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L’arte in controluce: Vittorio Zecchin

L'arte in controluce di Alice Vettorata

VITTORIO ZECCHIN, artista veneto

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Lo scorso 23 aprile si è inaugurata la cinquantanovesima edizione della Biennale d’Arte di Venezia, un evento di portata internazionale. Analizzando il tema, che solitamente conferisce il titolo alla mostra stessa, i rappresentanti di vari Stati propongono ai visitatori le loro personali interpretazioni. Nel corso degli anni questa manifestazione, oltre a dare modo di avvicinare i fruitori dell’arte al settore, permise anche di creare legami tra artisti e aspiranti tali che giunsero a collaborare e a plasmare vicendevolmente i loro percorsi lavorativi. Durante lo svolgimento della Biennale d’Arte del 1910 un giovane artista veneto, Vittorio Zecchin, ebbe la possibilità di ammirare dal vivo le opere di molti pittori che attualmente sono noti per essere i portavoce dell’arte del ‘900. Courbet, Casorati, Renoir e Klimt, tra i molti, furono ospiti della IX edizione. Quest’ultimo attirò Zecchin in modo inevitabile. Klimt espose ventidue sue opere nelle quali il pittore emergente trovò la profonda ispirazione che caratterizzò il suo futuro operato. Se Klimt, dopo alcuni viaggi in Italia e nello specifico a Ravenna ebbe modo di studiare i mosaici bizantini che lo influenzarono con le loro piccole tessere dorate, Zecchin proclamò come propria guida artistica le tecniche iconiche del pittore austriaco. Oltre a Zecchin anche Galileo Chini, Felice Casorati e lo scultore Giovanni Prini investirono Klimt della carica di loro fonte d’ispirazione primaria, di mentore indiretto. Nel caso del pittore

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veneto, nato a Murano e figlio di vetrai, le lucentezze e riflessi creati dalle foglie d’oro presenti nei dipinti secessionisti ebbero una risonanza maggiore data la sua sensibilità pregressa. Non furono soltanto quei bagliori ad ispirare il pittore, ma anche le composizioni delle opere e la loro miscellanea di colori particolari e ammalianti, che tanto gli ricordavano le murrine realizzate dal padre e che a sua volta aveva imparato a produrre. Quei motivi floreali e caleidoscopici tipici delle murrine Zecchin li traspose anche in pittura, dando vita ad opere come quelle appartenenti al ciclo de “Le mille e una notte”, commissionato nel 1914 per essere esposto all’hotel Terminus a Venezia. È costituito da una serie di dodici pannelli che, come suggerisce il titolo, rappresentano scenari di ispirazione orientale legati alla storia di Aladino. Nelle sezioni dell’opera si stagliano alcune figure femminili avvolte da tessuti ornati con figure geometriche bidimensionali, stesso pattern proposto anche nel paesaggio che le ospita. Soltanto i volti delle figure ritratte non sono caratterizzati dalle lavorazioni di stampo decorativo, proprio come è possibile notare nei ritratti di Klimt. Oggi a Venezia presso Ca’ Pesaro è possibile ammirare sei dei dodici pannelli: Le principesse ed i guerrieri, Principessa e guerriero, Guerrieri, Tripode degli incensi, Corteo delle principesse e Principesse nel giardino, mentre la restante metà è andata perduta. Osservandole sono chiari i rimandi all’arte viennese e all’arte vetraria e infatti, proprio quest’ultima tornò ad essere il principale mezzo espressivo dell’artista. In collaborazione con l’artista Teodoro Wolf Ferrari si riavvicinò alle arti applicate utilizzando il vetro e successivamente lavorando anche su tessili, mobili e mosaici. Si dedicò inoltre all’insegnamento, basandosi sull’esperienza acquisita durante il suo percorso artistico, collaborando con alcuni istituti tecnici veneti. Il cerchio poi, si chiuse. Come il suo inconsapevole maestro viennese, Zecchin, in diverse edizioni, espose alla Biennale d’arte di Venezia, magari influenzando a sua volta qualche pittore emergente.

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