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Storie di guerra: Monte Fontanasecca

Storie di guerra di Davide Pegoraro

Monte Fontanasecca

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L’acqua, dicono sempre, è vita. Il binomio è ancestrale, anche se, a ben guardarsi allo specchio, forse risulta difficile trovare delle somiglianze con i nostri probabili antenati marini. Ci hanno detto che gli arti ed in particolare il pollice opponibile, hanno determinato il nostro sviluppo in vantaggio sulle altre specie. Infatti, nelle prime armi da fuoco, proprio il movimento del dito “nobile” metteva in condizione di far partire il colpo, tirando il cane del fucile o della pistola. L’indice è quel secondo dito, che sicuramente, per primo, si è levato in cielo a catechizzare qualcuno e poi si è disteso, puntando (verbo quanto mai appropriato) contro qualcuno per accusarlo. Basterebbe averne due in meno dunque, di dita, per non essere diventati tanto evoluti da ammazzarci progressivamente (avverbio che deriva da progresso?). Si perché si dice anche che senza guerre, di quest’ultimo non ve n’è; è con esso che i cervelli si spremono alla ricerca del nuovo e poi a cascata tutto si riversa nella società civile. Il discorso tornerebbe dunque, perché una cascata di acqua ne ha parecchia e ciò che porta a migliorarsi non può che essere un bene per la vita delle persone. Cani e grilletti sono prodotti però usando metalli e per far ciò se ne usa molto del prezioso liquido. Magari lo si sottrae ad altri scopi pur di non farlo mancare alle industrie, specie in tempi di guerra, specie in tempi come questi. Manca il grano, il petrolio, perfino il caviale, ma anche se non piove abbastanza, non manca l’acqua per produrre le armi. Eppure c’è siccità, aridità; dentro. Nel profondo ognuno ha svuotato quella falda portatrice di vitalità che, come genere, dovrebbe allontanarci dal concetto di disumanità. Siamo ormai una fontana secca. Per quelli di Alano di Piave è più facile riferirsi al Col Spadarot, per un tedesco dire Pyramiden-Kuppe; ma è pressappoco la stessa cosa, è del monte Fontanasecca che si parla, è di un campo di battaglia aspro e difficile. Il nome non

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Storie di guerra

dovrebbe lasciare spazio a dubbi: dove manca l’acqua, manca la vita e quel vuoto viene tosto colmato dalla morte. Le nevi del tardo autunno 1917 hanno fatto da sudario ai molti combattenti che vi hanno trovato la morte durante le fasi cruciali della Battaglia d’Arresto. Le donne della valle di Seren che avevano già dovuto assistere, dai villaggi sottostanti, al calvario dei loro mariti, soldati sul Tomatico, per più notti videro i bagliori degli scoppi delle cannonate, i fuochi dei lanciafiamme e sentirono il frastuono delle fucilerie a coprire le urla dei morenti e lo straziante lamento delle centinaia di agonizzanti. Lassù, nella montagna del Grappa, carsica già di natura, italiani e germanici si sono dati battaglia in un ambiente che a veder oggi, non pare essere stato teatro di tanto orrore. La recente acquisizione dell’omonima malga da parte del FAI ci aiuta a capire l’importanza del luogo sotto il profilo naturalistico e l’ingresso dell’intero massiccio nell’universo UNESCO (come biosfera), completa questa cornice di sensazionale importanza. Tra le truppe del Kaiser impegnate in quota, più di cent’anni fa, vi era anche il famosissimo tenente ( e successivamente feldmaresciallo del Reich) Erwin Rommel. Guidò i suoi uomini alla conquista del monte e con formidabile slancio prese poi il Valderoa e lo Spinoncia. Gli eroici atti di resistenza delle truppe italiane (desiderose di riscattare il recente disastro di Caporetto) bloccarono il giovane ufficiale che ebbe comunque una carriera lunga e gloriosa. Chissà se nel 1943 a Kasserine con i panzer fermi per mancanza di carburante, Rommel si aspettava che in pieno deserto sarebbe del petrolio e non dell’acqua che avrebbe dovuto preoccuparsi...

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