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Musica & società: suonare dentro
Musica e società
di Gabriele Biancardi
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SUONARE DENTRO O FUORI DAL GARAGE
Suonare in una band è un sogno che non ha stagioni. Ogni ragazzo che imbraccia una chitarra o mette le mani su una tastiera, sogna di emulare qualcuno. Noi maschi siamo animali più sociali delle ragazze, il numero di band maschili sovrasta in percentuali quello delle donne. In fondo basta poco, il garage di babbo opportunamente insonorizzato, si noleggia qualcosa e via. Esempio di quello che si può fare è piuttosto recente. Quattro anni fa i Maneskin, suonavano nelle vie della capitale, con il classico berretto davanti per raccogliere monete. Oggi sono in cima. Migliaia di dischi, concerti sold out, vittorie prestigiose, Sanremo e Eurovision. Loro ce l’hanno fatta. Ovviamente sulla bilancia ci sono i tanti che invece sono nel famoso garage e lì destinati a finire. Finire in “radio” oggi è molto più semplice di una volta. Basta una buona registrazione, oggi la tecnologia ha migliorato molto la facilità, prendere gli indirizzi delle radio di tutta Italia e con una semplice mail cumulativa, mandare in mp3, nemmeno in cd, il proprio prodotto. Chi fa radio, non può permettersi di non ascoltare tutto quello che arriva. Io una volta mi feci condizionare dalla copertina inguardabile e arrivai in ritardo a suonare una hit come “asereje” delle Las ketchup. Da allora, qualunque cosa arrivi, si ascolta. Devo dire che il 70% è discutibile, ma qualcosa si trova sempre. Purtroppo i gruppi, o complessi come erano chiamati anni fa, sono quasi sempre destinati a sciogliersi. Vari motivi, di solito il cantante preferisce fare tutto da solo, non si va d’accordo su soldi/fama/stile, ma soprattutto soldi, e quindi si chiude baracca e burattini. Una cosa è certa, tutti i solisti che vediamo in classifica, sono sempre partiti da un gruppo. Rari coloro che nella propria cameretta hanno sviluppato la propria vena artistica. Ho visto qualche settimana fa Daniele Groff, ecco magari non ci si ricorda di lui, ma per un certo periodo è stato sui palchi importanti, anche Sanremo, poi si è come vaporizzato. Questo accade perché questi sono i tempi. Veloci, iperveloci. Devi essere sul pezzo, Daniele è un ottimo cantautore, anche Lucio Dalla lo notò, ma sembra di un’altra generazione. I requisiti odierni sono altri. Sono convinto che tantissimi artisti di cui possediamo tutto, oggi non troverebbero spazio. Se ci pensiamo, i grandi artisti, sono frutto di generazioni passate, dove esisteva la lentezza. Negli anni 70, vigeva una sorta di formula. Tre dischi. Il primo poteva tranquillamente essere un flop, il secondo doveva almeno pareggiare le spese. Il terzo era una sentenza. Se non avevi successo, potevi tranquillamente abbandonare tutto. Oggi una “regola” simile, suonerebbe come blasfemia. Non si ragiona in dischi, ma in un brano, se non spacchi, ciao. Il garage è sempre lì. I primissimi lavori di autori oggi idolatrati, sono rari come il santo graal, poco conosciuti o solo per i parenti stretti. A Giorgio Gaber ci vollero due anni di 45 giri per arrivare a farsi conoscere. Lucio Dalla è la prova della teoria del 3. nel 1966 uscì il primo lp, “1999”, filato da nessuno, idem come sopra per il secondo uscito nel 1970, “Terra di Gaibola”. Ma solo con il terzo del 1971, “storie di casa mia”, Lucio conobbe il successo, infatti al suo interno si trova quel brano meraviglioso che ancora oggi amiamo ascoltare: “4/3/1943”. A quei primi lavori, si aggiungeranno 50 album. Una pazzia oggi credere che possa succedere a qualcuno. Insomma, se da un lato oggi puoi mandare un tuo brano in giro in pochi giorni, rimane difficile lasciare una impronta profonda. Ma la musica, trova sempre le sue strade, che siano casuali come in Maneskin in via del corso, o dalla cameretta di un “nerd” appassionato di computer, arriva. Sempre.