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Espropriazione di pubblica utilità
L'avvocato risponde di Erica Vicentini*
Espropriazione di pubblica utilità e la quantificazione dell’indennizzo
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L’espropriazione è definita nel codice civile (art. 834 c.c.) come l’istituto in base al quale un soggetto, previa corresponsione di una giusta indennità, può essere privato di beni immobili di sua proprietà per una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata. La Pubblica Amministrazione può dunque essere legittimata a sacrificare l’interesse privato in vista di un superiore interesse pubblico che, nel caso dell’espropriazione per pubblica utilità, generalmente, consiste nell’attuazione di un’opera pubblica. La definizione del codice civile è costruita in negativo: la tutela della proprietà fondiaria può cedere il passo solo se, nel bilanciamento degli interessi contrapposti, è posta a confronto con un interesse pubblico che è oggettivamente e concretamente definito. Risulta poi prevista per legge la corresponsione di un indennizzo. La potestà espropriativa trova la propria legittimazione anche nella Costituzione. Ferma restando la tutela degli interessi privati garantita dall’art. 23 Cost. (“nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”) l’art. 42 Cost. è chiaro nel prevedere che solo la legge possa disciplinare le ipotesi di esproprio per motivi d’interesse generale, salvo indennizzo per il soggetto destinatario della pretesa. La limitazione del potere di esproprio è quindi duplice: da un lato deve essere esplicitato e definito l’interesse che determina la necessità del provvedimento ablatorio, con la precisa considerazione delle ragioni per cui esso, comunque, comporti il minor sacrificio possibile per l’esecuzione, ad esempio, dell’opera di pubblica utilità; dall’altro, è prevista una precisa riserva di legge, unico strumento ritenuto idoneo a limitare la proprietà privata. Oltre a questi limiti, di natura oggettiva, è poi previsto l’obbligo per la P.A. di indennizzare il soggetto spogliato della propria proprietà. Sul punto occorre precisare il concetto di indennizzo, che è diverso da quello di risarcimento o restituzione: nella nozione di risarcimento è insita la necessità di riportare a parità un rapporto obbligatorio, nel senso di rifondere la sfera giuridica di un soggetto danneggiato del vulnus subito a causa del fatto dannoso; nel concetto di indennizzo, tale necessità non si pone, in primo luogo per il fatto che la sua liquidazione non segue ad un fatto lesivo, secondariamente perché il rapporto con la Pubblica Amministrazione non è, per definizione, caratterizzato da un piano di oggettiva e assoluta parità. Ma come viene quantificata l’indennità da esproprio? Ai sensi dell’art. 37 del T.U. (D.P.R. 327/2001), l’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene. Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del 25%. Per le aree non edificabili, è previsto che l’indennità sia determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto
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delle colture effettivamente praticate sul fondo e sul valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati. Il valore di mercato del bene è determinato al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio, con valutazione delle caratteristiche intrinseche del bene, in particolare dei vincoli di qualsiasi natura preesistenti. Solo le opere preesistenti all’avvio del procedimento espropriativo (costruzioni legalmente realizzate, piantagioni ed altre eventuali migliorie) possono essere inserite nella stima che conduce alla determinazione dell’indennità di esproprio da corrispondere al soggetto che subisce la perdita del bene; tutti gli interventi realizzati dopo l’avvio del procedimento espropriativo non possono essere inseriti nella determinazione dell’indennità di esproprio. Nel caso di espropriazione parziale di un bene unitario il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore: è necessario dunque individuare la differenza tra il giusto prezzo che l’immobile avrebbe avuto prima dell’espropriazione ed il giusto prezzo della parte residua dopo l’espropriazione stessa, in modo da ristorare l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo Dal punto di vista procedurale, il D.P.R. 327/2001 in materia di espropriazioni prevede due momenti: 1) il decreto di occupazione; 2) il decreto di esproprio. Già dalla lettura del decreto di esproprio deve essere possibile constatare l’esistenza di tutti i presupposti per la sua emanazione, in particolare che l’opera sia stata prevista nello strumento urbanistico generale, che sia stato apposto il vincolo preordinato all’esproprio, sia stata dichiarata la pubblica utilità e determinata, anche in via provvisoria, l’indennità di esproprio. La relazione di stima del bene è depositata presso l'ufficio per le espropriazioni: da quel momento, termine 30 giorni, è possibile per il proprietario espropriato impugnare innanzi al Tribunale ordinario gli atti dei procedimenti di nomina dei periti e di determinazione dell'indennità. È consigliabile quindi redigere immediatamente una perizia sul bene che dovrà essere espropriato, al fine di valutare la congruità dell’indennizzo.
*Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, Studio legale in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca n. 84) ,
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