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Pianeta donna: fumetti e pubblicità
Pianeta donna di Alice Vettorata
Fumetti e pubblicità
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Se i temi inerenti all’uguaglianza di genere sembrano essere attuali lo dobbiamo unicamente al fatto che, auspicabilmente, la questione inizia ad essere seriamente presa in considerazione per poter apportare delle migliorie. Ciò non toglie che l’argomento sia stato analizzato anche in precedenza. Nel 1986, sollevando la problematica della scarsa rappresentazione femminile in quanto personaggio autonomo e di spessore nell’ambito artistico, la fumettista Alison Bechdel realizzò una vignetta che stilava dei parametri che sarebbero poi confluiti nel test di Bechdel-Wallace. In modo provocatorio la Bechdel sostenne che, in un racconto ben calibrato per quanto riguarda i generi, dovrebbero essere presenti almeno due donne che dialogano tra loro di un argomento che non comprenda un uomo. Un metodo che applicato a prodotti cinematografici, videoludici, letterari e via discorrendo, dovrebbe far comprendere quanto spesso i personaggi femminili siano stati relegati in una posizione secondaria ai fini della trama. Se consideriamo alcuni passi in avanti fatti dai media odierni, ad eccezione di qualche caduta, la problematica viene meno. Circoscrivendo la ricerca alle locandine collocabili tra gli anni Cinquanta e Settanta però il cosiddetto metodo Bechdel-Wallace sarebbe inapplicabile. Mercificazione del corpo femminile, stereotipi e disparità di genere sono tematiche costanti della narrazione appartenente al periodo menzionato. Le donne sono una figura ricorrente spesso sfruttata ai fini della vendita di qualsiasi tipologia di prodotto, questo allora come oggi. Il metodo in parte è fortunatamente mutato. Tra gli esempi più noti si inserisce una locandina risalente al 1953 la quale invita all’acquisto di un marchio di ketchup. Gli unici elementi illustrati sono il volto di una donna che, in modo sorpreso interroga l’ipotetico interlocutore con: “Intendi dire che una donna può aprirla?” riferendosi a una bottiglia con un’innovativa apertura facilitata contenente il prodotto. Il termine “donna” viene graficamente sottolineato, per enfatizzare l’assurdità, per i pubblicisti, del concetto. Rimanendo nell’ambito della denigrazione delle capacità delle mogli, dato che questo sembra essere il maggior ruolo delle donne presenti nelle pubblicità, troviamo anche una coppia in procinto di cenare, nei pressi di una tavola imbandita. L’uomo appena rientrato in casa, con indosso un completo elegante da lavoro, rassicura la moglie in lacrime per aver carbonizzato la cena, dicendole che almeno la birra non è stata bruciata. Ulteriore normalizzazione dell’uomo lavoratore che dopo un’estenuante giornata torna a casa dalla donna angelo del focolare, un po’ sbadato, che gli fa trovare la cena pronta. A meno che non la bruci. Se in queste circostanze si è fatta leva sulla presunta divergenza tra la forza fisica e intelligenza tra i due sessi, attuando così una violenza di tipo verbale, in altre subentra a gamba tesa il tema della violenza fisica, legittimata da una concezione della predominanza maschile sulla donna. Anche in questo frangente gli esempi sono tragicamente numerosi. Nel 1970 alcuni addetti alla pubblicità del marchio di pantaloni da uomo Mr Leggs realizzarono una serie di locandine la quale puntava sull’attirare l’attenzione del possibile cliente tramite questa tecnica. In una versione, recitante “It’s nice to have a girl around the house” (è bello avere una ragazza in giro per casa) vediamo una donna utilizzata come un
tappeto di pelliccia sopra il quale un uomo sfoggia il suo taglio di pantaloni, imponendo la sua supremazia calpestandola. Letteralmente. Una seconda proposta pubblicitaria dello stesso marchio presenta l’ormai nota inquadratura dell’uomo che indossa i pantaloni Mr Leggs in posa dopo aver sotterrato una ragazza nella sabbia, della quale è visibile soltanto la testa. Il trafiletto che giustifica il gesto sostiene che è stato un provvedimento necessario, dal momento in cui da quando lui indossa questo tipo di indumento la donna lo ricopre di attenzioni in modo ossessivo. L’apice della violenza si sfiora con un marchio di caffè, che pubblicizzando la possibilità di gustare il suo prodotto prima di effettuarne l’acquisto suggerisce di picchiare la moglie nel caso in cui quest’ultima si ostini a comprarne un altro. Con questi esempi è stata solo raschiata la superficie di un immenso mondo di messaggi misogini propinati. Quelle menzionate sono alcune delle pubblicità che l’artista Eli Rezkallah ha analizzato e stravolto nel suo progetto “In a parallel universe”, una serie di scatti che ne ricreano le scene invertendone i ruoli. Donne in carriera che rimproverano e deridono i mariti sono il mondo parallelo che non ci è stato possibile vedere fino ad ora. Una reazione provocatoria che dovrebbe far riflettere sull’uguaglianza e rispetto mancanti, in parte, ancora oggi.