Feltrino News n. 12/2022 Dicembre

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Periodico GRATUITO di Informazione, Cultura, Turismo, Attualità, Tradizioni, Storia, Arte ANNO 3°N° 12Dicembre 2022Supplemento al periodico Valsugana Newswww.feltrinonews.com

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Arrivederci al 2023 di Armando

Munaò

TANTI CARI AUGURI DI BUONE E LIETE FESTE

Care lettrici, cari lettori e cari inserzionisti, con questo numero di Feltrino News, siamo giunti alla fine del 2022 che per il giornale significa il terzo anno di vita. Tre anni, per noi, forieri di vere ed autentiche soddisfazioni il cui merito, permet tetemi di sottolinearlo, è stato principalmente Vostro.

Sin dal primo numero, infatti, ci avete seguiti, dapprima con curiosità, e poi, vogliamo e ci piace crederlo, con grande interesse supportando la nostra iniziativa, sia gratificandoci per i gli articoli del giornale sia soste nendoci con le vostre inserzioni e contribuendo, di fatto, a far crescere e migliorare, nei contenuti e nella grafica il nostro periodico. E di questo noi tutti, redazione, collaboratori e addetti, ancora una volta, Vi ringraziamo. E un sentito ringraziamento, permettetemi di farlo, a tutte le aziende, negozi e ditte che mensilmente ci hanno consentito il posizionamento del nostro giornale affinchè i lettori potessero prelevarlo.

Come potete ben vedere, all’interno di questo numero, oltre alle pagine d’informazione, troverete un insieme di articoli, curiosità e notizie varie, dedicate alle prossime festività e che hanno come soggetto il tema del Natale, per tutti noi la festa più bella e più sentita dell’anno.

Tematiche che spaziano in una particolare informazione che mette in luce non solo argomenti legati a questo particolare periodo dell’anno, ma anche molti di quei personaggi, reali o creati dalla nostra fantasia, che ci auguriamo, possano esse re per Voi di grande interesse e in grado di coinvolgerVi in una piacevole e quanto mai rilassante lettura. Articoli pensati anche per i più piccini, per i Vostri cari , che avranno così modo, attraverso le vostre parole, di conoscere Babbo Natale, La Befana, San Nicola, Santa Lucia e tutto ciò, che da millenni, fa parte della nostra quotidianità e della nostra storia “natalizia”.

In chiusura, insieme a tutta la redazione di FELTRINO NEWS e ai collaboratori , permettetemi di porgere a Voi e alle Vostre famiglie i migliori AUGURI DI BUON NATALE E FELICISSIMO ANNO NUOVO, con la speranza che il 2023 sia per tutti Voi un anno gioioso e pieno di serena felicità.

Sommario

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Prof. Armando Munaò - 333 2815103 direttore.feltrinonews@gmail.com

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L’editoriale , a tutti Voi tanti AUGURI 3

Sommario 5

La politica in controluce: Giorgia Meloni, Biancaneve 7

Una società mentalmente disturbata 8

La Sinistra che deve fare la Destra 10

La festa di Natale, tra storia e leggenda 12

Intervista impossibile a Babbo Natale 15

L’amicizia intergenerazionale 21

I grandi artisti: Tiziano del Cadore 22

L’albero di Natale e le sue origini 25

La vera storia di Babbo Natale 27

Società oggi: un caso di razzismo 29

Tesori d’Arte del bellunese 30

Natale con i tuoi, ma ama anche gli altri 33

La casa di Maria di Loreto 34

Un posto in prima fila per la fine del mondo 37 Santa Lucia, la più amata dai bambini 39

In filigrana: il liceo senza voti 40

Irlanda: al via i mercatini di Natale 43

La Biennale d’Arte di Venezia 44

Il presepe, tra storia e significato 46 Società oggi: la festa dell’albero 48

Il vischio, portafortuna di Capodanno 51

La natività nell’Arte: la magia del presepe 52 Quando arriva la castità 54

Cento anni fa la tregua di Natale 56

Santa Madre Teresa di Calcutta 59

SPECIALE CESIOMAGGIORE

Arte e tradizione 65

Il patrimonio naturalistico e artistico 66

La Pro Loco Soranzen 68

La Pro Loco Busche 70

In bicicletta al museo 73

Il Gruppo Folkloristico di Cesiomaggiore 74

La moda in controluce 76

Racconti d’Arte: un vuoto di gatti e di topi 78

La cornamusa: viaggio nella storia e nella diffusione 81

Pianeta donna: fumetti e pubblicità 84

La guerra e noi: i figli del nemico 86

Il Solstizio d’inverno 88

Storie di guerra: l’ultimo miglio 90

Lettera al direttore: la mia emigrazione 9 4

Medicina & Salute: l’influenza 96

Medicina & Salute: la celiachia 98

Medicina & Salute: acquisti farmaci online 100

Medicina & Salute: i pesci dottori 103

Medicina & Salute: freddo e gelo i nostri veri nemici 104

Medicina & Salute: anoressia e bulimia 106

Medicina & Salute: la fatica di essere mamma 108

Medicina & Salute: OneDent3.0: sedazione cosciente 110

I nostri piccoli amici 111

A.E.C.I – Usura e anatocismo 112

Lettera al direttore: scuola, alunni e insegnanti 114

Il tagliando e la revisione dell’auto 116

LA PAROLA AI LETTORI COMUNICATO DI REDAZIONE

Chi fosse interessato alla pubblicazione di uno scritto o un articolo riguardante una opinione per sonale, un fatto storico, di cronaca o di un qualsiasi avvenimento, può farlo indirizzando una email a: direttore.feltrinonews@gmail.com. Il testo, di massimo 3.500 battute, dovrà necessariamente contenere nome e cognome dell’articolista l’indirizzo di residenza e un recapito telefonico per la verifica. Il direttore si riserva la facoltà della non pubblicazione in caso l’articolo non dovesse rispettare l’etica giornalistica o d’informazione.

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Speciale Comuni CESIOMAGGIORE Pagina 65 Dicembre 2022 La politica in controluce GIORGIA MELONI Pagina 7 L’intervista impossibile BABBO NATALE Pagina 15
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La politica in controluce di Laura Mansini

Il presidente Giorgia LA MELA DI BIANCANEVE

Il 25 Ottobre 2022 è diventata Presi dente del Consiglio Italiano l'Onore vole Giorgia Meloni. Un evento che ha sconvolto l'opinione pubblica internazio nale, e naturalmente, soprattutto quella italiana, che ha visto “rompere il tetto di cristallo", da una donna della Destra, di destra - centro. Devo dire che è stata brava, davvero brava ad imporsi all'interno di partiti notoriamente maschilisti, mentre la nostra Sinistra, alla quale vanno ascritte impor tanti battaglie per i diritti sociali, antifa scista, democratica, non è riuscita mai a trovare la forza di guardare alle donne , grandi compagne di battaglie civili, come possibili Presidenti del Consiglio e tanto meno di Presidenti della Repubblica. Giorgia Meloni ha davvero un'altra storia, si è imposta con la sua forza e la voglia di riscatto sociale. Nata nel 1977 alla Garba tella, un quartiere periferico di Roma, è davvero molto preparata e quando l'ho ascoltata durante il suo discorso di inse diamento sono rimasta sorpresa. Sono stata per trent'anni critico teatrale e ho insegnato quest'arte ch'è fatta di oratoria, come raccontano i classici greci e romani, di impostazione della voce, di prossemi ca, linguaggio del corpo. È stata quasi perfetta, qualche cedimento al romanesco, un “ qui famo le tre”, come ci raccontano i colleghi che c'erano, rubato dai microfoni, un'occhiata di trop po, qualche mezzo sorriso. Un leggero cedimento ironico con Conte. Per il resto chapeau! Da donna a Presidente, compli menti!

Lei, una giovane donna, piccola, fragile, bionda, in mezzo a maschi Alfa come Salvini e Berlusconi ha vinto. Ben impo stata la voce, con i giusti toni, le pause

ad effetto, i momenti di storia personale intensi, coinvolgenti, per 70 minuti mi ha affascinato. Lo ha fatto subito iniziando a ringraziare grandi figure femminili del pas sato e del presente come Tina Anselmi, Nilde Iotti, Samantha Cristoforetti elen candole esclusivamente con i loro nomi. Parlando del suo rapporto con la politica, nato in seguito alla notizia dell'uccisione da parte della mafia di Paolo Borsellino, quindi giù duri con la malavita organizza ta. Rassicurato il ceto medio, rintuzzato ogni sospetto su aumenti delle tasse; tranquillizzati i più deboli con l'apertura alla mobilità sociale, largo ai meriti quelli acquisiti a scuola e non per conoscenze, porti sicuri anche se non inaccessibili. Un panettone di Natale costruito con determinazione, applicazione ed intelli

genza. Insomma un percorso “coerente” come dicono i suo ammiratori e fra loro quei maschi alfa che ho visto spesso sogghigna re, anche nella mia esperienza di Sindaco pensando “mandiamola avanti” che poi... E poi nulla, poi scoprono che esiste la donna Alfa che non ha etichette ideologi che e se le ha sono solo sovrastrutture. La donna alfa è in competizione costruttiva con chi, di qualunque genere, la ostacola e, a chi si crede più forte, serve la famosa mela di Biancaneve. Bella fuori ma dentro non ha miele, bensì fiele. Gli uomini sono avvisati, loro, la nostra "metà del cielo", devono collaborare per il bene comune.

Chi forse aveva in mente di usare il sesso debole ha già mangiato una parte della mela di Biancaneve.

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A parere mio di Arnaldo De

Porti

Una società mentalmente disturbata che dovrà guarire... ed il recente G20 servirà

tutto ciò, purtroppo, ci sia la possibilità di un rimedio da parte di tanta gente giovane, generosa, intelligente che inonda le piazze per dire no a tanta barbarie. Ora è il periodo, apparentemente positi vo, delle…negoziazioni, ma col bilancino del farmacista: CINA ed USA in Indonesia si stringono la mano con…lapalissiana cautela, mentre la Russia (che ha già perso storicamente e fors’anche materialmente sul campo) vuol etichettarsi il podio della vittoria tanto che le controparti stanno studiando uno strumento ipocrita per dare un “contentino” a Putin affinché non…ammazzi ulteriormente.

Capita a tutti di osservare la gente quando cammina per strada, quando guida l’automobile, quando approccia le istituzioni dalle più importanti all’ultimo ufficio di campa gna, e non può sfuggire, anche al di là degli effetti post-pandemia, che non c’è più voglia di ridere, di scherzare, di scambiare amichevolmente quattro chiacchiere come si usava fare una volta, tanto che la cosiddetta socializzazione, sembra essersi trasformata in una sorta di “pourparler” sul…niente, realtà che, alla fin fine, si traduce in piccoli scontri locali per poi trasformarsi in guerre collettive: la disgregazione sociale che ogni giorno sta acuendosi in ogni parte del pianeta che altro è se non la somma di piccole conflittualità ? Basta infatti, su larga scala, un nonnulla di un pazzo (e di questi ce ne sono tanti al mondo, soprattutto agli apici dei governi !!!) per scatenare una guerra che il buon senso in capo a tante persone oneste e per bene respingono, impotenti. Come ho detto molte volte da persona dal dna ottimista, mi pare difficile solo immaginare che le cose possano cambia

re velocemente in quanto, giorno dopo giorno, l’uomo si sta scostando dai suoi bioritmi naturali per stare al passo con un progresso che, se da un lato è più che positivo, dall’altro confligge in maniera grave con la stessa natura umana, con le sue aspettative fatte di gioie e do lori, di amore, di mutualità sociale e quant’altro.

Ma ci rendiamo conto che oggi, per colpa di alcuni pazzi, stiamo correndo il rischio di far scoppiare una guerra da combattere non già con la cerbottana o le fionde, ma con la bomba atomica ? Purtroppo anche in Italia, col con corso di certa stampa “monnezza” e di certi politici “spazzatura”, oggi si sta contribuendo allo sfacelo sociale generale per colpa di personaggi che, per il potere, non badano ad uccidere ogni giorno, seminando odio, raccontando balle, dando da intendere che la neve è di color nero, infischiandosene delle nuove generazioni, dei nostri figli, dei nostri nipoti, senza che a

I dubbi sono tanti sull’esito di questa ipocrita operazione a cui, per “metabo lizzando convenienza”, dovremo (meglio dire dovremmo) soggiacere ad evitare il peggio, sono tanti.

Purtroppo, non vedo troppo chiaro al

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riguardo, anche se, alla mia età, dovrei seminare ottimismo.“L’uomo sta diventan do pazzo ?”, scrivevo qualche anno fa in un grosso libro a titolo “Caro Direttore, virgola…” e, magari , come mi piace spesso ricordare, dovremo ammettere quanto scriveva anche un famoso filosofo austriaco, Rudolf Steiner, e cioè che l’uomo sconfiggerà sì il cancro, ma non saprà esimersi fra non molto dalla pazzia collettiva “.

A questo punto, mi sento di ipotizzare un disegno sul come andranno a finire le cose di cui l’Ucraina ora è diventata un forte pretesto fra paesi liberi e non. Ecco il mio pensiero.

Il termine “guerra fredda” dei decenni scorsi subirà infatti una modifica in “equilibrio della speranza” nell’interesse del quale USA e CINA avranno tutta la convenienza a gestirlo senza troppi scossoni, anche mettendo, non troppo visibilmente, in sott’ordine la RUSSIA

che, a mio avviso, non avrà vita facile nel prossimo futuro tanto da presagire un suo cambio di rotta dopo la chiamata da parte del…Padreterno degli “zar” e del loro entourage oligarchico, mentre la CINA, che non è mai stata guerrafondaia e che, non avendo altra via d’uscita rispetto ad un necessario e voluto clima di libertà futuro (esatta mente come insegna la storia), dovrà giocoforza allentare la morsa del potere assoluto con lo stesso metro con cui Gorbaciov aveva cercato di operare una trasformazione per la Russia.

Del resto, il capo della Cina, dai tratti somatici abbastanza accettabili, non ha certo l’aspetto inquietante dell’ ex capo del Kgb… e, soprattutto, non è certamente pazzo come certi altri. Una soluzione, vedrete, sarà trovata anche per Taiwan proprio in funzione di detto allentamento e, non certo, emu lando i metodi putiniani per l’Ucraina:

ciò, non converrebbe a nessuno, specie dopo l’esperienza bellica ancora in atto, voluta da un vero guerrafondaio, anche per natura professionale da etichettare anagraficamente anche sul suo documen to di identità.

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A parere mio

Democrazia e partiti di Cesare Scotoni

LA SINISTRA CHE DEVE FARE LA DESTRA

L’altro, su cui invece mi sof fermerò, trova la sua radice nel modo nuovo in cui venne a declinarsi in Italia il Progres sismo di Sinistra dopo che, con Tony Blair nel Regno Unito prima e con Gerhard Schröder in Germania poi, la rinuncia da parte di quella Si nistra Europea che si preten deva globale dell’ambizione a “superare” il Capitalismo ed a rifugiarsi in un più prag matico e forse profittevole Riformismo. Delegando così una volta di più alla Chiesa Cattolica di Roma la pretesa di portare un messaggio che fosse rivoluzionario ed universale.

Costituzione, una deindustrializzazio ne del Paese costruita nella convinzio ne che la gestione del tempo libero e l’erogazione di sussidi fossero il fine delle politiche sociali, la demolizione di un sistema scolastico e formativo che in passato aveva permesso al Paese di competere con successo sui Mercati Internazionali con un 60% di (buoni) diplomati ed infine il ritorno in campo dei Socialdemocratici con il duo Renzi & Calenda, che in quel PD han costruito tutto il loro percorso e a cui non lesinano i consigli.

Sui giornali, in occasione della vittoria del Centro Destra alle Politiche di fine settembre ed a seguito dell’ampia fiducia avuta dal nuovo governo il 26 ottobre scorso, due temi di Politica sono ora pre ponderanti in un dibattito politico altrimenti animato un protagonismo assolutamente modesto e fine a sé stesso e, come sempre, da troppi “benaltrismi”.

Uno è quello della ripresa del cam mino delle riforme sulle deleghe ai territori previste al Titolo V della Costituzione che, grazie alla presenza nel Governo di un senatore Calderoli circondato da stima unanime, potreb be andare oltre lo strappo creatosi con la approvazione a maggioranza della legge costituzionale n° 3 il 18 ottobre 2001...

In Italia, tramontate il 24 mar zo 1999 in Kosovo le residue ambizioni dell’Ulivo pro diano, nato poi nel 2007 al Lingotto di Torino, sim bolo del Capitalismo Industriale Italiano, il PD del “ma anche” di Valter Veltroni per “Riunire l'Italia, farla sentire di nuovo una grande nazione, cosciente e orgogliosa di sé”, come dice anche oggi Gior gia Meloni che a quel PD oggi si contrappone con successo, con la vittoria di Renzi alle Primarie del dicembre 2013 e quelle promes se di rottamazione si aprì quel Congresso Permanente che forse si concluderà nel 2023 o forse no. Nel frattempo un PD che ha fatto delle divisioni la sua cifra distintiva ci ha regalato l’ingresso nel PSE, la scommessa perduta di fare dei Diritti Individuali lo sfondo pro gressista per l’abbandono di quei Diritti Sociali su cui si fonda la

Eppure l’autocastrante rinuncia ad elaborare e conseguire un qualche percorso per il superamento di quel Capitalismo Anglosassone che nel frat tempo ha sconfitto quel Capitalismo Mercantilistico Renano e si appresta allo scontro con il Comunismo Cinese, la passione per il dire delle belle cose anziché far delle cose giuste, l’ambi zione a piacere alla gente che piace

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anziché di inseguire e servire i bisogni di chi poi quelli scontri tra sistemi ideologici ed economici li paga sulla pelle, sembrano essere ormai una condizione ineludibile di quella Sini stra destinata a vincere solo facendosi

Destra, forte della forza delle Istitu zioni piuttosto che del consenso delle classi popolari. Una “Sinistra Sinda cale” che in una fase postindustriale trova il suo bacino in quei pensionati che del Progresso sono oggettiva mente l’antitesi, il continuo confonde re i Diritti Individuali con i Diritti Civili per non impegnarsi sui Diritti Sociali che lo Stato dovrebbe garantire, farlo nella finzione che il costo dello Stato sia un costo sociale anziché un elemento di una più ampia dinamica redistributiva, il pretendere che le logiche della “Borghesia Compassio nevole”, poi sconfitta sulla ghigliottina da Robespierre, possano avere una loro attualità nella postmodernità re legano quella Sinistra “quasi riformata” a rifugiarsi nella Nostalgia. E costringe il Popolarismo Cattolico a riprendere il tema del Progresso Sociale. Con modestia di ambizioni

e disponibilità al confronto. Con la Capacità di immaginare quel Futuro che in tanti speriamo trovi nel Capita le uno Strumento e non un Padrone. Padrone cui altri si son piegati senza fatica.

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Natale per noi di Waimer Perinelli

LA FESTA DI NATALE TRA STORIA E LEGGENDA

Quanto sono importanti le cattive compagnie nell'ap prendere i segreti della vita? Molto ! E non parlo solo di quando ti raccontano la verità sulla nascita dei bambini, ma anche delle cose più semplici come il Natale. Ero in prima elementare quando credevo che Gesù fosse nato il 25 dicembre, in una stalla al freddo e gelo. Questo mi aveva inse gnato mia madre e mi aveva conferma to il parroco. Abitando nel nord Italia e vedendo le montagne bianche non ho mai dubitato della neve e del freddo che circondavano stalla e mangiatoia di Betlemme. Questa è stata la prima certezza a vacillare perché la maestra, che pure era una suora, ci raccontò di come fosse bella la Palestina, calda e luminosa.

Mi consolo oggi pensando che, nel convenzionale anno zero che divide il

prima dal dopo Cristo, l'inverno dev'es sere stata una stagione particolarmente fredda anche per i monti della Giudea, le cui vette non superano i mille metri di altitudine. In questa fede mi confor tò il catechista. Ma il cattivo compagno era in agguato e l'amico un po' più grande del liceo, nato proprio il 25 dicembre, aveva approfondito la cosa affermando che in realtà quel giorno era dedicato dai romani al Sole Invictus. Nulla di male se non che, in seguito a diverse congetture, l'amico insinuava il sospetto che la sovrapposizione fosse un' operazione della Chiesa ideata per far dimenticare la festa pagana. L'idea reggeva ma, potendo affidarmi personalmente alla ricerca e appro fondendo le informazioni, scoprii che non c'era una reale sovrapposizione, inoltre nei giorni del solstizio d'inverno, i romani celebravano i saturnali, riti di

ringraziamento e propiziatori per l'agricoltura. Infine fattore decisivo fu che la Chiesa in realtà non aveva pun to gradito la sovrapposizione della giornata ma l'aveva dovuta sopporta re perché nel 200 d.c. il giorno della Dies Natalis Solis Invictus, la festa introdotta dall'imperatore Eliogabalo (218-2022) ufficializzata da Aureliano nel 274, era troppo famosa e apprez zata per essere contrastata Come dicevano gli antichi romani: se un nemico non puoi sconfiggerlo, al leati. La filosofia ci insegna poi quan to sia relativa la stessa concezione del tempo e la questione ha perso importanza. La sociologia ci conferma infine che l'uomo per affrontare le difficoltà della vita necessita di alcune feste convenzionali: il Carnevale, le sagre di paese, le ricorrenze sacre. A volte non è sufficiente e allora nasco no le favole e leggende.

Una di queste, la più nota e diffusa, viene dal Nord dalle terre ricche di abeti e neve. Parlo della leggenda di Babbo Natale. Con le sue renne e la slitta colma di doni. Come faccia con quel trippone che si ritrova a passare per i camini per depositare i doni sotto l'albero di Natale è un vero mistero. A parte il fatto che oggi fatica a trovare pure i camini. Babbo Natale non è l'unica leggenda. Anzi fior di scrittori si sono cimentati nell'ideare favole per grandi e piccini.

Fra loro merita un posto in prima fila il grande Charles Dickens con il suo “Libri di Natale” una collezione di racconti fra i quali primeggia “ Il canto di Natale “, scritto nel 1843. La favola è molto conosciuta anche perché se n'è occu

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Natale per noi

pato Walt Disney con un bellissimo e commovente cortometraggio di animazione uscito nel 1983, nel quale c'era Topolino nei panni del povero impiegato Bob Cratchit e Paperon de' Paperoni, già avaro di suo, nelle vesti dello strozzino Ebenezer Scrooge dal cuore di ghiaccio. La fiaba è nota: lo Spirito del Natale riuscirà a con vertire il tirchio affarista che compirà il bellissimo gesto di aiutare il suo maltrattato dipendente a curare il figlio. Sulla festività si è cimentato anche Carlo Collodi.

Lo scrittore, che ha ideato Pinocchio, ha scritto il racconto La Festa di Nata le nel quale i protagonisti sono due fratellini e la loro sorella. I ragazzini, centesimo su centesimo, riempiono i rispettivi salvadanaio che sono autoriz zati a svuotare il giorno di Natale. Per tutto l'anno i bambini pensano a come utilizzare le poche lire accumulate.

Ognuno di loro possiede un gioco e lo vuole arricchire: la bimba vuole comperare nuovi abiti per la bambola, e i fratelli dotare di orpelli vari un cavallo di legno ed altro. Nel giorno di Natale la ma dre scopre che due di loro hanno realizzato il sogno mentre il terzo ha preferito donare la somma, modesta ma importante, ad una fami glia povera. Il suo sacrificio, svelato dalla beneficiata, sarà ricompensato dall'af fetto materno. Morale della favola il Natale è il giorno adatto a fare qualcosa di buono, di essere generosi, di occuparci maggiormen te di chi ci vive accanto.

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L'intervista impossibile di Adelina Valcanover BABBO NATALE

Babbo Natale è una figura presente in molte culture che distribuisce i doni ai bambini, di solito la sera della vigilia di Natale. Babbo Natale è un elemento importante della tradizione natalizia del la civiltà occidentale, oltre che in America Latina, in Giappone ed in altre parti dell'Asia orientale. Tutte le versioni del Babbo Natale moderno, chiamato Santa Claus nei paesi anglofoni, derivano principalmente dallo stesso personaggio storico: San Nicola, vescovo di Myra (oggi Demre, città situata nell'odierna Turchia), di cui per esempio si racconta che ritrovò e riportò in vita cinque fan ciulli, rapiti ed uccisi da un oste, e che per questo era considerato il Protettore dei bimbi. L'appellativo Santa Claus deriva da Sinterklaas, nome olandese di San Nicola.

Oh-oh-oh, Oh-oh-oh Toh, un babbo natale! Ma certo, siamo ormai a dicembre.

No, Adelina, non un babbo natale, ma IL BABBO NATALE!

Un momento, prima di tutto babbo natale è una figura inventata di sana pianta e in questo periodo se ne vedono in giro a bizzeffe.

Oh-oh-oh! Senti, senti la saputella! Io sono l’originale. Da brava, guardami, e cerca di ricordare. Io sono Babbo Natale, dovresti riconoscermi.

Non si offenda caro signore, ma per mettersi un vestito rosso bordato di pelliccetta bianca… insomma un tra vestimento facile, non significa nulla, insomma come si dice: l’abito non fa il monaco.

Oh, che sorpresa! Ho trovato la scettica blu! E invece sono proprio io e sono qui per farmi intervistare da te. Non dirmi che rifiuti.

Mah, non saprei. Sa intervistare Babbo Natale mi fa un po’ sorridere. Visto che ami citare proverbi eccotene servito uno che mi pare proprio adatto a te: Gente allegra il ciel l’aiuta. Suvvia, animo! Sono sicuro che se ti impegni ce la puoi fare.

Certo, certo, se mi impegno ricevo il regalo? Ma io non ho scritto la famosa letterina. Mai scritta. Neanche a Santa

Lucia.

Lascia perdere la concorrenza, per ora. Parliamo di me. Anzi, so che di solito lo fai con tutti coloro che intervisti, diamoci pure del tu.

D’accordo, chissà che non esca qualcosa di curioso. Comincio con una domanda semplice: da dove vieni?

Ho tre siti ufficiali, uno a Rova niemi in Finlandia, che si trova nel Circolo polare; a Tomteland in Svezia e a Drøbak sul fiordo di Oslo. Però basta scrivere a: Bab bo Natale, Polo Nord e le poste di tutto il mondo inoltrano. Poi ce ne sono altri naturalmente; anche Santa Claus… Ma da noi Santa Claus è il 6 dicembre! Qui le date non collimano.

Sta buonina, cara. Mi hanno identificato con lui, ma io poi sono diventato io, come dire. Insomma non confondiamoci. Lo sapevi che nel Medioevo la settimana fra Natale e Capo danno era dedicata alle “feste dei folli”. Da lì sono nate molte tradizioni, come quelle della Stella, per esempio, per ricordare la nascita del Salvatore. Insomma per dirtela in breve questa festa si evolve in vari modi e non solo religiosi.

Mi pare che tu abbia molte provenienze e patrie. E che, ora come ora, sei passa to attraverso molte sovrapposizioni di personaggi.

Su questo hai ragione, per essere una che non si interessa di me ne sai parecchio. Oh-oh-oh! Sì, dai genietti dei miti nordici a un paio di santi cristiani… Ma è logico be nedetta Adelina! Del resto io ho antenati in tutta la Scandinavia!

Parlami di questi antenati, sono proprio

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curiosa.

I tomten (Svezia) i nissen (Norvegia) e Joulupukki (Finlandia) per esempio i primi sono folletti della mitologia vichinga che tradizionalmente vivono sotto le abitazioni degli umani e si nutrono dei loro avanzi. Lo sapevi che nelle campagne dei Paesi scandinavi, ogni giovedì sera i bambini mettono fuori dalla porta i resti della cena? E i folletti in inverno ricambiano la cortesia portando loro dei regali? Che idea simpatica! E Joulopukki? Raccontami.

Naturalmente porta doni anche lei, se condo un’antichissima leggenda lappone vivrebbe in un posto particolare un altura, chiamata Korvatunturi, un’altura a forma di orecchio, vicinissima al confine russo. Ah, dimenticavo, è una capra.

Ma i portatori di doni che ti hanno pre ceduto della tradizione cristiana?

San Basilio, di provenienza slava e san Nicola del mondo germanico. Va detto però che il primo non girava per le case a Natale, ma a Capodanno e ancora adesso

il secondo porta doni il 6 dicembre, e gira vestito da vescovo...

Infatti quel santo, in vita, era il vescovo di Mira in Turchia…

Da brava, non interrompermi, che se poi perdo il filo non posso dirti tutto quanto.

Dicevo che gira vestito da vescovo ac compagnato in compagnia di un diavolo (Krampus). Ovviamente come puoi ben capire sono figure ben diverse dei folletti e la capra nordici.

Va bene, ma dimmi, dove è nato ve ramente quello che definiamo adesso Babbo Natale?

In America a inizio 800, pensa che una traccia certa si trova in una poesia pubbli cata un giornale (Sentinel) dedicata a Santa Claus che somigliava molto a un nissen e che viaggiava su una slitta tirata da renne.

Ti viene in mente qualcosa? Ma il tuo costume rosso? Da dove viene?

Ferma lì, fammi spiegare… bambina! Dun que dicevo, nel 1875, una pittrice svedese, dipinse delle cartoline augurali con le immagini di un Babbo Natale moderno,

ma vestito di verde!

Oh-oh-oh! Stavolta lo dico io, ma quello rosso?

Non darmi la baia e ascolta. Fu nel 1930 opera di un illustratore americano, a codi ficare il costume così come mi vedi. Rosso, perché il committente del ‘ritratto’ era la Coca-Cola e usò i colori delle lattine che conteneva la bibita. A dirtela tutta, a me piace moltissimo. Adoro il rosso!

Pure io! Naturalmente evidentemente piace un po’ a tutti. Hanno scritto, fatto film con te come protagonista, ma an che la politica…

Ah, so a cosa ti riferisci. Nei paesi ex co munisti come a Russia hanno contrapposto la figura di Ded Morož (Nonno Gelo), in realtà sono poi sempre io… Comunque la tradizione di portare doni ai bambini è bellissima e poetica, che siano figure di santi, come S. Basilio, S. Martino, (sì anche lui), S, Lucia, o come altre entità come i morti, (Sicilia), la Befana… Trovo sia un particolare modo di coccolare i bambini creando un’atmosfera di attesa diversa dalle solite.

Hai ragione, ma io ho avuto qualche delusione da bimba. E con me tanti altri. Comunque ti ringrazio per aver raccon tato tanto di te.

Posso capire quello che vuoi dire, ma in fondo anche questo fa crescere, non cre di? Ad ogni modo auguro tante belle cose a te e a tutti i lettori di Valsugana news, e che conservino sempre dentro di sé una speranza di futuro pacifico e prospero.

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L'intervista impossibile
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Ring delle Dolomiti di Laura Mansini

IN TRENO FRA LE VETTE INNEVATE

Guai se non ci fossero i sogni non ci sarebbe futuro perché il futuro è fatto dai sognatori.

Il Ring delle dolomiti è il grande sogno che unisce Bolzano, Belluno e Trento di cui si discute fra gli industriali delle tre province in attesa dei giochi olimpici invernali del 2026. Si parla di ferrovie e binari contro lo smog e a vantaggio dell'ambiente del turismo.

Il primo sogno è l'aggiunta di 90 chilo metri di binari ai 280 esistenti con cui si collegherebbe Dobbiaco a Calalzo di Cadore passando per Cortina d'Ampezzo e poi Feltre, Primolano, la Valsugana fino a Trento. Un circuito ferroviario che ripristi nerebbe la centenaria ferrovia Dobbiaco Calalzo.

A volte il nuovo è solo la riedizione di qualcosa che già c'era, ma bisogna ammet tere che qualcuno ha sbagliato. Dobbiaco e Calalzo erano infatti state unite dalla ferrovia fin dal 1915 quando l'esercito

austriaco doveva portare armi e soldati sul fronte dell'Isonzo. La Ferrovia delle Dolo miti era lunga 65,379 chilometri con binari a scartamento ridotto. Finita la guerra la ferrovia venne potenziata e funzionò con alti e bassi economici fino al 1964 quando i binari lasciarono spazio all'asfalto. Nel 1929 era stata perfino elettrificata realiz zando il sogno odierno, ma già stantio, per la Valsugana.

Il secondo è il Sogno dei sogni, ancora un collegamento ferroviario di 83 chilo metri con cui collegare Bolzano a Cortina, attraverso 20 chilometri in galleria, pas sando da Ortisei e la ferrovia della valle dell'Avisio che da Trento porta a Canazei, passando da Cavalese, con 87 chilometri di tracciato di cui 37 in galleria. Ve lo ricordate? anche questa c'era già. Tutto già visto: tutti tracciati già costruiti all'inizio del 900 e poi dismessi.

Quello che da 70 anni alcuni si ostinano a sognare è di approfittare del tracciato per

Cavalese per liberare la ferrovia della Val sugana dalle gallerie di Povo, dove oggi s'infrangono i sogni di potenziamento per ché tra curve e pareti s'incaglierebbero i pesanti locomotori elettrici. La soluzione potrebbe essere quella di portare i binari elettrificati fino a Civezzano e da qui proseguire per Levico, Borgo......Venezia. L'attuale tracciato ferroviario resterebbe di tipo turistico e servizio per le scuole e lavoratori attorno al lago di Caldonazzo. Già che si sogna parliamo anche di turi smo. C'è il Sogno di Avia Nova... Una funi via da Levico- Caldonazzo fino a Luserna alleggerendo il traffico stradale e poi una ferrovia che dal comune cimbro trasporti turisti e lavoratori fino a Folgaria, Lavaro ne... Asiago. Il modello, senza scomodare la Svizzera, potrebbe essere quello del Renon sopra Bolzano. Certo qualcuno i soldi deve pur metterceli e non solo l'ente pubblico che piange ma continua a finanziare rattoppi.

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L'amicizia intergenerazionale:

Un viaggio per l'anima alla portata di tutti.

Idati parlano chiaro: chi trova un amico, trova un tesoro. Ce lo ricorda, tra gli altri, il rapporto di Cigna, importante gruppo assicurativo americano pubblica to nel 2018. La ricerca, svolta sulla salute di oltre 20.000 americani adulti, rivela che1 persona su 6 soffre di un malessere attribuibile ad una percepita condizione di solitudine e sono soprattutto i più giovani ad esserne colpiti. Statistica mente infatti sono proprio i così detti Millenials (i nati cioè tra il 1981 e il 1996) assieme alla Generazione Z (i nati negli anni 1997-2012) che si sentono più soli, molto più delle generazioni precedenti. Una questione importante questa, se si pensa che svariati studi dimostrano che la solitudine ha un impatto sulla mortalità pari a quella del fumare 15 sigarette al giorno, un impatto maggiore a quello derivato dall'obesità. Contrariamente ai luoghi comuni, lo stato di solitudine non ha molto a che fare col vivere soli o in famiglia, col l'avere una occupazione o essere disoccupati ma pare invece che la solitudine venga percepita come la mancanza di vere amicizie. Sempre lo studio di Cigna infatti evidenzia che quasi il 60% degli intervistati ha dichiarato di non sentirsi compreso da partners e colleghi, di non avere nessuno con cui passare del tempo aprendosi veramente, di non avere ami cizie profonde. Certo, la nostra società non facilita relazioni basate sull'empatia e la comprensione e, in special modo nel nostro opulento e tecnologico Occiden te, oramai non si ha più tempo per “colti vare” qualcosa che non abbia un diretto riscontro pratico ed economico. Tuttavia, l'amicizia è un vero toccasana, al pari della dieta bilanciata e dell'adeguato esercizio fisico. Trovare nuovi amici non è cosa semplice, oltre al poco tempo c'è il timore di aprirsi ed essere giudicati,

non capiti, traditi.

In tal senso ci può però venire in aiuto una strategia, in realtà vec chia come il mondo ma forse ultimamente dimenticata: stringere legami con persone di età molto diversa dalla nostra. La chiamano “amicizia intergenerazionale” e psicologi e sociologi assicurano funzio nare bene avendola messa anche sotto la lente d'ingrandimento in alcuni loro studi specifici in diverse nazioni occidentali. Infatti, uno dei grandi problemi della nostra società è l'aver diviso i gruppi ge nerazionali in veri e propri “contenitori” : i giovani frequentano solo determinati luoghi, edifici e in determinate fasce orarie che sono diversi dagli spazi e dai tempi dei cinquantenni e diversi ancora da quelli degli ottantenni o dei bambini. Oramai le amicizie si concretizzano solo tra coetanei, facendo svanire una delle tante belle opportunità che ci offriva la vita fino a mezzo secolo fa. E' per questo che ci sono stati e ci sono moltissimi “interventi di inclusione sociale” dove si sono facilitate le relazioni e le amicizie intergenerazionali e si è potuto constata re scientificamente che queste riescono a risolvere tanti piccoli e grandi malesseri. Pare infatti che il livello di diffidenza, indifferenza, senso di “sentirsi diversi” si abbassi vertiginosamente quando inte ragiamo con una persona molto lontana dalla nostra fascia di età. Le barriere che

consciamente, ma soprattutto inconscia mente, non ci permettono di comuni care con un coetaneo sono facilmente abbassate con un bambino o un anziano e questo ci permette di essere più sereni, più sinceri e quindi più predisposti a gettare le basi per una vera amicizia. La letteratura scientifica a riguardo è vasta e lascio al lettore particolarmente interes sato scoprire di più su questo ambito di studi.

Qui mi limito a ricordare che anche nella nostra provincia, nei nostri piccoli paesi, le opportunità di incontro volen do non mancano come sanno bene i nostri bibliotecari o i gestori dei musei che spesso lanciano iniziative di questo tipo. Le amicizie intergenerazionali sono relativamente semplici da far sbocciare e chiunque ne abbia avuto esperienza può testimoniare quanto sia bello, divertente e costruttivo. A volte basta poco per venire a contatto con prospettive diver se, avere accesso a realtà sconosciute, condividere sensibilità che credevamo perdute senza spostarci troppo da casa. Non neghiamoci dunque questo vero e proprio viaggio dell'anima e ...Buon 2023 a tutti.

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Società oggi di Monica Argenta

TIZIANO DEL CADORE

Pieve di Cadore è un piccolo centro, di quasi 4 mila abitanti, in provincia di Belluno. Un paesello di montagna posto a 878 metri sul livello del mare, fra il Piave e i monti Antelao e Spalti di Toro. In ladino, la lingua locale, si dice Pìie ed è sede della Magnifica Comunità di Cadore. Non è poco ma nel conte sto nazionale ed internazionale non sarebbe nulla se il caso o la fortuna non avesse fatto nascere in questo luogo Tiziano Vecellio un gigante della pittura del XVI secolo.

Era il 1488, forse il 49, quando nel la casa adiacente il palazzo dei no bili Vecellio, notai e guerrieri, una donna ampezzana diede alla luce Tiziano che il padre Gregorio ap prezzò ben presto per le precoci qualità artistiche, tanto è vero che con il fratello maggiore Francesco, lo mandò a bottega a Venezia da Felice Bellini. Con Felice e succes sivamente con il fratello Giovanni , il pittore Tiziano ebbe un gran de avviamento all'arte. In quella bottega lavorava anche Giorgio (Zorzi), detto Giorgione, di otto anni più grande, (14771510) originario di Castelfranco Veneto, con il quale si instau rò una bella collaborazione, non priva di rivalità. I due giovani affresca rono assieme la facciata a mare del Palazzo sull'acqua del Fondaco dei Tedeschi, un'opera pur troppo andata quasi tutta perduta. La loro emula zione e competizione, ispirata da Giovanni Bellini, fu grande, tanto che solo pochi anni fa gli esperti hanno definitivamente at tribuito a Tiziano il dipinto Concerto Campestre

conteso per secoli dagli appassionati del trevisano Giorgione. La cosa più straordinaria è che per soggetto e tecnica questo capolavoro ci rimanda alla Colazione sull'erba di Manet un gigante dell'Impressionismo di fine 800. Ciò che colpisce maggiormente non è il soggetto bensì la tecnica con la quale Tiziano abbandona il dise gno, tanto presente in Michelangelo, per scolpire scene e figure, luci e ombre, con l'uso del solo colore. Vit torio Sgarbi lo avvicina per questo in modo ardito, forse troppo, a Jackson

Pollok, maestro della action painting, per la immediatezza del gesto pittori co, un lancio di colore sulla tela. Siamo nel 1509 e l'anno successivo, l'amico e rivale Giorgione, colpito dalla peste, muore a Venezia. Nel 1513 Tiziano riceve offerte da Roma che egli rifiuta preferendo rimanere nella Serenissima. Nella Città dei Papi lavorano artisti grandiosi come Raffa ello, Michelangelo, Leonardo....Tizia no sicuramente conosce questi artisti,

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Grandi artisti di Waimer Perinelli

nel museo napoletano di Capodimon te. Nel 1548 dipinge il ce lebre ritratto dell'imperato re Carlo V a cavallo che da

come ha visto l'opera di Mantegna e Verona e Mantova, ma guarda anche alla pittura tedesca del Durer. Philippe Daverio in una sua analisi ci invita a scoprire quante volte e come compare un piccolo cane nella pittura di Tiziano. Fra i tanti esempi colpisce il dipinto L'amore sacro e l'Amor profano realizzato nel 1515 e oggi visibile alla Galleria Borghese di

solo giustificherebbe la sua grandezza. Fra tutte le sue opere, l'ultima Apollo e Mar sia potrebbe essere testamento. Siamo nel 1576 a Venezia e que sto dipinto raffigura il povero Marsia mentre viene scor ticato vivo da Apollo con il quale ha perso una gara di virtuosismo artistico. Nell'opera c'è forse l'ispirazione alla uguale crudele sorte inflitta dai turchi a Marcantonio Bragadin comandan te della fortezza di Famagosta nell'isola di Cipro.

anatomia del professor Tulp dove un bovino è appeso, scuoiato e sventra to. Tiziano è uomo intelligente e ric co di intuizioni psicologiche, come ci comunica il ritratto di Paolo III Farne se. Non manca perciò di autocritica, di sconcerto e curiosità davanti alla morte. Siamo nel 1576 e a Vene zia infuria la peste. A 86 anni, forse qualcosa in più, sente prossima la fine

e quel Marsia, appeso e scarnificato, potrebbe essere proprio Tiziano che come la figura mitologica ha sfidato il dio, magari non ha vinto, ma grazie alla sua opera anche il pittore rimane eterno.

Per questo forse nella piccola ma graziosa Pieve di Cadore potreb be essere celebrato con maggiore entusiasmo.

Roma. Un cagnetto lo troviamo an che nella venere di Urbino del 1538. Tiziano nel 1519 è a Ferrara, a Man tova nel 1523, a Urbino nel 1532. Poi, finalmente, nel 1545-1546 sog giorna a Roma dove regna l'ispirato re della flotta cristiana presente alla battaglia di Lepanto, papa Paolo III Farnese del quale eseguirà un ritratto bello e malizioso, ora conservato

Vittorio Sgarbi avanza l'ipotesi che Rembrant possa essere stato ispirato, nel 1634,da quest'opera nella realiz zazione delle cruente scene della Lezione di

23 Grandi artisti
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L’ALBERO DI NATALE E LE SUE ORIGINI

“Non cercarlo nel libro delle scienze umane: l’albero di Nata le è l’albero della magia.” Gianni Rodari inizia così una sua filastrocca e meglio non può introdurre la storia dell’albero di Natale. Simbolo di ogni Natale l’abete sempreverde dagli aghi di pino profumati, durante le festività dicembrine riempie le case di luci e colori; dai decori fatti a mano ai disegni dei bambini, dalle decora zioni pregiate dei cristalli a una me scolanza di tinteggi, ciò che è certo è che in ogni oggetto appeso rivive un ricordo e un pezzettino di noi. Le tradizioni legate all’idea di addob bare un abete nelle case nel periodo natalizio, si dice non avere radici cri stiane, in tale ottica venne decorato solo nell’VIII secolo dal missionario inglese Bonifacio. Quindi ancor prima del cristianesimo, la figura dell’albero compariva in riti e usi pagani di molte culture: simbolo della vita. Anticamente durante il 25 dicembre veniva festeggiato il sole che dal solstizio d’inverno rinasceva; infatti da quel giorno le giornate ricominciava no ad allungarsi, lasciando presagire il ritorno della primavera, una sorta di “vita nuova”. In particolare tra le culture orientali si dava importanza al culto del “Sol Invictus”, nelle cui cele brazioni i sacerdoti nei loro santuari annunciavano la nascita del Sole, in veste d’infante; tale rito arrivò sino a Roma, la quale venerava il dio Mitra e il simbolo legato alle celebrazioni del solstizio d’inverno era riposto pro prio nella figura dell’albero, inteso come la rappresentazione della vita.

La motivazione della scelta è da ricercare tra la popola zione celtica. I druidi, antichi sacerdoti dei Celti, notaro no che gli abeti nel corso dell’inverno rimanevano sempreverdi, segno a loro di spetto di lunga vita; per tale ragione il popolo celtico, le gato al culto delle forze della natura, videro in quest’albe ro un mezzo per celebrare “la luce” nel giorno del solsti zio d’inverno, l’attuale notte di S. Lucia, ossia la nottata più lunga dell’anno. Nel loro culto diveniva così speranza di rinascita nel periodo buio e perciò un richiamare la luce attraverso la nascita del “Sole bambino”. In quel tempo le palle colorate che oggi tanto abbelliscono il sempreverde erano rappresentate da frutti e dolci del tempo che legati ad ogni ramo simboleggiavano la nascita della vita: la primavera dopo l’inverno. Tra le popolazioni celtiche pare inoltre che durante la celebrazione del 25 dicembre si usava incendiare un abete o un pino in una sorta di rito propiziatorio nella notte inver nale che cominciava a indietreggiare. L’idea del bruciare si dice avrebbe dato vita ai giorni luminosi dell’an no che stava per arrivare, mentre le ceneri venivano sistemate nei campi per propiziare i raccolti. La storia dell’origine dell’albero di Natale tra il paganesimo e il significato religioso viaggia da cultura a cultura con una

connotazione positiva, il segno della vita o della luce serve a simboleggia re un qualcosa di buono. Nella nostra tradizione cristiana si dice che l’abete abbia preso una valenza religiosa quando San Bonifacio si rivolse ai pagani: «Questo piccolo albero, un giovane figlio della foresta, sarà il vostro sacro albero questa notte. È il legno della pace, poiché le vostre case sono costruite di abete. È il segno di una vita senza fine, poiché le sue foglie sono sempre verdi. Osser vate come punta diritto verso il cielo. Che questo sia chiamato l’albero di Cristo bambino; riunitevi intorno ad esso, non nella selva, ma nelle vostre case; là si compiranno doni d’amore e riti di bontà.»

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La vera storia di Babbo Natale

Se si pensa a Babbo Natale ven gono subito alla mente i ricordi di quando si era bambini e si aspettava con trepidazione il suo arrivo a bordo della slitta trainata dalle renne nella fredda notte del 24 dicembre. Che si chiami Père Noël, Santa Claus, Weihnachtsmann o Papà Noel poco cambia: la magia che avvolge questa figura non ha davvero confini. In alcuni luoghi troviamo anche San Nicolò che nella notte del 5 dicembre porta doni ai bambini buoni. Cosa hanno allora in comune un santo e Babbo Natale? Si crede infatti che la figura del santo abbia ispirato la storia di Babbo Natale. San Nicolò, vissuto intorno al IV secolo, fu vescovo di Myra, attuale Demre, città della Turchia meridionale.

La tradizione vuole che il vescovo conobbe una famiglia dapprima bene

stante, caduta poi in miseria. Il padre si vergognava della povertà in cui era finita la sua famiglia e sembrava non aver nessun’altra soluzione se non quel la di far prostituire le proprie figlie. San Nicolò fece scivolare di nascosto dalla finestra della loro abitazione tre palle d’oro (nell’iconografia classica ricorre questa simbologia) che permisero alla tre fanciulle di evitare la prostituzione, garantendo loro invece un matrimonio felice. Dal Medioevo in poi, si iniziò quindi a commemorare questo even to, scambiandosi doni il 6 dicembre, tradizione ancora diffusa nei Paesi Bassi, Germania, Austria, Alto Adige, Trieste e in alcune zone del bellunese. La leggenda narra che San Nicolò passi di casa in casa accompagnato dal suo asinello a portare piccoli doni ai bam bini bravi mentre a castigare i bambini cattivi ci pensavo i diavoli, conosciuti

in alcune località dell’arco alpino con il nome di Krampus. Nei secoli poi, nonostante in alcuni luoghi permanga tutt’oggi la tradizione del passaggio di San Nicolò, si è iniziato a far coincidere questa ricorrenza con il Natale. La figura di Babbo Natale, per come lo cono sciamo, emerse infatti molto più tardi rispetto agli avvenimenti che hanno reso famoso San Nicolò. Babbo Natale venne infatti descritto per la prima volta dallo scrittore e linguista americano Clement Clarke Moore nel 1821 nel poema A Visit from St. Nicholas (Una visita da San Nicolò). È proprio que sta poesia a rappresentare il tassello fondamentale che ha portato allo sviluppo della figura moderna di Babbo Natale e quindi lo spostamento dal 6 al 25 dicembre dell’arrivo della figura portatrice di doni.

Senza dubbio, il colosso di Coca-Cola

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Le storie di Natale di Elisa Rodari

Le storie di Natale

ha anch’esso contribuito a diffondere la figura di Babbo Natale: la svolta decisi va è stata nel 1930 quando l’illustratore Haddon Sundblom lo raffigurò come un omone paffuto, dall’animo gentile, vestito di rosso. La ricompensa per Bab bo Natale dopo una notte estenuante in giro per il mondo a consegnare regali era una buona bibita, in questo caso Coca-Cola. Molti ritengono che sia stata sempre Coca-Cola nella creazione della campagna pubblicitaria natalizia ad affibbiare il colore rosso al vestito di Babbo Natale, fatto non vero. Molto prima, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, Babbo Natale infatti apparve vestito di rosso in alcune delle coperti ne del periodico umoristico statuniten se Puck e più tardi nel 1915 l’azienda White Rock Beverages utilizzò anch’essa il rosso per vestire il Babbo Natale delle

sue pubblicità di acqua minerale e nel 1923 per la vendita di ginger ale. Da questo si capisce come non ci sia una vera e propria data di nascita di Babbo Natale ma si potrebbe invece parlare più di una sua evoluzione.

Altra cosa interessante è la dimora di Babbo Natale che cambia a seconda delle diverse tradizioni. In Italia come nell’intera Europa Babbo Natale ha la sua dimora vicino a Rovaniemi, città finlandese della fredda Lapponia; altre tradizioni parlano della Svezia o della Groenlandia come i luoghi dove è solito abitare. Negli Stati Uniti si pensa che abiti al Polo Nord, mentre i canade si sostengono che la sua dimora si trovi nel nord del Paese. Oltre alla tradizionale letterina da spedire a Babbo Natale, i bambini più tecnologici possono seguire diretta

mente online il passaggio di Babbo Natale, tracciato grazie a radar accura tissimi. Aiutato dai suoi elfi impegnati a costruire giocattoli, Babbo Natale effettua poi le consegne a bordo della sua slitta trainata da renne (Ballerina, Cometa, Cupido, Donato, Donnola, Freccia, Fulmine e Salterello).

A capo di tutte però viene collocata Rudolph che con il suo naso rosso riesce ad illuminare la strada e condurre Babbo Natale da ogni bambino. Nono stante le critiche pervenute dalla sfera religiosa e più conservatrice, i bambini rimangono sempre affezionatissimi alla figura di Babbo Natale e il Natale senza di lui e senza la magia che avvolge il suo arrivo non sarebbe di certo la stessa cosa. Non resta che aggiungere, come direbbe il buon vecchio Babbo Natale “Oh oh oh Buon Natale!”.

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Società oggi di Sonia Sartor

“Mi sono sentita inadeguata”

Lo scorso 16 novembre nel ve neziano una giovane atleta della nazionale italiana è stata vittima di un fatto spiacevole che in poche ore ha fatto il giro del web. Lei si chiama Rebec ca Pavan, 21enne residente in provincia di Venezia che nell’atletica si è distinta come ottima saltatrice in alto. Un mercoledì mattina all’insegna dello shopping per Rebecca e la madre adottiva, quando nella via del rientro, a bordo dell’autobus della linea 85 Aeroporto- Sottomarina, alla giovane viene chiesto di esibire il titolo di viaggio mentre la madre viene lasciata passare senza alcuna richiesta.

“Solo a me è stato intimato di mostrare il biglietto. Il controllore vedendo il mio colore della pelle ha pensato volessi fare la furba e salire in autobus senza pagare”. Queste sono le parole della ragazza, che non mette in discussione la necessità di verificare il possesso del titolo di viaggio da parte dei passeggeri, quanto piut tosto l’intenzione che si sarebbe celata dietro alla richiesta a lei pervenuta: “Il tono con cui si è rivolto a me ha rive

lato una persona sicura di cogliermi in fallo solo perché sono nera”. Il motore dell’azione sarebbe dunque da ricercare nel concetto di pregiudizio. La madre di Rebecca, una volta fatto rientro a casa, decide di condividere l’accaduto sulla sua pagina Facebook allegando anche il video della giustificazione fornita dal controllore e, inaspettatamente, la notizia riceve una grande attenzione mediatica. “Se n’è parlato tanto, forse anche troppo. Alle persone sfortunatamente accadono cose più gravi di questa e credo che la vicenda in questione abbia occupato già tanto spazio però sono contenta della vicinanza che mi è stata dimostrata. Mi sono arrivati tanti messaggi gentili”, così la giovane campionessa commenta l’atten zione mediatica rivolta al caso che l’ha vista coinvolta. Parole che tristemente fanno trasparire anche una certa abitudi ne verso comportamenti razzisti; Rebec ca, infatti, ha dichiarato di essere stata più volte al centro di simili atteggiamenti. C’è un ulteriore aspetto che la giovane atleta ha rivelato nel corso dell’intervista: “C’erano altre persone a bordo dell’au tobus ma nessuno è intervenuto, nem meno quando mia mamma ha chiesto spiegazioni sul perché a lei non fosse stato chiesto di esibire il biglietto”. Altro elemen to, quest’ultimo, che ha contribuito alla sofferenza della giovane. L’azienda Arriva Italia, responsa bile della linea 85 su cui viaggiava Rebecca, ha sottolineato in una nota l’intenzione di analizzare più profondamente la questione anche con

l’ausilio del video girato a bordo e ha poi definito l’avvenimento come uno spiacevole malinteso: “Il controllore ha riconosciuto la mamma di Rebecca come un’abbonata delle line di Arriva Veneto mentre non avendo mai visto la ragazza, le ha richiesto il titolo di viaggio”. Questa è la spiegazione ad oggi fornita dal Gruppo Arriva specificando che il dipendente coinvolto nella questione lavora con loro da oltre quattro anni e mai avrebbe manifestato l’intenzione di offendere un passeggero. a salute stessa del controllore avrebbe risentito della vicenda: “Dopo l’episodio è profondamente scosso e addolorato, soprattutto per il crescente clima di astio a cui si sente sottoposto. Stiamo predi sponendo per lui un sostegno psicolo gico”. Ad una settimana di distanza dai fatti però la giovane è ancora in attesa di parole di scusa. “Sono abituata ad igno rare e ad andare oltre ma mi piacerebbe ricevere almeno delle scuse. Non credo però che l’azienda mi contatterà mai”. Il giorno in cui sono avvenuti i fatti narrati la ragazza ha pubblicato sulla sua pagina Instagram una frase che suona come un messaggio dai contorni chiari e definiti: “Avere la pelle nera non è un crimine”.

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Gioielli di casa nostra di Waimer Perinelli

TESORI D'ARTE DEL BELLUNESE

Diciannove anni fa a Vigo di Cadore s'inaugurava una mostra sui Tesori d'arte. Fu un successo che la Provincia di Belluno ha voluto rinnovare l'estate scorsa allargandola a Lorenzago e a tutto il territorio dell'Oltrepiave. Nell'oc casione è stato presentato il libro “Tesori d'arte nelle chiese del Bellu nese” curato da Matteo Da Deppo ed edito dalla Provincia. “ Quelli che presentiamo, dice il presidente della Provincia di Belluno Roberto Padrin, sono veri e propri tesori, scrigni d'ar te e di storia, che spesso nemmeno i bellunesi conoscono bene”. Il libro accompagna, turisti e bellune si, lungo un itinerario che compren de, oltre a numerose chiese, il ca stello Mirabello che ha ospitato per diverse settimane i papi Giovanni Paolo Secondo e Benedetto XV. “Nell’ampia costellazione culturale cadorina, dove splende imperante l’astro pittorico di Tiziano Vecellio, scrive nella prefazione del libro il curatore De Deppo, si celano delle

emergenze artistiche di prim’ordine spesso poco note al grande pubbli co, essenziali e indispensabili per la lettura sociale e storica delle comuni tà che le conservano” Tiziano nasce nel 1488, forse 1490, a Pieve di Cadore in questa parte dell' Oltrepiave, collocata nella sinistra orografica del fiume, che comprende Vigo, che ha ospi tato la prima centuria romana e Lorenzago. I due centri sono parte dei ventidue comuni che compon gono la Magnifica Comunità del Cadore.

Vigo, dal latino Vicus, capoluogo della prima centuria romana, è un paese di 1.350 abitanti, posto a 951 metri sul livello del mare. Nella sua storia vanta una delle poche vittorie dell'esercito del Regno d'Italia contro le truppe austriache, sconfitte in località Treponti, nel 1866 nella terza guerra d'Indi pendenza. Fra i suoi tesori d'arte vanta la chiesa di Sant'Orsola dove si conserva un prezioso ciclo di

affreschi del quattordicesimo secolo. Venne fatta costruire, fra il 1313 e il 1320, da Ainardo da Vigo figlio del podestà del Cadore, Odorico, per conto della famiglia trevigiana dei Da Camino vassalli del Patriarca di Aquileia. Nel 2008 si è arricchita nella fede e nella miracolistica, con la donazione, da parte dell'arcivescovo di Colonia, di un frammento osseo tratto dal corpo di Sant'Orsola. Per la cronaca la santa figlia di un barone bretone, martirizzata nel 385 d.c. quasi in contemporanea con i santi martiri anauniensi Sisinio, Martirio e Alessandro massacrati nella trentina valle di Non. La giovane Orsola, di rara bellezza, si era segretamente consacrata a Dio, ma fu chiesta in sposa da un nobile cugino che aveva il difetto di essere pagano. Orsola riuscì a rimandare il matrimonio di tre anni, in attesa della conversione

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del futuro sposo, ma questi non divenne cristiano e allora la fanciulla assieme ad altre migliaia di vergini e con 11 navi navigò verso il Delta del Reno che risalì fino a Colonia e poi in Svizzera. Ella, una volta sbarcata, si recò in pellegrinaggio a Roma dove il Papa l'accolse con grande

festa, convertì il pretendente alla sua mano e li sposò. Poi Papa e vergini tornarono a Colonia dove era però arrivato Attila, il re degli Unni, che uccise tutte le vergini tranne Orsola che tuttavia si rifiutò di cedere alle sue pretese sessuali e per questo fu uccisa. Una storia avventurosa che comprende fatti accaduti e leggenda, che hanno portato alla costruzione di chiese molto belle in varie parti d'Italia. Una dedicata anche a San'Orsola comune che porta il suo nome, nella valle dei Mocheni in Trentino. Lorenzago di Cadore è un comune di 564 abitanti posto a 883 metri sul livello del mare. Nell'ottica della Provincia di Belluno è un minu scolo scrigno ricco di tesori d'arte. Fra questi il citato Castello Mirabello, di scarso valore artistico ma di enorme significato sociale e religioso. L'edificio sorge ad un'altitudine di 1100 me tri slm e dal 1960 funziona come seminario della diocesi di Treviso. La struttura risale alla fine dell'800 e fu edificata per commissione del senatore del Regno Giovanni Facheris che lo adibì a residenza di vacanza estiva. Dopo la sua morte nel 1918 il castello cambiò più volte proprietario fino a che nel 1959 venne acquistato dalla diocesi di Treviso che lo destinò all'ospitalità estiva dei seminaristi. Accanto il vescovo Antonio Mistro rigo fece costruire poco lontano una villetta dove passava l'estate

vicino ai seminaristi. Trent'anni dopo fu scelta per lo stesso motivo da papa Giovanni Paolo secondo che vi ritrovava montagne e boschi simili a quelli della sua Polonia. Qui nel 2007 soggiornò anche il suo successore Benedetto XV.

In ricordo del soggiorno di Papa Wojtyla è stato edificato ad opera dell'artista Hermann Josef Rung galdier di Ortisei, un monumento consistente in un muretto in pietra a vista in forma semicircolare, che vuo le rappresentare il rotolo della vita che si sta aprendo, con degli altorilie vi in bronzo che rappresentano Karol Wojtyla in tre momenti particolari della sua vita.

Fra i tesori artistici di Lorenzago la chiesa parrocchiale dedicata ai santi Ermagora e Fortunato citata fin dal 1214 e consacrata nell'attuale forma nel 1864. All'interno una pala di Ce sare Vecellio (1521-1601) figlio di un cugino di Tiziano. Tutti questi tesori e molti altri nel libro di Da Deppo il quale come scrive lo stesso autore ha l'intento di offrire al lettore: “ Una incomparabile varietà di forme arti stiche locali, sunto delle generazioni che hanno tessuto quella fitta trama e quell’ordito che li genera e che li ha generati. “

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Gioielli di casa nostra

NATALE CON I TUOI MA AMA ANCHE GLI ALTRI

Che bello! Dicembre, il mese del Natale, dove tutti siamo ovvia mente più buoni, più umani più... tutto. Ovviamente viene scongelato Michael Bublè con la solita strenna na talizia e siamo tutti contenti. Ci saranno i black friday, giorni in cui compreremo a tonnellate convinti di fare gli affari del secolo. Riunioni familiari in cui anche i cugini che non vedi per 364 giorni saran no generosi di baci e abbracci. Insomma Natale.

Mi sono sempre piaciuti gli “storti”, quelli magari da non frequentare, insomma i “diversi”. Prima categoria, la mia. Da ex grande obeso ho ricordi netti di quello che vuol dire subire battute sul peso, sul cibo che non avanza se sei nei dintorni e quell'atteggiamento di finta compren sione che non fa altro che innervosirti allo stremo. Nessuno capisce che il cibo diventa un rifugio, un luogo sicuro dove solo quello che hai nel piatto di fronte è tuo amico.

Nessuno capisce che non si tratta solo di golosità. Dietro questo c'è una richiesta

di aiuto nemmeno tanto velata. Essere grassi a Natale. Forse per questo mi è sempre piaciuto il prima, i giorni prece denti con quell'atmosfera fantastica. La tavolata con sopra di ogni da una parte era ipnotica, dall'altra sapevo che avrei dovuto pagare il prezzo degli scherzi e delle cattiverie. Sì, lo sono, perché chi le fa non sa se le spalle di chi le riceve sono abbastanza grosse da sopportarle. Non siete simpatici, ma nemmeno un poco. Ad ogni frecciata cerchi rifugio e l'unico è il cibo. Non puoi vincere. Avete mai notato che non sono mai quelli grassi che fanno battute su altri come loro? Chissà perché...

Ma noi diversamente magri siamo alla luce del sole, essere grassi non puoi nasconderlo, si vede. Punto. Ma tra i “diversi” ci sono coloro che celano una seconda vita. Il Natale è anche quel momento in cui si tirano le fila di un anno di vita. “Ma la fidanzata? Ancora niente? Passano gli anni eh..” non c'è nessuna fidanzata e non ci sarà nemmeno in futuro. Hai ventuno anni e ancora non

sei riuscito a dire alla tua famiglia che sei gay. Già proprio questo. Tuo cugino Andrea ha presenta to la futura moglie proprio quel giorno. Tu no. Eppure sei inna morato, eppure stai vivendo una bellissima storia. Ma le storie che leggi sul giornale sono spesso diverse. Bullismo, pestaggi, omi cidio quando si rasenta il fondo. Tutto questo perché non ami secondo una certa società. Oggi crediamo che non ci siano più sacche di violenza, che i gaypri de abbiano messo a posto tutto. Ma non è così. Le cronache sono impietose in questo. Siamo ancora indietro anni luce confronto ad altri Stati dove hanno capito che l'amo re non ha contorni regole o limiti. La diversità fa ancora tanta paura. Quando magari da genitore dovresti solo preoc cuparti della felicità di tuo figlio o figlia. Certo che se poi sei obeso e gay hai fat to bingo! Natale può e dovrebbe essere un momento di felice condivisione, di complicità e contentezza.

Non è così per tutti. Il giorno di Natale da tempo immemorabile mi metto in palinsesto radio. Adoro pensare che per qualcuno quel giorno vorrebbe che fosse normale, addirittura feriale e quindi sentire in diretta chi di solito fa quel turno.

Mi piace pensare a tutti quelli che lavo rano il 25 dicembre e sono tantissimi.

Buon Natale a tutti, di cuore.

Ovviamente con Bublè in sottofondo! Il noto discografico, 75 milioni di dischi venduti, canadese con nonno trevisano, farà sicuramente un grande Natale.

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Un Natale diverso di Gabriele Biancardi

Religione e storia di Chiara Paoli

La casa di Maria a Loreto

La Casa della Vergine, pare essere stata miracolosamente trasportata dagli angeli a Loreto, nella sua attuale collocazione, la notte tra il 9 ed il 10 dicembre del 1291. Proprio per questo suo volo, la Madonna di Loreto è divenuta patrona degli aeronauti per volere di Papa Benedetto XV. Nella realtà la casa però sembra aver preso il volo più di una volta e per l’esattezza gli spostamenti testimoniati tra il 1291 e il 1296 sono ben 4.

le vicissitudini della Santa Casa, risalgono al 1440 e sono opera di Santa Caterina de Vigri, si tratta in questo caso di una preghiera che riporta notizie in merito alla traslazione. Nell’“Hi storia Virginis Mariae Loretae”, di Giacomo Ricci e databile al 1468/1469, si parla di quando la Casa della Madonna si trovava in località Banderuola, nella selva della signora Loreta, a cavallo tra il 1295 e il 1296.

vamente sul Monte Prodo, il 10 agosto 1296, ma anche qui i preziosi doni, gli ex voto dei fedeli, scatenano la sete di ric chezza dei due fratelli, Simone e Stefano Rinaldi degli Antici, che iniziano a litigare tra loro.

Il Papa dell’epoca, Bonifacio VIII (12941303), venne informato dello sposta mento della Casa della Vergine, dal Comune di Recanati, che voleva che il colle divenisse proprietà pubblica, per approntare le strutture necessarie all’ac coglienza dei devoti.

Dapprima collocata a Tersatto, sobborgo della città di Fiume, per poi trasferirsi ad Ancona, nella selva della signora Loreta, da cui prende il nome; successivamente viene posata nel campo di due fratelli, sul colle lauretano e infine raggiunge la pubblica piazza, dove ancor oggi si colloca. Tra coloro che ebbero visioni della Santa Casa sono annoverati San Nicola da Tolentino, che viveva nella vicina Reca nati e Paolo della Selva, eremita isolato a Montorso al quale la stessa Vergine sembra aver rivelato l’arrivo della Casa di Nazareth, fuggita alla devastazione musulmana.

I primi opuscoli a noi noti, che narrano

“La fama di questa nuova trasla zione miracolosa fece confluire grandi folle di pellegrini nella selva della signora Loreta. Di giorno e di notte gli angusti sen tieri della selva erano percorsi dai pellegrini, che si fermavano in quel luogo sacro per giorni e settimane, senza curarsi dei disagi e di dover poi riposare all’ombra degli alberi, non essendoci null’altro. La valle riecheggiava di preghiere e di canti, di suppliche e di lodi alla Vergine.” (cit. http://www.santuario loreto.com)

Un pellegrinaggio continuo è disturbato però dai mal inten zionati, come narra il Ricci e proprio per questo motivo la Casa dell’Annuncia zione si sposta nuo

E come per miracolo, questo desiderio venne esaudito, con l’ultimo sposta mento della Casa di Loreto, dove giace tutt’oggi.

Il pontefice manda a Loreto Mons. Federico di Nicolò di Giovanni, vescovo e cittadino di Recanati, perché si occu passe del Santuario Mariano, ma fece anche inviare 16 uomini in Palestina, per verificare la sparizione da Nazareth della Santa Casa.

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Tra i documenti che attestano i vari spostamenti della casa anche una lettera in latino del Beato Giovanni Spagnoli, indirizzata al Cardinale Girolamo Della Rovere e datata 22 settembre 1479, (Pier Giorgio di Tolomei, detto il Tera mano, Governatore della Santa Casa, stilò uno scritto pressoché identico nel 1472. Ma questa storia la si può leggere ancora oggi sulle mura della Casa di Lo reto, dove nel 1595 Papa Clemente VIII fece incidere a grandi lettere: “Ospite cristiano che qui venisti per devozione o per voto, ammira la Santa Casa Lore tana, venerabile in tutto il mondo per i misteri divini e per i miracoli. Qui nacque Maria SS.ma Madre di Dio, qui fu salutata dall’Angelo, qui s’incarnò l’eterno Verbo di Dio. Questa gli Angeli trasferirono dalla Palestina la prima volta in Dalma zia, a Tersatto, nell’anno 1291, sotto il pontificato di Niccolò IV. Tre anni dopo, all’inizio del Pontificato di Bonifacio VIII,

per lo stesso ministero angelico, fu trasportata nel Piceno, vicino alla città di Recanati, in una selva, da cui, nello spazio di un anno, cambiato posto tre volte, qui ultimamente fissò la sede già da 300 anni. Da quel tempo commossi i popoli vicini di così stupenda novità ed in seguito per la fama dei miracoli largamente divulgata, questa Santa Casa ebbe grande venerazione presso tutte le genti, le cui mura senza fondamenta, dopo tanti secoli, rimangono stabili ed intere”.

Il santuario di Loreto è tra i più venerati e visitati luoghi di culto, ma quanti sanno che anche in Trentino abbiamo una chiesa dedicata a Santa Maria Lauretana, che al suo interno racchiude una mirabile riproduzione della Casa ove avvenne l’Immacolata Concezione. Questo splendido ed evo cativo scrigno del sacro è stato edificato

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Mala Tempora currunt di Waimer Perinelli

UN POSTO IN PRIMA FILA PER LA FINE DEL MONDO

Era la fine degli anni Sessanta quando l'in segnante di lettere, anziano comunista convinto, disse: "Tutti i paesi devono avere la bomba atomi ca". Da poco più di vent'anni era termina ta la Guerra Mondia le, finita anche quella di Corea mentre in Vietnam infuriava la battaglia. L'amico cen tenario Gios Bernardi, medico-radiologo co fondatore del Premio Pezcoller, intervistato da Laura Mansini in altra parte del giorna le, ha detto: " Siamo fortunati, siamo vissuti in un'epoca d'oro". Per lui, nato nel 1923, la parentesi d'oro, era iniziata male e proseguita peggio, ma dobbia mo ammettere che dopo il 1945 pur essendoci una cinquantina di guerre qua e là, dal Canale di Suez al Sud America, dal Laos ai Balcani, almeno in Italia non ce la siamo passata male e soprattutto non abbiamo mai sospet tato che potesse scoppiare una guerra mondiale. Tanto meno atomica. Ci voleva Putin, con il suo delirio di onnipotenza e le smanie di mag giore ricchezza di chi non riuscirà a spendere un miliardesimo dei propri soldi prima di morire, per gettare sul mondo il vero incubo di una guerra nucleare. Le parole del professor De Marco, erano per questo un ammo

nimento e profezia. Egli pensava che alle due potenze Stati Uniti e Unione Sovietica che l'atomica l'avevano e la prima pure già usata, si dovessero uni re le altre nazioni, specialmente le più piccole, così che ognuna fosse capace di bloccare l'altra e l'atomica diventas se un deterrente contro la prepotenza dei grandi. Egli, essendo già anziano, certamente non sarà arrivato a gioire per l'avverarsi del suo progetto e leg gere che Cina, Gran Bretagna, Francia, Israele, Pakistan, Corea del Nord , Su dafrica e India, si sono fatti il proprio arsenale atomico. La prima parte della sua profezia si è avverata e l'atomica ha funzionato da deterrente. Ma noi tutti non abbiamo calcolato un fattore umano preponderante: la follia. Solo chi ha perso la ragione può scherzare

con la minaccia atomica: è noto che la bomba nucleare è democratica, non è razzista, non distingue buoni dai cattivi....

Una guerra atomica metterebbe fine per sempre alle schermaglie delle guerre convenzionali ma al prezzo di distruggere il pianeta o almeno la razza degli uomini "sapiens". Uno scenario inimmaginabile, terribile con un copione in corso d'opera e qual che squilibrato che lo sollecita. Mala tempora dunque e nel XVI secolo un altro profeta, William Shakespeare, nel dramma Re Laear ha scritto: Che tempi sono questi quando un pazzo guida dei ciechi. Il pazzo sceglietelo voi, i ciechi siamo purtroppo noi con un Posto in prima fila per vedere la fine del mondo.

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Tra Santi e tradizioni di Francesca Benvegnù

Santa Lucia, la più amata dai bambini

Forse anche per il suo portare doni ai più piccoli in alcune parti d’Italia, è una delle sante più amate e conosciute, anche a chi non particolarmente religioso. Santa Lucia infatti, celebrata in tutto il mondo il 13 dicembre, è una figura molto amata, sia nell’ambiente sacro che in quello profano. Per il primo rappresenta una forte testimonianza di fede e di corag gio, essendo Santa Lucia una martire la cui storia si ricorda in particolare per la sua efferatezza. Secondo infatti le prime testimonianze cristiane, Lucia (283 d.C.) era una giovane nobile originaria di Siracusa, convertita al cristianesimo fin da piccola. Già dalla giovane età si era distinta per la devo zione al suo credo e una volta adulta, ciò si trasformò nel rifiuto di sposare il suo promesso, un pagano. Questa de cisione scatenò però la furia dell’uo mo che, per vendicarsi, la denunciò pubblicamente per la sua cristianità. Un atto che in un momento storico in cui quel tipo di fede era motivo di persecuzione significò per Lucia la fine. Torturata in maniera aberran te, la Santa si oppose fino alla fine a rinunciare alla sua fede cristiana per gli dèi pagani, pagando la sua scelta con la vita. Morì quindi da martire nel 304 a. C., diventando un simbolo di resistenza femminile, oltre che di con gruenza alla propria fede. Oggigiorno Santa Lucia è inoltre ricordata come la protettrice della vista, titolo legato alla sua iconografia che la vede ritratta con tra le mani proprio un paio di occhi. Questo tipo di rappresentazione deriva infatti dalla leggenda che vede la Santa, in un momento del proprio martirio, protagonista e vittima di un altro atto orrendo: il vedersi strappati o lo strapparsi lei stessa gli occhi. Ciò

costituirebbe infatti, ancora secondo le credenze popolari, l’ennesimo atto della giovane per mostrare ai propri aguzzini la propria determinazione nel rimanere fedele a sé stessa e alla propria fede. Oppure, come in altre versioni, l’ennesimo orri bile tortura impostale. Ad ogni modo, il legame con gli occhi e con la vista è forte anche per un altro motivo. Il suo nome infatti, che deriva dal latino lux, significa proprio luce. Santa Lucia è dunque un vero e proprio emblema della luce che trionfa sull’oscurità, soprattutto anche per il giorno in cui cade il suo onomastico. Prima infatti che l’attuale calendario lo spostasse, il solstizio d’inverno -il giorno più corto dell’anno- cadeva proprio il 13 dicembre, tanto da coniare il detto “Santa Lucia il giorno più corto che ci sia”. Sembra quindi sempre maggiore la connes sione tra Santa Lucia e la luce, anche se i legami con essa non finiscono affatto qui. Ancora secondo le leggen de popolari infatti, Santa Lucia aiutò moltissimi cristiani a sopravvivere alle persecuzioni contro di loro, portan dogli cibo e acqua nelle catacombe di Siracusa dove si nascondevano. Tragitto nel buio che percorreva con in testa una corona di candele, che le permetteva di camminare nell’oscurità e avere le mani libere per portare la maggior quantità di viveri possibile. Questa immagine è rimasta dunque così forte che ancora oggi in Svezia, Santa Lucia il 13 dicembre viene cele brata in sfilata da bambine abbigliate proprio come lei, con una corona di sette candele sulla testa ed un lungo

abito bianco. In Italia, invece, Santa Lu cia è soprattutto conosciuta per i doni che porta ai più piccoli. Come per San Nicolò, altro Santo molto amato dai bambini per lo stesso motivo, la sera prima è costume lasciare sul davanzale o sul tavolo qualcosa di buono da bere e da mangiare per la Santa, oltre che della paglia per il suo asinello. Riconoscente per quel piccolo pre sente, sicuramente passando di casa in casa lascerà qualche pensierino per tutti, senza però farsi mai sentire o ve dere! Santa Lucia rappresenta quindi una delle figure religiose più care alla cristianità, soprattutto per la sua testi monianza di fede e coraggio. Ma oltre a ciò, è anche parte di un patrimonio culturale e popolare che è nel cuore di grandi e piccini, tanto da renderla molto amata in tutto il mondo.

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In filigrana di Nicola

Il liceo “senza voti”

che fa discutere il mondo della scuola (e non solo) Nuova frontiera educativa o scorciatoia senza futuro?

Ne avrete senz’altro sentito parla re nelle scorse settimane.

La vicenda è quella di un liceo romano (il Morgagni) che, dopo aver av viato già da qualche anno una sperimen tazione che prevede l’abolizione delle valutazioni in numeri per le prove degli studenti, ha ora deciso di allargarla ad un’intera sezione dell’istituto. Per gli al lievi interessati, interrogazioni e verifiche, lavori di gruppo, ma - alla fine - niente voto (da 1 a 10) sul compito, bensì un confronto con il docente e con la classe sugli aspetti da potenziare e migliorare. Sia ben inteso, i “numeri” non sono stati aboliti del tutto: ritornano in pagella a fine quadrimestre, ma non come media aritmetica di quanto conseguito duran

te il periodo in ogni singola materia, piuttosto come valutazione complessiva, basata - almeno nelle intenzioni - più sui contenuti e sul dialogo, che non sulla misurazione secca.

L’esperimento del liceo romano non sembra essere peraltro il solo. Anche in alcune altre scuole italiane, soprattutto superiori, sono stati introdotti nel tempo metodi di valutazione innovativi, o alter nativi, come, tra gli altri, l’auto-valutazio ne da parte degli studenti.

La notizia in arrivo dal liceo romanonon poteva essere altrimenti - ha subito scatenato una valanga di commenti, giu dizi, interpretazioni e pareri più o meno equamente divisi tra sostenitori e detrat tori. Sul primo versante docenti, genitori

e persino neuroscienziati fermamente convinti della bontà dell’esperimento, che sarebbe in grado di “liberare” lo studente dalle catene del voto e dello stress che ne consegue per consentirgli di esprimere tutte le proprie potenzialità in piena serenità (banalizzo un po’, ma il concetto è sostanzialmente questo).

Sul fronte opposto, con pari convinzio ne dialettica, i sostenitori che la scuola rischia così di annacquare ulteriormente il proprio ruolo formativo ed educati vo, già compromesso da riforme (più o meno applicate) che hanno tolto incisivi tà ed autorità all’istituzione.

Come spesso accade, la verità non sta probabilmente tutta da una parte ed elementi condivisibili si possono trovare

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in entrambi gli schieramenti. Mi pare tuttavia di sentir alzarsi già le voci di chi, non più giovanissimo, ha vissuto un sistema scolastico ben diverso da quello attuale, in cui l’educazione tra i banchi si avvaleva di sonore sgridate, tirate d’orecchi e qualche volta – udite udite – persino di uno scapaccione o di una bacchettata sulle mani! Ora, credo che siamo tutti concordi, oggigiorno, che un’educazione scolastica, ma anche familiare, moderna possa e debba fare benissimo a meno del ricorso al man rovescio o alla punizione corporale, anche se di lieve entità. Ci sono ben altri strumenti pedagogici per farsi capire da ragazzi oggi socialmente e culturalmente attrezzati molto più di quanto lo fossero i loro nonni e i loro genitori. Da qui a creare un ambiente scolastico totalmente lontano da quello sociale e soprattutto lavorativo che i nostri giovani troveranno una volta usciti dalle aule

il rischio potrebbe però essere con creto. Diciamocelo francamente: molti dei nostri ragazzi crescono nel pieno appagamento dei propri bisogni, senza rinunce di sorta, coccolati a volte ben oltre il limite del necessario e dell’utile. E questo, naturalmente, non certo per col pa della scuola, ma delle famiglie e dei genitori, sempre più alle prese con ritmi e scelte di vita che non contemplano più tempi e spazi da dedicare all’educazio ne dei figli, ovvero a dire loro “no” e a spiegarne le ragioni. Se ne avete voglia, sul web potete trovare al riguardo alcuni interessantissimi interventi di Paolo Cre pet o di Umberto Galimberti, che si fa onestamente fatica a non condividere. In questo contesto alla scuola è stato così (purtroppo) demandata una sorta di ultimo baluardo nel rispetto dei limiti e delle regole, simboleggiato - anche e non solo - proprio dal voto, che rappre senta la misura (più o meno adeguata)

del comportamento e della preparazio ne. Toglierla sarebbe un po’ come far esercitare i nostri ragazzi nel salto in alto senza l’asticella…tanto per fare, senza un punto di riferimento, senza capire - anche con la necessaria forza dell’insuc cesso - se ce l’hanno fatta oppure no. E che succederà quando, nel mondo del lavoro (ma in verità della vita), troveran no asticelle ad ogni piè sospinto? Un detto, aspro ma efficace, recita così: “Tempi duri generano uomini forti. Uomini forti generano tempi più facili. Tempi facili generano uomini deboli. Uomini deboli generano tempi duri”. E così il cerchio si chiude.

Un mio vecchio insegnante ribadiva fino alla noia che per fare denti robusti biso gna mangiare anche il pane duro, quello con la crosta. Ecco, di mollica in giro se ne vede davvero fin troppa, e non solo tra i nostri ragazzi.

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Girovagando a Natale di Sonia Sartor

Irlanda, al via i mercatini di Natale 2022

Il periodo più magico dell’anno è ufficialmente arrivato portando con sé luci, colori e profumi. Il Natale si fe steggia in tutto il mondo ma vi siete mai chiesti quale sia l’atmosfera che si respira in altri paesi? Con il presente articolo desidero portarvi alla scoperta della sta gione festiva in Irlanda che prende avvio i primi giorni di novembre ed è scandita da incantevoli mercatini ad animare le più importanti città dell’isola. Galway, città che sorge sulla costa occidentale d’Irlanda, nel 2021 ha contato oltre 350 mila visitatori in occasione dei mercatini di Natale ad Eyre Square. est’anno la trentesima edizione dei mercatini natalizi della città portuale è stata inaugurata venerdì 11 novembre con la partecipazione di oltre cinquanta espositori provenienti da tutta Irlanda per presentare prodotti artigianali e prelibatezze da gustare. Camminare tra i piccoli chalet in legno, decorati con luci ed addobbi natalizi, significa immergersi

in una tradizione fatta di sapori, canti, giochi e molto altro. Una delle maggiori attrazioni dell’even to è indubbiamente rappresentata dalla grande ruota panoramica, alta 32 metri, dalla quale è possibi le godere della vista sulla città illu minata. Poco lontano dalla ruota il treno di Santa Claus aspetta grandi e piccini, a patto che siano nella lista dei buoni, per accompagnarli tra le vie della città.

Il divertimento è poi assicurato grazie ai giochi della tradizione, tra i quali il più noto è probabil mente knock the elf off the shelf; l’obiettivo del gioco è riuscire a colpire l’elfo seduto sullo scaffale facendolo cadere. Risate garantite anche per coloro che si cimentano nel simpatico gioco chiamato flip santa into the chimney nel quale il giocatore deve aiutare Santa Claus ad infilarsi nel camino per consegnare i regali. Tra le bancherelle che più affascinano i turisti ne compare una presso la quale è possibile acquistare i classici Christmas Jum pers, maglioni noti per non essere all’ultima moda ma sicuramente capaci di strappare un sorriso. È una sfida all’originalità quella che si cela dietro alla tradizione dei maglioni di Natale; numerose sono infatti le fantasie a rendere ciascun maglione buffo a modo suo. Ovviamente, in ogni mercatino che si rispetti, non può mancare il vin brulè, in Irlanda chiamato hot mulled wine, perfetto per le giornate più fredde. Lasciando Galway e spostandosi a Dubli no, la capitale della Repubblica d’Irlanda, è possibile vivere un viaggio nel tempo attraverso i

mercatini organizzati sullo sfondo del castello medievale. Lo storico cortile dell’edificio viene riempito con nume rose bancarelle e animato da cori festivi, spettacoli e un grande carosello per i più piccoli. A differenza del mercato natalizio di Galway, quello di Dublino ha inizio la prima settimana di dicembre ed incanta i suoi visitatori per soli tredici giorni. A Belfast, in Irlanda del nord, ogni anno viene organizzato un mercatino dal carattere internazionale con specialità gastronomiche provenienti da tutto il mondo. A regalare un’atmosfera natalizia con i fiocchi è anche Waterford, città che sorge sulla costa sud-orientale dell’isola, con la sua pista di pattinaggio sul ghiac cio e la cassetta delle lettere di Santa Claus. L’Irlanda è dunque a tutti gli effetti un’isola contraddistinta da clima festoso e spirito natalizio, cifre grazie alle quasi si posiziona tra i paesi da considerare quando si è alla ricerca di un’indimenti cabile vacanza invernale.

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Società e cinematografia di Alice Vettorata

LA BIENNALE D'ARTE DI VENEZIA

Il 23 aprile 2022 è stata inaugurata la Cin quantanovesima edizione della Biennale d’arte di Venezia, evento istituito nel 1893 e divenuto di portata internazionale nell’anno a seguire. Il più recente dato disponibile riguardante l’affluenza alla manifestazione è quello risalente all’edizio ne conclusasi nel 2019, ultimo anno in cui fu possibile organizzarla prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria. Dal sito ufficiale della Biennale in riferi mento al 2019, si evince un’affluenza di 600.000 visitatori. L’interesse nei suoi confronti nel corso degli anni ha subìto a una crescita graduale, diventando un punto di riferimento immancabile sia per coloro che lavorano nel settore artistico sia per gli amanti dell’arte. Per poter affermare se anche quest’anno i numeri dei visitatori sono aumentati sarà doveroso attendere la pubblicazione di questi nei canali ufficiali. Ciò non toglie che The milk of dreams, questo il titolo dell’allestimento terminato lo scorso 27 novembre, abbia sicuramente ottenuto un posto di spicco negli annali della Biennale d’Arte detenendo alcuni primati.

Il suo sviluppo in un periodo storicamen te complesso come quello in cui stiamo

vivendo, ne ha caratterizzato infatti la pro gettazione. Inizialmente in previsione per il 2021, anno in cui invece è stata recuperata la Biennale di Architettura, la direzione artistica della cinquantanovesima edizione è stata assegnata alla curatrice d’arte Cecilia Alemani, divenendo così la prima donna italiana a ricoprire questo incarico. Come dichiarò durante le numerose rassegne stampa e interviste dedicate alla presen tazione della mostra, già nel 2019 decise di allestire la Biennale basandosi su una raccolta di fiabe scritta e illustrata dalla pit trice surrealista Leonora Carrington. Si tratta de “Il latte dei sogni”, testo che presenta in uno stile comico-grottesco alcuni racconti intrisi di mitologia proveniente da diversi continenti, dall’alchimia, dal surrealismo e dal concetto della metamorfosi. Caratteristiche che hanno permeato le storie contenute nel libro, divenendo una ricca fonte d’ispirazione per la direttrice Alemani. "Un mondo magico in cui la vita viene costantemente rivisitata attraverso il prisma dell'imma ginazione, e dove ognuno può cam biare, essere tra sformato, diventare qualcosa o qualcun altro". Questo l’insegnamento che la curatrice ha tratto dal volume, il quale è divenuto il manifesto che ha guidato i parteci panti nella realizza zione delle opere esposte nelle sedi dei Giardini e dell’Arsenale di Ve

nezia. La ricerca di ciascun professionista si è incentrata sull’indagine della relazione tra uomo, natura e tecnologia e come le tre componenti siano in costante mutamento e adattamento. Una metamorfosi continua dettata dal cambiamento climatico, dalle nuove introduzioni tecnologiche e dalla consapevolezza presa nei confronti di come l’essere umano non possa essere in cluso in categorie fisse riguardanti il genere, l’etnia e scelte personali. In questo contesto avviene una presa di coscienza sulle infinite diversità che, dialogando tra loro, possono sfociare in una narrazione variegata e sti molante. L’inclusività si estende inoltre alla comunità LGBTQ+ e all’introduzione della Namibia e della Costa d’Avorio in quanto Stati espositori.

Proprio per quanto riguarda quest’ultimo aspetto si possono notare dei cambiamenti in questa Biennale non solo a livello tema tico, ma anche organizzativo. Le artiste e gli artisti chiamati a portare il loro contributo hanno ribaltato una divisione che fino a

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quest’anno era stata la prassi. Su un totale di 213 partecipanti 191 sono di genere femminile, in controtendenza con le con suetudini della storia della Biennale che ha visto sempre protagonista la componente maschile. Una maggioranza che confluisce in una pluralità e fluidità di punti di vista riscontrabili scoprendo i vari allestimenti dei padiglioni.

Da evidenziare però che, come ha chiarito Cecilia Alemani intervistata da La Repubbli ca, la prevalenza del genere femminile non rende questa la “Biennale delle donne”, dal momento in cui fino ad oggi non ci sono state le “Biennali degli uomini”. Né tantomeno che siano state selezionate più donne in quanto tali e non per le loro abilità e professionalità. Concetti che per diverso tempo sono rimasti sottesi iniziano a prendere voce. Menzionando un esempio di spessore, anche se il mar gine di scelta è molto vasto, gli Stati Uniti vengono rappresentati da Simone Leigh, la prima donna afroamericana ad essere investita di questo incarico che con l’opera dal titolo Brick House si aggiudica il premio Leone d’oro. Un’opera che racchiude in sé denunce alla condizione femminile e al razzismo in un imponente busto di donna che accoglie i visitatori all’ingresso dell’Arsenale. Un’opera dai molteplici significati diviene un eccellente

Società e cinematografia

riassunto di ciò che questa Biennale vuole rappresentare. Non una Biennale femminile bensì, finalmente, completa.

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Società oggi di Francesco Scarano

Festa dell’albero 2022: una promessa, più che una semplice ricorrenza

Novembre è il mese dedicato agli alberi e la nostra peni sola, paradiso europeo della biodiversità botanica, non poteva fare a meno di dedicare una giornata celebrativa ai ‘’polmoni della Terra’’. Molte scuole, di diverso ordine e grado, si sono impegnate su tutto il territorio nazionale a dare un contri buto finalizzato alla realizzazione di nuove aree verdi ed alla valorizzazio ne e cura di quelle già esistenti. L’ evento, difatti, risulta di particola re rilievo se si considera il contesto storico in cui esso si svolge: siamo in uno dei periodi storici più critici per quanto concerne l’ incidenza delle

calamità naturali.

Esondazioni, frane, trombe d’ aria, alluvioni, aumento repentino delle temperature non sono infatti solo orridi scenari di film apocalittici, ma fenomeni abitudinari che scandisco no le nostre stagioni.

Alla base di queste bizzarrie metere ologiche vi è senza dubbio il corro sivo intervento dell’ uomo, essere egoista e mercificatore, il quale basa la propria esistenza sull’ economia. Questo termine ha la stessa radice di ‘’ ecosistema’’: si tratta infatti rispet tivamente della ‘’ legge della casa’’ e del ‘’sistema-casa’’, che pur suo nando alla pronuncia come termini

affini, sono in realtà antitetici, dato che spesso l’ economia, il desiderio di lucrare e produrre profitti, porta alla distruzione della comune ‘’casa’’, ‘’oikia’’.

L’ unico antidoto a questa involuzio ne dell’ umanità potrebbe essere rappresentato, oltre che da una riduzione dei combustibili fossili che liberano anidride carbonica nell’ atmosfera, dalla cura degli alberi, veri e propri filtri capaci di ridurre il bios sido di carbonio libero e di rallentare i cambiamenti climatici. Le specie arboree rappresentano infatti dei veri e propri paladini, aventi come armi le foglie e le radici, come scudo varie

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Società oggi

sostanze come la lignina e la suberina, e come missione quella di difendere il nostro pianeta dalle catastrofi. Numerosi sono i vantaggi apporta ti da questi esseri viventi: oltre ad assorbire anidride carbonica, essi mi gliorano la qualità dell’ aria, evitano lo spreco di acqua filtrando le falde, riducono la corrosione del suolo ed il rischio frane per mezzo dell’ appa rato radicale, offrono zone d’ ombra in città, proteggono dalle raffiche di vento, ospitano varie specie in via d’ estinzione e rendono più accoglienti e rilassanti i centri cittadini. La miscela gassosa che respiriamo, infatti, viene filtrata proprio da questi giganti buoni, i quali aumentano la quantità di ossigeno ed assorbono inquinanti e polveri sottili. Non a caso sono sempre più numerosi gli interventi atti a favorire la nascita di spazi verdi nei centri urbani, dalle

‘’ slum areas’’ ai più recenti palazzi dotati di splendidi giardini pensili, atti ad impermeabilizzare, abbellire ed ossigenare le strutture.

Tra l’ altro l’ albero, nella nostra iconografia, ha da sempre rappresen tato un legame di fede tra Dio e gli uomini, per i credenti, e lo scenario di numerose leggende, come quella delle streghe, o dei malocchi per i più superstiziosi, ma sopratutto la ca pacità di fruttificare, di generare vita. Singolare risulta anche la tendenza in voga negli ultimi anni a piantare una ‘’ capsula mundi’’, ossia un’ urna di ceneri del defunto accolta nelle radici di una specie arborea, a simboleg giare la vita eterna che passa dalla sostanza organica della salma all’ apparato radicale del longevo essere vegetale, un po' come accade per la simbologia del cipresso, albero dei cimiteri‘’ sempervirens’’, semprever

de, che rappresenta l’ immortalità delle anime dopo la dipartita dal corpo.

Se l’ albero dunque rappresenta un simbolo antico e diffuso, è pur vero che la sua importanza è particolar mente evidente negli ultimi anni, quando esso può assurgere ad un ennesimo simbolo, quello di salvato re.

Se l’ Italia può vantare ben 21 miliardi di alberi, secondo i rilevamenti GPS del corpo forestale, l’ impegno e la promessa più grande che ogni citta dino potrebbe fare per non rendere vana questa festività, accanto a quelle espresse dalle istituzioni, sarebbe quella di aumentarne il numero e di rispettare quelli già esistenti, ricor dando che valgono più come filtri che come mensole o taglieri, perché delle suppellettili si può far a meno, ma dell’ ossigeno?

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Il VISCHIO È IL SIMBOLO PORTAFORTUNA DI CAPODANNO

La leggenda del vischio

Il vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter pren dere sonno. Gli affari, quel giorno, erano andati benissi mo: comprando a dieci, ven dendo a venti, aveva fatto un bel mucchietto di denari. Si alzò e li volle contare. Erano monete passate chissà in quante mani, guadagnate chissà con quanta fatica. Ma quelle mani e quella fatica a lui non dicevano niente. Non potendo dormire uscì di casa e vide gente che veniva da tutte le parti e andava verso lo stesso luogo. Pareva che tutti si fossero passati parola per par tecipare a una festa. Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò: “Fratello, gli gridarono, non vieni con noi”? Fratello, a me? Ma chi erano questi matti? Lui non aveva fratelli. Era un mercante e per lui non

c'erano che clienti. Ma dove andavano?

Si mosse un po’ incuriosito ma si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli. Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli, pensò. Ma il suo cuore gli sussurrava che non poteva essere un loro fratello. Quante volte li aveva ingannati!? Comprava a dieci e rivendeva a venti. E rubava sul peso. E piangeva miseria per vender ancora

più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare. No, lui non poteva essere fratello di quella povera gente che aveva sempre sfruttato, ingannata, tradita. Eppure tutti gli cammina vano a fianco. Ed era giun to, con loro, davanti alla Grotta di Betlemme. Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote. Anche i poveri avevano qualcosa. E lui che era ricco, niente. Entrò nella grotta insieme con gli altri. S'inginocchiò insieme a loro e scoppiò in pianto. E piangendo lentamente il suo cuore cambiò. Alla prima luce dell'al ba quelle lacrime splendettero in mezzo a delle foglioline. Sembravano piccole perle lucenti. E così per incanto, era nato il vischio. (m.p.)

Nella notte di Capodanno e nel corso delle festività natalizie, il vischio non manca in nessuna casa. E’ una pianta portafortuna e di buon auspicio sotto cui scambiarsi baci e auguri. Il vischio è un piccolo arbusto, sempreverde, i cui rametti, carichi di bacche bianche o gialle, vengono utilizzati per addobbare porte o creare decorazioni. www.bravoabbigliamento.it

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Natale e Arte di Eleonora Mezzanotte

La Natività nell’arte: la magia del presepe

Nella storia dell’arte, ricchissimi sono gli esempi di pitture e sculture raffiguranti la scena della natività, ovvero l’immagine sacra della nascita di Gesù nella capanna, tra Maria e Giuseppe, il bue e l’asinello e i tre Re magi recanti doni al Messia. L’iconografia si ispira ai versetti riportati dai vangeli di Matteo e Luca, cosiddetti “dell’infanzia”,

nei quali viene descritta la nascita di Gesù a Betlemme in Giudea, al tempo di Erode.

Primi esempi di immagini sacre riportanti il tema della natività le troviamo nelle catacombe di epoca romana, quando i primi cristiani erano costretti a professare la loro fede religiosa in clandestinità. Sulle pareti delle catacombe si sono

conservate semplici immagini devo zionali di Maria che tiene in grembo il neonato Gesù. Dopo l’editto di Costan tino del 311 d.C. che poneva fine alle persecuzioni dei cristiani per mano dei pagani e che legittimava il Cristianesimo, i cristiani poterono venerare liberamente il proprio Dio anche attraverso la rappre sentazione iconografica dei personaggi sacri: le chiese co minciarono ad essere decorate con scene della vita di Cristo e dei Santi.

La Natività, assieme ad episodi salienti della vita di Cristo e alla Passione, è sicuramente uno dei temi maggiormente indagati dagli artisti nel corso dei secoli: dagli infiniti esempi medievali, tratti dalla decorazione di chiese e luoghi sacri, agli esempi più recenti e più mirabili di Natività in arte. Per citarne al cuni: Giotto con la sua meravigliosa Natività nella cappella degli Scrovegni a Padova del 1304, Domenico Ghirlandaio con la sua Adorazione del bambino del 1492, Botticelli con la sua Natività mistica del 1501, ricca di spunti iconografici e motivi allegorici, Giorgione con Natività Allen dale del 1505, fino a Caravaggio con la sua Natività del 1600,

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carica di pathos cromatico e vibrante realismo. Si potrebbe andare avanti con infinite citazioni. La trasposizione del tema dalla pittura alla scultura viene an che soprattutto attraverso la pratica del presepe, con le prime rappresentazioni scultoree nel corso del XII secolo.

Come tutti sappiamo, il primo che diede vita alla rappresentazione vivente del presepe fu San Francesco, il quale nel 1223 volle portare in scena la Natività, dopo aver visitato in pellegrinaggio i luoghi della vita di Gesù in Palestina, rimanendone estremamente colpito. Tornato dalla Palestina, chiese a Papa Onofrio III il permesso di poter realizza re tale rappresentazione; questi accon sentì alla richiesta con l’unico vincolo di non portare in scena la Natività all'inter no della chiesa, poiché la regola di quel tempo non lo permetteva. Francesco allora riprodusse la sua idea all’aperto, per le strade di Greccio, un paesino nei pressi di Rieti. Curioso è il fatto che in

questo che viene considerato il primo presepe vivente della storia, non vi trovarono posto né Maria né Giuseppe. Solo una mangiatoia con un bambino in fasce che la leggenda vuole essere ap parso mentre il santo celebrava la messa. L’intera scena era illuminata da torce tenute in mano dai frati.

Tra le prime rappresentazioni scultoree della Natività c’è il presepe di Arnol fo di Cambio, che nel 1283 scolpì le statue dei personaggi sacri, creando di fatto i presupposti per la tradizione del presepe come oggi lo conosciamo. Il presepe di Arnolfo di Cambio è tuttora visibile e conservato nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. La pratica del presepe, in seguito alla celebrazione vivente voluta da San Francesco e ai pri mi prodotti scultori che ne veicolarono il significato e i valori, prese sempre più piede nella penisola italiana, prima in To scana e in Emilia, per arrivare nel corso del XV secolo nel Regno di Napoli, fino

ad uscire dai confini nazionali e trovare terreno fertile per nuove ed ulteriori interpretazioni transalpine.

La sacra rappresentazione della Natività, soprattutto sotto forma di statuette di piccole dimensioni, diventò sempre più comune, prassi rispettata anche nelle case dei signori all'epoca del concilio di Trento (1545-1563), benevolmen te accettata da Papa Paolo III. Oggi il presepe è presente nelle case di tutti noi e ci accompagna fino a Natale. Il momento in cui si compone il presepe è un momento magico per grandi e piccini, di condivisione, di riconciliazione con la famiglia, di rievocazione di felici ricordi. D’altronde il Natale porta con sé la bellezza delle feste e delle luci, ma soprattutto ci fa capire l’importanza dello stare con i propri cari, i valori della famiglia e dell’amicizia, il ricordo di quei Natali trascorsi con i nonni o i genitori a scartare regali, a giocare a tombola. Tutti attorno ad un focolare, tutti felici.

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QUANDO ARRIVA LA CASTITÀ

La fantasia, la storia e talvolta la cronaca ci raccontano di epoche lontane con società dai costumi sessuali liberi. I dipinti sui crateri greci, le cene di Trimalcione in Satyricon, i racconti delle Mille e una Notte, le novelle di Canterbury, le avventure di Boccaccio nei tempi della peste, sono scene di vita dove sentimenti romantici s'intrecciano con la cruda realtà descrit ta in modo realistico nelle poesie di Gioacchino Belli. Queste e molte altre erano le letture proibite della gioventù del Novecento che non fu emancipata nemmeno dal cinema oggetto di cen sure sotto la cui scure caddero i film di Fellini, Bertolucci e Pasolini. Il sesso questo sconosciuto. Ora che la censura è stata censurata, che la televisione offre film di ogni genere a qualsiasi ora, dovremmo ritrovarci in un mondo di sporcaccioni, guardoni, pervertiti. In parte è vero ma non più vero di cento anni fa quando i bordelli tenevano al "chiuso" il sesso e i giovani, scoprivano l'altro sesso dopo il matrimonio. Come accadde perfino a Romeo e Giulietta segretamente sposati da frate Lorenzo.

E oggi, quando tutte le barriere sono cadute che cosa accade? Da una parte si diffondono modelli e comporta menti erotici. La fondazione Foresta di Padova scrive che l'89 per cento dei giovani segue influencer super erotiche e la la vendita dei sex Toy è aumentata del 227 per cento. Tuttavia proprio la sovraesposizione crea una delle previsioni dei sociologi degli anni Sessanta del Novecento: arriva la catarsi. La frequentazione delle imma gini e del sesso ne riduce l'attrazione. Lo scandalo non fa più scandalo. Sembra che oggi siano in molti a considerare il sesso sopravvalutato. Soprattutto fra i giovani. l'Ultimo rapporto CensisBayer sul comporta mento sessuale degli italiani (2019) ha evidenziato che 1milione 600 mila persone con età compresa fra i 18 e i 40 anni, non avevano mai avuto un rapporto sessuale completo. Pare che gli asessuati siano fra l'1 e il 2 per cento della popolazione. Sembra infine che l'eccesso di sesso abbia portato all'a stensione sessuale.

Gli astenuti dal sesso ci sono sempre stati ma oggi ci sono meno problemi a rivelarlo. I testimonial non mancano. Brad Pitt dichiara che dopo essersi lasciato con Angiolina Jolie non ha praticato sesso per un anno.(Get ty-Corriere della sera).

Adriana Lima 41 anni, dichiara di avere atteso il matrimonio per ave re il primo rapporto sessuale. Giulia Stabile 19 anni, ballerina, vincitrice di uno show televisivo alla doman da di quando e come ha avuto il primo rapporto sessuale risponde: " Non c'è ancora stato". Naturalmente nessuno ha intenzio ne di emulare gli impegni assunti dai religiosi cattolici, castità per i sacerdoti e verginità, cioè astensio ne totale per le donne che rinno vano i voti delle vestali romane.

Tuttavia la castità, molto più frequente, viene scelta per motivi diversi. Come Brad Pitt quando non c'è un partner o dalle regole, vere o presunte della preparazione sportiva, oppure come abbiamo visto per motivi morali e religiosi. Un recente documento del Vaticano invia i giovani ad astenersi dal sesso prima del matrimonio. Non è una novità anzi, è uno dei principi fondanti della Chiesa Cattolica, ma ha sorpreso non poco come una "voce che predi ca nel deserto". Già nell'Ottocento il filosofo Fredrich Nietzsche dichiarava che "la castità è contro natura. Ogni disprezzo della vita sessuale, scriveva, ogni contaminazione della stessa con il concetto di impuro è il vero e proprio peccato contro il sacro spirito della vita". Il che non era un invito al disprez zo della morale ma il suggerimento a non demonizzare quelli che in fondo sono i doni di Dio. Anzi a valorizzarli, visto che in fondo, forse ancora per poco, sono l'unico modo che le specie animali hanno per riprodursi. In tutta questa controversia è ancora da preferire quanto avrebbe affermato sant'Agostino, insospettabile servo di Dio, " Signore dammi castità e conti nenza. Ma non subito".

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La guerra si ferma di Elisa Corni Cento anni fa la Tregua di Natale

Centosette anni fa, nel dicem bre del 1915, da più di un anno il mondo intero era scosso dalla prima guerra moderna. Milioni di uomini si fronteggiavano armati dei più moderni strumenti di morte.

Un conflitto che ben presto si trasfor mò in una guerra lenta e inumana, fatta di paura, di logoramento e di condizioni di vita disumane. Nelle trincee si aspettava di uccidere o di morire. Eppure fu proprio lungo le trincee del forte occidentale che, nel Natale del 1914 avvenne il miracolo: la Tregua di Natale. Con l’arrivo dell’inverno e la fine della prima battaglia di Ypres le truppe tedesche e quelle inglesi si trovavano ferme lungo il fronte delle Fiandre. La guerra di movimento si era inesorabilmente tramutata in guerra di posizione. Erano passati pochi mesi dall’inizio del conflitto, eppure i caduti avevano già supe

rato il milione, giovani uomini le cui vite erano state spezzate con una violenza inaspettata. E i settecento chilometri di trincee che correvano dal Mare del Nord alle Alpi erano l’unico umido rifugio dall’odioso nemico, dipinto con colori truci dalla propaganda.

Proprio per questo quanto accadde il 24 dicembre di quel nevoso 1914 lasciò tutti sbigottiti. Dal silenzio della terra di nessuno, una alla volta, si innalzarono le voci dei soldati che cantavano inni nata lizi e si scambiavano auguri da un lato all’altro del fronte. Lungo i parapetti delle trincee compar vero candele e altre decorazioni. Poi un cartello venne alzato dalla trincea tedesca:

“noi non spariamo, voi non sparate” riportava semplice mente. Un gesto che fece, come si dice, scoppiare la pace. Per un po’ tutte le Fiandre tacquero e non si udirono più colpi d’arma da fuoco ma solo canti e risa. Addirittura tra sassoni e scozzesi ebbe luogo la celeberrima partita di calcio, ben narrata dal tenente Johannes Niemann nel suo diario. “Un camerata entrò di corsa nel mio ricovero dicendomi che soldati tedeschi e scozzesi erano usciti dalle loro trincee fraternizzavano tra loro lungo la linea del fronte. Afferrai il mio binocolo e, guardando con cautela, vidi l’incredibile scena dei nostri soldati che si stavano scam biando sigarette, grappa e cioccolata con il nemico. Più tardi comparve un soldato scozzese con un pallone da calcio e pochi minuti dopo si disputò una vera partita di calcio”. Era il 25

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dicembre 1914, nella terra di nessu no tra Basseville e St. Yvon. Il soldato inglese e noto fumettista Bruce Bairnsfather, testimone degli avvenimenti, scrisse nelle sue memo rie: "Non dimenticherò quello strano e unico giorno di Natale per niente al mondo... Notai un ufficiale tedesco, una specie di tenente credo, ed es sendo io un po' collezionista gli dissi che avevo perso la testa per alcuni dei suoi bottoni della divisa... Presi la mia tronchesina e, con pochi abili colpi, tagliai un paio dei suoi bottoni e me li misi in tasca. Poi gli diedi due dei miei bottoni in cambio".

Nei giorni successivi inglesi e tedeschi deposero le armi lungo tutto il fronte occiden tale. Recuperarono i cadaveri dei loro compagni, improv visarono momenti conviviali con il nemico, fecero pausa dalla guerra. Forse spinti dal la necessità di rinforzare le proprie difese in vista della ripresa del conflitto la prima vera successiva, forse spe

La guerra si ferma

rando che la guerra finisse lì, migliaia di uomini smisero di combattere.

La stampa dell’epoca si trovava nell’imba razzante situazione di dover riportare i fatti.

Però la guerra era an cora in corso, e così i fronti interni vennero tenuti all’oscuro.

Finché il 31 dicembre il New York Times pubblicò la notizia. Da quel momento in poi nessuna testata del Vecchio Conti nente poté esimersi dal dare la notizia.

Primo tra tutti The Daily Mirror, che pubblicò le famose fotografie scatta te dal fuciliere inglese Turner. Se l’opinione pubblica accolse anche con entusiasmo quanto accaduto, lo stesso non avvenne nei reparti. Nes sun accordo ufficiale era stato siglato, eppure oltre 100 mila uomini disob bedirono agli ordini. Le ripercussioni non furono però così dure: per lo più ufficiali e sottufficiali vennero degradati. In quel momento, pro babilmente, tutti speravano che di

lì a qualche mese la guerra sarebbe finita. Ma non andò così. Il conflitto anzi si inasprì, e così, il Natale suc cessivo, quello del 1915, fu tutt’altro che ricco di festeggiamenti. Ufficiali e soldati non deposero le armi. Gli ordini erano precisi, nessuna tregua con il nemico. Le minacce di punizio ni molto severe fecero sì che, cento anni fa, il fronte non fu luogo di pace e di tregua, ma anche durante le feste rimase un luogo di guerra. Nell’immaginario collettivo la Tregua di Natale occupa un posto saldo. Grazie alle lettere, ai racconti, ai diari e alle fotografie. Come quelle del fuciliere Turner. Dalle pagine del suo diario sono scaturiti romanzi, video e spettacoli teatrali. Come “Quin to non uccidere”, uno spettacolo multimediale nel quale attraverso le musiche originali di Andrea Lorusso, i testi di Giliola Galvani e i suggestivi disegni di Marco Filippone la Tregua di Natale va in scena. Lo spettacolo, già proposto con successo la scorsa estate a Vigolo, andrà in scena la sera dell’11 dicembre presso il Forte delle Benne di Levico Terme. Per non dimenticare la “Piccola Pace nella Grande Guerra”.

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Una piccola "grande donna" di Armando Munaò

Santa Madre Teresa di Calcutta: fu d'esempio per tutto il mondo

L’intera vita e l’opera della piccola “grande donna”, premio Nobel per la pace nel 1979, offrirono al mondo intero la più grande testimonianza della gioia di amare il prossimo.

Il 5 settembre 1997 moriva Madre Teresa di Calcutta. Di conformazione minuta, ma di fede salda quanto la roccia, a Lei fu affidata la missione di proclamare l’amore assetato di Gesù per l’umanità, specialmente per i più poveri tra i poveri. Era un’anima piena della luce di Cristo, infiammata di amore per Lui e con un solo, ardente desiderio: “sa ziare la Sua sete di amore per le anime”. Lei diceva: “Sono albanese di sangue, indiana di cittadinanza. Per quel che attiene alla mia fede, sono una suora cattolica. Secondo la mia vocazione, appartengo al mondo. Ma per quanto riguarda il mio cuore, appartengo intera mente al Cuore di Gesù”.

Madre Teresa nacque il 26 agosto 1910 a Skopje, città situata al punto d’incrocio della storia dei Balcani. La più picco la dei cinque figli di Nikola e Drane Bojaxhiu, fu battezzata Gonxha Agnes, ricevette la Prima Comunione all’età di cinque anni e mezzo e fu cresimata nel novembre 1916. Dal giorno della Prima Comunione l’amore per le anime entrò nel suo cuore. L’improvvisa morte del padre, avvenuta quando Agnes aveva circa otto anni, lasciò la famiglia in diffi coltà finanziarie.

Drane allevò i figli con fermezza e amore, influenzando notevolmente il carattere e la vocazione della figlia. La formazione religiosa di Gonxha fu rafforzata ulteriormente dalla vivace parrocchia gesuita del Sacro Cuore, in cui era attivamente impegnata. All’età

di diciotto anni, mossa dal desiderio di diventare missionaria, Gonxha lasciò la sua casa nel settembre 1928, per entrare nell’Istituto della Beata Vergine Maria, conosciuto come “Le Suore di Loreto”, in Irlanda. Lì ricevette il nome di suor Mary Teresa, come Santa Teresa di Lisieux. In dicembre partì per l’India, arrivando a Calcutta il 6 gennaio 1929. Dopo la Pro fessione dei voti temporanei nel mag gio 1931, Suor Teresa venne mandata presso la comunità di Loreto a Entally e insegnò nella scuola per ragazze, St. Mary. Il 24 maggio 1937 suor Teresa fece la Professione dei voti perpetui, divenendo, come lei stessa disse: “la sposa di Gesù” per “tutta l’eternità”. Da quel giorno fu sempre chiamata Madre Teresa. Continuò a insegnare a St. Mary e nel 1944 divenne la direttrice della scuola. Persona di profonda preghiera e amore intenso per le consorelle e per le sue allieve, Madre Teresa trascorse i venti anni della sua vita a “Loreto” con grande felicità. Conosciuta per la sua carità, per la generosità e il coraggio, per la propen sione al duro lavoro e per l’attitudine naturale all’organizzazione, visse la sua consacrazione a Gesù, tra le consorel le, con fedeltà e gioia. Il 10 settembre 1946, durante il viaggio in treno da Calcutta a Darjeeling per il ritiro annuale, Madre Teresa ricevette l’“ispirazione”, la sua “chiamata nella chiamata” e da quel giorno la sete di Gesù per amore e per le anime si impossessò del suo cuore.

Nel corso delle settimane e dei mesi successivi, per mezzo di locuzioni e visio ni interiori, Gesù le rivelò il desiderio del suo Cuore per “vittime d’amore” che avrebbero “irradiato il suo amore sulle anime”. ”Vieni, sii la mia luce”, la pregò. “Non posso andare da solo”. Le rivelò la sua sofferenza nel vedere l’incuria verso i poveri, il suo dolore per non essere conosciuto da loro e il suo ardente desiderio per il loro amore. Gesù chiese a Madre Teresa di fondare una comu nità religiosa, le Missionarie della Carità, dedite al servizio dei più poveri tra i poveri. Circa due anni di discernimento e verifiche trascorsero prima che Madre Teresa ottenesse il permesso di comin ciare la sua nuova missione.

Il 17 agosto 1948, a 37 anni, Suor Teresa indossa per la prima volta un "sari" (veste tradizionale delle donne indiane) bianco di un cotonato grezzo, ornato con un bordino azzurro, i colori

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Una piccola "grande donna"

della Vergine Maria, e comincia la sua “grande” missione. Dopo un breve corso con le Suore Mediche Missionarie a Patna, Madre Teresa rientrò a Calcutta e trovò un alloggio temporaneo pres so le Piccole Sorelle dei Poveri. Il 21 dicembre andò per la prima volta nei sobborghi: visitò famiglie, lavò le ferite di alcuni bambini, si prese cura di un uomo anziano che giaceva ammalato sulla strada e di una donna che stava mo rendo di fame e di tubercolosi. Iniziava ogni giornata con Gesù nell’Eucaristia e usciva con la corona del Rosario tra le mani, per cercare e servire Lui in coloro che sono “non voluti, non amati, non curati”. Durante l'inverno del 1952, un giorno in cui va cercando poveri, trova una donna che agonizza per la strada, troppo debole per lottare contro i topi che le stavano rodendo le dita dei piedi. La prende e la porta all'ospedale più vicino, dove, dopo molte difficoltà, la moribonda viene accettata. A Suor Teresa viene allora l'idea di chiedere all'amministrazione comunale l'attribuzione di un locale per accogliervi gli agonizzanti abbandonati. Oltre alla

vita che si spegne la fondatrice guarda anche alla vita nascente con l'apertura della Casa dei bambini, Shishu bhavan, dove accoglie i bambini abbandonati, trovati spesso nei bidoni della spazzatu ra. Molti progetti della Madre si vanno realizzando ma manca forse quello più ambizioso: togliere i lebbrosi, i suoi figli prediletti come li definisce, dagli slum. Va ogni giorno a trovarli e curarli nelle loro misere baracche ma spera di costruire per loro una città. Sa già che la costruirà sul terreno di Asansol donatole dal governo, che dovranno abitarci 400 famiglie di lebbrosi e che la chiamerà "Città della Pace", Chantinabal, ma le manca il danaro. Grazie ad aiuti e premi, il villaggio della pace viene edificato. All'interno della città ci sono i negozi, i giardini, l'ufficio postale e le scuole. Alcuni mesi più tardi si unirono a lei, l’una dopo

l’altra, alcune sue ex allieve. Il 7 ottobre 1950 la nuova Congregazione delle Mis sionarie della Carità veniva riconosciuta ufficialmente nell’Arcidiocesi di Calcutta. Agli inizi del 1960 Madre Teresa iniziò a inviare le sue sorelle in altre parti dell’In dia. Il Diritto Pontificio concesso alla Congregazione dal Papa Paolo VI nel febbraio 1965 la incoraggiò ad aprire una casa di missione in Venezuela. Ad essa seguirono subito altre fondazioni a Roma e in Tanzania e, successivamente, in tutti i continenti. A cominciare dal 1980 fino al 1990, Madre Teresa aprì case di missione in quasi tutti i paesi comunisti, inclusa l’ex Unione Sovietica, l'Albania e Cuba. Per rispondere meglio alle necessità dei poveri, sia fisiche, sia spirituali, Madre Teresa fondò nel 1963 i Fratelli Missionari della Carità; nel 1976 il Ramo contemplativo delle sorelle, nel 1979 i Fratelli contemplativi, e nel 1984 i Padri Missionari della Carità. Tuttavia la sua ispirazione non si limitò soltanto alle vocazioni religiose. Formò i Collabora tori di Madre Teresa e i Collaboratori Ammalati e Sofferenti, persone di diver se confessioni di fede e nazionalità con cui condivise il suo spirito di preghiera, semplicità, sacrificio e il suo apostolato di umili opere d’amore. Questo spirito successivamente portò alla fondazione dei Missionari della Ca rità Laici. In risposta alla richiesta di molti sacerdoti, nel 1991 Madre Teresa dette vita anche al Movimento Corpus Christi per Sacerdoti come una “piccola via per

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la santità” per coloro che desideravano condividere il suo carisma e spirito. In questi anni di rapida espansione della sua missione, il mondo cominciò a rivol gere l’attenzione verso Madre Teresa e l’opera che aveva avviato. Numerose onorificenze, a cominciare dal Premio indiano Padmashri nel 1962, del Premio Balzan(1979) e dal rilevante Premio No bel per la Pace nel 1979, dettero onore alla sua opera, mentre i media comincia rono a seguire le sue attività con interes se sempre più crescente. Tutto ricevette, sia i riconoscimenti sia le attenzioni, “per la gloria di Dio e in nome dei poveri”. Nel 1989 viene proclamata donna dell'anno. L’intera vita e l’opera di Ma dre Teresa offrirono testimonianza della gioia di amare, della grandezza e della dignità di ogni essere umano, del valore delle piccole cose fatte fedelmente e con amore, e dell’incomparabile valore dell’amicizia con Dio. Ma vi fu un altro aspetto eroico di questa grande donna di cui si venne a conoscenza solo dopo la sua morte. Nascosta agli occhi di tutti, nascosta persino a coloro che le stettero più vicino, la sua vita interiore fu contras segnata dall’esperienza di una profonda, dolorosa e permanente sensazione di essere separata da Dio, addirittura rifiutata da Lui, assieme ad un crescente desiderio di Lui. Chiamò la sua prova interiore: “l’oscurità”. La “dolorosa notte” della sua anima, che ebbe inizio intorno

Una piccola "grande donna"

al periodo in cui aveva cominciato il suo apo stolato con i poveri e per durò tutta la vita, condusse Madre Teresa a un’unione ancora più profonda con Dio. Attraver so l’oscurità partecipò misticamente

alla sete di Gesù, al suo desiderio, dolo roso e ardente, di amore, e condivise la desolazione interiore dei poveri. Durante gli ultimi anni della sua vita, nonostante i crescenti seri problemi di salute, Madre Teresa continuò a guidare la sua Congregazione e a rispondere alle necessità dei poveri e della Chiesa. Il profumo della carità di Madre Teresa ha raggiunto ormai i cinque continenti dove sono presenti più di 4000 dei suoi religiosi e religiose: in India le case sono 150, in altri paesi dell'Asia 30, in Oceania 10, in Europa 45, nelle Americhe 52 e in Africa 30. Nel marzo 1997 benedis se la neo-eletta nuova Supe riora Generale delle Missiona rie della Carità e fece ancora un viaggio all’estero.

Dopo avere incontrato papa Giovanni Paolo II per l’ultima volta, rientrò a Calcutta e tra scorse le ultime

settimane di vita ricevendo visitatori e istruendo le consorelle. Il 5 settembre 1997 la vita terrena di Madre Teresa giunse al termine. Le fu dato l’onore dei funerali di Stato da parte del Governo indiano e il suo corpo fu seppellito nella Casa Madre delle Missionarie della Carità. La sua tomba divenne ben presto luogo di pellegrinaggi e di preghiera per gente di ogni credo, poveri e ricchi, senza distinzione alcuna.

Madre Teresa ci lascia un testamento di fede incrollabile, speranza invincibile e straordinaria carità. La sua risposta alla richiesta di Gesù: “Vieni, sii la mia luce”, la rese Missionaria della Carità, “Madre per i poveri”, simbolo di compassione per il mondo e testimone vivente dell’amo re assetato di Dio. Meno di due anni dopo la sua morte, a causa della diffusa fama di santità e delle grazie ottenute per sua intercessione, il papa Giovanni Paolo II permise l’apertura della Causa di Canonizzazione. Il 20 dicembre 2002 approvò i decreti sulle sue virtù eroiche e sui miracoli. È stata proclamata beata da papa Giovanni Paolo II il 19 ottobre 2003 e santa da papa Francesco il 4 settembre 2016.

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«“Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti”. Queste parole di Gesù ai discepoli indi cano quale sia il cammino che conduce alla“grandezza” evangelica. E' la strada che Cristo stesso ha percorso fino alla Croce; un itinerario di amore e di ser vizio, che capovolge ogni logica umana. Essere il servo di tutti!

Da questa logica si è lasciata guidare chi oggi ho la gioia di iscrivere nell’Albo dei Beati. Essa si recava ovunque per servire Cristo nei più poveri fra i poveri. Nemmeno i conflitti e le guerre riusci vano a fermarla. Ogni tanto veniva a parlarmi delle sue esperienze a servizio dei valori evangelici. Ricordo, ad esem

pio, i suoi interventi a favore della vita e contro l’aborto, anche in occasione del conferimento del Premio Nobel per la pace (Oslo, 10 dicembre 1979). Soleva dire: “Se sentite che qualche donna non vuole tenere il suo bambino e desidera abortire, cercate di convincerla a portar mi quel bimbo. Io lo amerò, vedendo in lui il segno dell’amore di Dio”.

La vita di Madre Teresa è una testimo nianza della dignità e del privilegio del servizio umile. Ella aveva scelto di non essere solo la più piccola, ma la serva dei più piccoli e, come madre autentica per i bisognosi, si è chinata verso coloro che soffrivano diverse forme di povertà. La sua vita è stata una vera proclamazione

del Vangelo. Il grido di Gesù sulla croce, "Ho sete" che espri me la profondità del desiderio di Dio dell'uomo, è penetrato nell'anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore. Placare la sete di amore e di anime di Gesù era divenuto il solo scopo dell'e sistenza di Madre Teresa, e la forza interiore che le faceva superare sé stessa e "andare di fretta" da una parte all'altra del mondo al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazio ne dei più poveri tra i poveri. "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di que sti miei fratelli più piccoli, l'a vete fatto a me". Questo passo del Vangelo, così fondamentale per comprendere il servizio di Madre Teresa ai poveri, era alla base della sua convinzione, piena di fede, che nel toccare i corpi deperiti dei poveri toc cava il corpo di Cristo. Era a Gesù stesso, nascosto sotto le vesti angoscianti dei più poveri tra i poveri, che era diretto il suo servizio. Un servizio che, per Madre Teresa, è sempre stato un atto d'amore fatto agli affamati, agli assetati, agli stra nieri, a chi è nudo, malato, prigioniero. Questa piccola “grande donna” deside rava essere un "segno dell'amore di Dio, della sua presenza e nel contempo umi le messaggera del Vangelo e infaticabile benefattrice dell’umanità. Onoriamo in lei una delle personalità più rilevanti della nostra epoca. Accogliamone il mes saggio e seguiamone l’esempio.»

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Di seguito pubblichiamo parte dell'omelia tenuta Domenica 19 Ottobre 2003 (Giornata Missionaria Mondiale) da papa Giovanni Paolo II, in occasione della beatificazione di Madre Teresa di Calcutta. Una piccola "grande donna"

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Zanelladesign3d è un’azienda che si occupa di consulenza e progettazione meccanica. Nello specifico automazioni, attrezzature, macchine speciali e sviluppo di prodotto. Attualmente il nostro team si compone di tre persone operanti presso il nostro spazio di Soranzen, nello stabile occupato un tempo dal bocciodromo.

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Arte e tradizione CESIOMAGGIORE

Ha sicuramente origini romane il comune bellunese di Cesiomag giore in veneto Zes) il cui toponi mo potrebbe derivare dalla gens Caesia la quale vanta il poeta latino Cesio Basso vissuto nel primo secolo dopo Cristo. Nobile origine e altrettanto nobile storia per questo centro di poco meno di 4000 abitanti che si pregia fra l'altro un museo etnografico e un altro singolare della bicicletta.

A tracciare il suo territorio situato nel Fel trino orientale (Valbelluna) è il fiume Piave protagonista,suo malgrado, della Grande Guerra.

Cesio, nome originale del comune a cui dopo la unificazione all'Italia nel 1866 fu aggiunto l'aggettivo maggiore per distinguerlo da un omonimo situato nella provincia di Imperia, dista da Feltre, muni cipium optime jure, circa 12 chilometri e 18 da Belluno capoluogo della Provincia. Reperti archeologici testimoniano la presenza del popolo dei Reti in epoca preromana mentre quest'ultima è attestata dalle tracce sopravvissute della strada Claudia Augusta, voluta dall'imperatore Claudio, testimoniata anche da un cippo

NOTA DI REDAZIONE

monumentale del 47 d.c.

La cultura e l'economia hanno ruotato sempre attorno a Feltre centro prevalente della cultura e amministrazione romana, ma la terra fertile ha attirato gli appetiti di alcune famiglie nobili della zona e dintorni i cui membri nel medioevo hanno rico perto cariche amministrative nei villaggi. La storia non è caratterizzata da grandi scontri ma il periodo più pacifico fu certa mente quello della dominazione vene ziana a cui Cesio fu sottomessa, assieme a Feltre nel 1404. L'atto di sottomissione con la consegna delle chiavi della città all'am

basciatore veneziano è ricordata ancora oggi nel palio di Feltre. Con la caduta di Venezia e il periodo napoleonico Cesio, come altri centri dell'ex dominio austriaco, acquisì una relativa autonomia. Questo fino al 1866 quando venne annessa al regno d'Italia. Cesiomaggiore, come tutto il territorio del Piave, fu sconvolto dalle vicende belliche della prima Guerra mon diale e fra queste la carestia. Il 1917 anno della controffensiva austro-germanica fu battezzato "l'an de la fam".

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Nei precedenti Speciali, riservati ai vari Comuni, abbiamo sempre pubblicato l'intervista al sindaco. Nel caso di Cesiomaggiore, il primo cittadino, Carlo Zanella, seppure moltissime volte da noi contattato, non è riuscito a trovare il necessario tempo per dialoga re con noi. Quanto sopra per doverosa informazione - Prof. Armando Munaò - Direttore responsabile

SPECIALE CESIOMAGGIORE

IL PATRIMONIO NATURALISTICO E ARTISTICO

Cesiomaggiore ha un patrimo nio naturalistico importantissi mo protetto dal Parco Nazio nale delle Dolomiti bellunesi. Vanta una altrettanto grande ricchezza ar tistica. In un'area di soli 82 chilometri quadrati insistono 14 frazioni e una ventina fra cappelle votive e chiese. Fra queste la Pieve arcipretale dedi cata a santa Maria Maggiore, le cui prime notizie risalgono all'anno mille. Più volte rimaneggiata e arricchita si

presenta nella forma attuale con la ricostruzione in stile neoclassico del 1785 con una fonte battesimale del 1483. Alcune tele di scuola veneta di buona fattura arricchiscono l'insieme. Una citazione e visita particolare merita la chiesetta della Madonnetta a Pez, frazione di Cesiomaggiore, inserita nei percorsi della Fede. Dell'esistenza di questa chiesetta ci sono notizie fin dal 1500 ma a ren derla particolarmente interessante

è la presenza di un affresco della Madonna con bambino. Vuole la tradizione che la cappella e la successiva chiesa sorgano nel luogo dove è apparsa la Madonna. Come per analoghe apparizioni a Caravaggio nel bergamasco, a Bosentino (Madonna del Feles) in Trentino, in occasio ne dell'apparizione ci fu lo scaturire di un rivolo d'acqua simbolo della purezza. L'im magine sacra e l'acqua sono ritenuti miracolosi. Un percorso storico e arti stico non può prescindere dal visitare alcune belle case e fra questa villa Tauro detta delle Centenere, edificata nel XVII secolo dalla omonima famiglia, contenente reperti archeologici di età romana con il cippo con cui si ricorda la costruzione della citata via Claudia Augusta Altinate. Importanti i due musei: della bicicletta a Cesio con la collezione di Sergio Sanvido ed etnografico provinciale di Seravella sulla strada di santa Giustina.

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Soranzen è una frazione del co mune di Cesio maggiore. Assolata borgata d'altri tempi posata su un alto ripiano all'imboc co della Val Canzoi, Sorazen ha trecen tocinquanta abitanti, la chiesa-parrocchia dedicata a san Pietro apostolo e la Pro Loco. Proprio quest'ultima associazione di vo lontariato legata alla comunità ha una funzione fondamentale per la promozio ne del territorio caratterizzato da vasti panorami sulla Val Belluna e sulla Conca Feltrina. La Pro Loco svolge attività no profit sia in autonomia che in collaborazione con altre associazioni presenti sul territorio cesolino di cui è impor tante centro di aggregazione.

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La sua nascita è stata fortemente voluta dalla popolazione. Quando è nata nel 1967 l'impresa sembrava disperata. "Tutti si chiedono come sia riuscito un piccolo paese con limitate risorse a portare a termine queste attività, ha scritto il primo presidente Franco Boz." La risposta in due parole: laboriosità e operosità. Ma la verità sta nell'im pegno di tutta la comunità. Quest'impegno lo troviamo raccontato nel volume "Saluti da Sorazen" ricordo di un paese, curato da Dino Scarton ed edito dalla Pro Loco nel 1998 in occasione del trentennale della fondazione. "Sorazen, scrive Scarton, è stato definito da più parti come un paese operoso e attivo." La storia della Pro Loco inizia 55 anni fa e la sede prescel ta è quella dell'asilo di proprietà del comune di Cesio maggiore, costruito negli anni Venti grazie alla generosità degli abitanti. Trovata la sede, alla presenza di tutto il pae se, il 4 febbraio del 1967 venne eletto il primo Consiglio: presidente Franco Boz, vice presidente Gino De Carli, Segretario tesoriere Dino Scarton. Moltissime le manifestazioni organizzate: corse ciclistiche, gare podistiche, concorsi di pittura e balconi fioriti, giochi e incontri con la storia econo mica e artigianale. Giorni di festa con escursioni per co noscere ed apprez zare il meraviglioso territorio. L’attuale presidente della Pro Loco Soranzen è Diana Meneguz a capo di un nume roso, e quanto mai dinamico consiglio direttivo.

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famiglia Zampieri – De Lazzer. Nel 1990 a seguito del trasferimento della famiglia Ronchi ci veniva propo sto l’acquisto del loro immobile in riva al lago, nel 1991 il fabbricato è stato acquistato dal Comune di Cesiomaggiore con la concessione d’utilizzo alla Pro Loco Busche.

escursioni . Negli ultimi tre anni sia il bivacco sia il sen tiero sono stati oggetto di importanti la vori di manutenzione e messa in sicurezza con il concorso del Gruppo Escursionisti, del comune di Cesiomaggiore e dell’Ente Parco Nazionale delle Dolomiti.

La Pro Loco Busche nasce nel 1979 da un gruppo di amici che avevano in comune la passione e l’interesse per il proprio paese.

Avevano già da alcuni anni lavorato per far nascere i carri mascherati di Busche, le prime giornate ecologiche con le scuole, i balconi fioriti comunali, la tradizionale “Brusa la Vecia”, la sistemazione e realizza zione dell’asilo di Busche. La prima sede della Pro Loco si trovava in un garage messo a disposizione e attrezzato ad ufficio dalla famiglia Reno Zasio. In seguito fu trasferita in borgata De Lazzer nei locali messi a disposizione dalla

Negli anni la sede, con notevole impegno finanziario e con tanto lavoro gratuito di soci ed amici, è stata migliorata nella funzionalità, ospitalità e con molti miglioramenti tecnici, ecologici, ener getici, compresi inoltre la manutenzione delle aree verdi pertinenti, comunali e demaniali.

La Pro Loco a norma di statuto si occupa di attività culturali, sociali, ambientali, sportive, sviluppo turistico, promozione e valorizza zione dei prodotti tipici locali. Il consiglio rimane in carica 4 anni ed è composto da nove consiglieri compreso il presidente, 2 vice, 3 revisori dei conti, 3 probiviri e un segretario. Tutte le cariche sono volonta rie e totalmente gratuite (senza rimborsi spese).

Nella Pro Loco Busche fin dal 1984 è entrato a far da parte il “Gruppo Escursionisti Cesio”, che ha realizzato e tuttora segue e promuove la parte sentieri stica (bivacco Bosch dei Buoi, sentiero “Corrado De Bastiani”) e l’organizzazione di varie

La sede stessa della Pro Loco è attual mente in manutenzione straordinaria per adeguamenti di carattere normativo, con la forzata inattività delle cucine.

Le nostre manifestazioni grandi e piccole, comunali e provinciali (oltre 25 nel 2019) continueranno con le mostre-mercato di produttori locali di fiori, piante, formaggi e sapori tipici, mostre di pittura e corsi vari.

La Pro Loco di Busche fa parte del Con sorzio Pro Loco Pedemontane Valbelluna – Destra Piave, con cui collabora assieme ad altre associazioni comunali e provin ciali.

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Il 30 maggio 2021 sui tornanti che da Sacile salgono a Cortina si è giocata una carta fondamentale per la conquista della Maglia Rosa del Giro ciclistico d'Italia. La vittoria è andata al colombiano Egan Bernal che, staccando Bardet e Caruso, ha pratica mente messo il sigillo al giro. Lungo il percor so il tifo è stato appassionato ed esaltante. Nessuna sorpresa, qui la passione per la bicicletta è storia. La storia di Sergio Sanvido (1928-2015) un uomo che ha dedicato tutta la vita alle due ruote da corridore con nel palmares alcune corse dal 1946 al 1949, gli anni d'oro di Coppi e Bartali, poi, appesa al chiodo la propria bicicletta, si è dedicato alla riparazione e vendita delle due ruote. Negli anni 70 travolto dalla passione, ha scoperto di essere collezionista e ha iniziato l'acquisto di biciclette in tutto il mondo. Il 29 giugno del 1997 la decisione di organizzare nella propria casa a Cesiomaggiore un Museo. Il Museo per singolare quanto voluta coinci denza, si trova in Contrada Anquetil grande Jacques, ciclista vincitore di cinque tour de France, il giro d'Italia e la Vuelta. Tuttavia,

dovendo scegliere un per sonaggio a cui dedicare la struttura, Sergio Sanvido ha pensato al veneziano Toni Bevilacqua campione nato a Santa Maria di Sala nel 1918 e morto a Vene zia nel 1972. Bevilacqua è un grande campione non solo per i veneti ma per tutti gli appassionati di ciclismo.

Con grande generosità Sergio Sanvido ha infine donato il Museo al Comune di Cesio maggiore che nel 2007 ha provveduto ad una nuova sistemazione. Il Museo ripercorre tutta la storia a partire dal pezzo più antico, un celerifero francese del 1791, accompa gnato poi dai successivi bicicli italiani, inglesi, francesi e americani dell’Ottocento. Fra le tante biciclette presenti nel Museo, ci sono quelle appartenute a campioni sportivi come quelle quelle leggendarie di Coppi e Bartali, esposte accanto a quelle di Moser, Saronni e Pantani. Meritano attenzione anche

gli interessantissimi dettagli di alcune biciclet te d’epoca: fanali con candele, selle arieggia te, scopini sui parafanghi e molto altro. Nel Museo non ci sono solo biciclette, ma anche numerosi cimeli, accessori, foto, magliette, vecchie copertine - quelle disegnate da Beltrami per la “Domenica del Corriere” dedicate al ciclismo.

Grazie a Sergio Sanvido, oggi Cesiomaggio re è conosciuto come il Paese del ciclismo. Per visite guidate e informazioni contat tare: Associazione Isoipse 331 1336995, oppure Biblioteca comunale di Cesiomaggiore 0439 43480

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ll Gruppo folklorico di Cesiomaggiore ….LA TRADIZIONE CONTINUA

La simpatia e il divertimento sono peculiarità che hanno costantemente accompagnato l' attività del sodalizio. Tuttavia, l’allegria, la voglia di stare insieme e di divertirsi, non hanno mai impedito di realizzare gli obiettivi cul turali e storici che sin dall’inizio i fon datori si erano prefissati. Fin da subito, grazie anche alla guida di alcuni vecchi componenti del gruppo Popolaresco, il nuovo nato Gruppo Folk si è posto come obiettivo quello di riproporre scorci della vita contadina di fine '800 inizi '900 nella Vallata Bellunese, in special modo di quella Feltrina.

Questo “dinamico” gruppo nasce nel 1971, con l’obiettivo di ripristinare il vecchio Gruppo Popolaresco di Cesiomaggiore, nato negli anni '30 come Associazione Dopolavoro. Lo scopo è stato quello di riproporre con continuità il ricco patrimonio di tradizioni popolari esistenti a Cesiomaggiore. Il debutto in pubblico è avvenuto il 12 febbraio 1971, al seguito di una sfilata di carri mascherati organizzata in occasione del carnevale di San Gregorio.

Il Gruppo ha intrapreso subito un serio la voro di ricerca al fine di acquisire compe tenze filologiche e tecniche, non solo per fronteggiare le varie esigenze sceniche e di confronto, ma anche perché intuì che le proprie esibizioni non dovevano limitarsi all'intrattenimento, ma potevano costituire un interessante veicolo per divulgare la cultura popolare. La ricerca è iniziata con il reperimento di oggetti di uso quoti diano, di abiti d'epoca e gioielli antichi e contemporaneamente anche su musiche e coreografie originali dell'epoca.

Ogni esibizione riscuote notevoli apprez zamenti, per le musiche coinvolgenti, per i costumi e per il modo di interpretare i brani, ma anche perché fa rivivere con immagini colorate frammenti di un tempo ormai sbiadito, ma non dimenticato e costruisce per i giovani un interessante ponte tra passato e presente. Attualmente il gruppo folklorico conta una trentina di persone fra ballerini, musicisti, coreografi e costumisti e porta avanti con costanza e determinazione il lavoro di divulgazione delle antiche tradizioni.

"Negli ultimi anni, dice il presidente Stefa no Broccon, le scuole del comprensorio ci hanno dato la possibilità di intraprendere la strada dell'insegnamento scolastico: alcuni docenti hanno conglobato nel loro programma lo studio e la ricerca delle vec chie tradizioni permettendoci di insegnare, seppur in maniera molto semplice, alcuni dei nostri balli ai ragazzi così da completa re il loro lavoro di ricerca."

Dall’anno della sua fondazione, il Gruppo ha effettuato oltre cinquecento esibizioni, propo nendosi in numerose regioni italiane. Il sodalizio si è esibito più volte in vari paesi europei: Francia, Svizzera, Austria, Ger mania, Polonia, Cecoslovacchia,

74 SPECIALE CESIOMAGGIORE

SPECIALE CESIOMAGGIORE

oggi Slovacchia, Olanda e Svezia. Molte di queste trasferte sono state organizzate dalle associazioni degli emigranti bellunesi residenti in Italia e all'estero. Il Gruppo si è spinto anche oltre oceano, a Portorico (America Centrale) e, una rappresentanza ha preso parte ad una manifestazione a Taipei e Taiwan. Nel 2009 il Gruppo ha avuto l'onore di visita re, grazie all'aiuto di Bellunesi nel Mondo,

Aratiba città nello Stato di Rio Grande do Sul, gemellata con il comune di Cesiomag giore. "Il Brasile, dice la vicepresidente Rita Conz, ha lasciato un vivo segno nei nostri cuori e in quelli dei brasiliani, quasi tutti di origine italiana." Numerose anche le partecipazioni in diverse reti televisive: Rai 1 (Unomattina, Sereno variabile...), Rai International, Canale 5, Antenna Tre, ZDF Tedesca.

Il Gruppo, negli anni, si è esibito in importanti teatri, partecipando a festival del folklore e a manifestazioni di rappresentanza, ma si è proposto e continua a pro porsi spesso in spettacoli di semplice intrattenimento nelle piazze, nelle fiere e nelle sagre paesane, in alcuni casi anche solo per beneficenza.

Il Direttivo

PRESIDENTE: Stefano Broccon; VICEPRESIDENTE: Conz Rita; DIRETTORE ARTISTICO: Trevisan Erika; SEGRETARIA E CASSIERA: Menegat Roberta; CONSIGLIERI: Sacchet Veneranda, Pollet Sonia, Pollet Natale, Scariot Martina, Garlet Enrico;

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Che cos’è una sfilata? Cosa rap presenta? È un semplice evento mediatico o qualcosa di più?

La moda è arte e, come tale, può essere im piegata e “piegata” alle regole di mercato o sconvolgerle; sia chiaro che non c’è nulla di

male nel fare arte e guadagnare, anzi, ma molte volte una sfilata può andare “oltre” e sfiorare, se non proprio toc care, i nostri sentimenti più profondi. In questo articolo ve ne presentiamo alcune che, per contesto storico e tematiche trattate, sono state decisa mente rivoluzionarie e innovative.

Vivienne Westwood - Café Society (1994)

Era il 1994 ma la visionaria Vivienne Westwood si era già proiettata negli anni '20 del 2000; sì perché è solo di “recente” che la sessualità femminile viene mostrata con orgoglio e senza timore. Siamo alll'Hotel InterConti nental di Parigi a metà anni ’90 dun que, quando la Westwood mise in scena una vera e propria opera, con la sua collezione Primavera/Estate.

In una location ottocentesca, con i suoi abiti interpretò varie epoche storiche, rimodernizzandole e, so prattutto, mettendo al centro il corpo femminile e la sua sessualità.

Le modelle sfilano e si fanno ammirare nella loro bellezza composta ma sensuale, con quella leggera malizia, quell’osare che, purtroppo, ancora oggi molte volte viene

ritenuto eccessivo e volgare; ma di volgare questa sfilata non ha nulla, anzi. Spoglian dosi dei pesanti abiti e mostrandone altri celati di sotto, la Westwood esalta la donna che li indossa senza paura, a discapito di restrizioni e costrizioni che gli stessi “abiti-in gombri” rappresentavano.

Alexander McQueen - Voss (2001)

Il titolo della collezione Primavera/Estate 2001 di Alexander McQueen è “Voss”, lo stesso nome di una città norvegese rinomata per il suo contatto con la natura circostante. Partendo proprio da questo tema, il designer decise di racconta una storia molto diversa, o meglio, una realtà molto diversa e tenuta nascosta ancora oggi, nonostante dei grandi passi avanti: la salute mentale.

Chi sono i cosiddetti pazzi? E se fossimo noi stessi ad esserlo?

La sfilata si aprì dopo un’ora di attesa, con il pubblico raccolto in una ambientazione decisamente inquietante: una sorta di ospedale psichiatrico, con una scatola di vetro al centro. Gli ospiti potevano solo vedere la propria immagine nei numerosi specchi presenti e sentire un suono di sot tofondo: il battito di un cuore. Le modelle poi sfilano dimenandosi, specchiandosi a

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La moda
Sfilate Rivoluzionarie: Quando la Passerella Trasmette un Significato OCCASIONISSIMA a BORGO VALSUGANA VENDESI Armonium tedesco, ristrutturato, accordato e perfettamente funzionante. 61 tasti 5 ottave ad aspirazione. Euro 800,00 Per informazioni 333 2815103
in controluce di Laura Paleari

La

loro volta, in un mood quasi onirico. Alla fine della sfilata, la scatole di vetro si rompe, rivelando la scrittrice Michelle Olley, nuda con un respiratore.

Balenciaga - Fall/Winter 2020

La sfilata di Demna Gvasalia ha lasciato senza dubbio senza parole tutti i presenti. La passerella infatti era completamente allagata, mentre sul soffitto c’era uno schermo dove scorrevano video di incendi, stormi di uccelli che fuggono e nuvole. Balenciaga da alcuni anni a questa parte si sta concentrando sull’aspetto green e della moda ecosostenibile, dimostrando come i danni che stiamo causando non siano più solo una minaccia ma una vero e proprio orrore in atto, presente e, soprattutto, reale. Giocando con i volumi e le proporzioni degli abiti, Gvasalia fa sfilare le modelle con aria quasi minacciosa, protette da una corazza che in questa allegoria è l’abito stesso: un rifugio per difendersi. Una sfilata che assomiglia di più ad una apocalisse per

risvegliare la coscienza sopita dentro ciascuno di noi.

Giorgio Armani - Fall/Winter 2022 È stata questa sfilata (purtroppo) l’in cipit per scrivere questo articolo; tutti questi fashion show sono stati e sono tutt’oggi, dei grandi segni e messaggi che la moda lancia, ma l’ultima sfilata di Giorgio Armani è forse quella più impattante per il momento storico in cui ci troviamo adesso.

Lo stilista ha quindi deciso di far sfilare le sue modelle nel silenzio dell’Armani Teatro, concludendo così la Milano Fashion Week: l’unico suono era quello dei tacchi sul pavimento. Gli abiti sono stati sfoggiati con l’eleganza classica di Armani e la sua compostezza, da non confondersi con rigidità. Il silenzio mol te volte fa paura, perché non siamo più abituati a “sentirlo”, in un mondo alla continua ricerca della nostra attenzione, di solito vince chi urla più forte. Questa volta

moda in controluce

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Piazzale della Lana, 6 32032 Feltre (BL) - Tel. 0439 2951 Bottega del Corredo s.n.c. di De Riz Isabella e Valentina
però ha vinto lui, il silenzio: angosciante, crudo ma soprattutto vero.

Racconti d'arte di Daniela Zangrando*

UN VUOTO DI GATTI E DI TOPI

Penso che più o meno tutti noi abbiamo uno spazio che potrem mo definire studio. Una stanza, un garage, un giardino, una soffitta, o magari l’automobile. Un luogo franco, nostro, dove teniamo pezzi di progetti, dove costruiamo qualcosa, in cui appendia mo biciclette e controlliamo freni, dove potiamo e facciamo innesti, o leggiamo. Dove ripetiamo scale per doppie terze e doppie seste, cantiamo, distilliamo grap pa. A ognuno il suo. È un piccolo mondo, di cui ci pare di possedere tutti i segreti. Sappiamo se il giorno prima abbiamo appoggiato la matita sul davanzale invece che sul tavolo, conosciamo il momento in cui abbiamo sepolto qualcosa sotto una pila di scartoffie. Non dimentichiamo mai il chiodo a cui appendere il martello, che deve stare proprio lì e assolutamente non a fianco. Quando ci stiamo dentro, siamo in una dimensione che ci permette anche il silenzio, ci concede di sederci su uno sgabello nell’angolo, o per terra, a guar dare il tempo e ascoltare i pensieri. Nel 2000 Bruce Nauman – classe 1941, uno degli artisti più significativi nel panorama artistico mondiale di cui si è

appena chiusa una grande mostra a Punta della Dogana a Venezia e si sta tenendo una personale al Pirelli HangarBicocca di Milano – si trova nel suo studio, in New Mexico. Ha chiuso da poco un progetto impegnativo e ha l’impressione di non avere assolutamente alcuna idea su cui lavorare. Si sente frustrato. Si guarda attorno.

«È stato il topo ad innescare questo lavo ro»[i] – ci racconta. «C’è stata una grossa affluenza di topi di campagna quell’esta te, in casa e in studio. Erano da tutte le parti ed era impossibile sbarazzarsene. Ce n’erano così tanti che anche il gatto si era stufato. Passavo la sera in studio a leggere e il gatto stava lì seduto con me, i topi correvano lungo i muri mentre noi li guardavamo. So già che ne aveva presi alcuni perché avevo trovato dei pezzi sul pavimento la mattina. Insomma, me ne stavo seduto in studio depresso perché non avevo idee nuove e allora decisi di lavorare con quello che avevo.»

E quello che Bruce Nauman ha, è proprio il suo studio. «Quello che avevo era que sto gatto, il topo, e una videocamera che poteva filmare ad infrarossi». Decide di

montare la videocamera e di lasciarla ac cesa una notte, mentre non era lì. Ripensa a tutte le cose che ci sono in giro per lo studio, ai resti di qualche lavoro, agli appunti, ai materiali di progetti non finiti, e immagina di andare in qualche modo a mappare lo studio stesso. Anzi, lui vuole star fuori dalla scena, e lasciar che a map pare lo studio siano le presenze animali che lo abitano. Si rende presto conto che per mappare davvero quello spazio e dar senso alla mappa deve almeno lavorare su sette punti diversi, scelti in base ai pas saggi che vede fare più frequentemente a gatto e topo, ma ha una sola videocamera che può girare un’ora per notte, per cui la sposta una notte qui, una lì. La accende prima di andare a letto, non tutti i giorni, al mattino guarda il girato, e tiene un diario di quel che succede. Da fine agosto a fine novembre-inizio dicembre costrui sce una sorta di compilation: quarantadue ore di riprese che hanno al centro uno spazio vuoto, dove gli attori – che altri non sono se non le cimici, il gatto, il topo e qualche falena – decidono se e quando farsi vedere. L’azione, lo spazio agito, è una questione di possibilità, anzi di grossa possibilità. Questo materiale diventa poi la base per opere distinte ma tra loro collegate[ii], che consistono in una serie di proiezioni in DVD. In una versione, ad esempio, i nastri vengono proiettati in tempo reale per circa cinque ore e quarantacinque, in un’altra il nastro è stato montato in una sequenza molto più breve, di circa mezz’ora. Noi stiamo davanti alla proiezione. Guardiamo il suo studio. Capiamo che potrebbe non succedere proprio nulla, che la scena rischia di restare vuota, ma ci abituiamo presto alla sensazione, e smet tiamo di cercare qualcosa in particolare. La percezione che abbiamo del nostro

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corpo di fronte all’opera è la stessa che abbiamo negli spazi che eleggiamo a studi nel nostro quotidia no. Il tempo cambia modi, si dilata a dismisura per poi comprimersi inaspet tatamente per un attimo quando un topo entra ed esce da un buco o si intra vede il riflesso degli occhi del gatto fuori attraverso la porta a vetri. Il nastro scorre, e vediamo che alcune porte dello stu dio si aprono sull’esterno. «Si sentono i cani abbaiare ogni tanto, e i coyote che ululano qui e lì.» Ci sono un dentro e un fuori dunque. Dialoga no. E questo dialogo «ha a che fare con l’essere in studio, con tutta l’attività che ne consegue e l’essere consapevoli che al di fuori di quello spazio c’è in realtà una

natura molto più grande.»

[i] Questa e le citazioni a seguire sono tratte da Janet Kraynak (a cura di), Please Pay Attention Please. Le parole di Bruce Nauman, Postmedia Books Srl, Milano 2004, pp. 113-118.

[ii] Mapping the Studio I (Fat Chance

John Cage), 2002 [Mappare lo studio I (Grossa possibilità John Cage)]; Mapping the Studio II with color shift, flip, flop & flip/flop (Fat Chance John Cage) All Action Edit, 2001 [Mappare lo studio II con cambi di colore, taglia re, saltare & tagliare/saltare (Grossa possibilità John Cage) versione con tutte le azio ni]; Office Edit II with color shift, flip, flop & flip/flop (Fat Chance John Cage) Mapping the Studio, 2001 [Versione d’ufficio II con cambi di colore, tagliare, saltare & tagliare/saltare (Grossa possibilità John Cage) Mappare lo studio].

Daniela Zangrando è

Direttrice del Museo d'Arte Contemporanea Burel di Belluno,

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Racconti d'arte

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Il personaggio di Nicola Maccagnan

Viaggio nella storia e nella diffusione della cornamusa scozzese

Maestro, quando e dove nasce la cornamusa?

Si hanno notizie che già gli antichi egizi usassero strumenti aerofoni con una sacca per la riserva d’aria, ma al riguardo non sono state trovate delle prove; degli antichi greci, invece, abbiamo tante immagini di suonatori di aulòs, il quale altro non era che una cornamusa senza sacca, dove la funzione di riserva d’aria veniva svolta dalle guance con una specie di respirazione circolare. Anche per quanto riguarda l’antica Roma abbiamo solo qualche scritto in cui si sostiene che nelle bande delle legioni, oltre a buccine, trombe di guerra e tamburi, ci fossero strumenti simili alla cornamusa o alla zampogna, in latino si chiamata utriculus, e che annoverava tar i suoi più celebri suo

con il Maestro Pio Sagrillo

natori anche l’impe ratore Nerone.

Per trovare vere e proprie testimo nianze al riguardo, dobbiamo partire da dopo l’anno Mille; da quell’e poca troviamo affreschi, arazzi, dipinti e racconti che testimoniano della presenza di questo strumento in tutta l’area del Mediterraneo. Ben inteso, dal medio evo all’ moderna lo strumento si è diversificato in varie tipologie territoriali da regione a regione; solo in Italia riconoscia mo la piva, la baga, la musa, la zampogna, la surdulina, oltre che, ovviamente, la cornamusa. Perché la cornamusa diventa famosa proprio in Scozia, che ne rappresenta una sorta di patria?

Forse furono proprio i Romani a portare nella Britannia que sto tipo di strumento; poi è facile pensare che il risultato che vediamo oggi sia dovuto a un processo evolutivo durato qualche secolo. Ci sono tante leggende che parlano della Great Highland Bagpipes (questo il suo nome completo in lingua inglese);

alcune di queste coinvolgono anche noi italiani, come quella che racconta di un suonatore di zampogna “da Cremona” diventato poi capostipite del clan dei Mac Crimmon, nota fami glia di “pipers” (così vengono chiamati -anche in lingua italiana - i suonatori di cornamusa). I clans scozzesi più im portanti avevano tutti al loro interno dei pipers, i quali ricoprivano un ruo lo di primo piano nella scala sociale (tanto da essere ricompensati con terre, animali e case) e si tramandava no le conoscenze di padre in figlio. Il suono dei pipers accompagnava le cerimonie più importanti, con inni e danze; un popolo bellicoso e impavi

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Il personaggio

i reggimenti scozzesi un po’ ovunque nel mondo, dal Sud Africa all’ India e al Pakistan, dall’Africa del Nord all’Australia, segnando pagine commoventi ed eroiche di storia patria.

I temuti assalti al suono della cornamusa sono stati drasticamente ridotti solo nel periodo della Grande Guerra, in cui l’introduzione della mitragliatrice ha rap presentato per i pipers - facile bersaglio - una minaccia fin troppo evidente.

Quando e come ti è venuto in mente di de dicarti a questo stru mento così originale?

a cui ne sono seguiti degli altri. La passione per questo strumento si è diffusa anche in Veneto, dove è nata una banda di cornamuse che si trova regolarmente a Padova per le prove seguita da un insegnante di chiara fama.

Qual è la domanda che più spesso ti viene rivolta?

do come quello scozzese comprese che lo strumento, dal timbro impo nente e maestoso, poteva essere un valido supporto anche per infondere coraggio in battaglia ai suoi soldati e intimorire il nemico. Così, a partire dal XIXesimo secolo, i pipers hanno accompagnato nella British Army

Nei primi anni 2000. A quel tempo avevo già fatto alcune esperienze musicali con l’organo da chiesa, la fisarmonica, alla direzione dei cori; ero affascinato da tempo da questo strumento e ho deciso di iniziarne lo studio: mi sono così iscritto a un corso estivo presso il National Piping Center di Glasgow,

Normalmente la gente tende a confondere la cornamusa con la zampogna e mi chiede la differenza tra le due. La risposta non è difficile: la cornamusa è uno strumento solista, ha una sola canna melodica suonata con le due mani, ha un repertorio di circa 10.000 musiche pubblicate, si suona regolarmente con le percussio ni (solo con particolari accorgimenti può suonare in orchestra o con una banda). Nella zampogna, invece, le canne melodiche sono due, una per la mano destra e una per la sinistra e la funzione è quella di accompagnare un secondo suonatore che utilizza un piffero (chiamato anche ciaramella o pipita): infatti, se fate caso, gli zampo gnari sono sempre in due.

Si parla spesso, talvolta anche in tono scherzoso, di quale sia l’abbigliamento corretto e rispondente alla tradizione per un piper; ce lo

Pio

una discreta carriera internazionale (Comunità Europea, Gran Bretagna, Russia, Australia, Argentina) con il musicista e regista Massimo Ferigutti, con il quale incide il primo CD in collaborazione con autori quali Manuel De Sica (nomination all'Oscar per il film "Il giardino dei Finzi Contini"), Valentino Donella, Benedetto Ghiglia e la partecipazione della vocalist Rossana Casale.Dal 1995 a tutt'oggi è organista della Cattedrale di Feltre. Sempre nel 1995 fonda il gruppo corale "Solo Voci" che dirigerà fino al 2020. Dal 1999 collabora stabilmente col violinista e direttore d'orchestra Claudio Colmanet, con il quale ha effettuato regolari tournées in Sud America, iniziando dai luoghi dell'emigrazione italiana del Rio Grande do Sul per arrivare ultimamente in alcuni dei principali teatri di San Paolo, Rio de Janeiro, Recife. Da una ventina d'anni suona e divulga lo studio cella cornamusa scozzese.Ha ricevuto vari riconoscimenti e onorificenze: Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana (Roma, 27 dicembre 2007); Comendador do Ordem do Merito Cultural "Carlos Gomes" (San Paolo, 26 settembre 2019); membro "Ad honorem" dell'Academia de Musica do Brasil (Rio de Janeiro, 9 novembre 2019).

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Chi è Pio Sagrillo. Sagrillo nasce in Gran Bretagna; al suo ritorno in Italia si diploma al Conservatorio in Orga no e Composizione Organistica. Inizia quindi

puoi descrivere? Il piper suona normalmente indos sando un kilt e altro abbigliamento in stile scozzese in base alle circostanze. Chiariamo subito che i borghesi (per chi non avesse inteso il senso della domanda) sotto il kilt possono indos sare una adeguata biancheria intima e solo i militari sono tenuti a conservare l’antica regola del kilt indossato sulla nuda pelle. Che consiglio daresti a chi si vuole avvicinare a questo strumento? La cornamusa sembra uno strumen to complicato, soprattutto per la composizione delle sue parti; ha un sacco da gonfiare e molte persone si chiedono quanta fatica ci sia da fare. In realtà si comincia con un piccolo ed economico strumento che si chia ma “practice chanter”, una specie di piccolo oboe (guai chiamarlo flauto!) dal suono delicato, con il quale si

impara a muovere le dita con piccolissimi gesti. Tengo a precisare che non sono neces sari quel virtuosismo e quel movimento di dita che serve per il pianoforte, la chitarra o altri strumenti; il movimento è molto ridotto e perciò adatto anche a chi ha una certa età e non ha le dita agilissime. Dopo qualche mese di studio al practice chanter, l’appas sionato capisce subito se ha la giusta motivazione per continuare e fare quell’investi mento economico necessario ad acquistare la cornamusa.

Il prezzo medio?

Diciamo che con 1500/1700 euro si trovano buoni stru menti.

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Fumetti e pubblicità

Se i temi inerenti all’uguaglianza di genere sembrano essere attuali lo dobbiamo unicamente al fatto che, auspicabilmente, la questione inizia ad essere seriamente presa in considerazio ne per poter apportare delle migliorie. Ciò non toglie che l’argomento sia stato analizzato anche in precedenza. Nel 1986, sollevando la problematica della scarsa rappresentazione femminile in quanto personaggio autonomo e di spessore nell’ambito artistico, la fumetti sta Alison Bechdel realizzò una vignetta che stilava dei parametri che sarebbero poi confluiti nel test di Bechdel-Wallace. In modo provocatorio la Bechdel sosten ne che, in un racconto ben calibrato per quanto riguarda i generi, dovrebbero essere presenti almeno due donne che dialogano tra loro di un argomento che non comprenda un uomo. Un metodo che applicato a prodotti cinematografici, videoludici, letterari e via discorrendo, dovrebbe far comprendere quanto spesso i personaggi femminili siano stati relegati in una posizione secondaria ai fini della trama.

Se consideriamo alcuni passi in avanti fatti dai media odierni, ad eccezione di qualche caduta, la problematica viene meno. Circoscrivendo la ricerca alle lo candine collocabili tra gli anni Cinquanta e Settanta però il cosiddetto metodo Bechdel-Wallace sarebbe inapplicabile. Mercificazione del corpo femminile, stereotipi e disparità di genere sono tematiche costanti della narrazione appartenente al periodo menzionato. Le donne sono una figura ricorrente spesso sfruttata ai fini della vendita di qualsiasi tipologia di prodotto, questo allora come oggi. Il metodo in parte è fortuna tamente mutato.

Tra gli esempi più noti si inserisce una locandina risalente al 1953 la quale invita all’acquisto di un marchio di ketchup. Gli unici elementi illustrati sono il volto di una donna che, in modo sorpre so interroga l’ipotetico interlocutore con: “Intendi dire che una donna può aprirla?” riferendosi a una bottiglia con un’innovativa apertura facilitata con tenente il prodotto. Il termine “donna” viene graficamente sottolineato, per

enfatizzare l’assurdità, per i pubblicisti, del concetto. Rimanendo nell’ambito della denigrazione delle capacità delle mogli, dato che questo sembra essere il maggior ruolo delle donne presenti nelle pubblicità, troviamo anche una coppia in pro cinto di cenare, nei pressi di una tavola imbandita. L’uomo appena rientrato in casa, con indosso un completo elegante da lavoro, rassicura la moglie in lacrime per aver carbo nizzato la cena, dicendole che almeno la birra non è stata bruciata.

Ulteriore normalizzazione dell’uomo lavoratore che dopo un’estenuante giornata torna a casa dalla donna angelo del focolare, un po’ sbadato, che gli fa trovare la cena pronta. A meno che non la bruci. Se in queste circostanze si è fatta leva sulla presunta divergenza tra la forza fisica e intelligenza tra i due sessi, attuan do così una violenza di tipo verbale, in altre subentra a gamba tesa il tema della violenza fisica, legittimata da una conce zione della predominanza maschile sulla donna. Anche in questo frangente gli esempi sono tragicamente numerosi. Nel 1970 alcuni addetti alla pubblicità del marchio di pantaloni da uomo Mr Leggs realizzarono una serie di locandine la quale puntava sull’attirare l’attenzio ne del possibile cliente tramite questa tecnica. In una versione, recitante “It’s nice to have a girl around the house” (è bello avere una ragazza in giro per casa) vediamo una donna utilizzata come un

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Pianeta donna di Alice Vettorata

tappeto di pelliccia sopra il quale un uomo sfoggia il suo taglio di pantaloni, imponendo la sua supremazia calpestan dola. Letteralmente.

Una seconda proposta pubblicitaria dello stesso marchio presenta l’ormai nota inquadratura dell’uomo che indos sa i pantaloni Mr Leggs in posa dopo aver sotterrato una ragazza nella sabbia, della quale è visibile soltanto la testa. Il trafiletto che giustifica il gesto sostiene che è stato un provvedimento neces sario, dal momento in cui da quando lui indossa questo tipo di indumento la donna lo ricopre di attenzioni in modo ossessivo. L’apice della violenza si sfiora con un marchio di caffè, che pubbli cizzando la possibilità di gustare il suo prodotto prima di effettuarne l’acquisto suggerisce di picchiare la moglie nel caso in cui quest’ultima si ostini a comprarne un altro. Con questi esempi è stata solo raschiata la superficie di un immenso

mondo di messaggi misogini propinati. Quelle menzionate sono alcune delle pubblicità che l’artista Eli Rezkallah ha analizzato e stravolto nel suo progetto “In a parallel universe”, una serie di scatti che ne ricreano le scene invertendone i ruoli.

Donne in carriera che rimproverano e deridono i mariti sono il mondo parallelo che non ci è stato possibile vedere fino ad ora. Una reazione provocatoria che dovrebbe far riflettere sull’uguaglianza e rispetto mancanti, in parte, ancora oggi.

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La guerra e noi di

Alvise Tommaseo Ponzetta

I FIGLI DEL NEMICO

bambini, molti dei quali si caratterizza vano per il colore biondo dei capelli, pesante indizio della vera identità dei rispettivi padri. Oltre a loro, a Por togruaro, erano arrivate 47 gestanti, fuggite da casa temendo l’ira dei mariti reduci dalle armi.

Il 4 novembre 1918, con la catastro fica ritirata oltre le Alpi di quel che rimaneva dei reggimenti Austrounga rici, si chiudeva la Prima guerra mondiale con la vittoria italiana.

Ma il Regno Sabaudo, a fronte di questo risultato, piangeva più di seicentomila morti, centinaia di migliaia di feriti e di invalidi, un numero incredibile di vedo ve e tantissimi piccoli orfani di padre.. All’indomani della fine della guerra tanti erano i problemi che affliggevano l’Ita lia, alcuni noti, altri invece, ai più, pres soché sconosciuti. Tra questi rientrava sicuramente la drammatica situazione in cui si venivano a trovare i cosi detti “figli del nemico”, ovvero, i piccolissimi bambini nati da violenze sessuali patite da donne italiane nei territori occupati dai soldati austroungarici. Molti di loro erano venuti alla luce a partire dall’esta te 1918 e, altrettanti, ne sarebbero nati ancora nei nove mesi successivi alla fine della guerra e cioè fino all’estate del 1919. Tante ragazze venete e friulane, infatti, erano state ingravidate dai militari nemici fino agli ultimi giorni di occupa

zione.

Ed è così’ che già il 2 dicembre 1918 e cioè meno di un mese dopo la fine della guerra, nasceva nel veneziano, più esattamente a Portogruaro, l’istituto San Filippo Neri con l’obiettivo di ospitare e crescere questi bambini che, in molti casi, non potevano più restare all’inter no della famiglia, poiché non accettati, o oggetto di percosse o maltrattamenti da parte degli uomini che, una volta tornati a casa dal servizio militare, non li volevano riconoscere come figli propri.

La lodevole iniziativa nac que grazie alla sensibilità di monsignor Celso Co stantini, un sacerdote friu lano originario di Castions di Zoppola, divenuto poi vescovo e cardinale. Nel giugno 1919 in questo ospizio, unico nel suo genere in Italia,risultavano essere stati accolti ben 168

Piccoli ed adulte provenivano da tutte le terre liberate e, di conseguenza, an che dal bellunese e dalla vallata feltrina. Le Autorità italiane apprezzarono la lodevole iniziativa di mons. Costantini, ma una discutibile corrente di pensiero voleva distinguere la posizione dei nati da violenze, rispetto a quelli venuti al mondo per rapporti illegittimi, avuti volontariamente da ragazze consenzien ti. Si trattava, però, di una disquisizione accademica, in quanto era praticamente impossibile stabilire come fossero anda te effettivamente le cose.

Sicuramente più realistica, e facilmente accertabile, era la distinzione tra figli nati da donne sposate, rispetto a quelli

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partoriti da ragazze libere da vincoli matrimoniali.

Ma i veri obiettivi del fondatore e re sponsabile dell’istituto San Filippo Neri di Portogruaro erano quello di accoglie re chi si trovava in quelle condizioni in dipendentemente dalla causa ed anche se provenivano dalle province irredenti di Trento, Gorizia e Trieste. Dopo innumerevoli inutili richieste, finalmente, il 10 agosto 1919, re Vit torio Emanuele III° ed il Presidente del Consiglio dei Ministri, Francesco Saverio Nitti, firmarono un decreto legge che riconosceva l’Istituto San Filippo Neri di Portogruaro quale Opera pia ed Ente morale, con il risultato di rendere possibili degli essenziali aiuti economici da parte dello Stato. L’ospizio operò in modo encomiabile per una decina di anni, fino al settembre 1928.

Dei 355 neonati complessivamente ricoverati, alla fine solo 106 vennero riconsegnati alle madri o alle famiglie di origine, gli altri, se maschi, furono desti nati in collegi artigianali e colonie agri cole per completare la loro istruzione ed essere avviati all’apprendimento di un mestiere, mentre le femmine furono trasferite in strutture più consone e più idonee al loro sesso. Dagli archivi del San Filippo Neri sono recentemente emerse delle tristi storie, come quelle di tanti uomini che aveva no guardato in faccia la morte con ciglia

asciutte e con cuore di acciaio, ma che di fronte a quella situa zione, istupiditi e disperati, esclamavano “meglio se fossi morto al fronte. Meglio se mi avessero detto che mia moglie era morta….”. Un anziano, residente in un paese vicino a Pordenone, aveva perso due figli in guerra, e si era trovato a vivere con la nuora e con il bambino dalla stessa partorito durante i mesi dell’occupazione austroungarica, frutto di una violenza carnale subita da un sol dato nemico. L’anziano aveva scritto che “nella notte, quando sento piangere il bambino, penso che egli forse è figlio di colui che mi ha ammazzato i miei ragazzi. So – aggiungeva – che il piccolo non ha colpa, ma io non posso sentire quella voce. Bisogna portarlo via.”

Un brutto giorno, morì in una stanza dell’ospizio di Portogruaro un piccolo ospite di tre anni. La mamma, avvertita che le sue condizioni di salute erano di molto peggiora te, si precipitò al San Filippo Neri per assistere il figlio al momen to della triste dipartita. Il mari to sopraggiunse successivamente “ed alla notizia della morte aveva avuto subito un senso di liberazione”.

Visti poi gli oc chi della moglie arrossati dal pianto, l’aveva

La guerra e noi

investita brutalmente con queste parole: “Ed hai il coraggio di piangere davanti a me svergognata!” Ed a chi gli parlava di pietà e di perdono l’uomo replicava: “Tre anni, tre anni di trincea, pensando sempre a lei ed al nostro futuro bambi no.”

Ed un altro padre, di fronte al bambi no partorito dalla moglie, con il cuore indurito dalla guerra, continuava a ripetere: “Dio solo sa cosa è stato l’anno di invasione, in trincea senza mai avere notizie di mia moglie. E poi la gioia folle della vittoria, la corsa a casa, per trovare che cosa? Un figlio del nemico. Avrei preferito sapere Maria morta, per po terla piangere e ricordarla come l’avevo lasciata, …, In ogni caso questo figlio del nemico non deve portare il mio nome.” Naturalmente queste tristi vicende non si registrarono solo alla fine della Gran de Guerra. I “figli del nemico” nacquero e continuano a nascere durante tutte le occupazioni militari ovunque si verifi chino, frutto quasi sempre di violenze, a volte di fugaci incontri ricercati per bi sogno d’affetto e protezione nei giorni della solitudine della guerra. Purtroppo l’occupazione dell’Ucraina non farà eccezione.

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IL SOLSTIZIO D'INVERNO

Sebbene in passato avesse una rilevanza importante, oggi per la maggior parte della gente signi fica poco o nulla, o meglio, solamente una cosa: la mancanza di pochi giorni a Natale. Il solstizio d’inverno, dun que, a parte rappresentare sulla carta l’inizio della stagione più fredda, ha da lungo tempo perduto la sua valenza. Il giorno più corto dell’anno dunque, che per molti non è altro che un momento come un altro, anticamente aveva un significato assai più profondo. Ma partendo dal lato scientifico del fenomeno, è meglio dare qualche informazione in più su cosa sia il solstizio.

Il solstizio d’inverno, che oggi tende a cadere canonicamente il 21 dicem bre, è il momento dell’anno in cui nell’emisfero settentrionale -quindi quello che comprende anche l’Italia-

il sole è per così dire maggiormente distante dalla terra. Questo provoca di conseguenza una notte più lunga e meno ore di luce durante il giorno, anche se oggi è alquanto difficile percepirlo. Tuttavia, il passare di questa data rappresenta anche il mo mento in cui poco a poco le giornate iniziano di nuovo ad allungarsi, fino a ritoccare il loro massimo durante il solstizio d’estate.

Si tratta quindi di un fenomeno astro nomico che, sebbene oggi tocchi poco la vita quotidiana, nei tempi antichi aveva sicuramente più im portanza, soprattutto per quello che rappresentava per la religione e per le credenze popolari. È infatti nor male pensare che, in epoche in cui l’oscurità e il freddo rappresentavano un pericolo per la sopravvivenza, una notte più lunga e lontana dalla calda

luce solare era temuta con riverenza e nervosismo, nonché accolta con molto rispetto. Il solstizio rappresen tava quindi un particolare momento di tensione e attesa, che spesso veniva celebrato sia dalla singola fa miglia che dalle comunità stesse. Una celebrazione legata quindi proprio al sole ed alla sua “rinascita” è per esem pio quella del “Sol Invictus”, importata dall’Oriente dai romani che la resero alquanto importante. Questa festa, che celebrava il ritor no della potenza dell’astro solare -identificato con varie e diverse divinità come Helios o Apollo- aveva lo scopo di ringraziare e godere di quella nuova luce che da allora in poi avrebbe risvegliato pian piano tutta la natura dal torpore dell’inverno. In seguito, con il diffondersi sempre maggiore del cristianesimo, quest’ul

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Benvegnù
Tradizione e astronomia di Francesca

timo avrebbe fatto coincidere la festa del Natale, quindi la celebrazione della nascita di Gesù Cristo, proprio con questa festività pagana. Spostan dosi invece più a nord, è risaputo che i popoli germanici precristiani celebrassero il solstizio d’inverno con la festa di “Yule”. Si trattava dunque di una celebrazione in cui ci si riposava dalle fatiche quotidiane e si festeggia va il ritorno della luce con danze ed il sacrificio di un maiale, offerto in dono al dio norreno Freyr, divinità legata sia alla terra che al sole. È interessante in più ricordare che da molte delle usanze di Yule derivano tante delle tradizioni odierne legate al Natale. Fu infatti attraverso la con versione cristiana delle popolazioni del nord Europa che molti simboli dell’antico Yule divennero parte integrante di ciò che tutt’oggi ancora si usa fare. Questo avvenne perché

essendo probabilmente Yule una festa pagana molto sentita, eradicarla dalla memoria e dalla cultura di un intero popolo era alquanto difficile, motivo per cui si preferì riconvertirla al cristianesimo tramite la coincidenza col Natale.

Perciò, tra le rimembranze di Yule che ora si possono ritrovare nell’at tuale Natale, ci sono sicuramente l’albero di Natale e l’uso del vischio e dell’agrifoglio. Il primo, infatti, fatto spesso con una pianta sempreverde, rappresentava un chiaro simbolo di speranza per il ritorno della luce e della primavera dopo lo scorrere della notte più lunga dell’anno. Infine, vale inoltre ricordare, sempre per sottolineare il fatto di quanto eventi astrologici come il solstizio d’inverno fossero importanti per loro, che i po poli antichi eressero nel mondo vari siti costruiti apposta per “illuminarsi”

proprio il giorno del “ritorno” del sole. Un esempio lampante di ciò è il famoso Stonehenge, ad Amesbury in Inghilterra. Sebbene considerato un sito neolitico e quindi forse più lontano di quanto non si creda dai druidi, spesso considerati come i suoi costruttori, Stonehenge ha la partico larità di essere illuminata dai raggi del sole nei giorni di entrambi i solstizi, regalando uno spettacolo magnifico a chiunque abbia la fortuna di vederlo. Tutte queste celebrazioni dunque, di verse ma comunque legate ad un filo comune, sembrano quindi testimo niare la particolare rilevanza riservata dagli antichi al solstizio d’inverno. Un momento che oltre a festeggiare il ri torno della luce dopo la lunga notte, ricordava loro anche l’importanza dei cicli naturali, una comunione con la natura che l’uomo moderno sembra sempre più portato a perdere.

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Tradizione e astronomia
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Storie di guerra di Davide Pegoraro

L'ULTIMO MIGLIO

Era il giugno del 1918. Una timida estate si stava palesando tra le alture del Monte Grappa e nei piani operativi degli eserciti imperiali questo era il momento decisivo per tentare il tutto per tutto sul fronte italiano.

Sulle coste spagnole e francesi le truppe americane sbarcavano al ritmo di 350.000 uomini al mese, diretti nei campi di battaglia ad occidente, dalle Fiandre alle Argonne. Con loro miglia ia di tonnellate di rifornimenti, carri armati, aeroplani ed un flusso di denaro che faceva pendere l’ago della bilancia inesorabilmente a favore degli Alleati. Prima che fosse troppo tardi per nutrire ancora qualche speranza sull’esito vit torioso del conflitto, gli Imperi Centrali avevano scatenato una serie di offen sive ad ovest, giungendo nuovamente vicini alla capitale Parigi. Al termine di questo immenso sforzo, il fulcro dei combattimenti doveva spostarsi in Italia per cercare di assestare il colpo defini tivo all’atavico nemico degli austriaci. L’esercito dei Savoia, riorganizzatosi dopo la strepitosa resistenza sul Piave e sul massiccio veneto, si preparava ad

assorbire l’urto avversario nella cosiddetta Battaglia del Solstizio. Un intenso ma breve tiro di artiglieria co minciò fin da prima dell’alba ed oltre ai fumi provocati dagli scoppi delle migliaia di granate, un densa nebbia mattutina copriva il terreno nel quale stavano in attesa i soldati; gli austroun garici da un lato, pronti ad uscire a schiere compatte dai loro ricoveri e gli italiani dall’altro, con i fucili e le mitra glie in pugno dentro ai profondi fossati delle loro trincee. Nel versante a ponente del Grappa, una dorsale si snoda dal passo del Finestron (in diretto collega mento col settore Col Berret ta-Asolone) in direzione di Camposolagna, attraversando, via via, il Col Caprile, il Col del Miglio, Il Fenilon e, dopo il Fagheron, gli ultimi monti, il Col del Gallo ed il Col Ranie ro. Granate centellinate per la penuria di munizionamento colpivano tutti i presidi cono sciuti all’osservazione aerea nemica ed infine, un micidiale bombardamento a gas, per fiaccare la resistenza avversaria ed aprire paurosi vuoti tra le fila dei difensori. Con le mani scosse dai tre miti per la paura, migliaia di

fanti cercavano di indossare quanto prima la propria maschera protettiva; un esercizio all’apparenza semplice, eppure tanto complesso, a causa del frangente, da veder morire molti uo mini incapaci di eseguire l’operazione nei pochi secondi necessari. “Chi leva la maschera muore. Tenetela sempre con voi”; questo il breve ma inappellabile messaggio vergato nel contenitore metallico della serie di strati di garza che componevano il dispositivo antigas in dotazione ai soldati dei Savoia. Una fettuccia di tessuto come tracolla e della vaselina oftalmica da spalmare sul viso per meglio far aderire i bordi del facciale, gli unici altri oggetti a corredo di quello che era forse l’elemento più necessario di tutto l’equipaggiamento,

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dell’elmo metallico. “Colombi”, il cognome scritto sul fondo di un porta maschera rinvenuto molti anni fa lassù, ci parla di un uomo che ha vissuto il terribile attacco al settore di Cestarotta, la prima linea di combatti mento sul Col del Miglio. Sfondati alle prime ore del mattino, i combattenti del Regio Esercito dovet tero arretrare fino alla linea di massima resistenza e riuscirono a contrattacca re vittoriosamente sul Col Moschin, ricacciando le truppe dell’imperatore Carlo alle posizioni di partenza. Tra le migliaia di storie rimaste tra quei boschi di faggi e tra i crinali prativi, quel nome ce ne vuole ricordare una; non risultano caduti col suo stesso cognome all’ossa rio di Cima Grappa e forse, chissà, sarà riuscito a cavarsela pur avendo perso un così fondamentale oggetto. Borrac ce, gavettini e mille altri elementi del

corredo vennero personalizzati dai loro possessori, per riconoscerli tra i tanti altri appartenenti ai propri compagni nel caos degli alloggi e delle postazioni o per semplice passatempo. Spesso la ruggine impedisce di scorgere la sottile grafia che a volte rivela l’opera della mano di un uomo che, magari, deside rava anche solo di essere ricordato o più ancora di non venir dimenticato. Quella ruggine oggi si manifesta anche in altri modi, non solo come ossido su di un reperto, ma come indifferenza o totale mancanza di conoscenza di quegli eventi che hanno visto come protagonisti, non degli estranei, ma i nostri “nonni”. La volontà di ricerca può ravvivare quella memoria e concedere ai nostri antenati il giusto riconosci mento per l’enormità delle sofferenze patite nel primo conflitto mondiale. Proprio nei giorni scorsi nello stesso

angolo del fronte è stato ritrovato un distintivo austriaco celebrativo del Natale sul campo del 1917. Sui di esso la campana simbolo di pace…come la colomba… Ce ne sarebbe davvero bisogno di questi tempi.

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Personaggi di casa nostra di Caterina Michieletto

La vita è un viaggio: la mia bussola?

Il ballo. La mia destinazione?

La

felicità”.

Si dice sempre, con un tono di voce che ondeggia tra l’ironia e la saggezza, che nella vita ci vogliono un po' di “sale e pepe”, lasciando poi a ciascuno tradurre nella propria quotidianità questo tocco speziato. Ebbene, il protagonista di questa intervista aggiunge un ingrediente speciale a questa ricetta di vita: la salsa. Non fatevi ingannare, non quella che trova posto sulle nostre tavole, ma il richiamo di quella musica cubana e portoricana che quando entra nelle fessure del nostro cuore è destinata a restarci. Dal giorno in cui il ritmo latino-americano avrà fatto breccia dentro di noi, non sarà più solo la musica a cercarci ed invitarci in pista, ma saremo noi stessi a cercarla, ad averne bisogno per muovere e condividere passi di felicità. Nostra intervista a Issam El Haddad – Scuola Loca Combinaciòn

Come hai vissuto questa fase di transi zione?

Ogni cambiamento, piccolo o grande che sia, è una prova per sè stessi e così è stato anche il mio inizio in Italia. Mia mamma e mio papà erano contenti perché ai tempi in Marocco non c’erano prospettive e andare in Italia era una garanzia per il futuro; un po' come l’America: la terra dei sogni. Adesso la situazione è molto cambiata, ma allora le opportunità erano decisamente scarse, era come pescare in un mare dove pesci ce n'erano ben pochi; e se anche pescavi portavi a casa un pesce piccolo e magro che ti avrebbe sfamato per poco.

Affido alle domande e alle risposte dell’intervista il compito di presentarvi questa persona innamorata della vita, ritagliandomi solo una dedica in apertura che vuol essere grazie a lui e alla sua compagna di ballo e di vita, Chiara De Zanet, poiché insieme hanno creato molto più di una scuola di ballo: una scuola di felicità.

Da dove parte la tua storia e quando è iniziata la tua avventura in Italia?

Potrà sembrare incredibile ma il mio arri vo in Italia non era pianificato. Quando ho

preso la decisione di partire ero nei miei vent’anni con l’energia e quel pizzico di giovane follia che ti fa smuovere anche il più grande ostacolo. Sono scelte impul sive che però certe volte sono quelle giuste.

Qualsiasi persona che emigra in un altro Paese si sente sospesa tra l’entusiasmo e il coraggio di ricominciare altrove con la propria vita e la consapevolezza che que sta decisione significa sradicarsi, lasciare la propria famiglia, gli affetti, gli amici, la casa…

La pazienza c’era e la buona volontà anche, ma quando ti accorgi che peschi senza raccogliere nulla nella sostanza capisci che è inutile restare fermi in attesa, è meglio cambiare mare, cambiare aria, cambiare ambiente.

Quali differenze hai percepito fin da subito tra il Marocco e l’Italia?

La prima verità che ho appreso è stata l’idea sbagliata che dall’estero ci viene presentata dell’Italia, di un Paese dove è possibile avere tutto e subito e tanti si creavano false illusioni e aspettative. In realtà non esiste risultato senza sacrificio, questo vale per qualunque obiettivo,

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Personaggi di casa nostra

esperienza, etc., a maggior ragione se ti trovi in un altro Stato e devi ricominciare da capo.

La seconda grande e forse più profonda scoperta è stata sul piano umano. C’è una cosa bella della gente qui: è vero all’inizio non ti dà confidenza e fiducia, ma una volta che ti conosce ti dà il cuore e l’anima.

Così partenza, destinazione Italia. Com’è stato l’inserimento?

Da Marrakech a Marziai, così è iniziata la mia nuova vita. A due giorni dal mio arri vo avevo già trovato il mio primo lavoro in fabbrica a Vas, dove sono rimasto circa un anno e mezzo. Diciamo che l’inseri mento lavorativo all’inizio è stato difficile. In fabbrica c’erano tanti connazionali: questo può essere un limite perché non ti aiuta né per la lingua, né per conoscere la cultura, le tradizioni, le abitudini del Paese che ti ospita. Rimani sempre dentro la tua conchiglia. Nel frattempo, mi ero trasferito a Seren del Grappa: mi avvicinavano sem pre di più a quella che, allora non sapevo, sarebbe stata la mia casa, Feltre. Poi è iniziato un periodo di crisi in fabbrica, cui seguì la decisione di dimettermi perchè avevo trovato un impiego come camerie re in un locale a Rosà. Infine, l’assunzione in Clivet, dove ho passato tanti anni fino al momento in cui mi sono dimesso per lavorare con il ballo.

Ecco che arriviamo al cuore pulsante della tua storia: quando e come l’in contro con il ballo?

Attorno al 2002/2003. Una sera mi porta rono in un pub a Trichiana dove si balla va: entrammo e c’era bachata domenica na. Non avevo mai sentito quella musica e non avevo mai preventivato di diventare maestro di ballo, ma a primo impatto era come se quel ritmo mi appartenesse da sempre.

Me n’ero innamorato. Nel giro di tre mesi ero a fare animazione a Fonzaso al “Matly” (ora “Bandiera gialla”), dove ho conosciu to anche la mamma di mia figlia. Dopo il furore iniziale della mia favola d’amore con il ballo, mi sono ritirato dalla scena

per 9/10 anni e andavo a ballare solo oc casionalmente. Facendo un salto in avanti nel tempo, dopo questa lunga parentesi di pausa, la scintilla dell’amore per il ballo non si era mai spenta, era sempre un fuoco pronto a divampare appena avesse avuto l’occasione. Quell’occasione arrivò. Ero in un periodo difficile della mia vita, stavo affrontando la separazione dalla mia compagna e molti altri problemi. Un giorno dovevo incontrarmi con degli ami ci in un locale in centro a Feltre. Mentre li aspettavo ho iniziato a pensare: “Cosa ci faccio qua così?” Mi dicevo: “Tutti dob biamo avere uno scopo nella vita, qual era il mio?” Ripensai a quando ero stato bene, a cosa mi faceva sentire realizzato, felice, grato del dono della vita. Avevo perso il mio obiettivo e volevo ritrovarlo. Sapevo che il sabato sera facevano ballo al Bowling a Trichiana per cui decisi di andare e fare due salti. Mi sembrava di essere tornato a casa, in un luogo familia re. Tutti già mi conoscevano, mi accolsero entusiasti e affettuosamente. Da quella sera il ballo tornava nella mia quotidia nità e io mi e sentivo di nuovo in pista: materialmente con il ballo e psicologica mente con la mia vita. Accadde poi un secondo fatto meraviglioso che insieme alla riscoperta del ballo segnò la svolta: l’incontro con la mia Chiara. Era in agosto 2014 e facevo animazione all’Odissea quando nel fragore della salsa, nella calca della gente, nel gioco delle luci colorate avevo visto lei: ero incantato e volevo conquistarla.

E direi che la conquista è andata a buon fine: dal vostro amore e dalla passione condivisa per il ballo è nata la scuola “Loca Combinaciòn”.

Nel 2014 avevo preso il diploma di insegnante di ballo di primo livello presso l’ANMB (Associazione Nazionale Maestri di ballo) di Padova – Bologna e con que sto certificato abbiamo iniziato a tenere i corsi al “Paradiso” di Sedico e nel 2015 è nata la scuola di “Issam e Chiara”.

Quando hai capito che volevi trasfor mare il ballo da passione in vero e proprio lavoro?

Il ballo mi ha insegnato la lezione più im portante della vita: la felicità. La sensazio ne che avevo era che le persone avessero bisogno di qualcuno che le guidasse ver so la felicità. Da quell’intuizione è scattato tutto. l ballo è gioia, è socializzazione, è quell’appuntamento della settimana in cui si stacca da tutto, una boccata d’aria dallo stress e dagli impegni quotidiani. Quali progetti ci sono all’orizzonte?

Prossimo obiettivo è il “Dolomiti salsa fe stival”, un evento che dovrebbe radunare grandi ballerini da tutto il mondo per un weekend di stage e serate di ballo e allegria. Mi sto informando per come e dove, non vedo l’ora. Tanti mi dicono che sono un audace sognatore, ma è proprio questo che mi ha permesso di arrivare fin qui e penso che ci sia qualcosa di peggio dei sogni infranti: spegnere la voglia di sognare. Il mio è un mestiere da sognato re: la vita è un viaggio; la mia bussola è il ballo; la mia destinazione è la felicità.

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Testimonianza di vita di Liliana Vadagnin

La mia emigrazione

Sono in là con gli anni, essendo nata nel 1940 ma ricordo molto bene la mia emigrazione in Svizzera. Era il 1957, avevo 17 anni e essendo la maggiore di 6 figli era giusto aiutare i genitori, mia madre era casalinga e mio padre minatore. In casa c'era bisogno di tutto, non c'era l'acqua corrente, il bagno era esterno. Fortunata mente mia madre aveva una sorella sposata per procura negli Stati Uniti e ci mandava parecchi pacchi con un po' di tutto. Ricor do quei vestiti variopinti, pieni di volant e di strane fatture, le scarpe di due colori che oggi considero molto belle ma ai tempi sembravano veramente strane. La gente del paese veniva da mia madre a prendersi un vestito, una giacca o un paio di scarpe in cambio di un pezzo di formaggio, farina, patate, zucchero: quei pacchi sono stati veramente provvidenziali!

Un giorno una mia paesana mi ha prospet tato di andare in Svizzera, il, guadagno era molto buono. Ho contattato la Superiora che dirigeva un convitto che ospitava molte ragazze del bellunese, il lavoro era in una grossa fabbrica di filatura . Nel giro di due mesi ho avuto il passaporto e il contratto di lavoro. L'emigrazione era vera mente molto controllata , non si passava la frontiera se non si era regolari, non come quello spettacolo indecente che vediamo ai nostri giorni.

Sono partita da Sedico-Bribano con altre due ragazze. Padova-Milano_Zurigo. A Chiasso c'era da fare una visita ai polmoni, le due ragazze che erano con me sono pas sate, io no, ho dovuto fare un test che ri chiedeva alcune ore, così sono rimasta sola. Ricordo la grande paura di essere amma lata e di dover tornare a casa, la vergogna, l'umiliazione ancora più forti del pensiero della malattia. Piangevo sconsolata in una

stanza con altre persone con il mio stesso problema. Mi si è avvicinata una signora gentile provando a consolarmi mi regalò 10.000 lire che a quei tempi erano tanti soldi in caso avessi dovuto fare rientro a casa . Fortunatamente dopo qualche ora il test risultò negativo. Ho potuto riprendere il viaggio, era quasi sera e per arrivare a Zurigo ci volevano parecchie ore. Sul treno parlavano tedesco, avevo paura di sorpassare il paesino di Brugg, ero molto pre occupata. Misi tutta l'attenzione che potevo e verso mezzanotte raggiun si Brugg dove c'erano le suore del convitto ad aspettarmi. Sono stata accompagnata in uno dei dormitori con altre ragazze, 35 per la precisione, solo dopo venni a sa pere che nella struttura eravamo più di 300. Il giorno seguente era dome nica e la trascorsi facendo conoscen za con delle ragazze che erano tutte dei dintorni di Belluno. Ho trovato anche una cugina che non avevo mai visto e che non sapevo che esistesse. Il convitto era di retto da suore ed era una bella costruzione con ogni comodità, anche l'acqua calda. Il lunedì sono stata accompagnata in fabbrica e messa nelle mani di una maestra che mi ha insegnato a fare un tipo di nodo che usavano loro. Poi sono passata alle macchi ne di filatura, molto impegnative. Dopo il lavoro, si tornava camminando al convitto. Le suore erano molto severe anche perchè noi eravamo quasi tutte ragazze minorenni visto che a quell'epoca la maggiore età si raggiungeva a 21 anni. All'arrivo ci veniva tolto il passaporto, non si poteva uscire dal convitto da sole, se avevamo bisogno di una visita medica la Superiora ci accompa

gnava a Zurigo con una grossa Mercedes bianca.

Anche il denaro guadagnato non era ma neggiato direttamente da noi. Le suore, in fatti, ogni mese ci consegnavano un libretto dove era tutto rendicontato al netto della somma per il nostro sostentamento, della somma di denaro inviato alle famiglie, di qualche piccola spesa che potevamo fare in un emporio delle suore. Comunque, il grosso dello stipendio veniva accantonato per portarlo alla famiglia nel mese di luglio quando tornavamo tutte assieme in Italia per le ferie di 15 giorni.

Per quell'occasione, la Superiora prenotava un intero vagone di treno solo per noi.

Le valigie erano intrasportabili tanto era il peso, i facchini scherzavano chiedendoci se dentro avevamo un morto! Invece, dentro ai bagagli c'erano 10 kili di zucchero che

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Lettera al direttore

costava la metà rispetto all'Italia, e poi an cora sigarette, cioccolata e cioccolatini da donare ai nostri fratellini, fidanzati e amici, Si usava così, a quei tempi era una gioia portare qualche pensierino a tutte le per sone care. Nel '58 ho portato a mia madre un milione di lire! Sono rimasta in Svizzera quasi tre anni e con grande dispiacere non ho potuto imparare la lingua perchè non avevamo alcun contatto con i locali ma restavamo sempre tra di noi ragazze che parlavamo in dialetto bellunese. Ma ancora

adesso penso che tutta quella disciplina ha fatto bene a tutte noi e sono grata alla Svizzera che mi ha permesso di aiutare la mia famiglia, i miei fratellini che amavo molto, specialmen te la più piccola che ha 11 anni meno di me.

Dopo tre in Svizzera, mi sono sposata e sono andata a Mi lano, dove ho avuto i miei tre figli. I primi tempi, negli anni '60, sono stati un po' difficolto si ma si aveva voglia di lavorare e si riusciva a trovare di tutto, c'era tanto entusiasmo nella possibilità di progredire.

A Milano c'erano molti bellunesi con tanta voglia di ritrovarsi: a seconda della stagione, ci si ritrovava sul Ticino o sull'Adda, si facevano colossali polente e si parlava delle nostre meravigliose mon tagne, della nostra Belluno. Pian piano, abbiamo raggiunto l'età della pensione quasi tutti abbiam deciso di tornare ai nostri paesi. Ora, anche qui, ci ritroviamo alle riunioni dei “Bellunesi Nel Mondo”, ritrovandoci con tanta gioia e ogni volta ricordandoci quanto abbiamo lavorato, quanto abbiamo costruito. Anche Milano ci ha dato tanto e siamo tutti grati a quell'operosa città.

In conclusione desidero solo aggiungere che il Convitto di Gebensorf è stato la for

tuna di moltissime ragazze bellunesi, per ché ci ha accolto,  dato lavoro e tutela, vista la nostra giovane età. Le nostre famiglie erano tranquille che le loro figlie venivano accudite e guadagnavano molto bene e in modo onesto. Nel dopoguerra la Svizzera aveva costruito molti di questi edifici, un po' come caserme, perchè la richiesta di manodopera era altissima. Quasi tutte le ragazze si fermavano per almeno 2 anni e si facevamo raggiungere dalle sorelle più giovani. Ricordo un  gruppo di 5 sorelle della stessa famiglia, di 18 fratelli in tutto di Sant'Antonio Tortal. Una ragazza di queste è nella foto di gruppo che allego: è la prima ragazza in piedi a destra.

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al direttore Via Feltre, 22 Quero Vas (BL)
Lettera

Medicina & salute: perchè vaccinarsi?

L’INFLUENZA

L’autunno si sa è tempo di raffreddori e malanni di stagione. C’è chi prende spremute d’arance, vitamina C e altri rimedi naturali e chi invece decide di fare il vaccino per scongiurare l’influenza, malattia provocata da virus che infettano le vie aeree (naso, gola, polmoni).

l’anno in corso in quanto tutti i virus influenzali cambiano nel tempo eluden do l’immunità acquisita nella stagione precedente e non si possono prevede re gli andamenti futuri.

Il periodo indicato è quello autunnale a partire da metà ottobre fino a Natale. È gratuito per le categorie a rischio ed è adatto, acquistabile in farmacia, a chi vuole evitare l’influenza, ovviamente sentito il parere del medico. Un’inie zione intramuscolo che può essere somministrata dal medico di famiglia, in strutture sanitarie o al lavoro dal medi co del lavoro.

L’influenza infatti non è sempre un banale malanno e, oltre ad avere un elevato costo sociale colpendo fino al 20% della popolazione, in certi casi può avere conseguenze importanti. Secondo il Centro europeo per il con trollo delle malattie l’influenza causa in media 40.000 decessi prematuri in Europa, soprattutto fra le persone più fragili superiori ai 65 anni e affette già da altre patologie.

Le complicanze vanno da polmoniti batteriche, disidratazione, peggiora mento di malattie preesistenti (come diabete e malattie croniche), sinusiti, a otiti e anche le persone sane non sono esenti da rischi.

Il Ministero della Salute in linea con le indicazioni dell’OMS raccomanda il vaccino, approvato dall’Agenzia Italiana del Farmaco, offrendolo gratuitamente a particolari gruppi di persone come soggetti superiori ai 65 anni di età, soggetti con patologie per il rischio di complicanze da influenza, bambini con

più di 6 mesi, donne fino al terzo mese di gravidanza, soggetti ricoverati in ospedale e familiari di soggetti ad alto rischio.

Oltre a proteggere le persone più fragili le campagne di vaccinazione hanno l’obiettivo di garantire il corretto funzionamento dei servizi essenziali e quindi la profilassi è raccomandata a medici, personale sanitario, forze di po lizia, vigili del fuoco, allevatori, veterina ri e chi ha a che fare con gli animali. L’influenza infatti si trasmette per via aerea, attraverso le goccioline di saliva e le secrezioni respiratorie. È bene quindi seguire regole di precauzione come lavare frequentemente le mani (intervento preventivo di prima scelta), evitare luoghi affollati, aerare bene i locali e coprirsi naso e bocca quando si starnutisce e tossisce oltre a buttare via subito i fazzoletti.

Ogni anno il Ministero dà indicazioni per la prevenzione individuando le categorie a rischio. Il vaccino vale per

La protezione si sviluppa dopo due settimane e ha una durata di circa sei mesi per poi declinare. Il picco più alto di influenza si registra solitamente tra gennaio e febbraio.

I farmaci antivirali usati per curare l’influenza, a differenza del vaccino antinfluenzale, non stimolano la pro duzione di anticorpi e dunque non danno protezione immunitaria. Il vaccino antinfluenzale non interferisce con la risposta immune ad altri vaccini iniettabili purché somministrati in siti diversi e non contiene virus viventi, solo gli antigeni di superficie del virus influenzale, adatto quindi agli immu nodepressi. La sua somministrazione è sicura, non induce malattie croniche ed eventuali effetti collaterali si registrano nei primi giorni come reazioni locali, arrossamenti e meno spesso febbre e dolori muscolari che scompaiono velocemente. Raramente i vaccini antinfluenzali possono causare reazioni allergiche come orticaria o asma dovu te a ipersensibilizzazione nei confronti di determinati componenti del vaccino. Il consulto del medico rimane sempre la scelta preferibile.

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Paradiso,

La Celiachia

La celiachia è un'enteropatia infiammatoria, la stima della sua prevalenza si aggira intorno all'1%. È stato calcolato che nella popolazione italiana il numero totale di celiaci si ag gira intorno ai 600.000, contro gli oltre 233.000 ad oggi diagnosticati. Secondo un recentissima indagine una persona su 120 risulta, o potreb be risultare, affetta da celiachia, che è un'intolleranza permanente alla gliadi na, contenuta nel glutine. La celiachia rende tossici - nei soggetti affetti o pre disposti - tutti gli alimenti derivati dai suddetti cereali o contenenti glutine in seguito a contaminazione.

La malattia celiaca non ha una tra smissione genetica mendeliana, ma è presente un certo grado di predisposi zione nei parenti degli affetti. L'intolleranza al glutine viene contra stata dall'organismo con la produzione di anticorpi che, a loro volta, danneg giano la mucosa intestinale causando una riduzione della capacità di assor bimento dell'intestino. I danni causati dalla celiachia vengono riassorbiti e curati dall'organismo nel giro di sei mesi dall'adozione di una dieta priva di glutine.

Questo non significa che l'intolleranza sia sparita, ma solo che seguendo un regime di dieta controllata i sintomi dovuti all'intolleranza al glutine scom pariranno. E' fondamentale, all'insor gere del morbo celiaco, una diagnosi tempestiva perchè in soggetti affetti da celiachia la mancata osservanza di una dieta idonea può portare all'insorgere di patologie che possono con il tempo diventare gravi e permanenti.

Tra i sintomi dell'intolleranza al glutine, che risultano molto simili a quelli di altre malattie che interessano l’intestino, si possono elencare dolori addomi

nali, diarrea cronica, perdita di peso, ane mia, dolori alle ossa, cambiamenti com portamentali, crampi muscolari, stanchezza, crescita ritardata, do lori articolari, danneg giamento dello smalto e del colore dei denti, irregolarità dei cicli mestruali.

Una diagnosi sintoma tologica della celia chia, che deve essere eseguita presso centri di analisi cliniche an che perché la celiachia può essere asinto matica, ma comporta comunque un danneggiamento dei tessuti intestinali. L’unico trattamento possibile per la celiachia è una dieta appropriata, priva di glutine (gluten-free), che permette di ridurre ed eventualmente elimi nare i sintomi e di ricostituire i tessuti intestinali. La capacità di ripresa e di recupero dei tessuti danneggiati, però, dipende anche da molti altri fattori, come ad esempio l’età in cui la malattia viene diagnosticata o il grado di dan neggiamento.

Seguire una dieta priva di glutine im plica un forte impegno di educazione alimentare poiché si eliminano tutti gli alimenti contenenti frumento, orzo e loro derivati, come ad esempio il malto, quindi quasi tutti gli alimenti confezio nati, dalle merendine alle torte, la pasta e il pane, la pizza.

La difficoltà maggiore per la persona affetta da celiachia comunque è il fatto che la dieta deve essere organizzata in base alle informazioni dettagliate disponibili sugli ingredienti di ciascun

piatto proposto a un ristorante o a una mensa o di ciascun prodotto in vendita a un supermercato.

Particolarmente importante è il fatto che il glutine può essere "nascosto" nei cibi, e perfino in alcuni farmaci, come additivo, conservante o aroma.

E’ quindi necessario richiedere infor mazioni dettagliate su ogni singolo prodotto che si desidera acquistare e utilizzare. È fondamentale compren dere come un minimo contatto degli alimenti contenenti glutine con quelli per celiaci può contaminare questi ultimi, ad esempio l'utilizzo delle stesse posate per rimestare la pasta in cottura in pentole diverse è assolutamente da evitare.

L'ingestione di una minima quantità di glutine può rendere inefficace la dieta, pertanto è fondamentale accertarsi che il celiaco non ingerisca alimenti che possano contenere glutine in nessuna forma (spesso viene utilizzato come addensante e strutturante in molti alimenti). Per lo stesso motivo il glutine viene aggiunto ai preparati farmaceu

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tici in tavoletta, che i celiachi devono necessariamente evitare.

L’intolleranza al glutine è tale che coloro che ne sono portatori non possono limitarsi a mangiare prodotti senza glutine. Il celiaco necessita della garanzia che tali prodotti non vengano contaminati con il glutine durante tutto il processo produttivo, dalla lavorazio ne al confezionamento.

EROGAZIONE GRATUITA DEGLI ALIMENTI SENZA GLUTINE

A seguito della diagnosi del medi co specialista, il celiaco ha diritto ai prodotti dietetici senza glutine, indi spensabili per la sua dieta, rigorosa ed irreversibile. Può, quindi, ritirare prodotti nelle farmacie, pubbliche e private, nella GDO (supermercati) e negozi specializzati, fino al raggiungi mento di un tetto di spesa mensile, secondo sia il sesso sia le fasce d'età. I tetti di spesa effettivamente riconosciu

ti, possono essere differenti a seconda della regione di residenza e della Asl di appartenenza. Pertanto, ogni dettaglia ta informazione deve essere richiesta all’AIC della regione di residenza. Le agevolazioni sono principalmente di due tipi: economiche e non economi che. Da un lato il bonus mensile per

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l’acquisto di cibi gluten-free, dall’altro la possibilità di avere pasti differenziati in mense e ospedali

(Si ringrazia l’azienda Food Senza Glutine® per il testo fornito)

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Medicina & salute

Medicina & salute: acquisto farmaci online UN GRANDE RISCHIO PER LA SALUTE

Da luglio 2015 il Ministero della Salute ha autorizzato farmacie e parafarmacie a vendere farmaci da banco anche online. È bene però per il consumatore accertarsi che le regole imposte vengano seguite, soprattutto per quanto riguarda prezzi e tipo di medicinali acquistati. In ogni caso è sempre buona e sicura norma rivolgersi a una farmacia e MAI acquistare farmaci o altri preparati medicinali da negozi improvvisati o da siti Online. Può essere estremamente pericoloso.

e simili che però invece non sono auto rizzati. Solo farmacie e parafarmacie con un corrispettivo negozio fisico autorizzato possono aprire alla vendita virtuale. È inoltre impossibile comprare in modo legale farmaci provenienti da siti esteri.

L’introduzione di farmaci con bugiardino scritto in una lingua diversa dall’italiano è proibita.

Il prezzo: la legge stabilisce che debba essere corrispondente a quello imposto dall’esercizio fisico. Da un sito all’altro però i prezzi possono variare notevol mente e si può risparmiare scegliendo il medicinale con lo stesso principio attivo. Per trovare l’equivalente Altroconsumo ha messo a disposizione sul suo portale un servizio di ricerca.

Secondo una indagine effettuata al 31 mazo del 2022, e leggendo i dati del Ministero della Salute analizzati da Farmakom per PharmacyScanner sono 1.370 gli esercizi autorizzati in Italia alla vendita online di farmaci Sop e Otc che

espongono l’apposito bollino di sicurez za, logo che tramite link rimanda all’e lenco pubblicato sul sito del Ministero. È bene fare attenzione alla presenza del bollino in quanto molti siti si servono di nomi ingannevoli come La buona farmacia

I farmaci: È possibile acquistare online solo medicinali da banco. I farmaci che richiedono la prescrizione medica, come antibiotici, Viagra, e ansiolitici, saranno reperibili solo su operatori illegali da cui è meglio stare alla larga. I rischi di truffa e soprattutto di danni alla propria salute

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sono alti e dunque è meglio rivolgersi al proprio medico di fiducia. I farmaci illegali: l’acquisto online dà solo l’illusione dell’anonimato, ma i rischi per la salute sono alti oltre a quello del furto dei dati sensibili. I più ricercati sono prodotti legati al miglioramento delle pre stazioni sessuali, dimagranti, anabolizzanti, antidepressivi e ansiolitici. È bene fare at tenzione a questo tipo di farmaci che pre sentano un’etichettatura contraffatta circa il contenuto e l’origine del medicinale. Informazioni ingannevoli, farmaci rubati, quantità di principio attivo modificato da quello dichiarato se non assente, farmaci scaduti e ri-confezionati, o peggio ancora medicinali contenenti sostanze tossiche. Un fenomeno in costante aumento in tutti i paesi. «Mezzo milione di siti illegali –evidenzia il dottor Domenico Di Giorgio, direttore dell’ufficio qualità dei prodot ti e contrasto al crimine farmaceutico dell’AIFA – e l’offerta legale è minima, l’1 per mille rispetto a quella illegale, che

prolifera anche attra verso sexy shop, social network usati come vetrina, infiltrazioni nei forum dedicati ai pazien ti dove si va a vendere ai singoli soggetti. Le persone, consapevoli di acquistare nell’illegalità, non sanno il rischio che corrono. È sempre più alta la casistica registrata nei centri antiveleni di soggetti intossicati, soprattutto fra i più giovani. In collabora zione con LegitScript andiamo a caccia di siti illegali per chiuderli, un incessante lavoro contro un’offerta in continua evoluzione e che ha una distribuzione sempre più ampia e che si basa anche su organizzazioni criminali. I pacchi che non si riesce a intercettare, prima di arrivare a destinazione passano per vari intermedia ri. Ogni anno ne sequestriamo centinaia

di migliaia».

IMPACT Italia: è il nome della task force istituita nel 2007 di cui fanno parte il Ministero della Salute, l’AIFA, e l’Istituto Superiore di Sanità, insieme alle forze dell’ordine con l’obbiettivo di effettuare indagini e studi di approfondimento del fenomeno contraffazione e vendita in canali illegali compreso quello on line. Sul sito della Task force i cittadini possono segnalare i casi sospetti.

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I pesci dottori e la “Fish pedicure e manicure”

Sono conosciuti come “i pesci dottori” per la loro principale caratteristica che è quella di mordicchiare sia i piedi che le nostre mani e di nutrirsi delle cellule morte e delle “pellicine” che ricoprono la pelle dei nostri arti.

La “fish therapy, come viene chiamata oggi, è una particolare metodologia indicata e consigliata per chi ha parti colari problemi o soffre di dermatite o psoriasi o per avere un originalissimo trattamento cutaneo. E tutto questo è dimostrato da numerose ricerche scientifiche che attestano anche come,

grazie alla loro azione, si genera un effetto distensivo e rilassante.

Oggi numerosi sono i centri di estetica che si avvalgono dei “Garra Rufa” ( è il nome di questi simpatici pe sciolini) i cui risultati della loro azione oramai sono documentati. E’ utile anche sapere che questi pesciolini, non essendo dotati di veri e propri denti ma par ticolari ventose, non riescono ad intaccare la parte sana della pelle sulla quale intervengono, pertanto il loro effetto è pura mente benefico. Il trattamento con i “pesci dottori” è però sconsigliato a chi ha abrasioni, ferite o particolari patologie cutanee.

I “Garra Rufa”, nel rimuovere tut ta le pelle secca producono e

rinascita di una pelle più liscia e più delicata. A questo si deve anche ag giungere, ed è utile sottolinearlo, che questo particolare trattamento este tico non è una recente trovata o una invenzione del momento, bensì un qualcosa che esiste da moltissimo tem po perché questi pesciolini (prevalen temente diffusi nel Medio Oriente in Turchia, Siria, Giordania e nel bacino idrico del Tigri e dell’Eufrate), da anni vengono utilizzati non solo allo scopo

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Freddo e gelo d’inverno... ...nostri veri nemici

Oramai è risaputo che i mesi invernali sono motivo di molti problemi per la nostra salute quali l’influenza, raffreddo re e altri “malanni” di stagione. Ed è anche in questo periodo che, purtroppo, si manifestano anche complicazioni che hanno come soggetto la nostra pelle, spe cialmente quella più esposta quale quella delle mani e del viso.

Purtroppo il gelo e il freddo sono nemici conclamati della nostra pelle specialmente in quelle persone maggiormente sensibili o portatoti di patologie cutanee. E non è difficile, infatti, essere colpiti da feno meni d’irritazione, secchezza, fastidiosi pruriti o addirittura screpolature anche gravi. Le basse temperature provocano un restringimento dei vasi sanguigni con una conseguente minore ossigenazione dei tessuti. Il ricambio cellulare quindi rallenta e la superficie cutanea si scre pola con facilità e causa una fastidiosa sintomatologia.

Ecco perché, con l’arrivo dei primi freddi e con gli sbalzi di temperatura, tipici del periodo invernale, è neces sario difendersi e quindi proteggere la nostra pelle. Secondo gli studiosi di dermatologia una pelle non curata e non protetta può dare origine a ulte riori problemi quali l’invecchiamento

precoce, la perdita di tono, di elasticità e poca resistenza ai fenomeni atmosfe rici.

Da qui la necessità di servirsi dei ritro vati che la ricerca, legata alla derma tologia, mette a nostra disposizione. E buona pratica è anche quella di coprire le parti più vulnerabili del nostro corpo con tessuti particolarmente idonei a proteggerci dal freddo e dagli sbalzi di temperatura mentre le zone più de licate del viso, quali occhi, naso, bocca e orecchie, andrebbero protette, oltre che con le creme, anche con occhiali, cappelli, para-orecchi e quanto di utile e appropriato.

Medici, farmacisti e studiosi del settore sottolineano che nei periodi freddi e invernali è fondamentale idratare la pel le, specialmente quella di mani e viso, con particolari creme o prodotti. A tal

proposito è bene sapere che le creme per il viso devono essere più consistenti rispetto a quelle che normalmente si usano negli altri periodi dell’anno. Un buon consiglio, per nutrire, dare com pattezza alla pelle e per meglio pro teggerla, secondo pareri e consigli di studiosi, è quello di utilizzare oli e burri vegetali, soprattutto se ricchi di acidi grassi essenziali, prodotti con glicerina e anche con acido ialuronico mentre per la secchezza cutanea posso essere usati prodotti in grado di svolgere una azio ne emolliente e addolcente. Anche per questi problemi, di apparente sempli cità, è sempre da evitare il famoso “fai da te” e quindi, buona regola, è quella di rivolgersi al proprio medico o al pro prio farmacista che certamente saranno in grado di dare giusti e appropriati consigli.

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Problemi reali e non da sottovalutare ANORESSIA E BULIMIA

Quando si parla di disordini alimentari, anoressia e bulimia sono le manifestazioni più frequenti tanto da essere considerate un’emergenza di salute mentale che riguarda tutti gli strati sociali, maschi compresi, sebbene a soffrirne di più siano le femmine dall’età preadolescenziale in su.

Secondo i dati forniti dal Ministe ro della Salute in Italia il 95,9% delle persone colpite da disturbi alimentari sono donne. Per l’anoressia nervosa si contano 8 nuovi casi per 100mila persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini si conta no fra 0,02 e 1,4 nuovi casi. La bulimia invece ogni anno conta 12 nuovi casi per 100mila persone tra le donne e circa 0,8 nuovi casi tra gli uomini. Questi disturbi, spesso confusi e semplificati nel binomio anoressia uguale magrezza e bulimia come obesità, se non trattate invece possono avere ripercussioni gravi sulla salute in tutti gli organi e ap parati causando addirittura la morte. In

entrambe il cibo, la sua assenza o il suo bisogno spasmodi co, diventa il centro di ogni pensiero. Guarire si può, con lo sforzo della persona malata di riconoscersi tale innanzitutto, e poi con l’aiuto dei propri cari e la scelta di specialisti giusti che guidino nel percorso di riequilibrio. Il trattamento infatti richiede personale specializ zato che assicuri un approccio interdisciplinare in cui venga integrato l’aspetto clinico-nu trizionale, quello psicologico, endocrinologico e riabilitativo. A determinarle è un disagio emotivo e psicologico legato a fattori di rischio ambientali, genetici, e psicosociali. Van no trattate per la loro natura psichica oltre che come problema alimentare. Il disordine alimentare ha componenti come la familiarità e l’influenza da parte di membri della famiglia o di gruppi, come danzatrici, modelle, e ginnaste che impongono standard di magrezza.

Tra le cause si contano anche situazioni traumatiche come abusi sessuali, drammi familiari, o la necessità, come spesso accade, di corrispondere a canoni di bellezza imposti con prepotenza dai media.

Anoressia nervosa

Secondo l’OMS, una persona è sot topeso quando il suo indice di massa corporea è inferiore a 18,5. Si calcola

dividendo il peso per il quadrato dell’altezza espressa in metri. L’anoressia consiste nel rifiuto di alimentarsi dato dal timore di prendere peso anche quando si è già visibilmente sottopeso. È la patologia psichiatrica con il più alto livello di mortalità. Il percorso che vi conduce è graduale, con la riduzione dell’introito alimentare e l’esclusione di alcuni cibi. Il benessere iniziale è dato dalla perdita di peso e dal miglioramen to della propria immagine e soprattutto dal potere di controllare la fame. Il cor po diventa l’oggetto di culto controllato continuamente allo specchio, oltre la taglia dei vestiti, la bilancia, il conteggio delle calorie, e la lentezza nel mangiare. L’evidente eccessiva magrezza è sempre negata e di conseguenza il pericolo per la propria salute, opponendosi spesso ai trattamenti. Nei più giovani non è sempre facile diagnosticarla per via dei cambiamenti fisici dello sviluppo, nelle ragazze il primo sintomo è la scom parsa delle mestruazioni. L’anoressia nervosa si manifesta sia con importanti restrizioni alimentari che con abbuffate e successive eliminazioni attraverso vomito, lassativi e iperattività. La vita ruota intorno al cibo e tutto il resto che l’esistenza offre perde d’interesse. Le conseguenze ultime per chi scende sot to i 40 Kg possono essere letali anche per le complicanze cardiache che ne seguono. Al di là del calo di peso sono molti i fattori a cui bisogna prestare attenzione come debolezza, pelle secca

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di colorito giallastro, capogiri, spossatez za, capelli fragili e intolleranza al freddo. Le persone affette da anoressia nervosa presentano estremità delle mani e dei piedi bluastre in seguito all’esposizione al freddo, cicatrici o callosità sul dorso delle dita (segno di Russel) dovute al vomito autoindotto, denti con smalto opaco, carie e infiammazioni gengivali, aritmie, difficoltà di concentrazione, depressione e ansia. Generalmente è la pressione dei familiari a portare il sog getto anoressico al trattamento quando il dimagrimento è piuttosto marcato. Per evitare la promozione di ideali di bellezza inaccessibili e prevenire l'anoressia nelle giovani, in Francia è stata approvata la legge per cui ogni modella deve presentare un certificato medico che attesti il suo indice di massa cor porea, idoneo a esercitare l'attività. Dal 1 ottobre 2017 inoltre è obbligatorio apporre sotto le foto a uso commerciale la dicitura 'fotografia ritoccata' qualora siano state apportate delle modifiche.

Bulimia Nervosa

A differenza dell’anoressico, il bulimico si abbuffa in modo però differente dal classico “mangiare troppo”. Ingerisce una quantità eccessiva di cibo e calorie in un tempo ristretto, ha la sensazione di non potersi controllare e l’abbuffata ha in genere uno stress emotivo forte come fattore scatenante, come insoddisfazio ne verso se stessi o senso di vuoto. Il senso di colpa che ne segue si traduce in vomito autoindotto, assunzione di lassativi e diuretici, esercizio fisico eccessivo o digiuno per perdere il peso accumulato. Il disgusto verso se stessi e la tendenza a nascondere il proprio comportamento dagli altri in modo pianificato sono i passi successivi. Le abbuffate compulsive e l’uso dei comportamenti com pensativi avvengono in media una volta alla settimana per almeno tre mesi. Una crisi bulimica è accompa gnata dalla sensazione di perdere il controllo. Anche il bulimico è ossessionato dal suo peso e dalla forma fisica da cui determina la va lutazione di sé. Il vomito autoindot to dunque riduce il malessere fisico oltre alla paura di ingrassare. Tutta via è più difficile stabilire la bulimia. L’individuo può essere di peso normale, sovrappeso, o sottopeso.

L’anoressico è sempre troppo sottope so. Tuttavia per individuare il soggetto bulimico è bene fare attenzione alle callosità sul dorso della mano (segno di Russell), irregolarità mestruale, erosione dello smalto dei denti, carie, sensibilità dentale, palpitazioni cardiache, bruciore all’esofago, ulcere nel cavo orale, mal di gola frequenti, gonfiore alle mani, ai piedi, e all’addome, edema alle caviglie e agli occhi. Erroneamente si ritiene che la bulimia sia meno “grave” dell’anores sia. Di certo il rischio di morte è inferio re rispetto alla denutrizione, ma non le complicazioni che essa provoca sull’or ganismo, determinando danni a carico dell’apparato digerente, con rischio di ulcere ed emorragie interne, del fegato, dei reni, del cuore, con aritmie e scom pensi, e dunque potenzialmente fatali in un secondo momento. Molti soggetti presentano un’anoressia iniziale per poi passare alla bulimia in quanto incapaci di mantenere il peso basso e astenersi dal mangiare. Il grasso, “il nemico”, è nella giusta quantità invece uno dei migliori alleati per la salute. Svolge ruoli insostituibili nel corpo e protegge dalle fratture ossee. È una miniera di vitamine e oligoelementi per il benessere psico fisico e una sua parte, detta essenziale, ricopre gli organi del corpo, proteggen doli e sorreggendoli.

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LE FATICHE DI ESSERE MAMMA

Essere mamma per chi lo desidera è una di quelle esperienze più emo zionanti e in alcuni momenti anche totalizzanti, ma non è tutto oro quello che luccica. Diventare mamme è una di quelle esperienze da cui non si torna indietro, è una di quelle esperienze che ti può cambiare anche radicalmente. Una donna dopo il primo anno dalla nascita del figlio spesso non si riconosce più, è cambiata lei, le sue priorità le sue attività e così via. In una parola sola, cambia proprio l’identità e questo mutamento può essere faticoso e non così scontato. La maternità può far scaturire anche una serie di emo zioni che magari non si penserebbero, di cui forse ci si potrebbe vergognare anche solo a provarle figurarsi per cui parlarne apertamente. La maternità può portare fatica, frustrazione, rabbia e anche ma non per ultima ansia. Questa situazione può sopraffare, ci si ritrova da sole a gestire una piccola creatura che magari ci trasmette dei segnali comunicativi non così chiari. Il peso della responsabilità, nessun tempo per se e le attività piacevoli che fino a poco tempo prima non mancavano nella propria routine settimanale sparite nel nulla. Sentirne la mancanza, o ancora sentirsi frustrate non è sbagliato è umano.

Non è così infrequente anche sentire mamme che lamentano solitudine, un estremo senso di solitudine. Passare tutto il giorno da sole, non scambiare due parole con un adulto, la società che non permette nemmeno di esternalizzare questi pensieri e per chi lo fa rimandare di essere sbagliato di sicuro non è d’aiuto.

La stanchezza si accumula pian piano gior no dopo giorno, notte insonni, pasti fugaci, sempre di riuscire a farli, problemi giorna lieri questo è il lato “oscuro” della mater nità. Dovremmo parlarne di più, perché legittimerebbe le mamme a provare queste emozioni, che anche se passeggere hanno diritto di esserci e soprattutto cercare di

correre ai ripari prima di avere le batterie completamente scariche. Ecco perché mi sento di dare qualche consiglio alle neo mamme.

Innanzitutto prendetevi cura di voi, ne beneficerà anche il bambino. Riuscire a ritagliarvi anche solo una mezz’oretta in cui uscite con una amica a fare una piccola pas seggiata o per bere un caffè veloce vi farà ricaricare un po’ e vi farà scariche invece un po’ di stress.

Ricordatevi che la perfezione non esiste e quindi nemmeno una mamma sem pre accogliente, pronta a reagire a ogni bisogno del figlio e sorridente. La maternità è fatta di imprevisti, di incomprensioni di risintonizzazioni, e avere in testa un certo tipo di modello di mamma irrealistico non farà altro che farci sentire ancora più inadeguate nonché sbagliate. Non si può fare tutto da sole, cercate di delegare se potete e datevi delle priorità. Non importa se in casa sembra esplosa una bomba, o se la cena prevede un menu semplice e non un manicaretto.

Non badate ai consigli non richiesti, non si sa perché ma quando nasce un bambino

tutti si sentono legittimati a dare consigli di qualsiasi genere. Bhe non fatevi influenzare, voi siete la persona che meglio conosce vostro figlio, fidatevi di voi e del vostro bambino.

Ed infine ricordatevi che anche la coppia deve cambiare, si passa da una diade a una triade dove uno dei componenti ha bisogno per qualsiasi cosa di voi. Gli equilibri devono cambiare e non sempre è così facile. L’arrivo di un figlio può mettere alla prova la durata della coppia, è infatti una delle fasi in cui c’è un rischio concreto di separazione. In questo caso il consiglio è cercate di mantenete attiva la comunica zione, sintonizzatevi, ditevi cosa provate in quel momento, le cose belle così come le vostre fatiche. Aiutatevi e condividete il più possibile le attività e se riuscite mantenete anche solo per poco il tempo per voi. Il tempo per la coppia è prezioso soprattut to in questa fase.

Dott.ssa Erica Zanghellini

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Medicina & Salute di Erica Zanghellini
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Sedazione Cosciente

Spesso la paura del denti sta gioca brutti scherzi, la sedazione cosciente è una tecnica anestesiologica che ha lo scopo di provare una condi zione di profondo rilassamento tramite un gas: il protossido d'azoto.

Il risultato è che il paziente, pur rimanendo cosciente, non avver te alcun dolore ma soprattutto non ricorda quasi nulla dell’in tervento in questione.

La tecnica è asso lutamente sicura e può essere appli cata a chiunque (anche ai bambini), il protossido d’a zoto inoltre, viene eliminato nel giro di 2-3 minuti. La sedazione coscien te è sconsigliata alle donne in stato di gravidanza o a pazienti in caso di difficoltà respiratorie,

forti raffreddori, bronchiti cro niche, sarebbe meglio evitare in quanto potrebbe essere difficile praticare la sedazione.

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Medicina & Salute

Inumazione e cremazione di animali d'affezione

Un animale domestico è un compagno fedele di vita che accompagna per molto tempo i suoi proprietari perchè entra a far parte della famiglia, trascorre moltis simo tempo in casa e condivide ogni momento del quotidiano. Quando però avviene il decesso, non sempre è facile reagire con razionalità e conside rare quale sia la scelta più adatta per dare l'ultimo saluto al “piccolo” amico. La legge attualmente in vigore in mate ria di decesso di animali e conseguente “smaltimento” della “carcassa” prevede che sia il proprietario a farlo, ma nel rispetto dell’ambiente e dell’igiene pubblica. E per farlo si può avvalere di due modi: seppellirlo oppure cre marlo. Nel primo caso, se si desidera seppellire il proprio gatto a cane nel

giardino è necessario rivolgersi all’ASL territoriale di competenza per ottenere l’autorizzazione. Diversamente, la legge vieta sem pre di seppellire animali in luoghi pubblici o di proprietà del dema nio. Da sapere che è severamente vietato gettarli nella spazzatura. Nel caso della cremazione, invece, sono previste due metodologie: quella collettiva, ovvero l' incene rimento di più carcasse in contem poranea e quella singola, che è sempre la più consigliata, in quanto prevede l’incenerimento di un solo corpo alla volta, con la restituzione delle ceneri al nucleo familiare. Secondo quanto previsto dalle dispo sizioni nazionali e comunitarie, dopo il decesso, l'animale domestico è consi

derato materiale di CAT 1, e dunque può essere trattato esclusivamente attraverso impianti di incenerimento o altri della stessa categoria. Nel caso si opti per la cremazione, buona regola è quella di rivolgersi a strutture garantite le quali saranno in grado di eseguire, con competenza professionale,il servi zio richiesto.

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USURA E ANATOCISMO

Sono questi due particolari ter mini, diventati di uso comune e che non di rado causano e motivano effetti negativi sul nostro sistema economico, specialmen te quello che riguarda i semplici cittadini.

Il fenomeno dell'usura bancaria e dell’anatocismo sono anomalie finanziarie che si possono riscon trare sui contratti bancari di ogni tipo: contratti di conto corrente con aperture di credito, mutui, finanzia menti, leasing ecc..

Sono illeciti radicalmente diversi dal punto di vista giuridico. L'ana tocismo è un illecito civile, privo di risvolti penali, invece per l'usura, che è vietata dal codice penale, è prevista un'aggravante specifica nel caso in cui il reato sia commesso da un soggetto che esercita l'attività

bancaria.

L'usura bancaria, secondo gli articoli 644 e 644 bis del codice penale, è un reato che si concretizza quando una parte (una banca, ma non solo) concede un qualsiasi credito, presti to o mutuo, applicando interessi su periori a quelli stabiliti dalla legge e che sono quantificati e determinati ogni 3 mesi dalla Banca d'Italia. E' utile evidenziare anche che quando avviene il superamento del “tasso soglia”, stabilito dalla Banca d'Italia e si verifica quindi un caso di usura bancaria, i clienti che l'hanno subita posso chiedere la restituzione delle somme indebitamente pagate. Con anatocismo bancario, invece, si indica una particolare operazio ne mediante la quale una banca, aggiunge, alla somma capitale concessa in credito, gli interessi su

di essa maturati per poi ricalcola re sulla somma complessiva nuovi interessi. In parole povere significa che gli interessi maturati vengono nuovamente addebitati divenendo quindi la somma totale sulla qua le maturano ulteriori interessi. Più semplicemente è la produzione di interessi da altri interessi.

Ecco perchè, quando ci si rivolge ad un istituto bancario per otte nere un qualsiasi prestito, è utile, per avere la giusta conoscenza e le giuste informazioni, affidarsi a degli esperti del settore i quali, per le conoscenze, l'esperienza e la competenza specifica, sono sempre in grado di dare giusti e appropriati consigli onde evitare le possibili “fregature” o non desiderate sor prese.

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A.E.C.I.
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Lettera al direttore

SCUOLA, ALUNNI E INSEGNANTI

esposta.

Gentile Redazione, prendo posizione riguardo l'articolo di Patrizia Rapposelli sugli inse gnanti pubblicato in Feltrino Newsnov. 2022.

Nell'articolo vengono riportati i realistici comportamenti, da parte dei giovani, verso le istituzioni scolastiche. Inoltre, in Italia si nota un picco del menzionato fenomeno alquanto eleva to in confronto alle altre nazioni. E' anche vero che, da parte dei geni tori e degli utenti in genere, gli inse gnanti vengono maltrattati. Due grandi cause di tal fenomeno lo possiamo riscontrare nel fatto che i genitori delegano volentieri il proprio obbligo educativo ai maestri e, a stesso tempo, desiderano esibirsi in modo narcisi stico. Esempio che, i figli, ben presto riescono a copiare.

Però, la mia presa di posizione desi dera accennare più sulla causa che sull'effetto. Ovvero, non ci accorgiamo che la menzionata scatenanza ha le sue

radici in una predisponenza che, anche noi, accettando il sistema, l'abbiamo provocato. Ovvero, la totale mancanza di pedagogia nel sistema dell'insegna mento italiano.

Osserviamo gli altri paesi europei. Ogni persona che entra nella profes sione di maestro delle elementari deve frequentare un percorso di almeno due anni universitari di pedagogia. Per poter insegnare alle scuole superiori esistono facoltà tecniche - pedago giche parallele a quelle prettamente scientifiche.

Per fare un esempio, se a Berlino una persona si laurea in fisica, egli non potrà mai inserirsi nell'insegnamento delle scuole medie o dei licei. Per questo percorso egli deve frequentare la facoltà di fisica pedagogica. Ciò vale per tutti i settori e per tutti gli inse gnanti.

Con lo studio pedagogico si riesce a comunicare in modo che i giovani riescano a trarre fascino dalla materia

Un paragone lo troviamo quando, in Italia, gli insegnanti di lingue straniere affermano che il popolo italiano non è portato per le lingue mentre i centro e nordeuropei lo sono. Chiaro, in Italia gli insegnanti di lingue straniere sono persone che, personalmente, hanno studiato solamente la lingua in que stione e nelle lezioni, invece di entrare nella lingua viva, sparano grammati ca a non finire. Con l'insegnamento linguistico pedagogico ci si avvale del subconscio entrando nella memoria tramite il gioco, le rime, il canto e quant'altro. La grammatica viene dopo. Si pensi solamente al sistema "Inlingua" che permette, già dopo qualche mese, a parlare nella lingua scelta. Nella pedagogia linguistica ci si rifà all'osservazione dei nascituri i quali, senza grammatica, bensì con il gioco, riescono a imparare la propria com plessa lingua. Si veda l'italiano, lingua molto complessa, che viene sciolta mente parlata da prescolastici bambini. In analogia osserviamo come, nei paesi centro e nordeuropei, l'utilizzo di strumenti musicali viene ampiamente seguito. Ciò fino in età adulta e anche in gruppo. Basti vedere come, in detti paesi, gli insegnanti di musica vengono istruiti con lo stupendo sistema peda gogico di "Karl Orff". Ne è una dimo strazione la non semplice esecuzione del coro "Carmina Burana" da parte di giovanissimi pargoli. Esattamente l'opposto delle nostre "caserme musi cali" nelle quali, da parte di insegnanti non pedagogici, si accentua prima il solfeggio e poi la musica. Il precoce abbandono degli strumenti da parte

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Da parte del Sig. Klaus von Lorenz ci giunge questa lettera che volentieri pubblichiamo

dei giovani ne è una dimostrazione. Possiamo proseguire osservando come geometri, geologi o ingegneri diventino professori senza alcuna esperienza pedagogica. Un rispecchio di tal proseguimento lo riscontriamo nella suddivisione del voto il quale assomiglia totalmente ad una camuffata forma di agonismo. In pedagogia si sa che, anche senza perfezione esecutiva e copiativa, la percezione d'un sapere si può esprimere in maniera diversa secondo la differente personalità. Ed è per questo che, nei paesi con insegna mento supportato dalla pedagogia, esiste solamente un punto negativo oppure non esiste affatto. Nelle scuole di detti paesi anche lo sport viene insegnato, in prima linea, come espressione spirito corporea. Sarà il giovane stesso a decidere poi, se entrare nell'egocentrico agonismo oppure no. Basti osservare come in

dette nazioni il nuoto, unico sport che può appellarsi salvavita, viene insegnato già nella prima elementare. Infatti, tutti i men zionati cittadini entrano in acque libere, attraversa no fiumi da soli, senza paura e senza problemi. In Italia abbiamo esatta mente l'opposto. Tutti hanno paura delle acque libere e, quale prototipico esempio, abbiamo la "divina" di nuoto Pellegrini. Lei ha terrore ad entrare nel le acque libere. Ovvero, lei sa nuotare molto bene, ma non sa cos'è il nuoto ! Per dirla in breve: i nostri studenti, indotti da insegnanti ignoranti di pedagogia, elencano le tabelline in ve

locissimo tempo...ma non sanno cos'è la matematica !

Parliamo della fuga, ma non accennia mo a chi la provoca.

Parliamo delle mosche, ma non accen niamo al miele che spargiamo. Predisponenza e scatenanza. Due fon damentali elementi da porre sempre in bilancio alla base d'ogni osservazio ne analitica.

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Il TAGLIANDO e la REVISIONE dell’AUTO

Quando si parla della sicurezza, funzionalità e prestazioni otti mali dell’automobile, sia essa a benzina o diesel, è necessario rispettare, sempre, due importantissime scadenze: il tagliando e la revisione.

Il primo è un particolare controllo di manutenzione ordinaria che esamina e verifica tutte le componenti dell’automo bile che nel tempo e con il tempo sono o possono essere soggette alla normale usu ra o consumo. Di solito questa verifica si fa in una qualsiasi officina meccanica anche se è buona regola recarsi presso un’offi cina autorizzata dalla casa madre perché, facendolo, si rende valida e a volte anche può prolungare la garanzia sull’auto rilasciata nel momento dell’acquisto. La data del tagliando è sempre riportata sul libretto di manutenzione dell’auto.

La revisione invece è una particolare “ispezione” dell’auto a scadenza periodi ca, prevista per legge, quindi obbligatoria, per verificare l’efficienza del veicolo e se lo stesso è conforme alle norme del Codice della strada.

La revisione, che può essere fatta sia presso le sedi della Motorizzazione civile oppure, in alternativa, presso i centri privati autorizzati, prevede l’obbligatoria ispezione e il controllo dei freni, della trasmissione, delle emissioni inquinanti e

di tutte le parti che hanno il compito di garantire la stabilità, la sicurezza del veico lo e le sue buone prestazioni.

Mentre per il tagliando non vi sono particolari voci da registrare nel libretto di circolazione, per quanto riguarda inve ce la revisione possono esserci, dopo il controllo globale dell’auto, tre possibili risultati o esiti:

- quello “regolare” ovvero si certifica che il veicolo ha superato l’esame;

- quello “da ripetere” vi è la necessità di ripetere la verifica poiché si sono riscon trate anomalie o difetti. In questo caso l’auto può circolare solo dopo aver effet tuato i lavori richiesti e con una dichiara zione di esecuzione a regola d’arte, fatta dall’officina che li ha eseguiti, ma entro 30 giorni dalla prima data dovrà sottoporsi a un’altra revisione;

- quello “sospeso” quando si sono riscon trate gravi anomalie e mal funzionamenti e quindi il veicolo non può circolare fino all’esecuzione dei necessari lavori per ripristinare la piena e totale efficienza e aver superato la successiva revisione con esito regolare.

Importantissimo sapere che la prima revisione dell’auto deve essere fatta dopo quattro anni dalla prima immatricolazione e successivamente ogni due anni e sempre entro il mese corrispondente a quello in

cui è stata effettuata l’ultima revisione. Tali scadenze si applicano per le autovetture, autocaravan, autoveicoli adibiti al traspor to di cose o ad uso speciale a condizione, però, che la massa complessiva non sia superiore ai 3.500 Kg. E devono sotto stare alla revisione anche i motoveicoli e ciclomotori. La stessa scadenza ( 2 anni) è anche per i veicoli che sono riconosciuti di interesse storico e collezionistico. E’ obbligatoria, invece, farla ogni anno per tutte le autovetture adibite al servizio taxi, noleggio con conducente, per gli autobus, le autoambulanze e per autoveicoli utiliz zati per il trasporto di cose e i rimorchi di peso complessivo superiore ai 3.500 Kg. Una triste nota riguarda coloro i quali circolano senza aver effettuato la revisione dell’auto perché il Codice della strada prevede una sanzione amministrativa che varia da 169 a 680 euro ( questi importi si raddoppiano in caso di revisione omessa per più di una volta). Oltre alla multa è previsto anche il fermo immediato del vei colo fino all’effettuazione della revisione e la segnalazione sul libretto di circolazione. Se invece si circola durante il periodo di sospensione si rischia una multa fino a 7.993 euro, più il fermo amministrativo di 90 giorni. (a.m.)

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Lettera al direttore: scuola, alunni e insegnanti

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A.E.C.I – Usura e anatocismo

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Medicina & Salute: freddo e gelo i nostri veri nemici

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Medicina & Salute: anoressia e bulimia

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In bicicletta al museo

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Quando arriva la castità

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Il vischio, portafortuna di Capodanno

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Cento anni fa la tregua di Natale

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Santa Lucia, la più amata dai bambini

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Un posto in prima fila per la fine del mondo

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Tesori d’Arte del bellunese

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Natale con i tuoi, ma ama anche gli altri

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I grandi artisti: Tiziano del Cadore

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L’albero di Natale e le sue origini

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