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Fatti & Misfatti: storia della censura

Fatti e misfatti di Francesco Scarano

Storia della censura

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Il termine ‘’censura’’ costituisce uno dei vocaboli più ricorrenti del mondo dell’informazione, tanto da esser divenuto un termine che periodicamente permea le nostre camere attraverso le diffusioni di notiziari televisivi, letture di pagine web, articoli di giornale e divulgazioni sui social. Il controllo sull’ informazione ha subìto diacronicamente una metamorfosi tanto veloce, quanto complessa, che è alquanto arduo ricostruirne le tappe storiche. Si potrebbe partire in questo viaggio nel tempo col ricordare le vicende relative al re Johachim, re di Gerusalemme, che evulse dalla Bibbia il libro del profeta Geremia, in quanto quest’ ultimo ammoniva il sovrano a restare in patria e, pertanto, diffondeva un messaggio socialmente pericoloso mostrando il re come un individuo che dovesse sottostare alle leggi divine, piuttosto che nelle sembianze di un sovrano assoluto ed incontrastabile. In un decalogo delle censure storicamente più rilevanti non può sfuggire il ricordo degli abitanti dell’Urbe, i quali non erano esenti da restrizioni della libertà d’ espressione: a quanto riportato da Tacito (I sec. d.C.), durante l’età imperiale furono pubblicamente perseguitate tutte quelle minoranze che non accettavano teologicamente il culto e la divinizzazione dell’imperatore, cioè di quella figura che era contemporaneamente Dio e uomo, e riusciva a fare da tramite tra i due mondi avendo controllo e potere di vita e di morte sui sudditi. Con il passaggio all’ ‘’Età di mezzo’’, non è difficile intuire quanto la Chiesa influenzasse ogni decisione personale e politica, in un contesto ‘’pan-religioso’’, dove la coscienza morale prende il sopravvento sulla ragione, ed ogni parola o azione era frenata e indirizzata dalla salda ancora e dal saldo timone della speranza in una vita ultraterrena calibrata in base ai meriti o alle punizioni guadagnate nell’ ‘’ al di qua’’. Risale al XVI secolo, al 1534, la realizzazione dell’Indice dei libri proibiti, Index librorum prohibitorum, cioè un catalogo che fissava quali libri potessero essere letti dai cattolici, quali dovessero essere rielaborati e ‘’corretti’’, e quali dovessero essere distrutti perché indecorosi e letali per la salubrità dell’anima. Più tardi il Novecento vide l’instaurarsi di regimi totalitari in Europa, regimi cioè capaci di permeare la scelta e le azioni dei cittadini nella loro ‘’totalità’’, appunto. Non deve sfuggire agli italiani quanto Mussolini volesse dare un’immagine forte della ‘’razza’’, tanto nel ‘’Bel Paese’’ quanto all’ estero, arrivando a promulgare la prima legge contro la libertà di stampa nel ’23 e mettendo agli apici della cultura e della cronaca funzionari e ministri dell’istruzione che lavorassero ai fini di un’opera encomiastica del Fascismo. Noti dovevano essere ai fortunati possessori di apparecchi televisivi i documentari Luce e tutti quei programmi che descrivevano l’Italia e gli italiani come invincibili e meritevoli di ‘’ un posto al sole’’. Più aspra dovette essere sicuramente la censura adoperata da Hitler, il quale mirò alla cancellazione della memoria e dell’identità di un popolo, quello ebraico, stabilendo quali libri fosse lecito leggere (libri bianchi) e quali no ( libri neri). Fu in tale occasione, infatti, che secoli e

secoli di ricerche e studi ebraici andarono letteralmente in fumo, come accadde nel 1533 alle opere di Einstein e di Freud, o ai corpi ed alle menti di quei grandi scienziati israeliti. Repressioni simili si ebbero nella Russia stalinista, quando vari oppositori furono avvelenati da funzionari affini al KGB, o i programmi sovversivi venivano oscurati e sostituiti con la visione de ‘’Il lago dei cigni’’ che distoglieva l’ attenzione dello spettatore rispetto a quanto asserito in precedenza, in una situazione non dissimile da quanto sta accadendo oggi nella ‘’terra degli zar’’, dove i vari social network sono oscurati, sono celate le sconfitte militari e dove le proteste per la pace sono represse a suon di manganellate, arresti, o morti accidentali. A tale repressione risponde in occidente la volontà recente di cancellare o comunque ridurre il peso della cultura russa nelle università italiane. Celebri sono i casi di Sostakovic e Dostojevski che rischiano di cadere nell’ oblio solo perché i loro concittadini, guidati dal potere di uno spietato dittatore, hanno commesso azioni aberranti, cercando a loro volta di cancellare la memoria e l’identità di un popolo fratello, quello ucraino. Sembra, dunque, che sebbene le metodiche adoperate si siano evolute, il fine resta lo stesso: smentire quei diritti di libertà per i quali tanti uomini hanno rinunciato alle loro stesse vite. È proprio a tal fine, per evitare di annullare tante battaglie e sacrifici, che dovremmo ricordare i nostri diritti e garantirli per tutti, uomini o donne, bambini o adulti, italiani o russi, perché è proprio la libertà di parola a distinguerci dalle fiere e a garantirci l’appellativo di ‘’ zoon politikòn’’, cioè animale che riesce a vivere in comunità e ad esprimersi per il bene pubblico. Dovremmo prendere coscienza che tale possibilità non deve restare inchiostro essiccato su un albeggiante supporto cartaceo, ma che la sete di conoscenza è uno degli obiettivi del nostro passaggio su questa ‘’casa comune’’.

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