità. Mentre il 17 l’A genzia per la promozione della ricer ca europea (Apre) racconta le buone pratiche di formazione nelle scuole su questi temi.
E visto che le nuove generazioni sono
il fondamento del mondo di domani, è dedicato proprio a loro l’appuntamen to finale del festival intitolato Verso il 2030: una nuova generazione di idee si fa spazio, in programma il 20 ottobre e live anche sui social di ASviS. Esperti dal mondo dell’arte, dei media e della cultura affrontano le questioni di mag gior rilievo per i giovani, con l’obiettivo di muoversi insieme verso un futuro resiliente e sostenibile. festivalsvilupposostenibile.it asvisitalia asvis_italia
ORIZZONTI CONTEMPORANEI
SOSPESAFestina lente, cioè “affrettati lentamente”, era il motto di un grande uomo di lettere rinascimentale, l’editore veneziano Aldo Manuzio. E potrebbe essere anche quello di Catanzaro. Perché il capoluogo calabro, nel cuore della terra dove approdò Ulisse secondo Omero, è la metafora stessa della contraddizione di una città sospesa tra passato e presente, tra tradizio ni ancestrali e innovazione, tra de cadenza e progettualità. Con una società civile, spesso costituita da giovani e giovanissimi, che guarda inevitabilmente al futuro, anche at
traverso il binocolo dell’arte contem poranea.
Il primo stimolo che provo arrivando in città è quello di osservare, prima di capire o studiare. L’occhio mi cade subito sugli edifici in cemento armato dell’Aranceto, uno dei quartieri peri ferici di Catanzaro, attratto dall’ina spettato richiamo di due coinvolgenti murales, Gipsy King di Roberto Ciredz e Madre Nostra di Giorgio Bartocci, realizzati a distanza di pochi metri l’uno dall’altro su uno spazio tutto di crepe.
In realtà, senza saperlo, sono già fi nito in un luogo d’arte. Si tratta del
Mudiac, ovvero del Museo diffuso di arte contemporanea, nato per appar tenere direttamente alla comunità locale e creato con quest’ultima che ne è anche la custode. Un progetto con pochissimi eguali oggi in Italia, esteso tra vie e viottoli, mette a siste ma una collezione di opere presenti nello spazio pubblico. Installazioni, sculture e muri dipinti a opera di nomi internazionali di primo piano – at tenzione a non chiamarli street artist – come Gonzalo Borondo, Clemens Behr, 108, Erosie, Alberonero, Gior gio Bartocci, Andreco, 3ttman, 2501, Domenico Romeo, Gue, Ekta, THTF,
Roberto Ciredz, solo per citarne alcu ni. A rendere ancora più interessante il caso di questo museo diffuso sono i suoi promotori, Vincenzo Costan tino ed Edoardo Suraci, due giovani che, dopo essere espatriati per avere maggiori opportunità di studio e di la voro, hanno poi deciso di far ritorno definitivamente nella città natale. Con la volontà chiara e la determinazione di contribuire alla sua rigenerazione urbana, sociale e culturale. A partire dalla realizzazione del festival Altro ve, un evento d’arte pubblica che dal 2014 si distingue per la qualità degli interventi urbani eseguiti e dei suoi
murales. Opere che oggi compongo no il percorso espositivo del Mudiac, realizzato in collaborazione con la Di rezione generale creatività contem poranea del ministero della Cultura. È la magia del fare bene che rende possibile ciò che sembra impossibile. Pensando a questo mi imbatto, poco dopo, in un altro luogo per molti ver si fuori dell’ordinario: il Marca, Museo delle arti di Catanzaro, un polo multi funzionale nato nel marzo 2008 dove convivono arte antica e contempo ranea, come emerge dalle collezio ni presenti. Nelle sale al piano terra sono ospitate in permanenza le rac
RoccoGuglielmo
colte di dipinti e sculture che appar tengono alla Provincia di Catanzaro, firmate da autori come Antonello de Saliba, Battistello Caracciolo, Mattia Preti, Andrea Cefaly e Francesco Je race. Un patrimonio che rappresenta il punto di partenza per un’istituzione che guarda al futuro con mostre de dicate ad artisti come Alex Katz, An toni Tàpies, Alessandro Mendini, Enzo Cucchi, a cui ha fatto seguito la gran de rassegna sulla Berlino degli anni ‘80. Fino ad arrivare ai nostri giorni con la personale in corso, Unseen di Roberto Fanari, aperta fino al 27 no vembre. Pure in questo caso, a rende
re ancora più interessante l’istituzione
è la persona che c’è dietro. Mi riferi sco al suo direttore artistico, Rocco Guglielmo, classe 1963 e catanzarese doc. Scorrendone il curriculum salta agli occhi la sua professione princi pale, non di storico dell’arte o critico, bensì di notaio. Un altro caso di ordi naria straordinarietà come i tanti che si possono incontrare viaggiando per il Paese. Decido di incontrare il notaio Guglielmo per saperne di più di que sta sua “seconda occupazione”.
Come mai, nonostante la sua profes sione, ha deciso di assumere la dire zione di un museo?
Sono notaio dal 1992, ho sempre amato il mio lavoro e lo amo ancora. Mi sono avvicinato presto al mondo dell’arte e, da collezionista, sono di ventato in breve tempo un appassio nato. Ho avuto la fortuna di acquisire conoscenze e competenze tali da assumere il ruolo di direttore artisti co del museo Marca, che considero un’istituzione per la crescita culturale
e lo sviluppo del territorio.
Cosa rappresenta per lei l’arte con temporanea e cosa ha aggiunto alla sua vita privata e professionale?
Mi ha aiutato a capire meglio me stesso. Ho allargato i miei orizzonti e le mie prospettive future.
Come finanzia la progettualità del museo?
Da quando sono direttore, la Provin cia di Catanzaro non ha mai previsto un budget da destinare alle iniziative culturali del Marca. Pertanto, le mo stre e le attività sono state finanziate prevalentemente con mezzi privati o attraverso l’approvazione di progetti sostenuti da fondi comunitari, oppure grazie a collaborazioni con altri enti culturali disposti a investire sugli arti sti, quindi gallerie private, fondazioni o simili.
Quali sono i valori e le linee guida che segue nella sua direzione arti stica?
Dal 2015, quando ho cominciato a oc cuparmi di questo museo, attraverso la fondazione che porta il mio nome ho realizzato quasi 50 mostre su ar tisti storicizzati e affermati, tra i più attuali del panorama italiano e inter nazionale, e rassegne di autori giova ni e meno giovani ma comunque veri e propri talenti, che hanno mantenuto un legame con il territorio.
Come definirebbe la scena artistica contemporanea calabrese e quali sono, a suo avviso, i nomi più inte ressanti?
Ormai da qualche anno si assiste a una crescita e a un fermento cultu
rale nella nostra regione. A comin ciare dall’attività svolta sul territorio dalla Fondazione Mimmo Rotella, fin dai primi anni della sua nascita, per arrivare ai giorni nostri con la neoco stituita Fondazione Cesare Berlingeri che continua a promuovere l’arte del grande maestro di cui porta il nome e a cui sono particolarmente legato. Altrettanti autori di nuove realtà si in seriscono in questo interessante con testo, ne cito solo alcuni: Zeroottou no, Antonio Tropiano, Roberto Giglio e Giuseppe Negro.
Exit for all (2017) di 3ttman, centro storico
Mi congedo dal notaio Guglielmo ma non dalla città. Perché non si può la sciare Catanzaro senza una passeg giata nel Parco internazionale della scultura, all’interno di una vasta area verde adiacente al centro urbano, an noverato dagli esperti come uno dei dieci musei a cielo aperto più belli e importanti d’Italia.
Tra radure, poggi e aiuole, fanno ca polino opere pazzesche come Uomo e Ballerina (2005) di Stephan Balkenhol, Cast Glances (2002) di Tony Cragg, Be toniera (2007) di Wim Delvoye, L’uomo
che misura le nuvole (1998) di Jan Fabre, Seven Times (2006) di Antony Gormley, Electric Kisses di Dennis Oppenheim. Oltrepasso i lavori di Mauro Staccioli e Daniel Buren e mi imbatto in Totem (2007) di Marc Quinn, una potente rap presentazione allegorica di Darth Va der, l’eroe del male della celebre saga di Star Wars. Che sembra suggerirmi in un orecchio, parafrasando la celebre frase Jedi, «l’arte è la via per la Forza».
museomarca.info mudiac.it
TORMENTI DI VAN GOGH
IN MOSTRA A ROMA, DALL’8 OTTOBRE, TUTTA LA COMPLESSITÀ DEL PITTORE OLANDESE. TRA RAPIDI COLPI DI PENNELLO E TUMULTI DELLA MENTE
sarebbero andate perse, considerato che l’artista aveva riscosso per le sue tele tutt’altro che successi.
M ostre come questa, dedi cate a un artista tra i più amati e conosciuti in as soluto, sono atti di coraggio. Perché le aspettative dei visitatori possono essere molto alte. A rischiare, in sen so buono, è Palazzo Bonaparte con la retrospettiva Van Gogh. Capolavori dal Kröller-Müller Museum. Dall’8 ottobre al 26 marzo 2023 l’edificio storico nel centro di Roma accoglie 50 opere del
genio tormentato e incompreso dai suoi contemporanei, prestito ecce zionale del museo olandese, che ha collaborato con Arthemisia alla rea lizzazione della mostra nella Capitale. La raccolta del Kröller-Müller, merito della cognata di Vincent, moglie del tanto amato fratello Theo, cominciò nel 1896. Un atto di lungimiranza che ha consentito di far arrivare fino ai no stri giorni opere che probabilmente
Il percorso dell’esposizione è lineare, guidato dalla cronologia. A illustrarlo è Maria Teresa Benedetti, curatrice della mostra insieme a Francesca Vil lanti, che da moltissimi anni studia il pittore olandese con coinvolgimento. «Sono dipinti realizzati in un solo de cennio, dal 1880 al 1890, perché negli anni precedenti Vincent si dedicava ad altre attività, come per esempio il catechista volontario tra i minatori. Iniziò a dipingere nell’80 e, fino all’85, rimase in Olanda. I soggetti scelti era no campi o luoghi all’aperto, resi con colori scuri ma pieni di segreta bel lezza».
Dopo quel periodo si trasferì a Parigi, dove conobbe l’Impressionismo or mai maturo e i suoi autori. Della città
dell’artista si staglia di tre quarti, gli occhi mostrano un’insolita fierezza e si rivolgono a chi guarda. I rapidi col pi di pennello e i tratti di colore con segnano un’idea di sé tumultuosa, di una sgomentante complessità.
«Van Gogh era un visionario spiritua lista», sottolinea Benedetti, «amava la terra sopra ogni cosa e guardava la natura con stupefatto amore. Scelse di vivere con le persone umili, gli agri coltori, le donne dei campi, i ben noti mangiatori di patate che amò ritrarre. Per lui la quotidianità aveva un senso sacrale. La sua era una religione che valorizzava i poveri. Apprezzava di più il corpino rattoppato di una ragazza dei campi che l'abito di una signora, oppure di un contadino preferiva il vestito di fustagno alla bella giacca indossata solo per andare in chiesa». Ma queste sue scelte – lui ne era an che consapevole – non lo portarono a essere molto amato e compreso in vita. Il fratello Theo, infatti, cercava invano di vendere i suoi quadri e lo manteneva con denaro che però lui spendeva per acquistare i colori o per ubriacarsi. Anche se non lo ab bandonò mai, come testimoniano le Contadina che spigola (1885)
francese, non proprio in sintonia con la sua personalità riservata e non mondana, amò le zone meno note, che preferì ai quartieri di spettacolo e vita notturna. Nel 1887 si spostò a sud: «Anche se sarebbe voluto anda re in Giappone», continua la curatrice, «si accontentò di raggiungere il me ridione francese, una zona più soleg giata e piena di luce. È il momento in cui si stabilì ad Arles». Un ambiente più vicino alla sua sensibilità e ai suoi tormenti, dovuti a un disagio menta le sempre più crescente, che a volte culminò in attacchi di follia e lunghi ricoveri in case di cura psichiatriche. Ecco, quindi, che nel 1888 dipinse Il seminatore e, l’anno dopo, Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy Trasmettono ancora i suoi tormen ti capolavori come Burrone (1889) e Vecchio disperato (1890). È di questo periodo anche Autoritratto, a fondo azzurro con tocchi verdi del 1887, da poter ammirare in mostra. L’immagine
famose lettere tra i due, un epistolario che agì da balsamo letterario in una vita difficile. È tormentato, infatti, anche il perio do vissuto ad Arles, Saint-Rémy-deProvence e Auvers-sur-Oise, dove la vita di Vincent si concluse il 29 luglio 1890, quando si sparò a soli 37 anni. La tragedia si poteva presagire già da un famoso episodio, legato al suo rapporto con Paul Gauguin, ospitato ad Arles. Van Gogh stabilì con il pitto re un legame così stretto e morboso che lui decise di scappare via. Un ge sto che Vincent non seppe accettare, a tal punto da tagliarsi un orecchio per disperazione. Da quel momento la malattia mentale peggiorò, lui ne fu consapevole e decise per questo di isolarsi. Da qui, l’alternanza tra periodi di tristezza e momenti caratterizzati da una produzione artistica piena di colori, dai toni alti. Ignorata nel pre sente, compresa in futuro.
mostrepalazzobonaparte.it arthemisia.it mostrepalazzobonaparte
LUCE SU GHIRRI
PAESAGGI STRANIANTI, PROFILI SFOCATI, TONI VINTAGE. A REGGIO EMILIA E MODENA DUE MOSTRE CELEBRANO UNO DEI MAESTRI DELLA FOTOGRAFIA INTERNAZIONALE. A 30 ANNI DALLA SCOMPARSA
di Sandra Gesualdi sandragesu Foto di Luigi Ghirri
© Eredi Luigi Ghirri
A ngoli di città all’ora del me riggio, spiagge vuote, tagli d’interno anni ’80. Sembra no cartoline un po’ sbiadite o pelli cole investite dalla luce le fotografie di Luigi Ghirri. Eppure, i profili imper cettibilmente sfocati, lo studio delle
geometrie e la semplicità apparente della composizione sono gli elementi base su cui si costruisce il suo lavoro.
Una ricerca che tende alla faticosa semplicità della forma, cristallizzata e immortalata come se fosse avulsa dal tempo e dallo spazio del qui e ora.
Con l’uso del colore, parsimonioso di toni accesi, caratterizza i suoi scatti imprimendo loro quel senso di rare fazione e prospettiva disabitata che tanto ricorda le città metafisiche e si lenziose dipinte da Giorgio de Chirico.
Tra le sue ultime opere, poi, ci sono numerosi scatti d’interno, particolari che raccontano la vita delle persone attraverso l’osservazione di oggetti di uso comune, come faceva Giorgio Morandi in pittura.
A 30 anni dalla scomparsa di uno dei maggiori maestri della fotogra fia internazionale del secondo ‘900, proseguono gli appuntamenti della rassegna a lui dedicata, Vedere Ol tre. Un palinsesto di eventi celebrativi promosso dalla città di Reggio Emilia assieme a Modena e Parma.
Tra questi spiccano due mostre. A Palazzo dei musei di Reggio Emilia è allestita fino all’8 gennaio In scala
diversa. Luigi Ghirri, Italia in miniatu ra e nuove prospettive, a cura di Ilaria Campioli, Joan Fontcuberta, Matteo Guidi. Per la prima volta, escono da gli archivi gli scatti realizzati da Ghirri nel contesto del parco tematico Italia in miniatura, pensato e progettato da Ivo Rambaldi e inaugurato nel 1970 vicino a Rimini. Gli inediti della serie In scala dialogano con materiali pro dotti da Rambaldi e con progetti fo tografici realizzati da artisti emergenti tra cui Fontcuberta e Guidi.
La Fondazione Modena arti visive, in vece, presenta fino al 20 novembre, a Palazzo Santa Margherita, Luigi Ghirri e Modena. Un viaggio a ritroso, a cura di Daniele De Luigi. Una biografia per immagini che ripercorre il lavoro del fotografo emiliano, dalle vintage print degli esordi fino agli scatti degli anni ’80 dedicati a Versailles e a quelli che ritraggono le architetture del centro storico modenese. In ogni foto tra pela quella sottile lucidità, razionale e straniante al tempo stesso, nel rac contare la realtà in ogni suo aspetto quotidiano. musei.re.it fmav.org
SVELARE IL PIANETA
CON
SIENA AWARDS,
NOVEMBRE,
GRANDE
NELLA CITTÀ TOSCANA.
Nessun gioco d’illusione ma una realtà maleodoran te e devastata, aggredita dall’inquinamento terrestre che sta corrodendo paesaggi, città, stagioni. Inutile nascondersi, coprire, abbellire in superfice. Occorre agire contro un mostro insaziabile che satura l’aria e
scioglie ghiacciai. Sembra gridare proprio questo, con aggraziata ironia, lo scatto The False Illusion del portoghese Andre Boto che vince l’edizione 2022 del Creative Photo Awards, il concorso dedicato alle immagini artistiche all’interno del festival internazionale Siena Awards,
nella città toscana fino al 20 novembre. L’immagine premiata arriva da Montijo, in Portogallo, e accende i riflettori su un problema planetario troppo spes so sottovalutato. L’impianto scenico è quello della metafora: un telo con sopra una natura benigna copre le malefatte dell’uomo per cambiare gli
orizzonti del mondo, vestirlo di nuovo. Anche Big Bang racconta il Pianeta, quello materico, bollente, il cuore della Terra. È lo scatto del francese Armand Sarlangue, vincitore assoluto del Dro ne Photo Awards, concorso dedicato alla fotografia aerea. Potrebbe essere il fermo immagine di un’esplosione atomica o più poeticamente un gran de fuoco d’artificio nel buio della notte. Forse la suggestiva foto arrivata dall’I slanda, che ritrae la fenditura d’acces so alle viscere della Terra, le richiama concettualmente entrambe. Dall’alto, il drone ha immortalato una fessura secondaria del vulcano Fagradalsfjall, a poche centinaia di metri dal crate re principale, durante l’eruzione dello scorso settembre.
I due scatti fanno parte delle otto mo stre fotografiche che animano il Siena Awards, manifestazione internazionale sparsa tra la città del Palio e il comune di Sovicille, poco distante. Tra queste le personali dedicate a Danish Siddi qui, reporter di guerra rimasto ucciso nel 2021 in Afghanistan, Ami Vitale, fotografa del National Geographic Ma gazine, Peter Mather, canadese che sceglie la natura come soggetto dei suoi scatti e Dan Winters, autore del ritratto di Angelina Jolie tempestata di preziose api. La bellezza del Pianeta addosso. sienawards.com sienawards
CON CARNET BIZ SI RISPARMIA ANCORA DI PIÙ
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Spostamenti di lavoro tra due città? Carnet Biz permette all’azienda e ai dipendenti di risparmiare sui viaggi pro fessionali. E da oggi è ancora più conveniente perché, fino al 30 novembre, si ha diritto a un ulteriore sconto del 10% sulle tre tipologie di Carnet:
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1. I componenti del gruppo maggiori di 15 anni pagano il biglietto scontato del 40% sul prezzo Base. Offerta a posti limitati e variabili rispet to al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. Cambio prenotazione/biglietto e rimborso soggetti a restrizioni. Acquistabile entro le ore 24 del secondo giorno precedente la partenza.
2. Il Carnet consente di effettuare 15, 10 o 5 viaggi in entrambi i sensi di marcia di una specifica tratta, scelta al momento dell’acquisto e non modificabile per i viaggi successivi. Le prenotazioni dei biglietti devono essere effettuate entro 180 giorni dalla data di emissione del Carnet entro i limiti di prenotabilità dei treni. L’offerta non è cumulabile con altre promozioni. Il cambio della singola prenotazione ha tempi e condizioni uguali a quelli del biglietto Base. Cambio biglietto non consentito e rimborso soggetto a restrizioni.
3. L’offerta Notte&AV è disponibile per i posti a sedere e le sistemazioni in cuccetta e vagoni letto (ad eccezione delle vetture Excelsior ) sui treni Notte e per la seconda classe, o livello di servizio Standard, sui treni Frecciarossa o Frecciargento. L’offerta non è soggetta a limitazione dei posti. Il biglietto è nominativo e personale.
4. Il numero dei posti è limitato e variabile, a seconda del treno e della classe/livello di servizio. Acquistabile fino alla partenza del treno. Il cambio prenotazione/biglietto è soggetto a restrizioni. Si può scegliere di effettuare il viaggio di andata in una classe o livello di servizio differente rispetto a quella del viaggio di ritorno. Il rimborso non è consentito. Offerta non cumulabile con altre riduzioni, compresa quella prevista a favore dei ragazzi.
5. Acquistabile entro le ore 24 del giorno precedente la partenza per le Frecce e fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la par tenza del treno per i treni Intercity e Intercity Notte. Il numero dei posti disponibili è limitato e varia in base al giorno, al treno e alla classe/ livello di servizio. La percentuale di sconto varia dal 20% al 50% e si applica al prezzo Base. È possibile cambiare esclusivamente la data o l’ora di partenza, una sola volta e fino alla partenza del treno, scegliendo un viaggio con la stessa categoria di treno o tipologia di ser vizio e pagando la differenza rispetto al corrispondente prezzo Base intero. Il Rimborso e accesso ad altro treno non sono ammessi. Al momento dell’acquisto il sistema propone sempre il prezzo più vantaggioso. A bordo è necessario esibire la Carta FRECCIA insieme a un documento d’identità.
6. Offerta a posti limitati e variabili in base al treno e alla classe/livello di servizio scelto ed è acquistabile entro le ore 24 del giorno prece dente la partenza per le Frecce e fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno per i treni Intercity e Intercity Notte. La percentuale di sconto varia dal 20% al 50%. Cambio biglietto/prenotazione e rimborso non sono consentite.
7. Offerta a posti limitati e variabili rispetto al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. La percentuale di sconto varia dal 35% al 50% e si applica al prezzo Base. Lo sconto non è cumulabile con altre riduzioni fatta eccezione per quella prevista in favore dei ragazzi fino a 15 anni. La promozione è acquistabile entro le ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno. Il cambio e il rimborso non sono consentiti.
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Fino all’8 gennaio a Palazzo Grassi, Venezia palazzograssi.it
DARIO ARGENTO - THE EXHIBIT
Fino al 16 gennaio al Museo nazionale del Cinema, Torino museocinema.it
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MUSEALI
IN ITALIA
La magia del cinema va in scena a Firenze, dove oltre 250 opere – tra boz zetti di scena, disegni e figurini di costumi – ripercorrono la carriera del grande regista, sceneggiatore e scenografo Franco Zeffirelli.
Il percorso espositivo nella Fondazione a lui dedicata lascia spazio anche alle grandi personalità che hanno accompagnato e influenzato la carriera del maestro. Le prime sale sono dedicate al mentore Luchino Visconti e alla soprano Maria Callas, poi si continua con una cospicua raccolta fotografica di film e spettacoli, materiale epistolare e rassegne stampa delle singole produzioni.
Focus anche sui grandi teatri che hanno ospitato le opere di Zeffirelli: dalla Civic Opera House di Dallas al Metropolitan Opera House di New York, dal la Royal Opera House e l’Old Vic di Londra fino allo Staatsoper di Vienna, passando per la Scala di Milano e l’Arena di Verona. Ingresso a metà prezzo riservato ai possessori di un biglietto delle Frecce con destinazione Firenze in una data antecedente al massimo di tre gior ni da quella della visita. In più, sconto del 10% sugli articoli in vendita nel bookshop della Fondazione. fondazionefrancozeffirelli.com
MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA DI MILANO museoscienza.org
RUBENS A GENOVA
Dal 6 ottobre al 22 gennaio a Palazzo Ducale, Genova palazzoducale.genova.it
NEL TUO TEMPO
Fino al 23 gennaio a Palazzo Strozzi, Firenze palazzostrozzi.org
MUSEO CIVICO GAETANO FILANGIERI
Unico nel suo genere, il Museo civico Gaetano Filangieri ha sede nel quattrocentesco Palazzo Como, rara testimonianza dell’architettura rinascimentale a Napoli. Vi sono esposte circa tremila opere tra dipinti, sculture, armi, porcellane, maioliche, mobili e stoffe, allestite secondo un criterio espositivo tipicamente ottocentesco che teneva in gran conto la relazione tra gli oggetti e i luoghi destinati a contenerli. Ingresso a metà prezzo riservato ai possessori di un biglietto delle Frecce con destinazione Napoli in una data antecedente al massimo di tre giorni da quella della visita. In più, sconto del 20% sugli articoli in vendita al museo a fronte di una spesa minima di 20 euro. filangierimuseo.it
Per
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Classi
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FRECCIABIANCA
Velocità
Classi
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FRECCIABIANCA ETR 460
Velocità
Classi
Presa
Composizione
carrozze
carrozze
carrozze
carrozze
carrozze
SUI BINARI DEL MONFERRATO
IN TRENO STORICO PER SCOPRIRE LE COLLINE PIEMONTESI, CON LE ALPI A FARE DA SFONDO. TRA BORGHI TIPICI, SITI ARCHEOLOGICI E TARTUFI
Parte da Asti per arrivare a Chivasso, nel Torinese, at traversando boschi e colline, con le Alpi a fare da sfondo. È stata riaperta il 2 ottobre – e sarà a disposi zione dei viaggiatori da novembre – la nuova Ferrovia del Basso Monferrato. Una proposta che si aggiunge al già folto patrimonio di linee recuperate a scopo turistico di Fondazione FS Ita liane denominato Binari senza tempo.
La ferrovia fu progettata dall’inge gnere Giacomo Sutter, tra il 1910 ed il 1912, con uno stile architettonico di stampo elvetico, ancora oggi visibile negli edifici delle stazioni. Attraversa un territorio che offre prodotti enoga stronomici eccellenti, tra cui il tartufo, e piatti tipici piemontesi come la fa mosa bagna cauda.
Tra i paesi toccati dal treno storico, meritano una visita il borgo di Monteu
da Po (TO), a poca distanza dall’area archeologica della città romana di Industria, colonia del I sec. a.C. e im portante porto fluviale. A Chivasso desta interesse il monumentale edifi cio all’imbocco del canale Cavour, un corso d’acqua artificiale ottocentesco, progettato per servire le zone coltiva te a riso nel vercellese e nel novarese. fondazionefs.it fondazionefsitaliane
Treno storico Genova Brignole - Ronco Scrivia Treno di Dante e Ferrovia dei parchi. L’Alto Sangro Irpinia express. Il treno del paesaggio Treno storico da Genova Brignole a Rossiglione e Ovada Reggia express Sebino express
Rapido Arlecchino Firenze - Bologna - Venezia Besanino express; Treno del Sacro Monte; Treno natura. Sapori e profumi dei boschi amiatini; Rapido Arlecchino Venezia - Trieste Ferrovia del Centro Italia TrEno. Canelli e le Cattedrali Sotterranee;
Ferrovia
UNA SERA SUL FIUME
Non si può dire di aver vis suto la Torino notturna se non si è cenato nel Quadrilatero romano e non ci si è poi spostati lungo gli argini del Po, in pieno centro cittadino. Radunarsi qui è alla moda, perché fa fresco e perché c’è il fiume, che negli ultimi anni ha recuperato un rapporto con i cittadini.
Dove oggi sorge la città, qualche de
cina di milioni di anni fa le Alpi stava no completando la loro nascita dalle acque di un oceano chiamato Tetide. Una volta finito il cataclisma, enormi quantità di sedimenti cominciarono ad essere smantellati dalle monta gne appena nate e finirono a valle.
Limi, sabbie e ciottoli costituivano un gigantesco bacino che sigillò per sempre i lembi più bassi della catena alpina. Il Po creò poi la sua pianura
alluvionale ancora al di sopra di que sto contesto sepolto. In particolare, Torino è figlia dei suoi fiumi e dei loro sedimenti, tutto materiale geologico che si è originato quando i ghiacci hanno cominciato a fondere e i fiu mi a scorrere con maggiore energia. Ma, ovviamente, nessuno dei ragazzi che fanno serata ai Murazzi ha idea di quale sia l’aspetto naturale del fiume, avendolo visto quasi soltanto in città.
SAPIENS - UN SOLO PIANETA
Dal 15 ottobre torna su Rai3 il programma condotto da Mario Tozzi, con la regia di Luca Lepone, che pone domande sulla natura, la Terra, lo Spazio e il futuro dei Sapiens. Quesiti ai quali, ogni sabato alle 21:45, si prova a dare risposte seguendo il rigore scientifico. raiplay.it
IL SUD
DELL’ANIMA
Ritorno al Sud, come si torna sempre ad amare, torno a te, con il mio desiderio, con la mia paura.
Porto il Sud, come un destino del cuore, vengo dal Sud, come le arie del bandoneon.
Sogno il Sud, immensa luna, il cielo capovolto, cerco il Sud, il tempo aperto e le sue conseguenze.
Amo il Sud, la sua brava gente, la sua dignità, sento il Sud, come il tuo corpo nell’intimità.
Ti amo Sud Sud, ti amo.
Ritorno al Sud, come si torna sempre ad amare, torno a te, con il mio desiderio, con la mia paura.
Amo il Sud, la sua brava gente, la sua dignità, sento il Sud, come il tuo corpo nell’intimità. Ritorno al Sud, porto il Sud, ti amo Sud, ti amo Sud...
Non una poesia, questa volta, ma il testo di una canzone, un tango struggente. L’ar gentino Fernando Ezequiel Solanas, detto Pino, scrisse per il suo film Sur, ambientato alla fine della dittatura, questo brano che fu musicato da Astor Piazzolla e poi cantato da grandi inter preti latino-americani e italiani. Il testo è semplice e si addice a tutti i Sud, anche al nostro, celebrato da poeti e musi canti di ogni tempo. Il Sud, infatti, non è solo un generico e imprecisato luogo – quanti ne esistono anche in Italia – ma una dimensione dell’animo umano. Che sia la fredda Patagonia del film o l’asso lato Salento, le coste sicule o la greca e selvatica Calabria, il Sud è un magnete per l’anima.
E poche cose sono capaci di riattivare la nostalgia per questi luoghi come sa fare il tango, in particolare quello rie laborato di recente dalla tanghera e compositrice Carlotta Santandrea per l’album Ballo lentamente con le tue om bre, con i miei testi.
Lo sapeva Giuseppe Ungaretti: la vita è nostalgia, una meravigliosa pena per tornare da dove siamo venuti. E il Sud a tutti pare indicare uno strano grem bo del mondo, una terra che sfuma in altro Sud e poi in un altro ancora. Vale per tutti i punti cardinali, visti da qualun que posizione. Con ogni loro immagine, come diceva Eugenio Montale, ci por tano «più in là», sempre più a Nord o a Sud, a Est o a Ovest dell’Ovest.
Perché l’anima nomade quaggiù ha no stalgia di qualcosa che non sa. E tutti i poeti cantano il viaggio più a Sud. Lo fecero anche Arthur Rimbaud, Mario Luzi, Pier Paolo Pasolini, Salvatore Toma, Claudia Ruggeri, Lorenzo Calogero, per citarne alcuni tra i moderni e i novecen teschi. E ancora tanti altri, nel Sud d’Ita lia, indicano luoghi ancora più a Sud, che rappresentano un viaggio dell’anima. Penso, tra gli altri, a Nino De Vita, Andrea Galgano, Melania Panico, Vittorino Curci, Anita Piscazzi, Matteo Negro, Giulio Di Dio, Pietro Cagni e Riccardo Emmolo.
PRIMA DI SCENDERE
FOTO DEL MESE
di Irene MarrapodiMilano, anni ‘80. La città è in fermento, al culmine della vitalità. È ricca, ottimista, cuore della produttività italiana. Il fotoreporter britannico Martin Parr, allora poco più che trentenne, la sceglie per uno scatto. I soggetti ritratti non sono però imprenditori dall’aria indaffarata, ma due turisti che si divertono a dar da mangiare ai piccioni che popolano piazza Duomo. Una donna, spaventata dai movimenti improvvisi dell’animale, si ritrae, mentre le mani di una seconda persona si aprono al gioco. Il risultato è una foto in movimento, una scena maldestra e ironica in cui riconoscersi e di cui sorridere.
Lo scatto è parte della mostra L’Italia di Magnum. Da Robert Capa a Paolo Pellegrin, al palazzo Vescovile di Portogruaro (VE) dall’8 ottobre al 5 febbraio, che raccoglie alcune delle più belle immagini realizzate dai talenti della celebre agenzia di fotogiornalismo. Gli ultimi 70 anni del Paese sono così raccontati attraverso oltre cento foto iconiche suddivise per decenni. In grado di fornire, nel brevissimo istante dello scatto, lo spaccato di una realtà sociale complessa e in frenetica evoluzione.
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