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Il Trentino in controluce
di Nicola Maschio
Il CONSUMO di suolo sul territorio TRENTINO
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Vi siete mai fermati ad osservare il paesaggio dal finestrino di una macchina o di un treno? Anche nelle tratte brevi, magari quelle di un normalissimo pendolare che, dalla periferia di Trento, si sposta verso il capoluogo. Siamo così abituati a dare per scontato ciò che ci circonda che, nella maggior parte dei casi, non ci accorgiamo dei piccoli o grandi cambiamenti. La gestione del suolo e del paesaggio trentino, ad esempio, vive tra luci e ombre. Un quarto del territorio disponibile per agricoltura e insediamenti risulta infatti, ad oggi, artificializzato, impermeabilizzato oppure cementificato. Insomma, l’intervento umano sulle aree naturali comincia a farsi sentire in modo decisamente importante, giorno dopo giorno, con i cantieri e gli edifici che prendono invece forma nei mesi e negli anni. Quella che potremmo definire come “fame da costruzione”, per così dire. Un desiderio irrefrenabile di edificare, di creare, di erigere nuove strutture. Ma come si è evoluto il paesaggio trentino proprio nell’ultimo lustro? Come è cambiato il nostro territorio e quali zone di quest’ultimo hanno risentito in modo maggiore delle azioni dell’uomo? A queste ed altre domande ha risposto lo studio quinquennale inerente lo stato paesaggistico della nostra Provincia, redatto dall’Osservatorio del Paesaggio Trentino. Un’indagine accurata che ha portato alla luce diversi aspetti del nostro territorio, non solo attuali ma anche e soprattutto storici. Nel 1960, ad esempio, gli insediamenti presenti in Trentino registravano una superficie complessiva di 5.482 ettari di terreno. Nel 1987, poco meno di trent’anni dopo, gli ettari sono diventati 12.104 e, successivamente, ben 15.943 nel 2004. Praticamente, un aumento in soli cinquant’anni pari al 190%, che tuttavia ha subìto un forte rallentamento dai primi anni duemila al 2019 (solo +4,4%, stanziandosi a 16.637 ettari in tutto). «Ciò a cui bisogna prestare attenzione è il cosiddetto fenomeno della saturazione – ha spiegato Giorgio Tecilla direttore dell’Osservatorio. - Notiamo come, in alcune zone, vi sia una vera e propria tendenza a raggruppare insediamenti abitativi in alcune zone. Pensiamo ad esempio all’Alto Garda, nei pressi del lago, oppure ad alcune zone della Vallagarina e Rovereto ed infine, ovviamente, anche alla Val d’Adige ed in particolar modo la città di Trento. Questo però ci porta a pensare che, nel prossimo futuro, potremmo avere un potenziale incremento delle aree fortemente antropizzate pari a circa il 20% rispetto alla situazione attuale». La soglia “problematica”, aggiunge il direttore Tecilla, sarebbe quella dei 25.859 ettari di aree antropizzate (zone naturali nelle quali è intervenuto l’uomo) in modo importante, con ulteriore erosione di suoli agricoli fertili. Rispetto al consumo di suolo invece, dal 2006 al 2019 il Trentino ha registrato un consumo medio di circa 63 ettari all’anno, rallentato poi proprio due anni fa e sceso a 53 ettari medi. Rispetto al dato nazionale, che riporta un 7,10% di suolo medio consumato, la nostra Provincia si è fermata invece al 3,7%: statistica che tuttavia, per quanto sia bassa, deve per forza essere rapportata alla tipologia del nostro territorio. «Quest’ultimo, per il 60%, è sopra i 1000 metri di quota – ha aggiunto Tecilla. - Inoltre, il 53% è coperto da boschi, il 12% da pascolo e ben il 22% da rocce e, in alcuni casi, anche ghiacciai. Per agricoltura e insediamenti dunque è disponibile solo il 13% del territorio complessivo. Se pensiamo che potremmo arrivare entro breve ad una occupazione di suolo pari al 4,16% di ciò che abbiamo a disposizione, è chiaro come siano necessari dei ragionamenti per indirizzare al meglio questo fenomeno» .
Come eravamo
di Waimer Perinelli
SEBESTA e KESSLER nascita di un museo
Era il 1968 quando s’inaugurava a San Michele all’Adige il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina. Testimoni dell’evento i due padri fondatori, Giuseppe Sebesta e Bruno Kessler, rispettivamente ideatore- realizzatore del Museo e Presidente della Provincia autonoma di Trento. Due grandi personalità, due uomini di origini e culture diverse capaci di intuire la potenzialità di una cultura etnografica in continua espansione.
Bruno Kessler nel 1962 aveva fondato l’Istituto Trentino di Cultura di cui la facoltà di Sociologia fu diretta emanazione e fra i corsi di laurea figurava Antropologia culturale, una scienza nascente in Italia, paese in cui alcuni studiosi praticavano l’etnografia: fra loro Tulio Tentori uno dei padri dell’antropologia italiana. Ma mentre questo accadeva ai piani alti della scienza, Giuseppe Sebesta, uomo semplice quanto inquieto, rovistava nelle soffitte e nei fienili trentini, Valsugana compresa, alla ricerca degli oggetti fabbricati dai nostri avi per arare, seminare, raccogliere e per rendere confortevoli le abitazioni. La storia lo avrebbe dimenticato, classificandolo come accumulatore seriale, se sulla sua strada non avesse incontrato Bruno Kessler, nato nel 1924 a Peio in Val di Sole, avvocato, avviato ad una brillante e costruttiva attività politica. L’incontro fra i due protagonisti di una parte importante della nostra
Giuseppe Sebesta (da Trentino Cultura) Bruno-Kessler da Vita Trentina (Foto-Zotta)
Come eravamo
storia viene raccontato da Giuseppe Sebesta, morto a Fondo in Val di Non nel 2005, in un’intervista registrata nel 1994 (tre anni dopo la morte di Kessler)e postata su you tube da Giovanni Kezich attuale direttore del Museo di San Michele all’Adige. Nell’intervista si scopre come il caso, la fortuna e la costanza, quando s’incontrano, possono forgiare cose buone ed il Museo degli usi e costumi è una di queste: la documentazione e la testimonianza di una civiltà Sebesta, nato a Trento nel 1919 da madre trentina e padre cecoslovacco, giunto nella valle dell’Adige nel 1940, manifesta presto lo spirito d’avventura che fino a 21 anni lo porta a girare per l’Europa. “Da subito nei mie viaggi, racconta Sebesta, sono stato colpito dal rapporto fra il paesaggio e l’uomo, cioè non l’uomo ricco e con i grandi processi, ma l’uomo povero che non avendo mezzi riusciva a sopravvivere ideando i mezzi, creando macchine, fabbricando un mondo di oggetti fuori del comune.” Un amore, una passione, una sensibilità con cui coglie la ricchezza del Trentino che, risparmiato, almeno nelle valli laterali, dalla guerra, ha salvato moltissimo materiale con il quale si poteva ideare un museo. Sebesta coltiva questa sicurezza per molti anni, senza poter avere un colloquio con qualcuno di importante, fino a che non incontra un altro
Museo degli usi e costumi della gente trentina
uomo eccezionale. Un incontro che ha dell’incredibile con un pizzico di magia. “E’ il 1956 ,il Venerdì Santo, sono al Museo di Scienze Naturali a Trento per il solito brindisi pasquale, racconta Sebesta, quando mi trovo davanti un’affascinante signora, molto sensibile ed intelligente, ed io parlo a lei di questo mio sogno, del mio rincrescimento che i trentini non capiscano che hanno un patrimonio bellissimo da valorizzare. Alle mie spalle c’è un ometto, più piccolo di me, io non lo conoscevo; quest’uomo improvvisamente mi batte una mano sulla spalla, io mi volto e lui mi prende direttamente la mano e mi dice: io sono Kessler sarei felice di parlare con lei”. Alcuni giorni dopo lo scienziato e l’amministratore s’incontrano e senza tanti preliminari Kessler affida a Sebesta il compito di realizzare un museo stanziando 500 mila lire. “ Da quel giorno, dice Sebesta, mi incontro spesso con Kessler, fondo un comitato etnografico.” Raccoglie materiale in tutte le valli e dopo il primo anno i magazzini presso il museo di Scienze naturali di Trento sono pieni ed è costretto ad abbattere alcune pareti per costruire un percorso elicoidale. Per fortuna, dopo un po’ di tempo, ha la possibilità di spostarsi a San Michele all’Adige con tutti i materiali e ricomincia a raccoglierne di nuovi. Riceve un finanziamento di due milioni di lire. Le incertezze però sono ancora notevoli e Sebesta capisce la necessità di forzare le cose; allestisce le due prime sale con percorso guidato e didascalie. “ Un giorno, racconta, invitai Kessler a visitare questi due locali. Egli rimase sconvolto e improvvisamente, come poteva essere lui in senso affettivo, mi prese fra le braccia e mi disse Sebesta dimmi cosa vuoi di soldi e di mezzi per realizzare il museo, ma tu lo devi realizzare in un anno... Il 1968 si inaugurava il museo.” Dodici anni impiegati bene per realizzare un sogno, un museo che, ricorda Sebesta, è :“la testimonianza che il popolo trentino è una Stirpe, nel senso latino di Gens , un raggruppamento umano inserito nel proprio ambiente naturale”. Il Museo è cioè la rappresentazione della tecnologia umana applicata al territorio, dove sono messi in risalto i materiali che il popolo trentino, fin dalla preistoria ha sperimentato. L’ intelligenza e la modestia, pur nella complessa personalità del fondatore del Museo di San Michele, traspaiono nella sua ammissione di avere imparato quanto e più di quello che ha trasmesso.” Naturalmente, dice, è stata una bella avventura perché io stesso diventai uno scolaro, tanto che nei miei incontri internazionali affermai sempre che il mio grande maestro era stato il popolo.”