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Ieri avvenne: i martiri giapponesi

Ieri avvenne di Franco Zadra

I martiri giapponesi che ci insegnano il Natale

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Mentre si susseguono le varie ondate di pandemia arriva anche quest'anno Natale portando forse, assieme a una accresciuta incertezza, uno stimolo in più per approfondire il suo significato, se non altro per chiederci che cosa voglia dire per noi il celebrarlo dentro il variare delle circostanze. La festa del Natale è il fare memoria di un fatto unico e irripetibile nella storia umana, Dio che si fa carne, l'incarnazione del Logos di Dio in un uomo che ha promesso di stare sempre con noi fino alla fine dei giorni.

Per questo, non si capisce il Natale se non si guarda alla morte e risurrezione Il 5 febbraio 1597 vennero portati sulla collina di Tateyama per essere crocifissi. Quando videro di Cristo. Non si può gioire del Natale se non si accetta la croce, argomento però divenuto tabù nelle festività natalizie ridotte a sagre sentimentali dal pervasivo risvolto commerciale, dove è quasi obbligatorio sentirsi più buoni, come effettivamente accade ai più. Celebrare il Natale include una prospettiva di eternità che sembra del tutto dimenticata, ma la smemoratezza degli uomini non è mai stata un ostacolo all'irrompere di Dio nella storia, e facciamo ancora esperienza della grande forza di questa profezia: «Il popolo che camminava nelle tenebre, vide una grande luce». Paolo Miki, celebrò il Natale di 525 anni fa in carcere a Osaka, assieme ad altri 25 compagni di fede. La sua storia – rintracciabile facilmente in Rete – ci può aiutare a ritrovare uno spirito natalizio più autentico. Il 5 febbraio 1597 in Giappone sulla collina di Tateyama alle porte di Nagasaki vennero erette 26 croci. Fu la prima esecuzione pubblica da quando lo Shogun Hideyoshi aveva ordinato di perseguitare i cristiani. Fino a quel momento non c'erano stati problemi, il grande gesuita missionario Francesco Saverio era arrivato in Giappone nel 1549, e in pochi anni i cristiani si erano moltiplicati, arrivando fino a 200mila credenti. Ma i “signori” dell'epoca, gli Shogun, si sentivano minacciati, temevano che la nuova religione avrebbe portato a un'invasione del Giappone da parte delle potenze occidentali. Soprattutto per questo iniziarono a perseguitare i cristiani. Paolo Miki era molto conosciuto tra i cristiani giapponesi. Era il primo gesuita giapponese, un grande predicatore, e molti si erano convertiti dopo averlo ascoltato. Fu arrestato a Osaka nel dicembre del 1596. In carcere con lui c'erano altri due gesuiti, sei missionari francescani, e diciassette laici giapponesi, tra cui due ragazzi, Antonio e Ludovico, di 11 e 13 anni. In tutto 26 cristiani. Subirono torture terribili, ma nessuno di loro rinnegò la fede. Furono costretti a camminare per trenta giorni da Osaka a Nagasaki, un tragitto di 800 chilometri nel rigido inverno giapponese. Un viaggio che si trasformò in una grande testimonianza di fede. le croci, su cui erano scritti i loro nomi, si inginocchiarono e le baciarono. Quel luogo viene chiamato “la santa collina”. Paolo Miki parlò un'ultima volta perdonando i suoi persecutori ed esortandoli a convertirsi. «Dichiaro pertanto a voi che non c'è altra via di salvezza se non quella seguita dai cristiani. Io volentieri perdono all'imperatore e a tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano». Morirono tutti lodando Dio fino all'ultimo respiro, e il sangue di questi martiri è diventato il seme di nuovi cristiani. Passarono più di 250 anni prima che dei missionari potessero tornare in Giappone, ma quando tornarono trovarono ad attenderli una fiorente comunità cristiana, i “Kakure kirishitan”, i cristiani nascosti. Avevano conservato la loro fede per oltre due secoli, e finalmente potevano tornare allo scoperto. Paolo Miki e i suoi 25 compagni furono beatificati nel 1627 e canonizzati da Pio IX nel 1862. La messa al bando dei cristiani dal Giappone è stata abolita ufficialmente nel 1873. Papa Francesco che da giovane gesuita desiderava andare in Giappone in missione, durante il viaggio apostolico del 2019 ha potuto finalmente pregare davanti alle reliquie di questi primi martiri giapponesi.

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