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Per non dimenticare

Per non dimenticare di Francesca Gottardi

è nostra corrispondente USA

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“Dio, dove sei?”

Riproponiamo per i lettori di Feltrino News la nostra intervista esclusiva fatta a Benjamin Ferencz, l’ultimo procuratore capo dei processi di Norimberga ancora in vita e pubblicata su Valsugana News. All’età di quasi 100 anni e con la sua testimonianza, ci racconta l’esperienza e i sentimenti vissuti in uno dei periodi più brutti e tristi della nostra storia. Ferencz è considerato uno dei più grandi esperti al mondo sui crimini di guerra e sui diritti civili. E’ stato tra i maggiori promotori della Corte Penale Internazionale.

Mr. Ferencz, Le capita spesso di pensare a ciò che ha vissuto negli anni ‘40? Beh, sì, ne parlo sempre con persone che mi chiamano per interviste, ne parlo alla radio, per televisione, su Skype, su riviste e giornali. È mai stato intervistato da una rivista italiana? No, non di recente. Mr. Ferencz, ci racconti un po’ del Suo background e della Sua storia. I Suoi genitori sono immigrati dalla Romania, erano ebrei e scappavano dalla guerra. Come è stata la Sua infanzia? Sono venuto negli Stati Uniti quando avevo 9 mesi, quindi i miei ricordi della Romania sono inesistenti. Tra l’altro, noi ci consideravamo ungheresi. Le condizioni di vita dopo la prima guerra mondiale erano terribili, sia i rumeni che gli ungheresi erano antisemiti ed all’epoca non vi era impiego per gli ebrei. Quindi ai miei genitori è parsa una buona idea andarsene. Abbiamo viaggiato in terza classe ma solo perché la quarta classe non c’era, altrimenti avremmo viaggiato in quella. Come siete stati accolti negli USA? Le condizioni a New York erano terribili. I miei genitori non avevano soldi, né amici, non conoscevano la lingua, non avevano un lavoro. Mio padre era calzolaio, ma a New York non avevano bisogno di scarpe fatte a mano. Quindi vivevamo in una cantina e mio papà faceva il bidello. Non avevamo molto e non era una bella situazione, ma erano comunque condizioni molto migliori di quelle in cui avevamo vissuto in Romania—o Ungheria. Prima del Suo coinvolgimento nei Processi di Norimberga ha combattuto nell’esercito americano. Nel documentario biografico “Prosecuting Evil” menziona di come era molto determinato ad arruolarsi nell’esercito americano. Perché aveva un desiderio così forte di andare al fronte? Perché non volevo avere la sensazione di

esserne rimasto fuori e di non aver fatto la mia parte in una guerra che stava implicando l’annientamento e la persecuzione del popolo ebraico. Mi sarei sentito molto in colpa se non ne avessi fatto parte. Quindi, feci di tutto per entrare a far parte del corpo aereo dell’esercito, ma incontrai delle difficoltà. Come sai, sono piuttosto basso di statura, quindi mi dissero che non sarei riuscito a raggiungere i pedali [dell’aereo]. Tuttavia, gli ufficiali di rotta mi diedero una chance… E come andò? Non andò molto bene [ride], mi dissero che se mi avessero detto di bombardare Berlino, probabilmente sarei finito a Tokyo ed i paracadutisti militari mi dissero che sarei volato in alto invece di buttarmi in basso. Quindi, è stato difficile per me trovare un posto adatto nell’esercito. Alla fine entrai come soldato semplice nel battaglione di artiglieria antiaerea, di cui non sapevo assolutamente nulla. Lei è stato inoltre uno dei primi americani ad entrare in un campo di concentramento liberato. Si ricorda di quale campo si trattava? Si, era Buchenwald. Qual era il Suo compito una volta entrato nei campi? La prima cosa era non farsi ammazzare dalle SS rimaste nei campi [ride]; in secondo luogo il mio compito era quello di raccogliere le prove dei crimini commessi in modo tale da poter identificare le parti colpevoli e metterle sotto processo. Ciò significava principalmente recarsi all’ufficio di ogni campo ed impadronirsi di tutti i documenti disponibili, che erano molto esaustivi. Pensa che erano completi dei nomi di tutti i detenuti e di tutti gli ufficiali delle SS. Nei campi sono persino riuscito ad ottenere le dichiarazioni giurate di alcuni sopravvissuti che erano ancora nelle condizioni di poter rendere testimonianza. Tutta la documentazione raccolta sarebbe poi diventata la base per i procedimenti giudiziari che seguirono. Cosa si ricorda di quel giorno che entrò in un campo di concentramento per la prima volta? Lo ricordo molto bene, mia cara. Non lo potrò mai dimenticare. Oh, fu un orrore. Un vero orrore! Fu per me difficile accettare che degli esseri umani potessero essere trattati in quel modo da altri esseri umani. Ha scosso la mia fede nel profondo. Mi sono chiesto: “Dio, dov’eri? Dio, dove sei?” Sto ancora aspettando una risposta. Hai dei parenti che sono stati mandati nei campi di concentramento? Sì, tutti i Ferencz. Sia dei parenti da parte di mia madre che di mio padre scomparvero e furono uccisi. Aveva solo 27 anni quando è stato selezionato come procuratore per i processi di Norimberga. Come è stato scelto? Per rispondere a questa domanda ti

Chi è Benjamin Berell Ferencz

Nato in Transilvania, a Großhorn l’11 marzo 1920. A soli 9 mesi, come egli scrive, la sua famiglia dovette emigrare in USA per sfuggire alla persecuzione degli ebrei ungheresi da parte del regime rumeno e ad un clima di progressiva tensione politica. In America studiò alla Harvard Law School dedicandosi anche a particolari temi e ricerche sui crimini di guerra, dove si laureò nel 1943. Si arruolo’ come soldato semplice nel battaglione di artiglieria antiaerea, e dopo fece parte di un qualificato team dedicato ad investigare i crimini di guerra perpretati dai tedeschi sui prigionieri di guerra alleati. Forse è stato proprio per l’esperienza acquisita che fu inviato a svolgere delle indagini nei campi di concentramento subito dopo la liberazione da parte degli alleati. “Fu un lavoro duro, meticoloso, racconta, per ottenere le testimonianze e i documenti d’accusa”. Nel dicembre del 1945 fu congedato, ma dopo qualche mese, vista la sua preparazione specifica, fu richiamato a rivestire il ruolo di procuratore dell’accusa ai processi secondari di Norimberga (cominciarono il 9 dicembre 1946 e si conclusero il 13 aprile 1949), e furono successivi al grande processo, da tutti conosciuto, che vedeva imputati i maggiori criminali di guerra. A capo del gruppo dei legali di tutti questi dodici processi fu nominato il brigadiere generale Telford Taylor. Questi, vista la preparazione di Ferencz, lo nominò procuratore capo nel nono processo, quello alle Einsatzgruppen. Tutti i “suoi” ventidue imputati furono dichiarati colpevoli. A quattordici di essi venne comminata l’esecuzione capitale. Quattro furono effettivamente eseguite. Altri condannati sfuggirono alla pena di morte a seguito dell’amnistia del 1951. Dopo la guerra e dopo i processi si dedicò alla carriera d’avvocato che lasciò per impegnarsi completamente alla promozione della nascita sia di un organismo sovranazionale di giustizia e a temi quali i crimini di guerra contro l’umanità e sia di una Corte penale internazionale. Nel 1975 pubblicò il suo primo libro, Defining International Aggression-The Search for World Peace. Dal 1985 al 1996 fu professore a contratto di diritto internazionale presso la Pace University. Oggi, a quasi cento anni, fortunatamente, è ancora fra noi e ci concede la sua lucida, insostituibile testimonianza.

devo prima dare un po’ di background. A quel tempo ero l’uomo più esperto del mondo su quell’argomento [i crimini di guerra] perché prima di tutto avevo fatto ricerca per un professore della Harvard Law School, Sheldon Glueck, che aveva scritto un libro intitolato “Crimini di guerra”. Avevo letto tutto ciò che era stato scritto sui crimini di guerra fino ad allora, ed avevo preparato dei riassunti per il mio professore. Pertanto, avevo un solido background accademico. In secondo luogo, sono stato il primo ad essere nominato da Washington DC a svolgere il ruolo di investigatore per i crimini di guerra verso il termine della seconda guerra mondiale. Pochi nel settore avevano la benché minima idea di cosa fossero i crimini di guerra e di come trattarli. In quel contesto, ero l’unico esperto in materia. Non solo, ero stato nei campi, avevo contribuito a liberarli, avevo visto le vittime ed arrestato le SS. Nessuno aveva quel tipo di esperienza. Tutto questo all’epoca era già in linea con i Suoi obiettivi professionali? Sì, il mio obiettivo professionale era dedicarmi alla prevenzione del crimine. Mi sono interessato di delinquenza giovanile fin dagli albori ed avevo scritto un articolo in merito quando ancora ero un caporale nell’esercito americano, proprio all’inizio. L’articolo riguardava la riabilitazione dei trasgressori militari, ovvero di quei soldati dell’esercito americano che avevano infranto la legge ed erano in prigione. Quindi si, quello era già il mio obiettivo professionale. Che tipo di prove è riuscito ad ottenere a seguito delle Sue indagini? Ho ottenuto prove esaustive dei crimini commessi, dove venivano specificati il nome dell’unità responsabile, quanti ebrei erano stati uccisi, in quale città, e persino a che ora. In genere questo tipo di documenti venivano firmati dal comandante dell’unità nazista, inviati a Berlino per essere consolidati con simili documenti che pervenivano dalle altre unità e quindi distribuiti alle varie agenzie naziste. Sono riuscito ad ottenere la lista di distribuzione di 99 diverse agenzie del governo nazista. Con quel tipo di prove, mi era chiaro in ragione della mia formazione come criminologo che avevo tra le mani il caso perfetto. Il mio ufficio era a Berlino, comprendeva circa 50 ricercatori, ma a quel punto ho subito preso un volo per Norimberga. Lì incontrai il generale Taylor, che in seguito sarebbe diventato il mio socio legale a New York, ma a quel tempo era il mio capo. Gli proposi di fare un nuovo processo. Mi disse: “Non possiamo, gli avvocati sono già assegnati e il Pentagono non ci darà più l’autorizzazione per ulteriori processi. Non possiamo proprio farlo”. Quale fu la Sua reazione? Mi incuriosii e gli dissi: “Non puoi fargliela fare franca. Ho qui tra le mani i dettagli di un omicidio di massa di proporzioni incredibili. Ho i nomi, ho tutte le prove di cui abbiamo bisogno!”. A quel punto il generale Taylor mi chiese se potevo incaricarmi io del caso, ed io risposi “certo!” Fu così che venni nominato procuratore capo in quello che si è rivelato essere il più grande processo per omicidio della storia umana—e ti dirò che già allora me lo aspettavo lo sarebbe diventato.

Come si è preparato per affrontare i processi? Ho preparato il mio caso in due giorni. Avevo tra le mani documenti contemporanei top secret inviati a Berlino direttamente dal fronte. Avevo gli uomini che li avevano firmati, documentando minuziosamente quante persone erano state uccise, in quale città e perché. Cosa mi serviva di più? Con quelle prove schiaccianti, ero sicuro di poter ottenere una condanna oltre ogni ragionevole dubbio. Ero molto sicuro di me stesso, per via del mio temperamento [ride].

È stato un problema rintracciare e determinare chi sarebbero stati gli imputati? Si, è stato complicato perché erano più di 3000 gli uomini coinvolti nell’incarico di uccidere ogni singolo uomo, donna e bambino ebreo che fossero riusciti a catturare. Pertanto, ho dovuto prendere una decisione su chi portare in tribunale. Volevo arrivare ai responsabili, ai comandanti delle unità che stavano uccidendo tutte queste persone. Nel documentario evidenzia inoltre che molti dei crimini più atroci sono stati commessi da militari di alto rango, in possesso di laurea e dottorato. Uno dei generali più spietati ne aveva addirittura due di dottorati, uno in legge. Questo fa presupporre che fossero delle persone razionali e con senso critico. Come si spiega questo paradosso a Suo parere? La giustificazione primaria che gli imputati adducevano era quella che dovessero obbedire a degli ordini superiori, ma si trattava di una scusa. I militari nazisti avevano il dovere di obbedire solo agli ordini legali a loro impartiti. Impossibile non sapere che sparare a delle persone indifese non sia un ordine legale. E in secondo luogo, credevano che quello fosse il loro compito. Sentivano che era nell’interesse della loro nazione sbarazzarsi di questi parassiti umani e che li dovevano sterminare. Lo hanno fatto perché erano tedeschi patriottici, nazisti patriottici. Pensa che se ne vantavano pure del numero di persone che avevano ucciso. Ha personalmente avvertito antisemitismo nei Suoi confronti durante il Processo? Sì, ma non l’ho preso sul serio. Io ero nelle condizioni di potermi difendere, non mi sono mai considerato una vittima. Le vere vittime erano morte e già sottoterra. La mia motivazione dietro l’assunzione del ruolo che ho avuto nel Processo non derivava dalla percezione di una mia lesione personale in quanto ebreo. Voglio dire, mi sono certamente sentito offeso, ma a nome di tutto il genere umano, non solo a livello personale. Come si spiega il fatto che molti criminali nazisti non si siano mai pentiti delle loro azioni e che anche durante i processi si siano opposti alla loro condanna affermando che avrebbero fatto tutto di nuovo? Beh, non pensavano di essere colpevoli. Non provavano alcun rimpianto. La mia più grande delusione è stata che nessun tedesco in tutto il tempo che sono stato lì sia venuto da me e mi abbia detto: “Mi dispiace per quello che abbiamo fatto.” Nessuno! C’è stato per Lei un momento “topico” durante il Processo? Si. Ricordo che durante il Processo un imputato nazista si rivolse alla Corte dicendo con sarcasmo: “Ma dai, degli ebrei sono stati uccisi? Lo sento ora per la prima volta!”. A quel punto avrei davvero potuto saltargli addosso e puntargli una baionetta alle orecchie, così che potesse sentire chiaramente quante persone erano state uccise dalla sua unità. Quello è stato un momento in cui mi sono arrabbiato durante il Processo. Per il resto del

tempo ho sempre mantenuto la calma. Dopo il processo che Lo ha visto come procuratore capo, tutti i 22 imputati sono stati condannati. Tredici hanno ricevuto la condanna a morte, di cui 4 sono poi state eseguite. Cosa ha provato dopo la condanna, sentiva che giustizia era stata fatta? Pensavo che giustizia fosse stata fatta, ma allo stesso tempo mi rendevo conto che non si poteva veramente mettere sulla stessa bilancia della giustizia un milione di persone assassinate e dall’altra parte la selezione di 22 su 3000 assassini. A quel punto mi sono chiesto: “come posso rendere questo processo importante?” Il pensiero che mi ha guidato è stato il riconoscere che le vittime—uomini, donne e bambini—erano stati assassinati

semplicemente perché non condividevano la stessa razza, la religione e l’ideologia dei loro carnefici. Ritenevo che quella fosse una cosa terribile. Ho quindi pensato che se fossi riuscito ad asserire la superiorità di un principio di legalità che affermasse il diritto di tutti gli esseri umani a vivere in pace e con dignità—indipendentemente dalla loro razza, religione o colore—se fossimo riusciti ad affermare la superiorità di questo principio e dello Stato di diritto, quella sarebbe stata la più importante vittoria. Ha sottolineato questo punto nella Sua dichiarazione di apertura del processo... “Il caso che presentiamo è un appello per rendere il diritto più umano”. È così che ho esordito con la mia arringa. Per me quella era la vera essenza del Processo, un appello che invocasse l’umanità del diritto per proteggere l’umanità tutta da minacce future. La Corte ha accettato ed incluso questa mia richiesta nella sentenza finale. In ogni caso, penso che sia così stata fatta giustizia? Non posso parlare di giustizia. Non c’è stata giustizia. Hanno ucciso milioni di persone! Ancora una volta, per me la cosa più importante era che venisse affermato un principio che permanesse nel tempo, quello della superiorità del diritto, per tutelare le generazioni presenti e future da simili orrori. Come spiega il fatto che dopo la guerra ci siano stati governi - e persino la chiesa - che hanno protetto ex criminali nazisti? Perché persistevano ancora delle notevoli divergenze politiche. Basti pensare che il mio comandante generale - quando la guerra non era ancora finita - fece un discorso a Londra in cui disse che noi (gli Stati Uniti) stavamo combattendo il nemico sbagliato. Disse che avremmo dovuto combattere i russi e non i tedeschi. Io pensai che quella fosse un’affermazione riprovevole in un momento in cui i tedeschi stavano uccidendo i russi come mosche! Per un comandante americano dire che avevamo il nemico sbagliato e che invece avremmo dovuto uccidere i russi...che affermazione vergognosa! Ciò evidenzia come fossero rimaste delle significative divergenze politiche, che permangono ad oggi. Dopo tutto quello che ha vissuto durante la guerra e durante i processi, come è stato tornare alla “vita normale” e lavorare come avvocato negli Stati Uniti? La mia vita non è mai stata normale, mia cara! [Ride]. Il mio operato è tutti i giorni motivato dal trauma che ho vissuto durante la guerra. Ho dedicato tutta la vita a cercare di fermare la guerra, perché la trovo una cosa così stupida, è quasi incredibile! L’attuale sistema è strutturato in modo tale che quando due capi di Stato non sono in grado di mettersi d’accordo, inviano giovani come te ad uccidere altri giovani che nemmeno conoscono. Questo fino a quando non si stancano di uccidersi a vicenda, e poi si riposano per un po’, dichiarano vittoria, e ricominciano da capo. E i soldi che potrebbero usare, e dovrebbero usare, per sostenere le legittime invocazioni d’aiuto di tutte quelle persone che cercano la libertà e lottano per una vita migliore le spendono in più munizioni per uccidere più persone invece di cercare di aiutare quelle in stato di bisogno. Penso che sia pazzesco! C’è chi pensa che io sia un pazzo; ma io penso che i pazzi siano loro. E spero che i giovani come te decidano che non è possibile avere un mondo pacifico in queste condizioni, vale a dire senza cambiare il modo in cui le persone pensino ai propri doveri reciproci in quanto esseri umani. Dopo la guerra, ha svolto un ruolo cruciale nella creazione del Tribunale Penale Internazionale. Pensa che gli Stati Uniti ratificheranno mai lo Statuto di Roma della CPI? No. Non con questo tipo di governo. Gli Stati Uniti si sono sempre opposti al Tribunale Penale Internazionale, perché, e questo è importante, nel sistema legale americano ci sono due grandi partiti [quello democratico e quello repubblicano], che alle elezioni si contendono fino all’ultimo voto per ottenere un vantaggio sul partito rivale. Quindi, [i candidati] devono stare molto attenti nel cercare di ottenere tutti i voti di cui

hanno bisogno perciò evitano questioni di questo tipo, che sono molto critiche. Il risultato è che gli Stati Uniti, leader mondiale nella promozione dei processi di Norimberga, ne hanno tradito lo spirito. Gli Stati Uniti hanno tentato di sabotare la CPI dal giorno in cui è nata, usando argomenti assurdi. Dicono che è una minaccia all’indipendenza americana, alla sovranità degli Stati Uniti. Adducono che il termine “aggressione” non è stato sufficientemente definito nello statuto, e che quindi non si può portare a processo nessuno. Tutte queste argomentazioni sono incorrette. Ho scritto ampiamente su questo tema, ed i miei articoli sono accessibili sul mio sito web [http://www. benferencz.org/]. Quale consiglio si sente di dare alle nuove generazioni? Di non mollare mai! Mai! Il mondo sta andando incontro all’apocalisse. Basti pensare che oggi abbiamo la capacità tecnologica di tagliare la rete elettrica su tutto il pianeta Terra. In altre parole, oggi gli Stati Uniti, la Russia, la Cina—e chissà chi altro— hanno la capacità [tecnologica e militare] di porre fine all’umanità. Il rischio è che la Terra diventi un altro pianeta morto che fluttua nella stratosfera. Questo lo vedo come un rischio attuale. E cosa si può fare per impedirlo? Opporvisi con tutte le forze, passo dopo passo! Non mollare mai! Occorre spingere questo masso su per la collina, a poco a poco finisce per salire. Io questo masso lo ho spinto per tutta la vita—e bada sono alto solo un metro e mezzo—non mi sono mai arreso, e ancora non mi arrendo. Pensa che ancor oggi lavoro molto, la mia scrivania è coperta di documenti, articoli, libri e così via. Ha un consiglio particolare dedicato ai giovani avvocati? Il mio consiglio a voi giovani avvocati è innanzitutto quello di essere preparati, di essere in grado di rispondere con valide argomentazioni. In altre parole, studiate. Usate il vostro giudizio. Naturalmente, se chi mi leggerà ritiene che sia una buona idea uccidere qualcuno solo perché ha un punto di vista politico diverso dal suo, beh, non lo convincerò altrimenti. Ma se invece anche voi la pensate come me, ovvero che tutti noi abbiamo l’obbligo di essere pronti a scendere a compromessi, a capire il punto di vista dell’altra persona, a riconoscere che non è vigliaccheria trovare una soluzione comune ad un problema, beh allora questi sono i valori che dobbiamo imparare ed insegnare ad ogni livello di istruzione: nelle chiese, nelle sinagoghe, nelle scuole, nelle moschee, ovunque! Occorre condannare l’uso della forza militare, il cui uso è illegale stando alla Carta delle Nazioni Unite, secondo la quale le controversie tra Stati vanno risolte solo con mezzi pacifici! Gli avvocati diranno che la Carta non vincola direttamente gli individui… Stupidaggini! La Carta è stata formulata per dar voce a tutte le persone sofferenti del mondo! Certo, queste persone hanno parlato attraverso i loro governi, è vero, ma nulla toglie al principio fondante che le controversie vadano risolte con mezzi pacifici! E ancora questo i governi lo ignorano ed investono i loro soldi nella guerra. E chi ne paga il conto? Tu (le nuove generazioni), non io. In tanti anni di lavoro per la promozione dei diritti umani ha ottenuto molti risultati importanti. Qual è il contributo di cui è più orgoglioso? Ne citerò uno di cui sono proprio orgoglioso. Non ne parlo mai. Sono orgoglioso di aver elaborato un sistema con il governo tedesco, il governo della Germania occidentale, per compensare i sopravvissuti alla persecuzione nazista, sia ebrei che non ebrei. Nella storia umana non era mai successo prima che una nazione sconfitta pagasse un risarcimento individuale ai sopravvissuti. Pensa che quando lasciai la Germania nel 1956 grazie a quel programma avevo già raccolto 50 miliardi di dollari da ridistribuire alle vittime. Abbiamo istituito uffici e messo a disposizione avvocati per aiutare i sopravvissuti ad asserire i loro diritti. Ecco, essere riuscito ad elaborare un sistema di compensazione complesso come quello, in un Paese che era in ginocchio dopo la guerra è stato un bel successo! Questo mi fa guardare indietro e pensare: “Ben fatto Benny!” Mr. Ferencz, a nome mio e della rivista Le sono molto grata per aver condiviso la Sua storia con i lettori italiani in un modo così sincero e toccante. Grazie! Ora tocca a voi portare la torcia!

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