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Uomo, piante e natura: le siepi
Uomo, piante e natura di Niccolò Sovilla
L'importanza delle siepi
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Le nostre città – e non fanno purtroppo eccezione le cittadine “virtuose” delle nostre zone – paiono smaniose di allontanarsi quanto più possibile da una naturale evidenza: che se in Italia non esistesse l’essere umano, il territorio sarebbe ricoperto da foreste. Nella maggior parte dei casi, infatti, il verde urbano realmente utile all’ambiente è relegato a piccoli parchi e giardini privati di illuminati cittadini che ne hanno compresa la grande importanza ecologica. “Liberiamoci dal giogo della natura” sembrano voler dire le nostre città e, sempre di più, anche le nostre campagne. Un elemento ormai pressoché scomparso è la siepe. Non parliamo della siepe di Chamaecyparis e di Thuja: di queste piante “esotiche” – completamente inutili per il nostro ecosistema – la gente sembra non stancarsi mai, ed è anzi felice di poter schermare i propri giardini con monotone file di cultivar dagli improbabili nomi “Janed Gold”, “Can-Can”, “Blue Moon”, “Baby Blue”, eccetera. Parliamo piuttosto della siepe campestre, quella fatta di biancospino, maggiociondolo, nocciolo, carpino, lillà, tasso, sambuco… La siepe “nostrana”. Chiaramente, la siepe non è una formazione vegetale naturale, bensì artificiale, inventata cioè dall’uomo, ma che in passato assumeva – e che assumerebbe tuttora, se gliene si desse ancora la possibilità – una grandissima importanza dal punto di vista biologico. In che modo? Permettendo, ad esempio, l’insediamento di innumerevoli specie di insetti, lombrichi, uccelli, rettili e mammiferi, poiché è in grado di offrire loro
cibo e riparo. La siepe campestre è utile anche all’uomo: separa e isola i diversi ambienti, filtra microorganismi, polveri, pollini, funge da superficie di comunicazione (una vera e propria “foresta lineare”, una “strada naturale”), assorbe e sottrae CO2 dall’atmosfera ed è un’inesauribile riserva di biodiversità funzionale. Un concetto molto semplice, quello della “biodiversità funzionale”, eccone un esempio: una gran quantità dei parassiti che divorano le vostre amate piante (sia ornamentali che orticole) potrebbe essere, se non eliminata, almeno contenuta proprio grazie a quei temibili predatori che popolano la siepe… Coccinelle, cince, passeri e merli, per citarne alcuni! Inoltre, non dimentichiamo che dalla manutenzione di una siepe di discrete dimensioni può derivare legna da ardere pregiata. Pensiamo infatti al salicone, al pero selvatico, al carpino, al nocciolo e alla fusaggine. Purtroppo, però, in agricoltura questi aspetti oggi sono stati pressoché dimenticati. Le nostre campagne, oggigiorno, sono molto diverse da quelle che osservavano i nostri nonni, che erano popolate di tante più varietà di animali e piante. Un tempo le siepi erano ovunque, mentre nel XXI secolo sono quasi scomparse. Il cambiamento ha compromesso la sopravvivenza di mammiferi, anfibi e uccelli, e persino molti arbusti un tempo comuni sono ormai rari da avvistare. Ecco perché, dunque, portare la siepe nei nostri giardini e, di conseguenza, in città, è divenuto così importante. Non tutti disponiamo di grandi parchi, è chiaro, e le grandi siepi campestri in centro città non sono realizzabili. Ma perché non fare la propria piccola parte? Al posto di una banalissima “muraglia” sempreverde, sterile e tutta uguale, si può ottenere qualcosa di utile, bello, variopinto e originale mettendo a dimora le giuste piante: quelle selvatiche. Un arbusto spontaneo è resistente, sano, rustico, poiché autoctono, e non ha bisogno di chissà quali fertilizzanti ed antiparassitari per sopravvivere dignitosamente. È decorativo, ricco di variazioni, in grado di riproporre in giardino il coloratissimo trascorrere delle stagioni. Rispetto alle cultivar “alla moda” è sicuramente molto meno costoso, sia in fase di acquisto delle piante che in termini di mantenimento.