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Il personaggio: Don Francesco Alpruni
Il personaggio
Don Francesco Alpruni
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Una vita di luci ed ombre. Che ha lasciato notevoli contributi di modernità, precorrendo, secondo diversi storici, i tempi a lui futuri. Parliamo di don Francesco Alpruni, professore universitario, nato, esattamente 288 anni, il 4 dicembre del 1732 a Borgo Valsugana e morto nel 1814 a Pavia, città dove insegnava. Come scrive nel suo ricordo dell’Alpruni don Armando Costa sul volume “Ausugum III”, all’età di vent’anni entrò nella Compagnia dei Barnabiti a Genova. Un personaggio destinato all’insegnamento. Prima di essere chiamato a Roma, nel 1768, da papa Clemente XIV a coprire l’incarico di Consultore dei Sacri Riti, tenne dei corsi di filologia e teologia sia a Todi che nella città eterna. “Era Consultore quando – scrive don Costa – sorsero interminabili discussioni teologiche sulla devozione del Sacro Cuore. Lo stesso Alpruni espresse il suo pensiero in una Dissertazione raccolta da Camillo Blasin sotto il titolo di De Festo Cordis Jesu”. Sotto l’anonimato scrisse e dette alle stampe diversi lavori. Nel corso della sua permanenza a Roma godette la stima e l’amicizia di persone autorevoli. Nonostante manifestasse delle simpatie per il neogiansenismo, il cardinale Herzan lo scelse come suo teologo. È il 1790 quando don Francesco Alpruni inizia la pubblicazione delle sue teorie sulla teologia morale. Dopo il primo volume, due anni dopo arrivò anche un secondo ma l’opera, come ricorda ancora don Costa, “venne sospesa causa le vicende che mutarono ai danni della libertà”. In quei anni si trasferì da Roma a Milano dove era stato chiamato dal conte di Firmian, plenipotenziario per la Lombardia. In Lombardia insegnò diritto pubblico
Borgo, Via Alpruni
alla scuola R. Ginn di Brera e, successivamente, fu professore di teologia morale presso l’Università di Pavia. Per conto del governo austriaco ricopriva anche l’incarico di Censore per il culto. “Fu in quel periodo che il suo pensiero si orientò decisamente verso la corrente illuminista agganciandosi al riformismo ecclesiastico giuseppino. Quando i francesi occuparono Pavia – si legge ancora nel volume Ausugum III – nel 1796, credette anche lui, come molti, di trovare sulle baionette napoleoniche quegli ideali di libertà. Con il loro arrivo l’Alpruni dà una svolta definitiva alla sua vita e diventa un agitatore ed un uomo politico, danzando la carmagnola alle feste dell’albero della libertà, partecipando a raduni e convitti patriottici”. Che cos’era l’albero della libertà? Si trattava di un tronco eretto in piazza, dipinto con i colori della rivoluzione e con in vetta il berretto frigio. “Albero senza rami, berretto sena testa….e si fa festa!”, era questa la parodia in voga, al tempo, in certi ambienti patavini. Con l’arrivo dei francesi don Francesco di Massimo Dalledonne Alpruni mantenne la cattedra a Pavia, nel frattempo trasformata in diritto entrando a far parte anche della Municipalità della città. Divenne membro del Gran Consiglio della repubblica Cisalpina con l’incarico di “Juniore” del Dipartimento di Ticino. “In questa sua attività – scrive ancora don Armando Costa – reclamò la difesa dei diritti costituzionali del collegio legislativo contro gli arbitrii del Direttorio. Ma si prese una cantonata. Reclamò la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici e, vedi in po’, ne prese un’altra. Ma dalle sue proposte – chiosa don Costa – traspare un ben definito avveniristico programma politico”. È il 21 marzo del 17989 quando venne nominato residente di turno del Gran Consiglio, carica che manette fino al 4 aprile. Con l’arrivo degli austriaci venne arrestato, processato nel 1799 e sospeso dall’insegnamento che riprenderà con il ritorno dei Francesi, compresa la cattedra di diritto costituzionale e giurisprudenza naturale. Nel 1802 si ritira a vita privata e muore a Pavia nel 1814, all’età di 82 anni.